Secondo Arco temp. Spagna scoperta conqu.

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2°ARCO TEMPORALE
SCOPERTA, CONQUISTA COLONIZZAZIONE
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- SPAGNA: SCOPERTA E CONQUISTA
I viaggi di Colombo e le prime esplorazioni
Nell’aprile del 1492, circa tre mesi dopo la presa di Granada, vengono firmate le
Capitolazioni di Santa Fe, accordi con cui i sovrani spagnoli concedono a Colombo, in caso di
esito favorevole dell’impresa, i titoli di Ammiraglio del Mare Oceano, Vicerè e Governatore delle
terre eventualmente scoperte, un decimo delle ricchezze accumulate durante l’impresa e un ottavo
dei guadagni ricavati dalla spedizione. La ricerca di una via occidentale per l’oriente costituisce
l’unica alternativa che il trattato di Alcaçovas-Toledo lascia alla Spagna per raggiungere le Indie
senza violare il monopolio portoghese, ed è questa la ragione principale che spinge i sovrani
spagnoli a cedere alle richieste del marinaio genovese.
L’impresa viene finanziata da Luis de Santángel, il tesoriere privato della corona, e dallo
stesso Colombo, il quale può ricorrere ad un prestito concessogli da un banchiere fiorentino
residente a Siviglia e da alcuni amici genovesi.
La spedizione - costituita da una nao basca a velatura mista, la Santa Maria, due caravelle,
la Pinta e la Niña, ed un equipaggio complessivo di un centinaio di uomini – parte dal porto di
Palos il 3 agosto 1492; il 12 ottobre approda presso l’isolotto corallino di Guanahani, ribattezzato
San Salvador, dove per la prima volta gli spagnoli vengono a contatto con una popolazione
americana, i taino.
Convinto di essere giunto nell’isola di Cipango descritta da Marco Polo nel Milione,
Colombo prosegue poi verso sud, toccando prima la costa settentrionale di Cuba e
successivamente Haiti, dove, a dimostrazione dell’unità politico-religiosa che è alla base dello
Stato spagnolo e del vero significato della spedizione, pianta sul terreno una croce e una spada,
ribattezzando l’isola Hispaniola. Qui la Santa Maria si arena distruggendosi, e Colombo è
costretto a costruire un forte nel quale lasciare parte del suo equipaggio, mentre le due caravelle
intraprendono la via del ritorno.
Il 4 marzo 1493 la Niña e la Pinta approdano in Spagna portando con se animali esotici,
qualche campione d’oro e alcuni indios.
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Nel rispetto della consuetudine giuridica internazionale dell’epoca, che assegna ancora al
pontefice il diritto di concedere la sovranità sulle terre abitate da pagani, i sovrani spagnoli si
rivolgono al Papa affinchè legittimi la loro presa di possesso delle terre scoperte. Tra il maggio e
il settembre 1493 Alessandro VI Borgia, accettando la richiesta dei Re Cattolici, emana una serie
di bolle con cui riconosce la sovranità spagnola sulle nuove terre, auspicando che la fede cattolica
sia diffusa tra i popoli pagani. Inoltre, nella Bolla Inter Caetera, indica un meridiano situato al
largo delle isole di Capo Verde, stabilendo che le terre poste ad occidente di tale meridiano
vadano alla Spagna, mentre quelle poste ad oriente al Portogallo.
La legittimazione giuridica e morale fornita dal Papa accentua la connotazione religiosa
dell’impresa spagnola, che viene di fatto a rappresentare un prolungamento delle crociate e
della reconquista.
Poichè la posizione del meridiano scelto dal Pontefice favorisce eccessivamente la corona
spagnola, con il Trattato di Tordesillas, firmato da Spagna e Portogallo nel 1494, la linea di
demarcazione tra le sfere di competenza dei due stati viene fissata a 370 leghe ad ovest delle isole
di Capo Verde; in questo modo, inconsapevolmente, gli spagnoli cedono ai portoghesi il Brasile,
che sarà raggiunto per la prima volta nel 1500 da Cabral.
Con questo accordo Spagna e Portogallo si garantiscono il monopolio politico ed
economico delle rotte oceaniche, monopolio che verrà messo in discussione nel momento in cui
realtà rimaste escluse da questa suddivisione (come Francia, Olanda e Inghilterra) inizieranno a
contestare la legittimità del ruolo di arbitro internazionale svolto dal pontefice e a sostenere,
aggirando il divieto papale, spedizioni verso le nuove terre.
