SETTIMANA n. 4/03

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SETTIMANA 19-2011:Layout 1 10/05/2011 17.28 Pagina 12
problemi
CRITERI E LINEE OPERATIVE PER REALIZZARE UNA FORMAZIONE PERMANENTE EVOLUTIVA
LA FORMAZIONE PERMANENTE
PER ESSERE PASTORI AUTENTICI
Non basta assicurare dei corsi o dei ritiri periodici, o delegare a commissioni istituzionali il lavoro di
formazione. Sono tanti e tali oggi i problemi del presbitero, sia personali che attinenti al suo ministero,
che occorre sviluppare un monitoraggio continuo e permanente.
L
a scelta della chiesa italiana di
dare priorità al metodo educativo per l’evangelizzazione del prossimo decennio pone l’accento non solo sulla risoluzione delle tante emergenze di questo tempo di cambiamenti radicali, ma anche sulla necessità di lasciare che l’aspetto formativo possa pervadere i diversi ambiti
della Chiesa, intesa come “comunità
educante”. Ivi compresa la formazione permanente dei sacerdoti, qualificata «come “fedeltà” al ministero
sacerdotale e come “processo di continua conversione”».1
In un tempo in cui ci si accorge di
quanto sia complesso e difficile formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita, i vescovi richiamano la centralità del compito educativo perché anche ciò che è motivo di disagio possa tradursi in una
rinnovata docilità allo Spirito, attraverso un lavoro di ri-apprendimento
dei valori che danno senso alla propria esistenza.2
Quale futuro per la formazione
permanente nella pastorale. Il compito educativo sollecitato dai vescovi investe a pieno titolo i ministri della pastorale, perché si avverte forte
l’esigenza di rinnovare il modo di
concepire la loro formazione permanente. Non ci si accontenta più di un
semplice “aggiornamento culturale”,
ma occorre un modo nuovo di rispondere alle diverse emergenze che
interpellano e il loro lavoro e la loro vita, soprattutto quando ci sono situazioni difficili che possono mettere a rischio non solo la loro salute
psichica ma anche la loro stessa identità sacerdotale.
«La formazione permanente aiuta
il sacerdote a superare la tentazione
di ricondurre il suo ministero ad un
attivismo fine a se stesso, ad una impersonale prestazione di cose, sia pure spirituali o sacre, ad una funzione
impiegatizia al servizio dell’organizzazione ecclesiastica. Solo la formazione permanente aiuta il prete a custodire con vigile amore il “mistero”
che porta in sé per il bene della Chiesa e dell’umanità».3
Dinanzi alle urgenze della società
attuale, la Chiesa non può più permettersi al proprio interno una formazione permanente episodica ed
occasionale, fatta di qualche ritiro o
di qualche anno sabbatico, né può limitarsi all’impatto emotivo del momento, o al ripristino di uno stato di
salute e di benessere psicologico fi-
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ne a se stesso. Ma vuole promuovere un metodo che guardi al futuro
con competenza e preparazione, con
“spazi adeguati” di monitoraggio e di
rielaborazione delle situazioni e delle problematiche che i pastori vivono. È un metodo che investe le motivazioni di fondo del rinnovamento,
da armonizzare in un progetto di vita riconosciuto come dono. «Una vera relazione educativa richiede l’armonia e la reciproca fecondazione tra
sfera razionale e mondo affettivo, intelligenza e sensibilità, mente, cuore
e spirito. La persona viene così orientata verso il senso globale di se stessa e della realtà».4
Quindi si tratta di un processo formativo che deve aiutare a individuare le radici della propria identità sacerdotale, così come deve aiutare a
riscoprire il processo evolutivo della
propria crescita psico-affettiva, che è
parte integrale della risposta vocazionale di ogni uomo.5
In tale continuum formativo sono
integrati diversi livelli di intervento
che servono a dare forma e consistenza all’identità umana e spirituale di chi, pur avendo risposto ad una
chiamata vocazionale, vuole ancora
lasciarsi modellare dall’azione creativa dello Spirito.
Del resto, non è possibile essere
esperti di carità e di comunione pastorale senza un approccio educativo
al proprio stile di vita, senza cioè monitorare e supervisionare il proprio
modo di vivere il vangelo nelle relazioni con la gente. Così come non è
possibile che non ci siano adeguate
strutture e contesti operativi capaci
di far fronte alle difficoltà e ai bisogni nei diversi contesti pastorali in
cui la Chiesa opera.
Per questo occorre ravvivare una
sensibilità comune, per dare forma a
dei nuclei di formazione che operino
con questa prospettiva di continuità,
con ritmi diversificati di cammino e
di crescita a seconda delle situazioni
che le persone devono affrontare. La
radicalità delle domande di religiosità autentica che il mondo pone a
chi evangelizza deve diventare una
priorità per gli operatori pastorali,
perché siano fedeli nella loro risposta e nel loro stile di vita.
