PACORI LTC.indd 7 13/01/16 15:18 MARCO PACORI IL LINGUAGGIO SEGRETO DEI SINTOMI PACORI LTC.indd 8 13/01/16 15:18 Indice Introduzione La riabilitazione del corpo Quando il corpo mette il cervello nel sacco Dalla mente al corpo: la corsia d’emergenza 1 3 5 7 1. Un trust di cervelli dentro al corpo La rivoluzionaria scoperta dei neuropeptidi Attenti a quei due Frattaglie senzienti Cuor di leone 11 11 14 15 16 2. Pensieri, parole, emozioni Che cos’è lo stress Cattivi pensieri e malattie La personalità e la malattia Emozioni «strappacuore» Un colpo al cuore Cuori spezzati 19 19 21 23 31 32 36 3. Tiro a segno: la mappa dei bersagli dello stress Nemici per la «pelle»... quella del cuore 40 40 PACORI LTC.indd 9 13/01/16 15:18 A pieni polmoni: l’apparato respiratorio Lotte intestine A fior di pelle Darsi la zappa sui piedi: le malattie autoimmuni 4. Rimedi e prevenzione: una mela al giorno e non solo Camminare nella natura inibisce la tendenza a rimuginare Fare jogging è uno sballo Gli hobby fanno bene alla salute e al cervello Fuori il rospo! Scrivi che ti passa Fatti un bel pianto Un amico a quattro zampe contro lo stress quotidiano Tutta un’altra musica 47 55 64 75 85 86 87 88 91 92 95 97 99 5. Il linguaggio dei sintomi Un pensiero stampigliato sul corpo Sotto la lente delle neuroscienze Quando la mente mette i bastoni fra le ruote al corpo Disturbi faziosi Senza voce in capitolo Inceppamenti: la balbuzie Un nodo in gola Molto rumore per nulla: l’acufene Fatiche di Ercole I disturbi ginecologici Bandiere a mezz’asta: le disfunzioni erettili La testa che scoppia: emicranie e cefalee Che fare? 105 106 107 109 110 111 116 117 120 122 127 134 139 145 6. Il corpo «ci parla» Certe sensazioni sono universali 147 147 PACORI LTC.indd 10 13/01/16 15:18 Con il cuore in mano: l’enterocezione Muscoli ciarlieri: la propriocezione L’insula che non c’è Le sensazioni corporee sono cartine di tornasole Il corpo ha le premonizioni La teoria dei marcatori somatici La percezione del pericolo dipende dal terzo occhio La paura si annida nel cuore 7. Echi dal profondo Al fresco Effetto geyser Affari di cuore La trippa «rizza» le antenne I muscoli ne sanno una più del diavolo Pile esaurite: l’affaticamento surrenale Esercizi di «potenziamento» Favorire le intuizioni Bibliografia Ringraziamenti PACORI LTC.indd 1 152 153 154 155 155 158 160 163 165 167 175 182 184 186 189 192 199 203 225 13/01/16 15:18 Introduzione La tradizione, la cultura e il pensiero filosofico ci hanno indotti a pensare che mente e corpo siano due entità distinte e separate. Eppure, fino al Diciannovesimo secolo buona parte dei «dottori» riteneva che ci fosse uno stretto legame tra emozioni e malattie, al punto da consigliare ai pazienti di recarsi in stazioni termali o balneari o di ricorrere all’omeopatia al fine di ritrovare un equilibrio emotivo e, di riflesso, rendere l’organismo più efficiente nel fronteggiare le afflizioni del corpo. Questo approccio ha gradatamente ceduto il posto alle scoperte scientifiche che hanno messo in luce il ruolo di microrganismi e tossine nello sviluppo delle malattie. Il nuovo panorama ha visto anche l’impiego di antibiotici, analgesici e antinfiammatori. Solo in tempi relativamente recenti la concezione che mente e corpo siano interconnessi e si influenzino a vicenda è tornata in auge, favorendo lo sviluppo di un moderno concetto di malattia e di discipline come la PNEI, la psiconeuroendocrinoimmunologia, che ha evidenziato come cervello, sistema ghiandolare e immunitario siano strutture intercomunicanti, tra le quali c’è un flusso continuo di informazioni. L’encefalo e quella che si supponeva fosse solo «manovalanza» 1 PACORI LTC.indd 2 13/01/16 15:18 (organi, muscoli e ossa) sono infatti in costante interazione grazie alla produzione e allo scambio di molecole dette neuropeptidi (delle quali parleremo a fondo tra qualche pagina). Questa visione, che si riallaccia alle pratiche curative olistiche come la medicina tradizionale cinese, l’agopuntura e i fiori di Bach, ha preso sempre più piede grazie a recenti studi che hanno dimostrato come stress, personalità, atteggiamenti eccetera possano influenzare o essere la causa di una malattia e viceversa, ovvero che alcune malattie portino allo sviluppo di disturbi emotivi e psichiatrici. È così che medicina e psicologia, che tradizionalmente si occupavano di ambiti diversi – rispettivamente, l’organismo e la mente –, hanno dovuto lasciare spazio a un nuovo modello che fosse in grado di integrarle. Un processo, questo, di crescita e cambiamento che nessuno specialista della salute dovrebbe ignorare e che personalmente, da psicoterapeuta, mi ha portato a sviluppare un nuovo approccio professionale e ad approfondire e ampliare le mie conoscenze. Questa necessità è maturata in me gradatamente, quando ho cominciato a prendere coscienza che le persone che mi cercavano per risolvere disagi psicologici spesso lamentavano anche disturbi fisici. Il fatto che le due sfere fossero le facce di una stessa medaglia mi è apparso chiaro quando mi sono reso conto che queste «coincidenze» erano troppo ricorrenti per essere casuali; inoltre, ho realizzato che i miglioramenti o i peggioramenti di una problematica emotiva o fisica viaggiavano su binari paralleli. Da queste constatazioni è nata la necessità di confrontarmi con professionisti di altri settori – medici, osteopati, agopuntori, iridologi eccetera – che potessero aiutarmi a comprendere la complessità e le sfaccettature delle problematiche che mi trovavo ad affrontare nel mio lavoro. Parallelamente, ho sentito il bisogno di tenermi al passo con le scoperte scientifiche che, grazie a ingegnosi esperimenti e in2 PACORI LTC.indd 3 13/01/16 15:18 novative tecnologie, mettevano sempre più a fuoco le connessioni mente-corpo. Questo libro ripercorre, seppure in modo più strutturato, il mio cammino in questo senso: al suo interno, il lettore troverà citati gli studi che mi hanno aperto gli occhi e i casi clinici che più hanno contribuito a modificare le mie prospettive sul concetto di salute. La riabilitazione del corpo Esperienze come le guarigioni miracolose, l’effetto placebo – quello per cui una sostanza farmacologicamente inattiva ci può far guarire per autosuggestione – o nocebo – quando la sola convinzione che qualcosa ci procuri dei danni può farci ammalare sul serio – hanno alimentato l’idea di una presunta supremazia della mente sul corpo. Le moderne scoperte sulle interazioni fra mente e corpo non solo hanno sfatato questa teoria, ma hanno dimostrato che, in modo non meno efficiente, anche il corpo può influenzare il cervello. È stato provato, per esempio, che camminare seguendo percorsi irregolari può aumentare la nostra creatività, stringere un pugno può accrescere costanza e determinazione, assaggiare una bevanda dolce può renderci più romantici e sedere su una sedia traballante mentre parliamo del nostro rapporto di coppia ce lo fa percepire più instabile. Già Freud aveva intuito questi effetti, utili per consentire ai pazienti di lasciar fluire liberamente i pensieri (le cosiddette «libere associazioni»). Per facilitare questo atteggiamento mentale, li invitava a sdraiarsi su un lettino posizionato in modo che il paziente non vedesse lo psicoanalista. In questo modo faceva sì che la persona si sentisse più rilassata, quindi più incline a seguire un filo non logico, e al tempo stesso più disinibita, dimenticandosi della presenza dell’analista. Questo intreccio mente-corpo ha permesso di comprendere che il pensiero (espresso con le parole) è tutt’altro che astratto e che, per 3 PACORI LTC.indd 4 13/01/16 15:18 essere elaborato e compreso, ha spesso bisogno di basi che affondano le proprie radici nell’esperienza sensoriale: se diciamo che una faccenda è «piccante» automaticamente la associamo alla sensazione di bruciore al palato che ci può dare il peperoncino. Questo abbinamento non solo rende bene il concetto, ma fa sì che chi ci ascolta avverta realmente questa sensazione; in altre parole, nel suo cervello si attiveranno due aree: quella della comprensione linguistica e quella che registra il senso del gusto. Il processo è a doppio binario: così, se offriamo a qualcuno una pietanza condita con la paprika e poi gli parliamo di una serata trascorsa con una persona che ci piace, il nostro interlocutore sarà indotto a pensare che l’incontro abbia avuto dei risvolti «piccanti». Questo schema di funzionamento del sistema integrato mentecorpo, intuito dal linguista George Lakoff, ha trovato negli ultimi dieci anni numerose conferme sperimentali e prende il nome di «cognizione incarnata» o «intelligenza corporea». Ne abbiamo fatto alcuni esempi, ma citiamo anche brevemente qualche ricerca che illustra il modo in cui questi assunti sono stati dimostrati scientificamente. Uno studio condotto da un’équipe del dipartimento di psicologia e scienze del cervello del Dartmouth College di Hanover, negli Stati Uniti, si è posto l’obiettivo di verificare se bloccando la mimica emozionale del volto si potesse inibire la risposta cerebrale alle emozioni. Per farlo è stata indotta la paralisi del muscolo corrugatore della fronte – implicato nelle espressioni di tristezza, rabbia, disgusto eccetera – con il botulino, la stessa tossina usata in medicina estetica per «spianare» le rughe. Monitorando l’effetto con l’MRI, l’imaging a risonanza magnetica che permette di visualizzare l’attività cerebrale, i ricercatori hanno constatato che questo escamotage inibiva la reattività dell’amigdala (la struttura cerebrale maggiormente implicata nell’elaborazione emotiva) durante la visione di facce atteggiate a un’espressione di collera. In un’indagine affine, condotta da Shwetha Nair, Mark Sagar, 4 PACORI LTC.indd 5 13/01/16 15:18 John Sollers assieme ad altri colleghi dell’Università di Auckland, sono stati coinvolti 74 partecipanti, chiamati a svolgere un compito particolarmente complesso e snervante. Metà del gruppo doveva effettuare il test sedendo su una poltrona sfondata, in cui si tendeva a sprofondare, gli altri in posizione eretta. Una volta completato il test, i partecipanti hanno compilato un questionario per valutare il proprio stato d’animo e la fiducia in sé: è risultato che quelli che erano rimasti in piedi dichiaravano un livello di autostima e uno stato di eccitazione e di buon umore maggiori, nonché una condizione d’ansia minore rispetto agli altri partecipanti. Inoltre, in quelli seduti sulla poltrona sformata è stata rilevata anche una pressione arteriosa più alta, condizione tipica di chi è sottoposto a stress. Analogamente, Laura Thomas e Alejandro Lleras, ricercatori del Beckman Institute, hanno scoperto che la direzione dello sguardo, in soggetti impegnati nello svolgimento di un test, influisce sulla capacità di risolvere i problemi. Il loro esperimento ha dimostrato che il movimento degli occhi non è solo un riflesso dei processi cognitivi, ma contribuisce anche a migliorarli o peggiorarli. Quando il corpo mette il cervello nel sacco Se anche la singola contrazione di un muscolo o la sua assenza, le posture e le sensazioni fisiche sono in grado di influenzare le funzioni «superiori», possiamo solo immaginare cosa potrebbe succedere qualora la funzionalità di un intero organo o lo stato di salute generale di ciascuno di noi siano compromessi in maniera seria. È il caso, per esempio, dei dolori cronici che, alla lunga, stremano la nostra capacità di reggere lo stress e provocano ansia, depressione, irritabilità, incapacità di concentrazione eccetera. Anche le malattie autoimmuni, un sistema immunitario inde5 PACORI LTC.indd 6 13/01/16 15:18 bolito o disturbi cardiocircolatori possono alterare la chimica del cervello e portare persino allo sviluppo di malattie mentali. Accade con la celiachia, un’intolleranza alimentare causata da una reazione autoimmune al glutine: in un sottogruppo di individui che ne sono affetti, questo complesso proteico, oltre a provocare un’infiammazione dell’intestino tenue, può intaccare direttamente il cervello, causando disturbi mentali e anomalie cerebrali. Quando questo si verifica gli anticorpi che reagiscono al glutine sono tratti in inganno dal fatto che la proteina del glutine assomiglia ad alcune strutture proteiche presenti nei neuroni. A causa di questo «fraintendimento», finiscono per aggredire anche il sistema nervoso, arrivando a provocare disturbi dell’umore e perfino, sembra, episodi psicotici. Anche il diabete può portare ad alterazioni dell’attività cerebrale. Gail Musenâ, assieme ad altri ricercatori, è stato il primo a identificare variazioni di densità della materia grigia procurate dal diabete mellito di tipo 1, quello congenito, una malattia autoimmune in cui vengono prodotti anticorpi che distruggono le cellule del pancreas che secernono l’insulina, un ormone che regola il livello degli zuccheri nel sangue. I risultati di questo studio hanno suggerito che una glicemia (la concentrazione di zucchero o glucosio nel sangue) alta e persistente, causata appunto dal diabete, possa modificare le strutture nervose. La riduzione del volume di materia grigia riscontrata era modesta e non comportava necessariamente un deterioramento delle facoltà di pensiero; tuttavia, coinvolgeva zone critiche, come le aree della memoria, i centri dell’attenzione e dell’elaborazione del linguaggio. Studi successivi hanno messo in risalto che la degenerazione delle cellule cerebrali, in risposta allo squilibrio del tasso di zuccheri, è invece presente in persone che, da almeno una decina d’anni, sono affette da diabete di tipo 2, quello che insorge in età adulta. In questi soggetti, i danni sono seri, al punto da intaccare l’autocontrollo, la capacità di prendere decisioni e quella di espressione. 