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Psicopatologia generale e dell'età evolutiva
prof. Prunas, STP3 (20012-13)
Riassunto completo del libro "Psicologia Clinica" di Hansell!
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autore: Fandelrock
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Psicopatologia
Hansell – Psicologia clinica + slides
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I 6 concetti chiave
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Sono individuabili 6 concetti chiave della psicologia clinica:
1. L’importanza del contesto nel definire e comprendere la psicopatologia = il contesto
in cui si manifesta il comportamento patologico è importante per 3 ragioni:
a. Ci permette di stabilire se si tratta di un comportamento patologico o meno
b. Ci permette di comprendere e spiegare un comportamento problematico
c. Il comportamento è dipendente dalle categorie demografiche del contesto di
appartenenza (genere, età, classe sociale e cultura), permettendoci di prendere
consapevolezza dei pregiudizi presenti
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2. Il continuum tra il comportamento normale e patologico = la normalità e l’anormalità
si pongono lungo un continuum, questo per rendere più comprensibile la patologia,
dato che un comportamento “anormale” è potenzialmente parte della nostra comune
umanità. Da ciò risulta che il confine tra comportamento normale e patologico non è
mai del tutto definito
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3. Il relativismo storico e culturale nel definire e classificare la psicopatologia = la definizione di normalità è cambiata nel corso del tempo e varia a seconda degli ambienti e
delle situazioni culturali
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4. I vantaggi e limiti della diagnosi = come in tutti gli ambiti scientifici ci si basa su una
classificazione della patologia in categorie diagnostiche. Questo porta a considerare 2
temi:
a. Affidabilità = la coerenza con la quale una categoria diagnostica viene applicata
b. Validità = la precisione di una categoria diagnostica
Per cui i sistemi di classificazione devono essere ragionevolmente coerenti e precisi.
Bisogna considerare il fatto che dare troppa importanza alla classificazione dei disturbi rischia di semplificare in modo eccessivo problemi complessi e di allontanarci dal
comprendere pienamente le persone al di là delle etichette diagnostiche. Infatti data la
paura dei pregiudizi sulla malattia mentale nella nostra cultura, le diagnosi dei disturbi mentali possono essere molto stigmatizzanti
5. Il principio di causalità multipla = Il comportamento patologico è un fenomeno complesso, riconducibile non ad una sola causa ma a più cause; solitamente si parla di
cause precipitanti (catalizzanti, l’innescarsi immediato o precipitante di un evento) e
cause predisponenti (latenti, i processi soggiacenti che creano condizioni tali per cui
una causa precipitante possa dare inizio a un evento). Infatti riconducendo tutto a una
sola causa, si rischia di aderire al riduzionismo
6. La connessione tra mente e corpo = le prospettive psicologiche e biologiche non sono
completamente distinte; infatti le esperienze emozionali possono alterare la chimica
del cervello, e la chimica del cervello è a sua volta la base delle esperienze emozionali.
autore: Fandelrock
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Criteri usati per la definizione di psicopatologia (RIDDD o HIDES)
Il termine psicopatologia non ha un significato univoco e condiviso. Nella letteratura americana il termine psychopathology è utilizzato nei termini di descrizione clinica dei sintomi psichici di un determinato quadro morboso.
La psicopatologia, a differenza della semeiotica, si occupa di un fenomeno morboso non solo
nella sua descrizione e rilevazione, ma anche nello studio dei modelli psico-neuro-biologici
che possono esserne alla base.
Jaspers cercò di fondare una psicopatologia scientifica; ovvero l’analisi e comprensione dei
vissuti del malato e recupero della soggettività secondo un metodo che non può essere quello
delle scienze naturali: valorizzazione delle esperienze soggettive e la comprensione, cioè dello
stato morboso così come lo vive il paziente.
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La psicopatologia può essere divisa in:
• Descrittiva = consiste nella descrizione precisa e nella categorizzazione di esperienze
abnormi così come sono riferite dal paziente e osservate nel suo comportamento. Esistono 2 parti: l’osservazione diretta del comportamento e la valutazione empatica
dell’esperienza soggettiva del paziente
• Interpretativo = esistono assunti basati su costrutti teorici. Comprendono psicodinamica, cognitivo comportamentale
La differenza può essere vista meglio nella tabella successiva:
I concetti chiave della psicopatologia sono:
• Forma/ contenuto = con forma s’intende la descrizione della struttura di
un’esperienza in termini fenomenologici. Essa dipende dal tipo di malattia mentale di
cui la persona soffre. Il contenuto è ciò che dà colore all’esperienza. Può essere compreso nei termini della situazione di vita del paziente, cultura, appartenenza al gruppo, età, sesso ecc.