Privilegiare un metodo evolutivo
di formazione permanente. Il compito educativo è un processo che continua lungo l’arco della propria esistenza, e coinvolge la persona nelle
sue motivazioni profonde. «Educare
richiede un impegno nel tempo, che
non può ridursi a interventi puramente funzionali e frammentari».6
L’attenzione educativa che la persona deve avere serve a conciliare la
meta da raggiungere con l’attenzione
al proprio cammino, alle situazioni di
vita, ai problemi, alle difficoltà, ai ritmi diversificati. Ciò richiede una sapiente elasticità ed un continuo rinnovamento per armonizzare le diverse componenti di sé con il significato
vocazionale della propria esistenza.7
Diventa quanto mai prioritario delineare un profilo operativo di formazione permanente che sia di vero
accompagnamento della persona, capace di seguirne l’evoluzione e la maturazione in quanto mette al centro
lo sviluppo della sua identità vocazionale, confrontandola con la meta
della santità che è chiamata a raggiungere.
Se l’individuo impara a conoscere
e ad elaborare le crisi che emergono
nei diversi aspetti della sua storia evolutiva, potrà consolidare una maturazione che lo proietta “oltre” se stesso, per giungere ad una pienezza di
vita che corrisponde al suo progetto
vocazionale.8
La formazione permanente ha il
compito di facilitare tale consapevolezza. Lungo il percorso evolutivo, essa aiuta a orientarsi continuamente
verso il progetto di vita corrispondente alla propria chiamata. È questa progettualità, riconosciuta come
dono di Dio, che dà senso alle scelte che la persona deve operare per
riallinearsi con l’opzione di fondo
della propria esistenza.
Creare dei nuclei operativi per la
formazione permanente. Un percorso di formazione evolutiva deve suggellare il ritorno all’essenziale della
propria chiamata vocazionale, ma deve anche inserirsi nei problemi e nelle difficoltà reali che richiedono risposte di senso. I presbiteri sono chiamati in prima persona a coniugare insieme l’ideale professato con una
sempre maggiore sensibilità alle situazioni concrete che vivono a livello intrapsichico e interpersonale. Tutto questo comporta il rischio di un
sovraccarico che a volte è difficile da
gestire, soprattutto quando mette a
nudo le fragilità psicologiche del soggetto, lì dove c’è un Io non sufficientemente strutturato.
Lo sviluppo di un processo evolutivo di formazione permanente dovrà coniugare diversi livelli di intervento, che tengano conto delle situazioni in cui la persona si trova, per
integrarle lungo un percorso di crescita e di cambiamento.
Obiettivo primario è di lavorare
sull’autoconoscenza e sulle relazioni
interpersonali con un metodo educativo che sia “qualificato” nelle metodologie e “continuativo” nello stile. Tale approccio non vuole essere
solo informativo, ma anzitutto applicativo, perché possa far acquisire
competenze specifiche nel campo
delle risorse umane e relazionali, per
prevenire e modificare comportamenti psico-affettivi disfunzionali
nell’attività sacerdotale e pastorale.
Dalle richieste di quanti vivono situazioni vocazionali difficili, si sente
forte l’esigenza di uno stile di supporto di questo genere, che abbia
competenza e professionalità nei diversi ambiti di intervento (a livello
spirituale, psicologico, morale…),
perché si vuole che gli interventi di
formazione permanente incidano
nella vita reale dei soggetti.
Per questo non basta assicurare
dei corsi o dei ritiri periodici, o delegare a commissioni istituzionali il
lavoro di formazione, che invece dovrebbe coinvolgere tutti. Occorre
piuttosto sviluppare uno stile di monitoraggio permanente, che si traduce in una continua attenzione e vigilanza ai diversi percorsi di vita, alle proprie capacità, ai propri doni,
ma anche ai propri difetti e alle proprie fragilità psichiche, spirituali e
motivazionali, per essere fedeli ad
una missione che sia sulle orme di
Cristo buon Pastore.
Livelli operativi di una formazione permanente evolutiva. Sottolineare l’aspetto evolutivo e processuale
della formazione permanente nella
vita dei presbiteri significa cogliere
l’invito dei vescovi, quando affermano che «la risposta al dono della vita si attua nel corso dell’esistenza.
L’immagine del cammino ci fa comprendere che l’educazione è un processo di crescita che richiede pazienza. Progredire verso la maturità impegna la persona in una formazione
permanente, caratterizzata da alcuni
elementi chiave: il tempo, il coraggio,
la meta».9
La risposta dei presbiteri al dono
della chiamata vocazionale esige una
continua e paziente progressione verso la meta. Tale processo orientativo
comporta l’attenzione ad alcuni
aspetti psicologici che possiamo sintetizzare nel modo seguente.
Anzitutto occorre formarsi alle tematiche educative, conoscerne le dinamiche costruttive o disadattive, ma
anche imparare ad applicare tale cosettimana /15 maggio 2011/n. 19
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