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Anno XViii - Numero 38 - 25 maggio 2012
L’intervista
Parla il regista e scenografo
Pier Luigi Pizzi
A Pag.
2
Storia dell’opera
Una prima con fuoriprogramma
A Pag.
6
Analisi musicale
Attila e la drammaturgia verdiana
A Pag.
7
Attila e gli Unni
Il barbaro che terrorizzò l’Europa
A Pag.
8e9
Il 1846
L’anno dell’opera,
preludio di grandi cambiamenti
A Pag.
14
AttilA
di Giuseppe Verdi
Attila
2
il
Giornale dei Grandi Eventi
Parla il regista e scenografo Pier Luigi Pizzi
«Il mio Attila colto e magnanimo, no barbaro violento»
C
erca una lettura
più concettuale
del personaggio
protagonista Attila, il regista milanese 82enne
Pier Luigi Pizzi, firmando regia e scene di questa sua quarta esperienza con tale lavoro giovanile verdiano. Rivaluta il personaggio, lo
pone decisamente in
un contraltare ideale
di quello che è l’immaginario collettivo
del “Flagello di Dio”,
lo caratterizza come
uomo magnanimo e
colto.
Un confrontarsi con la
nona opera del compositore di Busseto
iniziato nel 1972 al
Maggio Musicale Fiorentino con Riccardo
Muti dove però Pizzi
curò soltanto scene e
costumi, essendo la
regia affidata a Sandro Sequi. Ne uscì una
lettura poetico-naturalista che è ancor oggi ricordata per l’apparizione di Leone in un campo
di grano, aspetto poi ripreso in varie occasioni.
La prima vera regia fu
all’arena di Nimes, in
Provenza, negli anni ’80,
sfruttando in modo molto particolare il trovarsi
immersi in una struttura
romana Venne poi quella al Festival di Ravenna
con la direzione di Gary
Bettini, un allestimento
che molto ha girato tra
Genova, Bologna, Napoli e forniva una lettura
particolare, con un certo
naturalismo filtrato attraverso un’attualizzazione.
Dunque, questo nuovo
allestimento dell’Opera
di Roma, è figlio delle
esperienze precedenti
fin dall’ambientazione.
«L’ho voluta porre, forse
anche ricordando l’esperienza di Nimes, - sottolinea Pier Luigi Pizzi - in
uno spazio caratterizzato
dalla romanità, ispirato,
senza riferimenti specifici,
alla architettura della Basilica di Massenzio, con la
sua volta a cassettoni, volta
che poi – proprio perché
non ha nulla di realistico –
si muove, abbassandosi a
formare una cripta paleocristiana dove i profughi si
raccolgono sotto la croce
prima di andare a fondare
Venezia. E’ un’evocazione,
non la ricostruzione di un
il G iornale dei G randi Eventi
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Andrea Marini
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luogo specifico, segno anche di una civiltà che gli
Unni trovano arrivando in
Italia, ad iniziare da Aquileia. C’è qui l’idea che Attila non vuole distruggere
questa cultura, ma anzi
ispirarsi alla civiltà romana».
Ed è questo l’aspetto
che più colpisce della
regia del sempre cortesissimo Pizzi: una
rivalutazione, una rilettura del personaggio di Attila, visto come Re illuminato,
colto, civile, a smentire l’immaginario
popolare di un uomo
rozzo, violento che ci
hanno trasmesso i libri di scuola. «Attila
– spiega Pizzi - ha
una sua forte personalità di dominatore, di
conquistatore, filtrata
però attraverso una nobiltà d’animo ed una
lealtà, aspetto quest’ultimo
che manca totalmente negli
altri personaggi che gli sono di fronte come Odabella,
Foresto ed Ezio che, ciascuno a suo modo, tramano
nell’ombra». «Proprio per
questo – prosegue Pizzi –
attraverso dei segni cerco di
dargli una caratterizzazione morale, ad iniziare dall’ambientazione la quale
non è una terra bruciata
che il libretto di Solera chiederebbe, ma, appunto, come
detto, un luogo della memoria di ambientazione romana. In particolare è la
connotazione di una biblioteca dove, proprio in apertura di sipario, i barbari
stanno bruciando i libri i
quali sono sinonimo, di
cultura e civiltà, fuoco che
Attila entrando spegne con
il suo mantello, dando un
segno di cultura ed intelligenza politica e del non volere, dunque, cancellare la
civiltà di cui i libri sono
metafora. Ma Attila è anche personaggio magnanimo e libera Odabella dalla
camicia di forza nella quale
è costretta come prigioniera
e poi addirittura alla richiesta della donna di riavere
una spada le cede la propria
spada. Infine, un aspetto
che ho aggiunto nel finale
quando lui cerca Odabella e
si trova di fronte anche gli
altri due congiurati Ezio e
Foresto che lo accolgono
con le spade sguainate, Attila inerme si accorge dell’imboscata e con fiero piglio si getta sulla spada di
Odabella, donna da lui
amata la quale vuole compiere la propria vendetta, in
un gesto d’amore, in un ultimo fatale abbraccio».
Andrea Marini
Prossimi titoli Stagione 2012
del teatro dell’Opera di Roma
19 - 26 giugno
A MiDSUMMER NiGHt’S DREAM
di Benjamin Britten
James Conlon
Direttore
Stagione Estiva alle terme di Caracalla
10 - 15 luglio
il COMbAttiMENtO
Di tANCREDi E ClORiNDA
di Giorgio Battistelli da Claudio Monteverdi
Erasmo Gaudiomonte
Direttore
21 luglio - 8 agosto
NORMA
di Vincenzo Bellini
Gabriele Ferro
Direttore
31 luglio - 7 agosto
AttilA
di Giuseppe Verdi
Donato Renzetti
Direttore
23 - 31 ottobre
lA GiOCONDA
Direttore
di Amilcare Ponchielli
Roberto Abbado
~~
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi, 25 maggio - 5 giugno 2012
AttilA
Dramma lirico in un prologo e tre atti
Libretto di Temistocle Solera
Musica di Giuseppe Verdi
Edizione critica della partitura edita da Chicago University Press
e Casa Ricordi di Milano a cura di Helen Greenwald
Direttore
Regia, scene e costumi
Maestro del Coro
Luci
Movimenti coreografici
Riccardo Muti
Pier Luigi Pizzi
Roberto Gabbiani
Vincenzo Raponi
Roberto Maria Pizzuto
Personaggi / Interpreti
Attila, re degli Unni (B)
Ildar Abdrazakov
Ezio, generale romano (Bar)
Nicola Alaimo
Odabella,
figlia del Signore di Aquileia (S)
Tatiana Serjan
FForesto, cavaliere aquileiese (T)
Giuseppe Gipali
Uldino, schiavo di Attila (T)
Antonello Ceron
Leone, vecchio romano (B)
Luca Dall’Amico
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
con la partecipazione degli allievi della Scuola di Ballo
del Teatro dell’Opera diretta da Laura Comi
~ ~ La Copertina ~ ~
Eugène Delacroix - Attila e le sue orde di Barbari - Particolare dell'affresco della volta Biblioteca Palais Bourbon, Parigi
il
Attila
Giornale dei Grandi Eventi
D
opo il Macbeth d’apertura della stagione lo scorso 27
novembre, Riccardo Muti
torna sul podio del Teatro
dell’Opera di Roma per
guidare l’Attila di Giuseppe Verdi, un titolo da lui
lungamente studiato e diretto in varie parti del
mondo. Al Maestro napoletano si deve, infatti, la
rinascita dell’interesse internazionale su questo
sanguigno e “risorgimentale” dramma lirico, nel
quale dietro il vessillo della riscossa romana contro
gli Unni invasori, si celavano nel pubblico dell’epoca fermenti di libertà,
divenendo così un titolo
carico di forza e passione
politica. Si tratta della nona opera del compositore
bussetano, in scena per la
prima volta al Teatro La
Fenice di Venezia il 17
marzo 1846. Un lavoro
non privo di pregi, soprattutto per la maggiore
continuità drammatica rispetto ai precedenti. Un
contributo sul nuovo genere di “dramma musicale” che sarebbe esploso di
lì ad un anno con il Macbeth. Nel corso dell’opera,
che ripercorre – con ampie licenze poetiche – la
vicenda di Attila in Italia,
tra la distruzione della
città di Aquileia e l’incontro con Papa Leone, anche
vari episodi di forte carattere descrittivo. Cast unico per le 6 repliche in programma firmate nella regia e nelle scene dal raffinato Pier Luigi Pizzi, con
Tatiana Serjan nel ruolo di
Odabella, Ildar Abdrazakov in quello di Attila e
Nicola Alaimo nei panni
di Ezio. Tre voci già applaudite dal pubblico del
3
Le Repliche
Domenica 27 maggio, h. 17.00
Martedì 29 maggio, h. 20.30
Giovedì 31 maggio, h. 20.30
Domenica 3 giugno, h. 17.00
Martedì 5 maggio, h. 20.30
Costanzi nel dicembre
2010 nel Moïse et Pharaon
di Rossini e lo scorso novembre in Macbeth, sempre sotto la direzione di
Muti.
Un raffinato ed essenziale allestimento per l’Attila
PROlOGO – Sulla piazza di Aquileia distrutta
dai barbari – Una folla di Unni mangiando e
bevendo smodatamente inneggiano agli dei
Wodan e Walhalla, mentre il re Attila giunge
su un carro trionfale. Lo schiavo bretone Uldino conduce al sovrano un gruppo di fanciulle guerriere di Aquileia fatte prigioniere e
capeggiate dalla bellissima e fiera Odabella, figlia del signore della
città ucciso dallo stesso Attila. Il Re unno è affascinato dal coraggio
e dalla personalità della giovane e le offre qualunque cosa ella
vorrà chiedergli. Odabella chiede una spada ed Attila le consegna
la propria, la stessa con cui le ha trucidato il padre.
Giunge il generale romano Ezio, il quale, consapevole della debolezza del proprio imperatore, per salvare Roma propone all’unno
di deporre gli Imperatori d’Oriente e di Occidente e di spartirsi il
regno: a lui l’Italia, mentre ad Attila il resto del mondo. Il Re rifiuta l’alleanza, dichiarandosi sdegnato del decadimento di Roma.
orde alle porte di Roma gli appare un vecchio,
il quale con voce tonante gli ingiunge di arretrare di fronte alla terra di Dio. Dopo lo sgomento iniziale, Attila decide di muovere contro la Città Eterna, ma in quel momento verso l’accampamento
avanza un coro di vergini e fanciulli cristiani guidati da un vecchio nelle cui sembianze Attila riconosce con terrore il personaggio apparsogli nel sonno. E’ papa Leone che ripete le parole del
sogno. Attila, di fronte agli ammonimenti del Vescovo di Roma,
s’inginocchia tra lo stupore generale.