6 PACORI LTC.indd 7 13/01/16 15:18 Quando siamo frustrati e rabbiosi diciamo che ci rodiamo il fegato; lo stesso organo però, in caso di malfunzionamento, può provocare difficoltà cognitive e di espressione, incubi, insonnia, irrequietezza e perfino gravi alterazioni della personalità. Questa sindrome è causata dalle tossine che in condizioni normali il fegato riverserebbe nella bile o nei reni per farle espellere dall’organismo e che invece, se questo organo va «in panne», filtrano nel flusso sanguigno e da qui raggiungono il cervello. Anche le malattie del sangue, peraltro, possono deteriorare le funzioni cerebrali: lo dimostra uno studio, finanziato dal National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI), che ha impegnato un nutrito gruppo di medici. I ricercatori hanno valutato le capacità cognitive di 149 adulti di età compresa tra i 19 e i 55 anni, affetti da anemia falciforme, a paragone con 47 soggetti sani. Ne è risultato che, in misura doppia rispetto ai partecipanti in salute, in chi era stata riscontrata quest’anomalia del sangue, soprattutto se maturi, le capacità logiche erano più basse rispetto alla media e i livelli di emoglobina (la proteina presente nei globuli rossi che trasporta l’ossigeno ai tessuti) erano inferiori alla norma. La causa, secondo gli studiosi, è proprio la ridotta dimensione dell’emoglobina, che in questa malattia ha approssimativamente una forma a mezza luna e, soprattutto, è povera di ossigeno, il che alla lunga può provocare «guasti» in tutto l’organismo, cervello compreso. Dalla mente al corpo: la corsia d’emergenza L’idea che esperienze di vita, traumi, atteggiamenti ed emozioni potessero provocare una condizione di malattia o vulnerabilità dell’organismo è stata il presupposto della medicina psicosomatica. Studi recenti hanno dimostrato che la questione è però più com7 PACORI LTC.indd 8 13/01/16 15:18 plessa, dal momento che mente e corpo non sono strutture distinte, ma parti di un’unica entità. Nel paragrafo precedente abbiamo visto che le malattie possono condizionare il cervello, ma è vero anche il contrario. La connessione tra gli organi e la «testa» è molto stretta e mediata da un circuito che coinvolge sistema nervoso centrale, endocrino (le ghiandole) e immunitario: il nome di questo complesso è asse ipotalamo-ipofisi-surrene o HPA. Questa «coalizione» è composta da una struttura cerebrale – l’ipotalamo, che governa i processi emotivi e il cui nucleo centrale è l’amigdala –, una ghiandola «madre» – l’ipofisi – e altre due ghiandole che si trovano sopra i reni, che prendono il nome appunto di surreni. Queste ultime «sfornano» il prodotto finito: gli ormoni adrenalina e cortisolo. Questi due messaggeri coordinano le strutture e le funzioni del corpo per prepararsi a un’eventuale reazione di attacco o di fuga (il sangue affluisce maggiormente ai muscoli e al cervello, il cuore batte più velocemente, aumentano i globuli bianchi per contrastare possibili infezioni eccetera). La «chiamata alle armi» che avviene nel nostro corpo è estremamente efficace se lo stimolo è qualcosa che si può fronteggiare nell’immediato; se però si trasforma in una sorta di estenuante «guerra di trincea», le «truppe» perdono prontezza, reattività ed efficacia e l’organismo inizia a risentire di questa condizione, predisponendosi alla malattia. Inoltre, la condizione di sovraeccitazione del sistema immunitario provoca uno stato cronico di infiammazione dei tessuti, aprendo la strada a malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide o la fibromialgia. Tutto il nostro corpo ne risente, tanto che sembra che uno dei fattori scatenanti dell’arteriosclerosi sia un’aggregazione delle piastrine (le cellule che bloccano le emorragie) che, quando lo stress è eccessivo, si depositano sulle pareti delle arterie. 8 PACORI LTC.indd 9 13/01/16 15:18 *** Quando avevo circa 10 anni ho visto in tv un film dal titolo Viaggio allucinante, che raccontava di una navicella miniaturizzata che veniva iniettata nel corpo di un uomo, consentendo di vedere la fisiologia in azione: è stata la mia personale folgorazione «sulla strada di Damasco». Anni dopo, diventato adulto e indossati i panni dello psicoterapeuta, ho provato lo stesso senso di meraviglia scoprendo, prima nella pratica clinica e poi nelle pubblicazioni scientifiche, le strabilianti connessioni tra mente e corpo (è stato come tastare in prima persona le interazioni chimiche tra psicologia e biologia). Ed è proprio questo senso di stupore che mi auguro di trasmettere al lettore, ripercorrendo assieme a lui i passi di questo percorso di conoscenza. 9 PACORI LTC.indd 9 13/01/16 15:18 1 Un trust di cervelli dentro al corpo La rivoluzionaria scoperta dei neuropeptidi Nei primi anni Settanta Candace Pert, neuroscienziata e psicofarmacologa, ha scoperto che i neurotrasmettitori (i mediatori chimici prodotti dalle cellule cerebrali) e gli ormoni (le secrezioni delle ghiandole) fanno parte di una macrocategoria nota con il nome di neuropeptidi. Questi «messaggeri», prodotti da tutte le cellule del corpo, presentano dei punti di attracco, detti recettori, in diverse zone della membrana cellulare esterna. La studiosa ha infatti rilevato sulla superficie delle cellule la presenza di recettori degli oppiacei (le endorfine, l’omologo endogeno della morfina); successivamente molti altri ricercatori hanno indagato queste sostanze e i loro «agganci» nell’intero corpo, scoprendo che i neuropeptidi circolano in tutti i fluidi corporei: nel sangue, nel sistema linfatico, negli spazi extracellulari e nel liquido cerebrospinale. Da tempo si sapeva che i neurotrasmettitori interagiscono con gli ormoni (una classe di neuropeptidi piuttosto grande), oggi siamo a conoscenza anche che il sistema immunitario possiede dei canali di ingresso per i neuropeptidi e che invia di rimando un feedback al cervello attraverso l’emissione di citochine (proteine che provocano l’infiammazione). 11 PACORI LTC.indd 11 13/01/16 15:18 Tutti i tessuti del corpo sono impregnati di neuropeptidi: li captano e li rilasciano. È il caso, per esempio, del grasso corporeo: fino a una ventina di anni fa si riteneva che la sua funzione fosse esclusivamente quella di garantire un «magazzino» per lo stoccaggio di riserve energetiche e di fornire al corpo una sorta di «coperta scaldasonno». Nuovi studi hanno sovvertito questa convinzione, mettendo in risalto come la ciccia sia un vero e proprio organo che contribuisce attivamente ai processi metabolici dell’organismo; inoltre, produce numerosi peptidi, come la leptina, che informano il cervello sulle scorte di energia. Il tessuto adiposo, poi, è sensibile allo stress: quando l’individuo è sotto pressione, il cervello secerne una maggior quantità di neuropeptide Y, che ha degli specifici recettori proprio nel grasso. Lo sblocco del meccanismo di autoregolazione provoca un aumento di dimensione delle cellule adipose e della loro quantità: detto altrimenti, fa inciccionire. Un processo analogo avviene con il cortisolo: quando è in eccesso a causa dello stress, induce il cervello a pensare di trovarsi in un periodo di «vacche magre»; il grasso viene così liberato da fianchi e natiche e accumulato nell’addome, dove funge da scorta (come la gobba per i cammelli). Inoltre, la presenza di questo ormone stimola un enzima che induce il cortisone inattivo nei «rotolini» della pancia a trasformarsi in cortisolo, il quale, a sua volta, stimola un’ulteriore produzione di grasso. Questo processo non è affatto innocuo, anzi, fa aumentare il rischio di disturbi cardiocircolatori, di infarto e la possibilità di sviluppare il diabete. Si è scoperto che il fegato possiede dei recettori e rilascia il neuropeptide CRH (ormone di rilascio della corticotropina), lo stesso che, generato dall’ipofisi, innesca il processo che porta alla secrezione di cortisolo e adrenalina, gli ormoni dello stress. Anche il pancreas secerne il neuropeptide Y che modifica la motilità intestinale. L’esercizio fisico induce la secrezione nei muscoli 12 PACORI LTC.indd 12 13/01/16 15:18 di un enzima che consente la sintesi di anandamide, un equivalente endogeno della marijuana. La sua molecola è sufficientemente piccola da passare la barriera ematoencefalica (il filtro che impedisce a molte sostanze di entrare nel cervello) e i suoi effetti comprendono l’innalzamento della soglia del dolore, la riduzione dell’ansia e una generale sensazione di benessere e quiete. La pelle, il cuore e l’intestino possiedono un vero e proprio «arsenale» di neuropeptidi. Il traffico di questi messaggeri è intenso e non si attiva solo in condizioni di stress, ma anche quando proviamo emozioni positive. I medici americani Michael Miller e William Fry hanno scoperto, per esempio, che le endorfine rilasciate dal cervello in risposta alle risate provocano la produzione di ossido nitrico, che attiva una serie di reazioni a cascata come la vasodilatazione delle arterie e la riduzione dell’aggregazione delle piastrine nel sangue, abbassando così i potenziali rischi cardiovascolari. È stato inoltre dimostrato che l’allegria produce effetti positivi anche sul sistema immunitario. Lee Berk, presidente del Berklee College of Music, assieme ad altri studiosi, ha rilevato che ridere permette di migliorare l’efficienza di diversi anticorpi critici e delle cellule natural killer (NK) che difendono l’organismo dalle malattie. Anche un contatto fisico amorevole ha un potente effetto sulla salute: ricevere un abbraccio dal proprio partner aumenta i livelli di ossitocina, nota come «l’ormone dell’amore», procurando effetti positivi sulla pressione e calmanti sul sistema nervoso. Gunter Kreutz e altri ricercatori della Carl von Ossietzky Universität Oldenburg in Germania hanno scoperto che il canto corale provoca benefici sia allo stato d’animo sia alla salute. Dal loro studio è emerso che cantare assieme ad altre persone non solo mette di buon umore, ma aumenta i livelli di immunoglobulina A, un anticorpo «specializzato» nel combattere agenti patogeni estranei, come i batteri. 