vedi file 199 L`immagine scientifica nel mondo

ASSOCIAZIONE NAZIONALE UNIVERSITA’ DELLA TERZA ETA’
UNITRE - UNIVERSITA’ DELLE TRE ETA’
SEDE DI COLLEFERRO
Via Nobel, 1 00034 Colleferro (Roma)
www.unitre.info
Prospettive dall’immagine scientifica del mondo
Giuseppe Torti, Maurizio Armisi
SINTESI
Il lavoro è un approfondimento di alcuni temi delineati nel progetto “Un percorso per la conoscenza”.
Viene discusso se mantenere il confine netto tra il “come” avvengono cose e fenomeni, tipico delle
scienze, e il “perché” riservato classicamente a filosofia e teologia, ovvero tra conoscenza e significato del
mondo alla luce delle attuali acquisizioni di fisica fondamentale, cosmologia, origine e sviluppo della vita,
neurofisiologia e comparsa delle funzioni cognitive.
Viene quindi discusso il problema delle leggi di natura, da alcuni considerate proiezioni dei nostri schemi
mentali sulla realtà per conoscerla e controllarla, da altri verità oggettive che l’uomo scopre “là fuori”
quando interroga la natura.
Vengono infine analizzate le attuali teorie sull’Informazione che diventano sempre più trainanti negli studi
interdisciplinari di fisica, biochimica e scienze cognitive. L’informazione viene sempre più vista come
meccanismo fondamentale in grado di regolare gli scambi tra materia ed energia nonché come filo
conduttore unico in grado di collegare le interazioni tra le particelle elementari sia ai processi cosmici di
larga scala che a quelli microscopici della vita.
Colleferro, 19 novembre 2012
Unitre Colleferro
Prospettive dall’immagine scientifica del mondo 1
Giuseppe Torti 2, Maurizio Armisi 3,
1. L’orizzonte delle scienze
Il metodo scientifico ha il merito di fornire all’uomo una immagine del mondo di grande
efficacia, oggettività e potenzialità oltre che di notevole affidabilità.
“… la scienza stessa, se guardata in una prospettiva più larga della sua stretta
specializzazione, disegna un’immagine del mondo caratterizzata da un livello inedito di
astrazione e di generalità.
Credo che questa immagine del mondo assuma realmente il ruolo che anni fa
adempivano le concezioni filosofiche”.
E’ con queste sintetiche parole che il cosmologo e teologo polacco Michael Heller 4,
Premio Templeton 2008, descrive l’immagine che la scienza fornisce di ciò che ci
circonda e di cui siamo parte.
Dunque si configura una sorta di “filosofia scientifica” che viene sostenuta dal continuo,
inevitabile e “apparente” sconfinamento dal preteso rigore scientifico a deduzioni e
considerazioni che, pur non scientifiche, sembrano essere assolutamente inevitabili e
talvolta finanche gratificanti.
Con il progredire delle scienze e delle tecniche sperimentali la teoria indica sempre più
cosa misurare e come costruire gli strumenti di misura ed interpretare i risultati.
Quindi nell’immagine scientifica del mondo entrano, oltre ai risultati, anche:
- “ i metodi attraverso i quali si conseguono i risultati;
- le premesse, sulle quali si fondano sia i risultati sia i metodi;
- le questioni aperte già poste, ma delle quali non si conoscono ancora le risposte;
- le domande non ancora poste, ma intuite, e che consistono in una estrapolazione o nel
prolungamento asintotico della conoscenza attuale fino ai limiti estremi del suo campo
di applicabilità.
Tutti questi interrogativi costituiscono il cosiddetto «orizzonte delle scienze» ”. 5
E’ problematico tuttavia immaginare un confine netto per questo orizzonte, ovvero una
chiara separazione tra conoscenza del mondo ed il suo significato: in un contesto del
genere è arduo dividere le ragioni della ricerca del “come” da quelle del “perché”.
1
Questo scritto costituisce un approfondimento dei temi presentati nel quadro di sintesi di Un percorso
per la conoscenza, un progetto di questa Unitre riportato nella sezione Biblioteca del sito
http://www.unitre.info
2
Docente del corso “Scienza e metafisica” presso l’Unitre di Colleferro
3
Docente del corso “L’uomo e la mente” presso l’Unitre di Colleferro
4
Michael Heller- Nuova fisica e nuova teologia, Edizioni San Paolo, 2009, pag. 100
5
Ibidem, pag. 101
Prospettive dall’immagine scientifica del mondo – 1a emissione: 19 novembre 2012; Revisione 2: 10 dicembre 2012
2
Unitre Colleferro
E’ più che evidente inoltre il progressivo spostamento in avanti di quel confine e di tutte
le problematiche ad esso legate: si pensi, ad esempio, alle successive acquisizioni della
Cosmologia, all’analisi spinta fino agli istanti successivi al Big Bang ed alle ardite teorie
sull’origine del Big Bang stesso nonché alle ipotesi sui molti universi, per non dire della
curvatura dello spaziotempo e quindi del buchi neri, della impossibilità di definire
l’esistenza di una particella quantistica prima della sua osservazione, sulla natura
continua o discreta dello spaziotempo alle dimensioni di Planck e così via.
Ai nuovi scenari che si aprono seguono nuove interpretazioni, nuove letture della realtà
in termini di intelligibilità del mondo e quindi un affinamento dei metodi e della visione
complessiva, sostenuta anche dalla messa a punto di nuovi e più rispondenti approcci
matematici: dinamica questa che alimenta la conquista senza sosta di porzioni
successive proprio di quella realtà fisica ancora non decodificata.
Ma in questa stessa dinamica, nell’ansia della scoperta, si estrinseca una sorta di sfida
virtuosa che fa sì che diventi sempre più inevitabile una connessione delle cose spiegate
(come) con un loro senso, che agisce da ulteriore stimolo per l’intuizione creativa.
Non è difficile in fondo rendersi conto che tale processo, avviato certamente sul piano
del come, viene ad essere alimentato ancor più sul piano trasversale del perché.
2. Tra conoscenza e significato del mondo.
Il mondo è leggibile in via naturale attraverso il metodo scientifico.
