Capitolo 199 Campylobacter Gloria P. Heresi, Shaida

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PARTE XVI
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Malattie infettive
TABELLA 198-2. Compendio dei dati sui vaccini anticolerici approvati a livello internazionale
Vaccino parenterale inattivato con fenolo
DISPONIBILITÀ
ETÀ
Non più raccomandato
6 mesi
Vaccino orale con subunità B ricombinante e Europa
V. cholerae O1 intero ucciso
Vaccino orale con V. cholerae CVD 103 HgR Canada, America Latina,
vivo attenuato
Europa
2 anni
2 anni
SCHEMA DI
SOMMINISTRAZIONE
2 dosi a distanza di 1-4
settimane
2 dosi a distanza di 1-6
settimane
Dose singola
acuta, qualsiasi struttura di sanità pubblica esistente peggiora o
addirittura giunge al collasso. Pertanto, un vaccino sicuro, efficace ed economico potrebbe essere uno strumento potenzialmente
utile per la prevenzione e il controllo del colera.
Al momento, la produzione e la vendita dell’unico vaccino
anticolerico approvato negli Stati Uniti, che era la preparazione
parenterale a base di microrganismi uccisi con fenolo, è stata
interrotta (Tab. 198-2). Poiché il vaccino offriva una protezione
limitata solo per un breve periodo di tempo ed era altamente reattogeno (dolore, eritema, infiltrazione locale, febbre e cefalea),
non è più raccomandato. Non esistono indicazioni sulla vaccinazione anticolerica per entrare o uscire da qualsiasi Paese. I
viaggiatori in aree endemiche per il colera devono assumere adeguate precauzioni riguardo all’acqua e agli alimenti. I visitatori
di Paesi in cui è stato segnalato il colera, che seguono i comuni
itinerari turistici e che fanno uso di sistemazioni standard, hanno
un basso rischio d’infezione.
Notevoli progressi sono stati fatti nell’ultimo decennio nello
sviluppo di vaccini anticolerici orali di ultima generazione. Questi nuovi vaccini permettono una sostanziale protezione contro
il colera O1 senza effetti collaterali. Tuttavia, nessuno di questi
2 vaccini è disponibile negli Stati Uniti. Uno è un vaccino a
base di cellule di V. cholerae O1 intere uccise e di subunità B
ricombinante (rBs-WC); l’altro è un vaccino a base di V. cholerae
CVD 103 HgR vivo attenuato. Sia il vaccino vivo sia quello vivo
attenuato sono autorizzati in alcuni Paesi e attualmente vi è la
previsione di una loro maggiore applicazione in sanità pubblica.
Nel 2002 l’OMS ha cambiato la sua politica e ha raccomandato che l’uso della vaccinazione anticolerica orale sia preso in
considerazione in certe situazioni endemiche ed epidemiche, in
combinazione con altre strategie di controllo.
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VIA DI
SOMMINISTRAZIONE
im
EFFICACIA PROTETTIVA
Orale
85% nei primi 6 mesi, quindi
50% per almeno 3 anni
80% per almeno 6 mesi
Orale
30-50% per 3-6 mesi
PROFILO DEGLI EVENTI
AVVERSI
Elevato
Basso
Basso
Capitolo 199 ■ Campylobacter Gloria P.
Heresi, Shaida Baqar e James R. Murphy
Le infezioni da Campylobacter jejuni e Campylobacter coli sono
zoonosi globali e costituiscono una delle cause più frequenti di
infezione intestinale umana. L’infezione può essere seguita da
malattie immunoreattive severe e forse da disordini immunoproliferativi.
EZIOLOGIA. La famiglia delle Campylobacteriaceae comprende
20 specie. Quelle note o considerate patogene per gli esseri
umani comprendono C. jejuni, C. fetus, C. coli, C. hyointestinalis, C. lari, C. upsaliensis, C. concisus, C. sputorum, C. rectus,
C. mucosalis, C. jejuni subspecies doylei, C. curvus, C. gracilis e
C. cryaerophila. Altre specie di Campylobacter sono state isolate
da campioni clinici, ma il loro ruolo come patogeni non è stato
dimostrato. Il C. jeiuni e il C. coli sono i più importanti patogeni
del genere. Sono stati identificati più di 100 sierotipi di C. jejuni.
I microrganismi del genere Campylobacter sono bacilli sottili e
ricurvi (larghezza 0,2-0,4 m), di solito con estremità rastremate, Gram-negativi; non formano spore. La morfologia è varia e
comprende microrganismi corti a forma di virgola o di S oppure
a forma di “gabbiano”, multispiraliformi e filamentosi. I microrganismi sono di solito mobili, con un flagello a uno o a entrambi
i poli. I microrganismi di Campylobacter formano piccole (0,5-1
mm) colonie lisce e leggermente sollevate in terreni di coltura
solidi. Nelle colture più vecchie possono essere osservate forme
di tipo cocco. Una crescita visibile in emocoltura spesso non è
evidente fino a 5-14 giorni dopo l’inoculo. La maggior parte dei
microrganismi di Campylobacter è microaerofila e non ossida,
né fermenta i carboidrati. I terreni di coltura selettivi sviluppati
per favorire l’isolamento del C. jejuni possono non supportare ed
eventualmente anche inibire la crescita di altre specie di Campylobacter. Il C. jejiuni ha un cromosoma circolare di 1,64 milioni
di coppie di basi (30,6% G + C) da cui ci si attende la codificazione di 1654 proteine e di 54 specie stabili di DNA. Il genoma
appare insolito, in quanto virtualmente sono assenti sequenze
di inserzione o sequenze associate a fagi e vi sono pochissime
sequenze ripetitive.
La presentazione clinica differisce in parte in base alla specie
(Tab. 199-1). La malattia intestinale di solito è associata al C.
jejuni e al C. coli, mentre le infezioni extraintestinali e sistemiche sono più spesso associate al C. fetus. Tuttavia, la setticemia
da C. jejuni è diagnosticata sempre più spesso e può verificarsi
senza segni o sintomi gastrointestinali. Meno frequentemente, si
osserva un’enterite in associazione all’isolamento di C. lari, C.
fetus e di altre specie di Campylobacter.
EPIDEMIOLOGIA. Le campilobatteriosi umane derivano più comunemente dall’ingestione di acqua potabile o alimenti contaminati
come pollame (pollo, tacchino) e latte crudo, o dalla trasmissione
da parte di animali domestici (gatti, cani, criceti) e animali di
fattoria. Le infezioni sono più frequenti nei contesti con risorse
limitate e si verificano prevalentemente tutto l’anno nei Paesi
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Capitolo 199
TABELLA 199-1. Campylobacter spp. associate a malattia umana
SPECIE
C. jejuni
C. coli
C. fetus
C. hyointestinalis
C. lari
C. upsaliensis
C. concisus
C. sputorum
C. rectus
C. mucosalis
C. jejuni subspecies doylei
C. curvus
C. gracilis
C. cryaerophila
PATOLOGIE UMANE
FONTI COMUNI
Gastroenterite, batteriemia, sindrome Pollame, latte crudo, gatti, cani,
di Guillain-Barré
bestiame, suini, scimmie, acqua
Gastroenterite, batteriemia
Pollame, latte crudo, gatti, cani,
bestiame, suini, scimmie,
ostriche, acqua
Batteriemia, meningite, endocardite, Ovini, bestiame, uccelli
aneurisma micotico, diarrea
Diarrea, batteriemia, proctite
Suini, bestiame, cervi, criceti, latte
crudo, ostriche
Diarrea, colite, appendicite,
Gabbiani, acqua, pollame, bestiame,
batteriemia, IVU
cani, gatti, scimmie, ostriche,
mitili
Diarrea, batteriemia, ascessi, enterite, Gatti, altri animali domestici
colite, sindrome uremicoemolitica
Diarrea, gastrite, enterite,
Cavità orale umana
periodontite
Diarrea, piaghe da decubito, ascessi, Cavità orale umana, bestiame, suini
periodontite
Periodontite
Enterite
Suini
Diarrea, colite, appendicite,
Suini
batteriemia, IVU
Gengivite, ascesso alveolare
Pollame, latte crudo, gatti cani,
bestiame, suini, scimmie, acqua,
cavità orale umana
Ascesso della testa e del collo,
ascesso addominale, empiema
Diarrea
Suini
tropicali, mentre possono avere picchi stagionali nelle regioni
temperate (tarda estate e prima parte dell’autunno in gran parte
degli Stati Uniti). Nei Paesi industrializzati, le infezioni da Campylobacter hanno un picco nella prima infanzia e negli adulti da
15 a 44 anni di età. Ogni anno si stima che si verifichino negli
Stati Uniti 2,4 milioni di casi di infezioni da Campylobacter, con
più di 100 decessi.
Anche se i polli sono una classica fonte di Campylobacter,
molte fonti alimentari umane di origine animale, tra cui i frutti
di mare, possono ospitarlo. Inoltre, molti animali domestici o
addomesticati sono portatori di Campylobacter e gli insetti che
si trovano in ambienti contaminati possono acquisire il microrganismo. L’esposizione diretta o indiretta a questa pletora di
fonti ambientali rappresenta l’origine di molte infezioni umane.
Tra i lavoratori agricoli può verificarsi la trasmissione di Campylobacter per via aerea. Vi sono sempre maggiori evidenze che
l’uso di antibiotici nei mangimi animali aumenta la prevalenza
di Campylobacter antibiotico-resistenti isolati in esseri umani.
L’infezione umana può risultare dall’esposizione anche a poche
centinaia di unità formanti colonie. Talvolta, il C. jejuni e il C.
coli possono diffondersi da persona a persona, perinatalmente e
negli asili infantili in cui sono presenti bambini che usano il pannolino. Gli individui con infezione da C. jejuni eliminano di solito
il microrganismo per settimane, ma talvolta possono eliminarlo
anche per alcuni mesi.
PATOGENESI. La maggior parte dei casi di colonizzazione da
C. jejuni non causa sintomi. La frequenza delle colonizzazioni
asintomatiche da altre specie di Campylobacter è meno ben conosciuta. Quando alla colonizzazione fa seguito la malattia, la
patologia in genere riflette la sede di localizzazione del batterio,
sia che si verifichi o meno una setticemia, sia che si presentino
complicanze immunoreattive. I Campylobacter spp. differiscono
per quanto riguarda i siti preferiti di colonizzazione e la tendenza
a causare batteriemia.
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Campylobacter
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Il modello concettuale dell’enterite da C. jejuni comprende la
necessità di meccanismi che permettano l’attraversamento dello
stomaco e l’adesione alle cellule della mucosa intestinale e che inizino l’accumulo di liquidi nel lume intestinale. La maggior parte
dei microrganismi di Campylobacter è acido-sensibile. Si ipotizza
che le condizioni dell’ospite associate a riduzione dell’acidità
gastrica e gli alimenti in grado di proteggere i microrganismi
in transito attraverso lo stomaco rappresentino meccanismi in
grado di permettere al Campylobacter di raggiungere l’intestino.
Le proteine e i glicani batterici di superficie rendono quindi possibile l’aderenza alle cellule della mucosa intestinale. L’accumulo
luminale di liquidi è associato a tossine, tra le quali alcune simili
a quelle coleriche, a citotossine e a un danno diretto alle cellule
mucosali derivante dall’invasione batterica. Il C. jejuni può possedere ulteriori meccanismi che permettono il transito a partire
dalla superficie mucosa. Questi meccanismi sembrano essere presenti in modo differenziato in diversi ceppi di C. jejuni.
In seguito all’analisi del genoma del C. jejuni NCTC 11168,
è stata scoperta un’inaspettata capacità di produrre una varietà
di carboidrati. Molti hanno caratteristiche di superficie che possono, con ulteriori studi, permettere una migliore comprensione
della patogenesi della malattia da Campylobacter e della relativa
immunità.
Il C. fetus possiede una proteina dello strato S a elevato peso
molecolare che fornisce un’elevata resistenza al killing sieromediato e alla fagocitosi ed è quindi ritenuta responsabile della
sua tendenza alla batteriemia. Il C. jejuni e il C. coli sono particolarmente sensibili al killing siero-mediato, ma esistono varianti
con maggiore resistenza. È stato suggerito che queste varianti
resistenti al killing siero-mediato possono essere maggiormente
capaci di disseminazione sistemica.
Esiste una forte associazione tra la sindrome di Guillain-Barré
e un’infezione precedente da alcuni sierotipi di C. jejuni (vedi Capitolo 615). Un’analogia molecolare tra il tessuto nervoso e questi
microrganismi può essere il fattore scatenante della sindrome di
Guillain-Barré associata a Campylobacter e della sindrome di
Miller-Fisher, una variante della sindrome di Guillain-Barré caratterizzata da atassia, areflessia e oftalmoplegia. Possono anche
essere presenti un’artrite reattiva e un eritema nodoso. La maggior parte delle infezioni da Campylobacter non è seguita da complicanze immunoreattive e pertanto indica che sono necessari altri
fattori oltre all’analogia molecolare per queste complicanze.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. Esistono diverse presentazioni cliniche
delle infezioni da Campylobacter che uniscono le specie coinvolte
e i fattori dell’ospite, come età, immunocompetenza e condizioni
sottostanti. La presentazione più comune è l’enterite acuta.
Gastroenterite acuta. La diarrea è di solito causata dal C. jejuni
(90-95%) o dal C. coli e raramente da C. lari, C. hyointestinalis
o C. upsaliensis. Il periodo di incubazione è di 1-7 giorni. I pazienti presentano caratteristicamente feci acquose e non formate
o meno frequentemente feci contenenti muco e sangue che sono
caratteristiche della dissenteria. Il sangue compare nelle feci 2-4
giorni dopo l’esordio dei sintomi. Sono comuni febbre, vomito,
malessere e mialgie. La febbre può essere l’unica manifestazione
iniziale, ma il 60-90% dei bambini più grandi lamenta anche dolore addominale. Il dolore addominale è periombelicale; i crampi
possono precedere altri sintomi o persistere dopo che le feci sono
tornate normali. Il dolore addominale può simulare un’appendicite o un’invaginazione.
L’infezione di grado lieve dura soltanto 1-2 giorni ed è simile
a una gastroenterite virale. La maggior parte dei pazienti guarisce in meno di una settimana, anche se il 20-30% dei pazienti
rimane ammalato per 2 settimane e il 5-10% più a lungo. I decessi sono rari. In soggetti immunocompetenti, pazienti con ipogammaglobulinemia (congenita o acquisita) e pazienti con AIDS
sono state riportate una gastroenterite persistente o ricorrente
da Campylobacter e l’emergenza di resistenza all’eritromicina
nel corso della terapia. L’infezione persistente può simulare una
malattia intestinale infiammatoria cronica. L’eliminazione fecale
del microrganismo in pazienti non trattati di solito dura per 2-3
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PARTE XVI
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Malattie infettive
settimane. Il range può variare da pochi giorni a diversi mesi.
I bambini più piccoli tendono a eliminare i microrganismi per
periodi più lunghi. Nei pazienti che hanno avuto un’appendicectomia nel corso di un’infezione da C. jejuni sono state riportate
appendicite acuta, linfoadenite mesenterica e ileocolite.
Batteriemia. Con l’eccezione delle infezioni da C. fetus, la batteriemia da Campylobacter si verifica più spesso nei bambini
malnutriti, nei pazienti con malattia cronica o deficit immunitario
e nelle età estreme. Il C. fetus provoca batteriemia negli adulti
con o senza infezioni focali identificabili. La maggior parte ha
condizioni sottostanti come neoplasie maligne o diabete mellito.
La batteriemia, quando sintomatica, è associata a febbre, cefalea
e malessere. Una febbre ricorrente o intermittente è associata a
sudorazione notturna, brividi e calo ponderale se la malattia è
prolungata. Possono verificarsi letargia e confusione, ma segni
neurologici focali sono insoliti senza una meningite o una malattia cerebrovascolare. Il dolore addominale è frequente; diarrea,
ittero ed epatomegalia sono meno comuni. Può essere presente
tosse, ma l’interessamento del parenchima polmonare è insolito.
I risultati dell’esame obiettivo sono poco rilevanti, a eccezione
dell’aspetto ammalato del paziente. Può essere osservata una
leucocitosi moderata. Sono state descritte sia una batteriemia
asintomatica transitoria sia una setticemia rapidamente fatale. È
stata descritta una batteriemia prolungata di 8-13 settimane con
recidive e remissioni spontanee, specialmente in ospiti immunocompromessi. Nei pazienti con infezione da HIV, la batteriemia è
più frequente, con aumento di morbilità e mortalità. Segnalazioni
occasionali descrivono una batteriemia da C. upsaliensis. Il tasso di batteriemia da Campylobacter può essere sostanzialmente
sottostimato.
Infezioni extraintestinali focali. Le infezioni focali causate dal C.
jejuni si verificano soprattutto nei neonati e nei pazienti immunocompromessi, causando infezioni che comprendono meningite,
pancreatite, colecistite, infiammazione di ileo e cieco con dolore
del quadrante inferiore destro che simulano appendicite, IVU, artrite, peritonite, miocardite, pericardite ed endocardite. Il C. fetus
mostra una predilezione per l’endotelio vascolare, provocando
endocardite, pericardite, tromboflebite e aneurismi micotici; le
infezioni focali comprendono meningite, artrite settica, osteomielite, IVU, ascessi polmonari e colangite. Il C. hyointestinalis
è stato associato a proctite, il C. upsaliensis ad ascessi mammari
e il C. rectus a periodontite.
Infezioni perinatali. Le infezioni perinatali severe, anche se infrequenti, sono di solito causate dal C. fetus e, raramente, dal C.
jejuni. Le infezioni materne da C. fetus e C. jejuni, che possono
essere asintomatiche, possono risultare in aborto, natimortalità,
parto prematuro o infezione neonatale con sepsi e meningite.
L’infezione neonatale da C. jejuni è associata a diarrea che può
essere ematica; il C. fetus raramente causa diarrea.
DIAGNOSI. La presentazione clinica dell’enterite da Campylobacter è simile a quella dell’enterite causata da altri enteropatogeni
batterici. La diagnosi differenziale comprende Shigella, Salmonella, Escherichia coli invasiva, E. coli O157 : H7, Yersinia enterocolitica, Aeromonas, Vibrio parahaemolyticus e amebiasi. Leucociti
fecali si trovano in almeno il 75% dei casi e sangue nelle feci nel
50% dei casi.
La diagnosi di Campylobacter è di solito confermata dall’identificazione del microrganismo in coltura. Si usano comunemente
terreni selettivi, come i terreni di Skirrow o Butzler, e le condizioni microaerofile (ossigeno al 5-10%). Alcuni ceppi di C. jejuni
crescono meglio a 42 °C. Sono disponibili metodi di filtrazione
che possono arricchire preferenzialmente di Campylobacter il
campione a causa delle minori dimensioni del microrganismo.
Queste metodiche permettono la successiva coltura del campione
arricchito in un terreno senza antibiotici. Ciò migliora il tasso di
isolamento di quei Campylobacter inibiti dagli antibiotici compresi nei terreni selettivi standard.
Per una diagnosi rapida di enterite da Campylobacter, possono essere utilizzati la colorazione diretta con carbofucsina di
uno striscio fecale, i test di immunofluorescenza indiretta, la
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microscopia in campo oscuro o l’agglutinazione su lattice. La
ricerca dell’antigene con test immunoenzimatico ha quasi la stessa
sensibilità e specificità della coltura. È stato descritto l’utilizzo di
sonde DNA specie-specifiche e l’amplificazione di geni specifici
con la reazione a catena polimerasica. Possono essere effettuate
diagnosi sierologiche.
L’infezione extraintestinale causata da Campylobacter richiede
una terapia antibiotica parenterale con un aminoglicoside, imipenem o entrambi. Nei pazienti con batteriemia da C. fetus, è
consigliabile una terapia prolungata. Sono stati riportati isolati
di C. fetus resistenti all’eritromicina.
COMPLICANZE. Un’infezione severa e prolungata da C. jejuni può
verificarsi in pazienti con immunodeficienza, comprese ipogammaglobulinemia e malnutrizione. Nei pazienti con AIDS è stato
riportato un aumento della frequenza e della severità dell’infezione da C. jejuni; la severità è correlata inversamente con la
conta di CD4.
Artrite reattiva. Un’artrite reattiva può accompagnare l’enterite
da Campylobacter negli adolescenti e negli adulti, specialmente
i pazienti positivi per HLA-B27. Essa compare 5-40 giorni dopo
l’esordio della diarrea, comprende soprattutto le grandi articolazioni e si risolve senza sequele. L’artrite è tipicamente migrante e
senza febbre. Il liquido sinoviale è sempre sterile. Meno comuni
sono un’artrite reattiva con congiuntivite, uretrite e rash, come
anche un eritema nodoso. Sono state riportate una nefropatia da
IgA e una glomerulonefrite da immunocomplessi da C. jejuni.
Altre complicanze sono anemia emolitica ed emorragia rettale.
Sindrome di Guillain-Barré. La sindrome di Guillain-Barré è una
malattia acuta demielinizzante del sistema nervoso periferico caratterizzata clinicamente da paralisi flaccida acuta ed è la causa
più comune di paralisi neuromuscolare nel mondo (vedi Capitolo
615). La sindrome di Guillain-Barré ha un tasso di mortalità ~2%
e 20% dei pazienti con sindrome di Guillain-Barré presenta
sequele neurologiche rilevanti. Il C. jejuni è un importante fattore
causale della sindrome di Guillain-Barré, che è stata riportata
1-12 settimane dopo una gastroenterite da C. jejuni accertata con
coltura in uno su 3000 casi di infezione da C. jejuni. Le coprocolture di pazienti con sindrome di Guillain-Barré all’esordio dei
sintomi neurologici hanno portato all’isolamento del C. jejuni in
25% dei casi. Gli studi sierologici suggeriscono che il 20-45%
dei pazienti con sindrome di Guillain-Barré presenta evidenze di
un’infezione recente da C. jejuni. Il trattamento della sindrome di
Guillain-Barré comprende terapia di sostegno, terapia sostitutiva
del plasma e immunoglobuline ev.
TRATTAMENTO. Terapia sostitutiva dei liquidi, correzione degli
squilibri elettrolitici e terapia di sostegno sono la pietra angolare
del trattamento dei bambini con gastroenterite da Campylobacter
(vedi Capitolo 337). I farmaci antimotilità possono causare una
malattia prolungata o fatale e non devono essere utilizzati.
La necessità di una terapia antibiotica nei pazienti con gastroenterite non complicata è controversa. I dati suggeriscono
una minore durata dei sintomi e dell’eliminazione intestinale se
viene iniziata precocemente nel corso della malattia una terapia
con eritromicina etilsuccinato azitromicina nei pazienti con forma dissenterica di enterite da Campylobacter. La maggior parte dei microrganismi di Campylobacter è sensibile a macrolidi,
aminoglicosidi, cloramfenicolo, imipenem e clindamicina e sono
resistenti a cefalosporine, tetracicline, rifampicina, penicilline,
trimetoprim e vancomicina. La resistenza agli antibiotici del C.
jejuni è divenuto un problema rilevante a livello mondiale. Si è
sviluppata una resistenza ai chinolonici ed è correlata all’uso dei
chinolonici in medicina veterinaria. Gli isolati di Campylobacter
resistenti all’eritromicina restano infrequenti e l’eritromicina o
l’azitromicina sono i farmaci di scelta se è necessaria una terapia. Gli antibiotici sono raccomandati nei pazienti con la forma
dissenterica della malattia, febbre elevata o un decorso severo e
nei bambini con immunosoppressione o con malattia sottostante.