13 PACORI LTC.indd 13 13/01/16 15:18 Attenti a quei due In questo traffico di mediatori chimici ci sono due organi che svolgono un ruolo chiave nella conservazione dell’equilibrio e, più in generale, nel mantenimento della salute e della stabilità psicologica: l’intestino e il cuore. Questi organi sembrano avere poco in comune tra loro e meno ancora con il cervello; invece, recenti scoperte delle neuroscienze hanno dimostrato che sono dotati di un sofisticato sistema neurale che li rende «consanguinei». Le indagini effettuate hanno rivelato che questi visceri possiedono sorprendenti livelli di memoria e intelligenza; inoltre, un numero crescente di dati sperimentali ha confermato che questi cervelli «di serie B» sono profondamente coinvolti nel controllo e nella gestione di numerose funzioni mentali e fisiche. Non bisogna dimenticare che l’intestino è la centrale elettrica del nostro organismo: tutta l’energia del corpo deriva dal buon funzionamento delle interiora. Il solo cervello utilizza circa il 25% dell’energia totale di cui necessita il corpo, e questa è fornita proprio dalle «tubature» compresse nel nostro addome. Quindi è di vitale importanza mantenere un buon equilibrio intestinale per restare in salute, sia fisicamente sia mentalmente. Come vedremo, i probiotici intestinali sono in grado di agire sul cervello, tanto da essere indicati nella cura di malattie come la depressione o l’ansia. Questi stessi batteri si sono dimostrati capaci di influenzare la salute del cuore, modificando la massa corporea, i trigliceridi e il colesterolo in circolo. Lo documenta un’indagine guidata da Jingyuan Fu, docente di genetica presso l’University Medical Center di Groningen, nei Paesi Bassi. I ricercatori hanno esaminato i dati relativi a circa 900 partecipanti, maschi e femmine, di età compresa tra i 18 e gli 80 anni. Ogni soggetto è stato pesato e a ognuno è stato fatto un prelievo 14 PACORI LTC.indd 14 13/01/16 15:18 di sangue per misurare i livelli di colesterolo HDL («buono») e LDL («cattivo»), di colesterolo totale e di trigliceridi. È stata inoltre eseguita un’analisi dei loro campioni fecali per identificare i diversi ceppi di batteri e la ricchezza della colonia di microrganismi intestinali presenti in ogni individuo. I volontari hanno compilato dei questionari relativi alla loro dieta, alle loro abitudini di vita, alla loro storia medica e ai farmaci che stavano assumendo, tutti fattori in grado di alterare la quantità e il tipo di flora intestinale. I ricercatori hanno identificato all’interno del tratto digestivo umano 34 microrganismi che possono influenzare peso corporeo e lipidi nel sangue. Inoltre hanno scoperto un’associazione tra batteri intestinali, livelli di trigliceridi (grassi) e di colesterolo e peso: tutti potenziali fattori di rischio per i problemi cardiocircolatori. Frattaglie senzienti In media, un cervello contiene circa cento miliardi di neuroni ed è la sede della nostra coscienza: un capolavoro di «ingegneria biologica»! Ma anche l’intestino, l’organo più bistrattato del nostro organismo, non scherza: le sue cellule nervose, oltre cento milioni, se venissero raggruppate raggiungerebbero la dimensione del cervello di un gatto. Le tanto sottovalutate interiora sono in costante contatto con il cervello grazie a una comunicazione di tipo elettrico che passa per il nervo vago (una specie di cavo dell’alta tensione del nostro corpo, per la sua lunghezza e per gli organi che attraversa) e di tipo chimico, mediante la produzione di neuropeptidi: si pensi che il 95% della serotonina (il neurotrasmettitore reso maggiormente presente nel cervello grazie all’assunzione degli antidepressivi) è prodotto proprio dall’intestino. La maggior parte dei neurotrasmettitori del 15 PACORI LTC.indd 15 13/01/16 15:18 tratto gastrico è impegnata nel processo digestivo; tuttavia, recenti ricerche hanno rivelato che esiste una fitta trasmissione in direzione del cervello, ben più intensa dell’inverso. Un altro messaggero chimico, il neuropeptide S (coinvolto nella sindrome del colon irritabile), e il suo recettore sono stati rilevati nel colon e nell’intestino tenue; proprio come il neuropeptide Y che, prodotto nel «tubo digerente», una volta raggiunto il cervello riveste un importante ruolo nella regolazione dell’ansia, dell’umore e della capacità di adattamento allo stress. La stessa flora batterica intestinale ha un peso notevole nei disturbi emotivi e psichiatrici. Stephen Collins, ricercatore di gastroenterologia presso la McMaster University di Hamilton, nell’Ontario, ha rivelato, per esempio, che la presenza dei ceppi di due batteri, il lactobacillus e il bifidobacterium, riscontrati anche all’interno delle viscere umane, riduce l’irrequietezza nei topi. Collins e Premysl Bercik hanno raccolto dei batteri intestinali provenienti da topi irrequieti e li hanno trasferiti su un gruppo di roditori «pacati». Il risultato? Anche questi ultimi sono diventati agitati. Una ricerca condotta su pazienti umani afflitti dalla «sindrome da stanchezza cronica» (di cui parleremo più avanti) ha dimostrato che chi aveva assunto capsule contenenti probiotici (Lactobacillus casei) tre volte al giorno aveva ottenuto un significativo sollievo dall’ansia rispetto a coloro ai quali era stato somministrato un placebo. Cuor di leone Il muscolo cardiaco è uno degli organi più importanti del corpo umano: scandisce l’inizio e la fine della vita; un embrione si dice «vivo» quando il cuore comincia a battere, e la vita termina nel momento in cui smette di farlo. Quest’organo ha quasi due miliardi di cellule muscolari ed è 16 PACORI LTC.indd 16 13/01/16 15:18 avviluppato in un’intricata «compagine» nervosa composta da oltre 40.000 neuroni e gangli (aggregazioni di cellule nervose): i neuroni del cuore sono pochi a confronto con quelli intestinali, ma questa «matassa» trasmette molteplici segnali al cervello, riuscendo perfino a condizionarne il funzionamento. L’interazione cuore-mente avviene sia tramite impulsi elettrici (attraverso il nervo vago e il fascio nervoso che affonda le proprie terminazioni nel midollo spinale), sia per mezzo di segnali chimici. Il cuore è anche una ghiandola endocrina: produce peptidi che regolano la modulazione della pressione arteriosa e migliorano il funzionamento dei reni; inoltre, è il più grande produttore di ossitocina. Non basta. Il cuore genera un campo magnetico cinquemila volte più potente rispetto a quello generato dal cervello. In linea con questo effetto, si è appurato che il potenziale elettrico misurato da un elettrocardiogramma (ECG) è circa sessanta volte più ampio di quello emesso dalle onde cerebrali registrate da un elettroencefalogramma (EEG). Sulla base degli studi condotti dall’HeartMath Institute è stato possibile dimostrare che questo forte campo elettromagnetico può essere rilevato e misurato a diversi metri di distanza dal corpo. Inoltre, quando le persone si toccano o sono vicine si verifica un trasferimento di energia elettromagnetica dall’una all’altra. Anche se sono necessarie ulteriori ricerche per valutare l’effetto di un simile passaggio di energia, le implicazioni di queste indagini sono estremamente importanti. Numerose pratiche come il tocco terapeutico, il Qigong e il reiki si basano sul presupposto che si possa produrre una guarigione proprio attraverso uno scambio di energia. Le ricerche su questi metodi hanno esaminato però il campo elettromagnetico delle mani, che è considerevolmente meno potente rispetto a quello del cuore. I biologi Chien Chin-Hsiang e Julia Tsuei della National YangMing University, insieme ad altri colleghi, hanno analizzato le variazioni della radiazione infrarossa misurata sul palmo della mano di un 17 esperto di Qigong, la disciplina orientale che incrementa l’equilibrio e l’energia (il Qi, appunto) nell’organismo. Da questo studio è emerso che l’imposizione delle mani del maestro su una coltura di cellule in vitro aveva prodotto una modificazione della crescita cellulare: la sintesi del DNA era aumentata del 10-15% nell’arco di ventiquattr’ore, e la sintesi delle proteine del 3-5% dopo due ore di esposizione al Qi «facilitante», che provoca una rigenerazione. Negli stessi intervalli di tempo, il Qi «inibente», che induce una remissione, aveva provocato invece una riduzione della sintesi del DNA del 20-23% e un decremento della sintesi delle proteine del 35-48%. Come detto, allo stato attuale della ricerca non possiamo concludere con certezza che lo stesso avvenga con il campo magnetico del cuore, anche se sembra altamente probabile. Quello che invece è noto è che il disagio psicologico si propaga nell’organismo attraverso la mediazione di specifici neuropeptidi e l’eccitazione delle fibre nervose, provocando l’irregolarità di un parametro noto come «variabilità del ritmo cardiaco» o HRV. Con questa sigla si indica l’intervallo che intercorre fra un battito e l’altro: se siamo in pericolo è normale che il cuore pompi più velocemente, mentre se siamo tranquilli le pulsazioni sono più lente. Ciò che conta, indipendentemente dalla frequenza, è che tra battito e battito si registri lo stesso lasso di tempo; quando questo si fa discontinuo e sregolato è segno che ci troviamo in una situazione di conflitto o di stress. L’intermittenza invia dei segnali al cervello, generando uno scompenso ancora maggiore; in sostanza, siamo di fronte a un circolo vizioso che pregiudica la capacità del nostro organismo di mantenere integrità e armonia. 18 PACORI LTC.indd 18 13/01/16 15:18 La personalità e la malattia Il carattere, inteso come l’insieme dei tratti distintivi di un individuo, è il fattore che può predisporre a una maggiore o minore salute e longevità. È noto, per esempio, che i soggetti rancorosi, ambiziosi e severi sono più esposti ai disturbi cardiovascolari e presentano un maggior rischio d’infarto. Non sempre, però, la conclusione è così ovvia: una ricerca ha dimostrato, per esempio, che gli individui dall’indole giocosa e allegra hanno una più alta probabilità di morire giovani. Questo dato, apparentemente contraddittorio, è connesso al fatto che le persone con questo temperamento tendono a sottovalutare il rischio e quindi, in caso di situazioni pericolose, a non prendere le dovute cautele. Analogamente, ci si aspetterebbe che le persone impulsive siano più a rischio d’incidenti; in realtà, il più grande pericolo per la loro salute è l’ulcera peptica. I ricercatori dell’Istituto finlandese per la salute sul lavoro hanno esaminato più di 4.000 persone e hanno scoperto che le più irruente presentavano una probabilità 2,4 volte più alta di sviluppare questo disturbo. Ciò si spiega con il fatto che gli individui con questo temperamento sono più suscettibili e producono più succhi gastrici, che predispongono all’insorgenza dell’ulcera. Gli studiosi dell’Università del Galles hanno rilevato che gli impulsivi tendono a mangiare più in fretta, un’abitudine poco salubre per i loro stomaci. Nel bene e nel male, le disposizioni del carattere incidono in maniera cruciale sull’efficienza del sistema immunitario. In uno studio guidato da Ignacia González-Quijano Díaz, dell’Università Complutense di Madrid, i ricercatori si sono posti l’obiettivo di accertare se esistesse una relazione tra vicissitudini personali, tratti caratteriali e risposta dei linfociti T (il tipo di globuli bianchi più importante nella soppressione dei virus) a una sostanza che ne stimolava la proliferazione: la fitoemoagglutinina. Il primo dato emerso era prevedibile: chi aveva avuto un’esistenza segnata da lutti, drammi e sofferenze mostrava una reattività modesta a questa sostanza. PACORI LTC.indd 2 13/01/16 15:18 Ma l’esito più sorprendente è stata la scoperta che sono i tratti caratteriali a regolare l’impatto dello stress sull’immunità naturale. Gli individui che si dimostravano indipendenti e anticonformisti nonostante il loro passato difficile rispondevano bene alla sostanza somministrata e possedevano alti livelli di globuli bianchi. Per contro gli individui ansiosi, a prescindere dalla drammaticità del loro passato, reagivano in modo debole alla fitoemoagglutinina e la percentuale dei loro linfociti era notevolmente più bassa. Sembra che il parametro caratteriale «indipendenza/dipendenza» rivesta un ruolo fondamentale nel determinare la forza delle difese dell’organismo. Nello studio condotto dall’austriaco Ulrich Kropiunigg, per esempio, i ricercatori hanno sottoposto un campione di individui eterogenei a una situazione moderatamente stressante. Confrontando i questionari