Nel frattempo Colombo è ripartito da Cadice con la volontà di proseguire l’esplorazione
delle terre scoperte e fondare una vera colonia ad Hispaniola. Durante questo secondo viaggio
(1493-1495) la spedizione approda all’isola Domenica, nelle Piccole Antille, ad Haiti, dove viene
fondata la colonia di Isabella, e a Cuba, che Colombo ritiene essere una penisola del sud-est
asiatico, come fa giurare all’equipaggio in presenza di un notaio; è in questa occasione che si
presentano le prime difficoltà per Colombo, costretto ad affrontare episodi di insubordinazione
nei suoi confronti da parte dei coloni.
La situazione si presenta ancora più grave nel corso del terzo viaggio (1498-1500), durante
il quale gli spagnoli raggiungono per la prima volta il continente: dopo aver esplorato la foce
dell’Orinoco e la costa venezuelana fino all’isola Margarita, Colombo viene arrestato ad Haiti
(1500) su ordine di un ispettore inviato dalla corona per governare una situazione sempre più
drammatica, e fa ritorno in Spagna come prigioniero. Una volta in Spagna egli viene liberato, ma
si vede togliere il monopolio sui traffici con le terre da lui scoperte, oltre che il governo di esse.
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Nel 1502, riesce ad organizzare una nuova spedizione esplorativa finalizzata alla ricerca di un
passaggio verso l’Oceano Indiano, ma tale impresa non ha l’esito sperato. Ciononostante, quando
morirà, a Valladolid, nel 1506, Colombo sarà ancora convinto di essere giunto in Asia.
Com’è noto, la certezza che le terre scoperte appartengano ad un continente di cui si ignora
l’esistenza si diffonde grazie ai viaggi e agli scritti di Amerigo Vespucci, agente di commercio e
navigatore fiorentino, in onore del quale nel 1507 il geografo tedesco Waldseemüller chiama il
nuovo continente “America”.
L’esplorazione delle terre scoperte, intanto, procede rapidamente grazie alle spedizioni
organizzate dagli spagnoli al fine di accertare la loro estensione e individuare un passaggio per
l’Oceano Pacifico. Già dal 1499, una volta tolto a Colombo il monopolio delle rotte oceaniche
che conducono alle nuove terre, partono esploratori come Alonso de Ojeda, Juan de la Cosa e
Vasco Nuñez de Balboa, che per primo raggiunge la costa del pacifico; nel 1519 il portoghese
Ferdinando Magellano al servizio della Spagna guida il primo viaggio di circumnavigazione del
globo, che, individuando il passaggio marittimo per l’Oceano Pacifico, fornisce la prova decisiva
della sfericità della terra.
Nel frattempo, anche le coste dell’America settentrionale vengono raggiunte da navigatori
al servizio di altre potenze, che si apprestano ad entrare in concorrenza con gli Stati Iberici sul
piano coloniale.
La conquista spagnola
Molto è stato scritto sulla conquista spagnola, della quale, nel corso dei secoli, sono state
sottolineate la rapidità, i successi, ma al tempo stesso la brutalità e la “destrutturazione” sociale
e culturale dei popoli indigeni da essa provocata.
Per diversi anni la presenza spagnola resta limitata a Hispaniola, Portorico, Giamaica e
Cuba, e a qualche zona del continente lungo la costa caraibica; soltanto in seguito ai primi viaggi
compiuti lungo le coste del Messico, durante i quali gli spagnoli vengono a conoscenza
dell’esistenza di ricche civiltà indigene, si inizia a progettare di esplorare e sfruttare l’area.
Generalmente la storiografia tende a collocare l’inizio della conquista, intesa come
acquisizione di terre e imposizione di strutture statuali, dall’arrivo di Cortès in Messico.
In realtà, le prime due istituzioni che accompagnano la conquista, la Casa de
Contractación, con sede a Siviglia, e il Consejo de Indias, sono create in Spagna, rispettivamente
nel 1503 e nel 1524.
La prima, centro amministrativo di tutto il traffico commerciale americano, svolge la
funzione di esercitare il monopolio e il controllo su tutti gli scambi di carattere commerciale che
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vengono stabiliti tra la madrepatria e le terre scoperte. Nello svolgimento delle sue funzioni, che
si moltiplicano e si complicano parallelamente all’estensione del traffico commerciale, la Casa è
affiancata dal Consulado, la lega mercantile di Siviglia costituita dai più importanti mercanti
andalusi. Il monopolio sul traffico americano esercitato da queste due strutture impedisce ai
territori americani di commerciare tra loro senza passare per la Spagna.