La Trama
AttO SECONDO – Al campo romano – Il Re dei Goti accetta la
tregua imposta dall’imperatore fanciullo Valentiniano. Giunge
Foresto che propone ad Ezio di attaccare di sorpresa Attila ed i
suoi. Il Re unno è a banchetto con al suo fianco Odabella. Un suono di tromba annuncia il sopraggiungere di Ezio, mentre Foresto
è tra la folla. Un forte vento spegne le torce. E’ un cattivo presaLaguna veneta con alcune capanne ed un altare – In un’alba serena gli gio. Una coppa di vino avvelenato è offerta al Re unno, ma Odaeremiti escono dalle capanne dirigendosi verso l’altare per eleva- bella avverte Attila del pericolo. Foresto è il colpevole. Odabella
re lodi a Dio, mentre sulla riva approdano barche con uomini, chiede che sia risparmiato, fingendo di volerlo punire di persona.
donne e bambini, profughi da Aquileia distrutta. Li guida Fore- Credendolo un atto d’amore, Attila promette alla donna di sposto che piange la sorte dell’amata Odabella rimasta prigioniera di sarla.
Attila e scioglie un inno alla Patria abbandonata preludendo alla
nascita della nuova Aquileia, Venezia.
AttO tERZO – Nel bosco che divide il campo di Attila da quello di
Ezio - Foresto ed Ezio organizzano l’attacco ad Attila, mentre
AttO PRiMO – Di notte nel bosco presso l’accampamento di Attila – Odabella va in sposa al Re barbaro. La ragazza fugge dopo la ceOdabella riabbraccia l’amato Foresto, il quale credendola concubi- rimonia e raggiunge Foresto che le rinfaccia il tradimento. Odana del capo degli unni, la respinge. La ragazza, però, gli svela il pia- bella si ripromette di uccidere il Re unno. Sopraggiunge Attila alno che la condurrà ad uccidere Attila ed i due si abbracciano ricon- la ricerca della sua sposa, la quale lo respinge rinfacciandogli
ciliati.
apertamente la morte del padre. Le trombe annunciano la battaglia. Foresto sta per trafiggere Attila, ma a colpirlo è Odabella che
Nella tenda di Attila – Il Re dorme, ma improvvisamente è scosso da con la spada donatale da Attila vendica così il padre, mentre i roun sogno che egli racconta allo schiavo Uldino: Giunto con le sue mani cantano inni di vittoria.
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il
Giornale dei Grandi Eventi
Attila
5
Nicola Alaimo
Ildar Abdrazakov
Ezio, generale romano
Attila, re degli Unni
A
A
l baritono Nicola Alaimo è affidato il ruolo del generale rocantare come Attila sarà il basso ildar Abdrazakov. Nato
mano Ezio. Nato a Palermo nel 1978, dove ha compiuto gli
nel 1976 a Ufa (Russia), città nella quale ha studiato presso
studi musicali, ha recentemente debuttato a Parigi e Vienna
l’Istituto delle Arti. E’ stato vincitore di diversi concorsi e nel
all’Opéra National e alla Staatsoper. Pian piano il giovane baritono
1998 è entrato a far parte dei Solisti del Teatro Marijinskij di San
si sta consolidando come uno fra gli artisti più interessanti ed apPietroburgo nel quale ha debuttato interpretando il ruolo di Figaro
prezzati del panorama musicale nazionale ed internazionale. Non
ne Le nozze di Figaro. Nell’ottobre 2000 è stato il vincitore del Primo
ancora ventenne ha vinto il concorso
Premio al Concorso Internazionale
Giuseppe Di Stefano a Trapani, de“Maria Callas” della Radiotelevibuttando il ruolo di Dandini ne La Cesione Italiana svoltosi a Parma,
nerentola. Artista versatile, è stato
evento che ha avviato la sua carriescelto da Riccardo Muti come protara internazionale. Ha debuttato al
gonista del Don Pasquale al Ravenna
Teatro alla Scala ne La Sonnambula
Festival ed in una tournée in Europa
nel 2001, tornandoci poi con La fore Russia. Ha esordito negli U.S.A. con
za del destino, Sansone e Dalila, Macla Boston Symphony Orchestra diretbeth, Fidelio, Carmen, Lucia di Lamerta da James Levine nel Simon Boccanemoor. Ha cantato al Regio di Parma,
gra, opera che ha segnato anche il suo
all’Opera di Roma, al Rossini Opedebutto al Metropolitan Opera di
ra Festival di Pesaro, al Carlo Felice
New York. Fra gli altri debutti ricordi Genova, all’Accademia di Santa
diamo: Poliuto al Concertgebouw di
Cecilia di Roma, al Filarmonico di
Amsterdam; Simon Boccanegra e Lucia
Verona, alla Rai di Torino, all’Accadi Lammermoor al Teatro Massimo di
demia Chigiana di Siena, al Festival
Palermo; La traviata a Roma con la redi Spoleto. Fuori dall’Italia è stato
gia di Zeffirelli. Ha debuttato a Pesaospite del Metropolitan di New
ro al Rossini Opera Festival nel 2010
York, all’Opera di Los Angeles, a
con La Cenerentola e nel 2011 ne Il barParigi, a Washington, all’Opera di
biere di Siviglia. Nicola Alaimo ha re- Ildar Abdrazakov (Attila), Nicola Alaimo (Ezio)
San Francisco, a Barcelona, alla
centemente aggiunto nuovi ruoli al
Staatsoper di Vienna, del Real di
suo repertorio, cantando con successo
Madrid e del Festival di Salisburgo.
il Dottor Dulcamara nell’Elisir d’amore ed è stato Sancho Panza nel
Oltre alle opere citate ha cantato Semiramide, Il turco in Italia, L’itaDon Quichotte. Tra gli impegni dei prossimi mesi: La Cenerentola alliana in Algeri, Il barbiere di Siviglia, L’assedio di Corinto, Sonnambula,
l’Opéra National de Paris; Falstaff alla Fundaçao Calouste GulDon Giovanni, Faust, Luisa Miller, Attila, Don Carlo, Il trovatore, Norbenkian a Lisbona e all’Opera di Marsiglia; Stiffelio all’Opera di
ma, Racconti d'Hoffmann ed a dirigerlo in queste occasioni sono staMontecarlo; Il trovatore ad Amsterdam; Matilde di Shabran al Rossiti maestri come Valery Gergiev, Riccardo Chailly, Myun-Wun
ni Opera Festival di Pesaro; La traviata al Teatro Regio di Torino;
Chung, Gianluigi Gelmetti, Riccardo Muti, James Levine, Alberto
Elisir d’amore a Monaco e Berlino; sarà poi a Londra per registrare
Zedda.
Belisario di Donizetti.
Tatiana Serjan
Odabella,
giovane vendicatrice
A
cantare come Odabella è il soprano tatiana Serjan, nata a
San Pietroburgo, dove ha cominciato gli studi musicali in
pianoforte presso il Collegio Musicale della sua città e in seguito al Conservatorio di San Pietroburgo nella classe di direzione
corale con il Professor F.M. Kozlov. Si perfeziona in Italia all’Accademia delle Voci di Torino con Franca Mattiucci. Nel 1994 ha debuttato all’Opera Studio di San Pietroburgo nella Traviata, dove
successivamente ha cantato ne La bohéme e Così fan tutte; nel 1997 è
stata diretta dal Maestro Mstilav Rostropovič con la San Pietroburgo Philarmonic Society. Nel 2001 È stata finalista in alcuni concorsi
di canto internazionali tra i quali: Viotti di Vercelli, The Golden
Sophit di San Pietroburgo con la nomina “The best women’s role in
musical theater”, e “Una voce per Verdi” di Ispra nel 2002. Il suo
debutto in Italia è stato al Teatro Regio di Torino nel dicembre 2002
nel ruolo di Lady Macbeth, personaggio che ha poi interpretato in
giro per il mondo. Ha Debuttato Aida al Festival di Bregenz, I due
Foscari a Parma e Modena; canta Il trovatore a Trieste e Pordenone e
Tosca alla Deutsche Oper di Berlino. Ha partecipato al concerto finale del Festival di Ravenna, poi ripreso a Bosra (Siria) trasmesso
dalla RAI TV, cantando un’ampia selezione di Norma sotto la guida
del Maestro Muti. Esegue la XIV Sinfonia di Šostakovič al Teatro
Sao Carlos di Lisbona, ha poi Cantato sempre sotto la direzione del
Tatiana Serjan (Odabella), Giuseppe Gipali (Foresto)
Maestro Muti il Requiem di Verdi a Londra e a Tolosa con la Philarmonia Orchestra. Tra i recenti impegni: Tosca e Un ballo in maschera
a Berlino, Tosca a Monaco di Baviera e La battaglia di Legnano e, Macbeth al Teatro dell’Opera di Roma e al Festival di Salisburgo.
Pagina a cura di Mariachiara Onori – Foto di Corrado M. Falsini
Attila
6
il
Giornale dei Grandi Eventi
La Storia dell’opera
Una prima con fuoriprogramma
L
a prima notizia sull’interessamento del maestro di Busseto al
soggetto di Attila è contenuta
in una lettera del 12 aprile
1844 che Verdi scrisse da Milano al librettista Francesco
Maria Piave: «Eccoti lo schizzo
della tragedia di Verner. Vi sono
delle cose magnifiche e piene d’effetto. Leggi l’Alemagna della
Stael. Sono del parere di fare un
prologo e tre atti… A me pare
che si possa fare un bel lavoro, e
se studierai seriamente farai il
tuo più bel libretto. Ma devi
fartelo tradurre perché ci sono
squarci di poesia potentissimi.
Insomma serviti di tutto, ma fa
una gran cosa…». L’opera inizialmente pensata per il
Teatro Argentina di Roma, fu
invece destinata al teatro La
Fenice di Venezia con il quale
il compositore si era impegnato l’anno precedente a
comporre una nuova opera
da rappresentarsi per la stagione del carnevale 1844-45.
Il 9 novembre 1844 il giornale
“Il Pirata” pubblicava la notizia della definitiva assegnazione dell’Attila al teatro
veneziano. L’incarico di approntare il libretto dell’opera,
tratta dalla tragedia Attila,
Köenig der Hunner di
Zacharias Werner (1808), fu
affidato Temistocle Solera e
non a Francesco Maria Piave
a cui era stato originariamente destinato. Sono sempre le cronache dell’epoca a
dar conto del passaggio delle
consegne tra i due librettisti.