di personalità con la conta dei linfociti, prima e dopo la prova, è emerso che gli individui più dipendenti e con un esagerato bisogno di sostegno morale avevano riportato una diminuzione significativa dei linfociti T e, in particolare, di quelli appartenenti alla classe degli helper, le «truppe d’appoggio» nella lotta contro le infezioni. La stima di sé è uno dei cardini di una personalità forte e stabile. Chi ha un’alta considerazione di se stesso è anche poco influenzato dal giudizio altrui, meno conformista e più tenace nel sostenere le proprie idee e principi, anche se sottoposto a pressione sociale. L’effetto di questa predisposizione si riflette anche sulla capacità di difesa del sistema immunitario. Uno studio di Timothy Strauman, Andrine Lemieux e Christopher Coe pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology ha provato che gli individui con minor stima di sé, se sottoposti a una valutazione negativa, riportano un netto calo dell’attività dei linfociti NK. L’esposizione al rifiuto e ai pregiudizi sono due realtà con cui certe categorie di persone devono continuamente scontrarsi; è il caso, per esempio, degli omosessuali, specie se sieropositivi. Una ricerca dello psicologo Gilbert Cole ha dimostrato che i gay dichiarati hanno un sistema immunitario più forte rispetto a quelli che nascondono le loro inclinazioni sessuali. PACORI LTC.indd 3 13/01/16 15:18 Il loro atteggiamento riduce addirittura la virulenza dell’HIV e ritarda la diagnosi di AIDS conclamata, mentre gli omosessuali particolarmente sensibili alla riprovazione sociale mostrano una più rapida diminuzione dei linfociti T helper (quelli nei cui siti si «annida» il virus) e una minor resistenza alla malattia. Ottimismo e pessimismo sono altri due aspetti della personalità che influenzano in modo marcato le nostre risposte immunitarie. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Los Angeles guidato da Suzanne Segerstrom ha scoperto che l’ottimismo è associato a un’alta percentuale di linfociti T helper e di cellule NK. In parte l’effetto sul sistema immunitario è dovuto al fatto che chi è ottimista è di solito di buon umore (un tonico per la salute), ma anche al fatto che, in una certa misura, l’efficienza delle difese dell’organismo è legata proprio alla fiducia in sé e nella buona sorte. Un’altra indagine della Segerstrom ha dimostrato che l’essere apprensivi ha pesanti ripercussioni sui globuli bianchi. Chi si preoccupa molto, infatti, possiede un livello molto basso di cellule NK. Molti studi hanno confermato che l’ottimismo è associato a un migliore stato di salute rispetto al pessimismo: per esempio, è stato accertato che chi «pensa positivo» ha una pressione arteriosa più bassa e una migliore efficienza polmonare; inoltre, chi ha fiducia in se stesso e nel futuro tende a lamentare minori disturbi fisici rispetto a chi vede tutto nero. La predisposizione a «vedere il bicchiere mezzo pieno» sembra proteggere la salute dall’impatto degli eventi negativi della vita. Mika Kivimäki, Jussi Vahtera, Marko Elovainio e altri studiosi hanno esaminato 5.007 persone e hanno scoperto che gli ottimisti presentano un rischio minore di ammalarsi dopo esperienze drammatiche come la morte di un proprio caro o l’insorgenza di una malattia grave in un famigliare. Inoltre, chi è ottimista tende a mantenere uno stile di vita più sano: è più incline, per esempio, a svolgere una regolare attività fisica e ad astenersi da abitudini nocive come fumare ed eccedere con l’alcol. PACORI LTC.indd 4 13/01/16 15:18 In uno studio su una popolazione di soggetti anziani di entrambi i sessi di età compresa tra i 65 e gli 85 anni, Erik Giltay, Johanna Geleijnse e Frans Zitman, assieme ad altri colleghi, hanno scoperto che l’ottimismo riduce la probabilità di morte, soprattutto nel caso di disturbi cardiovascolari. Un’altra ricerca ha provato che nei tre anni successivi all’insorgenza della menopausa l’arteriosclerosi delle carotidi (le arterie che si trovano ai due lati del collo) tendeva a progredire più lentamente nelle donne ottimiste che in quelle pessimiste. I tratti della personalità fanno la differenza persino nella lotta contro il cancro: una ricerca, per esempio, ha evidenziato che il tumore al seno fa registrare un più alto tasso di mortalità nelle donne meno fiduciose, a prescindere dall’età. Parallelamente, un’indagine condotta fra individui affetti da AIDS ha dimostrato come l’ottimismo e la combattività rallentino la progressione della malattia. Un altro fattore che si è rivelato importante ai fini della reazione agli antigeni (gli agenti estranei all’organismo) è la capacità di aprirsi e di sfogare la propria amarezza e le proprie preoccupazioni. Per verificare l’impatto di questa attitudine sulla risposta immunitaria è stato inoculato un frammento inattivato di un virus a un campione di soggetti in precedenza identificati come «aperti» o «chiusi». In seguito è stata esaminata la quantità di anticorpi prodotti. Si è così scoperto che maggiore era la capacità di esternare le proprie emozioni, più alto era il livello degli anticorpi presenti. Gli individui con un’indole repressa, caratterizzata da razionalità, freddezza e rigidità mentale, si contrappongono a quelli sensibili, che sono più emotivi, flessibili, fantasiosi. Nei primi, a prescindere da quanto fossero aperti, la produzione di anticorpi era modesta; nei secondi la reazione era simile solo nel caso di individui particolarmente chiusi. Alan Christensen e altri colleghi dell’Università dello Iowa hanno approfondito questo tema: la loro ricerca ha ribadito che aprirsi e condividere le proprie emozioni rende più resistenti alle infezioni. PACORI LTC.indd 5 13/01/16 15:18 Non solo! È stato provato sperimentalmente che l’emozione che produce l’effetto più incisivo sulle difese immunitarie è la collera. Chi tende a reprimere le emozioni, e in particolare le manifestazioni di rabbia, appare più predisposto a sviluppare il cancro: una malattia che sembra associata proprio all’inefficienza del sistema immunitario. Un dato emerso dall’analisi degli aspetti psicologici di uno dei tumori più diffusi fra il sesso femminile, quello al seno, ha messo in luce un quadro di personalità maggiormente a rischio. Le donne più vulnerabili a questa forma tumorale sembrano essere poco introspettive, indolenti e con una marcata ossessione per la pulizia e l’ordine. Un altro problema che emerge è l’identificazione con il proprio sesso: nelle donne che rifiutano la propria identità sessuale o che incarnano in modo eccessivo lo stereotipo femminile – l’essere passiva, succube o remissiva – parrebbe esserci una più alta incidenza di questo tipo di tumore. Noi tutti siamo portati a riflettere sul perché di ciò che ci accade: c’è chi è convinto di essere in balia degli eventi e chi ritiene, invece, di esercitare un certo controllo sugli avvenimenti. Si dice che i primi presentano un locus del controllo esterno; i secondi, un locus del controllo interno. Queste due disposizioni possono influenzare la forza del sistema immunitario. Christine Reynaert, Yves Libert e Pascal Janne dell’Università cattolica di Louvain, in Belgio, hanno avviato una ricerca per verificare l’impatto di queste due diverse tendenze caratteriali sulle difese dell’organismo. I risultati hanno evidenziato che, più una persona è fatalista, meno efficiente è la sua risposta alle infezioni. Uno studio analogo, condotto su un campione femminile, ha dimostrato che la credenza in un destino ineluttabile rende le donne più esposte al rischio di insorgenza di neoplasie. PACORI LTC.indd 6 13/01/16 15:18 C’è un’altra dimensione che influisce sul sistema immunitario, un aspetto che non manchiamo di sottolineare quando parliamo di qualcuno e che, tuttavia, ha poco a che fare con la personalità: l’intelligenza. Essere intelligenti è visto come qualcosa di desiderabile: ma non sempre è un vantaggio! Non certo sul piano dell’immunità. James Hollis e collaboratori hanno pubblicato sull’American Journal of Mental Deficiency uno studio in cui hanno misurato il livello di anticorpi in tre gruppi di soggetti: il primo, con profondo ritardo mentale; il secondo, con ritardo lieve; il terzo, con intelligenza media. Sorprendentemente, chi aveva un grave deficit intellettivo possedeva la quantità più elevata di immunoglobuline. Ultimi in «classifica»: i più «svegli». PACORI LTC.indd 7 13/01/16 15:18 IL CASO. UN SOGNO INFRANTO I sintomi fisici sono segno di malattia o di disfunzioni del nostro organismo, ma la causa a volte può riservare delle sorprese. Lo dimostra la storia di Eleonora, una ragazza di circa 30 anni arrivata nel mio studio perché soggetta a un tale stress nell’ambiente di lavoro da ammalarsi spesso, anche in modo grave. La giovane faceva la saldatrice in una fabbrica, un mestiere insolito per una donna ma che aveva scelto lei stessa ispirandosi alla protagonista del film Flashdance che l’aveva profondamente affascinata da bambina. La realtà era però ben diversa da quella mostrata al cinema: i suoi colleghi erano tutti maschi, per di più rozzi, volgari e irrispettosi, e più di una volta ci avevano provato con lei, non certo in modo galante. Il sogno di una vita si era dunque trasformato in un incubo: Eleonora era diventata insofferente alle provocazioni, alle avance e alle derisioni dei compagni di lavoro, e non c’era settimana che non si prendesse raffreddori, influenze, bronchiti e altri malanni, fino a contrarre una seria polmonite. Le analisi mediche avevano evidenziato che il suo sistema immunitario era pesantemente compromesso e incapace di far fronte alle infezioni. La cosa strana è che prima di incominciare il lavoro della sua vita Eleonora aveva fatto la commessa di un grande magazzino, un impiego impegnativo, frustrante e che non le dava nessuna soddisfazione, ma aveva condotto una vita relativamente serena e non si ammalava quasi mai: il che faceva supporre che fosse proprio lo stress del lavoro attuale a indebolire così tanto le difese del suo organismo. Sin dalla prima seduta abbiamo alternato colloqui e sessioni di ipnosi: i primi servivano a farle ritrovare l’equilibrio emotivo, le seconde a far emergere i suoi problemi, lavorativi e non. Dopo circa un mese e mezzo Eleonora si sentiva meglio e aveva deciso di tornare a lavorare. Non l’avesse mai fatto! I colleghi l’avevano accusata di essere una lavativa e una scansafatiche, le avevano rivolto insulti irripetibili e lanciato sguardi minacciosi. Uno di loro, 29 PACORI LTC.indd 30 13/01/16 15:18 in mensa, aveva dato una spinta con il bacino dall’inequivocabile significato. Quella stessa notte Eleonora aveva avuto un incubo: era bambina, si era smarrita in una foresta e veniva rincorsa da un branco di lupi che a un certo punto le si gettavano addosso. In quel momento la ragazza si era svegliata urlando. Quando mi ha raccontato del trattamento che i colleghi le avevano riservato e dell’incubo che aveva avuto mi è venuto un sospetto e le ho proposto una seduta di ipnosi regressiva. Con questa tecnica si induce la persona a immaginare di scendere una scala all’indietro a partire dalla sua età attuale, un gradino per volta. Giunti ai 7 anni, Eleonora ha cominciato ad avere un’accelerazione del battito cardiaco e del respiro. Tremava e il suo corpo si era repentinamente raffreddato. Alla ripresa del normale stato di coscienza si sentiva turbata, ricordava delle immagini (tra cui lo scenario del sogno) e di aver visto confusamente un giardino o un parco; l’unico dettaglio nitido era un abito a fiori che ricordava di essere stato il suo preferito da piccola. Dopo l’incontro era andata a vedere le sue foto dell’infanzia: in molte fotografie era ritratta con quel vestito. Da un certo punto in poi, però, l’abito era scomparso. Questo particolare l’aveva scossa e lentamente aveva sentito riaffiorare un ricordo: a 7 anni aveva subito una violenza di gruppo da un branco di ragazzi più grandi. Ne era sconvolta, perché l’aveva completamente dimenticata. Attraverso i colloqui degli incontri seguenti Eleonora ha capito che la scelta del lavoro era un modo per esorcizzare quell’esperienza (in Flashdance i colleghi della protagonista erano cordiali e amichevoli) e che lo stress emerso in fabbrica non era dovuto solo al rapporto con i colleghi, ma al fatto che si sentiva costantemente in pericolo. Dopo questa presa di coscienza, Eleonora ha deciso di licenziarsi. Ha smesso di ammalarsi continuamente e ha proseguito la terapia finché non si è liberata dal trauma. 