Il Consejo de Indias, modellato sui Consejos spagnoli, e in particolare su quello di
Castiglia, è alle dirette dipendenze del sovrano e svolge la funzione di elaborare la struttura
amministrativa del territorio d’oltremare, considerato a tutti gli effetti parte integrante della
Spagna, curando la stesura e l’emanazione delle leggi riguardanti le colonie. Sarà il Consejo de
Indias a creare nel 1535 il vicereame della Nuova Spagna e nel 1542 il viceregno del Perù.
Protagonista della conquista del Messico, e principale storico di essa, è Hernan Cortès, un
hidalgo dell’Estremadura che nei primi anni del ‘500 si stabilisce a Cuba, dove occupa una
posizione di rilievo. Sottrattosi all’autorità di Diego Velazquez, governatore di Cuba che lo aveva
incaricato di stabilire contatti con l’Impero di Montezuma II, Cortès si inoltra nel cuore dello stato
azteco, stringendo alleanze con popoli del luogo che non accettano di sottomettersi al potere
azteco, e nel 1519 giunge a Tenochtitlan, dove viene accolto pacificamente dall’Imperatore.
Durante i primi tempi Cortès governa tramite Montezuma, ridotto al ruolo di imperatore
fantoccio, mentre gli spagnoli si assicurano il controllo del resto del territorio; la situazione resta
pressochè stabile sino al giugno del 1520, quando, durante l’assenza temporanea di Cortès, in
quella che passerà alla storia come la “noche triste”, la popolazione azteca insorge
improvvisamente contro gli occupanti, riuscendo a cacciarli. Una volta rientrato, Cortès riesce
nel giro di un anno a riorganizzare le forze e a rinsaldare le alleanze, grazie alle quali è possibile
riconquistare Tenochtitlan. Mentre i suoi subordinati procedono alla conquista del Messico
settentrionale e meridionale, Cortès può concentrarsi sul consolidamento del proprio potere,
diversamente da quanto accadrà ad altri conquistadores dopo di lui. Nonostante la nomina di un
vicerè nel 1535, infatti, egli incide profondamente sulla riorganizzazione imperiale di quel
territorio e in particolare sulla ricostruzione di Tenochtitlan, ribattezzata “Città del Messico”, che
diviene nel giro di poco tempo una potente metropoli coloniale.
Nel frattempo, nel 1531 Francisco Pizarro è partito da Panama a capo di una spedizione
più ridotta rispetto a quella comandata da Cortès, con il preciso obiettivo di conquistare il ricco
impero andino, del quale già da qualche tempo è giunta notizia nell’istmo.
Come accennato, l’impero inca è in questo periodo sconvolto dalla lotta per la successione
tra due dei figli di Huayna Capac; la vittoria di Atahualpa non mette fine alle divisioni che
attraversano la società incaica, delle quali Pizarro approfitta immediatamente, riuscendo a
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catturare di sorpresa a Cajamarca il nuovo sovrano (nell’attuale nord del Perù), che viene ucciso
a tradimento qualche tempo dopo. Nel 1533 gli spagnoli entrano a Cuzco, e due anni dopo
fondano Lima, che diverrà in seguito la nuova capitale del vicereame del Perù.
Approfittando delle tensioni tra gli spagnoli (e in particolare tra Pizarro e Diego de
Almagro, reduce dal tentativo di conquista dell’attuale Cile), un fratello di Atahualpa, Manco
Inca, organizza una forma di resistenza contro gli invasori stabilendosi a Vilacabamba. In questo
luogo Manco Inca e i suoi successori resistono per anni, opponendosi strenuamente all’autorità
spagnola fino al 1572, quando il vicerè Francisco de Toledo sconfigge l’ultimo sovrano dello
stato neo-inca, Tupac Amaru, che viene decapitato a Cuzco nello stesso anno.
Nei due casi descritti la presenza di Stati rigidi e centralizzati si rivela un vantaggio per gli
spagnoli, poichè qui, una volta conquistata la capitale amministrativa, la struttura imperiale crolla
con rapidità.