Il 24 giugno 1845, infatti, ancora “Il Pirata” pubblicava:
«Francesco Maria Piave
scriverà per il Maestro Verdi i
libri della primavera e carnevale
1846, invece del Sig. Solera. In
cambio egli cede a Solera il libro
(Attila) da musicarsi il prossimo
carnevale a Venezia dal suddetto Maestro».
il librettista Solera
Temistocle Solera era un uomo piuttosto particolare: poeta e librettista politicamente
impegnato, aveva una natura
estremamente pigra e sregolata accompagnata da una
rovinosa propensione a
spendere e ricoprirsi di debiti. Questo atteggiamento
ovviamente non mancava di
ripercuotersi anche in campo
lavorativo, traducendosi in
una estrema lentezza e indolenza che saranno causa
principale dell’interruzione
della collaborazione artistica
con il compositore di Busseto. Tornando ai fatti. Nell’estate del 1845 del libretto non
esisteva praticamente ancora
nulla, come risulta da una
lettera datata 13 agosto in cui
Muzio
comunicava
al
Barezzi l’intenzione di Verdi
di recarsi a Milano per collaborare alla stesura del libretto. «…quel poltronaccio del
poeta non ha fatto niente; io l’ho
detto al cav. Maffei ed a
Toccagni, ed essi lo faranno lavorare ed ha promesso che starà
ancora terminato e Solera si
mostrava sempre più indolente, così Verdi decise di
chiedere aiuto al conte Maffei
per la stesura di una bozza
provvisoria sulla quale poter
continuare il lavoro. In autunno la composizione subì
una battuta d’arresto, perché
Verdi si ammalò gravemente: febbre biliosa gastrica, annunciò il bollettino
medico.
L’Allgemeine
musikalische Zeitung di Lipsia
diffuse persino la notizia della morte del maestro, smentita nella primavera successiva
dal napoletano Omnibus. Nel
frattempo Solera e la moglie,
la cantante Teresa Rosmini,
Fanny Essler
a lavoro giorno e notte e che
finirà prima che arrivi il Sig.
Maestro. Stamattina alle undici
era ancora a letto, sicché sembra
che non lavori» . Fortunatamente le sollecitazioni sortirono il loro effetto e verso la
seconda metà di quello stesso
mese il libretto era praticamente ultimato. In settembre
rifugiato a Busseto, Verdi
proseguiva nella composizione e scriveva ad Escudier - a cui aveva concesso per
la Francia tutti i diritti di proprietà delle opere scritte e da
scrivere - affinché provasse a
proporre l’opera al Opéra di
Parigi. Il libretto però non era
decisero di partire per la
Spagna a seguito della nomina di lui a direttore degli
spettacoli lirici di corte. Da
quel momento Verdi perse
completamente le tracce del
suo librettista, che si rese
praticamente irreperibile fino
a quando il giorno di Natale
del 1845 il compositore, preoccupato per dall’imminente
rappresentazione dell’opera,
gli inviò una lettera per informarlo di aver fatto “accomodare” il libretto dal Piave.
«…vi saranno dei versi che non
ti piaceranno, ma tu li puoi cambiare come vuoi per renderli belli come tutti li altri di questo li-
bretto» lo informava
diplomaticamente il
maestro aggiungendo
poi con tono fermo: «Ti
avverto però che ho già
fatto tutta la musica specialmente dei punti importanti, perché non
potevo aspettare la tua
risposta…verso il 20 si
va in scena».
La risentita risposta
del poeta giunse a distanza
di un mese: «…mio Verdi la
tua lettera è stata un fulmine per
me non posso negarti il mio indefinibile dolore nel vedere chiuso in parodia un lavoro del quale
osavo compiacermi…Fiat voluntas tua: il calice che mi fai bevere è troppo doloroso, solo tu
potevi farmi ben capire che il librettista non è più mestiere per
me». In queste parole è l’epilogo di un sodalizio artistico
durato diversi anni con ben
tre opere: Oberto Conte di San
Bonifacio (1839), Nabucco
(1842) e Giovanna D’arco
(1845). A febbraio del 1846
Verdi cadde nuovamente
malato e la rappresentazione
dell’opera venne fissata per il
mese successivo. Il 17 marzo
finalmente l’Attila andò in
scena alla Fenice, con la presenza del compositore non
ancora perfettamente ristabilito. La compagnia era
composta da buoni cantanti:
Ignazio Marini nel ruolo di
Attila, Natale Costantini in
quello di Ezio, Sofia Loewe
nel ruolo di Odabella, Carlo
Guasco nei panni di Foresto,
Ettore Profili in quelli di
Uldino e infine Giuseppe Romanelli nel ruolo di Leone.
L’opera nel complesso ottenne un buon successo, anche se le cronache raccontano
di un aneddoto davvero buffo verificatosi alla prima serata: durante il banchetto del
secondo atto tutti i ceri
scenograficamente disseminati su alcuni tronchi di quercia erano stati incollati agli alberi con una pasta adesiva
dall’olezzo
nauseante.
L’odore della cera bruciata si
mischiò a quello del fissante,
infestando tutta la sala e creando notevole imbarazzo tra
gli spettatori e gli interpreti.
La Gazzetta privilegiata di
Venezia del 18 marzo, molto
spiritosamente, così commentò l’episodio: «…e ora riv-
Il Tenore Napoleone Moriani
olgeremo ad Attila una
preghiera s’abbigli e abbigli i
suoi pur come vuole, non si
prenda nessun pensiero della
pompa e magnificenza della sua
casa; ciò si può o non si può
compatire ma non nuoce; solo
abbia di noi compassione, e le
cento fiamme del suo convito,
che però succede all’oscuro, ardan di men odorosa materia,
tanto che non ne ammorbin la
gente, quando elle in malo punto si spengono. Il flagello di Dio
non si faccia flagello dei
nasi…!».
Successo enorme ebbe invece
la sesta ed ultima recita dell’opera alla Fenice. La rappresentazione fu preceduta da
un ballo di Domenico Ronzoni, Esmeralda o la Zingara,
interpretato dalla bellissima
Fanny Elssler. Il pubblico
veneziano, che aveva letteralmente preso d’assalto tutte le
sedie del teatro, fu entusiasta
e alla fine il Maestro fu riportato a casa in gondola accompagnato al suono di una banda, tra fiaccole e corone di
fiori. Il giorno successivo
venne
organizzato
un
banchetto in suo onore, durante il quale il conte Andrea
Maffei e altri commensali improvvisarono versi per il
compositore. Dopo Venezia
l’Attila iniziava il suo cammino per i teatri italiani ed europei. Un altro curioso aneddoto è legato alla rappresentazione dell’opera al teatro
alla Scala, in occasione della
quale Verdi scrisse la nuova
romanza di Foresto “Oh dolore! Ed io vivea” per il
tenore Napoleone Moriani. Il
giorno della prima, la sera di
Santo Stefano, protagoniste
ancora le fiaccole! Questa
volta qualcuno dimenticò di
accenderle, rovinando tutto
l’effetto della scena.
Cl. Cap.
il
Attila
Giornale dei Grandi Eventi
7
Analisi dell’opera
Attila e la drammaturgia verdiana
«L
’opera che il signor
Maestro scriverà per
Venezia il Carnevale
venturo sarà l’Attila tolta da una
tragedia di Werner». Scriveva così
il 28 aprile 1845 Emanuele Muzio,
giovane collaboratore di Verdi, ad
Antonio Barezzi.
Verdi aveva firmato l’accordo
con la Fenice per la nuova opera
da darsi nella stagione di
carnevale e la scelta era caduta
sulla tragedia di Zacharias
Werner, “Attila,König der Hunnen” appunto. Incaricato della
stesura del libretto, Francesco
Maria Piave al quale negli stessi
giorni della lettera citata, il musicista scriveva una dettagliata
tela del dramma, mostrando la
sua lucida visione teatrale:
«Bisogna alzar la tenda e far
vedere Aquileja incendiata con
coro di popolo e coro di Unni. Il
popolo prega, gli Unni minacciano ecc. Poi sortita di Ildegonda, poi d’Attila ecc. e finisce il
prologo. Aprire il primo atto in
Roma e invece di far la festa in
scena, farla interna ed Azzio
pensoso, in scena a meditare
sugli avvenimenti ecc. Finirei il
primo atto quando Ildegonda
svela ad Attila il nappo avvelenato, per cui Attila crede che per
amore Ildegonda lo sveli, quando invece non è che per salvarsi
il piacere di vendicare la morte
del padre e dei fratelli….. Ci
sarebbe da inventare un quarto
carattere d’effetto e mi pare che
quel Gualtiero che crede morta
Ildegonda (tenore non presente
nel dramma di Werner, n.d.r.)
fosse scampato e potresti farlo
figurare o tra gli Unni o tra i Romani…».
Il libretto dell’opera fu poi firmato da Temistocle Solera, anche se Piave garantì comunque
una collaborazione a Verdi,
modificando su sua richiesta di-
Arrigo Boito con Verdi al pianoforte
verse parti del testo, al punto che
Solera, in un primo tempo d’accordo con l’intervento del collega, espresse successivamente il
suo totale disappunto e si allontanò dal musicista.
Opera di
sperimentazione
Opera appartenente al periodo
risorgimentale di Verdi, Attila
suscitò a suo tempo non poco
clamore. L’invito del console romano Ezio ad Attila
(“Avrai tu l’Universo,
resti l’Italia a me”)
era accolto nei
teatri
della
penisola da acclamazioni
travolgenti.
Sarebbe tuttavia riduttivo considerare
l’opera solo
per il suo
messaggio
risorgimentale.
«Io sono solo
un uomo di
teatro»,
soleva
dire Verdi in vecchiaia. Falsa modestia,
la sua, probabilmente. Ma
certamente Verdi fu un grandissimo uomo di teatro, capace di
stare costantemente al passo con
i tempi. Moderno nel 1842 quando s’impose con Nabucco, il bussetano si confermò modernissimo nel 1893 quando a 80 suonati
mise in scena Falstaff. Il suo lavoro, dunque, si configurò come
un continuo studio del linguaggio musicale e drammaturgico,
teso a sperimentare, provare,
cercare di volta in volta nuove
soluzioni, guidato solo dal fiuto
per le tavole dei palcoscenici.
Attila s’inserì in questo percorso
di
sperimentazione
con
soluzioni che, qui enunciate e solo accennate, avrebbero spalancato poi la strada alle grandi, geniali opere dell’epoca successiva. In questo senso Attila pur in
una
struttura
abbastanza
prevedibile, contiene illuminazioni e spunti di rilievo. Da
sottolineare, intanto, l’attenzione con cui il musicista seppe
delineare i caratteri dei personaggi. Non solo il barbaro che
non è poi quel tiranno
crudele che si potrebbe
pensare, è anzi talmente ingenuo da
farsi disarmare da
una donna; ma la
stessa Odabella
(Ildegonda in
Werner) è figura di notevole
fascino e forte
temperamento,
degna erede
della Abigaille
del Nabucco; e
Foresto (il nome
definitivo
del
tenore) ha parte di
non trascurabile
importanza sul piano
musicale e drammatico. Anche il coro, naturalmente, riveste un ruolo di rilievo, sin dall’apertura del prologo.