“ … in linea generale gli scienziati sono persone naturaliter religiose, anche se molti di
loro non aderiscono ad una particolare confessione o chiesa: essi sono istintivamente
«devoti», poiché nel corso delle loro indagini si imbattono in una razionalità immanente
ai fenomeni naturali, in un mistero che chiede allo sperimentatore umano una
particolare disposizione all’osservazione e all’ascolto”.6
“… Direi piuttosto che la scienza è una forma di partecipazione al mistero della
creazione”.7
Per entrare in questo argomento è opportuno riflettere su come Newton ha gettato le
basi del metodo scientifico e sull’enorme salto nella conoscenza del mondo provocato
da Einstein quando ha rivoluzionato i concetti di tempo, spazio e di gravitazione
universale di Newton. 8
L’intuizione di Newton sulla forza di gravità era grandiosa: il grande scienziato si rese
conto che la causa che faceva cadere la mela, che faceva orbitare la Luna intorno alla
Terra e questa intorno al Sole era la stessa, era presente in tutto il cosmo e si
estrinsecava sempre in una “forza” attrattiva che chiamò appunto di “gravitazione
universale”.
Era la prima e grande unificazione della fisica che rivoluzionava le credenze aristoteliche
che consideravano le leggi eterne ed immutabili degli astri ben diverse da quelle
caduche e corruttibili che valevano per la Terra.
6
M. Heller, La scienza e Dio, Editrice La Scuola, 2012, pag. 29
Ibidem, pag. 34
8
G. Torti, Il Mistero della gravità, sito Unitre Colleferro-Biblioteca http://www.unitre.info, 2008
7
Prospettive dall’immagine scientifica del mondo – 1a emissione: 19 novembre 2012; Revisione 2: 10 dicembre 2012
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Ma ben presto, siamo nel 1687, ricevette anche un gran numero di obiezioni su come
facesse la Terra a dire alla mela di cadere, come facessero a comunicare tra loro Terra e
Luna, Sole e Terra sì da mantenersi legati così come appaiono ai nostri sensi. Oppure,
come facesse la mela a sapere dell’esistenza della Terra e viceversa, come facesse la
Terra a dire alla mela (o ad un proiettile) di muoversi secondo una precisa traiettoria con
tempi di caduta ben determinati.
Domande che lasciarono piuttosto imbarazzato il genio inglese e rimasero senza risposta
fino al 1915 quando Einstein rivoluzionò i concetti di tempo, spazio, massa ed energia
introdotti proprio da Newton.
Il genio tedesco, in poche parole, dimostrò che se tutti i corpi, qualunque sia la loro
massa, subiscono la stessa accelerazione (di gravità) allora questa doveva essere una
caratteristica dello spazio in cui essi si muovevano. Prima ancora di creare l’imponente
sostegno matematico alla sua Teoria della Relatività Generale egli aveva intuito che la
realtà, se era vero che si faceva decifrare, doveva presentarsi in modo razionale e
armonico.
A pensarci bene qui nasce la straordinaria idea innovativa che influenzerà tutta la
speculazione fisica successiva su come intendere la realtà, che non è costituita da
singole entità separate collegate da leggi esterne ma piuttosto aggregate in un unicum
che regola le loro mutue relazioni. 9
Nella nuova visione che emergerà nei decenni successivi nessun componente (luce,
materia, energia, spazio e tempo) ha realtà indipendente dal tutto per cui la realtà
universale non appare più scomponibile in unità minime dotate di esistenza
indipendente ma piuttosto come una rete complessa di relazioni tra le varie parti del
tutto.
Con geniale intuizione Einstein perciò demolì lo “spazio” ed il “tempo” assoluto di
Newton, li fuse insieme e li trasformò in elementi strutturali di quel qualcosa dove la
“materia” e le “forze” si manifestavano e che fino ad allora era stato chiamato “vuoto”.
Era inutile cercare altrove l’origine di quella forza occulta che tanto aveva ossessionato
Newton, perché era sotto i nostri occhi, era invisibile ma occorreva saperla localizzare:
nel “vuoto” dello spazio circostante ai corpi in moto. In altre parole un corpo non
“attira” un altro corpo a causa di una misteriosa “azione a distanza” ma piuttosto esso
genera una certa condizione fisica nello spazio attorno che produce quell’effetto
sull’altro corpo.
E qui siamo chiamati a sforzi di immaginazione crescenti perché la distinzione tra spazio,
tempo e materia è bell’e svanita: diventano un “unicum” in cui nessuno può esistere
senza l’altro in quanto sono i costituenti stessi della realtà.
Svanita insieme a quel tanto contestato postulato della “forza” poiché la gravità diventa
la manifestazione della struttura di quel mezzo invisibile che chiamiamo spazio, anzi
spazio-tempo, e perciò della sua geometria che si incurva ad avvolgere le masse
costringendole a muoversi lungo i suoi ineludibili meandri.
9
Si veda il citato progetto Un percorso per la conoscenza
Prospettive dall’immagine scientifica del mondo – 1a emissione: 19 novembre 2012; Revisione 2: 10 dicembre 2012
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Unitre Colleferro
Ma non basta ancora poiché occorre immaginare, o meglio, fantasticare uno spaziotempo come un tessuto unico e continuo che, riempiendo tutto il cosmo ne costituisce la
trama e diviene la matrice di tutti i fenomeni naturali.
In sintesi, in quel tessuto si esprimono allo stesso tempo sia le cause che gli effetti di
quanto prima distinguevamo in “forza”, “massa”, “energia”, “moto”, azioni, interazioni,
ovvero di tutto ciò che si presenta come realtà dinamica.
Una visione del genere, anche se rimane tuttora non del tutto messa a fuoco, ha
stimolato l’intuizione e l’immaginazione di generazioni di scienziati ed ha aperto spazi
enormi alla fisica ed alla cosmologia con una sorprendente mole di risultati ed
acquisizioni che hanno condotto tra l’altro alla nozione di Informazione, già trattata in
altra parte 10, che oltre a improntare di sé gli sviluppi futuri della fisica fondamentale sta
costituendo un importante collante interdisciplinare con le scienze della vita e della
mente aprendo prospettive di comprensione e di unificazione in un’ottica complessiva
che le ricollega all’universo, al tutto, cioè a quell’unicum già visto in cui la realtà si
esprime e prende corpo.
Non si può non ammettere pertanto come questo modo di vedere il mondo, oltre che
suggestivo, sia di grande potenza ed efficacia.
Ma l’esempio è istruttivo anche per un’altra ragione.
Tornando a quella arcana “azione a distanza” occorre dire che creò non pochi problemi a
Newton che risultò piuttosto intimorito dalle critiche che gli venivano rivolte da grandi
scienziati come Huygens, Leibniz e molti altri in Europa che non si rassegnavano a
spiegare la fisica e quindi la natura con principi metafisici che parlavano di forze occulte
esercitate, tanto per dire, dal Sole sul nostro pianeta che si trovava ad una distanza di
150 milioni di chilometri riempiti di “vuoto”. Era un problema non da poco.