La sepsi è trattata con antibiotici per via parenterale come aminoglicosidi, meropenem o imipenem.
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Capitolo 200
PROGNOSI. Anche se la gastroenterite da Campylobacter è di solito autolimitata, i bambini con immunosoppressione, compresi
quelli con AIDS, possono presentare un decorso protratto o severo. La setticemia nei neonati e negli ospiti immunocompromessi
comporta una prognosi sfavorevole, con una mortalità stimata
del 30-40%.
PREVENZIONE. La maggior parte delle campilobatteriosi umane è
sporadica e viene acquisita indirettamente o direttamente da animali infetti o da alimenti contaminati. Gli interventi per minimizzare la trasmissione comprendono la preparazione degli alimenti
in condizioni che garantiscano l’eliminazione di Campylobacter e
che prevengano la ricontaminazione dopo la cottura (evitare l’uso
delle stesse superfici, degli stessi utensili e degli stessi contenitori
sia per gli alimenti cotti sia per quelli crudi), assicurandosi che
le risorse idriche non siano contaminate, che l’acqua sia tenuta
in contenitori puliti e prendendo misure per la prevenzione della
trasmissione diretta dai soggetti infetti o dagli animali domestici
infetti. L’allattamento al seno sembra ridurre la malattia sintomatica da Campylobacter ma non riduce la colonizzazione.
Sono in corso di studio diversi approcci vaccinali, compreso
l’uso di microrganismi vivi attenuati, vaccini in subunità e vaccini
con microrganismi interi uccisi.
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Capitolo 200 ■ Yersinia James R. Murphy
e Gloria P. Heresi
I membri del genere Yersinia della famiglia delle Enterobacteriaceae comprendono più di 10 specie denominate, 3 delle quali
sono state accertate come patogeni umani che provocano malattie
differenti che verranno descritte separatamente. La Yersinia enterocolitica, di gran lunga la più frequente Yersinia causa di malattia
umana, provoca febbre, dolore addominale e diarrea che posso-
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Yersinia
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no simulare un’appendicite. La Yersinia pseudotuberculosis è più
spesso associata a linfoadenite mesenterica. La Yersinia pestis,
l’agente della peste, causa più frequentemente una linfoadenite
febbrile acuta (peste bubbonica) e meno frequentemente si presenta come peste setticemica, polmonare o meningea. La peste non
trattata ha un significativo tasso di mortalità. Altri microrganismi
del genere Yersinia sono cause infrequenti di infezioni degli esseri
umani e la loro identificazione è spesso un indicatore di un deficit
immunitario. Le yersiniosi sono zoonosi, possono colonizzare gli
animali domestici e si osservano nella maggior parte delle aree
del mondo. L’infezione degli esseri umani risulta più spesso dal
contatto con animali infetti o con i loro tessuti, dall’ingestione di
acqua, latte o carne contaminati, o, per la Y. pestis, dal morso di
pulci infette. L’associazione con la malattia umana è meno chiara
per la Y. frederiksenii, la Y. intermedia, la Y. kristensenii (queste
ultime 3 sono state recentemente separate dalla Y. enterocolitica),
la Y. bercovieri, la Y. mollaretii e la Y. rohedi.
200.1 • YERSINIA ENTEROCOLITICA
EZIOLOGIA. La Y. enterocolitica è un coccobacillo Gram-negativo
di grandi dimensioni che presenta una scarsa o assente bipolarità
quando viene colorato con il blu di metilene e la carbolfucsina.
Questi anaerobi facoltativi crescono bene sui comuni terreni di
coltura e sono mobili a 22 °C ma non a 37 °C. La Y. enterocolitica
comprende ceppi patogeni e non patogeni.
EPIDEMIOLOGIA. Questo microrganismo è trasmesso agli esseri
umani attraverso alimenti, acqua, contatti con animali ed emoderivati contaminati. La trasmissione può avvenire da madre a
neonato. La Y. enterocolitica sembra avere una distribuzione globale, ma raramente è causa di diarrea tropicale. Negli Stati Uniti
si verifica circa un’infezione da Y. enterocolitica accertata con
una coltura su 100 000 abitanti/anno, e l’infezione può essere più
frequente in Europa Settentrionale. I casi sono più frequenti nei
mesi più freddi, nei maschi e nei soggetti più giovani. La maggior
parte delle infezioni pediatriche si verifica in bambini 7 anni di
età, soprattutto nei 1 anno di età.
I serbatoi naturali della Y. enterocolitica comprendono roditori, conigli, maiali, pecore, bestiame, cavalli, cani e gatti. Il
contatto con animali selvatici o con animali domestici colonizzati
è una fonte comune di infezioni umane. Le tecniche colturali
e molecolari hanno permesso di ritrovare il microrganismo in
diversi alimenti e nell’acqua. Una fonte di infezioni sporadiche
da Y. enterocolitica è costituita dagli scarti di lavorazione del
maiale (trippa). In uno studio, il 71% degli isolati umani non
era distinguibile dai ceppi isolati dai maiali. La Y. enterocolitica
è una malattia professionale per i macellai. In parte a causa della
sua capacità di moltiplicarsi a temperature di frigorifero, la Y.
enterocolitica viene talvolta trasmessa per iniezione ev di fluidi
contaminati, compresi gli emoderivati.
Le infezioni da Y. enterocolitica sono aumentate, mentre le infezioni da Y. pseudotuberculosis sono diminuite, portando all’ipotesi che il primo microrganismo stia sostituendo il secondo in una
nicchia ecologica. Si ritiene che, in parte, l’allevamento animale
di massa, lo sviluppo di fabbriche di prodotti a base di carne con
conservazione basata sulla catena del freddo e il commercio internazionale di carne e animali siano la causa dell’aumento della
prevalenza della yersiniosi negli esseri umani.
PATOGENESI. Nella maggior parte dei casi, i microrganismi penetrano nell’organismo attraverso il tratto digerente e provocano ulcere mucose nell’ileo. Si verificano lesioni necrotiche delle
placche di Peyer e linfoadenite mesenterica. Se si sviluppa una
setticemia, possono essere osservate lesioni suppurative negli organi infetti. L’infezione può scatenare un’artrite reattiva e un
eritema nodoso.
Adesione, invasione e produzione di tossine sono stati stabiliti
come meccanismi essenziali della patogenesi. Componenti batteriche, alcune associate con l’apparato di secrezione di tipo III
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PARTE XVI
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Malattie infettive
batterico, possono sopprimere attivamente le capacità immunologiche, suggerendo che l’immunosoppressione può contribuire
alla patogenesi. La motilità sembra essere un requisito per la
patogenesi di Y. enterocolitica. I sierogruppi che predominano
nella malattia umana sono 0 : 3, 0 : 8, 0 : 9 e 0 : 5,27. I tratti di
virulenza sono codificati a livello sia cromosomico sia plasmidico.
Gli individui con sovraccarico di ferro come nell’emocromatosi,
nella talassemia e nella malattia a cellule falciformi, sono ad
alto rischio d’infezione, forse perché i ceppi patogeni richiedono
ferro.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. La malattia si presenta più spesso come enterocolite con diarrea, febbre e dolore addominale. L’enterite acuta è più comune nei bambini più piccoli, mentre nei bambini
più grandi e negli adolescenti si può osservare una linfoadenite
mesenterica che può simulare un’appendicite. Le feci possono essere acquose o contenere leucociti e meno frequentemente sangue
e muco franchi. La Y. enterocolitica viene eliminata nelle feci per
1-4 settimane. Si può osservare come i contatti familiari di un
caso possano essere frequentemente colonizzati da Y. enterocolitica in modo asintomatico. La setticemia da Y. enterocolitica è
meno comune e si osserva più spesso in bambini molto piccoli
(3 mesi di età) e in soggetti immunocompromessi. L’infezione
sistemica è associata ad ascessi splenici ed epatici, osteo-mielite,
meningite, endocardite e aneurismi micotici. Faringite essudativa,
polmonite, empiema, ascessi polmonari e sindrome da distress
respiratorio acuto sono di osservazione infrequente. L’infezione
da Y. enterocolitica in soggetti immunocompromessi può presentarsi con aspetti fisici e TC suggestivi di cancro del colon con
metastasi epatiche.
Le complicanze reattive comprendono eritema nodoso, poliartrite, artrite e la sindrome uveite-rash. Queste possono essere più
frequenti in popolazioni selezionate (europei settentrionali), in
associazione con HLA-B27, e sono più frequenti nelle femmine.
DIAGNOSI. La coltura di Y. enterocolitica è la principale metodica
diagnostica. Il microrganismo è facilmente coltivabile da siti normalmente sterili, ma richiede procedure speciali per l’isolamento
dalle feci dove altri batteri possono impedire la proliferazione
della Y. enterocolitica. L’arricchimento a freddo in cui il campione
viene mantenuto in soluzione fisiologica tamponata può risultare nella crescita preferenziale di Yersinia, ma questa procedura
richiede settimane. Molti laboratori non eseguono di routine le
procedure necessarie per isolare la Y. enterocolitica e occorre
richiedere specificamente colture espressamente rivolte alla ricerca di questo microrganismo. Un’anamnesi di contatto con fonti
ambientali di Yersinia e il riscontro di leucociti fecali sono utili
indicatori della necessità di una coltura per la Y. enterocolitica.
L’isolamento colturale di una yersinia dalle feci deve essere seguito da esami che confermino che l’isolato è un patogeno.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE. La presentazione clinica è simile ad
altre cause batteriche di enterocolite. La diagnosi differenziale più
comune è tra Shigella, Salmonella, Campylobacter, Clostridium
difficile, Escherichia coli enteroinvasiva e la malattia intestinale
infiammatoria (vedi Capitoli 333 e 337).
TRATTAMENTO. L’enterocolite che si verifica in un individuo immunocompetente è una malattia autolimitata e non è stato stabilito alcun beneficio dalla terapia antibiotica. Occorre trattare
i pazienti con infezione sistemica e i bambini molto piccoli in
cui è comune una setticemia. Molti microrganismi di Yersinia
sono suscettibili a trimetoprim-sulfametoxazolo (TMP-SMZ),
aminoglicosidi, cefalosporine di 3a generazione e chinolonici. Il
TMP-SMZ è il trattamento empirico raccomandato nei bambini,
in quanto la maggior parte dei ceppi è sensibili e ben tollerata.
Nelle infezioni severe come in una batteriemia, le cefalosporine di 3a generazione con o senza aminoglicosidi sono efficaci.
La Y. enterocolitica produce lattamasi a e b, responsabili della
resistenza a penicilline e cefalosporine. I pazienti che assumono
deferoxamina devono interrompere la terapia ferro-chelante nel
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corso del trattamento per la Y. enterocolitica, specialmente se
hanno un’infezione gastrointestinale con complicanze o un’infezione extraintestinale.
COMPLICANZE. In associazione con l’infezione da Y. enterocolitica sono state riportate artrite reattiva, eritema nodoso, eritema
multiforme, anemia emolitica, trombocitopenia e disseminazione
batterica sistemica. La setticemia è più frequente nei bambini più
piccoli e l’artrite reattiva in quelli più grandi. L’artrite sembra
mediata da immunocomplessi e nelle articolazioni interessate non
sono presenti batteri vivi.
PREVENZIONE. La prevenzione verte sulla riduzione dei contatti
con le fonti ambientali di Yersinia. L’interruzione o la sterilizzazione della catena che si estende dai serbatoi animali agli esseri
umani ha il maggiore potenziale per quanto riguarda la riduzione
delle infezioni e le tecniche utilizzate devono essere adattate ai
serbatoi presenti in ciascuna area. Non esiste un vaccino.
200.2 • YERSINIA PSEUDOTUBERCULOSIS
La Y. pseudotuberculosis è così denominata in quanto causa
nelle cavie lesioni similtubercolari. Il microrganismo ha una distribuzione mondiale e la malattia da Y. pseudotuberculosis è
meno frequente della malattia da Y. enterocolitica. La forma più
comune della malattia è una linfoadenite mesenterica che produce
una sindrome simile all’appendicite. La Y. pseudotuberculosis
è associata a una malattia simile alla sindrome di Kawasaki
nell’8% circa dei casi (vedi Capitolo 165).
EZIOLOGIA. La Y. pseudotuberculosis condivide molte caratteristiche morfologiche e colturali con la Y. enterocolitica e si differenzia
biochimicamente da quest’ultima in base all’attività dell’ornitinadecarbossilasi, alla fermentazione di saccarosio, sorbitolo, cellobioso, e ad altri test, anche se si verifica una certa sovrapposizione
tra le specie. Possono essere utilizzati anche antisieri contro gli
antigeni somatici O e la sensibilità ai fagi di Yersinia per differenziare le 2 specie. Sono state descritte sequenze DNA specifiche per
sottospecie che permettono la differenziazione con sonde e primer
specifici di Y. pestis, Y. pseudotuberculosis e Y. enterocolitica. La
Y. pseudotuberculosis è più strettamente correlata alla Y. pestis
rispetto alla Y. enterocolitica.
EPIDEMIOLOGIA. La Y. pseudotuberculosis è un microrganismo
zoonosico i cui serbatoi sono costituiti da roditori selvatici, lepri,
cervi, animali di fattoria, diversi uccelli e animali domestici, tra
cui gatti e canarini. La trasmissione agli esseri umani avviene attraverso il consumo di animali contaminati, contatto con questi o
contatto con una fonte ambientale, spesso acqua, contaminata da
animali. Le infezioni sono più comunemente riportate in Europa,
nei maschi e in inverno. Recentemente sono state pubblicate le
evidenze dirette della trasmissione di Y. pseudotuberculosis attraverso il consumo di lattuga. La batteriemia da Y. pseudotuberculosis è un problema che si osserva sempre più frequentemente
nei pazienti con infezione da HIV.
PATOGENESI. Segni caratteristici dell’infezione sono le ulcere mucose di ileo e colon e una linfoadenite mesenterica. Granulomi
epitelioidi necrotizzanti possono essere osservati nei linfonodi mesenterici, ma l’appendice è frequentemente normale da un punto
di vista macroscopico e microscopico. I linfonodi mesenterici sono
spesso l’unica fonte per l’isolamento dei microrganismi. Gli antigeni della Y. pseudotuberculosis si legano direttamente alle molecole
HLA di classe II e possono funzionare da superantigeni, il che può
spiegare la malattia clinica simile alla sindrome di Kawasaki.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. Una pseudoappendicite con dolore
addominale, dolore del quadrante inferiore destro, febbre e leucocitosi è la presentazione clinica più comune. Enterocolite e
diffusione extraintestinale non sono frequenti. Si osservano spes-
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Capitolo 200
so sovraccarico di ferro, diabete mellito ed epatopatia cronica
in associazione con un’infezione extraintestinale da Y. pseudotuberculosis. Può verificarsi interessamento renale con nefrite
tubulointerstiziale, azotemia, piuria e glicosuria.
DIAGNOSI. I linfonodi mesenterici interessati rimossi al momento
dell’appendicectomia possono permettere l’isolamento colturale
del microrganismo. L’ecografia di bambini con febbre non spiegata e dolore addominale può rivelare un quadro caratteristico
di ingrossamento dei linfonodi mesenterici, ispessimento dell’ileo
terminale e nessuna immagine dell’appendice. La Y. pseudotuberculosis è raramente isolata nelle feci.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE. Devono essere prese in considerazione un’appendicite (più frequentemente), una malattia intestinale
infiammatoria e altre infezioni intra-addominali. Sindrome di
Kawasaki, malattia stafilococcica o streptococcica, leptospirosi,
sindrome di Stevens-Johnson e malattie vascolari del collagene,
compresa l’artrite reumatoide giovanile a esordio acuto, possono
simulare la sindrome con febbre prolungata e rash.
TRATTAMENTO. La linfoadenite mesenterica non complicata da
Y. pseudotuberculosis è una malattia autolimitata e la terapia
antibiotica non è necessaria. Una batteriemia confermata dalla
coltura deve essere trattata con un aminoglicoside, ampicillina,
cloramfenicolo o una cefalosporina di 3a generazione.
COMPLICANZE. Può verificarsi una malattia con presentazione
simile alla malattia di Kawasaki. Vi può essere febbre della durata
di 1-2 giorni, lingua a fragola, eritema faringeo, un rash scarlattiniforme, fessurazione, arrossamento ed edema delle labbra,
congiuntivite, piuria sterile, desquamazione periungueale e trombocitosi. Sono stati descritti aneurismi coronarici. All’infezione
possono fare seguito eritema nodoso e artrite reattiva.
PREVENZIONE. L’evitamento dell’esposizione ad animali potenzialmente infetti e pratiche adeguate di manipolazione degli alimenti
possono prevenire l’infezione. La natura sporadica della malattia
rende difficoltosa l’applicazione di misure mirate di prevenzione.
200.3 • PESTE (YERSINIA PESTIS)
EZIOLOGIA. La Y. pestis è un coccobacillo Gram-negativo, non
mobile e che non forma spore. Il batterio ha diversi fattori cromosomici e associati a plasmidi che sono essenziali per la sua
virulenza e per la sua sopravvivenza nei mammiferi e nelle pulci.
Esso condivide la colorazione bipolare con la Y. pseudotuberculosis. La Y. pestis può essere differenziata dalla Y. pseudotuberculosis mediante reazioni biochimiche, la sierologia, la sensibilità
fagica e le tecniche molecolari. Il genoma della Y. pestis è stato
pubblicato. Si tratta di un potenziale agente di bioterrorismo
(vedi Capitolo 711).
EPIDEMIOLOGIA. La peste è endemica in almeno 24 Paesi e ogni
anno ne vengono riportati almeno 3000 casi. Negli Stati Uniti, la
peste è più comune a ovest di una linea che va dal Texas orientale
al Montana orientale. La peste è rara negli Stati Uniti (0-40 casi
riportati per anno) e l’80% dei casi si verifica in New Mexico,
Arizona e Colorado. La trasmissione agli esseri umani avviene più
comunemente da fonti animali selvatiche, anche se molti casi di
peste da inalazione recentemente riportati ai Centers for Disease
Control and Prevention (CDC) erano associati all’esposizione a
gatti domestici randagi. La forma epidemica della malattia uccise
circa ¼ della popolazione europea nel Medioevo nel corso di
una di diverse epidemie o pandemie. L’epidemiologia della peste
epidemica comprende l’estensione dell’infezione dai serbatoi zoonosici ai ratti urbani, Rattus rattus e Rattus norvegicus, e dalle
pulci dei ratti urbani all’uomo. Non si osservano più epidemie.
Si ipotizza che la pressione selettiva esercitata dalle pandemie
del Medioevo in Europa abbia reso più frequente nella popola-
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Yersinia
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zione una mutazione con delezione del gene che codifica CCR5
(CCR5-delta32). L’aumento della frequenza di tale mutazione
nelle popolazioni europee presenta un vantaggio collaterale in
quanto fa sì che il 10% dei soggetti di discendenza europea sia
resistente a HIV-1.
La modalità più comune di trasmissione della Y. pestis agli
esseri umani è attraverso il morso di pulci infette. Si ritiene che
storicamente la maggior parte delle infezioni umane sia derivata
dal morso di pulci che avevano acquisito l’infezione da ratti
urbani infetti. Meno frequentemente, l’infezione è causata dal
contatto con fluidi o tessuti corporei infetti o dall’inalazione di
goccioline infettive. La peste silvana può esistere come infezione
zoonosica stabile oppure come malattia epizootica con elevata
mortalità dell’ospite. Possono essere infetti scoiattoli di terra,
scoiattoli delle rocce, cani della prateria, ratti, topi, linci, gatti,
conigli e chipmunk. La trasmissione tra gli animali avviene di
solito in seguito al morso di pulci o per l’ingestione di tessuti
contaminati. La Xenopsylla cheopis è la pulce più comunemente
associata alla trasmissione agli esseri umani, ma è stato dimostrato che 30 specie di pulci sono vettori competenti, e la Pulex
irritans, la pulce umana, può trasmettere la peste e può essere
stata un vettore importante in qualche epidemia storica. Maschi
e femmine sono affetti dalla peste allo stesso modo e la trasmissione è più comune nelle regioni e nelle stagioni fredde, forse a
causa delle differenze di temperature nelle infezioni da Y. pestis
nelle pulci portatrici.
L’assenza di diversità dei nucleotidi nel genoma della Y. pestis
conferma l’opinione che essa sia emersa in tempi relativamente recenti nella storia evolutiva dal patogeno gastrointestinale
strettamente correlato Y. pseudotuberculosis, probabilmente dal
sierotipo 0 : 1b.
PATOGENESI. Nella forma più comune di peste, le pulci infette
rigurgitano i microrganismi nella cute del paziente nel corso del
pasto. I batteri passano nei linfonodi regionali, dove la Y. pestis
si moltiplica, risultando nella peste bubbonica. In assenza della
rapida istituzione di una terapia specifica, può verificarsi una
batteriemia, con la formazione di lesioni purulente, necrotiche ed
emorragiche in molti organi. Per una virulenza piena sono necessari sia geni cromosomici sia geni plasmidici. La peste polmonare
si verifica quando viene inalato materiale infetto. Il microrganismo è altamente trasmissibile dai pazienti con peste polmonare
e dai gatti domestici con infezione polmonare. Tale elevata trasmissibilità e la morbilità e la mortalità elevate sono alla base del
tentativo di usare la Y. pestis come arma biologica.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. L’infezione da Y. pestis può presentarsi sotto forma di diverse sindromi cliniche oppure può essere
subclinica. Le 3 principali presentazioni cliniche della peste sono
la peste bubbonica, setticemica e polmonare. La peste bubbonica
è la forma più frequente e comprende l’80-90% dei casi negli
Stati Uniti. Dopo 2-8 giorni dal morso di una pulce, linfonodi
delle dimensioni di 1-10 cm, o bubboni, che sono caratteristici per la dolorabilità, si trasformano in linfonodi drenanti
localizzati a livello della regione inguinale (più comunemente),
ascellare o cervicale, a seconda del sito di inoculazione. Sono
comuni febbre, brividi, perdita di forza, prostrazione, cefalea
e lo sviluppo di setticemia. La cute può evidenziare morsi di
insetto o lesioni da trattamento. Possono svilupparsi porpora e
gangrena delle estremità in seguito a coagulazione intravascolare
disseminata. Queste lesioni possono essere all’origine del nome
“morte nera”. La peste non trattata ha una mortalità 50%
degli individui sintomatici. La morte si può verificare 2-4 giorni
dopo l’esordio dei sintomi.
Occasionalmente, la Y. pestis può causare un’infezione sistemica a indurre i sintomi sistemici osservati con la peste bubbonica
senza causare un bubbone (peste setticemica primitiva). A causa
del ritardo diagnostico legato all’assenza del bubbone, la peste
setticemica comporta un tasso di mortalità più elevato rispetto
alla peste bubbonica. In alcune regioni, la peste setticemica senza
bubbone può comprendere ¼ dei casi.
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PARTE XVI
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Malattie infettive
La peste polmonare è la forma della malattia meno comune,
ma anche la più pericolosa e fatale. La peste polmonare può
derivare da disseminazione ematogena o raramente, come peste
polmonare primitiva, in seguito all’inalazione del microrganismo
da un essere umano o un animale con polmonite pestosa o potenzialmente da un attacco biologico. I segni di peste polmonare
comprendono una polmonite severa con febbre elevata, dispnea
ed emottisi.