• Primario/secondario
o Comprendere (allucinazione visiva ! elaborazione delirante)
" Primario = non ulteriormente riconducibile alla comprensione
" Secondario = ciò che emerge dal primario
o Spiegare (trauma cardiovascolare ! sindrome afasica)
" Primario = causa immediata
autore: Fandelrock
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" Secondario = effetto
La psicopatologia e la psicologia clinica trattano quel ramo della psicologia dedicato allo studio dei disturbi del comportamento. Ma come possiamo distinguere una situazione “normale” da una “patologica”? Per farlo si considerano 5 criteri, posti progressivamente da quello
meno soddisfacente a quello più soddisfacente:
1. Ricerca di aiuto (help seeking) = Secondo questo criterio chi cerca aiuto, ovvero vanno in cerca di servizi per il trattamento della salute mentale, in effetti può avere qualche disturbo mentale. Questo criterio è alquanto impreciso perché la maggior parte
delle persone disturbate non va in cerca di una psicoterapia mentre molti lo fanno per
“normali” condizioni di stress.
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Esperimento di Rosenhan 1973
Ipotizzò che gli psichiatri non fossero in grado di valutare in maniera affidabile se
una persona fosse sana di mente o meno, evidenziando così come l’etichetta malattia mentale fosse ingannevole perché non vi è una chiara definizione. In questo
esperimento 8 persone sane contattarono gli ospedali telefonicamente e furono ricoverati lamentando di sentire voci. Una volta ammessi tali psudo-pazienti smisero di simulare qualsiasi tipo di sintomo. Tuttavia essi non furono mai scoperti come simulatori.
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2. Irrazionalità/pericolosità (irrationality/dangerousness) = Per quanto alcune persone
con disturbi mentali si comportino in modo irrazionale e pericoloso, la maggior parte
di essi non agisce così. Questo criterio presenta diversi limiti; da una parte il comportamento irrazionale e pericoloso può manifestarsi per molte ragioni che non hanno
niente a che fare con la malattia mentale (si consideri il contesto, l’aggressività sul
campo di battaglia è normale), dall’altra fare equivalere l’irrazionalità o la mancanza
di controllo alla malattia mentale potrebbe implicare che i suoi opposti, l’estrema razionalità e il controllo, siano l’essenza della salute mentale.
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[questi due primi criteri possono talvolta essere segnali di patologia, ma sono potenzialmente
ingannevoli come criteri per definirla]
3. La devianza (deviance) = il concetto di devianza si riferisce a comportamento e sentimenti estremi o statisticamente inusuali.Tuttavia la devianza non è necessariamente
un segnale di malattia mentale. Molte persone eccentriche o che hanno comportamenti limite sono emozionalmente sane. Szasz fu il più critico sull’uso del criterio della devianza; per lui il concetto di malattia mentale è un mito usato dalle autorità per
incoraggiare l’adesione alle norme sociali
Abbiamo esplorato quanto sia difficile definire la patologia mentale, proviamo dunque
a definire cosa sia normale. La norma non è concepibile come una categoria unica,
contrapposta alla normalità/patologia, ma ha piuttosto una natura multidimensionale.
Nella statistica la norma è il criterio più semplice e intuitivo. E’ normale quando ciò
che è più frequente nella popolazione, tuttavia necessita di riferirsi a un campione
rappresentativo di una popolazione in cui quella specifica variabile sia stata misurata e
per la quale esistano dati normativi. Questo approccio si è rivelato utile in medicina
perché per il corpo la curva statistica ha una deviazione standard ridotta, che induce
quindi ad indagare le deviazioni più marcate e che si discostano dal range di variazio-
autore: Fandelrock
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ne normale. Tuttavia risulta meno applicabile alla psiche e al suo funzionamento. I
limiti dell’approccio statistico sono:
• Una condizione statisticamente rara può configurarsi come un vantaggio più
che come uno stato patologico
• Difficoltà nella misura di alcune variabili e impossibilità di misurarne altre
• Relatività tra sculturale e storica
• Alcune patologie possono essere talmente frequenti da rappresentare la norma
statistica
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4. Distress emozionale (emoziona distress) = con manifestazioni di distress si intendono
la tristezza o l’ansia ad esempio. L’elemento cruciale della malattia è la sofferenza;
identificazione della malattia con il dolore nelle sue varie forme. Questo criterio è uno
dei più validi che ci permette di comprendere la patologia, tuttavia presenta dei limiti.