30 PACORI LTC.indd 30 13/01/16 15:18 bile e io non sono riuscito a trattenermi. Me la sono fatta addosso. I compagni hanno cominciato a ridere e a chiamarmi ‘poppante’ e ‘cacasotto’: un’etichetta che mi è rimasta appiccicata addosso per tutte le elementari. Ho giurato a me stesso che non l’avrei mai più fatta e... così è stato». Sciolto il trauma, ci abbiamo lavorato a fondo e, progressivamente, il ragazzo ha preso ad andare in bagno con più regolarità e facilità. Nel frattempo, ha cominciato a frequentare bar e altri luoghi di incontro, scoprendo i piaceri della vita sociale. Le rane in pancia: la sindrome del colon irritabile Nel mondo, sono davvero tante le persone affette da disturbi intestinali: gonfiori, tensioni addominali, dolori, stitichezza, spasmi eccetera ne sono i sintomi più caratteristici e fastidiosi. In un buon numero di casi, l’origine del disturbo è legata a infezioni batteriche o a un’alimentazione scorretta, ma non sono poche le situazioni in cui il problema è dovuto allo stress, come avviene per la «sindrome del colon irritabile», anche diagnosticata come «colite spastica» o semplicemente colite. Un’indagine condotta nel 2006 dai medici Giorgio Minoli e Tino Casetti sulla popolazione italiana ha rivelato che circa il 30% degli abitanti soffre di questa disfunzione, che sembra essere peraltro un disturbo più diffuso tra le donne (7 pazienti su 10 sono di sesso femminile): insomma, numeri da vera e propria calamità! La causa esatta di questa sindrome non è ancora chiara, ma numerosi studi fanno convergere l’attenzione sui nervi e sulla muscolatura che controlla l’intestino: lo stress può stimolare in modo eccessivo la motilità intestinale, attraverso «fibre» nervose e segnali chimici. Uno studio di Stephen Collins, della McMaster University in Canada, ha dimostrato inoltre che, specialmente in situazioni snervanti, la colite provoca un cambiamento nella composizione della flora batterica intestinale che, a sua volta, porta a una proliferazione 59 PACORI LTC.indd 59 13/01/16 15:18 di colonie di batteri «cattivi»; questi ultimi innescano reazioni meta­ boliche in grado di provocare sintomi quali gas, gonfiore e diarrea ma anche disagi psicologici. I medici californiani Peter Welgan, Hooshang Meshkinpour e Michael Beeler hanno riscontrato che chi lamenta questo problema ha una motilità intestinale a riposo più intensa rispetto alle persone sane, e che questa reattività aumenta considerevolmente in seguito a stress fisici o psicologici e, in particolare, in chi tende a reprimere la rabbia. Magnus Halland, Ann Almazar, Ryan Lee e altri gastroentero­ logi presso la Mayo Clinic di Rochester hanno intervistato 2.623 soggetti: dal sondaggio è emerso che quanti soffrivano di colite spastica riferivano di aver vissuto un numero di eventi traumatici – non da intendere soltanto come abusi sessuali o molestie, ma anche lutti, incidenti stradali, calamità, l’aver assistito a scene scioccanti o un famigliare con gravi disturbi psichiatrici eccetera – decisamente superiore a chi non aveva questo disturbo. Anche sulla base di esperimenti effettuati sui topi, è stato osser­ vato che quanto più è precoce l’esposizione allo stress (in quel caso la separazione dalla madre), tanto più si riscontrano un’alterazione dell’asse ipotalamo­ipofisi­surrene, un comportamento timoroso e, soprattutto, problemi intestinali, come un aumento della defecazione, una maggiore secrezione di succhi gastrointestinali e un accrescimento della sensibilità del tratto enterico. IL CASO. UNA VITA SREGOLATA DALL’INTESTINO Quando si pensa di non aver niente da perdere, viene meno la percezione del rischio e la motivazione a seguire sane regole di vita appare senza senso. È una filosofia che si attagliava a pennello a Enrico, un ragazzo di 30 anni con uno stile di vita del tutto sregolato, che aveva preso 60 appuntamento con me solo perché un disturbo gli impediva di condurre liberamente la sua esistenza dissoluta: una dissenteria cronica. Enrico, infatti, beveva, fumava come un turco e trascorreva le sue giornate passando da un bar all’altro. Per sua fortuna, aveva dei genitori benestanti che provvedevano al suo «sostentamento». Al primo incontro gli avevo chiesto se avesse fatto degli accertamenti o se si fosse rivolto a uno specialista per il suo problema all’intestino, ma la sua risposta era stata: «Non mi fido dei medici. Sono tutti bugiardi e poi io so che è un problema di testa». Considerate le sue abitudini (alcol, fumo, notti insonni), non mi sembrava strano che avesse l’intestino in subbuglio. Ho deciso quindi di fissare una serie di incontri per trattare il suo problema gastrico con l’ipnosi, considerando che non mi sarei potuto limitare al sintomo, ma avrei dovuto indagare le cause di questo suo vivere allo sbando. Nel corso delle sedute, era emerso in modo sempre più chiaro che, di fondo, il ragazzo era depresso e che era attratto da una condotta autodistruttiva. Dopo cinque sedute si cominciavano a vedere i primi progressi: Enrico aveva riacquistato un po’ di fiducia in sé e si sentiva più motivato; inoltre, ero riuscito a convincerlo a darsi una regolata. Su mio suggerimento aveva cominciato a frequentare una palestra e andava a letto in orari un po’ più normali: la sua diarrea però non era migliorata. Consapevole dello stretto rapporto tra intestino e cervello, lo avevo convinto, seppure con grande fatica, ad andare da un gastroenterologo. Si era rivelata una mossa vincente: lo specialista gli aveva fatto degli esami e aveva scoperto che il disturbo intestinale era dovuto a una grave infezione da Escherichia coli, un batterio normalmente presente nel nostro intestino, che in quello del ragazzo aveva trovato terreno fertile per diventare estremamente aggressivo. Questo spiegava anche, in parte, la sua depressione: questo microbo, infatti, è «rivestito» di una tossina, il liposaccaride, che riesce 61 PACORI LTC.indd 61 13/01/16 15:18 a passare la barriera ematoencefalica e a provocare disordini emotivi e psichiatrici. Il medico gli aveva prescritto una cura antibiotica che in breve tempo aveva alleviato il suo problema fisico e, come avevo supposto, risollevato il suo umore. Da quel momento, le cose erano migliorate parecchio: aveva cominciato a cercare un lavoro, dormiva meglio e in modo più regolare e aveva anche limitato le sue scorribande nei locali. Tutto sembrava procedere per il meglio, ma un giorno il ragazzo non si è presentato a un incontro e non rispondeva più al telefono. Non riuscivo a spiegarmi questo comportamento, fino a che, per pura combinazione, l’ho incontrato una decina di giorni dopo in un pub: era piuttosto alticcio e puzzava di fumo. Ho colto quindi l’occasione per chiedergli che cosa fosse successo e lui mi ha risposto che il gastroenterologo gli aveva assicurato che sarebbe guarito con una settimana di cure, invece lui continuava ad avere i suoi disturbi. Questo commento mi ha fatto riflettere: Enrico non aveva motivo di essere così diffidente nei confronti dei dottori, però aveva avuto un problema medico serio, che a quel punto ho ritenuto di aver sottovalutato. A 25 anni, infatti, aveva fatto un incidente in moto e, considerata la gravità della sua condizione, era stato messo in coma farmacologico. L’ho convinto a tornare da me, e alla prima seduta gli ho fatto una regressione ipnotica per rievocare l’episodio dell’incidente: mentre gli parlavo si è messo a tremare come una foglia e a emettere strani singhiozzi. Quando l’ho fatto riprendere mi ha detto che nel corso dell’ipnosi gli era tornata in mente una frase detta dal medico mentre era in coma (evidentemente, non era del tutto incosciente). Dopo che la madre era uscita dalla stanza, rivolgendosi verosimilmente a un infermiere o a un collega, il dottore aveva commentato: «Questo non ne esce vivo!» Ecco spiegato il motivo della sua mancanza di voglia di vivere 62 PACORI LTC.indd 62 13/01/16 15:18 (e della sua diffidenza verso i medici): gli era rimasto impresso che tanto doveva morire. Presa consapevolezza di quanto era venuto fuori, il ragazzo ha cominciato a progredire molto più velocemente, a perdere una volta per tutte le sue insane abitudini e dopo una decina di giorni la diarrea si era risolta. IL CASO. DEPRIMERSI PER UNA PIZZA Beatrice, una donna di 41 anni, era cresciuta in una famiglia che non le aveva prestato molte attenzioni: il padre era spesso assente per lavoro, e anche quando era a casa non era un uomo molto espansivo; la madre era una donna chiusa e poco incline a mostrare affetto. L’infanzia infelice tra le pareti domestiche l’aveva portata a isolarsi, con il risultato che anche a scuola e tra i coetanei si sentiva un’emarginata. Non sorprende quindi che già nell’adolescenza avesse cominciato a mostrare i primi segni di depressione. A 18 anni aveva già consultato svariati psichiatri e psicologi e a 25 era finita in una casa di cura. Quando è venuta da me sembrava un caso disperato: ero la sua ultima spiaggia. Dopo alcune sedute con l’ipnosi, la donna aveva ripreso un po’ di buon umore, si sentiva più energica e fiduciosa. Inoltre, contemporaneamente aveva iniziato una dieta con pochi carboidrati e molte verdure per contrastare il suo abbondante sovrappeso. I segnali, dunque, erano piuttosto incoraggianti e anche la sua vita sociale era migliorata: aveva fatto nuove conoscenze e cominciava a uscire più spesso la sera. Un giorno, Beatrice è arrivata nel mio studio stravolta: aveva il viso pallido, quasi inespressivo, gli abiti sgualciti e dall’odore si sarebbe detto che non si lavava da qualche giorno; l’umore, poi, era sottoterra. Sorpreso di quel repentino passo indietro, le ho domandato se le fosse capitata qualche brutta esperienza o se avesse ricevuto una cattiva notizia. 63 PACORI LTC.indd 64 13/01/16 15:18 Non era successo niente, anzi nemmeno lei si aspettava quella ricaduta. Qualche giorno prima aveva passato una bellissima serata con gli amici: erano andati a mangiare una pizza e poi in un piano bar, dove si erano divertiti un sacco. L’indomani non aveva nemmeno le forze per alzarsi dal letto ed era rimasta lì fino al giorno del nostro appuntamento (un paio di giorni dopo), schiodandosene solo per senso del dovere e rispetto nei miei confronti. A quel punto, ho avuto una folgorazione e le ho chiesto se aveva mai fatto il test per l’intolleranza al glutine. Mi ha risposto di no, ma che sarebbe andata dal suo medico per farselo prescrivere. Tre settimane dopo, ho ricevuto una telefonata: Beatrice era risultata celiaca, così aveva iniziato una dieta specifica e da quel momento il suo umore era in costante miglioramento e si sentiva piena di voglia di vivere! In definitiva, la sua depressione era di certo stata accentuata dalle esperienze di vita avverse, ma fondamentalmente era stata causata dall’aggressione del suo cervello da parte del suo stesso sistema immunitario. PACORI LTC.indd 64 14/01/16 15:18 4 Rimedi e prevenzione: una mela al giorno e non solo Una volta che lo stress, i traumi, una determinata predisposizione personale o un particolare modo di pensare hanno procurato un danno biologico, non possiamo pensare di risolvere il problema con la sola consapevolezza: bisogna intraprendere una cura con la medicina tradizionale o alternativa, alla quale andrà abbinata la psicoterapia. Possiamo però fare qualcosa anche da noi, almeno per limitare i danni e rafforzare la nostra capacità di gestire le avversità e i cattivi pensieri, magari riuscendo a rendere il nostro organismo e il sistema immunitario più efficienti. Queste pratiche possono essere complesse e richiedere molto esercizio, mi riferisco per esempio alla meditazione, allo yoga o al training autogeno, oppure essere semplicemente delle sane abitudini, facili da apprendere e mettere in atto nella nostra vita di ogni giorno. Dopo aver messo a fuoco come si possa passare dal malessere psicologico a quello fisico, negli ultimi anni gli studiosi si stanno concentrando sulla messa a punto degli escamotage capaci di arrestare i processi mentali che portano allo stress. Cominciamo a esaminare quelli più efficaci. 