Duetti di
contrapposizione politica
Verdi insomma dimostra in Attila una ricerca interessante d’approfondimento psicologico ed
espressivo dei vari personaggi
che ispirano ovviamente una
discorso musicale più articolato.
Interessante, ad esempio, il primo duetto fra Attila e Ezio che si
basa su una contrapposizione
politica forte, anticipazione di
quei duetti che avrebbero poi inciso profondamente nel successivo teatro verdiano (pensiamo ai
grandi lavori “storici” della maturità, da “Simon Boccanegra” a
“Don Carlos”).
Da notare, prima dell’arrivo di
Foresto, la descrizione di un
temporale notturno e del sorgere
del sole. Il temporale è un elemento ricorrente nel teatro: nell’Ottocento tende addirittura ad
assumere una funzione “psicologica” a rappresentare, attraverso la natura in rivolta, l’agitazione del personaggio o dei
personaggi coinvolti. Il sorgere
del sole è invece un elemento
non ricorrente che probabilmente Verdi trasse dalla visione
di Le desert, ode sinfonica di
Félicien David, rappresentata a
Parigi nel 1844. Altro elemento
rilevante, il soprannaturale. Attila, chiuso nella sua tenda, ha la
visione in sogno di un vecchio
che con voce possente gli sbarra
la strada per Roma: uno dei momenti più drammatici ed espressivi della partitura. Verdi si
sarebbe rivolto al soprannaturale in maniera più decisa con
Macbeth (le streghe), ma già qui
potè sperimentare una musica
capace di dare l’impressione di
un al di là, di un sovrumano. In
Attila la visione acquista concretezza con l’arrivo del Papa
Leone, che ripete all’invasore le
stesse parole del sogno: scena
imponente e di forte tensione
emotiva.
Sul piano musicale va ricordata
l’aria di Odabella “Santo di patrio indefinito amor” che è tra le
più impegnative del Verdi prima maniera, perché tecnicamente complessa, assai articolata e sviluppata sul piano formale.
Da citare infine la conclusione
del terzo atto, un ampio concertato, un quartetto con coro nel
quale Verdi magistralmente
coglie in un’architettura comunque poderosa, la caratterizzazione emotiva dei singoli personaggi
(Attila,
Odabella,
Foresto, Ezio). Non “solo”, ma
“anche” un geniale uomo di
teatro.
Roberto iovino
Attila
8
il
Giornale dei Grandi Eventi
Protagonista tra storia e leggenda
Attila, Flagellum Dei
U
n uomo piccolo di statura,
dalla testa grossa e dalla tinta
olivastra, con un naso
rincagnato, gli occhi piccoli e la barba
ispida: questa è l’immagine del condottiero che fu per quasi vent’anni il
Re degli Unni, dal 434 d.C. al 453. Secondo un’antica leggenda, Attila da
bambino avrebbe ricevuto in dono
una spada rinvenuta da un pastore
infilata nel terreno fino all’elsa e sulla
quale una vacca si era azzoppata. Attila riteneva grazie a questo episodio
della sua infanzia, di essere il predestinato a diventare il signore dell’universo e che quella spada, detta la spada di Marte, gli avrebbe concesso la
vittoria in qualunque battaglia. Divenuto capo degli Unni nel 443, si
sbarazzò presto del fratello Bleda per
regnare da solo.
Flagellum Dei
La sua effige è riportata nelle monete
romane dell’epoca come un drago
dalla testa umana che viene schiacciato dall’Imperatore. Gli storici hanno
delineato di lui un ritratto impressionante sia fisico che morale: di religione pagana, credulo e superstizioso, era marito di numerose
mogli. Non meno avido che spietato, aveva tuttavia l’astuzia di
distribuire tra i suoi uomini, i
bottini depredati sempre equamente, in modo da conquistarne la totale fedeltà insieme
alla più assoluta sottomissione.
Non gli mancarono doti d’uomo politico, né capacità diplomatiche necessarie a trovare
pretesti che giustificassero il suo
diritto alla guerra di aggressione.
Fu chiamato il “Flagello di Dio” e si
raccontava che l’erba non germogliasse più dove era passato con il
suo cavallo ed il suo esercito.
L’enorme potere di cui disponeva si
fondava non solo sull’aggressività dei
suoi guerrieri, ma anche sul cinismo
di taluni espedienti come, ad esempio, il corrompere i capitribù germanici al fine di procurarsene l’appoggio. Sovente riusciva nell’intento,
grazie al terrore ispirato dalla sua
leggendaria ferocia, ma anche alle sue
indubbie capacità di riunire intorno a
sé numerose popolazioni nomadi.
Poté anche contare sul sostegno dei
ceti mercantili dell’Impero d’Oriente
che trovavano estremamente vantaggiosa, per la loro economia, la presenza aldilà del confine, di uno stato Unno esteso dal Reno al Mar Caspio. Il
suo sguardo si volse così prima al più
vicino Oriente e, dopo numerose conquiste si rivolse ad Occidente, dirigendosi verso Costantinopoli. Resosi poi conto dell’impossibilità di
occupare Costantinopoli scelse di
portare le sue truppe direttamente
in Italia quando - fatto importante apparve nella sua vita la figura di
Giusta Grata Onoria, la giovane
figlia di Flavio Sostanzio, Imperatore d’Occidente. La ragazza,
chiusa in convento in un forzato ascetismo, dovette identificare nel
barbaro il suo salvatore, l’uomo che
l’avrebbe salvata dal triste esilio cui
era stata condannata dalla madre a
causa di una sua disonorevole relazione con un ciambellano.
Dal rifiuto d’amore
la furia di Attila
Attila prese a cuore le sorti della
fanciulla, ma si trovò di fronte al reciso rifiuto della madre di Onoria,
Galla Placidia, alla quale aveva
chiesto come dote per le nozze la
metà dell’Impero d’Occidente, e
più precisamente la Germania,
dove il suo nome era ovunque
conosciuto, e tutta la Gallia e la
Spagna, oltre alla Pannonia.
Medaglione con effige di Attila posto a sinistra del portale della Certosa di Pavia
Il rifiuto di Galla Placidia fu motivo sufficiente e pretestuoso per
scatenare un’offensiva e accaparrarsi da solo i territori chiesti in
dote. Si può immaginare l’entità dei
cambiamenti cui l’Europa sarebbe
andata incontro se il matrimonio di
Attila con Onoria fosse andato in
porto. Attila continuò nei suoi sogni di conquista: le sue truppe invasero Vicenza, Verona, Brescia,
Bergamo: tutte le città caddero sotto il suo tallone, espugnate, distrutte, i loro cittadini massacrati e i
fortunati sopravvissuti resi schiavi.
Per qualche tempo, gli Unni
restarono a nord del Po: gli sciamani infatti presagivano ad Attila
pericoli e sventure nel caso si fosse
deciso a calare verso
Roma e il condottiero
Unno esitava, pur rimanendo soggiogato
dal fascino della cultura Romana. Non erano pochi i consiglieri
romani tenuti come ostaggi e come ospiti e
Attila voleva rendere
al suo popolo la dignità che altri popoli
barbari e cristianizzati
avevano ottenuto nel
contatto con Roma. Fu
allora che Papa Leone I
intervenne in difesa
dell’Italia. L’esito dell’incontro tra Attila e il
nord i suoi uomini erano presi dalPapa, sul Mincio, fu condizionato
lo sconforto per la dolorosa rinundalla mentalità del primo: per il
cia, il loro capo non aveva ottenuto
capo unno gli uomini di religione
in sposa Onoria, e la sua campagna
rivestivano enorme importanza, li
era costata la vita di decine di miglitemeva, a qualunque religione apaia di unni. Attila celebrò delle
partenessero.
nuove nozze con una bellissima e
Roma era la Città sacra, che gli sciagiovane donna di nome Ildico, fu
mani gli avevano sconsigliato di
una festa grandiosa dove si bevve a
conquistare, e Attila temeva tutto
profusione; era il preludio per gli
ciò che era “sacro”. Molte sono le
Unni di un nuovo corso storico verleggende attorno all’evento: c’è chi
so l’oblio. La stessa notte, infatti,
disse che i santi Pietro e Paolo fosAttila moriva nel sonno a causa di
sero apparsi al fianco di Leone I, chi
una emorragia. Il corpo malato,
disse che Attila fosse rimasto immesso a dura prova dopo tante
pressionato dalla presenza di un
battaglie, cedette e fu deposto con
vecchio che, vicino al Papa, imtutti i suoi tesori in una bara tutta
pugnava una spada sguainata.
d’oro inserita dentro a una bara
Nessuno in realtà conosce i
d’argento, a sua volta rinchiusa in
contenuti della discussione
una di ferro. Infine la bara venne
che ebbero i due uomini, a
deposta sotto il letto di un fiume,
nessuno fu infatti permesso
come avvenne per Alarico, e coloro
avvicinarsi loro nell’incontro.
che avevano lavorato alla sepoltura
Alla fine, clamorosamente, Atfurono uccisi per impedire che
tila decise di ritirarsi: tornò dai
venisse divulgata l’esatta ubisuoi e fece voltare loro le spalle a
cazione della tomba che non è mai
Roma, alla conquista più luminosa
stata ritrovata.
che il popolo unno avrebbe potuto
mai ricordare nelle proprie
livio Magnarapa
leggende. La tradizione ecclesiastica successiva ha naturalmente esaltato e impreziosito con ogni sorta
di circostanze soprannaturali l’intervento decisivo
di San Leone Magno. Tuttavia l’indagine storica,
seppure appassionata, ci
consente di ridimensionare l’influenza del Papa
nell’episodio.
Vi furono molte componenti che consigliarono ad
Attila di desistere dai suoi
propositi di invasione della penisola: accanto a
molti aspetti strategici e
militari vi fu una spaventosa carestia, accompagnata da un’epidemia di peste
che devastava in quel periodo l’Italia ed era giunta a
minacciare le sue orde.
Mentre cavalcava verso Leone Magno incontra Attila
il
Attila
Giornale dei Grandi Eventi
9
Guerrieri perennemente in sella
Carne cruda per le atroci orde degli Unni
“A
nimali selvaggi”,
“Bestie a due zampe”, “Semi-uomini
che mangiano i loro vecchi”,
con questi inquietanti appellativi le cronache del
tempo ci tramandano la fama degli Unni, una popolazione nomade di stirpe turco-mongolica di cui non si
conoscono né la lingua né
l’esatta provenienza geografica.
Dopo aver sconfitto e inglobato gli Alani e gli
Ostrogoti e dopo aver costretto alla fuga verso
ovest i Visigoti, nel IV secolo d. C., gli Unni, provenienti dall’est, (forse dal
Kansu e dal deserto di Gobi), si stabilirono nelle regioni danubiane da dove
compirono numerose incursioni in entrambe le
parti dell’Impero romano,
seminando ovunque morte e distruzione.