Possono verificarsi meningite, tonsillite o gastroenterite pestose. La meningite tende a essere una complicanza tardiva in seguito
a un trattamento inadeguato. Tonsillite e gastroenterite possono
verificarsi con o senza un’evidente formazione del bubbone o
linfoadenopatia.
DIAGNOSI. Nei pazienti con febbre e anamnesi di esposizione a
piccoli animali in aree endemiche occorre sospettare la peste.
Pertanto, si sospetta la peste bubbonica in un paziente con un
linfonodo dolente e ingrandito, febbre e prostrazione, che è stato esposto a pulci o roditori negli Stati Uniti Occidentali. Una
recente esperienza di campeggio o la presenza di morsi di pulce
aumentano l’indice di sospetto.
La Y. pestis è rapidamente trasmessa agli esseri umani nel
corso di certe manipolazioni di laboratorio di routine. Pertanto, è imperativo notificare con chiarezza a un laboratorio se
viene inviato un campione sospetto di contenere la Y. pestis.
La diagnosi di laboratorio si basa sulla coltura batteriologica o
sulla visualizzazione diretta con colorazione di Gram, Giemsa o
Wayson di aspirati linfonodali, sangue, espettorato o essudati.
La Y. pestis cresce lentamente in condizioni colturali di routine e
cresce meglio a temperature diverse da quelle usate per le colture
di routine in molti laboratori clinici. I sospetti isolati di Y. pestis
devono essere inviati a un laboratorio di riferimento per la conferma. Sono necessarie speciali precauzioni di contenimento per
la spedizione. I casi di peste devono essere riportati immediatamente ai dipartimenti sanitari locali e statali e ai CDC.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE. La colorazione di Gram della Y. pestis
può essere confusa con l’Enterobacter agglomerans. Forme lievi
e subacute di peste bubbonica possono essere confuse con altri
disordini che provocano linfoadenite e linfoadenopatia localizzata. La peste setticemica può essere indistinguibile da altre forme
di sepsi batterica fulminante come la tularemia e la malattia da
graffio di gatto. Le manifestazioni polmonari della peste sono
simili a quelle di antrace, febbre Q e tularemia, tutti microrganismi con un potenziale di guerra batteriologica/bioterrorismo.
Pertanto, la presentazione di un caso sospetto e specialmente
qualsiasi gruppo di casi richiedono la segnalazione immediata.
Altre informazioni su questo aspetto della peste e sulle relative
procedure possono essere trovate sul sito www.bt.cdc.gov.
TRATTAMENTO. I pazienti con sospetta peste bubbonica devono
essere messi in isolamento fino a 2 giorni dopo l’inizio del trattamento antibiotico per prevenire la potenziale diffusione della
malattia se il paziente sviluppa una polmonite. Il trattamento
di scelta per la peste bubbonica è consistito storicamente nella
streptomicina (30 mg/kg/die, dose massima 2 g/die, suddivisi
ogni 12 ore im per 10 giorni). Tuttavia, la streptomicina im è
inappropriata per la setticemia, in quanto l’assorbimento può
essere irregolare se la perfusione è scarsa. La scarsa penetrazione a livello del sistema nervoso centrale della streptomicina
la rende un farmaco inappropriato per la meningite. Inoltre, la
streptomicina può non essere ampiamente e facilmente disponibile. Setticemia e meningite vengono di solito trattate con altri
aminoglicosidi, doxiciclina o cloramfenicolo. Negli Stati Uniti,
la gentamicina (bambini, 7,5 mg/kg im o ev suddivisi in 3 dosi
giornaliere; adulti, 5 mg/kg im o ev 1 volta al giorno). I trattamenti alternativi comprendono doxiciclina (45 kg, 4,4 mg/kg/
die ogni 12 ore ev, dose massima 200 mg/die; 45 kg, 100 mg
ogni 12 ore ev o 200 mg ev 1 volta al giorno), ciprofloxacina (30
mg/kg/die suddivisi ogni 12 ore, dose massima 400 mg ogni 12
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ore ev) e cloramfenicolo (100 mg/kg/die suddivisi ogni 6 ore ev).
La gentamicina è preferibile nelle donne gravide. La resistenza
verso questi agenti e le recidive sono rare. La Y. pestis è sensibile
ai fluorochinolonici in vitro, che sono efficaci nel trattamento
della peste sperimentale negli animali. La Y. pestis è sensibile
alla penicillina in vitro, ma questo antibiotico non è efficace nel
trattamento della malattia umana. Una malattia di grado lieve
può essere trattata con cloramfenicolo o tetraciclina nei bambini
9 anni di età. Si nota un miglioramento clinico entro 48 ore
dall’inizio del trattamento.
La profilassi postesposizione deve essere effettuata nei contatti
stretti dei pazienti con peste polmonare. La profilassi antibiotica
è raccomandata entro 7 giorni dall’esposizione per i soggetti con
contatto stretto e diretto con un paziente con peste polmonare
o per quelli esposti a un aerosol accidentale o terroristico. Gli
schemi terapeutici raccomandati comprendono un ciclo di 7
giorni di tetraciclina, doxiciclina o TMP-SMZ. I contatti di
casi con peste bubbonica non complicata non richiedono la
profilassi. La Y. pestis è un potenziale agente di bioterrorismo
che può richiedere la profilassi contro le perdite di massa (vedi
Capitolo 711).
PREVENZIONE. L’evitamento dell’esposizione ad animali e pulci
infetti è il metodo migliore per la prevenzione dell’infezione. Negli Stati Uniti, occorre una particolare attenzione negli ambienti
abitati da roditori serbatoio di Y. pestis e dai loro ectoparassiti.
I pazienti con peste devono essere isolati in caso di sintomi
polmonari e i materiali infetti devono essere maneggiati con
estrema attenzione. È disponibile un vaccino per gli individui
ad alto rischio.
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Capitolo 201 ■ Aeromonas e Plesiomonas
Norma Pérez, Gloria P. Heresi e James R.
Murphy
I microrganismi Aeromonas e Plesiomonas causano enterite e
meno frequentemente infezioni cutanee e dei tessuti molli e setticemia. Questi microrganismi sono comuni nelle acque dolci e
salmastre e in piante e animali a contatto con l’acqua.
201.1 • AEROMONAS
EZIOLOGIA. I microrganismi di Aeromonas sono membri della
famiglia delle Aeromonadaceae e in precedenza erano classificati nella famiglia delle Vibrionaceae. Sono bacilli Gram-negativi
ossidasi-positivi e anaerobi facoltativi che fermentano il glucosio.
L’ibridazione del DNA riconosce 15 genospecie, di cui 7 sono
note come patogeni umani. Le specie più spesso associate a infezione umana sono l’A. hydrophila, l’A. veronii biotipo sobria e
l’A. caviae. L’Aeromonas infetta molti animali a sangue freddo e
a sangue caldo. I ceppi di Aeromonas si suddividono in 2 gruppi
maggiori: microrganismi psicrofili che infettano gli animali a
sangue freddo e microrganismi mesofili mobili che infettano esseri
umani e altri animali a sangue caldo.
EPIDEMIOLOGIA. I microrganismi di Aeromonas sono ubiquitari e
si trovano in diversi ambienti acquatici d’acqua dolce e salmastra,
compresi fiumi e torrenti, pozzi e acque fognarie. Essi vengono
isolati più spesso da fonti acquatiche nel corso dei mesi caldi.
La prevalenza d’infezione umana può o meno essere stagionale,
evidentemente a seconda delle condizioni locali. Alcune specie
possono resistere alla clorazione dell’acqua. I microrganismi di
Aeromonas sono stati isolati da carne, latte, frutti di mare, alghe
e vegetali consumati dagli esseri umani. La maggior parte delle
infezioni umane è associata all’esposizione ad acque contaminate.
Negli esseri umani si verifica una colonizzazione asintomatica da
Aeromonas ed è più comune negli abitanti delle regioni tropicali.
Si stima che negli Stati Uniti l’Aeromonas causi più del 13% dei
casi di gastroenterite riportati e fino al 18% dei casi di diarrea
del viaggiatore. Le infezioni da Aeromonas contratte nei siti di
disastri naturali e che si manifestano a distanza nei luoghi di
raccolta delle persone evacuate sono un fenomeno di recente
riconoscimento. Dalle zecche è stata isolata l’A. hydrophila. Con
la salassoterapia medica con sanguisughe deve essere effettuata la
profilassi contro l’A. hydrophila.
PATOGENESI. I dati clinici ed epidemiologici dimostrano che molti microrganismi di Aeromonas sono patogeni enterici. Tuttavia,
volontari adulti che avevano assunto 104-1010 unità formanti
colonie di Aeromonas non hanno sviluppato diarrea o hanno
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Aeromonas e Plesiomonas
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sviluppato una colonizzazione. L’Aeromonas possiede diversi
fattori potenziali di virulenza, comprese le emolisine - e -,
le fimbrie di adesione e altre proteine di adesione, enterotossina, citotossina, aerolisina, proteasi, chitinosi e un sistema di
secrezione di tipo III. L’-emolisina si è dimostrata citotossica
per diverse linee cellulari. L’enterotossina causa l’accumulo di
liquido nelle anse ileali di coniglio, aumenta la concentrazione intracellulare di adenosina monofosfato ciclico nell’epitelio
intestinale di coniglio e cross-reagisce immunologicamente con
la tossina colerica. L’A. sobria è l’isolato clinico maggiormente enterotossico. Un’attività citotossica con effetti citopatici e
intracellulari si osserva nell’89% degli isolati di Aeromonas.
Gli effetti citopatici comprendono arrotondamento delle cellule
ospiti, condensazione nucleare, perdita di adesione e morte cellulare. Gli effetti intracellulari sono costituiti da vacuolazione
citoplasmatica con perdita della definizione nucleare seguita da
distruzione cellulare. L’aerolisina è un’enterotossina citotossica
con attività enterotossica, citotossica ed emolitica. Si trova nel
15% degli isolati ed è descritta come un fattore di virulenza
estremamente potente associato alla malattia intestinale mediata
da Aeromonas. La proteasi può avere un ruolo nelle manifestazioni extraintestinali delle infezioni da Aeromonas. Pochi ceppi
producono tossina Shiga.
Il siero umano in genere promuove la fagocitosi e il killing
intracellulare di Aeromonas. L’assenza di questa attività del siero
è stata associata a una prognosi sfavorevole.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. La colonizzazione da Aeromonas
può essere asintomatica oppure essere causa di malattia, comprese enterite, infezione invasiva focale e setticemia. Individui
evidentemente normali da un punto di vista immunologico possono presentarsi con ciascuna manifestazione, ma la malattia
invasiva è più comune nei soggetti immunocompromessi. Negli
esseri umani, l’infezione da Aeromonas è associata a 3 sindromi
distinte: enterite, infezioni della cute e dei tessuti molli e setticemia.
Enterite. La più comune manifestazione clinica dell’infezione
da Aeromonas è l’enterite, che si verifica primariamente nei bambini 3 anni di età. L’Aeromonas è la 3a o 4a causa più comune
di diarrea batterica dell’infanzia ed è stata isolata nel 2-10% dei
pazienti con diarrea e nell’1-5% dei soggetti di controllo asintomatici. La malattia diarroica è spesso acquosa e autolimitata,
anche se è stata descritta una sindrome simil-dissenterica con
sangue e muco nelle feci. Nei bambini sono comuni febbre, dolore addominale e vomito. L’enterite causata da A. hydrophila e A.
sobria tende a essere acuta e autolimitata, mentre 1/3 dei pazienti
con enterite da A. caviae ha una diarrea cronica o intermittente
che può durare 4-6 settimane. L’A. sobria e l’A. caviae sono più
frequentemente associate a diarrea del viaggiatore. Le complicanze dell’enterite da Aeromonas comprendono invaginazione,
deficit di accrescimento staturo-ponderale, sindrome uremicoemolitica, batteriemia ed ernia intestinale con strangolamento.
L’infezione da A. caviae può simulare una malattia intestinale
infiammatoria.
Infezioni della cute e dei tessuti molli. L’A. hydrophila è la specie
predominante associata a infezioni di cute e tessuti molli, con
picco d’incidenza nei mesi estivi. Le infezioni di cute e tessuti
molli sono la 2a più comune presentazione di Aeromonas. I
fattori predisponenti comprendono i traumi locali e l’esposizione ad acqua dolce contaminata. Sono state riportate infezioni
dei tessuti molli da Aeromonas causate da morso di alligatori,
traumi sportivi, morso di zecche e salassoterapia medica con
sanguisughe. Lo spettro delle infezioni di cute e tessuti molli è
ampio e vario, da un nodulo cutaneo localizzato a fascite necrotizzante, mionecrosi e gangrena gassosa potenzialmente fatali. La
cellulite da Aeromonas non è distinguibile da quella causata da
altri patogeni batterici che provocano cellulite, ma deve essere
sospettata nelle ferite successivamente a contatto con una fonte
acquatica, soprattutto in estate.
Setticemia. La setticemia da Aeromonas, la 3a più frequente
presentazione dell’infezione, è associata a un elevato tasso di
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PARTE XVI
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Malattie infettive
mortalità del 27-73%. La setticemia da Aeromonas si verifica di
solito in pazienti con condizioni sottostanti come una malattia
epatobiliare o una neoplasia maligna, ma può verificarsi anche
in soggetti evidentemente immunocompetenti. L’Aeromonas può
essere l’unico microrganismo isolato oppure può fare parte di
una sindrome batteriemica polimicrobica. La setticemia da A.
hydrophila tende a verificarsi in pazienti con malattia sottostante
meno severa. L’A. caviae tende a essere associata a setticemia
polimicrobica ed è isolata più spesso nei pazienti con malattie
sottostanti. Una batteriemia da A. sobria ha causato la produzione di gas intravascolare disseminato e il successivo decesso acuto
in una ragazza adolescente precedentemente in buona salute.
Altre infezioni. L’Aeromonas è una rara causa di gastroenterite
necrotizzante, endocardite, meningite, osteomielite, artrite piogena, endoftalmite, infezioni dell’orecchio, IVU, peritonite, miosite, cellulite, fascite necrotizzante, colecistite, ascesso polmonare,
ascesso epatico, embolia settica e polmonite. L’Aeromonas è stata
associata a polmonite da aspirazione dopo quasi-annegamento.
DIAGNOSI. La diagnosi viene posta mediante isolamento colturale
di Aeromonas. Il microrganismo cresce facilmente nei terreni
standard quando il materiale da esaminare è normalmente sterile.
Tuttavia, l’isolamento del microrganismo in campioni contenenti
numerosi batteri è più difficile, presumibilmente perché i batteri
competitori crescono più di Aeromonas. L’uso di terreni selettivi
come agar-sangue supplementato con ampicillina o come agar
di MacConkey contenente Tween 80 e ampicillina facilita l’isolamento. La maggior parte (∼90%) dei ceppi produce -emolisi
in agar-sangue. I ceppi fermentanti il lattosio possono essere trascurati nei campioni di feci se il laboratorio clinico non esegue di
routine test all’ossidasi sui batteri fermentanti il lattosio isolati in
terreno di MacConkey o non fa uso di routine di terreni selettivi
per l’isolamento di Aeromonas. Continuano a essere scoperti
fattori di virulenza e geni delle tossine, che costituiscono una
sfida all’identificazione e alla classificazione delle specie dell’Aeromonas. Per l’identificazione dei geni vengono utilizzati criteri
biochimici come anche diversi test molecolari tra cui ibridazione
del DNA, reazione a catena della polimerasi (PCR), PCR con
DNA polimorfo amplificato in modo randomizzato (RAPD) e
analisi del polimorfismo della lunghezza dei frammenti di restrizione. Non esiste un consenso rispetto alla migliore metodica di
identificazione.
TRATTAMENTO. L’enterite da Aeromonas è di solito autolimitata e
può non essere indicata la terapia antibiotica. Dati di studi clinici
non controllati suggeriscono che la terapia antibiotica abbrevia
la durata della malattia. È ragionevole considerare la terapia
antibiotica nei pazienti con diarrea protratta, malattia simil-dissenterica o condizioni sottostanti come una malattia epatobiliare
o uno stato di compromissione immunitaria. Esiste una resistenza uniforme dell’Aeromonas all’ampicillina. La setticemia deve
essere trattata con un aminoglicoside o con una cefalosporina
di 3a generazione. Altre opzioni comprendono aztreonam, imipenem, cloramfenicolo, trimetoprim-sulfametoxazolo (TMP-SMZ)
e chinolonici. Molte specie hanno sviluppato una multiresistenza,
specialmente ai chinolonici.
PREVENZIONE. La riduzione del contatto con acque ambientali
dolci e salmastre contaminate e anche con gli alimenti contaminati, specialmente per le persone con immunocompromissione,
dovrebbe ridurre il rischio di infezioni da Aeromonas. In vitro,
Aeromonas esprime proteine LamBlike che permettono ai batteri
di aderire alla superficie delle cellule ospiti. Queste proteine sono
potenziali antigeni target per lo sviluppo di vaccini.
201.2 • PLESIOMONAS SHIGELLOIDES
EZIOLOGIA. La Plesiomonas shigelloides è l’unica specie del genere, che comprende almeno 107 sierotipi. La P. shigelloides è
un bacillo Gram-negativo anaerobio facoltativo e che non forma
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spore, ossidasi- e catalasi-positivo, mobile, con 2-5 flagelli polari.
La P. shigelloides è associata con enterite acuta e molto raramente
con infezioni extraintestinali. Il genere è stato inserito tradizionalmente all’interno della famiglia delle Vibrionaceae e considerato
strettamente correlato al Vibrio cholerae e all’Aeromonas. Tuttavia, sia le analisi genetiche che il profilo antigenico indicano una
relazione più stretta con la famiglia delle Enterobacteriaceae, e
la P. shigelloides è stata recentemente riclassificata dalle Vibrionaceae alle Enteroacteriaceae.
EPIDEMIOLOGIA. La P. shigelloides è ubiquitaria nelle acque
dolci e storicamente è stata ritrovata più spesso nelle acque
calde e tropicali, anche se vi sono sempre più segnalazioni
di isolamenti in regioni fredde. La P. shigelloides colonizza
numerosi animali a sangue freddo e caldo e può causare malattia nei gatti. Si ritiene che l’infezione degli esseri umani sia
il risultato del consumo di acqua o alimenti contaminati e
forse del contatto con animali colonizzati. Il ruolo svolto dagli
animali colonizzati nell’ecologia dell’infezione umana è poco
conosciuto. La colonizzazione asintomatica da P. shigelloides
è comune in alcune regioni tropicali e subtropicali e più rara
nei climi più freddi. La maggior parte dei pazienti ha viaggiato
all’estero o riferisce un’esposizione ad acqua o alimenti potenzialmente contaminati. Negli umani la malattia clinica inizia da
24 ore a circa 4 giorni dopo il contatto con il microrganismo.
L’esposizione alla P. shigelloides sierotipo 17 può immunizzare
le popolazioni nei confronti della Shigella sonnei, in quanto
questi microrganismi condividono lo stesso lipopolisaccaride
della parete cellulare.
PATOGENESI. Le evidenze epidemiologiche indicano che la P. shigelloides è un enteropatogeno. Tuttavia, la capacità diarrogena
della P. shigelloides non è stata confermata dall’ingestione del
microrganismo da parte di volontari. Il meccanismo dell’enterite
non è noto, ma sembra che la specie possa causare sia una malattia secretiva sia una malattia invasiva. La maggior parte dei ceppi
di P. shigelloides secerne una -emolisina ritenuta il principale
fattore di virulenza associato all’infezione intestinale. I dati in
vitro evidenziano come gli isolati di P. shigelloides interagiscano con cellule di origine enterica, le cellule Caco-2. Il tipo di
internalizzazione batterica differisce, suggerendo diversi fenotipi
patogeni, il che potrebbe spiegare il diverso spettro clinico.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. Nelle popolazioni pediatriche, l’enterite da Plesiomonas è di solito secretiva (fino all’84% dei
casi) ma occasionalmente può essere dissenterica (∼16%), con
sangue e muco. La frequenza della diarrea secretiva rispetto a
quella dissenterica tende a raggrupparsi in base alle segnalazioni
delle epidemie, suggerendo che il tipo di presentazione si associa
alle popolazioni umane o alle popolazioni batteriche. I sintomi
comprendono diarrea (100%), febbre (50%), cefalea, crampi
addominali (più frequenti con l’aumentare dell’età), nausea, vomito (∼70%) e artralgie transitorie. La diarrea è frequentemente
lieve e acquosa, senza una disidratazione significativa. Con le
feci possono essere eliminati sangue, muco o entrambi, mentre possono essere visualizzati leucociti nelle preparazioni fecali
soggette a colorazione. La malattia di solito si risolve in circa 2
settimane, ma le segnalazioni descrivono una diarrea di durata
4 settimane (fino al 13% in una casistica).
Le infezioni extraintestinali sono rare e di solito si verificano
nei pazienti con condizioni sottostanti, come immunodeficienze,
neoplasie maligne, malattia a cellule falciformi e cirrosi, oppure
in quelli con altri fattori di rischio identificabili (dialisi peritoneale, esposizione ad ambienti contaminati). Raramente, è stata
documentata una batteriemia associata all’enterite in bambini altrimenti normali. La malattia extraintestinale comprende
setticemia, meningite, osteomielite, artrite settica, artrite reattiva, cellulite, endoftalmite, colecistite, pseudoappendicite, colite
pseudomembranosa, proctite, orchiepididimite e piosalpinge.
Una sepsi neonatale a esordio precoce con meningite è rara ma
comprende la maggior parte dei casi riportati di meningite da
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Capitolo 202
P. shigelloides; il tasso di mortalità è molto elevato (80%). La
setticemia ha un elevato tasso di mortalità negli adulti.
DIAGNOSI. Un’anamnesi di viaggi all’estero, ingestione di frutti di
mare crudi, o di esposizione ad acque contaminate o a un animale
con diarrea suggerisce una possibile infezione da P. shigelloides. Sono tipiche infezioni miste con Salmonella, Aeromonas e rotavirus,
specialmente nei pazienti pediatrici. La coltura e l’isolamento del
microrganismo dalle feci o da liquidi corporei sterili sono essenziali
per la diagnosi. La P. shigelloides cresce bene nei tradizionali terreni enterici, anche se possono essere necessarie tecniche selettive
per isolare il microrganismo da colture miste e per differenziare la
P. shigelloides da Shigella spp. La P. shigelloides può non essere
riconosciuta dai laboratori clinici che non eseguono di routine un
test all’ossidasi. È in corso di sviluppo una metodica molecolare a
scopi diagnostici, ma non è ancora utilizzata di routine.
TRATTAMENTO. L’enterite da P. shigelloides è di solito autolimitata. Nei casi associati a disidratazione i pazienti rispondono favorevolmente alla soluzione reidratante orale. La terapia antibiotica
è riservata ai pazienti con diarrea ematica prolungata. I dati di
studi clinici non controllati suggeriscono che la terapia antibiotica riduce la durata dei sintomi. La maggior parte dei ceppi di
P. shigelloides sono sensibili a TMP-SMZ, cefalosporine, carbapenemici e chinolonici, che negli Stati Uniti non sono approvati
per l’uso nei pazienti 18 anni di età. La P. shigelloides è comunemente resistente a penicilline ad ampio spettro, streptomicina
e azitromicina. Recentemente è stata riscontrata una resistenza in
alcuni ceppi a TMP-SMZ, chinolonici e tetracicline.