Huygens arrivò a dichiarare: “Non riesco a capire come il Signor Newton abbia potuto
dedicare tanta buona matematica ad una ipotesi fisica così assurda.”
E Newton, nonostante la genialità di tante intuizioni e scoperte, replicò timidamente:
“Che la gravità debba essere innata, inerente e essenziale alla materia cosicché un corpo
possa agire su di un altro a distanza attraverso il vuoto senza la mediazione di qualcosa
d’altro è per me un’assurdità tanto grande da ritenere che nessuno, competente nel
pensare in materia filosofica, possa mai cadere in questa opinione. La gravità deve
essere causata da un agente che agisca in modo costante e secondo certe leggi; ma se
quest’agente sia materiale o immateriale, l’ho lasciato alla considerazione dei miei
lettori.” 11
Da notare quanta modestia è insita nelle parole di una mente tanto fervida e lucida
quanto rispettosa dei segreti della natura, quanta prudenza ed umiltà in uno studioso
che stava aprendo scenari insospettati alla fisica ed alla conoscenza umana.
Ed ancora:
"Io non oso fare ipotesi su cos'è la gravità, dico solo che se io ipotizzo che ci sia una forza
fatta in quel modo riesco a spiegare il moto dei pianeti intorno al sole ma non dite che io
spiego cos'è, io non faccio ipotesi …". 12
10
Si veda il citato progetto Un percorso per la conoscenza
Isaac Newton, lettera a Richard Bentley del 1693
12
Isaac Newton, Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, 2a edizione, 1713
11
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Unitre Colleferro
E’ la famosa affermazione “Hypotheses non fingo” in latino, all’epoca lingua di scienziati
e dotti, in cui scrive i suoi Principia.
Ed aveva tremendamente ragione poiché il fatto di non conoscere la natura di quella
forza non gli impediva certo di predire e spiegare le orbite dei pianeti, le traiettorie dei
proiettili e tante altre cose.
Per giunta sarebbe stato assurdo non ammettere l’esistenza in natura della gravitazione
universale e delle sue specifiche e misurabili proprietà solo perché non se ne conosceva
la causa.
Ecco quindi che Newton pian piano, un po’ per difendersi dalle critiche, un po’ per
sostanziare le idee di base che avevano prodotto quella teoria unificante e di grande
respiro, distingue, mantiene separate le proprietà della gravità dalla sua causa. Cioè
studia gli effetti per comprendere i fenomeni inspiegati, cerca di fare ogni possibile
ulteriore previsione ma rinuncia ad indagare sulla causa che gli appare invero impresa
disperata.
Per difendere le sue scoperte arriva a dire che la scienza non cerca le cause ultime, come
la filosofia, ma piuttosto la comprensione dei fenomeni naturali sulla base di
ragionamenti logico-deduttivi confortati, quando possibile, dall’esperienza.
Rinuncia a rispondere a domande quali “perché l’universo esiste e qual è il suo scopo?” e
dà fondamento all’idea dell’accessibilità razionale del mondo fisico e della possibilità di
comprendere e spiegare i fenomeni naturali e con essi gli eventi che hanno
caratterizzato la storia del cosmo e della Terra.
Una accessibilità che continuerà a stupire i migliori intelletti tanto che persino Einstein
dirà molto più tardi che “la cosa più incomprensibile dell’universo è che esso sia
comprensibile”.
E nel sostenere un approccio tanto nuovo Newton forse non si rende conto che sta
costruendo le fondamenta e la struttura del metodo scientifico moderno che avrebbe
mietuto successi inebrianti nei secoli successivi.
Dunque, Newton ha aperto la feconda epoca del metodo scientifico ma anche
inaugurato la stagione della ricerca del “come” piuttosto che del “perché”, che rimaneva
appannaggio della filosofia e della teologia, ma aveva le sue buone ragioni. Questa
attitudine mentale è rimasta però nei secoli successivi, anzi è stata amplificata così da
creare una divisione artificiosa ed eccessiva tra scienza da un lato e filosofia e teologia
dall’altro che ha portato a non pochi conflitti ed incomprensioni che tuttora persistono.
Ritornando alla felice intuizione del Big Bang, la singolarità iniziale rimasta tuttora senza
una causa specifica, occorre sottolineare come da questa sia però scientificamente
scaturita tutta l’evoluzione del mondo, quindi delle galassie, delle stelle, degli elementi e
dei composti chimici, dei pianeti e di tutto quanto necessario alla comparsa prima della
vita e poi del mondo vegetale e animale fino all’uomo con l’emergere della
consapevolezza, la manifestazione più elevata e stupefacente delle potenzialità
dell’universo.
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E’ chiaro che sull’ipotesi scientifica della singolarità inspiegata si può anche speculare,
fare ipotesi ardite o andare a ricercare addirittura le ragioni dell’esistere stesso
dell’universo o degli universi, un problema che ha interessato i pensatori di ogni tempo,
ma non si può non riconoscere che tutto ciò che è avvenuto successivamente al Big Bang
è stato spiegato in modo preciso e rigoroso con notevoli riscontri sperimentali.
Dunque, anche quando la scienza formula taluni tipi di proiezioni in avanti, di
estrapolazioni o, se si preferisce, di sforzi di immaginazione rinunciando ad investigare le
cause, non fa altro che dar corpo all’ansia di conoscenza dell’uomo e all’esigenza di
rispondere alle fondamentali domande circa la struttura della realtà, ed apre comunque
spazi ed orizzonti su cui orientare gli sforzi successivi, anche a lungo termine.
La conoscenza, per “dar corpo” e risposta alla suddetta “ansia”, non si serve solo del
metodo scientifico ma di ogni strumento o condizione o possibilità che permetta di
ricevere e comprendere la realtà osservata.
Essa è “ l’alimento” essenziale ed insostituibile per la mente.
Se, da una parte, l’organo cervello necessita di materiali nutritivi essenziali ed energetici
per svolgere tutte le sue funzioni, dall’altra la mente, che rappresenta in qualche modo il
prodotto e la sintesi delle funzioni del cervello, necessita di conoscenza in senso
assoluto.