Non si deve però ritenere
che le orde di questi feroci
cavalieri fossero costituite
da un massiccio e unitario
esercito. Si deve piuttosto
immaginare una miriade
di piccoli ed instabili nuclei, di bande, pronte tanto
a coalizzarsi quanto a
combattersi
reciprocamente.
Questa frammentazione è
responsabile della complessità dei rapporti del
popolo unno con le altre
popolazioni. Non si spiegherebbe, infatti, perché
dopo aver sottomesso gli
Attila di Mòr Thàn
Alani, alcuni gruppi unni
si siano alleati con gli
Ostrogoti mentre altri si
siano schierati a fianco del
loro re Witimero, o anche
perché, a distanza di poco
tempo, gli Unni abbiano
dapprima sconfitto e poi
aiutato i Visigoti. Anche i
rapporti con Roma furono
decisamente ambigui e discontinui: scorrerie, compromessi, pacificazioni,
relazioni amichevoli e
ostilità si susseguirono
con incredibile e confusionaria velocità.
Quasi una costante dei
rapporti degli Unni con i
Romani fu la dipendenza
economica da questi ulti-
mi per quanto riguardava
gli indumenti, le armi e le
granaglie, in contrasto con
la forzosa imposizione di
tributi e gabelle in cambio
dell’incolumità dei cittadini dell’Impero.
Così scriveva lo storico
Ammiano
Marcellino
(sec.IV) nelle sue Storie, riguardo a questo popolo:
«infidi ed incostanti nelle
tregue, mobilissimi ad ogni
soffio di una nuova speranza,
sacrificano ogni sentimento
ad un violentissimo furore.
Ignorano profondamente, come animali privi di ragione,
il bene ed il male, sono ambigui ed oscuri quando parlano, né mai sono legati dal rispetto per una religione o superstizione, ma ardono
d’un’immensa avidità di oro.
A tal punto sono mutevoli di
temperamento e facili all’ira,
che spesso in un sol giorno,
senza alcuna provocazione,
più volte tradiscono gli amici
e nello stesso modo, senza bisogno che alcuno li plachi, si
rappacificano».
re il naso dei piccoli in modo che, rimanendo rincagnato, non sporgesse dall’elmo. Probabilmente entrambi i sistemi servivano
a far sviluppare il loro corpo in modo che in battaglia offrisse, il meno possibile, appigli al nemico.
Gli Unni vivevano letteralmente sui loro piccoli e
forti cavalli e non smontavano quasi mai, tanto che
le loro gambe crescevano
corte e deformi. Mangiavano, dormivano, combat-
Agghiaccianti costumi
Ammiano ricorda anche
gli agghiaccianti usi e costumi di questo popolo
barbaro, che aveva l’abitudine di solcare di tagli le
gote dei bambini appena
nati per impedire la crescita della barba una volta
adulti e l’usanza di fasciaUnno a cavallo
Elmo Unno
tevano e mercanteggiavano a cavallo, non si lavavano mai e vestivano pelli
di topo. Si nutrivano di radici e carne cruda lasciata
a macerare tra la sella e il
dorso del cavallo e non si
riparavano mai sotto un
tetto o una capanna. L’unico riparo era fornito loro
dai carri, che si trascinavano dietro come in una fuga
perenne. Il loro armamento era micidiale e abbastanza evoluto: archi di
corno, giavellotti e frecce
d’osso costruite «con arte
meravigliosa», lacci e reti
per immobilizzare gli avversari. In battaglia attaccavano con una confusionaria formazione a forma
di cuneo, travolgendo tutto ciò che si trovava sul loro cammino.
Dopo la battaglia dei
Campi Catalaunici, durante la quale furono respinti
dal generale romano Ezio,
e dopo la morte di Attila,
avvenuta due anni dopo,
nel 453 d.C., gli Unni tornarono nelle steppe della
Pannonia dove scomparvero definitivamente mischiandosi ad altre genti,
lasciando solo uno spaventoso ricordo legato al
proprio nome.
Andrea Cionci
Attila
10
il
Giornale dei Grandi Eventi
La città di Aquileia
Fortezza vergine espugnata da Attila
N
ella storia del terribile
condottiero unno, un capitolo a parte merita la
conquista e la distruzione di una
delle città più fortificate dell'Europa del V.sec. d.C.: Aquileia.
Per la sua posizione strategica,
era munita di un sofisticato apparato difensivo e circondata da
una poderosa cinta muraria che
aveva permesso alla città di non
dover mai subire, in 600 anni di
vita, una conquista straniera,
tanto da essere definita la "fortezza vergine".
Era stata infatti fondata nel 180
a.C. dai romani, che ne avevano
fatto una roccaforte per le legioni romane che da lì partivano
per l'Oriente e la Germania.
Sotto l'impero di Augusto,
Aquileia aveva raggiunto una
popolazione di oltre 200.000
abitanti stabili. Il cristianesimo
attecchì facilmente ad Aquileia
e con l'editto di Costantino del
313, potè uscire potentemente
alla luce: subito vennero costruite tre grandi e lussuose basiliche per accogliere, in ognu-
na, 2000-3000 fedeli, per le celebrazioni liturgiche che saranno
distrutte dal Flagello di Dio.
Muovendo dalla Pan-nonia, infatti, nel 452 d.C. Attila invase
l'Italia scendendo dalle Alpi
Giulie; Aquileia venne presa
d'assalto e distrutta, e anche le
altre due più importanti città Altino e Concordia caddero nelle
mani degli Unni.
Aquileia fu circondata da 70.000
Da un testo di Metastasio
Melodrammi
settecenteschi per Ezio
S
ulla vicenda di Ezio,
il compositore tedesco Georg Friedrich
Haendel nel 1731 scrisse
un'opera in tre atti (HWV
29), chiamata, appunto
Ezio, con libretto anonimo tratto da Metastasio
(Roma 1698 - Vienna
1782). Haendel non fu
certo l'unico ad ispirarsi
all'opera metastasiana.
Anche Johann Adolf
Hasse aveva due anni
prima scritto un Ezio, che
venne rappresentato a
Napoli al teatro San Bartolomeo nel 1730. Questo
era l'uso dell'epoca. E’ infatti notorio che Metastasio scrisse numerosissimi
testi dello stesso soggetto
che vennero musicati da
quasi tutti i compositori a
lui contemporanei.
La prima rappresentazione dell'Ezio di Haendel
avvenne al King's Thea-
tre di Hiymarket a Londra, il 15 gennaio 1732.
Il ruolo del protagonista
fu affidato al celebre castrato Francesco Bernardi detto il "Senesino"
mentre l'imperatore Valentiniano era incarnato
da una donna, un contralto.
Nel dramma di Metastasio scritto nel 1728 ed andato in scena al Teatro
veneziano San Giovanni
Grisostomo il 20 novembre dello stesso anno, cui
si rifà l'opera di Haendel, la vicenda del generale romano è ambientata a Roma, subito dopo
la vittoriosa battaglia dei
Campi Catalaunici contro Attila: il trionfatore è
accolto dall'imperatore
Valentiniano, ma Massimo, padre di Fulvia, fanciulla amata da Ezio, cerca di provocare la rovina
del generale accusandolo di tradimento. Valentiniano vorrebbe controllare Ezio dandogli in
sposa la sorella Onoria,
ma Ezio confessa in pubblico il suo amore per
Fulvia, suscitando ire e
gelosie. Dopo un attentato fallito all'imperatore, organizzato da Massimo, i sospetti cadono
su Ezio, che viene gettato in carcere. Valentiniano ordina a Varo di ucciderlo, ma questi lo risparmia.
Sarà Ezio, ancora una
volta, a salvare Valentiniano dall'armata sollevata Massimo per rovesciare l'imperatore, che
una volta scoperta la verità, perdona Ezio, lasciando
finalmente
trionfare l'amore e la
giustizia.
A. C.
unni, poi conquistata e rasa completamente al suolo con il fuoco.
Parte della popolazione della terra ferma di queste tre località si
rifugiò nelle vicine isole di Grado, disseminate nella laguna veneta, un territorio malsano, quasi
disabitato, ma che sarebbe servito ottimamente come rifugio. La
prima isola ad essere colonizzata
dalla popolazione in fuga di queste tre città, fu Torcello, sebbene
essa fosse già parzialmente abitata da nuclei di pescatori. Si narra che a Torcello fece tappa anche Attila e chi si reca oggi in un
famoso ristorante dell'isola, può
ammirare poco distante, a 200
metri, quello che si dice essere
stato il trono di pietra dove sedette il condottiero unno.
Altri abitanti di Aquileia, Altino
e Concordia si rifugiarono nelle
isole più lontane, quelle che sono oggi, Burano e Murano
creando i presupposti per la nascita di un'altra meravigliosa
città: Venezia.
A. C.
L’Attila al Teatro dell’Opera di Roma
Solo tre volte
al Costanzi
L
a prima rappresentazione dell’Attila verdiano al
Teatro dell’Opera
di Roma fu il 4
aprile 1964. Protagonista Raffaele
Ariè ed interpreti
principali Margherita Roberti (Odabella),
Gastone Limarilli (Foresto), Maurizio Zanasi
(Ezio). La direzione d’orchestra fu affidata a Fernando Previstali in un allestimento del Teatro Comunale di Firenze.
La ripresa successiva risale
al 2 giugno 1981 con la direzione di Bruno Bartoletti.
Il ruolo di Attila fu di Nicola Ghiuselev. Altri protagonisti Maria Parazzini,
Nunzio Todisco e Matteo
Manuguerra, mentre la regia fu di Antonello Madau
Diaz e le scene di Carlo Savi. L’ultima volta, questa
nona opera verdiana, è andata in scena al Costanzi
per sei repliche dal 9 marzo
2005 diretta da Antonio Pirolli. Con la regie e le scene
di Paolo Baiocco il quale
utilizzò scene proiettate da
computer su 4 grandi
schermi in palcoscenico.
Nel ruolo di Attila si alternarono Roberto Scandiuzzi
e Orlin Anastassov, in
quello di Odabella Dimitra
Theodossiou e Virginia Todisco, in quello di Ezio Roberto Frontali e Ivan Inverardi ed in quello di Foresto Walter Fraccaro ed Alberto Jelmoni.
Mi. Ma.
il
Attila
Giornale dei Grandi Eventi
11
L'ultimo grande generale romano: Flavio Ezio
Il baluardo romano contro l'Unno invasore
L
'Attila di Verdi è
stato definito da
molti critici l'archetipo del melodramma risorgimentale e, indubbiamente, l'opera furoreggiò nei nostri teatri, grazie all'appello della riscossa romana contro gli
invasori Unni.
Si racconta che, quando
il baritono che impersonava il generale romano
Ezio intonò "Avrai tu
l'Universo, resti l'Italia a
me", il pubblico proruppe in un grido all'unisono, ripetendo"Resti l'Italia a me!".