Gli antibiotici sono essenziali per la terapia della malattia
gastrointestinale. È ragionevole una terapia empirica con una
cefalosporina di 3a generazione, in quanto la maggior parte degli
isolati è sensibile in vitro. La terapia definitiva deve essere guidata
dalla sensibilità del singolo isolato.
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Pseudomonas, Burkholderia e Stenotrophomonas
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1243
Capitolo 202 ■ Pseudomonas,
Burkholderia e Stenotrophomonas
Robert S. Baltimore
La Pseudomonas e la Burkholderia sono diffuse in tutto l’ambito
naturale e sono abbondantemente presenti nel suolo, nelle acque
e sulle piante. La maggior parte delle infezioni umane dovute a
queste specie è opportunistica e si verifica in neonati di basso peso
alla nascita e in lattanti e bambini con ridotte difese dell’ospite,
come quelli con ferite traumatiche, fibrosi cistica, neoplasie maligne, ustioni estese, malnutrizione (specialmente nelle popolazioni
povere) e deficit immunitari primitivi, come anche nei pazienti in
terapia immunosoppressiva. La Pseudomonas aeruginosa è una
causa importante di infezioni nosocomiali, comprese le infezioni
postchirurgiche.
Molte specie in precedenza considerate comprese nel genere
Pseudomonas sono state riclassificate sulla base dell’omologia
dell’RNA ribosomiale. Specie precedentemente classificate come
P. cepacia, P. mallei e P. pseudomallei sono ora Burkholderia
cepacia, B. mallei e B. pseudomallei. La P. maltophilia è ora
Stenotrophomonas maltophilia.
Solo poche delle molte specie identificate di Pseudomonas e
Burkholderia sono patogene per gli esseri umani; di queste la P.
aeruginosa è di gran lunga la più comune. Altre specie occasionalmente riconosciute come patogeni umani comprendono B.
cepacia, S. maltophilia, P. fluorescens, B. putrefaciens, B. pseudomallei e B. mallei.
202.1 • PSEUDOMONAS AERUGINOSA
EZIOLOGIA. La P. aeruginosa è un bacillo Gram-negativo, strettamente aerobio. Può moltiplicarsi in un’ampia varietà di ambienti
che contengono minime quantità di composti organici, in quanto
può utilizzare qualsiasi fonte di carbonio. I ceppi provenienti da
campioni clinici possono produrre -emolisi in agar-sangue; molti producono pigmenti tra i quali piocianina, pioverdina e altri
che si diffondono nel terreno di coltura intorno alle colonie, colorandolo. I ceppi di Pseudomonas possono essere differenziati a
scopi epidemiologici in base alla tipizzazione sierologica, fagica e
della piocina e mediante l’analisi dei polimorfismi della lunghezza
dei frammenti di restrizione del genoma utilizzando l’elettroforesi
su gel in campo pulsato.
EPIDEMIOLOGIA. Il tasso di batteriemia da P. aeruginosa nei bambini è 3,8/1000 pazienti con più di 10 anni con un tasso di
mortalità del 20%; i tassi variano in base alla prevalenza delle
malattie sottostanti. La P. aeruginosa e altri microrganismi di
questo gruppo penetrano facilmente nell’ambiente ospedaliero su
abiti, cute e scarpe dei pazienti o del personale ospedaliero, nel
tratto gastrointestinale dei pazienti o con piante o verdure introdotte in ospedale. Può far seguito la colonizzazione di qualsiasi
sostanza umida o liquida; una crescita dei microrganismi può
essere osservata in qualsiasi serbatoio idrico, compresa l’acqua
distillata, e nelle cucine e lavanderie dell’ospedale, in alcune soluzioni antisettiche e nelle attrezzature utilizzate per la terapia
respiratoria. La colonizzazione di cute, faringe, feci e mucosa nasale dei pazienti è bassa al momento del ricovero in ospedale ma
aumenta fino al 50-70% in caso di ospedalizzazione prolungata
e con l’uso di antibiotici ad ampio spettro, chemioterapia, ventilazione meccanica e cateteri urinari. La flora microbica intestinale
dei pazienti può essere alterata dall’uso di antibiotici ad ampio
spettro, che riducono la resistenza alla colonizzazione e permettono alla P. aeruginosa presente nell’ambiente di colonizzare il
tratto gastrointestinale. Le alterazioni della mucosa intestinale
associate a farmaci, specialmente a quelli citotossici, e l’enterite
nosocomiale possono fornire una via attraverso la quale la P.
aeruginosa si diffonde ai linfatici o nel circolo.
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PARTE XVI
■
Malattie infettive
ANATOMIA PATOLOGICA. Le manifestazioni patologiche delle infezioni da Pseudomonas dipendono dalla sede e dal tipo di infezione. A causa della sua produzione di tossine e di fattori invasivi,
si può spesso osservare l’invasione da parte del microrganismo
dei vasi sanguigni con conseguente necrosi vascolare. In alcune
infezioni si verifica una diffusione lungo i tessuti con necrosi e
formazione di microascessi. Nei pazienti con fibrosi cistica sono
state riportate una forma focale di bronchite/bronchiolite focale
e una forma diffusa che hanno portato allo sviluppo di una
bronchiolite obliterante.
TABELLA 202-1. Infezioni da Pseudomonas aeruginosa
PATOGENESI. La P. aeruginosa è un classico patogeno opportunista. È raramente patogeno nei soggetti che non hanno un fattore
di rischio predisponente. La necessità di ossigeno per la crescita
può spiegarne l’assenza di invasività dopo aver colonizzato o
anche infettato la cute. L’invasività della P. aeruginosa è mediata
da diversi fattori di virulenza. Essa produce un’endotossina che
è coinvolta nell’invasività nell’infezione acuta e che induce una
risposta infiammatoria. Essa produce anche numerose esotossine,
tra cui l’esotossina A, che provoca una necrosi locale e facilita
l’invasione batterica sistemica, e l’esoenzima S, che agisce sia
come adesina sia come tossina cellulare e che inoltre sembra
ridurre le difese dell’ospite. Pertanto, la Pseudomonas causa la
malattia in 3 stadi. La colonizzazione e l’adesione batteriche
sono facilitate da pili o fimbrie e dall’adesione opportunistica
all’epitelio danneggiato da una pregressa lesione o da una pregressa infezione. Un mucopolisaccaride può inibire la fagocitosi,
mentre proteine extracellulari, proteasi, elastasi e la citossina
(nota in precedenza come leucocidina) digeriscono le membrane
cellulari, e gli anticorpi producono una permeabilità vascolare
capillare e inibiscono la funzione leucocitaria. La disseminazione
e l’invasione del circolo fanno seguito all’estensione del danno
tissutale locale e sono facilitate dalle proprietà antifagocitarie
dell’endotossina, dell’esopolisaccaride mucoide e dalla scissione a
opera della proteasi delle immunoglobuline G. L’esopolisaccaride
mucoide avvolge il microrganismo e può rivestire le colonie di un
biofilm che protegge i bacilli dalle difese dell’ospite, come anticorpi e complemento, nonché dagli antibiotici. L’ospite risponde
all’infezione producendo antibiotici contro l’esotossina (esotossina A) e l’endotossina della Pseudomonas. La compromissione
delle difese dell’ospite a causa del trauma, della neutropenia,
della mucosite, dell’immunosoppressione o dell’alterazione del
trasporto mucociliare spiega il ruolo predominante del microrganismo nel produrre infezioni opportunistiche.
Sistema nervoso centrale
MANIFESTAZIONI CLINICHE. La maggior parte dei pattern clinici
(Tab. 202-1) è correlata a infezioni opportunistiche (vedi Capitolo 177) o è associata a shunt e cateteri a permanenza (vedi
Capitolo 178). La P. aeruginosa può essere introdotta in una
ferita minore di una persona sana come microrganismo invasore
secondario; possono farne seguito cellulite e un ascesso localizzato con essudazione di pus verdastro o bluastro. La caratteristica
lesione cutanea di Pseudomonas, l’ecthyma gangrenosum, causata da inoculazione diretta o da diffusione secondaria a setticemia,
inizia sotto forma di macule rosee e progredisce fino a formare
noduli emorragici e infine ulcere con centro ecchimotico e gangrenoso con formazione di un’escara, circondata da un’areola
rosso intenso.
Epidemie di dermatite e IVU causate da P. aeruginosa sono
state riportate in individui sani dopo l’uso di piscine pubbliche,
piscine gonfiabili, idromassaggi o bagni caldi (hot tub) di proprietà familiare. Le lesioni cutanee della follicolina si sviluppano da
diverse ore a 2 giorni dopo il contatto con queste fonti idriche. Le
lesioni cutanee possono essere eritematose, maculose, papulose
o pustolose. La malattia può variare da poche lesioni sparse a
un interessamento diffuso del tronco. In alcuni bambini possono
essere associati alle lesioni cutanee malessere, febbre, vomito,
faringodinia, congiuntivite, rinite e tumefazione mammaria.
Microrganismi del genere Pseudomonas diversi dalla P. aeruginosa raramente causano malattia nei bambini sani, ma sono
stati riportati polmoniti e ascessi da B. cepacia, otite media da
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INFEZIONE
Endocardite
Polmonite
Otite esterna
Otite esterna maligna
Mastoidite cronica
Cheratite
Endoftalmite
Osteomielite/artrite settica
Infezione delle vie urinarie
Infezione del tratto intestinale
Ecthyma gangrenosum
Infezioni cutanee primitive
e secondarie
COMUNI CARATTERISTICHE CLINICHE
Malattia della valvola tricuspide nativa con abuso di droghe
endovenose
Compromissione dei meccanismi di difesa dell’ospite locali
(polmone) o sistemici.
La patogenesi può essere nosocomiale (respiratoria), batteriemica
(neoplasia maligna) o dovuta a una clearance mucociliare
anormale (fibrosi cistica). La fibrosi cistica è associata a
Pseudomonas aeruginosa mucoide che produce slime capsulare.
Meningite, ascesso cerebrale; diffusione contigua (mastoidite, tragitti
fistolosi a livello del derma, sinusite); batteriemia o inoculazione
diretta (trauma, chirurgia).
Orecchio del nuotatore; climi caldo-umidi; contaminazione di piscine.
Lesione necrotizzante distruttiva, febbrile e tossica, torpida e invasiva,
in lattanti, pazienti neutropenici immunosoppressi o in pazienti
diabetici; associata a paralisi del 7° nervo cranico e mastoidite.
Drenaggio, edema ed eritema auricolare; perforazione della
membrana del timpano.
Ulcera corneale; cheratite da lente a contatto.
Trauma penetrante, chirurgia, ulcera corneale penetrante;
progressione fulminante.
Ferite penetranti del piede e osteocondrite; abuso di droghe
endovenose; articolazioni fibrocartilaginee, sterno, vertebre,
pelvi; osteomielite da frattura aperta; torpida; pielonefrite e
osteomielite vertebrale.
Iatrogena, nosocomiale; IVU ricorrenti in bambini, pazienti
con strumentazione e pazienti con ostruzione o calcoli.
Immunocompromissione, neutropenia, tiflite, ascesso rettale,
ulcerazione, raramente diarrea; peritonite nella dialisi peritoneale.
Disseminazione metastatica; emorragia, necrosi, eritema, escara,
lesioni discrete con invasione batterica dei vasi sanguigni; anche
noduli sottocutanei, cellulite, pustole, ascessi profondi.
Infezione locale; ustioni, trauma, ulcere da decubito, infezioni
dell’alluce, unghia verde (paronichia); dermatite da
idromassaggio; follicolite diffusa e pruriginosa, lesioni
eritematose, vescicolopustolose o maculopapulose.
P. putrefaciens o P. stutzeri, ascessi da P. fluorescens e cellulite,
setticemia e osteomielite da S. maltophilia. Setticemia ed endocardite da S. maltophilia sono state associate anche all’uso di droghe
per via endovenosa.
Infezione di ustioni e ferite. La superficie di ustioni o ferite è
frequentemente popolata dalla Pseudomonas e da altri microrganismi Gram-negativi; questa iniziale colonizzazione da parte
di un basso numero di microrganismi aderenti è un prerequisito
necessario per la malattia invasiva. La colonizzazione da parte di
P. aeruginosa della sede di un’ustione può evolvere in una sepsi
dell’ustione, che presenta un elevato tasso di mortalità quando la densità dei microrganismi raggiunge una concentrazione
critica. La somministrazione di antibiotici può ridurre la flora
microbiologica sensibile, permettendo la proliferazione di ceppi
relativamente resistenti di Pseudomonas. La moltiplicazione dei
microrganismi nei tessuti devitalizzati o associata all’uso prolungato di cateteri urinari o intravenosi aumenta il rischio di
setticemia da P. aeruginosa, un problema maggiore nei pazienti
ustionati (vedi Capitolo 74).
Fibrosi cistica. La P. aeruginosa è comune nei bambini con
fibrosi cistica, con una prevalenza che aumenta con l’aumentare
dell’età e della severità della pneumopatia (vedi Capitolo 400).
L’infezione iniziale può essere causata da ceppi non mucoidi, ma
dopo un periodo di tempo variabile predominano i ceppi mucoidi
di P. aeruginosa, che si incontrano raramente in altre condizioni.
L’infezione inizia insidiosamente o anche asintomaticamente e
la progressione ha una rapidità molto variabile. Nei bambini
con fibrosi cistica, gli anticorpi non eradicano il microrganismo
e gli antibiotici sono solo parzialmente efficaci; pertanto, dopo
che l’infezione si è cronicizzata non può essere eradicata completamente. Cicli ripetuti di antibiotici selezionano ceppi di P.
aeruginosa altamente antibiotico-resistenti.
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Capitolo 202
Soggetti immunocompetenti. I bambini con leucemia o altre neoplasie maligne debilitanti, in particolare quelli sottoposti a terapia
immunosoppressiva e neutropenici, sono estremamente sensibili
alla setticemia da invasione del circolo da parte della Pseudomonas dal quale il paziente è già colonizzato, di solito a livello del
tratto respiratorio o gastrointestinale. I segni di sepsi sono spesso
accompagnati da una vasculite generalizzata e si possono osservare lesioni necrotico-emorragiche in tutti gli organi, compresa la
cute, dove hanno l’aspetto di noduli o aree ecchimotiche di colore
violaceo che divengono gangrenose (ecthyma gangrenosum). Si
può verificare una cellulite perirettale emorragica o gangrenosa o
anche ascessi, associati con ileo e grave ipotensione.
Polmonite nosocomiale. Anche se non è una causa frequente di
polmonite acquisita in comunità nel bambino, la P. aeruginosa
è una causa di crescente importanza di polmonite acquisita in
comunità negli adulti e di polmonite nosocomiale, specialmente
di polmonite associata a ventilatore, in pazienti di tutte le età.
La contaminazione di ventilatori, tubi, sondini e umidificatori da
parte della P. aeruginosa è nota storicamente, ma attualmente è
infrequente grazie alla disinfezione appropriata e alla sostituzione
regolare delle attrezzature. Tuttavia, la colonizzazione delle vie
respiratorie superiori e del tratto gastrointestinale può essere
seguita dall’aspirazione di secrezioni contaminate da P. aeruginosa, con una polmonite severa. Sembra che l’uso pregresso
di antibiotici ad ampio spettro sia un fattore di rischio per la
colonizzazione da ceppi antibiotico-resistenti di P. aeruginosa.
Una delle situazioni più difficili è la diagnosi differenziale tra colonizzazione e polmonite nei pazienti incubati. Spesso questa situazione può essere risolta utilizzando tecniche colturali invasive
come la broncoscopia con spazzolamento bronchiale o lavaggio
broncoalveolare quantitativo.
Lattanti. La P. aeruginosa è una causa occasionale di batteriemia nosocomiale nei neonati e comprende il 2-5% dei risultati
colturali positivi nelle unità intensive neonatali. Una frequente
infezione focale che precede la batteriemia è la congiuntivite. I
lattanti più grandi possono occasionalmente presentarsi con una
sepsi acquisita in comunità da P. aeruginosa, ma questa è infrequente. Nelle poche segnalazioni di questo tipo di sepsi, le condizioni precedenti comprendevano lesioni cutanee simil-ecthyma,
neutropenia transitoria associata a virus e un prolungato contatto
con acqua da bagno contaminata o un bagno caldo in vasca.
■
Pseudomonas, Burkholderia e Stenotrophomonas
■
1245
pia comprendono ceftazidima, cefepima, ticarcillina-clavulanato
e piperacillina-tazobactam. La gentamicina o un altro aminoglicoside può essere utilizzato concomitantemente per un effetto
sinergico. La ceftazidima si è dimostrata estremamente efficace
nei pazienti con fibrosi cistica (150-250 mg/kg/die suddivisi ogni
6-8 ore ev). Anche azlocillina, mezlocillina o piperacillina-tazobactam (300-450 mg/kg/die suddivisi ogni 6-8 ore ev) si sono
dimostrate efficaci come terapia per i ceppi sensibili di P. aeruginosa se associati a un aminoglicoside. Altri antibiotici efficaci
comprendono imipenem-cilastatina, meropenem e aztreonam. La
ciprofloxacina è efficace ma non è approvata negli Stati Uniti per
i soggetti 18 anni di età a eccezione del trattamento delle IVU
o quando non sono disponibili altri agenti a cui il microrganismo
sia sensibile. È importante basare un trattamento continuativo
sui risultati dell’antibiogramma in quanto la resistenza della P.
aeruginosa a 1 o più antibiotici è in aumento.
La P. aeruginosa presenta una resistenza intrinseca e acquisita
agli antibiotici. Può sviluppare diverse modalità di resistenza attraverso mutazioni genetiche e lo sviluppo di nuovi enzimi e altre
proprietà, eludendo in tal modo l’attività di diversi antibiotici.
Le unità intensive di tutti gli Stati Uniti hanno documentato un
tasso crescente di resistenza della P. aeruginosa a tutte le principali classi di antibiotici.
Può verificarsi una meningite da un focolaio contiguo, come un
focolaio secondario quando è presente batteriemia, o dopo procedure invasive. La meningite da Pseudomonas è trattata preferibilmente con ceftazidima in associazione con un aminoglicoside
come la gentamicina, entrambi per via ev. Quando la terapia ev
non è efficace, può essere necessario un trattamento intraventricolare o intratecale con gentamicina, ma non è raccomandato
per l’uso di routine.
TERAPIA DI SUPPORTO. Le infezioni da Pseudomonas variano in
severità da superficiali a severe presentazioni settiche. Nelle infezioni severe sono spesso presenti un interessamento multisistemico e una risposta infiammatoria sistemica. La terapia di supporto
è simile alla sepsi severa causata da altri bacilli Gram-negativi
e richiede il supporto della pressione arteriosa, ossigenazione e
un’appropriata terapia con fluidi.
DIAGNOSI. L’infezione da P. aeruginosa è raramente distintiva da
un punto di vista clinico. La diagnosi dipende dall’isolamento del
microrganismo da sangue, liquido cerebrospinale, urina o agoaspirato polmonare, oppure da materiale purulento ottenuto per
aspirazione di ascessi sottocutanei o aree di cellulite. Un’eccezione
è rappresentata dall’ecthyma gangrenosum, caratteristico dell’infezione cutanea da P. aeruginosa. Lesioni cutanee simili possono
raramente far seguito a una setticemia da Aeromonas hydrophila,
altri bacilli Gram-negativi e Aspergillus. Quando la P. aeruginosa
viene isolata da siti non sterili come cute, mucose, urine (emesse)
e vie respiratorie superiori, sono utili le colture quantitative per
distinguere la colonizzazione dall’infezione invasiva. In generale,
100 000 unità formanti colonie/mL di fluido o grammo di tessuto rappresentano un’evidenza che indica un’infezione invasiva.
PROGNOSI. La prognosi dipende soprattutto dalla natura dei fattori sottostanti che predispongono il paziente all’infezione da
Pseudomonas. Nei pazienti severamente immunocompromessi,
la prognosi per i pazienti con sepsi da P. aeruginosa è infausta, a
meno che non sia possibile intervenire su fattori di suscettibilità
come la neutropenia o l’ipogammaglobulinemia. Anche la resistenza del microrganismo agli antibiotici di prima scelta riduce
le probabilità di sopravvivenza. L’esito può essere migliorato con
una terapia antibiotica combinata ed è migliore quando sono
presenti una porta d’entrata a livello delle vie urinarie, l’assenza
o una risoluzione della neutropenia e il drenaggio di infezioni
localizzate. La Pseudomonas può essere isolata nei polmoni della
maggior parte dei bambini deceduti per fibrosi cistica e può essere responsabile del lento deterioramento di questi pazienti. nei
bambini che sopravvivono a una meningite da Pseudomonas la
prognosi per uno sviluppo normale è infausta.
TRATTAMENTO. Le infezioni sistemiche da Pseudomonas devono
essere trattate immediatamente con un antibiotico a cui il microrganismo è suscettibile in vitro. La risposta al trattamento può
essere limitata e può essere necessario un trattamento prolungato
per le infezioni sistemiche in ospiti immunocompromessi.
La setticemia e altre infezioni aggressive devono essere trattate
con 1 o 2 agenti battericidi. Mentre il numero di agenti necessario
è controverso, poche evidenze dimostrano che più di un agente è
necessario per gli individui con immunità normale o per il trattamento delle IVU, ma la terapia duplice è spesso utilizzata per un
effetto sinergico nei pazienti immunocompromessi o quando la
sensibilità del microrganismo è dubbia. È controverso anche che
l’uso di 2 agenti ritardi lo sviluppo di resistenza, con evidenze sia
a favore sia contro. Gli antibiotici appropriati per una monotera-
PREVENZIONE. La prevenzione delle infezioni da P. aeruginosa
non è un problema per gli individui sani fuori da un ospedale,
ma dipende dalla limitazione della contaminazione degli ambienti
sanitari e dalla prevenzione della trasmissione ai pazienti. Sono
necessari efficaci programmi di controllo delle infezioni ospedaliere per identificare ed eradicare le fonti del microrganismo il più
rapidamente possibile. La Pseudomonas può crescere nell’acqua
distillata, in alcuni disinfettanti, nelle soluzioni per alimentazione
parenterale e nei farmaci. Nei reparti di neonatologia, l’infezione
può essere trasmessa ai lattanti dalle mani del personale, dalle
superfici dei lavandini, dai cateteri e dalle soluzioni utilizzate per
detergere i cateteri da aspirazione.
Un’accurata attenzione al lavaggio delle mani, particolarmente
con una soluzione contenente iodio o con soluzioni a base di
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PARTE XVI
■
Malattie infettive
alcol, prima e dopo il contatto con i neonati, può prevenire o
impedire la malattia epidemica. Una meticolosa attenzione, la
sterilità delle procedure nell’aspirazione con i tubi endotracheali,
nell’inserimento e nella gestione dei cateteri a permanenza, nella
preparazione delle soluzioni endovenose e specialmente di quelle
per la nutrizione parenterale totale, e una regolare sostituzione
dei tubi per la somministrazione ev, riducono grandemente il
rischio di contaminazione estrinseca da parte di Pseudomonas e
altri microrganismi Gram-negativi.
