Guido Bodrato - Fondazione Giovanni Agnelli

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SEMINARI EUROPEI, 1
VISTA DA BERLINO E DA PARIGI: LA COSTRUZIONE DELLA NUOVA EUROPA
FONDAZIONE GIOVANNI AGNELLI - TORINO, 12 NOVEMBRE 2001
Intervento
Guido Bodrato
Parlamento Europeo
Desidero sottolineare, dal punto di vista di chi è impegnato sul fronte dell’europeismo,
l’importanza di questa iniziativa che a me pare sia un momento di quel "grande dibattito" per
il rilancio dell’Unione europea, indispensabile in un momento che prelude a scelte decisive
per il futuro dell’Europa.
Consentitemi di esprimere un punto di vista basato sull’esperienza di parlamentare europeo:
proporrò alcune brevi riflessioni che si riferiscono ad alcune delle molte questioni affrontate
dalle relazioni introduttive, che sono state molto stimolanti.
Il Parlamento europeo ha ripetutamente dichiarato la sua insoddisfazione per le conclusioni
del vertice di Nizza: La ragione di questa critica in sintesi è questa: a Nizza si è premuto
l’acceleratore sull’allargamento dell’Unione verso l’Est, ma nello stesso tempo si è agito sul
freno per quanto riguarda le riforme istituzionali. Secondo il Parlamento europeo si profila
così il rischio che la riforma politica dell’Unione (a partire dal superamento del "diritto di
veto" che ogni governo nazionale può esercitare) non sia più possibile, e che l’allargamento
venga affrontato come un processo inevitabile e con una eccessiva dose di fatalismo, senza
avere la capacità di valutare correttamente quale risposta dare ai problemi politici ed
economici che l’allargamento pone, e senza tentare di risolverli nel modo migliore, anche
nell’interesse dei paesi candidati.
Vorrei fare notare che tra le nazioni che hanno ratificato il Trattato di Nizza c’è la Francia;
ora, può apparire paradossale, proprio in Francia abbiamo registrato le più dure critiche alla
conclusione del semestre di presidenza francese. Ed anche alcuni gruppi parlamentari che
sostengono il Presidente Chirac, hanno deciso un’astensione polemica al momento del voto
sui risultati del vertice Nizza, considerando una grave contraddizione quella prima indicata.
La seconda riflessione riguarda le conseguenze dell’allargamento sull’avvenire dell’Unione.
Credo si debba riconoscere che la dimensione geografica dell’Unione europea deve essere
messa in relazione con la "qualità" della politica europea. Nella Comunità europea dei sei e
del Trattato di Roma, l’asse franco-tedesco rivestiva una particolare importanza ed aveva
comunque un ruolo diverso rispetto a quello che ha oggi, dopo il Trattato di Maastricht. Con
l’allargamento dell’Unione da quindici paesi a venticinque od a ventisette paesi, il ruolo geopolitico dell’asse franco-tedesco è destinato a cambiare nuovamente. Un tema sul quale le
visioni francese e tedesca sul futuro dell’Europa differiscono in modo significativo è quello
dei "confini" dell’Unione. Prima dell’11 settembre si è svolto nel parlamento di Strasburgo un
dibattito su questa questione, nel corso del quale la posizione dei parlamentari francesi era
evidentemente diversa da quella dei parlamentari tedeschi, indipendentemente
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dall’appartenenza ai diversi gruppi politici. I parlamentari francesi si dimostrano molto attenti
alla questione dei confini politici dell’Europa, sembrano in qualche modo critici su come è
stato sfrontato il problema della Turchia, considerano improponibile l’allargamento
dell’Unione europea all’Ucraina e persino alla Russia. Questa preoccupazione non esclude
affatto una politica di apertura e di cooperazione dell’Europa con questi paesi, senza tuttavia
che l’apertura comporti l’avvio di una comune organizzazione politica.
Diverso mi sembra l’atteggiamento della Germania, che con l’allargamento all’Europa
orientale si troverà ad essere il baricentro economico, sociale e politico della Grande Unione.
È un processo naturale, inevitabile. Ma è naturale anche che da parte francese cresca qualche
preoccupazione, mentre sul versante tedesco si avverte un maggior entusiasmo per questa
"riunificazione".
Dopo l’11 settembre il dibattito sui confini dell’Europa si è fatto più complicato, così come in
parallelo si è complicata la discussione sulla Nato. Prima dell’attacco terroristico all’America,
l’alleanza nord-atlantica aveva un obiettivo storico preciso: difendere l’Europa e l’Occidente
dal pericolo sovietico. Questo obiettivo si è progressivamente sfumato; alcune nazioni
dell’Est hanno aderito al Patto Atlantico prima di candidarsi all’Europa. Tuttavia almeno fino
all’11 settembre la Russia restava contraria all’allargamento della Nato verso l’Est e lo
considerava un atto polemico nei suoi confronti. Oggi il quadro è mutato: la Russia fa parte
della "grande alleanza" ed anche per ragioni geografiche è, con la Cina, partner decisivo della
strategia anti-terrorista. In questa fase il ruolo della Russia appare agli Stati Uniti più
importante di quello rivestito dall’Unione europea. In ogni caso è evidente che il problema dei
confini dell’Europa si complica e diventa più difficile da risolvere.