Il personaggio di Ezio è,
tuttavia, emblematico
dell'ambiguità che pervade il libretto; infatti,
sebbene esso si fosse ben
prestato ad incarnare i
sentimenti
patriottici
dei primi spettatori dell'opera, l'eroe romano è
dipinto, nel dramma
originale di Zacharias
Werner, Attila, Köenig
der Unnen, come un subdolo traditore, che propone ad Attila un perfido patto per la spartizione dell'Impero. Il personaggio di Ezio emerge
nel suo doppiogiochismo al confronto con la
figura Attila, che rifiuta
sdegnato la scellerata alleanza.
Tuttavia, storicamente,
Flavio Ezio fu uno degli
ultimi e più gloriosi generali dell'esercito tardo-romano e, come Oreste e Silicone, anch'egli
aveva origini germaniche. Ricordiamo che, già
nel corso del III secolo
d.C., intere legioni romane erano formate da
soldati e ufficiali germanici. Flavio Ezio nacque
nel 390 d.C. a Durostoro, in Mesia, antica regione comprendente il
territorio esteso sulla riva destra del Danubio,
fra la Dacia e la Dalmazia, dal magister equitum
Gaudenzio.
Giovanissimo, nel 405 fu
affidato agli Unni come
prestigioso
ostaggio;
presso il feroce popolo
barbaro ricevette la sua
educazione
militare.
Con gli Unni, Ezio alternò fasi di concordia a
momenti di feroce ostilità. Nel 425, Ezio tentò
di aiutare, con un esercito unno, l'usurpatore
Giovanni, che fu però
sconfitto da Valentiniano, figlio di Galla Placidia, che dopo questa impresa fu acclamato Imperatore.
Ezio fu quindi inviato in
Gallia contro i Visigoti,
con il grado di comes et
magister militum per Gallias e, in seguito ad alcune vittorie su Visigoti e
Franchi, nel 429 fu nominato magister utriusque militiae. Nel 433-
434 ottenne il comando
supremo e la nomina a
patrizio.
Ezio fu uno degli ultimi
che sostennero e rafforzarono l'Impero romano
d'Occidente, di cui fu, di
fatto, il padrone incontestato fino al 454.
Ezio contro gli Unni
Nel frattempo, nell’inverno del 451, Attila
aveva cominciato a risalire il Danubio, fino ad
arrivare a devastare la
Gallia, con un numeroso esercito composto
prevalentemente di Unni e Ostrogoti, ai quali si
unirono i Franchi Ripuari.
Ezio, consapevole del
pericolo
incombente
sull'Italia, riuscì a riunire le popolazioni germaniche della Gallia contro
gli Unni di Attila, con
un esercito multietnico
formato da Alani, Burgundi, Franchi e Sassoni, ma, soprattutto, da
Visigoti.
La sfida tra Attila ed
Ezio, i due migliori capi
militari dell'epoca, si
svolse a Chalons, nelle
Ardenne, verso la fine di
giugno del 451 d.C., e
passò alla storia come la
Battaglia dei Campi Ca-
talaunici. Il sanguinoso
scontro fu un capolavoro di strategia militare:
dopo un primo successo
di Attila, la vittoria andò
definitvamente
alle
truppe di Ezio e dagli alleati Visigoti.
L'offensiva di Attila era
fallita sotto ogni aspetto
e l'Italia era salva.
Tuttavia, sarà proprio la
storica vittoria dei Campi Catalaunici a segnare
la fine del generale romano.
Appena tre anni dopo, il
21 settembre del 454,
l'imperatore Valentiniano III, geloso delle vittorie e della potenza acquisite da Ezio, lo ferì a
morte, a tradimento, durante una pubblica
udienza.
Il generale morente fu
finito dalle pugnalate
dei cortigiani.
Al pari del suo predecessore Stilicone, Ezio si
era creato molti nemici a
corte e costoro, fin dalla
vittoria dei Campi Catalaunici, avevano cercato
di nuocere al generale,
spargendo voci su un
suo presunto tradimento a favore di Attila.
L'Imperatore sopravvisse, tuttavia, pochi mesi
alla morte del suo ministro: il 16 marzo del 455
fu ucciso da due sicari di
Petronio Massimo.
Con la morte di Ezio,
l'Impero
occidentale
piomberà in una situazione di prostrazione,
nel corso della quale
Roma subirà un secondo
assalto da parte dei popoli barbarici, che durerà, stavolta, per ben
due settimane.
Dopo la sua scomparsa
non vi saranno più grandi condottieri (se si eccettua forse Ricimero)
capaci di risollevare le
sorti dell'Impero d'Occidente: i successivi due
decenni vedranno, infatti, il suo rapido declino,
che culminerà - come
noto - nel 476, con la caduta definitiva dell'Impero Romano d'Occidente.
An. Ci.
Attila
12
il
Giornale dei Grandi Eventi
Il Librettista
L’autore del dramma originale
Temistocle Solera
Zacharias Werner
T
emistocle Solera nella sua vita svolse parecchi mestieri,
vivendo in modo sregolato per la sua natura estremamente
pigra accompagnata da una rovinosa propensione a
spendere e ricoprirsi di debiti. Oltre ad essere famoso per aver
scritto i libretti dei primi lavori di Verdi, fu anche compositore in
proprio di quattro opere, le quali però non ebbero fortuna. Nato a
Ferrara il 25 dicembre 1815, era figlio di Antonio Solera, noto patriota e cospiratore.
Iniziò i suoi studi musicali e letterari al collegio imperiale di Vienna da cui fuggì. Ripreso dalle guardie imperiali, completò il
percorso al collegio Longone di Milano. Iniziò l’attività letteraria
pubblicando versi e il romanzo Michelino, ma la sua prima opera
di un certo rilevo fu il libretto per Verdi dell’Oberto conte di San
Bonifacio (1839). Solera intervenne sulla trama del giornalista Antonio Piazza con
suggerimenti dell’impresario Morelli e modifiche dello
stesso Verdi che
con quest’opera esordiva in teatro. In
realtà, nella prima
edizione del libretto, così come nelle
successive di Milano e Torino (1840)
e Napoli (1841),
non compare il
nome del poeta ma
risulta che egli fu
pagato 600 lire austriache, dissipate in
un
sol
giorno.
Cronologicamente
dopo Un giorno di
Regno, terza opera
del maestro di Busseto su testo di Felice Romani, Solera
scrisse Nabucondonosor (1842) tratto dall’omonimo
dramma di Anicetto Bourgeois, forse la miglior collaborazione tra il maestro e l’autore. Seguirono i Lombardi alla prima crociata (1843), Giovanna
D’Arco (1845) e infine Attila (1846).
Verdi inizialmente aveva affidato a Francesco Maria Piave l’abbozzo dell’Attila ricavato dalla tragedia di Werner, ma poi ritenne
più adatto passarlo al Solera più simile al Re barbaro per il suo
carattere impetuoso. Le ultime scene dell’Attila le completò però
Piave, poiché Solera era in forte ritardo con il libretto poiché si era
nel frattempo trasferito in Spagna diventando direttore del Teatro
Reale di Madrid ove cantava sua moglie Teresa Rosmini. Finì così,
con reciproco rammarico, la feconda collaborazione tra Solera e
Verdi: il primo contribuì con il suo patriottismo ad aumentare la
popolarità verdiana, il secondo lo stimò come primo poeta melodrammatico del suo tempo.
Nel periodo spagnolo tra il 1845 e il 1855 fu impresario teatrale
prima che a Madrid in varie altre città e fu consigliere e forse
amante della Regina Isabella.
Tornato a Milano nel 1859, divenne contatto segreto tra
Napoleone III e Cavour. Nel ’60 come ufficiale di polizia si dedicò
a reprimere il brigantaggio in Basilicata, meritandosi poi la nomina a Questore a Firenze, Venezia, Bologna e Palermo. Negli ultimi
anni fu chiamato in Egitto a riorganizzare la polizia del Khedivè;
successivamente si trasferì a Parigi dove esercitò il mestiere di antiquario. Infine, ridotto in miseria, tornò a Milano, città nella quale
morì quasi ignorato il 21 aprile 1878.
Al. Cal.
A
utore del dramma Attila, König der Hunnen a cui s’ispirò Temistocle
Solera per il libretto dell’Attila è lo scrittore e autore drammatico
tedesco Zacharias Werner. Nato a Königsberg il 18 novembre 1768,
Zacharias rimase presto orfano del padre, professore di storia e censore del
teatro cittadino. Studiò giurisprudenza nella città natale ascoltando con interesse le lezioni di Kant. La perdita paterna influì in una vita dissoluta e
disordinata, sia nei sentimenti sia nell’animo, dibattuto tra tensioni misticospirituali e carnali. Lavorò svogliatamente come funzionario statale in varie
province prussiane e polacche. A Varsavia entrò nella Massoneria. A Berlino conobbe alcuni scrittori come E.T.A. Hoffmann e a Weimar Goethe. Sposò
nell’arco di otto anni tre donne: la prima nel 1792, di facili costumi, la seconda una piccolo borghese di Königsberg e infine una giovane polacca a cui
si unì il giorno dopo averla conosciuta. Abbandonato l’impiego e rimasto solo cominciò una vita errabonda in Germania, Austria, Svizzera dove
conobbe M.me de Staël
ed in Francia, per poi
giungere a Roma nel
1810 dove abbandonò
la fede protestante per
il cattolicesimo. Consacrato sacerdote nel
1813, divenne un fervente predicatore a Vienna.
Werner è il principale
rappresentante del
dramma fatalistico in
Germania. Narrò di
terribili apparizioni
di spettri, ululati di
venti e tempeste, segni premonitori di un
fato che si abbatte inesorabilmente
sui
colpevoli e soprattutto sugli innocenti.
Il suo primo dramma:
Die Söhne des Thals
(1801-1803) affida ad
una sorta di massoneria cattolica la rigenerazione del mondo.
L’incompiuto
Das
Kreuz an der Ostsee (1806) tratta della diffusione del cristianesimo in
Prussia. Uno dei suoi lavori più riusciti: Martin Luther oder Die Weihe
der Kraft (1807), rappresenta nell’unione predestinata di Lutero con
Caterina di Bora il trionfo della forza e del sentimento. La visione fatalistica è particolarmente evidente in Der vierundzwanzigste Februar
(1809) in cui per tre generazioni una famiglia è macchiata da delitti
commessi casualmente lo stesso giorno: il 24 febbraio. L’opera ebbe successo e fu imitata inaugurando un nuovo, seppur effimero, genere letterario: la Schicksalstragödie (tragedia del destino).
In Attila, König der Hunnen (1808) e Wanda,Königin der Samarten
(1810) l’utopia massonica lascia il posto a una nuova utopia erotico-mistica compresa di esasperata sessualità e martirio. I personaggi sono travolti e guidati dalla passione e trovano l’amore solo nella morte, come
Wanda, regina dei Sarmati, dramma voluto rappresentare da Goethe.