La prevenzione della dermatite follicolare causata dalla contaminazione da Pseudomonas di idromassaggi o bagni caldi in
vasca è possibile mantenendo l’acqua a un pH di 7,2-7,8 e una
concentrazione di cloro libero di 70,5 mg/L.
Le infezioni nei pazienti ustionati possono essere ridotte mediante l’isolamento protettivo, lo sbrigliamento dei tessuti devitalizzati e l’applicazione topica di una crema alla sulfadiazina o
al mafenide acetato al 10%. Può essere utilizzata la somministrazione di immunoglobuline ev. Sono in corso di studio approcci
preventivi basati sullo sviluppo di un vaccino anti-Pseudomonas
e sullo sviluppo di globuline iperimmuni. Attualmente nessun
vaccino è stato approvato.
L’infezione da Pseudomonas delle fistole dermiche comunicanti
con lo spazio cerebrospinale può essere prevenuta con la diagnosi
precoce e con un intervento correttivo delle lesioni ostruttive.
202.2 • BURKHOLDERIA
BURKHOLDERIA CEPACIA. La B. cepacia è un bacillo filamentoso
Gram-negativo. È ubiquitario nell’ambiente, ma può essere difficile da isolare da campioni respiratori in laboratorio, in quanto
richiede un terreno di base selettivo arricchito per fermentazione
e ossidazione supplementato con polimixina B-bacitracina-agar
lattosio (OFPBL) e almeno 3 giorni di incubazione.
La B. cepacia è un classico opportunista che raramente infetta i tessuti normali ma che può essere un patogeno per gli
individui con un danno pre-esistente dell’epitelio respiratorio,
specialmente i soggetti con fibrosi cistica. La resistenza a molti
antibiotici sembra essere un fattore della sua emergenza come
patogeno nosocomiale. Nelle unità di cura intensiva, esso può
colonizzare i tubi utilizzati per ventilare i pazienti con insufficienza respiratoria. In alcuni casi, ciò può portare a polmonite
invasiva e a shock settico. Anche se è diffuso in tutto l’ambiente,
la diffusione interumana nei pazienti con fibrosi cistica si verifica
sia direttamente, per inalazione di aerosol, sia indirettamente
da superfici o strumenti contaminati. In certe cliniche, reparti o
luoghi di riunione, ciò ha portato al raggruppamento dei pazienti
con fibrosi cistica sulla base della colonizzazione da B. cepacia.
Le infezioni da B. cepacia nei soggetti con fibrosi cistica in molti
pazienti possono rappresentare soltanto una colonizzazione, ma
in molti altri sono associate a una sindrome respiratoria acuta
con febbre, leucocitosi e insufficienza respiratoria progressiva,
come anche a deterioramento polmonare progressivo, a un più
rapido declino della funzionalità polmonare e a un minore tasso
di sopravvivenza. Queste caratteristiche sono diverse rispetto alle
infezioni da P. aeruginosa nei pazienti con fibrosi cistica che sono
insidiose e meno trasmissibili.
Il trattamento in ospedale dovrebbe comprendere precauzioni
standard nonché la separazione dei pazienti colonizzati da quelli
non colonizzati. I soggetti con fibrosi cistica in visita o che assistono e che non sono colonizzati da B. cepacia possono scegliere
di indossare una maschera quando si trovano a una distanza di
un metro da un paziente colonizzato. L’uso di antibiotici deve
essere guidato dall’antibiogramma eseguito con gli isolati del paziente, in quanto il pattern di sensibilità di questi pazienti è molto
variabile e non sono rari ceppi multiresistenti. Ureidopenicilline
(mezlocillina, piperacillina), aminoglicosidi, ceftazidima, ciprofloxacina e trimetoprim-sulfametoxazolo hanno frequentemente
una buona attività. La resistenza agli aminoglicosidi è la regola
e la presenza di -lattamasi inducibili in molti ceppi è probabilmente la causa dei fallimenti terapeutici riportati con le ureidopenicilline e la ceftazidima. Può essere necessario il trattamento
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con 2 o 3 agenti per controllare l’infezione ed evitare lo sviluppo
di resistenza. Attualmente non è disponibile alcun vaccino.
BURKHOLDERIA MALLEI (MORVA). La morva è una grave malattia
infettiva dei cavalli e di altri animali domestici e da allevamento
causata dalla B. mallei, un bacillo Gram-negativo non mobile
che occasionalmente si trasmette agli esseri umani. La B. mallei
si acquisisce per inoculazione della cute, di solito a livello di una
precedente abrasione, oppure per inalazione di aerosol. Gli operatori di laboratorio possono acquisire l’infezione da campioni
clinici. La malattia è relativamente comune in Asia, Africa e Medio Oriente. Le manifestazioni cliniche comprendono setticemia,
polmonite acuta o cronica e lesioni necrotico-emorragiche della
cute, delle mucose nasali e dei linfonodi.
La diagnosi è posta solitamente in base all’isolamento del microrganismo nelle colture dei tessuti infetti. La morva è trattata
con sulfadiazina, tetracicline o cloramfenicolo e streptomicina
per un periodo di diversi mesi. La malattia è stata eliminata
dagli Stati Uniti, ma l’interesse per questo microrganismo è aumentato a causa della possibilità del suo uso come un agente
di bioterrorismo (vedi Capitolo 711). Anche se nella gestione
dei pazienti infetti ospedalizzati sono appropriate le precauzioni
standard, sono necessarie precauzioni di biosicurezza di livello 3
per il personale di laboratorio che lavora con la B. mallei. Non
è disponibile alcun vaccino.
BURKHOLDERIA PSEUDOMALLEI (MELIOIDOSI). Questa importante
malattia dell’Asia Sudorientale e dell’Australia Settentrionale si
verifica negli Stati Uniti prevalentemente in persone di ritorno
da aree endemiche. L’agente causale è la B. pseudomallei, un
saprofita del suolo e dell’acqua delle aree tropicali. Nelle aree
endemiche è ubiquitario; l’infezione fa seguito all’inalazione di
polvere o alla contaminazione diretta di abrasioni o ferite. La
trasmissione interumana è stata riportata raramente. Le indagini
sierologiche dimostrano che nelle aree endemiche si verifica un’infezione asintomatica. La malattia può restare latente e apparire
quando la resistenza dell’ospite è ridotta, talvolta anni dopo
l’esposizione iniziale. Il diabete mellito è un fattore di rischio per
la melioidosi severa.
La melioidosi può presentarsi come una singola lesione cutanea
primaria (vescicola, bolla o orticaria). L’infezione polmonare può
essere subacuta e simulare una tubercolosi, oppure può presentarsi come una polmonite necrotizzante acuta. Occasionalmente, si
verifica una setticemia e si osservano numerosi ascessi in diversi
organi del corpo. Sono stati inoltre osservati miocardite, pericardite, endocardite, ascessi intestinali, colecistite, gastroenterite
acuta, IVU, artrite settica, ascessi paraspinali, osteomielite, aneurisma micotico e linfoadenopatia generalizzata. La melioidosi
può inoltre presentarsi come una patologia encefalitica con febbre e convulsioni. È stata recentemente riconosciuta come causa
di severe infezioni delle ferite in seguito al contatto con acqua
contaminata dopo uno tsunami.
La diagnosi si basa sulla visualizzazione dei caratteristici piccoli bacilli Gram-negativi negli essudati o in base alla crescita
in terreni di laboratorio come eosina-blu di metilene o agar di
McConkey. Sono disponibili test sierologici e la diagnosi può
essere posta in base a un aumento di 4 volte o più del titolo
anticorpale in un individuo con una sindrome appropriata. La
B. pseudomallei è stata riconosciuta come possibile agente di
bioterrorismo (vedi Capitolo 711).
La B. pseudomallei è sensibile a diversi agenti antimicrobici,
tra cui cefalosporine di 3a generazione (specialmente ceftazidima), aminoglicosidi, tetraciclina, cotrimossazolo, sulfisossazolo,
cloramfenicolo e amoxicillina-clavulanato. La terapia deve essere guidata dall’antibiogramma; di solito vengono prescelti 2
o 3 agenti come ceftazidima o cloramfenicolo più trimetoprimsulfametoxazolo, sulfisossazolo o un aminoglicoside, per le forme severe o setticemiche. Nella malattia severa è raccomandato
un trattamento prolungato di 2-6 mesi per la prevenzione delle
recidive. Un’appropriata terapia antibiotica di solito porta alla
guarigione.
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Capitolo 203
202.3 • STENOTROPHOMONAS
La S. maltophilia (in precedenza Xanthomonas maltophilia o Pseudomonas maltophilia) è un bacillo Gram-negativo di forma diritta
e di lunghezza da breve a media. È ubiquitario in natura e può
essere ritrovato nell’ambiente ospedaliero, specialmente nell’acqua
corrente, nell’acqua stagnante e nei nebulizzatori. I ceppi isolati
in laboratorio possono essere contaminanti, possono essere commensali dalla superficie colonizzata di un paziente oppure possono
rappresentare un patogeno invasivo. La specie è un opportunista.
Le infezioni severe di solito si verificano nei pazienti che necessitano di terapia intensiva, compresa quella somministrata nelle unità
intensive neonatali, caratteristicamente nei pazienti con polmonite
associata a ventilatore o con infezioni associate a catetere. Una
prolungata esposizione ad antibiotici è un fattore frequente nelle
infezioni nosocomiali da S. maltophilia, probabilmente a causa del
suo pattern di resistenza endogena agli antibiotici. Le infezioni più
comuni comprendono una polmonite successiva alla colonizzazione delle vie aeree e ad aspirazione, IVU, endocardite e osteomielite.
I ceppi hanno una sensibilità agli antibiotici variabile.
Il trattamento deve essere basato sui risultati dell’antibiogramma.
Una buona attività è frequentemente dimostrata da trimetoprimsulfametoxazolo, minociclina, doxiciclina, ticarcillina-clavulanato
e cloramfenicolo. Il trimetoprim-sulfametoxazolo è di solito il
farmaco di scelta per le infezioni da Stenotrophomonas. Aminoglicosidi, cefalosporine e carbapenemici sono di solito inattivi. Tra
i chinolonici, la ciprofloxacina presenta spesso una buona attività
ed è stata usata clinicamente, mentre le più recenti sparfloxacina e
levofloxacina di solito mostrano una buona attività in vitro.
Pseudomonas aeruginosa
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Capitolo 203 ■ Tularemia (Francisella
tularensis) Gordon E. Schutze e Richard
F. Jacobs
La tularemia è una zoonosi causata dal batterio Gram-negativo
Francisella tularensis. La tularemia è primariamente una malattia degli animali selvatici; la malattia umana è accidentale e di
solito deriva dal contatto con insetti che si nutrono di sangue
o con animali selvatici vivi o morti. La malattia causata dalla
F. tularensis si manifesta con differenti sindromi cliniche, la più
comune delle quali consiste in una lesione ulcerosa a livello
del sito di inoculo con linfoadenopatia o linfoadenite regionale.
Questo batterio è anche un agente potenziale di bioterrorismo
(vedi Capitolo 711).
EZIOLOGIA. La F. tularensis, il microrganismo causale della tularemia, è un coccobacillo Gram-negativo di piccole dimensioni, non
mobile e pleiomorfo. Le 2 principali biovarianti sono la F. tularensis biovariante tularensis (tipo A di Jellison) e la F. tularensis
biovariante holartica (tipo B di Jellison). Il tipo A causa una malattia più severa negli esseri umani e si trova più comunemente in
Nord America; il tipo B si può ritrovare in Nord America, Europa
e Asia e causa una malattia meno virulenta. Il tipo A è associato
a zecche e lagomorfi (conigli, lepri); il tipo B può essere associato
a zanzare, criceti, roditori e animali acquatici e marini.
EPIDEMIOLOGIA. Nel periodo 1990-2000, negli Stati Uniti sono
stati riportati 1368 casi in totale di tularemia da 44 stati, con una
media di 124 casi per anno (range 86-193) (Fig. 203-1). Quattro
stati comprendevano il 56% di tutti i casi di tularemia riportati:
Arkansas 315 casi (23%), Missouri 265 casi (19%), South Dakota 96 casi (7%) e Oklahoma 90 casi (7%).
Trasmissione. Di tutte le zoonosi, la tularemia è insolita a causa dei differenti modi di trasmissione della malattia. Un ampio
numero di animali funge da serbatoio di questo microrganismo,
che può penetrare sia la cute intatta sia le membrane mucose. La
trasmissione può avvenire attraverso il morso di zecche infette
o di altri insetti che mordono, per contatto con animali infetti o
con le loro carcasse, attraverso il consumo di alimenti o acqua
contaminati o per inalazione, come potrebbe avvenire in un laboratorio. Tuttavia, questo microrganismo non si trasmette da
persona a persona. Negli Stati Uniti, conigli e zecche sono i principali serbatoi. La maggior parte dei casi dovuti all’esposizione ai
conigli si verifica in inverno, mentre quelli dovuti all’esposizione
alle zecche si verificano nei mesi più caldi (aprile-settembre).
L’Amblyomma americanum (Lone star tick), il Dermacentor
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PARTE XVI
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Malattie infettive
Casi riportati* di tularemia – Stati Uniti, 1990-2000
Numero di casi†
1
18
39
Figura 203-1. Casi riportati di tularemia negli Stati Uniti nel periodo dal 1990-2000, in base alla contea di residenza di 1347 pazienti riportati negli Stati Uniti
continentali. In Alaska sono stati riportati 10 casi in 4 contee nello stesso periodo. Le dimensioni dei cerchi sono proporzionali al numero dei casi variando da
1 a 39 casi (Da The Centers for Disease Control and Prevention: Tularemia–United States, 1990-2000. MMWR 2002;51:181–184.)
variabilis (zecca del cane) e il Dermacentor andersoni (zecca
dei boschi) sono le zecche che più frequentemente agiscono da
vettori. Queste zecche di solito si cibano del sangue di piccoli
roditori infetti e successivamente del sangue di esseri umani. La
suzione del sangue attraverso un campo contaminato per via
fecale trasmette l’infezione.
PATOGENESI. La più comune porta d’entrata per l’infezione umana è attraverso la cute o le mucose. Ciò può avvenire attraverso il morso di un insetto infetto o attraverso una minima
abrasione. L’infezione può essere causata anche dall’inalazione
o dall’ingestione di F. tularensis. Di solito sono necessari 108
microrganismi per causare infezione in caso di ingestione, ma ne
bastano appena 10 per causare infezione in caso di inalazione o
di penetrazione nella cute.
Entro 48-72 ore dopo l’iniezione nella cute, può comparire
una papula eritematosa pruriginosa o dolente a livello della porta
d’entrata. Questa papula può ingrandirsi e formare un’ulcera con
una base nera, seguita da linfoadenopatia regionale. Una volta
che la F. tularensis raggiunge i linfonodi, il microrganismo può
moltiplicarsi e formare granulomi. Può essere presente anche una
batteriemia e, anche se può essere coinvolto qualsiasi organo del
corpo, il sistema reticoloendoteliale è quello più comunemente
interessato.
L’inoculazione congiuntivale può risultare in un’infezione oculare con linfoadenopatia preauricolare. L’inalazione, l’aerosolizzazione o la diffusione ematogena dei microrganismi possono
causare una polmonite. La radiografia del torace di questi pazienti può rivelare infiltrati focali disseminati più che aree di consolidamento. Può essere presente anche un versamento pleurico che
può essere ematico. Nelle infezioni polmonari può essere presente
un’adenopatia mediastinica; nella malattia orofaringea i pazienti
possono sviluppare una linfoadenopatia cervicale. La denominazione di tularemia tifoidea può essere usata per descrivere una
malattia batteriemica severa, indipendentemente dalla modalità
di trasmissione o dalla porta d’entrata. L’infezione stimola l’ospite a produrre anticorpi. Tuttavia, questa risposta anticorpale ha
soltanto un ruolo minore nel combattere l’infezione. L’organismo
dipende dall’immunità cellulo-mediata per contenere ed eradicare
questa infezione. L’infezione è di solito seguita da un’immunità
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specifica; pertanto, un’infezione cronica o la reinfezione sono
improbabili.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. Anche se può variare, il periodo
medio di incubazione dall’infezione ai primi sintomi clinici è
di 3 giorni (range, 1-21 giorni). L’esordio improvviso di febbre
con altri sintomi associati è comune (Tab. 203-1). L’esame obiettivo può comprendere linfoadenopatia, epatosplenomegalia o
lesioni cutanee. Sono state descritte varie lesioni cutanee, tra
cui eritema multiforme ed eritema nodoso. Il 20% circa dei
pazienti può sviluppare un rash maculopapuloso generalizzato
che occasionalmente diviene pustoloso. Queste manifestazioni
cliniche della tularemia sono state suddivise in varie sindromi
(Tab. 203-2).
La malattia ulceroghiandolare e la malattia ghiandolare sono
le due più comuni forme di tularemia diagnosticate nei bambini. Le ghiandole più comunemente interessate sono di solito i
linfonodi auricolari posteriori o i linfonodi cervicali in seguito a
un morso di zecca alla testa o al collo. Se è presente un’ulcera,
appare eritematosa e dolente e può durare da 1 a 3 settimane.
L’ulcera è localizzata a livello della porta d’entrata. Allo sviluppo
dell’ulcera fa seguito una linfoadenopatia regionale. Questi linfonodi possono variare in dimensione da 0,5 a 10 cm e possono
essere singoli o a gruppi. I linfonodi affetti possono divenire fluttuanti e drenare spontaneamente, ma più spesso si risolvono con
il trattamento. La suppurazione tardiva dei linfonodi interessati
TABELLA 203-1. Comuni manifestazioni cliniche della tularemia
nei bambini
SEGNO O SINTOMO
Linfoadenopatia
Febbre (38,3 °C)
Ulcera/escara/papula
Faringite
Mialgie/artralgie
Nausea/vomito
Epatosplenomegalia
FREQUENZA (%)
96
87
45
43
39
35
35
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Capitolo 203
TABELLA 203-2. Sindromi cliniche della tularemia nei bambini
SINDROME CLINICA
Ulceroghiandolare
Ghiandolare
Polmonite
Orofaringea
Oculoghiandolare
Tifoidea
Altre*
FREQUENZA (%)
45
25
14
4
2
2
6
* Comprende meningite, pericardite, epatite, peritonite, endocardite e osteomielite.
è stata descritta nel 25-30% dei pazienti nonostante una terapia
efficace. L’esame del materiale proveniente da questi linfonodi
rivela la presenza di materiale necrotico sterile.
La polmonite da F. tularensis si presenta di solito sotto forma
di infiltrati parenchimali variabili che non rispondono agli antibiotici -lattamici. Un’infezione correlata a inalazione è stata
descritta in operatori di laboratorio che lavorano con questo
microrganismo; essa presenta un tasso di mortalità relativamente
elevato. È stato riportato che la polmonite può essere causata
anche da aerosol provenienti da attività agricole che comportano
la contaminazione da roditori (taglio del foraggio, battitura del
grano) o dalla distruzione di carcasse animali con un tosaerba.
Infiltrati parenchimali focali e disseminati possono essere dimostrati anche in altre forme di tularemia. Infiltrati segmentali disseminati, adenopatia ilare e versamenti pleurici sono le anomalie
più comuni alla radiografia del torace. I pazienti possono inoltre
presentare tosse non produttiva, dispnea o dolore toracico di
tipo pleurico.
La tularemia orofaringea deriva dal consumo di carni poco
cotte o di acqua contaminata. Questa sindrome è caratterizzata
da faringite acuta, con o senza tonsillite e da linfoadenite cervicale. Le tonsille infette possono ingrandirsi e sviluppare una
membrana bianco-giallastra che può assomigliare alle membrane
della difterite. Si può verificare anche una malattia gastrointestinale che di solito si presenta con diarrea lieve e non spiegata, ma
che può progredire fino a una malattia rapidamente fulminante
e fatale.
La tularemia oculoghiandolare è infrequente, ma quando si
verifica, la porta d’entrata è rappresentata dalla congiuntiva.
Il contatto con dita contaminate o resti di insetti schiacciati
è la più comune modalità di applicazione dei microrganismi
alla congiuntiva. La congiuntiva appare dolente e infiammata,
con noduli giallastri e ulcere puntiformi. Una congiuntivite
purulenta associata a linfoadenopatia sottomandibolare o preauricolare ipsilaterale è definita sindrome oculoghiandolare di
Parinaud.
La tularemia tifoidea è di solito associata a un grosso inoculo
di microrganismi e di solito si presenta con febbre, cefalea e
segni o sintomi di endotossiemia. I pazienti sono tipicamente in
condizioni critiche e i sintomi simulano quelli di altre forme di
sepsi. I medici che esercitano in una regione di tularemia endemica devono sempre prendere in considerazione questa diagnosi
nei bambini in condizioni critiche.
DIAGNOSI. L’anamnesi e l’esame obiettivo del paziente possono
suggerire la diagnosi di tularemia, specialmente se il paziente vive
o ha visitato una regione di endemia. Un’anamnesi di esposizione
ad animali o zecche può essere particolarmente utile. I test ematologici non sono diagnostici. I risultati delle colture di routine
e degli strisci sono positivi soltanto nel 10% circa dei casi. La
F. tularensis può essere coltivata in laboratorio di microbiologia
in agar-sangue-glucosio-cisteina, ma occorre fare attenzione ad
allertare il personale del laboratorio in caso di esecuzione di una
coltura, affinché adotti le adeguate precauzioni per proteggersi
dall’infezione.
La diagnosi di tularemia viene posta più comunemente con
l’uso di un test standard di agglutinazione su siero altamente
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■
Tularemia (Francisella tularensis)
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1249
affidabile. Nel test standard di agglutinazione, un singolo titolo
1:160 in un paziente con anamnesi e obiettività compatibili
può consentire la diagnosi. È diagnostico anche un aumento di
4 volte del titolo in una coppia di campioni prelevati a 2-3 settimane di distanza. Risposte sierologiche false negative possono
essere presenti nelle fasi precoci dell’infezione e nel 30% almeno
degli individui sono necessarie più di 3 settimane per ottenere
un risultato positivo. Una volta contratta l’infezione, i pazienti
possono avere un risultato positivo del test di agglutinazione
(1:20-1:80) che può persistere per tutta la vita.
Altri esami disponibili comprendono un test di microagglutinazione, un test d’immunoadsorbimento enzimatico, la ricerca
nelle urine dell’antigene della tularemia e la reazione a catena
polimerasica. Queste metodiche potrebbero essere più diffuse in
futuro, ma attualmente hanno un ruolo limitato nella diagnosi
di tularemia.
Diagnosi differenziale. La diagnosi differenziale della tularemia ulceroghiandolare o ghiandolare comprende la malattia da
graffio di gatto (Bartonella henselae), la mononucleosi infettiva,
la sindrome di Kawasaki, la linfoadenopatia causata da Staphylococcus aureus, streptococco di gruppo A, Mycobacterium
tuberculosis, Toxoplasma gondii, micobatteri non tubercolari e
Sporothrix schenckii, la peste, l’antrace, la melioidosi e la febbre
da morso di ratto. La malattia oculoghiandolare può essere dovuta anche ad altri agenti infettivi, come B. henselae, Treponema
pallidum, Coccidioides immitis, il virus herpes simplex, gli adenovirus e gli agenti batterici responsabili della congiuntivite purulenta. La tularemia orofaringea deve essere distinta dalle stesse
malattie che causano la malattia ulceroghiandolare/ghiandolare
e dall’infezione da Cytomegalovirus, herpes simplex, adenovirus
e altri agenti virali o batterici. La tularemia polmonare deve essere distinta da altri microrganismi non responsivi ai -lattamici
come Mycoplasma, Chlamydia, micobatteri, miceti e rickettsie.