Molto diversa è invece la situazione che si trovano ad affrontare altri conquistadores una
volta partiti dal Messico e dal Perù - i due poli dell’espansione - in direzione di territori occupati
da tribù o da civiltà dotate di una struttura amministrativa orizzontale; questo tipo di
organizzazione, infatti, si dimostra in grado di reagire alla penetrazione spagnola attraverso forme
di guerriglia prolungata. Francisco de Montejo, ad esempio, parte nel 1527 per sottomettere i
Maya dello Yucatan, ma ha bisogno di più di vent’anni per completare la sua impresa. Tra gli
altri conquistadores diretti verso l’esplorazione e la conquista del Sud America si devono
ricordare Pedro de Valdivia, ucciso dagli araucani del Cile, e Pedro de Mendoza, il fondatore di
Buenos Aires (1536).
In ogni caso, nonostante alcune eccezioni, la rapidità è una caratteristica innegabile della
conquista, ed è certamente dovuta soprattutto alla superiorità militare di cui godono gli spagnoli,
consistente nel possesso di armi d’acciaio e da fuoco, nonchè nell’utilizzazione dei cavalli,
essenziali per gli spostamenti di uomini e merci, compresi rifornimenti alimentari e di armi.
I conquistadores, per lo più hidalgos o reduci della reconquista, agiscono attraverso piccole
compagini militari, uno strumento già diffuso in Spagna, mossi da un duplice obiettivo: la ricerca
di avventure e gloria e l’arricchimento personale, da realizzare soprattutto attraverso
l’accumulazione di oro e schiavi. Ogni conquistador stipula una sorta di contratto con la Corona,
le già citate capitulaciones, con cui il sovrano, pur non finanziando l’impresa, si impegna a
ricompensare i partecipanti nel caso in cui la spedizione abbia successo.
Le capitulaciones sono alla base della costituzione della più importante istituzione della
fase della conquista, la encomienda, la prima organizzazione territoriale, giuridica ed economica
delle terre conquistate. La prima encomienda è quella di Colombo, creata nel 1503.
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Attraverso questa istituzione, vasti territori e gli indios che vi abitano vengono ceduti in
affidamento ad un colono spagnolo - il termine “encomienda” significa per l’appunto
“affidamento”, da “encomendar”, che significa “affidare” -; l’encomendero può esigere dagli
indios sia tributi in natura che prestazioni di lavoro, e in cambio è tenuto a trarre dallo
sfruttamento delle terre le risorse e le ricchezze da inviare alla madrepatria, ad amministrare la
giustizia, prestare servizio militare e provvedere all’evangelizzazione degli indios affidatigli.
L’istituzione si diffonde inizialmente a Hispaniola, come mezzo per far fronte alla necessità di
manodopera per la costruzione della comunità coloniale, e successivamente si sviluppa nei
territori del Sud America, a partire dal Messico, dove è introdotta da Cortès, uno dei più potenti
encomenderos della Nuova Spagna.
L’encomienda ricorda una pratica diffusa nella Spagna medioevale, con cui alcuni cavalieri
ottengono la giurisdizione su terre e persone sottratte ai saraceni durante la reconquista. Ma in
America, se inizialmente a ricevere terre e indios in encomienda sono i conquistadores, con il
passare del tempo ne beneficiano per lo più rappresentanti della corona, indipendentemente dal
ruolo svolto nella conquista.
La nuova istituzione, che si configura come una sorta di feudo, diviene subito oggetto di un
acceso dibattito nelle colonie, così come in Spagna. In particolare, due sono i nodi problematici
connessi con questa istituzione.
Il primo è quello relativo all’ereditarietà della encomienda.
Per gli encomenderos l’ereditarietà costituisce una forma importante di riconoscimento e
consolidamento del proprio potere personale; tuttavia, sebbene alcune capitulaciones esplicitino
che le terre eventualmente conquistate possono essere trasmesse in eredità ai figli dei
conquistadores, altre non prevedono questa clausola, e questa ambiguità è all’origine di un
contenzioso tra gli encomenderos e la Corona.
Carlo V (1516-1556), preoccupato del crescente potere di un’aristocrazia non facilmente
controllabile e restia ad assolvere quegli obblighi verso la Corona che sono alla base
dell’istituzione stessa, si pronuncia contro l’ereditarietà della encomienda con l’emanazione delle
Leyes Nuevas nel 1542-1543. La ribellione scoppiata in Perù e il malcontento generalizzato
seguito alla promulgazione di questo decreto lo costringono in un secondo momento a revocare
la proibizione della trasmissione ereditaria; in ogni caso, in quel periodo l’istituzione attraversa
già una fase di declino irreversibile, dovuto in gran parte al crollo demografico degli indios.