Attila è invece la personificazione della forza e della giustizia, ma ha
peccato contro l’amore avendo fatto uccidere Walther, amante di Hildegunde, e scelto questa come sua concubina. Hildegunde non vive che
per la vendetta che si dovrà abbattere su Attila solo quando egli si sarà
macchiato di gravi colpe. Attila, tuttavia resta puro e sarà perciò degno
dell’amore di Onoria che lo consacrerà prima di essere ucciso da Hildegunde, divenuta sua moglie, e invasata di voluttà erotica oltre che di
desiderio di vendetta.
La conversione non giovò alle sue ultime opere che risultarono più aride
come Die Weihe der Unkraft, le tragedie Kunigunde die Heilige (1814) e Die
Mutter der Makkabäer (1820). Werner Morì a Vienna il 17 gennaio 1823.
Al. Cal.
il
Attila
Giornale dei Grandi Eventi
13
Ritratto del Musicista
La personalità di Verdi dall'epistolario
T
orniamo all’antico e sarà un
progresso scriveva Verdi a
Francesco Florimo nel ’71,
in difesa della tradizione melodrammatica italiana e contro la
penetrazione dell’arte tedesca
che stava generando la nuova
moda dei concerti sinfonici. Il
maestro lombardo, simbolo del
Risorgimento italiano, si pose da
subito in aperto contrasto con il
gusto wagneriano: «non possiamo
alla lunga crede alle fantasticherie di
quest’arte straniera che manca di
naturalezza e semplicità». La poetica verdiana non voleva l’artista
schiavo delle novità e del gusto
alla moda, ma ‘voce’ del suo paese e della sua epoca.
Dallo slancio politico
Nell’aprile del ’48 Verdi scriverà al librettista Francesco Maria Piave «tu mi parli di musica!!
Cosa ti salta in capo?... credi che io
voglia ora occuparmi di note? Non
c’è, né ci deve essere che una musica
grata alle orecchie degli italiani del
1848. La musica del cannone!... Io
non scriverei una nota per tutto l’oro del mondo: ne avrei un rimorso
immenso consumare della carta da
musica, che è sì buona a fare cartucce». E ancora nel ’60: «l’inno na-
Il basso primo interprete di Attila
Quel Marini protagonista
anche nell’Oberto
F
u il basso Ignazio Marini (1811-1873) ad essere il primo interprete del personaggio di Attlila nella prima rappresentazione al Teatro La Fenice di Venezia, la sera del17 marzo
1846. Il Marini aveva debuttato come cantante nel 1832 a Brescia
e nel 1834 alla Scala cantò alla prima della Gemma di Vergy di Donizetti. Dello stesso compositore partecipò alle prime del Gianni
di Parigi (1839) e dell'Adelia (1841). Verdi scrisse per lui il ruolo del
protagonista nell’Oberto che aveva debuttato alla Scala nel 1839
ed anche in seguito non gli sarebbe spiaciuto sentirlo nelle repliche del Nabucco e dei Lombardt, dove le parti di Zaccaria e di Pagano «sembrano scritte per te; ed anzi ti dirò che avrei grandissimo desiderio di sentirle da te» (11.6.1843).
Cantò con frequenza l’Ernani nel ruolo di Silva, e nel 1846 Verdi
modellò su di lui il protagonista dell’Attila. Fu attivo in Italia, al Covent Garden,
a New York, molto apprezzato sia nel
genere buffo (Mozart: Leporello nel Don
Giovanni, Nozze di Figaro; Rossini, Italiana in Algeri) che in quello serio, dove eccelse nel Mosè e nell'Otello di Rossini,
nella Norma di Bellini, negli Ugonotti di
Meyerbeer. In occasione di una ripresa
dell’Oberto a Barcellona nella stagione di
Carnevale 1842, Verdi scrisse per lui
un'ampia cavatina seguita da una cabaletta, su parole di Solera. Inviando la
musica, Verdi aveva precisato: «La cabaletta è ardita e credo starà bene per la tua voce [...]: bada che nelle cadenze della cabaletta vi sia un crescendo ben grado anche dell'orchestra ed allora vedrai che vi sarà l'effetto» (15.11.1841). La musica della cavatina
è andata perduta, ma la cabaletta “Infin che un brando vindice” venne inserita, quasi certamente con la tacita approvazione di Verdi, in
una ripresa dell’Ernani alla Scala il 3.9.1844, dove nel ruolo di Silva cantava ancora Marini. Nel 1862 Marini cantò il modesto ruolo
dell'Alcade nella Forza del destino a San Pietroburgo. Aveva sposato il soprano Antonietta Ranieri Marini.
Fr. Pi.
zionale devesi intonare sulla veneta
laguna, a Napoli o sulle Alpi ad un
tempo solo. Ho rifiutato e rifiuterò
fino a quel momento di scriverne, e
seppure Iddio ci aiuti a spezzare le
nostre catene ed io viva tanto da veder quel giorno, sarà il primo e ultimo inno di G. Verdi». Promessa
non mantenuta, benché sempre
più spesso il coro Va’, pensiero
del Nabucco sia assunto a simbolo del nostro Paese.
equilibrata, concreta e legata alla sua terra. Di qui i temi portanti di opere, tra cui l’Attila,
con chiare allusioni politiche: i
vizi umani, il peso del potere
che schiaccia l’individuo, la solitudine del soglio, l’amore contrastato, la vendetta.
La lettura dell’epistolario riesce
a regalare immagini vivaci di
questa forte personalità, che sapeva ridere di se stesso, tiranno
e severo sul lavoro, ma anche
amico caldo e generoso.
Artista che ha saputo segnare il
suo tempo e a cui la lunga vita
permise di assistere a grandi
cambiamenti epocali: dall’estetica musicale, che partiva da po-
Alla passione
per la campagna
Seguiva con passione la cultura
italiana e europea, ma al contempo era attento agli affari e alla sua campagna: viti, cavalli,
concimi e contadini. «Addio campagna, addio passeggiate, … addio
bel cielo azzurro, addio spazio infinito…! Quattro pareti sostituiranno l’infinito …i libri e la musica
rimpiazzeranno l’aria e il cielo».
Il mondo musicale verdiano,
apparentemente lontano dalla
natura schiva e brusca del Maestro, ne riflette invece a pieno la
personalità: la forte moralità
con le sue leggi ferree e una musica tanto precisa nel definire gli
stati d’animo. Natura saggia ed
Caricatura di Verdi
sizioni rossiniane, ma conobbe
le riforme wagneriane, ai rivolgimenti politici e soprattutto a
quelli tecnologici. Quando nacque, in un dipartimento del Taro, sotto il governo dell’Impero
napoleonico, l’illuminazione era
a olio e l’unico mezzo di spostamento erano cavalli e carrozze.
Quando morì, nel nuovo Regno
dell’Italia unita, Edison aveva
ideato la lampadina elettrica,
che già stava soppiantando l’illuminazione a gas e da pochi
anni Agnelli aveva fondato la
Fiat!
St. So.
Attila
14
il
Giornale dei Grandi Eventi
Il 1846 nella storia
L’anno in cui cominciò a cambiare il mondo
L
’opera che Verdi
dedicò al grande
condottiero unno, Attila, si affacciò
sulla scena musicale
(Venezia, Teatro La Fenice, 17.III.1846) un anno dopo il Tannähuser
di Wagner, rappresentato a Dresda il 19 ottobre del 1845, anno in
cui Prosper Merimée
pubblicò il racconto
Carmen da cui sarebbe
stato tratto il libretto
dell’omonima opera di
Bizet.
Nell’anno precedente
la composizione dell’Attila in Italia scoppiò
la rivolta bolognese che
produsse il cosiddetto
Proclama di Rimini, cui
Papa Pio IX
partecipò il futuro statista Luigi Carlo Farini,
da vicino quali fatti segnapropositore delle riforme rono la storia di quell’aneconomiche e politiche tra no 1846.
le quali la principale il
passaggio del governo
in italia
della città ai laici, sottraendolo in tal modo allo Stato Dopo la morte del Papa
Pontificio. Ma le truppe Gregorio XVI, il 16 giugno
papaline furono immedia- sale sul Soglio di Pietro il
tamente inviate contro i ri- Cardinale cinquantaquatbelli per sedare la rivolta. trenne Giovanni Mastai
In tale panorama storico, Ferretti, che assume il noma ancor più nel generale me di Pio IX e sarà destisentimento risorgimenta- nato a regnare per 32 anni,
le, si colloca quindi la ancora il pontificato più
composizione dell’Attila lungo della storia dopo
che, sebbene di non altissi- quello di Pietro, Principe
mo spessore artistico, fu in degli Apostoli. All’esordio
grado di riscuotere un suc- del suo magistero il nuovo
cesso straordinario pro- Papa concede inaspettataprio grazie alle esplicite al- mente l’amnistia e tale
lusioni patriottiche, peral- evento diede adito al Giotro espresse con ritmi vee- berti di rinsaldare le sue
menti e solida forza tim- teorie neoguelfe. Questo
brica. Vediamo però più innescò fiducia e speranze
Il 1846 verdiano
L
’11 gennaio Giuseppina Strapponi canta per l’ultima volta
in teatro con il Nabucco a
Modena e successivamente si trasferisce a Parigi per darvi lezioni di
canto.
Il 17 marzo prima rappresentazione
dell’opera
Attila su libretto di Temistocle Solera al Teatro La
Fenice di Venezia, con un
ottimo successo di pubblico e critica.
In aprile, rientrato a Mi-
lano, Giuseppe Verdi si
deve sottoporre ad un
lungo periodo di riposo
ed in luglio parte per Recoaro in compagnia di
Andrea Maffei, poeta discepolo di Vincenzo Monti
che fa parte della corrente
letteraria “scuola classicista”, che accetta di
scrivere il libretto dei
Masnadieri.
In ottobre inizia a scrivere
Macbeth sui versi del
veneziano
Francesco
Maria Piave.
da parte del popolo, tivo appoggio del Papa altanto che si creò il mi- la sua causa, e quindi l'ito del papa liberale. dea giobertiana neoguelfiCiò a ragione, dal mo- sta inizia talmente a prenmento che solo un an- dere corpo.
no dopo fu lo stesso
Nel Mondo
Papa ad istituire il Comune di Roma, formato da un consiglio di Nel frattempo oltre Manica nasce il movimento in100 membri.