La tularemia tifoidea deve essere distinta da altre forme di sepsi
come anche dalla febbre enterica (febbre tifoidea e paratifoidea)
e dalla brucellosi.
TRATTAMENTO. Tutti i ceppi di F. tularensis sono sensibili alla
gentamicina e alla streptomicina. La gentamicina (5 mg/kg/die
suddivisi in 2 o 3 somministrazioni ev o im) è il farmaco di
scelta per il trattamento della tularemia nel bambino a causa
della limitata disponibilità della streptomicina (30-40 mg/kg/die
suddivisi in 2 somministrazioni im) e dei minori effetti collaterali della gentamicina. La terapia viene tipicamente proseguita
per 7-10 giorni, ma nei casi lievi possono essere sufficienti 5-7
giorni. Sono stati utilizzati cloramfenicolo e tetracicline, ma
l’elevato tasso di recidive ne ha limitato l’uso nel bambino.
Dati preliminari suggeriscono che la F. tularensis è sensibile alle
cefalosporine di 3a generazione (cefotaxima, ceftriaxone) ma i
case report clinici dimostrano un tasso di fallimento terapeutico
quasi universale con questi farmaci. I chinolonici sono attivi
contro la F. tularensis e sono stati utilizzati per il trattamento
delle forme più lievi di tularemia dovute alla biovariante europea
F. tularensis biovariante holartica. Sono necessari ulteriori dati
prima che la terapia con chinolonici possa essere raccomandata
per la biovariante più comune incontrata in Nord America, la
F. tularensis biovariante tularensis.
La defervescenza si verifica tipicamente entro 24-48 ore dopo
l’inizio della terapia e le recidive sono infrequenti se è stata usata la gentamicina o la streptomicina. I pazienti che non hanno
iniziato precocemente una terapia appropriata possono rispondere più lentamente alla terapia antibiotica. Si può verificare la
suppurazione tardiva dei linfonodi interessati nonostante una
terapia adeguata, ma di solito il contenuto è sterile.
PROGNOSI. Un esito infausto è di solito associato a un ritardo
diagnostico e terapeutico, ma con una diagnosi e una terapia
tempestive i decessi sono estremamente rari. Il tasso di mortalità
per la malattia severa non trattata (per es. polmonite, malattia
tifoidea) può essere anche del 30% in queste situazioni, ma in
generale il tasso di mortalità globale è 1%.
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PARTE XVI
■
Malattie infettive
PREVENZIONE. La prevenzione della tularemia si basa sull’evitamento dell’esposizione. I bambini che vivono in regioni infestate
endemicamente dalle zecche devono imparare a evitare le aree
dove sono presenti questi parassiti e le famiglie devono avere un
piano di controllo delle zecche per l’ambiente immediatamente
circostante e per i loro animali domestici. Occorre indossare indumenti protettivi quando si entra in un’area infestata da zecche
ma, cosa più importante, i bambini devono essere frequentemente controllati per le zecche durante e dopo la permanenza in
queste aree. Possono essere utilizzati repellenti cutanei come la
N-N-dietil-M-toluamide (DEET), ma sono state descritte reazioni
sistemiche in caso di uso non corretto su bambini molto piccoli.
Evitare di portare bambini molto piccoli in aree infestate endemicamente dalle zecche è l’approccio più prudente. Se si fa uso
di composti contenenti DEET, questi devono essere utilizzati con
parsimonia sulla cute esposta, evitando mani e volto. Il repellente deve essere eliminato completamente dopo avere lasciato la
regione ad alto rischio. I repellenti per indumenti che fanno uso
di permetrina si sono dimostrati un efficace complemento all’uso
di indumenti protettivi. Se sul bambino vengono ritrovate delle
zecche, occorre usare una pinzetta per distaccarle direttamente.
La cute deve essere detersa prima e dopo questa procedura. I
bambini devono imparare anche a evitare animali ammalati o
morti. Cani e gatti hanno una maggiore probabilità di portare le
zecche all’attenzione del bambino. Occorre insegnare ai bambini
l’uso dei guanti per pulire la selvaggina. È disponibile un vaccino
per gli adulti ad alto rischio (per es. i veterinari), ma non vi sono
raccomandazioni per l’uso in età pediatrica. La profilassi antibiotica non è efficace nella prevenzione della tularemia e non deve
essere utilizzata dopo l’esposizione.
Centers for Disease Control and Prevention: Tularemia–United States,
1990–2000. MMWR 2002;51:181–184.
Centers for Disease Control and Prevention: Tularemia associated with a
hamster bite, Colorado 2004. MMWR 2005;53:1202–1203.
Centers for Disease Control and Prevention: Tularemia transmitted by insect
bites, Wyoming, 2001–2003. MMWR 2005;54:170–173.
Dennis DT, Inglesby TV, Henderson DA, et al: Tularemia as a biological
weapon. JAMA 2001;281:2763–2773.
Johansson A, Berglund L, Gothefors L, et al: Ciprofloxacin for treatment of
tularemia in children. Pediatr Infect Dis J 2000;19:449–453.
Roberst JR, Reigart JR: Does anything beat DEET? Pediatr Ann 2004;33:
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Tärnvik A, Priebe HS, Grunow R: Tularemia in Europe: An epidemiological
overview. Scand J Infect Dis 2004;36:350–355.
Capitolo 204 ■ Brucella Gordon
E. Schutze e Richard F. Jacobs
La brucellosi umana, causata da microrganismi del genere Brucella, continua a essere un problema di salute pubblica di prima
grandezza in tutto il mondo. Gli esseri umani sono ospiti accidentali e contraggono questa zoonosi dal contatto diretto con un
animale infetto o attraverso il consumo di prodotti di un animale
infetto. Anche se la brucellosi è ampiamente nota come rischio di
malattia professionale per gli adulti che lavorano con il bestiame, gran parte dei casi nei bambini è dovuta alla trasmissione
alimentare ed è associata al consumo di prodotti lattiero-caseari
non pastorizzati. La Brucella è anche un agente potenziale di
bioterrorismo (vedi Capitolo 711).
EZIOLOGIA. Brucella abortus (bestiame), B. melitensis (capre/pecore), B. suis (suini) e B. canis (cani) sono i più comuni microrganismi responsabili di malattia umana. Questi microrganismi sono
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piccoli batteri coccobacillari Gram-negativi, aerobi, non formanti
spore e non mobili, di difficile crescita ma che possono essere
coltivati in vari terreni di laboratorio compresi l’agar-sangue e
l’agar-cioccolato. Tuttavia, in caso di sospetta brucellosi, il laboratorio clinico deve essere avvertito in modo da mantenere le
colture per 21 giorni allo scopo di assicurare l’eventuale crescita
del microrganismo.
EPIDEMIOLOGIA. A causa del miglioramento delle misure sanitarie, la brucellosi è divenuta rara nei Paesi industrializzati. La
brucellosi è presente in tutto il mondo ed è particolarmente
prevalente nel bacino mediterraneo, nel Golfo Arabico (Persico),
nel subcontinente indiano e in parti del Messico e dell’America
Centrale e Meridionale. Nei Paesi industrializzati, l’esposizione
ricreazionale o occupazionale ad animali infetti rappresenta un
fattore di rischio maggiore per lo sviluppo della malattia. Negli
Stati Uniti, il 50% dei casi si verifica in California e Texas.
Tuttavia, per i bambini, le aree geografiche endemiche per la B.
melitensis rimangono aree di aumentato rischio di sviluppare l’infezione. In tali aree, può essere utilizzato il latte non pastorizzato
di capra o di cammella per l’alimentazione infantile, causando
così lo sviluppo di brucellosi. Di conseguenza, un’anamnesi di
un viaggio in regioni endemiche o di consumo di alimenti esotici
o di prodotti lattiero-caseari non pastorizzati può essere un importante indizio per la diagnosi di brucellosi umana.
PATOGENESI. Le vie d’infezione per questi microrganismi comprendono l’inoculo attraverso tagli o abrasioni cutanee, l’inoculo del sacco congiuntivale, l’inalazione di aerosol infettivi o
l’ingestione di carne o prodotti lattiero-caseari contaminati. Il
rischio infettivo dipende dallo stato nutrizionale e immunitario
dell’ospite, dalla via d’inoculazione e dalla specie di Brucella. Per
motivi che restano da chiarire, la B. melitensis e la B. suis tendono
a essere più virulente della B. abortus o della B. canis.
Il maggiore fattore di virulenza per la Brucella sembra essere il polisaccaride della parete cellulare. È stato dimostrato
che i ceppi contenenti lipopolisaccaride “liscio” possiedono una
maggiore virulenza e sono più resistenti al killing da parte dei
leucociti polimorfonucleati. Questi microrganismi sono patogeni
intracellulari facoltativi che possono sopravvivere e moltiplicarsi all’interno delle cellule fagocitiche mononucleate (monociti,
macrofagi) del sistema reticoloendoteliale. Anche se le brucelle
sono chemiotattiche per l’entrata dei leucociti nell’organismo, i
leucociti sono meno efficienti nel killing di questi microrganismi
rispetto ad altri batteri, nonostante l’assistenza di fattori sierici
come il complemento.
I microrganismi che non sono fagocitati dai leucociti sono
ingeriti dai macrofagi e si localizzano nel sistema reticoloendoteliale. Essi risiedono specificamente in fegato, milza, linfonodi
e midollo osseo e causano la formazione di granulomi. Contro
il lipopolisaccaride e altri antigeni della parete cellulare vengono formati anticorpi. Ciò permette una possibilità diagnostica
e probabilmente ha un ruolo nell’immunità a lungo termine. Il
principale fattore della guarigione dall’infezione sembra essere
lo sviluppo di una risposta cellulo-mediata che risulta nell’attivazione dei macrofagi e nella stimolazione del killing intracellulare. Specificamente, i T-linfociti sensibilizzati rilasciano
citochine (per es. interferone-
e fattore di necrosi tumorale-,
che attivano i macrofagi e ne promuovono la capacità di killing
intracellulare).
MANIFESTAZIONI CLINICHE. La brucellosi è una malattia sistemica
che può essere molto difficile da diagnosticare nei bambini senza
un’anamnesi di esposizione ad animali o alimenti. I sintomi possono essere acuti o insidiosi e di solito sono non specifici, iniziando 2-4 settimane dopo l’inoculazione. Anche se le manifestazioni
cliniche sono variabili, in molti pazienti può essere dimostrata la
classica triade di febbre, artralgie/artrite ed epatosplenomegalia.
Alcuni si presentano con una febbre di origine non spiegata
(Fever of Unknown Origin, FUO). Altri sintomi associati comprendono dolore addominale, cefalea, diarrea, rash, sudorazione
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Capitolo 204
notturna, perdita di forza/astenia, vomito, tosse e faringite. Una
comune costellazione sintomatologica nei bambini è costituita da
rifiuto del cibo, astenia, rifiuto del carico e mancato accrescimento staturo-ponderale. Oltre all’epatosplenomegalia, i segni fisici
all’esame obiettivo sono di solito scarsi, a eccezione dell’artrite. Il
pattern della febbre può essere ampiamente variabile e può essere
interessato virtualmente qualsiasi organo o tessuto.
Se all’esame obiettivo sono presenti anomalie, sono frequentemente interessate ossa e articolazioni; le articolazioni più frequentemente interessate sono l’articolazione sacroiliaca e quelle
di anca, ginocchio e caviglia. Anche se nei pazienti con brucellosi
possono essere dimostrati cefalea, deficit dell’attenzione e depressione, l’invasione del sistema nervoso centrale si verifica soltanto
nell’1% dei casi. Sono state descritte anche infezioni neonatali
e congenite causate da questi microrganismi. La trasmissione
è avvenuta attraverso la placenta, il latte materno e attraverso
trasfusioni di sangue. I segni e sintomi associati alla brucellosi
sono vaghi e non patognomonici.
DIAGNOSI. Gli esami di laboratorio di routine non sono utili;
possono essere presenti trombocitopenia, neutropenia, anemia o
pancitopenia. Può essere più utile un’anamnesi di esposizione ad
animali o d’ingestione di prodotti lattiero-caseari non pastorizzati. Una diagnosi definitiva viene posta isolando il microrganismo
nel sangue, nel midollo osseo o in altri tessuti. Anche se i sistemi
colturali automatizzati e l’uso della metodica di lisi-centrifugazione hanno ridotto il tempo di isolamento da settimane a giorni, è
prudente avvertire il laboratorio di microbiologia clinica del sospetto di brucellosi. L’isolamento del microrganismo può ancora
richiedere anche 4 settimane a partire da un campione di sangue.
È inoltre consigliabile cautela nell’uso dei sistemi automatizzati
d’isolamento batterico, in quanto è avvenuta un’erronea identificazione degli isolati come altri microrganismi Gram-negativi
(Haemophilus influenzae di tipo b).
In assenza di risultati colturali positivi, sono stati utilizzati
nella diagnosi di brucellosi diversi test sierologici. Il test di agglutinazione su siero (Serum Agglutination Test, SAT) è quello
più utilizzato e identifica anticorpi contro la B. abortus, la B.
melitensis e la B. suis. Questo metodo non identifica anticorpi
contro la B. canis, in quanto questo microrganismo manca del lipopolisaccaride liscio. Nessun singolo titolo è mai diagnostico, ma
la maggior parte dei pazienti con infezione acuta ha titoli 1 : 160.
Nelle prime fasi della malattia possono essere osservati titoli bassi
e questo rende necessario l’esame di sieri della fase acuta e della
fase di convalescenza per la conferma diagnostica. Dal momento
che i pazienti con infezione attiva hanno una risposta sia IgM sia
■
Brucella
■
1251
IgG e che il SAT misura la quantità totale di anticorpi agglutinanti, la quantità totale di IgG viene determinata trattando il siero
con 2-mercaptoetanolo. Questo frazionamento è importante per
determinare il significato del titolo anticorpale in quanto bassi
livelli di IgM possono rimanere nel siero per un periodo che può
variare da settimane a mesi dopo il trattamento dell’infezione. È
importante ricordare che tutti i titoli devono essere interpretati alla luce dell’anamnesi del paziente e dell’esame obiettivo. Possono
verificarsi risultati falsi positivi dovuti alla presenza di anticorpi
cross-reagenti contro altri microrganismi Gram-negativi come la
Yersinia enterocolitica, la Francisella tularensis e il Vibrio cholerae. Inoltre, l’effetto prozona può dare risultati falsi negativi in
presenza di elevati titoli anticorpali. Per evitare questo problema,
il siero testato deve essere diluito a 1 : 320.
Tra i test più recenti, il test immunoenzimatico sembra essere
la metodica più sensibile per l’identificazione degli anticorpi antiBrucella. Anche la reazione a catena polimerasica è sempre più disponibile, ma attualmente è ancora limitata ai centri di ricerca.
Diagnosi differenziale. La brucellosi può essere confusa con altre infezioni come tularemia, malattia da graffio di gatto, febbre
tifoidea e infezioni micotiche come istoplasmosi, blastomicosi o
coccidioidomicosi. Le infezioni da Mycobacterium tuberculosis,
micobatteri atipici, rickettsie e Yersinia possono essere presenti
secondo modalità simili alla brucellosi.
TRATTAMENTO. Molti agenti antimicrobici sono attivi in vitro
contro Brucella spp., ma l’efficacia clinica non sempre correla con
questi risultati. La doxiciclina è l’agente antimicrobico più utile
e, se associato a un aminoglicoside, è associato a minor numero
di recidive (Tab. 204-1). Il fallimento terapeutico con gli antibiotici -lattamici, comprese le cefalosporine di 3a generazione,
può essere dovuto alla natura intracellulare del microrganismo.
Per l’eradicazione di questa infezione sono necessari agenti attivi a livello intracellulare. Allo stesso modo, è evidente che un
trattamento prolungato è fondamentale per la prevenzione delle
recidive della malattia. La recidiva è confermata dall’isolamento
di Brucella da settimane a mesi dopo la fine della terapia e di
solito non è associata a resistenza agli antibiotici.
L’inizio della terapia antibiotica può precipitare una reazione
Jarisch-Herxheimer-simile, presumibilmente a causa di un elevato
carico antigenico. Raramente è sufficientemente severa da richiedere la terapia con corticosteroidi.
PROGNOSI. Prima dell’uso di agenti antimicrobici, il decorso della
brucellosi era spesso prolungato e poteva concludersi con il decesso. Dopo l’inizio di una terapia specifica, la maggior parte dei
TABELLA 204-1. Terapia raccomandata per il trattamento della brucellosi
ETÀ E CONDIZIONE
8 anni
8 anni
AGENTE ANTIMICROBICO
Doxiciclina
+
Rifampicina
Alternativa:
Doxiciclina
+
Streptomicina
oppure
Gentamicina
Trimetoprim-sulfametoxazolo (TMP-SMZ)
+
Rifamipicina
DOSE
2-4 mg/kg/die; dose massima 200 mg/die
VIA DI SOMMINISTRAZIONE
per os
DURATA
4-6 settimane
15-20 mg/kg/die; dose massima 600-900 mg/die
per os
4-6 settimane
2-4 mg/kg/die; dose massima 200 mg/die
per os
4-6 settimane
20-30 mg/kg/die; dose massima 1 g/die
im
1-2 settimane
3-5 mg/kg/die
TMP (10 mg/kg/die; dose massima 480 mg/die) e SMZ (50 mg/kg/die; dose
massima 2,4 g/die)
15-20 mg/kg/die
im/ev
per os
1-2 settimane
4-6 settimane
per os
4-6 settimane
Doxiciclina
+
Gentamicina
±
Rifampicina
2-4 mg/kg/die; dose massima 200 mg/die
per os
4-6 mesi
3-5 mg/kg/die
ev
1-2 settimane
15-20 mg/kg/die; dose massima 600-900 mg/die
per os
4-6 mesi
meningite, osteomielite, endocardite
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1252
■
PARTE XVI
■
Malattie infettive
decessi è dovuta a un interessamento d’organo specifico (per es.
endocardite) nei casi complicati. Dopo una terapia specifica la
prognosi è eccellente se i pazienti accettano la terapia prolungata
(vedi Tab. 204-1).
EZIOLOGIA. Le Legionellaceae sono bacilli Gram-negativi aerobi,
non capsulati e non formanti spore, che si colorano scarsamente
alla colorazione di Gram quando questa viene eseguita su strisci
di campioni clinici. I microrganismi presenti nei tessuti possono
essere meglio visualizzati con la colorazione di Gimenez o con
la colorazione all’argento (Mieterle o Warthin-Starry). Gli strisci
colorati di Legionella pneumophila prelevati dalla crescita in
colonie assomigliano a quelli di Pseudomonas. A differenza di
altre Legionella spp., la L. micdadei si colora con la colorazione
acido-resistente. Anche se sono state attualmente identificate 30
specie del genere, la maggioranza (90%) delle infezioni cliniche
è causata dalla L. pneumophila, mentre la maggior parte delle
restanti è causata da L. micdadei, L. bozemanii, L. dumoffii e
L. longbeachae. Questi microrganismi sono esigenti e richiedono
per la crescita L-cisteina, ione ferrino e -chetoacidi. Le colonie si
sviluppano entro 3-5 giorni in agar con tampone e con carboneestratto di lievito che può contenere antibiotici selettivi per inibire
la crescita di altri microrganismi; la Legionella raramente cresce
sui terreni di laboratorio di routine.
o ad aerosol contenenti i batteri. La crescita della Legionella si
verifica più rapidamente nell’acqua calda e l’esposizione a fonti
di acqua calda è un importante fattore di rischio per la malattia.
I microrganismi del genere Legionella sono parassiti intracellulari
facoltativi e crescono all’interno di protozoi presenti nei biofilm
consistenti di materiale organico e inorganico che si trova nelle
tubature e nei serbatoi dell’acqua e di diverse altre specie batteriche. Casi sporadici di malattia del legionario acquisita in comunità possono essere attribuiti all’acqua potabile dell’ambiente
locale del paziente. I fattori di rischio per l’acquisizione della
polmonite sporadica acquisita in comunità comprendono forniture idriche non municipali, riparazione delle condutture locali
e basse temperature degli scaldabagni, che facilitano la crescita
dei batteri o portano al rilascio di un bolo di biofilm contenente
Legionella nell’acqua potabile. La modalità di trasmissione può
essere attraverso inalazione di aerosol o per aspirazione. Epidemie di malattia del legionario sono state associate a protozoi
nelle fonti idriche implicate; la replicazione all’interno di cellule
eucariote presumibilmente amplifica e mantiene la Legionella nel
sistema di distribuzione dell’acqua potabile. Epidemie di polmonite acquisita in comunità e certe epidemie nosocomiali sono state
associate a fonti comuni, tra cui riscaldatori di acqua potabile,
torri di raffreddamento dei condensatori a evaporazione, vasche
con idromassaggio, umidificatori e nebulizzatori. La malattia del
legionario e la febbre di Pontiac associate ai viaggi sono sempre
più coinvolte in epidemie maggiori.
Le infezioni acquisite in ospedale sono più spesso legate all’acqua potabile. L’esposizione può avvenire attraverso 2 meccanismi generali: (1) aspirazione di microrganismi ingeriti, compresi
quelli presenti nei preparati per alimentazione gastrica, che sono
mescolati ad acqua di rubinetto contaminata; e (2) aerosol da
docce e secchiai. La legionellosi extrapolmonare può verificarsi in
seguito all’applicazione topica di acqua di rubinetto contaminata
su ferite chirurgiche o traumatiche. Al contrario della malattia
del legionario, si sono verificate epidemie di febbre di Pontiac in
seguito all’esposizione ad aerosol di bagni con idromassaggio,
umidificatori a ultrasuoni e sistemi di ventilazione.
L’incidenza negli adulti di malattia del legionario sporadica
acquisita in comunità causata da L. pneumophila è stimata in
7-20 casi/100 000 per anno ed evidenzia differenze geografiche.
Le infezioni da Legionella non hanno un pattern stagionale. Lo
0,5-5% dei pazienti esposti a una fonte comune di infezione
sviluppa una polmonite, mentre il tasso d’attacco nelle epidemie
di febbre di Pontiac è molto elevato (85-100%). In uno studio di
grandi dimensioni riguardante adulti e basato sulla comunità, la
Legionella era associata al 3% dei casi di polmonite. Considerati
tutti insieme, Mycoplasma pneumoniae, Chlamydia pneumoniae
e L. pneumophila comprendono il 10-38% di tutte le polmoniti
acquisite in comunità e pertanto le attuali linee guida cliniche
per la polmonite acquisita in comunità raccomandano la terapia
empirica con macrolidi o chinolonici. Come è stato stimato in
base alla sieroconversione nei confronti della L. pneumophila nei
bambini ospedalizzati con polmonite, è stato osservato un tasso
di malattia del legionario alquanto basso. La polmonite acquisita
in comunità si verifica più spesso in bambini 4 anni di età. La
maggior parte delle infezioni nosocomiali è stata riportata come
case report; pertanto, la reale incidenza della malattia nei bambini è sconosciuta. I tassi d’infezione nosocomiale negli adulti sono
difficili da determinare, in quanto molti laboratori ospedalieri
non tentano l’isolamento colturale di Legionella. La legionellosi
acquisita in ospedale nei bambini è associata a fattori di rischio
clinici e a esposizione ambientale. L’acquisizione di anticorpi
contro la L. pneumoniae nei bambini sani si verifica in modo
progressivo nel tempo, anche se questo presumibilmente riflette
un’infezione subclinica, una pneumopatia lieve o anticorpi che
cross-reagiscono con altre specie batteriche.