Infatti in alcuni disturbi mentali (disturbi di personalità) questo costituisce un fattore di
secondaria importanza. Altro problema, che viene però facilmente preso in considerazione dai clinici, è il fatto che il distress emozionale può essere considerato normale,
ad esempio in seguito ad un lutto.
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5. Danno significativo (significant impairment) = questo criterio ritiene che un danno significativo, che incida sulle funzioni della persona, sia un buon indice di psicopatologia. Tuttavia presenta dei limiti:
• Alcuni danni alle funzioni psicologiche sono talvolta causati da malattie o
eventi traumatici e non da stati psicopatologici
• Esistono disturbi in cui i danni funzionali sono relativamente lievi e certamente non costituiscono i tratti centrali della condizione di disagio
• Il danno alle funzioni è tanto difficile da definire quanto stabilire che cosa
sia la psicopatologia, determinare che cosa costituisca un danno alle normale funzioni dell’individui richiede a sua volta una definizione di normale
funzionamento.
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La rassegna di questi criteri RIDDD dimostra la complessità di definire la psicopatologia. Tale complessità deriva da 2 concetti chiave:
• Relativismo storico e culturale = ciò che è considerato normale differisce ampiamente
nel tempo e tra le culture. Per cui non ci può essere una definizione universale di psicopatologia. Ogni definizione sarà relativa al contesto storico, sociale e culturale in cui
si colloca. Ad esempio l’omosessualità fino al 1973 è inclusa nel manuale diagnostico,
mentre in seguito si è considerato una variante della normale sessualità
• Continuum tra comportamento normale e patologico = patologia e comportamento
normale sono da intendere come un continuum e non risulta individuabile un limite.
Nel tentativo di definire la psicopatologia, gli psicologi cognitivisti hanno sottolineato che le
definizioni di molti concetti comuni di uso quotidiano mancano di precisi limiti e di conseguenza coniarono l’espressione categorie naturali o indistinte. Tali categorie funzionano ragionevolmente bene nell’uso quotidiano malgrado manchino di precisione.
Per cui la psicopatologia è impossibile da definire con precisione. Ma dato che essa di solito
ricade verso la parte estrema del continuum del comportamento, è tuttavia relativamente facile identificarla nella maggior parte dei casi.
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Risulta per cui non necessaria una definizione, ma nel caso risultasse necessaria?
Freud definì la psicopatologia come l’incapacità di amare e lavorare, tuttavia risulta essere
anche se immediata molto generica.
Una condizione è patologica quando comporta una diminuzione della funzionalità in uno o
più ambiti della vita del paziente.
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Una definizione viene data dal manuale psichiatrico ufficiale per la diagnosi dei disturbi mentali, ovvero il “diagnostic and statistical manual of mental disorders”(manuale diagnostico e
statistico dei disturbi mentali) DSM pubblicato dall’American Psychiatric Association. Anche
qui si afferma l’incapacità di dare una definizione specifica, tuttavia ne danno una operativa
(vedi pag. 23 Hansell). Da tale definizione si possono individuare 4 aspetti:
1. Utilizzo di molte espressioni indefinite
2. Si mette a fuoco principalmente i criteri di distress e danno che sono in genere considerati più utili rispetto ai criteri di ricerca di aiuto e irrazionalità/pericolosità e devianza.
3. Questa definizione è vicina a quella di disfunzione dannosa proposta da Wakefield,
che considerava il disturbo mentale come una disfunzione dannosa, cioè un collasso,
con conseguenze dannose, di una funzione mentale a base evoluzionistica, considerando che le disfunzioni sono rappresentate da fallimenti di meccanismi interni finalizzati a realizzare funzioni che risultano dalla selezione naturale. 3 furono le critiche
mosse a Wakefield:
a. Non corrisponde al modo in cui il termine disturbo viene usato in nosologia
psichiatrica
b. Non copre il territorio al quale il termine potrebbe essere ragionevolmente
applicato
c. Non è particolarmente utile per obiettivi di ricerca, clinici o sociali
4. Il disturbo mentale è un concetto ampio che si applica a moltissime persone
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Altra definizione viene data nel manuale “International classification of disease”ICD. In questo manuale si considera il termine “disturbo mentale” come erroneo ma viene usato per significare l’esistenza di un insieme di sintomi o di comportamenti clinicamente riconoscibili
che nella maggioranza dei casi sono associati con distress e interferenza con le funzioni personali. La devianza sociale o conflitti da solo, senza una malfunzione personale, non dovrebbero essere inclusi nei disturbi mentali come qui definiti.
Entrambi i manuali sembrano basarsi principalmente su 2 criteri:
• Alterazione del funzionamento psicosociale
• Sofferenza soggettiva
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