E su questo modo di procedere della scienza ci pare molto interessante quanto
argomentato da M. Heller:
“… Perché l’Universo è così com'è e non diverso? Credo che non si debba avere paura
delle domande circa «il perché», non si possono evitare le Grandi Domande ricorrendo a
piccoli stratagemmi. Le domande sul «come» sono di solito utili strade d'accesso alle
domande sul «perché», di portata molto più grande. La cosmologia moderna è un
esempio molto eloquente di questo processo genetico della domanda.
Perché il mondo è così com'è? Vediamo che in questa domanda il «perché» e il «come»
sono legati tra di loro in modo organico. L’indagine del mondo così com'è porta al
penetrante perché?” 13
Semmai il “perché” è ancor più pregnante, ma sempre successivo al “come”, se
sottintende la ricerca di un fine razionale e logico di tutto ciò.
Il mondo è nato ed è così. Non serve ipotizzare realtà diverse che mai saranno possibili.
Ma se è così c’è da porsi un’altra domanda, classica e universale: pura casualità o
qualcosa di più?
Nel primo caso anche il perché non avrebbe senso perché non possiamo prevedere
come opera il caso. Nel secondo caso il perché ha un ruolo determinante qualunque sia
la risposta di ciascuno.
Nello spiegare la causa di quella misteriosa forza di gravità di Newton, rimasta senza
risposta per oltre duecento anni, la scienza non ha solo colmato una lacuna ma ha
aperto un nuovo imponente scenario, la Relatività Generale, che ha portato a gran parte
delle scoperte cosmologiche del secolo scorso, attualmente in ampliamento a seguito
delle ulteriori ricerche teoriche e conferme sperimentali.
13
M. Heller, Nuova fisica e nuova teologia, Edizioni San Paolo, 2009, pag. 154
Prospettive dall’immagine scientifica del mondo – 1a emissione: 19 novembre 2012; Revisione 2: 10 dicembre 2012
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Sorprende quindi questa persistente tendenza, originata in un preciso periodo storico
peraltro datato, di voler mantenere separati e non interagenti gli ambiti del come e del
perché che non lo sono per forza di cose se non per loro stessa natura.
Una separazione che rende problematica una quanto mai auspicabile integrazione tra
razionalità scientifica e filosofico-teologica proprio per veder progredire insieme, in
modo armonico ed in continua sintonia, sia la conoscenza dei molteplici aspetti del reale
che quella legata agli ineludibili temi etici ed esistenziali, cosa che non è avvenuta
purtroppo in passato e di cui sono note le conseguenze.
Inoltre tale discontinuità appare poco rispondente alle istanze di un’epoca in cui da un
lato si registra un proliferare di specializzazioni mentre dall’altro le singole scienze
stanno adottando approcci multidisciplinari proprio per far fronte ai crescenti livelli di
complessità della realtà.
Si pensi ad esempio alla cooperazione tra fisica fondamentale e cosmologia per lo studio
del comportamento della materia alle altissime energie, impossibili sulla Terra né ora né
in futuro, ma presenti negli istanti successivi al Big Bang e che possiamo studiare
analizzando le particelle (fotoni, neutrini) che arrivano sui nostri strumenti superficiali ed
orbitanti.
Ma anche alle scienze della vita ed alle neuroscienze, cosa che ci tocca ancor più da
vicino, che stanno studiando il trasferimento delle informazioni dall’ambiente cosmico a
quello biologico e il modo di comunicare tra loro dei neuroni: attività che vedono i
contributi di settori specializzati di biochimica, fisica, anatomia, biologia molecolare,
fisiologia, patologia e immunologia per comprendere il rapporto mente-corpo sotto una
prospettiva unificante, basata sulla visione di una coscienza da investigare e
comprendere in una chiave di interconnessione con il tutto. 14
Approcci che caratterizzano in modo rilevante gli ultimi decenni in cui la conoscenza
della mente ha assunto un ruolo fondamentale considerato che, qualunque cosa sia la
realtà, essa non è nulla di diverso da ciò che percepiamo poiché tutto quanto possiamo
conoscere è solo l’immagine che appare nella nostra coscienza.
E’ chiaro che tale convergenza di saperi interdisciplinari apre nuove prospettive ed è in
controtendenza con il passato modo di fare scienza, quando ogni disciplina tendeva a
rimaner chiusa in sé stessa nella convinzione che esaurisse abbastanza quanto era
necessario conoscere in quello specifico settore specialistico.
Oltre alla disponibilità a rimettere in discussione parte dei concetti di base della branca
di provenienza, ora invece si accettano metodiche, modelli matematici ed
apparecchiature sofisticate di altre specializzazioni: si pensi ad esempio all’utilizzo della
TAC, della Risonanza Magnetica, della Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), dei
modelli matematici e dei supercomputer giganteschi impiegati nello studio e nella
simulazione delle attività cerebrali.
In un contesto così trasformato ed in vista di futuri progressi questo costituisce un
ulteriore stimolo a non mantenere separata la conoscenza di ciò che il mondo è da ciò
che esso significa.
14
Si veda anche il citato progetto Un percorso per la conoscenza
Prospettive dall’immagine scientifica del mondo – 1a emissione: 19 novembre 2012; Revisione 2: 10 dicembre 2012
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Unitre Colleferro
Accanto a queste tendenze di cooperazione interdisciplinare, di integrazione dei saperi e
di ricerca di unificazione di leggi e comportamenti della natura è infine da registrare un
crescente aumento dei perché da parte degli uomini di scienza, sempre più interessati
alle domande di senso ed agli aspetti esistenziali poiché in fin dei conti
“… anche la conoscenza scientifica è a suo modo una manifestazione di quella inguaribile
tendenza dell’essere umano a domandarsi il perché delle cose, mai sazio di risposte
parziali.
… la ricerca scientifica mostra di avere il suo seme e le sue radici profonde proprio nel
terreno dell’esigenza umana di soddisfazione e di senso.” 15
Con l’allargarsi degli orizzonti e davanti all’armonia ed alla cooperazione che affiorano
da letture sempre più sofisticate della natura, anche gli scienziati, classicamente descritti
come freddi e dediti solo ad aride formule, mostrano il volto umano e cominciano a
liberarsi dai lacci del positivismo ed a manifestare stupore.
Stupore non significa necessariamente apertura all’extrascientifico ma quasi un essere
improvvisamente ed intimamente “abbagliati” da ciò che si riesce a “leggere” nella
natura.