EPIDEMIOLOGIA. Il serbatoio ambientale della Legionella in natura è l’acqua dolce (laghi, torrenti, acque con inquinamento
termico, acque potabili) e la polmonite invasiva (malattia del
legionariolegionari) è correlata all’esposizione ad acqua potabile
PATOGENESI. Anche se la Legionella può essere coltivata in un
terreno artificiale, l’ambiente intracellulare delle cellule eucariote
fornisce il sito definitivo di crescita. Le legionelle sono parassiti
intracellulari facoltativi delle cellule eucariote. In natura, la Le-
PREVENZIONE. La prevenzione della brucellosi dipende dall’effettiva eradicazione del microrganismo da bestiame, capre e suini
come anche da altri animali. La pastorizzazione del latte e dei
prodotti lattiero-caseari per il consumo umano rimane un aspetto importante della prevenzione. Attualmente non esiste alcun
vaccino per l’uso nei bambini e pertanto l’educazione del pubblico continua ad avere un ruolo preminente nella prevenzione
di questa malattia.
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Capitolo 205 ■ Legionella Lucy Tompkins
La legionellosi comprende la malattia del legionario (polmonite da Legionella), altre infezioni extrapolmonari invasive e una
malattia acuta similinfluenzale nota come febbre di Pontiac. Al
contrario delle sindromi associate a malattia invasiva, la febbre
di Pontiac è una malattia autolimitante che si sviluppa dopo
esposizione ad aerosol e può rappresentare una reazione tossica
o da ipersensibilità alla Legionella.
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Capitolo 205
gionella si moltiplica all’interno dei protozoi che vivono nell’acqua dolce. Negli esseri umani, la principale cellula bersaglio della
Legionella è il macrofago alveolare, anche se possono essere
invasi anche altri tipi cellulari. Dopo l’entrata, i ceppi virulenti
di L. pneumophila stimolano la formazione di un particolare
fagosoma che consente la replicazione batterica. Il fagosoma è
formato da componenti del reticolo endoplasmatico e permette
di sfuggire alla via lisosomiale di degradazione. La crescita nei
macrofagi avviene fino al punto della morte cellulare, seguita
dalla reinfezione di nuove cellule, fino a quando queste cellule
vengono attivate e possono quindi eliminare i microrganismi
intracellulari. L’infezione polmonare acuta severa causa una risposta infiammatoria acuta e la necrosi; già in una fase precoce
è quindi presente un numero maggiore di batteri nello spazio
extracellulare in seguito alla replicazione intracellulare, alla lisi e
al rilascio di batteri. Successivamente, l’attivazione dei macrofagi
e altre risposte immunitarie producono un’intensa infiltrazione
dei tessuti da parte di macrofagi contenenti batteri intracellulari,
portando infine al controllo della replicazione batterica e alla loro
eliminazione. La terapia corticosteroidea comporta un rischio
elevato d’infezione interferendo con la funzione dei macrofagi
e delle cellule T. Anche se la malattia del legionario acquisita in
comunità può manifestarsi in pazienti sani immunocompetenti, i
pazienti che hanno un difetto dell’immunità cellulo-mediata sono
ad alto rischio di infezione. Come in altre malattie causate da microrganismi intracellulari facoltativi, l’esito dipende criticamente
dalle risposte immunitarie specifica e non specifica dell’ospite,
particolarmente le risposte di macrofagi e cellule T.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. In origine si riteneva che la malattia
del legionario fosse la causa della polmonite atipica associata
a segni e sintomi extrapolmonari tra cui diarrea, iponatremia,
ipofosfatemia, alterazione dei test di funzionalità epatica, confusione e disfunzione renale. Anche se un sottogruppo di pazienti
può presentare queste classiche manifestazioni, l’infezione da
Legionella causa caratteristicamente una polmonite indistinguibile dalla malattia prodotta da altri agenti infettivi. Febbre,
tosse e dolore toracico sono comuni sintomi di presentazione; la
tosse può essere produttiva di espettorato purulento oppure può
essere non produttiva. Anche se il classico aspetto radiografico
dimostra infiltrati che riempiono gli alveoli in modo rapidamente
progressivo, nei casi consueti di polmonite l’aspetto radiografico
del torace è ampiamente variabile, con l’aspetto di ombre similtumorali, evidenza d’infiltrati nodulari, infiltrati unilaterali o
bilaterali oppure cavitazione, anche se la cavitazione si osserva raramente nei pazienti immunocompetenti. Questo quadro
si sovrappone in modo sostanziale alla malattia causata dallo
Streptococcus pneumoniae. Anche se un versamento pleurico
è meno comunemente associato alla malattia del legionario, la
sua frequenza è così variabile che né la presenza, né l’assenza
di versamento sono utili per la diagnosi differenziale. Se presente, occorre prelevare un campione di liquido pleurico per la
coltura.
Pochi aspetti clinici possono facilitare la diagnosi differenziale
della polmonite da Legionella da altre cause. La polmonite da
Legionella causa una malattia febbrile a esordio acuto, le radiografie evidenziano infiltrati che riempiono gli alveoli e non vi è
una risposta clinica agli antibiotici -lattamici ad ampio spettro
(penicilline e cefalosporine) o agli aminoglicosidici.
Un’infezione concomitante da altri patogeni si verifica nel
5-10% dei casi di malattia del legionario; pertanto, la coltura
di un altro potenziale patogeno polmonare non preclude la diagnosi di legionellosi.
Le segnalazioni di polmonite nosocomiale da Legionella nel
bambino evidenziano un esordio rapido, temperature superiori
a 38,5 °C, tosse, dolore toracico di tipo pleurico e dispnea nella
maggior parte dei casi. Sono comuni anche dolore addominale,
cefalea e diarrea. Le radiografie del torace dimostrano consolidamenti lobari o infiltrati bilaterali diffusi, e si osservano versamenti pleurici. I sintomi non rispondono al trattamento con
antibiotici -lattamici o aminoglicosidi. I fattori di rischio per la
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■
Legionella
■
1253
malattia del legionario nell’adulto comprendono le pneumopatie
croniche (fumo, bronchite), l’età avanzata, il diabete e l’insufficienza renale, l’immunosoppressione associata a trapianto d’organo, la terapia corticosteroidea ed episodi di aspirazione.
Il numero di casi segnalati di malattia del legionario acquisita
in comunità nel bambino è piccolo. Tra questi, una condizione di
immunocompromissione, specialmente da trattamento corticosteroideo, associata a esposizione ad acqua potabile contaminata
è il maggiore fattore di rischio. È stata segnalata l’infezione in
alcuni bambini con pneumopatia cronica senza deficit immunitari, ma un’infezione in bambini senza alcun fattore di rischio
è molto infrequente. Le modalità di trasmissione della malattia
acquisita in comunità nel bambino comprende l’esposizione a nebulizzati, acqua dolce, refrigeratori per acqua e altri apparecchi
che generano aerosol. L’infezione nosocomiale da Legionella si
verifica più frequentemente della malattia acquisita in comunità
nel bambino e le modalità di trasmissione comprendono microaspirazione, frequentemente associata a sondini nasogastrici, e
inalazione di aerosol. Le infezioni broncopolmonari da Legionella si manifestano in pazienti con fibrosi cistica e sono state
associate a terapia aerosolica o a tende per nebulizzazioni. La
malattia del legionario è stata inoltre riportata in pazienti pediatrici con asma e stenosi tracheale. La corticoterapia cronica per
l’asma è stata riportata come fattore di rischio per le infezioni
da Legionella nel bambino.
La febbre di Pontiac nell’adulto e nel bambino è caratterizzata
da febbre elevata, mialgie, cefalea ed estrema debilitazione, che
durano per alcuni giorni. Possono essere presenti tosse, dispnea,
diarrea, confusione e dolore toracico, ma non vi sono evidenze
d’infezione invasiva. La malattia è autolimitata senza sequele.
Virtualmente tutti gli individui esposti sviluppano una sieroconversione agli antigeni della Legionella. Un’ampia epidemia in
Scozia che ha interessato 35 bambini è stata attribuita alla L.
micdadei, isolata da un idromassaggio. L’esordio della malattia
è stato di 1-7 giorni (mediana 3 giorni) e tutti i bambini esposti
hanno sviluppato titoli significativi di anticorpi specifici per la L.
micdadei. La patogenesi della febbre di Pontiac non è nota. In
assenza di evidenze di una vera infezione, l’ipotesi più probabile
è che questa sindrome sia causata da una reazione tossica o da
ipersensibilità ad antigeni microbici o protozoari.
DIAGNOSI. La coltura di Legionella dall’espettorato, da altri campioni del tratto respiratorio, dal sangue o dai tessuti, è il gold
standard rispetto al quale si devono confrontare i metodi diagnostici indiretti. I campioni ottenuti dal tratto respiratorio che sono
contaminati dalla flora orale devono essere trattati e processati
per ridurre i contaminanti e quindi seminati su terreni selettivi.
Dal momento che queste sono metodiche lunghe e costose, molti
laboratori non processano i campioni per la coltura. Il test per
l’antigene urinario che identifica il sierogruppo I di Legionella
pneumophila ha una sensibilità dell’80% e una specificità del
99%. Il test è un metodo utile per una diagnosi immediata
di malattia del legionario causata da questo sierogruppo, che
comprende la maggior parte delle malattie sintomatiche. Negli
Stati Uniti, questo test è usato frequentemente in quanto è ampiamente disponibile nei laboratori di riferimento.
I microrganismi possono essere anche identificati presuntivamente attraverso lo screening anticorpale a immunofluorescenza
diretta, anche se la sensibilità del test è generalmente bassa nella
maggior parte dei laboratori, in parte a causa della mancanza
di antisieri diretti contro altri sierogruppi e specie di Legionella. Questo metodo non è riuscito a diagnosticare l’infezione
in diversi casi pediatrici ben documentati. Una diagnosi retrospettiva può essere posta sierologicamente utilizzando un test
d’immunoadsorbimento enzimatico o un test immunoenzimatico
per individuare gli anticorpi specifici. La sieroconversione può
non avvenire per diverse settimane dopo l’inizio dell’infezione e
i test sierologici disponibili non identificano tutti i ceppi di L.
pneumophila o tutte le specie. Considerata la scarsa sensibilità
dell’identificazione diretta e la lenta crescita del microrganismo
in coltura, in caso di evidenze cliniche suggestive, la diagnosi
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1254
■
PARTE XVI
■
Malattie infettive
di legionellosi deve essere perseguita attivamente, compresa la
mancata risposta agli antibiotici usuali, anche quando i risultati
di altri studi di laboratorio sono negativi.
TRATTAMENTO. Nella polmonite acquisita in comunità dell’adulto ospedalizzato, le linee guida raccomandano il trattamento
empirico con una cefalosporina ad ampio spettro più un macrolide o un chinolonico per il trattamento dei microrganismi
atipici (Legionella, Chlamydia pneumoniae, Mycoplasma pneumoniae). Un trattamento efficace della malattia del legionario si
basa in parte sulla concentrazione intracellulare degli antibiotici.
Molti anni fa l’eritromicina (40 mg/kg/die per os o ev), con o
senza rifampicina (15 mg/kg/die), era considerata una terapia
efficace. L’azitromicina (10 mg/kg in 1a giornata, senza superare i 500 mg/die, quindi 5 mg/kg/die per 4 giorni per os), la
claritromicina (15 mg/kg/die per os) e i chinolonici (ciprofloxacina, levofloxacina, trovafloxacina, sparfloxacina) hanno sostituito l’eritromicina come terapia per i pazienti con infezione da
Legionella diagnosticata. I chinolonici non sono approvati nei
bambini 18 anni di età. Nelle infezioni severe o nei pazienti ad
alto rischio è raccomandata inizialmente la terapia parenterale;
il passaggio alla terapia orale può essere effettuato quando il
paziente ha una risposta clinica. La durata della terapia orale
con azitromicina per la malattia del legionario nell’adulto è di
4 giorni, anche se la terapia può essere continuata nei pazienti
immunocompromessi. L’ipoacusia acuta, reversibile, è associata
alla terapia parenterale con alte dosi di macrolidi. Il trattamento
delle infezioni extrapolmonari, tra cui l’endocardite delle valvole
protesiche e le infezioni della ferita sternale, può richiedere una
terapia prolungata. In alternativa, può essere usato il trimetoprim-sulfametoxazolo (TMP-SMZ; 15 mg di TMP/kg/die e 75
mg di SMZ/kg/die).
PROGNOSI. Il tasso di mortalità per la malattia del legionario acquisita in comunità nell’adulto ospedalizzato è del 15% circa. La
prognosi dipende dai fattori dell’ospite sottostanti ed eventualmente dalla durata della malattia prima dell’inizio di una terapia
appropriata. Nonostante un’appropriata terapia antibiotica, i
pazienti possono soccombere alle complicanze respiratorie, come
la sindrome da distress respiratorio acuto, associato a ventilazione artificiale e intubazione. Nelle segnalazioni di casi in lattanti
e bambini prematuri, tutti virtualmente immunocompromessi, si
può notare un elevato tasso di mortalità.
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180-206ANA.indd 1254
Capitolo 206 ■ Bartonella Barbara W.
Stechenberg
Lo spettro patologico derivante dall’infezione umana da Bartonella spp. si è rapidamente espanso negli ultimi due decenni,
compresa l’associazione di angiomatosi bacillare con AIDS e
malattia da graffio di gatto, con l’esigente bacillo Gram-negativo
B. henselae. Cinque principali specie di Bartonella sono patogene
per gli esseri umani: B. bacilliformis, B. henselae, B. quintana, B.
elizabethae e, più recentemente, B. clarridgeiae. Diverse altre specie di Bartonella sono state ritrovate in animali, particolarmente
roditori e talpe (Tab. 206-1).
I membri del genere Bartonella sono bacilli Gram-negativi
aerobi, ossidasi-negativi ed esigenti che non fermentano i carboidrati. Soltanto una specie, la B. bacilliformis, è mobile per mezzo
di flagelli polari. La crescita ottimale si ottiene su terreni freschi
contenenti il 5% o più di sangue di pecora o cavallo in presenza
di anidride carbonica al 5%. L’uso della lisi-centrifugazione per
i campioni prelevati dal sangue su agar-cioccolato per periodi
prolungati (2-6 settimane) favorisce l’isolamento.
206.1 • BARTONELLOSI (BARTONELLA BACILLIFORMIS)
La prima infezione umana da Bartonella descritta è stata la
bartonellosi, una malattia geograficamente distinta causata dalla
B. bacilliformis, che provoca 2 forme predominanti di malattia:
la febbre di Oroya, un’anemia emolitica febbrile, e la verruca
peruviana (verruga peruana), un’eruzione di lesioni simil-angiomatose. Il microrganismo causa anche un’infezione asintomatica.
La bartonellosi è denominata anche malattia di Carrión in onore
dello studente di medicina peruviano che si inoculò il sangue di
una verruca e dopo 21 giorni sviluppò la febbre di Oroya. Egli
morì 39 giorni dopo l’inoculazione, provando in tal modo l’eziologia unitaria delle 2 forme cliniche.
EZIOLOGIA. La B. bacilliformis è un piccolo microrganismo Gramnegativo mobile, con 10 o più flagelli unipolari, che sembrano
essere una componente importante dell’invasività. Aerobio obbligato, cresce meglio a 28 °C in agar nutriente semisolido contenente siero ed emoglobina di coniglio.
EPIDEMIOLOGIA. La bartonellosi è una zoonosi che si osserva soltanto nelle vallate montane delle Ande in Perù, Ecuador, Colombia, Cile e Bolivia, ad altitudini e condizioni ambientali favorevoli
per il vettore, la mosca della sabbia Lutzomyia verrucarum.
TABELLA 206-1. Bartonella come causa di malattia umana
MALATTIA
MICRORGANISMO
VETTORE
Bartonellosi
B. bacilliformis
Malattia da graffio di
gatto
B. henselae
B. clarridgeiae
(1 caso)
B. Quintana
Mosca della sabbia
(Lutzomyia
verrucarum)
Gatto
Febbre delle trincee
Batteriemia,
endocardite
Angiomatosi bacillare
Peliosi epatica
B. henselae
B. quintana
B. elizabethae
B. henselae
B. quintana
B. henselae
B. quintana
Pidocchio del corpo
Gatto per B. henselae
Gatto per B. henselae
Gatto per B. henselae
FATTORE DI RISCHIO
PRIMARIO
Vivere in aree endemiche
(Ande)
Graffio o morso di gatto
Infestazione da pidocchi nel
corso di epidemie
Pazienti con immunocompromissione severa
Pazienti con immunocompromissione severa
Pazienti con immunocompromissione severa
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Capitolo 206
PATOGENESI. Dopo il morso della mosca, le bartonelle entrano
nelle cellule endoteliali dei vasi sanguigni, dove proliferano. Presenti in tutto il sistema reticoloendoteliale, esse quindi rientrano
nel circolo e parassitano gli eritrociti. Esse si legano alle cellule, ne
deformano la membrana e quindi entrano nei vacuoli intracellulari. La risultante anemia emolitica può interessare anche il 90%
degli eritrociti. I pazienti che sopravvivono a questa fase acuta
possono o meno sviluppare le manifestazioni cutanee, che sono
lesioni emangiomatose nodulari o verruche che possono variare
in dimensioni da pochi millimetri a diversi centimetri.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. Il periodo di incubazione è di 2-14
settimane. I pazienti possono essere totalmente asintomatici o
possono presentare sintomi non specifici come cefalea e malessere
senza anemia. La febbre di Oroya è caratterizzata da febbre con
rapido sviluppo di anemia. Obnubilamento del sensorio e delirio
sono sintomi comuni e possono progredire a psicosi conclamata.
L’esame obiettivo dimostra segni di anemia severa, ittero e pallore, che possono essere associati a linfoadenopatia generalizzata.
Nella fase pre-eruttiva della verruca peruviana (Fig. 206-1), i pazienti possono lamentare artralgie, mialgie e parestesie. Possono
svilupparsi reazioni infiammatorie come flebite, pleurite, eritema
nodoso ed encefalite. La comparsa delle verruche è patognomonica della fase eruttiva. Esse sono molto variabili per numero e
dimensioni.
DIAGNOSI. La diagnosi è posta su base clinica in associazione a
uno striscio di sangue che dimostra la presenza dei microrganismi
o con un’emocoltura. L’anemia è macrocitica e ipocromica, con
una conta reticolocitaria anche del 50%. Si può osservare la B.
bacilliformis con la colorazione di Giemsa sotto forma di bacilli
rosso-violetti all’interno degli eritrociti. Nella fase di guarigione,
questi microrganismi assumono una forma maggiormente coccoide e scompaiono dal sangue. In assenza di anemia, la diagnosi
dipende dall’emocoltura. Nella fase eruttiva, la presenza delle tipiche verruche conferma la diagnosi. Per documentare l’infezione
è stata utilizzata la ricerca degli anticorpi specifici.
TRATTAMENTO. La B. bacilliformis è sensibile a diversi antibiotici,
tra cui rifampicina, tetraciclina e cloramfenicolo. Il trattamento
è molto efficace nel ridurre rapidamente la febbre ed eradicare
il microrganismo dal circolo. Il cloramfenicolo (50-75 mg/kg/
die) è considerato il farmaco di scelta, perché è utile anche nel
trattamento di infezioni concomitanti come la Salmonella. Le
trasfusioni ematiche e la terapia di supporto sono critiche nei pazienti con anemia severa. Per la verruca peruviana si considera un
Figura 206-1. Una singola lesione di grandi dimensioni di verruca peruviana
sulla gamba di un abitante delle Ande peruviane. Tali lesioni tendono all’ulcerazione superficiale e in seguito alla loro natura vascolare si possono osservare
copiose emorragie. Sono evidenti anche ecchimosi sulla cute che circonda la
lesione. (Per gentile concessione del Dott. J.M. Crutcher, Oklahoma State
Department of Health, Oklahoma City.)
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Bartonella
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trattamento antibiotico quando vi sono 10 lesioni cutanee, se le
lesioni sono eritematose o violacee, o se l’esordio delle lesioni è
avvenuto 1 mese prima della presentazione. La rifampicina per
os è efficace nella guarigione delle lesioni. Può essere necessaria
l’escissione chirurgica per lesioni deformanti di grandi dimensioni
o per quelle che interferiscono con la funzione.
PREVENZIONE. La prevenzione dipende dall’evitamento del vettore, particolarmente di notte, mediante l’uso di indumenti protettivi e di repellenti per insetti (vedi Capitolo 173).
206.2 • MALATTIA DA GRAFFIO DI GATTO
(BARTONELLA HENSELAE)
La presentazione più comune dell’infezione da Bartonella è la
malattia da graffio di gatto (Cat Scratch Disease, CSD), che
rappresenta una linfadenite regionale subacuta causata da B.
henselae. Si tratta della causa più comune di linfadenite cronica
che persiste per più di 3 settimane.
EZIOLOGIA. La B. henselae è stata isolata dal sangue di un gatto
sano ed è stata utilizzata in studi sierologici che la indicavano
come la causa della CSD. Microrganismi di B. henselae sono
anche i piccoli bacilli Gram-negativi pleiomorfi visualizzati con
la colorazione di Warthin-Starry nei linfonodi affetti di pazienti
con CSD. Lo sviluppo di test sierologici che hanno evidenziato la prevalenza di anticorpi nell’84-100% dei casi di CSD, la
coltivazione di B. henselae dai linfonodi di pazienti con CSD e
l’identificazione della B. henselae con la reazione a catena della
polimerasi (Polymerase Chain Reaction, PCR) nella maggior parte dei campioni di linfonodi e del materiale purulento di pazienti
con CSD hanno confermato questo microrganismo come la causa
della CSD. Casi occasionali di CSD possono essere causati da altri
microrganismi; una segnalazione ha descritto un veterinario con
CSD da B. clarridgeiae.
EPIDEMIOLOGIA. La CSD è una malattia comune con più di 24 000
casi stimati per anno negli Stati Uniti. È trasmessa per inoculazione cutanea. La maggior parte dei pazienti (87-99%) ha avuto
contatto con gatti, molti dei quali erano gattini 6 mesi di età,
e 50% ha un’anamnesi definita di un graffio o di un morso di
gatto. I gatti presentano una batteriemia da Bartonella di grado
elevato per diversi mesi senza sintomi clinici; i gattini sono più
spesso batteriemici dei gatti adulti. L’esatto meccanismo della
trasmissione dal gatto all’uomo rimane da chiarire. La trasmissione tra gatti avviene attraverso un artropode, la pulce del gatto
(Ctenocephalides felis). Nelle aree temperate, la maggior parte dei
casi si verifica tra settembre e marzo. Ciò può essere correlato
alla riproduzione stagionale dei gatti domestici o a una maggiore
prossimità agli animali domestici della famiglia in autunno e in
inverno. Nelle aree tropicali non esiste prevalenza stagionale.
La distribuzione è mondiale e l’infezione si presenta in tutte le
etnie.