Quanto agli Stati uniti, si potrebbe dire che rispetto all’Unione europea sono sempre stati e
restano "euroscettici": hanno sempre temuto la "cittadella Europa", la "fortezza Europa". Lo
stesso Presidente Clinton quando gli è stato conferito il Premio Carlo Magno ha incoraggiato
l’Europa ad allargarsi fino a Vladivistok. Un’Europa di quella dimensione, estesa fino a
Vladivostok, non avrebbe nulla a che vedere con l’Europa politica, ed in quella prospettiva
diventerebbe una chiacchiera inutile discutere di governo europeo e di una federazione di
stati.
Ho accennato alle conseguenze dell’11 settembre rispetto al dibattito sui confini dell’Europa
poiché aiuta a capire per quali ragioni è così difficile il cammino politico dell’Europa, ma
desidero considerare anche un altro ordine di conseguenze dell’11 settembre sulla politica
mediterranea dell’Unione. Negli ultimi anni il dibattito sulla riunificazione europea aveva
spostato l’interesse di tutte le istituzioni europee verso i paesi dell’Est; anche la discussione
sulla politica di coesione, sui fondi strutturali, si era orientata in quella direzione. La necessità
di isolare il terrorismo islamico ha fatto riscoprire all’Europa l’importanza della politica
mediterranea e della strategia delineata a Barcellona. Credo che anche questo aspetto meriti di
essere sottolineato.
Consentitemi di affrontare un terzo e conclusivo argomento. Il prossimo appuntamento di
Laeken dovrebbe completare e correggere Nizza, e dovrebbe dare il via ad una fase
costituente. Non vorrei correre il rischio di espormi a critiche simili a quelle che Dahrendorf
ha mosso ai federalisti, accusati di essere prigionieri di un’utopia. Cerco piuttosto di riflettere
su una strategia possibile. Possiamo prevedere che la "convenzione" di cui si parla, come
metodo per elaborare una proposta di costituzione, non potrà ricalcare l’esperienza della
convenzione che ha redatto la Carta dei diritti fondamentali. Quella prima convenzione ha
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infatti raggiunto rapidamente il suo obiettivo senza incontrare oppositori che ne ostacolassero
l’attività, poiché i suoi possibili avversari ritenevano comunque politicamente non
significativa la stesura di quella "carta". I problemi che affrontava la Carta di diritti
fondamentali non sembravano mettere in discussione la sovranità degli stati e non toccavano
le questioni istituzionali che sono state esaminante in questo seminario.
È invece evidente che sul federalismo europeo si confrontano opinioni, ed anche definizioni,
contrastanti. E che per la stessa questione dell’esecutivo si debbono risolvere alcuni equivoci:
alcuni pensano di rafforzare il ruolo della Commissione e del suo presidente, altri pensano
invece di rafforzare il Consiglio europeo, sia come legislatore che come governo dell’Unione.
Non sono questioni formali, poiché riflettono diversi modelli istituzionali, con un diverso
contenuto di democrazia.
Sono peraltro convinto che "convenzione" debba formulare in conclusione una proposta
organica. Non dico: "una sola proposta", ma una proposta di maggioranza sulla quale la
Conferenza intergovernativa debba infine pronunciarsi. Il rischio implicito nella formulazione
di tante proposte che lasciano alla Conferenza una completa libertà di scelta, è che si ritorni a
soluzioni di compromesso che si conciliano con la logica intergovernativa ma non con gli
obiettivi comunitari. D’altra parte sappiamo che la via che porta alla costituzione europea
passa attraverso i Trattati. Gli stati nazionali hanno un potere decisivo, soprattutto in ordine a
questo problema politico che tocca la loro sovranità. Non è immaginabile una fase costituente
analoga a quella che hanno vissuto gli stati nazionali, con il popolo europeo che elegge
un’assemblea costituente e quest’assemblea che approva una costituzione europea.
La fase costituente europea deve essere caratterizzata dal consenso degli stati nazionali, e
passa attraverso un processo di rinuncia volontaria a quote di sovranità nazionale. Pensando a
Laeken la mia prima osservazione è questa : che la convenzione formuli una proposta. La
seconda osservazione riguarda i tempi assegnati alla convenzione e l’anno di svolgimento
della Cig. Le relazioni introduttive hanno ricordato che a Nizza si è fatto riferimento al 2004.
Secondo il Parlamento europeo il varo della costituzione dovrebbe essere anticipato al 2003.
Se desideriamo che le decisioni della Conferenza intergovernativa abbiano un significato
politico, è necessario che siano assunte prima dell’allargamento e prima delle elezioni. È
possibile assicurare ai paesi candidati la partecipazione al dibattito della convenzione, anche
se non hanno poteri da esercitare all’interno del Consiglio europeo. E le elezioni saranno il
momento della verifica democratica, una occasione per fare rinascere lo spirito europeo e
consolidare le istituzioni dell’Unione.
Alcuni commentatori hanno affermato, a mio parere giustamente, che dopo l’11 settembre "il
patriottismo ha sostituito la politica". Ma è anche giusto riflettere sull’ambiguità di questa
situazione di grande tensione. Il patriottismo presenta aspetti positivi, evidenzia un momento
di unità attorno a valori comuni nei confronti del pericolo terrorista, ma potrebbe anche
suggerire la prevalenza della retorica sull’analisi razionale e su una consapevole assunzione di
responsabilità. In ogni caso in questo momento è necessario un patriottismo europeo, come
sostegno alla politica europea. Se non riusciamo a suscitare un forte sentimento di
patriottismo europeo, si profila un rischio: che le difficoltà spingano gli stati nazionali verso il
rafforzamento di rapporti bilaterali con gli Stati Uniti, invece che verso la costruzione di
un’Unione europea capace di rappresentare tutti i popoli del vecchio continente.
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