Il fisico e teologo G. Tanzella-Nitti 16, direttore del Portale DISF, Documentazione
Interdisciplinare di Scienza e Fede, commenta questo cambiamento di tendenza:
“Va registrata la persistenza di riflessioni, più insistenti negli ultimi decenni del XX secolo,
aventi per oggetto il tentativo di proporre visioni unitarie della realtà, desiderose di
integrare i risultati delle scienze naturali con i grandi temi dell’esistenza umana e, non
ultimo, con il mondo dei valori e dell’esperienza spirituale, qui generalmente intesa, di cui
gli stessi ricercatori si fanno interpreti e si confessano protagonisti.
.. Non meraviglia, pertanto, che sia stato rilevato da più parti che nel pensiero del XX
secolo le domande metafisicamente più impegnative sono state poste dagli scienziati e
non dai filosofi. Vi è in ciò qualcosa di vero. Come mai numerosi dei maggiori scienziati
del secolo della meccanica quantistica, del DNA e del Big Bang, hanno voluto lasciarci
riflessioni sul rapporto fra filosofia e scienza, fra scienza e religione? Da Planck ad
Einstein, da Schrödinger ad Heisenberg, da Wittgenstein ad Eccles, tutti hanno cercato di
mettere a fuoco quale potesse essere il legame fra queste diverse forme di conoscenza.
… È significativo il fatto che, per tutti, lo stimolo che ha suscitato tale multiforme
letteratura sia nato dalla ricerca scientifica e non dalla lettura dei filosofi o dei teologi.
Segnale qualificato di questi nuovi spazi di riflessione è oggi la presenza di cattedre di
“Religione e Scienza” ospitate ormai da molte università anglosassoni, comprese quelle
prestigiose di Cambridge, Oxford, Princeton o Chicago”.
Quanto sopra è dovuto al rapido mutare delle conoscenze del mondo, specie nell’ultimo
secolo, che ha modificato la visione della natura che gli uomini di scienza avevano.
15
16
Marco Bersanelli e Mario Gargantini, Solo lo stupore conosce, BUR 2003, pag. XII
Giuseppe Tanzella-Nitti , Unità del sapere. Portale web DISF, Documentazione Interdisciplinare di
Scienza e Fede, http://www.disf.org/Voci/118.asp
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D’altronde tali e tante sono le scoperte ad oggi accumulate che risulterebbe inverosimile
non riconoscere che quella che continuiamo a chiamare materia coopera in tutte le
forme viventi e non viventi e non appare scomponibile in unità minime dotate di
esistenza autonoma poiché nessun componente ha realtà indipendente dal tutto,
incluso naturalmente l’osservatore cosciente senza il quale il mondo, che pure esiste da
quasi quattordici miliardi di anni, non apparirebbe con la fisionomia che ci è familiare.
Più ci addentriamo nella realtà e più’ la natura non rivela tanto la presenza di entità
individuali quanto una rete di mutue relazioni tra parti interagenti.
Di tutto questo ci fa partecipi la coscienza, fondamento di tutto quanto concerne la
percezione della realtà e quindi di tutta l’esperienza e la conoscenza umana.
In tutti i suoi libri ed in molti dei suoi articoli ed interventi pubblici questi ed altri temi
sono stati argomentati in modo magistrale dal famoso scienziato Paul Davies, astronomo
e Premio Templeton 1995, che ha saputo trasferire ai non addetti ai lavori lo sforzo
enorme degli scienziati nei vari secoli per penetrare nei misteri della natura ma anche lo
stupore dello studioso davanti a tanta armonia.
Rimanendo nel tema è doveroso almeno citare quanto da lui espresso in uno dei suoi
libri più famosi, La Mente di Dio:
“Per quanto le nostre spiegazioni scientifiche possano essere coronate dal successo, esse
incorporano sempre certe assunzioni iniziali. Per esempio, una spiegazione di un
fenomeno in termini fisici presuppone la validità delle leggi della fisica, che vengono
considerate come date. Ma ci si potrebbe chiedere da dove hanno origine queste leggi
stesse. Ci si potrebbe persino interrogare sull'origine della logica su cui si fonda ogni
ragionamento scientifico. Prima o poi tutti dobbiamo accettare qualcosa come dato, sia
esso Dio, oppure la logica, o un insieme di leggi, o qualche altro fondamento
dell'esistenza. Pertanto, le domande «finali» sconfineranno sempre dal campo della
scienza empirica, così come viene abitualmente definita”. 17
“D'altra parte la realtà fisica ci appare anche irraggiungibile nella sua consistenza ultima
(si pensi al momento iniziale del Big Bang o alle particelle elementari). Si ha l'impressione
che il livello ultimo del reale sia sempre oltre ciò che la ragione può definire e
comprendere. C’è sempre una «terra incognita», un livello inarrivabile. La realtà è al
tempo stesso accessibile e inarrivabile. In questo senso la ricerca scientifica mette in luce
la natura della realtà come «mistero»: essa esiste, con essa si stabilisce un rapporto, ma
ultimamente sfugge alla comprensione completa della ragione. Come se ogni nostra
conoscenza o conquista rimandasse inesorabilmente a un oggetto ultimo e nascosto. «E
una lotta senza fine con il mistero».” 18
Ma il Dio che si intravede sotto questa prospettiva è l’artefice della creazione
dell’universo, del suo mantenimento in essere nonché della sua capacità di evolvere fino
alla comparsa della vita e della coscienza. L’immagine che ne intuiamo è commentata in
17
18
Paul Davies, La mente di Dio, Mondadori, 1993, pag. 5
Marco Bersanelli e Mario Gargantini, Solo lo stupore conosce, BUR 2003, pag. 7
Prospettive dall’immagine scientifica del mondo – 1a emissione: 19 novembre 2012; Revisione 2: 10 dicembre 2012
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Unitre Colleferro
modo suggestivo dal fisico e teologo anglicano John Polkinghorne 19, Premio Templeton
2002:
“La teologia sa da tempo che le nostre immagini di Dio sono inadeguate all'infinita
ricchezza della sua natura; che i concetti umani di Dio sono, in ultima analisi, idoli da
distruggere di fronte alla realtà che è ben più grande”.
3. Tra percezione e verità del mondo: le leggi di natura.
L’esempio della forza di gravità si presta ad altre utili considerazioni per ciò che concerne
i comportamenti della natura che, come visto, sono analizzabili e comprensibili dalla
ragione umana oltre che costanti nel tempo e tali da permettere la previsione di altri
fenomeni fisici.
Una ragione che non solo riesce ad entrare nei meccanismi intimi del fenomeno
osservato ma ne coglie le regolarità e le esprime in enunciati e formule matematiche che
vanno a costituire quelle che chiamiamo leggi di natura.