L’aumento della mortalità india è strettamente legato al secondo nodo problematico
connesso con l’encomienda: le violenze perpetrate dai conquistadores nei confronti delle
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popolazioni indigene e i tentativi di legittimare, dal punto di vista giuridico la riduzione in
schiavitù di tali popolazioni.
La questione della legittimità della schiavitù degli indios non è soltanto oggetto di un acceso
dibattito teorico che coinvolge diversi intellettuali spagnoli, ma è anche al centro di un conflitto
tra i vari attori che occupano lo spazio americano: conquistadores, ordini religiosi, clero secolare,
clero regolare e corona spagnola.
La monarchia non riconoscerà mai esplicitamente la legittimità della riduzione
indiscriminata in schiavitù della popolazione indigena, e gli stessi regolamenti dell’encomienda
non prevedono la vendita degli indios; ciononostante, a dimostrazione della difficoltà per il potere
centrale di assicurare l’attuazione delle leggi nel territorio d’oltremare, la prassi che si afferma
nelle colonie è proprio quella di acquistare e vendere, oltre che maltrattare e sfruttare, la
manodopera india.
Un primo tentativo di regolare la situazione da parte della Corona si ha con l’emanazione
delle Leggi di Burgos (1512-1513), intese a fornire una base giuridica all’organizzazione
amministrativa nata dalle capitulaciones. In risposta alle pressioni dei domenicani, fortemente
critici verso il sistema dell’encomienda, le leggi vietano la riduzione in schiavitù degli indios
affidati, ma rimangono sostanzialmente inosservate.
Una figura di primo piano nel dibattito è il domenicano Bartolomè de Las Casas, il primo
frate ad essere ordinato in America, i cui scritti sono all’origine della nota “leyenda negra” sulla
conquista spagnola. Di fronte agli orrori perpetrati dai conquistadores nei confronti della
popolazione indigena, convinto che gli spagnoli si stiano rendendo responsabili di un vero e
proprio sterminio, egli si schiera apertamente contro la riduzione in schiavitù degli indios e a
favore dell’abolizione dell’encomienda. Las Casas argomenta la sua posizione sostenendo che
gli indios possiedano le “capacità naturali” per ricevere il messaggio evangelico in quanto uomini
“in fieri”, e per questo abbiano diritto alla libertà.
In particolare, egli sottolinea e denuncia pubblicamente gli aspetti tragici e paradossali del
requierimiento, l’espediente inventato dagli spagnoli per cercare di risolvere la controversia
relativa alla schiavitù. Secondo questa pratica, in occasione dell’incontro con un gruppo di indios,
il prete che accompagna gli spagnoli pronuncia un discorso in spagnolo (il requirimiento,
appunto), in cui spiega che il re di Spagna è stato autorizzato dal papa a conquistare quelle terre
al fine di diffondere il Vangelo, e per questo essi sono tenuti a sottomettersi al nuovo potere e a
convertirsi alla religione cattolica; in caso di rifiuto da parte degli indios i coloni sono autorizzati
a procedere alla rappresaglia. Dal momento che gli indios non possono comprendere il significato
del discorso perchè privi di alcun tipo di familiarità con la lingua spagnola, il loro “rifiuto” è un
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fatto costante, e per questo in genere un incontro tra spagnoli e indios si conclude con la cattura
di questi ultimi.
Il francescano Diego de Landa, futuro Vescovo dello Yucatan inviato a diffondere la
religione cattolica tra i Maya dopo la conquista spagnola della regione, scrive nella sua “Relación
de Las Cosas de Yucatán” : “Gli indios subirono pesantemente il giogo della schiavitù. Ho visto
vicino alla città un grande albero ai cui rami un capitano spagnolo impiccò molte donne indie,
appendendo poi ai piedi delle vittime i loro figli ancora piccoli. Si sono compiute crudeltà
inaudite con tagli alle gambe, piedi, braccia e mammelle alle donne, che poi erano gettate nelle
lagune con delle zucche attaccate ai piedi. I bambini erano trafitti con stecche, e quando non
riuscivano a camminare velocemente quanto le loro madri, trascinate via, a cui erano incatenati,
oppure non riuscivano a marciare rapidamente come gli altri, li si decapitava per non prendersi
il disturbo e scioglierli dal collare”.