I graffi di gatto sembrano essere più comuni nei bambini e i
maschi sono più interessati delle femmine. La CSD è una malattia
sporadica, di solito è affetto soltanto un membro della famiglia,
anche se molti bambini giocano con lo stesso gattino. Tuttavia,
si possono avere cluster di casi familiari entro qualche settimana
l’uno dall’altro. Segnalazioni aneddotiche hanno indicato altre
fonti, come graffi di cani, schegge di legno, ami da pesca, spine
di cactus e spine di porcospino.
PATOGENESI. Gli aspetti patologici della papula primaria d’inoculazione e dei linfonodi affetti sono simili. Entrambi presentano
un’area necrotica avascolare centrale circondata da linfociti, cellule giganti e istiociti. Nei linfonodi affetti si verificano 3 diverse
fasi d’interessamento, anche se possono coesistere nello stesso
linfonodo. Dapprima compare un aumento di volume generalizzato con aumento di volume della corticale e ipertrofia dei
centri germinali. Predominano i linfociti. Granulomi epitelioidi
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PARTE XVI
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Malattie infettive
con cellule giganti di Langhans sono sparsi in tutto il linfonodo.
Nella fase intermedia, i granulomi divengono più numerosi, si
fondono e vengono infiltrati da leucociti polimorfonucleati. In
questa fase inizia la necrosi centrale di questi granulomi, con
progressione all’ultima fase e formazione di ampi tratti sinusali
ricolmi di materiale purulento. Il materiale purulento può farsi
strada anche nei tessuti circostanti. Granulomi simili sono stati
osservati nel fegato come anche lesioni ossee osteolitiche nel caso
di interessamento di questi organi.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. Dopo un periodo d’incubazione di
7-12 giorni (range 3-30 giorni), una o più papule rosse di 3-5 mm
si sviluppano a livello del sito d’inoculazione cutanea, spesso con
la disposizione di un graffio di gatto di forma lineare. A causa
delle loro piccole dimensioni, queste lesioni sono spesso trascurate, ma con una ricerca attenta si possono osservare in almeno
2/3 dei pazienti (Fig. 206-2). La linfoadenopatia è generalmente
evidente entro un periodo di 1-4 settimane (Fig. 206-3). Una linfadenite regionale cronica è il segno distintivo e interessa il 1° o
il 2° gruppo di linfonodi che drenano il sito d’entrata. I linfonodi
affetti in ordine di frequenza comprendono i linfonodi ascellari,
cervicali, sottomandibolari, preauricolari, epitrocleari, femorali
e inguinali. L’interessamento di più di un gruppo si verifica nel
10-20% dei pazienti anche se, in un determinato sito, in metà dei
casi vi è l’interessamento di diversi linfonodi.
I linfonodi interessati sono di solito dolenti ed è presente un
eritema sovrastante, ma senza cellulite. Essi di solito variano in
dimensioni tra 1 cm e 5 cm, anche se possono diventare molto
più grandi. La suppurazione si verifica infine nel 10-40% dei
casi. La durata dell’ingrossamento dei linfonodi è di solito di 1-2
mesi, con una persistenza fino a 1 anno in rari casi. Febbre, di
solito una temperatura di 38-39 °C, è presente nel 30% circa dei
pazienti. Altri sintomi non specifici, tra cui malessere, anoressia,
astenia e cefalea, interessano meno di 1/3 dei pazienti. Un rash
transitorio si può osservare nel 5% circa dei pazienti. Questo
consiste soprattutto in un rash maculopapuloso troncale; sono
stati segnalati anche eritema nodoso, eritema multiforme ed eritema anulare.
La più comune presentazione atipica, osservata nel 2-17% dei
pazienti, è la sindrome oculoghiandolare di Parinaud, che è una
congiuntivite unilaterale seguita da linfoadenopatia preauricolare
(Fig. 206-4). La presunta modalità di diffusione è l’inoculazione
oculare diretta in seguito allo sfregamento con le mani dopo
contatto con un gatto. A livello del sito d’inoculo si può osservare
un granuloma congiuntivale. L’occhio interessato di solito non è
dolente e le secrezioni purulente sono scarse o assenti, ma può
essere molto arrossato ed edematoso. Può anche essere presente
una linfoadenopatia sottomandibolare o cervicale. La CSD è di
Figura 206-2. Bambino con tipica malattia da graffio di gatto che evidenzia
i graffi originari e la papula primaria che subito dopo si è sviluppata prossimalmente al dito medio. (Per gentile concessione del Dott. V.H. San Joaquin,
University of Oklahoma Health Sciences Center, Oklahoma City.)
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Figura 206-3. Una linfoadenopatia ascellare destra ha fatto seguito ai graffi e
allo sviluppo di una papula primaria in questo bambino con tipica malattia
da graffio di gatto, lo stesso della Figura 206-2. (Da Mandell GL, Bennett JE,
Dolin R [editors]: Principles and Practice of Infectious Diseases, 6th ed, Vol
2. Philadelphia, Elsevier, 2006, p 2737.)
solito un’infezione autolimitata con risoluzione spontanea entro
poche settimane o mesi.
Una malattia più severa e disseminata si verifica in una piccola
percentuale di pazienti. Questi pazienti si presentano con febbre
elevata spesso persistente per diverse settimane. Anche se i sintomi sistemici sono di solito più pronunciati che nella linfadenite
isolata, essi sembrano spesso correlati alla febbre, con l’eccezione
del dolore addominale e del calo ponderale, che possono essere
entrambi molto marcati. Può essere presente una epatosplenomegalia, anche se la disfunzione epatica è rara (Fig. 206-5).
Alterazioni granulomatose possono essere osservate nel fegato e
nella milza. Un altro comune sito di disseminazione è l’osso, con
lo sviluppo di lesioni osteolitiche granulomatose. Queste sono
di solito associate a dolore localizzato, senza eritema, dolenzia
o tumefazione. Altre manifestazioni infrequenti comprendono
neuroretinite con papilledema ed essudati maculari a stella, encefalite, febbre di origine sconosciuta e polmonite atipica.
DIAGNOSI. Nella maggior parte dei casi, la diagnosi può essere
fortemente sospettata su basi cliniche con l’anamnesi di un’esposizione a un gatto. I Centers for Disease Control and Prevention
hanno sviluppato un test di immunofluorescenza indiretta (Indirect Immunofluorescent Assay, IFA) che ha dimostrato una buona correlazione con la malattia. Sono disponibili in commercio
altri test IFA ed enzimatici, anche se sono disponibili pochi dati
di confronto. La maggior parte dei pazienti presenta un aumento
dei titoli anticorpali alla presentazione; tuttavia, il timing della
risposta IgG e IgM alla B. henselae può essere molto variabile.
Esiste una cross-reattività tra le varie specie di Bartonella, in
particolare la B. henselae e la B. quintana.
Se sono disponibili campioni tissutali, i bacilli possono essere
visualizzati con le colorazioni di Gram per tessuti di WarthinStarry e Brown-Hopp. Il DNA della Bartonella può essere identificato con la PCR su campioni di tessuti. La coltura del microrganismo non è pratica ai fini clinici. L’uso di un antigene per test
cutanei preparato mediante il trattamento con il calore dell’aspirato purulento da un linfonodo CSD è fortemente sconsigliabile
a causa della mancanza di standardizzazione e della potenziale
trasmissione di agenti infettivi.
Diagnosi differenziale. La diagnosi differenziale della CSD comprende virtualmente tutte le cause di linfoadenopatia (vedi Capitolo 490). Le entità più comuni comprendono la linfadenite
piogena, primariamente da infezioni stafilococciche o streptococciche, infezioni da micobatteri atipici e le neoplasie maligne.
Le entità meno comuni comprendono tularemia, brucellosi o
sporotricosi. Le infezioni da virus di Epstein-Barr, Cytomegalo-
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Capitolo 206
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Bartonella
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Figura 206-4. La congiuntivite granulomatosa
della sindrome oculoghiandolare di Parinaud è
associata a linfoadenopatia locale ipsilaterale, di
solito preauricolare e meno comunemente sottomandibolare. (Da Mandell GL, Bennett JE, Dolin
R [editors]: Principles and Practice of Infectious
Diseases, 6th ed, Vol 2. Philadelphia, Elsevier,
2006, p 2739.)
Figura 206-5. In questa immagine TC di un paziente con interessamento
epatico della malattia da graffio di gatto, l’assenza di enhancement delle lesioni multiple dopo infusione di contrasto è compatibile con l’infiammazione
granulomatosa di questa entità. Trattato empiricamente con vari antibiotici senza miglioramento prima di aver stabilito questa diagnosi, il paziente
successivamente è completamente guarito senza ulteriore terapia antibiotica.
(Per gentile concessione del Dott. V.H. San Joaquin, University of Oklahoma
Health Sciences Center, Oklahoma City.)
virus o Toxoplasma gondii di solito causano una linfoadenopatia
più generalizzata.
INDAGINI DI LABORATORIO. Le indagini di laboratorio di routine
non sono utili. La VES è spesso elevata. La conta leucocitaria può
essere normale o leggermente elevata. Le transaminasi epatiche
possono essere elevate nella malattia sistemica. L’ecografia o la
TC possono rivelare molti noduli granulomatosi nel fegato e nella
milza, che appaiono sotto forma di lesioni irregolari rotondeggianti ipodense.
TRATTAMENTO. Il trattamento antibiotico della CSD non è sempre
necessario e non è chiaramente utile. Nella maggior parte dei pazienti, il trattamento consiste in una terapia sintomatica conser-
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vativa e nell’osservazione. Gli studi dimostrano una discordanza
significativa tra attività in vitro degli antibiotici ed efficacia clinica. In molti pazienti, la diagnosi viene presa in considerazione
nel contesto della mancata risposta alla terapia con antibiotici
-lattamici di una presunta linfadenite stafilococcica. Un piccolo studio prospettico con azitromicina per os (500 mg il 1° giorno, quindi 250 mg in 2-5a giornata; nei bambini più piccoli, 10
mg/kg/die in 1a giornata e 5 mg/kg/die in 2-5a giornata) ha
dimostrato una riduzione del volume linfonodale nel 50% dei
pazienti nei primi 30 giorni, ma dopo 30 giorni non vi erano
differenze riguardo al volume dei linfonodi. Non è stato osservato alcun altro beneficio clinico. Nella maggior parte dei pazienti, la malattia è autolimitata, con risoluzione in un periodo
variabile tra qualche settimana e qualche mese, e il trattamento
apporta un minimo beneficio clinico o non ne ha affatto. In
caso si prenda in considerazione la necessità di un trattamento, azitromicina, claritromicina, trimetoprim-sulfametoxazolo,
rifampicina, ciprofloxacina e gentamicina sembrano essere gli
agenti più efficaci.
I linfonodi suppurati che divengono tesi ed estremamente dolenti devono essere drenati con agoaspirazione, che può dover
essere ripetuta. Si devono evitare incisione e drenaggio dei linfonodi non suppurati, in quanto possono derivarne fistole con
drenaggio cronico. Raramente è necessaria l’escissione chirurgica
del linfonodo.
I bambini con CSD epatosplenica sembrano rispondere bene alla rifampicina, sia da sola, sia in combinazione con trimetoprimsulfametoxazolo. Questi pazienti di solito ricevono la rifampicina
alla dose di 20 mg/kg per 14 giorni.
COMPLICANZE. Un’encefalopatia si manifesta in almeno il 5% dei
pazienti e caratteristicamente si manifesta 1-3 settimane dopo
l’esordio della linfadenite con l’esordio improvviso di sintomi
neurologici che spesso comprendono convulsioni, comportamento violento o bizzarro e alterazione del livello di coscienza. Gli
studi di imaging sono generalmente normali. Il liquido cerebrospinale è normale o evidenzia una minima pleiocitosi e un
aumento delle proteine. La guarigione avviene senza sequele in
quasi tutti i pazienti, ma è lenta e richiede molti mesi.
Altre manifestazioni neurologiche comprendono paralisi del
nervo facciale periferico, mielite, radicolite, neuropatia da com-
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PARTE XVI
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Malattie infettive
pressione e atassia cerebellare. È stato segnalato un paziente con
encefalopatia che ha presentato un deficit cognitivo e una perdita
della memoria persistenti.
La retinopatia maculare stellata è stata associata a diverse
infezioni, compresa la CSD. Bambini e giovani adulti si presentano con una perdita del visus unilaterale o raramente bilaterale
con scotoma centrale, edema del disco ottico e formazione di
stella maculare da essudati che si irradiano dalla macula. Queste
alterazioni di solito si risolvono completamente con recupero
del visus, di solito entro 2-3 mesi. Il trattamento ottimale della
neuroretinite è sconosciuto, anche se gli adulti sono stati trattati con doxiciclina e rifampicina per 4-6 settimane con buoni
risultati.
Le manifestazioni ematologiche comprendono anemia emolitica, porpora trombocitopenica, porpora non trombocitopenica
ed eosinofilia. Una vasculite leucocitoclastica simile alla porpora
di Henoch-Schönlein è stata segnalata in associazione a CSD in
un bambino.
È stata anche segnalata una presentazione sistemica della CSD
con pleurite, artralgie o artrite, masse mediastiniche, aumento
di volume dei linfonodi della testa del pancreas e polmonite
atipica.
PROGNOSI. La prognosi della CSD in un ospite normale è generalmente eccellente, con risoluzione dei sintomi clinici nel giro
di diversi mesi. Occasionalmente la guarigione è più lenta e può
richiedere anche un anno.
PREVENZIONE. La diffusione interumana delle infezioni da Bartonella non è nota. Non è necessario l’isolamento. La prevenzione
richiederebbe l’eliminazione dei gatti dall’ambiente domestico, cosa non pratica né necessariamente desiderabile. La consapevolezza del rischio rappresentato dai graffi dei gatti (e particolarmente
dei gattini) deve essere comunque sottolineata ai genitori.
206.3 • FEBBRE DELLE TRINCEE (BARTONELLA
QUINTANA)
EZIOLOGIA. L’agente causale della febbre delle trincee è stato inizialmente designato come Rickettsia quintana, quindi è stato
assegnato al genere Rochalimaea e successivamente è stato ridefinito come B. quintana.
EPIDEMIOLOGIA. La febbre delle trincee è stata per la prima
volta riconosciuta come una distinta entità clinica durante
la Prima Guerra Mondiale, quando più di un milione di soldati delle trincee contrasse l’infezione. La malattia è rimasta
quiescente fino alla Seconda Guerra Mondiale, quando ha di
nuovo assunto dimensioni epidemiche. È estremamente rara
negli Stati Uniti.
Gli esseri umani sono gli unici serbatoi noti, nessun altro animale è infettato naturalmente né sono sensibili i normali animali
da laboratorio.
Il pidocchio del corpo umano, Pediculus humanus varietà corporis, è il vettore, capace di trasmissione a un nuovo ospite 5-6
giorni dopo avere morso un soggetto infetto. I pidocchi eliminano il microrganismo per tutto il loro ciclo vitale; non si verifica
passaggio transovarico.
Gli esseri umani possono avere una batteriemia asintomatica
prolungata per anni.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. Il periodo di incubazione è in media
di 22 giorni (range 4-35 giorni). La presentazione clinica è altamente variabile. I sintomi possono essere molto lievi e di breve
durata. Circa la metà dei soggetti infetti ha una singola malattia
febbrile con esordio improvviso che dura 3-6 giorni. In altri
soggetti può manifestarsi una febbre prolungata e continua. Più
frequentemente, i pazienti hanno una malattia febbrile periodica
con 3-8 episodi che durano ciascuno 4-5 giorni, che talvolta si
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verificano in un periodo di 1 anno o più. Questa forma ricorda
la malaria o la febbre ricorrente (Borrelia recurrentis). Si può
verificare una batteriemia afebbrile.
I sintomi clinici di solito comprendono febbre (di solito la
temperatura è di 38,5-40 °C), malessere, brividi, sudorazione,
anoressia e cefalea severa. Sintomi comuni sono una marcata
iniezione congiuntivale, tachicardia, mialgie, artralgie e dolore
intenso a livello di collo, schiena e gambe. Gruppi di macule o papule eritematose possono presentarsi sul tronco anche nell’80%
dei pazienti. Possono essere presenti splenomegalia o una lieve
epatomegalia.
DIAGNOSI. Nelle situazioni non epidemiche è impossibile porre
la diagnosi di febbre delle trincee su base clinica, in quanto i
segni e sintomi non sono distintivi. Un’anamnesi d’infestazione
da pidocchi del corpo o di permanenza in un’area di malattia
epidemica deve sollevare il sospetto.
La B. quintana può essere coltivata dal sangue con accorgimenti per comprendere la coltura su cellule epiteliali. Sono disponibili
test sierologici per la B. quintana, ma vi è una cross-reazione con
la B. henselae.
TRATTAMENTO. Non esistono trial clinici controllati; i pazienti
con febbre delle trincee hanno risposto rapidamente alla tetraciclina e al cloramfenicolo con rapida defervescenza.
206.4 • ANGIOMATOSI BACILLARE E PELIOSI EPATICA
BACILLARE (BARTONELLA HENSELAE E BARTONELLA
QUINTANA)
Sia la B. henselae sia la B. quintana causano 2 patologie proliferative vascolari, l’angiomatosi bacillare e la peliosi bacillare in
soggetti gravemente immunocompromessi, soprattutto in pazienti
adulti con AIDS o neoplasie maligne oppure in soggetti sottoposti
a trapianto. Le lesioni sottocutanee e le lesioni osteolitiche sono
fortemente associate alla B. quintana, mentre la peliosi epatica è
associata esclusivamente alla B. henselae.
ANGIOMATOSI BACILLARE. Le lesioni dell’angiomatosi bacillare
cutanea, nota anche come angiomatosi epitelioide, sono la forma
più nota e facilmente diagnosticabile di infezione da Bartonella
negli ospiti immunocompromessi. Esse si osservano primariamente nei pazienti con AIDS con conta di CD4 molto ridotta. L’aspetto clinico può essere molto diverso. Le lesioni vasoproliferative
dell’angiomatosi bacillare possono essere cutanee o sottocutanee
e assomigliano alle lesioni vascolari (verruca peruviana) da B.
bacilliformis nei soggetti immunocompetenti. Si tratta di papule
eritematose su una base eritematosa con un collaretto di squame.
Esse possono ingrandirsi formando grandi lesioni peduncolate.
Può far seguito un’ulcerazione, come anche un’emorragia profusa
in seguito a un trauma.
L’angiomatosi bacillare può essere clinicamente indistinguibile dal sarcoma di Kaposi. Altre considerazioni nella diagnosi
differenziale sono il granuloma piogeno e la verruca peruviana
(B. bacilliformis). Le masse profonde dei tessuti molli causate
dall’angiomatosi bacillari possono simulare una neoplasia maligna.
Le lesioni dell’angiomatosi bacillare ossea interessano comunemente le ossa lunghe. Queste lesioni litiche sono molto dolorose
e altamente vascolarizzate.
Al di sopra di una di queste lesioni si può osservare occasionalmente una placca eritematosa. L’elevato grado di vascolarizzazione, che produce un risultato fortemente positivo alla scintigrafia
ossea con tecnezio-99-metilene difosfonato, rende queste lesioni
simili a neoplasie maligne.
Le lesioni possono trovarsi virtualmente in ogni organo, producendo lesioni proliferative vascolari simili. All’endoscopia o
alla broncoscopia queste possono apparire rilevate, nodulari o
ulcerative. Esse possono essere associate ad aumento di volume
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Capitolo 206
dei linfonodi con o senza un’evidente lesione cutanea locale.
In un caso sono state descritte lesioni a livello del parenchima
cerebrale.
PELIOSI BACILLARE. La peliosi bacillare interessa il sistema reticoloendoteliale, primariamente il fegato (peliosi epatica) e meno frequentemente milza e linfonodi. Si tratta di un disordine
vasoproliferativo caratterizzato dalla proliferazione casuale di
laghi venosi circondati da uno stroma fibromixoide contenente
numerosi bacilli. Segni e sintomi comprendono febbre e dolore
addominale in associazione con risultati anomali dei test di funzionalità epatica, in particolare un marcato aumento del livello
della fosfatasi alcalina. Possono essere associate un’angiomatosi
bacillare o una splenomegalia, con o senza trombocitopenia o
pancitopenia.
Le lesioni proliferative vascolari del fegato e della milza appaiono alla TC come lesioni ipodense sparse nel parenchima. La
diagnosi differenziale comprende sarcoma di Kaposi, linfoma e
l’infezione disseminata da Pneumocystis carinii o da complesso
di Mycobacterium avium.
BATTERIEMIA ED ENDOCARDITE. Sono state segnalate batteriemia o endocardite da B. henselae, B. quintana e B. elizabethae,
associate a sintomi come febbre prolungata, sudorazione notturna e calo ponderale marcato. Un cluster di casi a Seattle
nel 1993 si è verificato in una popolazione di senzatetto con
alcolismo cronico. Si è ritenuto che questi pazienti con febbre
elevata o ipotermia rappresentassero la “febbre delle trincee
urbana”, ma non era associata un’infestazione da pidocchi del
corpo. Alcuni casi di endocardite con coltura negativa possono
rappresentare un’endocardite da Bartonella. Una segnalazione
ha descritto l’interessamento del sistema nervoso centrale in
due bambini.
DIAGNOSI. La diagnosi di angiomatosi bacillare viene inizialmente posta con la biopsia. La caratteristica proliferazione dei
piccoli vasi con risposta infiammatoria mista e colorazione dei
bacilli con colorazione all’argento di Warthin-Starry la distingue
dal granuloma piogeno o dal sarcoma di Kaposi (vedi Capitolo
254). L’anamnesi dei viaggi può di solito escludere la verruca
peruviana.
La coltura non è pratica per la CSD, ma è la procedura diagnostica nel sospetto di batteriemia o endocardite. L’uso della tecnica
di lisi-centrifugazione o di agar con infusione di cioccolato o
cuore fresco e con sangue di coniglio al 5% con incubazione
prolungata possono migliorare i risultati della coltura. Anche la
PCR può essere uno strumento diagnostico utile.
TRATTAMENTO. Le infezioni da Bartonella in ospiti immunocompetenti causate dalla B. henselae e dalla B. quintana sono
state trattate con successo con agenti antimicrobici. L’angiomatosi bacillare risponde rapidamente a eritromicina, azitromicina o claritromicina, che rappresentano i farmaci di scelta.
Scelte alternative sono doxiciclina o tetraciclina. I pazienti
con malattia severa come peliosi epatica, endocardite o oste-
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Bartonella
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omielite possono essere trattati inizialmente con eritromicina
o doxiciclina ev con l’aggiunta di rifampicina o gentamicina.
L’uso di un aminoglicoside per un minimo di 2 settimane è
associato a una prognosi migliore dell’endocardite. Può verificarsi una reazione di Jarisch-Herxheimer. Possono far seguito
delle recidive e può essere necessario un trattamento prolungato per diversi mesi.
PREVENZIONE. I soggetti immunocompromessi devono prendere
in considerazione i rischi potenziali legati al possesso di gatti a
causa del rischio di infezioni da Bartonella, come anche di toxoplasmosi e di infezioni enteriche. Quelli che scelgono di adottare
o acquistare un gatto devono procurarsi un gatto 1 anno di età
e in buona salute.
È essenziale l’immediato lavaggio di qualsiasi ferita da morso
o da graffi del gatto.
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23-09-2008 12:38:49
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