Pertanto è logico domandarsi cosa sia effettivamente la gravità e perché si esprime con
certe precise leggi matematiche anche se non è facile rispondere poiché la spiegazione
della azione a distanza sicuramente nulla dice su ciò che causa la comparsa di tale forza
ma lo stesso vale anche per quella che la vede caratteristica locale dello spaziotempo in
quanto non dice dove e come è codificato il meccanismo che fa sì che lo spaziotempo la
faccia emergere.
E’ evidente che il meccanismo, se c’è, deve essere insito nella materia su cui si
riscontrano gli effetti di quella forza e cioè all’interno o “al di là” dello spaziotempo e
dell’universo in cui essi vengono osservati e misurati. E questo vale per tutte le forze di
natura incluse quelle elettromagnetiche e nucleari.
Ma quale sia questo meccanismo al momento non è dato sapere.
E’ dunque normale che sull’origine e la natura di queste leggi si siano accese molte
discussioni che tuttora continuano ad interessare gli ambienti scientifici e filosofici
poiché la domanda ricorrente è se e come possano esistere motivi logici per cui il mondo
debba comportarsi in modi che la ragione umana riesce ad analizzare e comprendere,
cosa che stupiva persino il genio di Einstein.
Insomma ci si interroga su una sintonia uomo-natura che appare ovvia e ostica allo
stesso tempo.
L’ovvietà risiede nel fatto che l’uomo è di sicuro un prodotto di quelle cose e di quei
fenomeni che egli cerca di comprendere e di imbrigliare, anzi sarebbe strano se non
fosse proprio così visto che la ragione umana è un effetto emerso nel tempo a seguito
della lenta evoluzione cui è soggetta la natura.
Perciò alcuni ritengono che le leggi naturali siano regole che la mente impone al mondo
per poterci convivere oltre che per la già vista esigenza di dare un senso ai fenomeni e
alle cose.
19
John Polkinghorne, Quark, caos e cristianesimo. Domande a scienza e fede, Claudiana, Torino, 1997, pag.
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In altre parole esse non sono altro che una proiezione dei nostri schemi mentali sulla
realtà esterna poiché in quella direzione ci ha spinto una evoluzione durata milioni di
anni in cui la ragione umana ha dovuto man mano adattarsi alle costrizioni dell’ambiente
naturale.
Accettando tale visione quelle leggi, espresse nella forma sintetica che chiamiamo
“matematica”, sarebbero una creazione del nostro intelletto che è riuscito ad orientarsi
in mezzo a tutte le sollecitazioni dell’ambiente e che, una volta classificate ed ordinate,
l’uomo interpreta e gestisce per garantirsi prima la sopravvivenza e poi la permanenza in
un mondo che almeno all’inizio si presenta controverso ed ostile.
Ed è alquanto naturale che questo modo di intendere il “fare scienza” presupponga che
anche la matematica sia un prodotto della nostra mente.
La riluttanza ad accettare questa visione sta nel fatto che è difficile dare una risposta
coerente alla domanda su come sia possibile che le leggi fisiche, frutto del processo di
analisi e di decodifica della realtà, siano responsabili dell’origine e dell’evoluzione
dell’universo precedente alla comparsa dell’uomo e quindi della ragione.
Comunque stiano le cose, occorre ammettere che siamo in presenza di una circolarità
che pone non pochi problemi: la razionalità del mondo è stabilita dalla mente che a sua
volta è prodotta dal mondo.
Circolarità che abbiamo già incontrato parlando del cervello umano: tutto ciò che
riusciamo a percepire e comprendere della realtà “esterna” dipende dalla nostra mente
che a sua volta dipende dal cervello che, come supporto materiale, è proprio un pezzo di
quella realtà esterna che investighiamo con la mente. 20
Mentre non serve qui sottolineare come problemi di questo tipo affliggano i pensatori
fin dai tempi di Platone che credeva nel mondo ideale delle forme perfette, espresse in
relazioni matematiche, di cui gli oggetti materiali erano copie sbiadite, è invece
significativo che anche oggi molti scienziati ritengono che gli enti matematici esistono
“là fuori”, in una sorta di mondo platonico a sé stante indipendentemente dal fatto che
l’uomo li scopra per usarli nello studio dei fenomeni naturali. Le grandi acquisizioni della
fisica quantistica del secolo scorso hanno influito non poco sul diffondersi di questi
convincimenti.
Roger Penrose è tra questi:
“Una delle cose più notevoli nel funzionamento del mondo è come esso sembri fondato
sulla matematica a un grado di precisione stupefacente. Più comprendiamo il mondo
fisico e più approfondiamo l'esplorazione delle leggi della natura, più sembra che il
mondo fisico quasi si dissolva, e rimanga soltanto matematica. Quanto più a fondo
comprendiamo le leggi della fisica, tanto più scivoliamo nel mondo dei concetti
matematici.” 21
Ciò spiega perché altri scienziati come Paul Davies, in numero crescente negli ultimi
decenni, considerano reali le leggi fisiche e, in quanto tali, verità oggettive che l’uomo
scopre quando interroga la natura.
20
21
Si veda anche il citato progetto Un percorso per la conoscenza
Roger Penrose, Il grande, il piccolo e la mente umana, Raffaello Cortina editore, 2000, pag. 10
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Quindi la gravitazione è una proprietà dello spaziotempo, ossia del mondo reale e non
una proiezione psicologica di Newton, tanto meno di Einstein, scaturita dai tenaci
tentativi di spiegarne comportamenti e regolarità.
“Tuttavia, ritengo assurdo suggerire che le leggi naturali costituiscano analoghe
proiezioni della mente umana. L'esistenza di regolarità nella natura è un fatto
matematico oggettivo. D'altro canto, gli enunciati che vengono chiamati leggi e sono
contenuti nei libri di testo sono chiaramente invenzioni umane, ma invenzioni destinate a
riflettere, anche se in maniera imperfetta, proprietà effettivamente esistenti della
natura. Senza questo assunto che le regolarità sono reali, la scienza si riduce a una
sciarada senza senso”. 22
Riferendosi al Big Bang ed alle cause che lo hanno determinato P. Davies è convinto
inoltre che le:
“… condizioni iniziali sostengano fortemente l'idea platonica che le leggi sono «là fuori» e
trascendono l'universo fisico. Talvolta si sostiene che le leggi della fisica hanno avuto
origine con l'universo. Se così fosse, allora tali leggi non potrebbero spiegare l'origine
dell'universo, perché le leggi non sarebbero esistite finché non è esistito l'universo. Ciò
risulta ancora più ovvio quando abbiamo a che fare con una legge delle condizioni
iniziali, perché una tale legge si propone di spiegare in modo preciso come l'universo ha
avuto origine nella forma attuale”. 23
Ancora Penrose su gravitazione e Relatività Generale:
“ A volte si dice: «Bene, i fisici cercano degli schemi nei loro risultati sperimentali e poi
trovano qualche teoria elegante che si accorda con essi. Forse, ciò spiega perché
matematici e fisici lavorino così bene insieme».