85 PACORI LTC.indd 85 14/01/16 09:13 Camminare nella natura inibisce la tendenza a rimuginare Gregory Bratman, dottorando in biologia alla Stanford University, ha scoperto che l’ambiente in cui passeggiamo è tutt’altro che ininfluente: uno studio condotto su un gruppo di 38 volontari ha messo in luce che le camminate nella natura riducono la tendenza alle ruminazioni mentali e ai pensieri negativi. Gli stessi partecipanti, monitorati con l’fMRI, hanno mostrato la diminuzione di un’area cerebrale, la corteccia prefrontale subgenuale, una regione particolarmente attiva quando facciamo pensieri negativi e cupi su noi stessi. L’effetto però non è stato rilevato in chi «scarpina» in aree urbane. Il beneficio, inoltre, è molto più intenso se, oltre a passeggiare all’aria aperta, tra viottoli, prati e boschi, cambiamo ogni giorno percorso, se esploriamo nuovi sentieri e se lo facciamo in compagnia di persone sempre diverse. La camminata nei boschi o nei parchi non sempre è possibile; per fortuna, si è appurato che anche sedere su una panchina immersa nel verde aiuta a sbarazzarsi dei pensieri inopportuni e a migliorare l’umore. Essere attorniati dalla natura, in qualsiasi forma, si è dimostrato un valido espediente per ridurre i livelli di cortisolo. Un recente studio condotto da un’équipe di ricercatori dell’Università di Washington, guidata da Peter Kahn, ha provato che anche guardare alberi, giardini o parchi attraverso una finestra procura effetti benefici. Per verificarlo sono stati coinvolti 90 studenti, ai quali è stato chiesto di eseguire un compito chiusi in un ufficio. Trenta di loro lo hanno svolto di fronte a una finestra che dava su un parco, un secondo gruppo di uguale numero davanti a uno schermo al plasma che mostrava lo stesso scenario e l’ultimo gruppo di fronte a un muro bianco. Il livello di stress è stato valutato in base alla frequenza cardiaca, 86 PACORI LTC.indd 86 13/01/16 15:18 mentre una macchina fotografica posta di fronte ai partecipanti li immortalava automaticamente ogni volta che portavano lo sguardo verso il «panorama». L’esito ha dimostrato che in chi poteva guardare la natura il ritmo cardiaco era notevolmente più basso di quelli che avevano davanti a sé la parete, ma anche di coloro che vedevano la stessa scena su un monitor. Fare jogging è uno sballo È ormai risaputo che praticare una regolare attività fisica faccia un gran bene: contribuisce a prevenire alcune malattie croniche come il diabete di tipo 2, i disturbi cardiovascolari eccetera. Inoltre, consente al cervello di mantenersi ben «oliato»: correre o camminare a passo spedito determina un aumento della circolazione sanguigna cerebrale e riduce la viscosità del sangue, migliora l’energia e la lucidità e regola il ritmo sonno-veglia, stimolando l’attività dei neuroni nella formazione reticolare (una regione alla base del sistema nervoso centrale). Il suo effetto più importante, però, è che fa «gasare»: infonde buon umore e favorisce un senso di rilassatezza, calma e distensione. Le ricerche dimostrano che prendere l’abitudine di fare ginnastica esercita un vero e proprio effetto antidepressivo: il movimento, infatti, incrementa la concentrazione di triptofano (un amminoacido essenziale precursore della serotonina) nel flusso sanguigno, portando a un aumento generale della serotonina. Questo neuropeptide non è l’unica sostanza «energizzante» a essere conseguenza dell’attività fisica, che pompa nel cervello anche l’anandamide, il principio attivo della marijuana. Da tempo sappiamo che esercitarsi con costanza e impegno provoca un senso di profondo benessere, spensieratezza e leggerezza. Visto che a seguito di un’intensa attività fisica si era rilevato un au87 PACORI LTC.indd 87 13/01/16 15:18 mento delle endorfine, si riteneva che l’euforia derivasse dall’effetto di questo peptide, rilasciato dall’ipofisi, sul cervello. Solo in tempi recenti si è giunti alla conclusione che la molecola dell’endorfina è troppo «panciuta» per passare la barriera ematoencefalica: la ricerca si è quindi orientata altrove e il candidato più probabile è stato individuato proprio in un endocannabinoide. Per accertarlo, un team di ricercatori dell’Università di Heidelberg, in Germania, ha esposto dei topi a una situazione stressante, per poi farli correre su una ruota. È stato così possibile appurare che nei roditori si manifestava lo stesso tipo di cambiamento chimico rilevato nei ciclisti o nei corridori: un considerevole aumento di endorfine ed endocannabinoidi. Gli hobby fanno bene alla salute e al cervello Quando si parla di hobby non sono pochi a considerarli attività superflue, inutili, se non addirittura una perdita di tempo. Quello che molti non considerano, o sottovalutano, è che dedicarsi a qualcosa che non sia il lavoro e non venga vissuto come un’incombenza o un impegno è un tonico per il nostro morale e per l’organismo: probabilmente meglio di qualunque altra forma di distrazione, un hobby cattura le nostre attenzioni, ci distoglie dai pensieri negativi, ci dà piacere e soddisfazione. Non importa che si tratti di pittura, giardinaggio, modellismo e via dicendo: quello che conta è che lo si faccia per diletto, per il puro piacere di farlo. In un metastudio (le conclusioni che è possibile trarre dopo aver consultato numerose ricerche condotte su uno stesso tema) Victoria Schindler e Sharon Gutman hanno affermato che far rientrare nelle proprie priorità anche dei passatempi significa munirsi di un buon antidoto contro lo stress e i pensieri ossessivi e apprendere un efficace metodo per canalizzare e regolare le proprie emozioni. 88 PACORI LTC.indd 88 13/01/16 15:18 Un sondaggio condotto su scala mondiale su quasi 5.000 persone dedite al lavoro a maglia ha messo in luce, per esempio, che le donne – ma non solo: Betsan Corkhill, coautore dello studio, racconta che anche Albert Einstein si distraeva in questo modo – che praticavano con regolarità questo hobby ritenevano che procurasse loro relax, riducesse lo stress e le rendesse più creative. Inoltre, molte riferivano che, dopo aver cominciato a occupare parte del proprio tempo libero lavorando a maglia, erano migliorate anche le loro relazioni sociali. Secondo un team di ricercatori svedesi, il beneficio che si trae da queste occupazioni deriva soprattutto dal fatto che portano a sgomberare la mente, uno stato soggettivo in cui si sperimenta un alto livello di concentrazione senza sforzo, un senso di piacere e una ridotta coscienza di sé: una condizione che somiglia molto alla meditazione. Partendo da questi presupposti, gli studiosi in questione hanno voluto scoprire se questa percezione coincida con qualche cambiamento nell’attività cerebrale, appurando che effettivamente durante queste attività di svago, si nota un «fermento» nello striato ventrale, una regione del cervello in cui hanno luogo i processi che portano alla sensazione di piacere. C’è anche qualche fortunato che ha trasformato il proprio hobby in un lavoro: per esempio, il cattedratico J.R.R. Tolkien – l’autore del Signore degli anelli – non avrebbe mai pensato di diventare uno degli scrittori più famosi di tutti i tempi; l’architetto Jimmy Stewart – protagonista della Vita è una cosa meravigliosa – non avrebbe scommesso un soldo bucato sulla sua carriera di attore e Ted Turner – skipper a livello agonistico – quando si è cimentato con le riprese televisive probabilmente non si sarebbe sognato di fondare un giorno la CNN. Fare il lavoro che si è sempre sognato è un traguardo ambito, ma un lavoro resta sempre un lavoro: con responsabilità, impegno, imprevisti e... stress. Meglio tenersi stretti i propri passatempi! 89 PACORI LTC.indd 89 13/01/16 15:18 5 Il linguaggio dei sintomi Un comune mal di testa può metterci di cattivo umore, rendere difficile la concentrazione e pregiudicare la nostra capacità di ricordare un nome o un concetto. Allo stesso modo la delusione per un esame andato male può abbassare le nostre difese immunitarie e farci prendere un’influenza o allungare i tempi di cicatrizzazione di una ferita. Questi sono esempi di come la mente e il corpo possano condizionarsi a vicenda. Nel capitolo 1 abbiamo visto come questa influenza sia mediata da proteine – i neuropeptidi secreti dal cervello e da altri organi –, da modificazioni della flora intestinale o da un’alterazione della fisiologia del cuore. Esistono però anche disagi fisici, come la sensazione di un corpo estraneo in gola, una stanchezza immotivata e inspiegabile o un dolore intermittente al petto, che non sono accompagnati da nessuna alterazione organica. Si parla in questo caso di «disturbi psicogeni», cioè di affezioni o infermità che sono tutte nella testa di chi le vive. Non si tratta però di fantasie malate, né di fissazioni e meno ancora di un’inclinazione alla teatralità o di una messinscena: sono sintomi che l’individuo avverte realmente... solo che manca la causa. 105 PACORI LTC.indd 106 13/01/16 15:18 Un pensiero stampigliato sul corpo A volte i propri peggiori incubi o i più grandi desideri possono avverarsi, specie se riguardano il proprio corpo. È quanto accade in una particolare forma di disturbi psicogeni, noti come «disturbi di conversione», una specie di menomazione o di deformazione del corpo che l’individuo si procura con il solo pensiero: i deficit possono interessare il movimento, il tono muscolare o anche i sensi. Esempi tipici sono tic, paralisi, dolori, anestesie, difficoltà a deglutire, conati di vomito, difficoltà nell’espressione verbale eccetera, che non hanno alcuna causa organica o neurologica. L’aspetto che caratterizza questi disturbi è che riguardano alterazioni del sistema motorio o sensoriale sulle quali possiamo esercitare un controllo volontario. Il fatto che l’individuo che ne è affetto ritenga di avere una precisa malattia o cambiamento fisico e ne replichi, senza rendersene conto, i sintomi non significa che si possa parlare di «simulazione». Se uno teme di avere un infarto, infatti, può sentire una pressione al petto, indolenzimento e intorpidimento del braccio sinistro, mancanza di fiato e via dicendo. Quello che fa capire che si tratta di autosuggestione e non di un problema reale è il fatto che la persona avverte le manifestazioni della malattia che conosce e non il quadro sintomatologico completo. «Vittime» di questi disturbi possono essere i famigliari che hanno assistito un proprio caro con una malattia incurabile o degenerativa. Qualche tempo dopo la dipartita del congiunto (sul quale con ogni probabilità riversavano tutta la loro attenzione) possono sviluppare gli stessi sintomi perché convinti di avere una predisposizione ereditaria al riguardo. L’esempio più eclatante di questi fenomeni sono le stimmate: le cronache riferiscono di casi, sebbene rari, di individui (non in odore di santità) cui compaiono delle piaghe esattamente dove erano stati piantati i chiodi a Gesù Cristo. 