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Pietro Veglio
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Pregassona, 22 maggio 2012
Plusvalore 23.5.2012:
Vietnam: Paese emergente o no?
Da quando a fine 1986 il governo vietnamita introdusse un programma di riforme
economiche di matrice capitalista -- il Doi-Moi (rinnovamento) -- il Vietnam ha cambiato volto. Lo
Stato è si rimasto fedele ad alcuni principi socialisti e il Partito comunista è sempre al potere. Ma il
governo ha favorito l’accesso alla proprietà privata dei mezzi di produzione, la liberalizzazione
economica e l’apertura agli investimenti esteri. Per il Vietnam Il risultato è stato un grande balzo in
avanti e l’accesso allo status di potenziale nuovo Paese emergente. Un progresso notevole
considerata la drammatica situazione post-bellica del 1975, dopo la caduta di Saigon, il crollo del
governo filo-americano del Vietnam del Sud e la riunificazione politica di tutto il territorio
vietnamita.
La transizione da economia pianificata ad un’economia di mercato e da Paese
estremamente povero a Paese a reddito medio è stata considerata come un modello di sviluppo
economico. Ma negli ultimi anni il modello è entrato in crisi. il Vietnam ha dovuto far fronte ad una
situazione preoccupante: inflazione piu’ elevata a livello asiatico; svalutazione della moneta
nazionale; fuga di capitali all’estero; e perdita di ingenti riserve valutarie. Questo ha contribuito ad
erodere il facile entusiasmo degli investitori e, soprattutto, a creare tensioni interne accentuate
dall’aumento delle disuguaglianze sociali. Gli anni di forte crescita del Prodotto interno lordo sono
ormai alle spalle e la crescita materiale, spesso selvaggia e disordinata, ha messo a nudo seri
problemi strutturali. La qualità e sostenibilità del processo di crescita sono infatti particolarmente
fragili: utilizzo troppo intensivo delle risorse naturali locali; degrado ambientale; diversificazione
insufficiente delle attività economiche ed esportazioni; produttività in declino. La competitività
dell’economia vietnamita è minacciata dalle continue interruzioni nell’erogazione dell’elettricità,
dagli alti costi della logistica, dei trasporti e del settore immobiliare cosi come dalla mancanza di
manodopera e tecnici qualificati.
Negli ultimi mesi le pecche del sistema Vietnam sono venute alla luce in modo clamoroso.
Un esempio significativo è quello del Parco industriale Thang Long finanziato nelle vicinanze di
Hanoi da investitori giapponesi in partenariato con un’impresa pubblica locale. Aperto nel 2000
attiro’ parecchi investitori interessati alla possibilità di ricorrere a manodopera piu’ a buon
mercato di quella cinese. Al suo apogeo, nel 2009, vi lavoravano 55,000 persone per 95 imprese
multinazionali, soprattutto giapponesi. Ma l’inflazione, oggi superiore al 20%, ebbe un impatto
molto negativo. Iniziarono gli scioperi organizzati da operai impossibilitati a far fronte all’aumento
del costo della vita, con salari medi che si aggiravano sui 100 dollari mensili.
Piu’ recentemente sono scoppiati casi allarmanti di corruzione sistemica e spreco di fondi
pubblici. Il caso dell’impresa pubblica di costruzione navale Vinashin è particolarmente grave.
L’impresa accumulo’ un debito superiore ai 4 miliardi di dollari investendo in modo scriteriato in
attività poco redditizie. La causa? La rapida espansione del credito statale facilitato e le spese
incontrollate di numerose imprese pubbliche come Vinashin.
L’esempio vietnamita dimostra che per i regimi autoritari l’ora della verità è rappresentata
dalla loro capacità di combinare lo sviluppo economico con la riforma progressiva del sistema
politico. Permettendo il dibattito pubblico, le pressioni dal basso e creando istituzioni indipendenti
in grado di prevenire la corruzione e controllare qualitativamente il processo di crescita
economica. Una sfida questa che prima o poi dovrà essere affrontata da altri governanti di Paesi
emergenti!
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