Ma, nel nostro caso, le cose non andarono affatto così. La teoria fu sviluppata
originalmente senza motivazione osservativa, eppure la teoria matematica è assai
elegante e fisicamente ben motivata. Il punto è che la struttura matematica è proprio là
nella natura, la teoria è realmente là fuori nello spazio; non è stata imposta alla natura
da qualcuno. … Einstein rivelò qualcosa che c’era.
Inoltre, non indagò solo una qualche parte minore della fisica, ma la cosa più
fondamentale che abbiamo in natura, la struttura dello spazio e del tempo.” 24
In aggiunta M. Heller esprime forti dubbi sulla razionalità dell’universo intesa come
risultato dell’adattamento evolutivo dell’uomo :
“ Certamente, la nostra capacità di pensare è anche il risultato di un lungo processo
adattativo: vivendo in un mondo soggetto a mutamenti, i nostri predecessori dovettero
sviluppare una serie di meccanismi utili alla sopravvivenza e il pensiero razionale è uno
dei più potenti tra essi.
… Tuttavia, occorre chiedersi: a che cosa si sono adattate, le nostre menti? Alla realtà del
mondo fisico, è la risposta. Dunque, in quest'ultimo devono esservi dei pattern, delle
strutture a cui il nostro sistema nervoso centrale gradualmente si è conformato.
22
Paul Davies, La mente di Dio, Mondadori, 1993, pag. 92
Ibidem, pag. 106
24
Roger Penrose, Il grande, il piccolo e la mente umana, Raffaello Cortina editore, 2000, pag. 32
23
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La “realtà esterna" deve possedere oggettivamente delle prerogative, come condizione
preliminare perché all’evoluzione dei nostri meccanismi mentali si possa attribuire un
senso” 25.
Pertanto Heller ritiene che l’idea che la razionalità dell’universo derivi solo dalle
modalità di sviluppo del nostro sistema mentale è inadeguata e non condivisibile.
Poiché questo modo di vedere:
“… rafforza la mia convinzione che nel mondo si trovi un ordine razionale. Questo suscita
nello scienziato un sentimento di meraviglia, di partecipazione al mistero. Per ricorrere a
una formula sintetica: la razionalità umana è evidentemente il prodotto di una lunga
evoluzione; ma il concetto di evoluzione implica un'interazione con l'ambiente, per cui il
mondo lascia il suo imprinting nelle nostre categorie mentali” . 26
A ben vedere, questa visione integrata in fondo ci dice che l’uomo è da sempre esposto
ad un vero e proprio bombardamento di particelle e onde (fotoni, atomi, molecole,
vibrazioni acustiche …) provenienti dalle cose del mondo. E questo è il solo modo di
prendere contatto e abituarsi ad esso e di farsene un’idea sempre più definita attraverso
il progressivo affinamento prima delle capacità sensoriali, poi di quelle percettive e
razionali necessarie alla sopravvivenza.
E’ evidente che il dover costantemente analizzare e decodificare cose e fenomeni è stato
di fatto il primo e più fondamentale condizionamento del mondo esterno, l’ambiente
appunto, con il martellante invio di informazioni cui l’uomo man mano si è adattato e
plasmato attraverso una sequenza continua di analisi e confronti, valutazioni e scelte
fino al completo sviluppo del pensiero razionale.
Un meccanismo esclusivo ed incessante di estrazione ed organizzazione delle
informazioni provenienti dalla natura che consente all’uomo di conoscere la realtà e in
definitiva di fare scienza.
In modo pittoresco ed incisivo il matematico e giornalista scientifico Charles Seife 27 così
descrive l’informazione:
“L’universo brulica di particelle. La Terra è bombardata dai fotoni che arrivano dal Sole,
ed è grazie a loro che la vostra percezione dell’ambiente che vi circonda è così buona.
Quando guardate un albero, fuori dalla finestra, il vostro cervello elabora l'informazione
che la Natura ha raccolto per voi. Un fotone proveniente dal Sole rimbalza su una foglia e
raggiunge il vostro occhio; l'informazione su quell' albero si troverebbe lì, a prescindere
dal fatto che la vostra retina riceva o meno quell'informazione. La luce solare che si posa
sull’albero è, in sostanza, una misura naturale: prende l'informazione relativa all'albero
- l'albero è alto diciotto metri, è verde e ondeggia nella brezza - e la invia nell' ambiente
circostante.”
25
M. Heller, La scienza e Dio, Editrice La Scuola, 2012, pag. 37
Ibidem, pag. 38
27
Charles Seife - La scoperta dell’universo. I misteri del cosmo alla luce della teoria dell’informazione,
Bollati
Boringhieri, 2011, pag. 207
26
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In effetti il concetto di informazione è presente in tutte le costruzioni teoriche e si è
rafforzato con la fisica quantistica che esalta le comunicazioni tra particelle: è evidente
che esse interagiscono a distanza, si attraggono o si respingono, quindi si scambiano
“effetti”, ma non è ben chiaro in che modo.
Anche l'attrazione gravitazionale, descritta tramite le equazioni di campo della Relatività
Generale, presuppone che vi sia qualche tipo di scambio di informazioni tra le masse
coinvolte. Ma anche qui, come visto, il meccanismo alla base è tutt’altro che evidente.
Da ciò scaturisce l’attuale visione scientifica di realtà come interconnessione di entità
singole con il tutto, in cui il fluire di informazioni è da intendere come un vero e proprio
principio dinamico di funzionamento. 28
In tal senso va inteso a nostro parere l’imprinting lasciato nelle nostre categorie mentali
dalle proprietà effettivamente esistenti nella natura e regolate dall’informazione, cui
l’uomo non può evidentemente sottrarsi così come ogni altro costituente dell’universo.
D’altronde, se l’universo è tutto ciò che esiste poiché per definizione non può esservi
niente altro, in qualche modo necessita di una specie di programma di istruzioni, di
qualcosa che svolga le funzioni del software di un PC e che faccia funzionare la materia e
l’energia, le cose del mondo, che costituiscono l’hardware di questo immaginario
computer: l’Informazione esercita questo ruolo.