106 PACORI LTC.indd 107 13/01/16 15:18 Altrettanto sorprendenti sono le gravidanze isteriche, nelle quali sono presenti tutti i sintomi della gestazione, ma manca l’elemento fondamentale: l’embrione o il feto. Per lo più, i sintomi da conversione sono meno eclatanti, tendono a risolversi da sé e sono più frequenti in chi soffre di ipocondria. Sotto la lente delle neuroscienze In un’indagine mirata a scoprire che cosa accada al cervello in chi lamenta disturbi di conversione, Patrik Vuilleumier, Christian Chicherio, Frédéric Assal e altri ricercatori hanno coinvolto 7 pazienti ricoverati presso l’Ospedale universitario di Ginevra. Questi ultimi presentavano una perdita della funzionalità di un arto e delle parestesie (insensibilità o sensazioni inspiegabili) da meno di due mesi. L’indagine ha comportato l’esame dell’attività cerebrale dei partecipanti in tre condizioni: a riposo, nel corso della stimolazione dell’arto interessato e dopo la scomparsa del disturbo. Ne è emerso che, quando il deficit era ancora presente, era stata riscontrata una significativa diminuzione del flusso sanguigno in due regioni del cervello, nel talamo e nei nuclei della base. L’alterazione, però, si era normalizzata quando i partecipanti avevano recuperato la piena funzionalità dell’estremità. Questo risultato, commentano gli autori dello studio, suggerisce che la conversione produce una sorta di «ibernazione» del circuito striato-talamo-corticale coinvolto nella pianificazione, nel controllo e nell’esecuzione del movimento. Proprio i gangli della base (strutture neurologiche «alla radice» del cervello) possono essere l’anello di congiunzione tra le regioni emotive, che si trovano nei recessi dell’encefalo, e quelle motorie, che «solcano» la corteccia, la regione più superficiale. Uno studio affine della neurologa Anette Schrag e della sua équipe 107 PACORI LTC.indd 108 13/01/16 15:18 sembra dimostrare che chi presenta una malattia psicogena ha un funzionamento cerebrale diverso da chi soffre di malattie organiche. In questa ricerca, sono stati coinvolti tre gruppi di partecipanti: 5 pazienti con un disturbo organico dovuto a una mutazione del gene DYT1 (una patologia che porta a una contrazione involontaria dei muscoli), 6 pazienti che avevano una disfunzione di origine psicogena e 6 soggetti sani, come gruppo di controllo. Tutti i malati, «immaginari» e non, lamentavano una difficoltà motoria alla gamba sinistra. Per accertare eventuali differenze a livello cerebrale, tutti i volontari sono stati sottoposti a scansione con la PET (tomografia a emissione di positroni) mentre tenevano il piede in tre posizioni: a riposo, in movimento e contraendo volontariamente l’intera gamba. Al tempo stesso, è stata misurata l’attività elettrica dell’estremità per determinare quali muscoli fossero impegnati durante le rilevazioni dell’attività del cervello. L’analisi dei risultati delle scansioni ha messo in evidenza che chi soffriva di un disturbo fisico mostrava un’attività cerebrale diversa da quelli che avevano un disagio di tipo psicogeno. Rispetto agli altri due gruppi, nei primi si osservava un anomalo aumento dell’attività cerebrale nella corteccia motoria primaria (da dove parte lo stimolo a muovere, contrarre e distendere i muscoli) e nel talamo (dove vengono integrate le informazioni sul movimento che provengono dalla corteccia – la regione più esterna del cervello – e dalle strutture sottocorticali, parti più primitive) e un calo nel cervelletto (dove viene regolato il tono muscolare a seconda dell’azione e del tipo di movimento). Al contrario, il gruppo con la distonia psicogena presentava lo schema opposto, con un anomalo aumento del flusso sanguigno nel cervelletto e nei gangli della base (implicati nel controllo del movimento) e una diminuzione dell’attività nella corteccia motoria primaria. Proprio questa tendenza inversa spiegherebbe l’esito delle rilevazioni: cervelletto e gangli sono infatti coinvolti nell’esperienza emotiva, 108 PACORI LTC.indd 109 13/01/16 15:18 quindi la loro maggiore attivazione dimostra che il disturbo di chi «simula» la malattia ha origine in un conflitto sul piano emozionale. Quando ai partecipanti veniva chiesto di muovere il piede, inoltre, la PET ha evidenziato un’attivazione anomala della cortec- cia prefrontale destra dorsolaterale, rilevata sia in chi presentava il disturbo psicogeno sia in quelli realmente malati, il che suggerisce che l’alterazione in questa struttura non sia specifica della «disabilità» psicogena. Questo tuttavia non esclude che la corteccia prefrontale destra dorsolaterale rivesta un ruolo importante nello sviluppo della paralisi «isterica»: questa regione, infatti, oltre a pianificare e organizzare il comportamento, svolge una funzione inibitoria su impulsi e azioni. Un’indagine recente condotta da un’équipe olandese, guidata da Floris de Lange, su 8 soggetti con paralisi totale o parziale al braccio ha infatti messo in risalto una ridotta connessione tra la corteccia prefrontale e diverse aree sensomotorie. In pratica è come se le due aree del cervello fossero funzionalmente scollegate, procurando la sensazione che proviamo quando vogliamo muovere un piede «addormentato». Quando la mente mette i bastoni fra le ruote al corpo In presenza di sospetti disturbi di conversione o psicogeni, è prioritario fare tutti gli accertamenti clinici per escludere cause organiche. Inoltre, è importante ricordare quando abbiano avuto inizio – se in coincidenza o in seguito a eventi traumatici – e capire quali circostanze li peggiorino e quali procurino una riduzione del disturbo o del dolore. Può succedere, per esempio, che il sintomo si manifesti quando si è in presenza di una certa persona, quando si sta per andare in un determinato posto (un bambino può avere le nausee prima di andare a scuola perché è preso di mira dai bulli, oppure un uomo può 109 PACORI LTC.indd 110 13/01/16 15:18 avere scariche di dissenteria quando va al lavoro perché è vittima di mobbing) o si deve affrontare un compito gravoso (un atleta può essere preda di crampi ogni volta che fa una gara, mentre non li ha in allenamento). Caratteristiche frequenti dei sintomi psicogeni sono le seguenti: • un esordio improvviso, senza una causa apparente; • l’essere preceduti da traumi emotivi (violenze fisiche o sessuali, delusioni sentimentali, lutti eccetera), drammi personali (perdita del lavoro, pesanti umiliazioni eccetera), infortuni (incidenti, situazioni in cui si è rischiata la vita, anche qualora si sia rimasti incolumi), o da sintomi organici che hanno destato grande preoccupazione o malattie gravi; • si presentano dopo un periodo di intenso stress o esaurimento fisico o intellettuale; • compaiono in maniera convulsa, episodica o intermittente; • ci possono essere remissioni spontanee, seguite da una recrudescenza; • se si tratta di tic o tremori, si può notare che questi scompaiono quando ci si distrae o ci si rilassa; • possono coesistere problemi emotivi o psichiatrici (depressione, ansia eccetera); • possono essere sostituiti da altri disturbi; • possono simulare i sintomi di qualcuno affetto da una malattia reale (Parkinson, tumori eccetera) cui si è legati o di cui ci si prende cura. Disturbi faziosi Sia i disturbi psicogeni sia quelli di conversione possono essere sviluppati da chiunque, ma sono più frequenti in certe categorie: per esempio, sono più comuni fra le donne sposate che fra le nubili, 110 PACORI LTC.indd 110 13/01/16 15:18 Senza questi momenti la vita appare vuota, insignificante, anonima e incolore, ma soprattutto «faticosa». Uno studio coordinato da Petros Skapinakis ha dimostrato che proprio la scontentezza può procurare un altrimenti inspiegabile senso di spossatezza. Il medium di questo esaurimento sembra essere un livello eccessivo di un enzima dal nome di monoammino ossidasi. Numerose ricerche hanno dimostrato che una presenza eccessiva di questo composto altera i processi metabolici che portano alla formazione della serotonina, della noradrenalina (la variante dell’adrenalina che circola nel cervello) e della dopamina: tutti neurotrasmettitori vitali per regolare l’umore, l’energia, l’efficienza mentale, la capacità di far fronte allo stress, la motivazione e la ricerca del piacere. IL CASO. LA FATICA PORTA CONSIGLIO Luca, un trentenne in carriera, aveva iniziato a frequentare Serena, una ragazza che lo aveva attratto sin dalla prima volta che l’aveva incontrata per la sua bellezza e dolcezza. Dopo qualche mese di grande entusiasmo erano però emerse grosse differenze tra i loro due stili di vita. Luca aveva cominciato a provare un senso di frustrazione e insofferenza, sfociato in certi casi anche in spiacevoli discussioni. Ciononostante lui si ostinava a credere in quella relazione: Serena era attraente, seria e intelligente, e gli piaceva davvero tanto. Più passava il tempo, però, più Luca si sentiva svogliato, stanco e improduttivo perfino nel suo lavoro, verso il quale aveva sempre mostrato grande dedizione. Un giorno che erano usciti assieme, dopo aver passeggiato per un po’ senza meta, erano entrati in un negozio di telefonia: in quello spazio chiuso, lui aveva avvertito distintamente il profumo di lei, una fragranza che aveva associato immediatamente a quelle predilette da donne molto più grandi di lei, per non dire anziane. A mano a mano che guardava i cellulari esposti, si sentiva sempre 124 PACORI LTC.indd 120 13/01/16 15:18 più preda di un’invincibile spossatezza, avvertiva le gambe molli e un senso di oppressione. Finalmente quell’uscita gli aveva aperto gli occhi: era lei, con il suo modo di essere, a togliergli l’energia. Già solo quella presa di coscienza lo aveva fatto sentire un po’ meglio e qualche giorno dopo aveva deciso di rompere con lei. Come per magia, era tornato quello di un tempo: lasciarla era stata una vera e propria liberazione. […] I disturbi ginecologici Alterazioni della fisiologia del ciclo mestruale, dolori durante il rapporto sessuale, assenza di lubrificazione e perfino ricorrenti infezioni vaginali o dell’apparato urinario possono essere la conseguenza di abusi sessuali, di un’educazione sessuale troppo severa o di un rapporto conflittuale con il proprio corpo e con la femminilità in generale. Che dolore: la dispareunia L’Organizzazione mondiale della sanità ha condotto un’ampia indagine sulla frequenza della dispareunia (dolore durante la penetrazione) e ha evidenziato che questo disturbo viene lamentato da una percentuale di donne che varia dall’8 al 22%, cioè all’incirca da una donna su cinque. Numerosi studi al riguardo puntano i riflettori sull’ansia: la paura del dolore può provocare la contrazione dei muscoli vaginali e una ridotta lubrificazione, ma lo stesso effetto può essere procurato da una relazione sentimentale frustrante. In uno studio, Charmaine Borg, Peter de Jong e Willibrord Weijmar Schultz hanno accertato che le donne che lamentavano dolori nel coito, assistendo a scene esplicitamente sessuali reagivano con un’espressione di disgusto (in particolare sollevavano il labbro PACORI LTC.indd 13 13/01/16 15:18 inferiore e corrugavano le sopracciglia), dimostrando così che il sesso suscitava in loro un senso di repulsione. Queste osservazioni sono in linea con uno studio di un’équipe mista di psicologi e ginecologi dell’Università di Groningen, in Olan- da, che ha messo in risalto come le donne che soffrono di vaginismo 127 […] IL CASO. LE CORNA FANNO MALE ALLA TESTA Ci sono situazioni in cui la causa dei nostri mali ce l’abbiamo davanti agli occhi, ma non sempre vogliamo vederla. È il caso di Stefania, una donna di 44 anni che si era rivolta a me per dei mal di testa ricorrenti. Dopo aver consultato neurologi, osteopati e terapisti del dolore senza trovare né sollievo né una diagnosi, aveva realizzato che il suo disturbo poteva essere dovuto allo stress e per questo aveva preso appuntamento con me. Al primo colloquio, mi aveva detto di essere stata soggetta a mal di testa fin dall’infanzia, ma che negli ultimi tempi si erano fatti insopportabili: i suoi sintomi infatti erano un misto di cefalea tensiva ed emicrania. Mi aveva raccontato che stava vivendo un momento particolarmente difficile sul lavoro e riteneva fosse quella la causa dell’aggravamento del suo problema. Per lo meno, aveva commentato, la sua vita di coppia era molto appagante: aveva trovato il compagno che aveva sempre sognato, con il quale l’intesa era perfetta. Viste le premesse, avevo pensato che la cosa migliore fosse sottoporla a un trattamento con l’ipnosi per ridurre la sua tensione emotiva e farle prendere una maggiore distanza psicologica dal lavoro. In breve tempo, i suoi sintomi si erano alleviati e tutto sembrava far pensare a una risoluzione del disturbo. Invece, proprio mentre eravamo vicini al termine delle sedute, Stefania è venuta a un incontro dicendo che da qualche giorno il mal di testa era ripreso e che aveva avuto fitte lancinanti alla testa. Sorpreso da questa recrudescenza, le