Una fonte Maya, invece, così racconta: “Quando da noi entrò il cristianesimo entrò anche
la tristezza. Molti cristiani giunsero qua come il vero Dio, ma questo fu anche il principio della
nostra miseria, il principio dell’elemosina, della schiavitù per debiti, il principio delle continue
lotte. Hanno insegnato la paura e sono venuti a far appassire i fiori; per far vivere il loro fiore
hanno distrutto il fiore nostro”.
Las Casas entra in conflitto con i conquistadores insieme ad altri domenicani sensibili a
tutto ciò, e denuncia alla Corona le barbarie di cui è testimone. Soltanto nel 1542 Carlo V fa
propria la sua posizione, e con la promulgazione delle già citate Leyes Nuevas vieta
espressamente la riduzione in schiavitù della popolazione indigena.
L’argomento secondo il quale gli indios non devono essere ridotti in schiavitù in quanto
uomini “in fieri” non viene tuttavia applicato alla manodopera africana che inizia ad essere
importata intorno alla metà del secolo in seguito al calo demografico indio, dovuto
principalmente alla diffusione di malattie importate dagli spagnoli, per le quali gli indios non
hanno sviluppato le adeguate difese immunitarie, e al lavoro forzato nelle miniere.
Nel periodo della conquista l’organizzazione del lavoro nelle encomiendas (che
comprendono territori vastissimi e non del tutto esplorati, il che rende necessario lo spostamento
degli indios dai loro villaggi d’origine alle zone più adatte allo sfruttamento, soprattutto quelle in
cui si trovano le miniere), è mutuata da quella delle società precolombiane.
La Mita, l’organizzazione del lavoro tipica delle Ande, consiste in turni di lavoro per
l’estrazione dell’oro e dell’argento estremamente lunghi. In Messico invece, il servizio personale
della encomienda viene sostituito dal repartimiento, utilizzato per la prima volta ufficialmente
nel 1550. La logica alla base di questi due tipi di organizzazione del lavoro è simile: si stabilisce
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la quantità di oro e di argento che deve essere estratta in un determinato periodo di tempo e, in
base a questo, si organizza la durata dei turni. La manodopera viene reclutata nei villaggi, e prima
della partenza per le miniere si organizzano cerimonie, anche perchè si ha la consapevolezza che
molti non faranno ritorno. Caratteristica del caso messicano rispetto a quello peruviano, tuttavia,
è che il Repartimiento - in base al quale ogni settimana diverse migliaia di indios vengono divisi
tra i proprietari delle aziende agricole - riguarda solo marginalmente il settore minerario, mentre
è rivolto soprattutto verso l’attività agricola e la realizzazione delle opere pubbliche.
Gli storici individuano attorno alla metà del ‘500, con l’emanazione delle Leyes Nuevas, la
conclusione della fase della conquista e l’inizio della colonizzazione vera e propria. In realtà, in
quel periodo non tutta l’America spagnola è stata conquistata, ma, al contrario, spedizioni di
esplorazione e conquista andranno avanti fino al XX secolo. Ciò che si colloca alla metà del XVI
secolo è, dunque, la sostituzione di una prima organizzazione affidata agli encomenderos con
un’organizzazione amministrativa territoriale più articolata, progettata e regolata dal Consejo de
Indias. Il declino dell’encomienda coincide, infatti, con il progressivo consolidamento delle
strutture amministrative che il Consejo dà alle colonie. Il passaggio dalla conquista alla
colonizzazione è perciò individuato sulla base di una considerazione politico-amministrativa, e
non della conclusione materiale della conquista stessa.
Un discorso a parte va fatto per le encomiendas religiose, che si manterranno più a lungo
di quelle concesse ai civili.
Sin dal momento della scoperta, come si è visto, il papa affida al sovrano spagnolo la
responsabilità dell’evangelizzazione dei popoli conquistati. Uno dei meccanismi attraverso cui la
corona spagnola finanzia l’evangelizzazione, come si vedrà, è quello di cedere terre a ordini
religiosi e vescovi, che diventano essi stessi encomenderos e organizzano l’evangelizzazione
controllando gli spazi ottenuti e le popolazioni che vi si trovano.
Le responsabilità della corona nel campo religioso sono inoltre all’origine dell’istituzione
del Patronato Real, il sistema di controllo giuridico esercitato dal re in materia ecclesiastica. In
base al patronato, al re viene riconosciuto il potere di nominare i vescovi nelle colonie,
amministrare la giurisdizione ecclesiastica e le entrate della Chiesa, e in alcuni casi di porre il
veto alle bolle papali.
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