In questi ultimi decenni sono così emerse alcune originali nozioni di Informazione che
stanno caratterizzando le ricerche più avanzate che spaziano dalla fisica alla biologia,
alla genetica, alla neurofisiologia e che si stanno affermando sempre più come
denominatore comune nella comprensione della realtà in un’ottica unificante. 29
Ancora Seife ci offre una eloquente descrizione della situazione:
“Si direbbe che l'informazione plasmi, quasi in senso letterale, il nostro universo. Il moto
dell'informazione potrebbe anche determinare la struttura fisica del cosmo. Ed è
l'informazione che sembra annidarsi nel cuore dei più misteriosi paradossi della scienza, i
misteri della relatività e della meccanica quantistica, l'origine e il destino della vita
dell'universo, la natura dell'enorme potere distruttivo dei buchi neri, e l'ordine che si cela
in un cosmo all'apparenza caotico.” 30
Il punto è che la “materia” ha viepiù perso il suo ruolo di “sostanza” fondamentale del
mondo: da sola non basta più, è necessario qualcos’altro che la integri e la superi, che
dica alla materia cosa fare ed all’energia di sostenere tutti i processi di cambiamento
della materia.
Si sta imponendo in sostanza la ricerca mirata di un meccanismo fondamentale in grado
di regolare gli scambi tra materia ed energia così da sostenere la dinamica del cosmo e di
pilotarne l’evoluzione ed i successivi livelli di ordine e di organizzazione (nubi cosmiche,
stelle, galassie, pianeti, ...) fino a coinvolgere atomi e molecole, apparentemente inerti,
in quella cooperazione che ha portato alla comparsa dei primi organismi unicellulari e
quindi della vita cosciente.
28
Si veda anche il citato progetto Un percorso per la conoscenza
Ibidem
30
C. Seife, pag. 11
29
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Non v’è dubbio che da un universo inizialmente omogeneo ed uniforme si sono
strutturate stelle e galassie secondo ben precise geometrie, così come hanno poi fatto
le varie forme biologiche fino ad arrivare all’uomo, culmine organizzativo del
meccanismo che processa quell’informazione che a questo punto può ben definirsi come
“mattone fondamentale” della realtà.
Cosa altro è infatti il codice genetico del DNA se non una forma digitale di informazione
biologica che regola le funzioni e l’evoluzione della cellula? 31
Ma il materiale grezzo del DNA viene rimpiazzato ogni sei settimane e lo stesso avviene
per quasi tutte le cellule dei nostri organi con cadenze analoghe, per cui in un anno la
massima parte degli atomi e delle molecole dei nostri corpi viene sostituita un paio di
volte.
Come fa la nostra identità a rimanere? Chi assicura la continuità del nostro “io”?
Non è la materia ma l’Informazione che ne regola gli scambi.
Questo è in sintesi cosa si intende oggi per Informazione: un filo conduttore unico in
grado di collegare le interazioni tra le particelle elementari sia ai processi cosmici di larga
scala che a quelli microscopici della vita.
Noi distinguiamo l’universo, nella sua totalità, in macrocosmo e microcosmo a causa
della nostra capacità di percepirli; altrimenti, di per sé, sono evidentemente una realtà
unica.
I cinque sensi, di cui la vista è quello determinante per un regolare rapporto
essere vivente-realtà, sono il tramite tra noi e ciò che ci sembra e definiamo “mondo
esterno”.
Il confine logico tra questi due volti di un’unica realtà è dato dai limiti della capacità
visiva che distingue il primo (macrocosmo) o direttamente o con i telescopi che ci
permettono di allungare il nostro sguardo a regioni remote del cosmo tenendo presente
però che, a causa del valore finito della velocità della luce, guardare lontano significa
necessariamente “vedere” nel passato. 32
Si accede al microcosmo sempre e solo con i microscopi (ottici, elettronici, acceleratori
di particelle) o con i calcoli delle teorie matematiche laddove questi mezzi non sono più
efficaci.
Questa realtà, dunque, ci si manifesta per essere essa stessa, nella sua totalità, pura
informazione. Ragione per cui, se la realtà è informazione, l’informazione è la realtà. La
realtà non esisterebbe se non fosse anche informazione.
Vista in quest’ottica l’Informazione universale va a far luce sulla razionalità della natura e
ad improntare di sé non solo gli interscambi tra le cose che generano i fenomeni
cosiddetti osservabili (direttamente o mediante strumenti) ma anche quelli relativi alla
comparsa ed evoluzione della vita.
Informazione è, dunque, l’altro nome della storia universale che va avanti
inesorabilmente ed univocamente. Non è dunque solo la realtà ad essere informazione,
ma, da un punto di vista dinamico, è l’informazione ad essere la realtà.
31
32
Si veda anche il citato progetto Un percorso per la conoscenza
G. Torti, Distanze cosmiche ed osservazione dei corpi celesti , sito Unitre Colleferro-Biblioteca
http://www.unitre.info, 2007
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L’Informazione, poi, fornisce una chiave di lettura della possibilità stessa della
conoscenza scientifica che va così a perdere quell’alone di mistero con cui di solito viene
contraddistinta: essa diventa una diretta conseguenza della dialettica che regola il
divenire cosmico e che lascia il suo imprinting naturale nella nostra mente.
Cosa che rende verosimile interpretare in modo nuovo gli elevati livelli toccati da tutte le
forme di conoscenza, filosofiche, artistiche o scientifiche che siano: essi sembrano dovuti
più alla naturale sintonia dell’uomo con il tutto che all’evoluzione intesa a favorirne la
sopravvivenza.
Per questo insistiamo sull’opportunità che le indagini sul come non vadano disgiunte da
quelle sul perché in quanto conoscenza e significato del mondo, integrati nella più ampia
cultura umana, troverebbero un unico e fecondo terreno di coltura che vedrebbe il
contributo anche degli altri saperi, specie di filosofia e teologia, nel tentativo di cogliere
la realtà nella sua globalità in modo più equilibrato e maturo.
Siamo ancora ai primi passi ma ci sono fondati motivi per ritenere che le nuove intuizioni
incideranno con forza sulle future acquisizioni e faranno luce su molti problemi aperti
della fisica fondamentale, della biochimica e delle neuroscienze.
Difficile dire quali ulteriori trasformazioni potranno indurre sull’immagine dell’uomo
nella sua connessione con il mondo.
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