A pochi giorni dalla dipendentista la giovane
sua elezione, Pio IX fa Irlanda. In America invesciogliere la famigera- ce, con il trattato dell’Oreta Commissione spe- gon, la Gran Gretagna e gli
ciale
in Romagna Stati Uniti fissano al 49°
(quella che inquisiva, parallelo il confine con il
celebrava i processi e Canada, mentre Garibaldi
condannava senza ap- sostiene attivamente la
pello). Dopo un mese guerra per l’indipendenza
delibera l'amnistia per dell’Uruguay. E’ anche
i prigionieri e gli esi- l’anno dell’inizio della
liati politici; a Roma, guerra fra, Stati Uniti e
Bologna, Ferrara e in Messico (1846 e 1848). Un
altre città la popola- evento di definizione dei
zione esulta dalla confini per entrambe le nagioia. Processioni, fiaccola- zioni che trasformò un
te nella notte, e piazze e continente, facendo perdechiese gremite in
ogni contrada.
A settembre manda una delegazione pontificia al
Congresso degli
scienziati. A novembre istituisce
una commissione
per costruire ferrovie nello Stato
Pontificio. A dicembre forma varie Commissioni,
per le riforme economiche, giuridiche e assistenziali,
per la riforma dei
codici civili e penale, infine prende alcuni provvedimenti per orga- Ascanio Sobrero
nizzare l'insegnamento scolastico, il mon- re al Messico gran parte
sud-ovest
do del lavoro, ristabilire la dell’attuale
libertà di stampa. Ma l'av- americano, dal Texas alla
venimento più rivoluzio- California.
nario é una Consulta di
Nella scienza
Stato con la partecipazione
di laici. E sta adoperandosi
per uno Statuto. Una rivo- Il chimico italiano Ascanio
luzione. Pio IX sta conce- Sobrero scopre la nitroglidendo ai suoi cittadini non cerina e in Ungheria il mesolo quanto non era mai dico Ignác Semmelweis instato prima nemmeno pre- tuisce la causa della febbre
so in considerazione dallo che nel suo paese stava
Stato Pontificio, ma nem- mietendo migliaia di vittimeno quanto avevano me: consisteva nell’insufficoncesso ai loro sudditi ciente igiene dei medici
Leopoldo di Toscana e che visitavano le puerpere.
Carlo Alberto. Quest'ulti- Individuò così la soluzione
mo inizia a credere di po- il lavarsi le mani con acqua
ter contare ora su un effet- e sapone! Purtroppo però
il suggerimento dello
scienziato fu apertamente
sdegnato.
L’astronomo francese Urban-Jean-Joseph Le Terrier
sscopre il pianeta Nettuno
e l’irlandese Thomas Robinson inventa l’anemometro a palette per misurare la velocità del vento.
Infine il chimico svizzero
Christian Schönbein sintetizza il nitrato di cellulosa,
dando così il via alla produzione dei primi materiali plastici.
Nell’industria
Carl Zeiss fonda a Jena
una fabbrica di meccanica
di precisione ed ottica, iniziando nel settembre del
1847 la produzione di semplici microscopi.
Nella filosofia
Marx ed Engels si accingono a scrivere L’ideologia tedesca, quando Cesare Balbo pubblicò il Sommario
della storia d’Italia, il cui
motivo ripetuto era quello
dell’indipendenza dallo
straniero. Ancora di taglio
politico l’opuscolo di Massimo D’Azeglio Degli ultimi casi di Romagna in cui il
teorico, in riferimento ai
fatti romagnoli dell’anno
precedente, suggerisce agli
italiani di rinunciare alla
strategia delle cospirazioni, che si erano rivelate fallimentari.
Nella letteratura
La scrittrice francese George Sand pubblica uno dei
suoi romanzi più riusciti,
La palude del diavolo. Pensare che l’anno dopo sarebbe
finita la sua relazione con
Chopin, che durava dal
1838.
Solo un anno più tardi sarebbe morto Mendelssohn,
simbolo del romanticismo
felice, e sarebbe uscito uno
dei romanzi più caratterizzanti del tormento romantico, Cime tempestose di
Emily Brontë, ma soprattutto… si stava avvicinando lo straordinariamente
“movimentato” anno 1848.
St. So.
il
Attila
Giornale dei Grandi Eventi
15
In un libro da amatore
Verdi mai così ricco d’immagini
N
on capita spesso di parlare di un bel libro. Bello ed interessante sotto tutti i punti di vista. Un prodotto di nicchia forse,
perché non destinato alla grande distribuzione, ma senz’altro
un volume da leggere tutto d’un fiato, da tenere in libreria, da sfogliare con piacere sia per la gradevole veste grafica che per il ricchissimo apparato iconografico a colori e di alta qualità grafica sull’intera vita di Giuseppe Verdi. Si tratta del volume “Per amore di Verdi:
vita, immagini, ritratti” edito per i tipi della Grafiche Step Editrice di
Parma (che ha anche pubblicato un analogo pregevole volume dedicato a Giacomo Puccini, che prossimamente presenteremo), uscito al
termine dell’anno Centenario verdiano 2001. E’ un’opera sulla personalità di Verdi ed al contempo sull’ambiente e sul tempo in cui visse. Un’opera rigorosa, ma allo stesso tempo accattivante anche per il
lettore non specialista, che presenta questo Verdi non così conosciuto
come si crede per la sua personalità complessa ed a volte contraddittoria. Un Verdi studiato anche attraverso le immagini, i suoi ritratti
nel tempo, dall’olio del giovanissimo insegnante di pianoforte alla
marchesina Zaccaria di Cremona, alle immagini delle prime fotografie dal contrasto affascinante dove il grande vecchio della musica risorgimentale appare canuto e bianco. Intorno a lui, con una grande
cura nella ricerca iconografica, è un
rincorrersi di personaggi del mondo
della musica (artisti, librettisti, impresari), di bozzetti di opere, di teatri, di
incisioni a bulino frontespizi dei lavori del Maestro. Un’opera nata con il
contributo dell’Istituto Nazionale di
Studi Verdini e l’entusiastica adesione
della casa editrice di un’azienda tipografica che nulla ha risparmiato per il
bel risultato. Il testo è diviso in dieci
capitoli di agile lettura che ripercorrono tutti gli 88 anni di vita del
musicista, dall’ambiente delle origini, agli ultimi anni milanesi. Conclude il testo una cronologia della vita e delle opere ed una ricca bibliografia.
“Per amore di Verdi: vita, immagini, ritratti” – AA.VV., cm. 24 x 30 Pag. 275 – Edizioni Grafiche Step, via Francesco barbacani, 10/b , Parma - € 70.
In libreria, per approfondire il protagonista dell’opera
Attila e gli Unni tra storia e leggenda
U
na figura ed un
nome, quelli di
Attila e del suo
popolo, gli Unni, che per
l’inaudita violenza delle
proprie gesta sono rimasti famosi nei secoli.
Fatti tragici, avvolti però
da un velo di mistero
per l’esiguità delle fonti
storiche ed archeologiche. Proprio una serie di nuove indagini
archeologiche su questo
popolo dell’Est, sono
state il fulcro del lavoro
del Gruppo Archeologico Aquileiese denominato “Progetto Attila” nel
quale si è anche inserito
l’interessante convegno
internazionale “Attila
Flagellum Dei?”, la cui
raccolta degli atti è divenuta il primo dei due
volumi che per serietà
scientifica presentiamo e
consigliamo. Un punto
di domanda caratterizza
il convegno nel quale si
è cercato di indagare - al
di là del mito - la verità
storico-archeologica del
popolo degli Unni, che
proveniente dalla Pannonia, ha tentato di spingersi fino alle più interne regioni italiane.
Passo passo si è approfondita la questione unica dall’area delle steppe
fino alle loro tracce in
Slovenia. I valori di una
sfida, quella che il Re
barbaro lanciò all’Occidente. La questione italiana si sviluppa essenzialmente nella pianura
padana: se certo è l’ingresso nella penisola
dalla Slovenia ed il suo
passaggio distruttivo su
Aquileia nel 452, discusso è l’itinerario della
spettacolare campagna
“italiana”, che si rivelò
dai risultati disastrosi.
La pianura padana, infatti, non si era ancora
risollevata dalla carestia
di due anni prima e le
truppe andarono incontro ad una serie di forti
epidemie. Dopo l’avanzata verso Milano e
Pavia c’è l’incontro con
Papa Leone che lo raggiunse in Acroventu Ambuleio (?) dove esisteva
un passaggio molto frequentato sul Mincio.
L’individuazione
di
questa località, contesa
da vari comuni, non è
una banale puntualizzazione topografica, ma
un problema di ordine
storico legato alle intenzioni di Attila, se cioè
giunto al Mincio il re stava ancora avanzando o
se era già in fase di ritirata. Diverse le teorie. E
qui, sull’epilogo della vicenda, entra in gioco il
peso della Chiesa, interfaccia di una corte imperiale che di fronte alla
calata di Attila si era
trasferita a Roma, lasciando dietro di se una
Ravenna ben difesa grazie anche i rifornimenti
via mare. Insomma un
quadro a tutto tondo
sulla spedizione italiana,
che cerca di chiarire aspetti destinati a ridisegnano la leggenda.
Catalogo della mostra
itinerante “Attila e gli
Unni” partita nel 1995
da quella Aquileia, prima grande tappa distrutta del “Flagellum
Dei”, il secondo titolo
che presentiamo è un bel
volume di grande formato, più divulgativo,
che presenta, a cura di
Silvia Blason Scarel, il
quadro storico degli Unni dal IV al V secolo e
delinea il quadro cronologico di Aquileia , i cui
profughi proprio dopo
la distruzione unna si
spostarono a sud lungo
la costa, approdando
sulle paludi venete e
dando vita a quella che
sarà poi Venezia. Importante nell’inquadramento della vicenda è anche
il ruolo coevo della
chiesa aquileiese, la cui
Basilica patriarcale porta
ancora i segni del fuoco
barbaro del 452. Sono
poi approfonditi gli
scavi nelle varie città
venete e lombarde alla
ricerca di tracce di quel
popolo pannonico. Ed
interessante è l’introduzione all’archeologia
degli Unni attraverso
oggetti funerari e di uso
comune, ma anche di
pratiche rituali come la
deformazione artificiale
del cranio cui venivano
sottoposti i neonati fra i
popoli del Basso Impero
nei territori di Ostrogoti,
Unni, Avari, Germani.
Conclude il volume una
interessante carrellata
sulla iconografia del
“Flagellum Dei”. Dalle
medaglie alle miniature,
che evidenziano la demonizzazione dl personaggio spesso ritratto con
corna e barba caprigna.
G. l. Cer.
Attila Flagellum Dei? Atti
del convegno internazionale
di studi storici sulla figura di
Attila e sulla discesa degli
UNNI in Italia nel 452 d.C. –
a cura di Silvia Blason Scarel.
Collana Studia Historica
(129), 1994 - Pag. 250 +58
tav. ft. – ed. “L’Erna” di
Bretschneider. €143.
Attila e gli Unni – Catalogo della mostra itinerante –
1995, cm .24x3 – Pag 164 –
92 ill. BN, 12 piante, 17 ill.
col. ft. - ed. “L’Erna” di
Bretschneider. € 86.
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