avevo chiesto se era successo qualcosa. Lei si era detta soltanto preoccupata perché il suo partner, pochi giorni prima, era tornato a casa a notte inoltrata. In quell’occasione il ritardo era stato tale da metterla in apprensione, ma non ne era sorpresa: lui era un ingegnere e stava lavorando PACORI LTC.indd 14 13/01/16 15:18 a un progetto che lo costringeva a fermarsi spesso in ufficio ben oltre l’orario. Avendo realizzato che l’esordio delle sue emicranie era più o meno coinciso con l’aumento dell’impegno lavorativo del compagna, aveva deciso di verificare se ci fosse un nesso fra le due cose. Così le avevo chiesto se questo comportamento di lui l’avesse impensierita. Lei, con un sorriso tra l’imbarazzato e il colpevole, mi aveva confessato di aver pensato che lui la tradisse, ma che si vergognava che le fosse venuta in mente una cosa simile: lui, diceva, era leale, onesto e sincero e non l’avrebbe mai fatto. A quel punto, le avevo domandato se oltre ai ritardi ci fossero altri motivi che le avessero fatto nascere quel sospetto e lei mi aveva raccontato di aver visto qualche volta la sua camicia sgualcita, il colletto sporco e di avergli sentito una vaga fragranza femminile addosso. Insospettito, le avevo suggerito, anche se lei lo riteneva assurdo, di andare in ufficio da lui la prossima volta che il compagno avesse tardato. Lei aveva seguito il consiglio e non ci aveva trovato nessuno: fortuna ha voluto (se così si può dire) che in quel momento lui uscisse dall’appartamento di fianco, baciando appassionatamente una sconosciuta. Per Stefania era stato uno choc, ma l’averlo colto in flagrante le aveva aperto gli occhi. Nonostante le giustificazioni del compagno, lei non gli aveva creduto e l’aveva lasciato. E il suo mal di testa? Polverizzato! Molto probabilmente il conflitto interiore tra gli indizi che coglieva e il suo rifiuto di prendere coscienza del loro significato aveva trovato sfogo nell’emicrania. Avendo accettato il fatto, aveva anche risolto il suo sintomo. PACORI LTC.indd 15 13/01/16 15:18 Che fare? Per dare un senso ai propri disturbi senza causa apparente è sempre opportuno rivolgersi a uno specialista. Ma non è escluso che riflessioni, intuizioni e l’adozione di abitudini e atteggiamenti diversi possano essere d’aiuto. Ecco quindi una strategia per affrontare questi problemi. 1. Cercare di risalire al momento in cui sono insorti (anche con l’aiuto di diari, referti medici o facendo appello alla memoria di famigliari o del partner). 2. Una volta circoscritto il periodo in cui il sintomo ha fatto la sua comparsa, ripensare ai mesi precedenti per individuare dei fattori scatenanti: eventi, circostanze, scelte o decisioni critiche o un particolare momento di stress. 3. A quel punto, tornare al presente e domandarsi se la presenza di determinate persone, la frequentazione di certi ambienti o qualche esperienza o abitudine (una vacanza, la pratica dello sport, fumare, fare le ore piccole, dormire poco o troppo eccetera) possa aver alleviato o acuito il disturbo. 4. Fare mente locale e stabilire se ci sia mai stato qualcosa che abbia procurato un forte inasprimento o un’immediata scomparsa del sintomo. 5. Annotare i propri sogni e rileggerli ponendo particolare attenzione a quelli in cui compare il sintomo o qualcosa che gli assomiglia (per esempio, se uno ha un’afonia può sognare di suonare un piano in cui il pedale del silenziatore – la sordina – è incastrato). 6. Tenere un diario di tutte queste informazioni e leggerle prima di dedicarsi ad attività come hobby o passeggiate per favorire un processo di elaborazione inconscia. PACORI LTC.indd 16 13/01/16 15:18 6 Il corpo «ci parla» Ancora prima che l’organismo si ammali, o di sviluppare «malattie immaginarie», il nostro corpo ci invia degli avvertimenti: questi segnali ci possono indicare se una determinata scelta è buona, se perseverare in un’iniziativa, in una relazione o se, invece, sarebbe meglio rifiutare o mettere fine a qualcosa (per esempio, un lavoro, una proposta di investimento o di associazione, un progetto a cui ci è stato proposto di aderire eccetera). Se diamo ascolto a queste sensazioni, o per lo meno le teniamo in considerazione nel momento in cui facciamo le nostre valutazioni, possiamo evitare conseguenze, a volte senza ritorno, o cogliere opportunità uniche. Certe sensazioni sono universali Nel vivere quotidiano incappiamo spesso in situazioni che ci procurano delle sensazioni interiori: se qualcosa non ha l’esito che ci aspettavamo, per esempio, possiamo restare con «l’amaro in bocca», così come assistere a una determinata scena ci può dare il «voltastomaco» o, ancora, farci avvertire un «peso sulla coscienza». Si pensava che queste espressioni fossero solo modi di dire o 147 PACORI LTC.indd 17 13/01/16 15:18 esperienze soggettive, invece un’équipe di ricercatori finlandesi, guidata dallo psicologo Lauri Nummenmaa, attraverso una serie di esperimenti ha elaborato una mappa delle sensazioni interiori collegate alle emozioni, accertando peraltro che, in linea con quanto accade con la mimica facciale, queste associazioni sono condivise da tutti i popoli. Già in passato gli psicoterapeuti e qualche indagine scientifica avevano ravvisato un nesso tra sensazioni corporee ed emozioni: se proviamo ansia o paura, per esempio, con ogni probabilità avvertiremo dei cambiamenti nella zona addominale, come una «stretta allo stomaco», crampi, bruciore eccetera. La collera e la paura possono produrre delle contratture del sistema muscolo-scheletrico, che si manifestano attraverso un senso di rigidità, dolori sul retro del collo, nella parte alta della schiena, contrazione del massetere-muscolo mascellare, cefalea muscolotensiva e così via. L’eccitazione sessuale, l’attrazione, la tristezza o l’ansia possono modificare le secrezioni acquose. Nei primi due casi, possiamo percepire la sensazione di acquolina in bocca o un senso di «bagnato» nella zona dei genitali, quando siamo sconsolati tendiamo a lacrimare di più, e quando siamo stretti nella morsa dell’ansia ci può capitare di avvertire un senso di secchezza delle fauci, un’eccessiva sudorazione dei palmi, della fronte e delle ascelle. Imbarazzo o vergogna possono dare luogo a modificazioni della temperatura corporea, come nel caso delle tipiche vampate di calore al volto, o del brivido lungo la spina dorsale che può causarci uno spavento. Perfino la percezione del peso è suscettibile di variazioni: chi è felice può sentirsi leggero e avere l’impressione di camminare a due spanne dal suolo, mentre chi è depresso può avere la sensazione che ogni passo sia come muovere un macigno. La paura, la collera o una grande e improvvisa felicità possono provocare alterazioni del sistema cardiocircolatorio: il cuore può avere battiti fuori tempo, la frequenza cardiaca può risultare accelerata o 148 PACORI LTC.indd 18 13/01/16 15:18 ridotta eccetera; così come si possono osservare variazioni del sistema respiratorio, tra cui la sensazione di mancanza d’aria che si prova quando si è in ansia per qualcosa, o il riflesso quasi incondizionato di tirare un sospiro quando si prova sollievo. Recentemente, ponendosi proprio l’obiettivo di trovare l’intersezione tra sensazioni corporee ed emozioni, Lauri Nummenmaa, Enrico Glerean e colleghi hanno effettuato una ricerca, reclutando 701 partecipanti tra individui di Paesi scandinavi e asiatici. A tutti i volontari sono state fatte visionare due sagome di corpi (viste di fronte) sullo schermo di un computer, alle quali erano associate, di volta in volta, espressioni verbali emotive, filmati o espressioni facciali. Compito dei soggetti era prestare attenzione alle presentazioni e, contemporaneamente, alle sensazioni che provavano guardandole: se l’abbinamento suscitava una sensazione localizzata in un preciso punto del corpo, dovevano indicare la zona corrispondente sulle silhouette. Dall’analisi dei risultati è emersa una mappa topografica delle sensazioni statisticamente significativa e sovrapponibile per le popolazioni occidentali e orientali. Molte delle emozioni primarie (sorpresa, paura, collera, disgusto, tristezza e felicità) erano abbinate a sensazioni avvertite nella regione alta del tronco. In modo analogo, sensazioni nella zona della testa erano condivise da tutte le emozioni: questo perché riflettevano cambiamenti fisiologici nell’area del volto (tensione muscolare, temperatura della pelle, tic eccetera). In questa «rappresentazione grafica» le sensazioni localizzate nelle braccia o nelle mani venivano collegate all’approccio o al rifiuto, quindi, rispettivamente, a emozioni come la felicità o la collera. Il senso di spossatezza agli arti era correlato alla malinconia, mentre al disgusto venivano associate le sensazioni avvertite allo stomaco o alla gola. La felicità si è rivelata essere un caso a parte: invece di procurare sensazioni precise, faceva aumentare l’energia in tutto il corpo. 149 PACORI LTC.indd 19 13/01/16 15:18 Quanto alle emozioni più articolate (gelosia, rimpianto, disprezzo, orgoglio, invidia e amore), la corrispondenza con le aree del corpo era più generica e maggiormente legata al proprio vissuto. I sentimenti come l’ansia o la depressione, per contro, erano descritti con la stessa accuratezza usata per le emozioni principali. Lo stato del corpo nell’ansia appariva chiaro più o meno a tutti: palpitazioni nel petto, senso di dolore allo sterno, «fame d’aria», sensazione di strozzamento alla gola, brontolii dello stomaco, frequente bisogno di correre al bagno, freddo (specie alle estremità), sentirsi sudaticci e avvertire un bisogno di muoversi in modo irrequieto e frenetico. Percezioni che vanno di pari passo con quelle illustrate dalla letteratura sul disturbo. Le sensazioni del corpo nella depressione erano, anch’esse, ben presenti agli intervistati; anche in questo caso, la loro precisione peraltro coincideva con i dati emersi dalla ricerca scientifica su ciò che prova chi vive questo disturbo dell’umore: una mancanza di energia e di forza, un senso di vuoto e di insensibilità emotiva, un senso di oppressione al petto e una sonnolenza eccessiva. La depressione veniva poi associata alla percezione di un dolore indefinito: gli studi al riguardo, in effetti, hanno dimostrato che il senso di malessere per lo più è generico, ma talvolta può essere percepito come mal di testa, crampi addominali, dolore nella zona bassa della schiena, alle giunture o al collo o come una combinazione di questi «acciacchi»; altrettanto frequente è la percezione di avere la testa in «ebollizione» e letteralmente intasata da un costante e incoerente flusso di pensieri. Anche la vista appare compromessa: chi soffre di questo disagio lamenta spesso di vederci male, di avere la vista affaticata e l’impressione di vedere tutto grigio. PACORI LTC.indd 151 13/01/16 15:18 Con il cuore in mano: l’enterocezione La cultura occidentale ci ha educati a porre attenzione a quello che accade attorno a noi, per lo più ignorando le esperienze interiori, se non quando diventano troppo intense. Per esempio, pranziamo sempre a un certo orario non perché avvertiamo la sensazione della fame, ma per abitudine; se però, per qualche motivo, saltiamo un pasto, avvertiamo chiaramente i morsi della fame e siamo magari capaci di abbuffarci finché non ci sentiamo esplodere; allo stesso modo, se facciamo dell’attività fisica, ci accorgiamo di aver esagerato solo quando sentiamo crampi o dolori e così via. Bruciore, prurito, battito del cuore, frequenza del respiro, tensione muscolare, senso di costipazione o urgenza di andare in bagno e altre sensazioni similari sono parti di queste esperienze viscerali, la cui percezione è definita enterocezione. Lo studio dell’anatomia del sistema nervoso e sensoriale ha evidenziato che tutta una serie di fibre afferenti (una specie di cavi di collegamento dell’organismo) converge nella corteccia insulare: da qui, i segnali viscerali affiorano alla consapevolezza. Comunemente, trascuriamo queste percezioni o riteniamo siano una conseguenza del metabolismo, del caldo, del freddo, di un esercizio fisico eccessivo e via dicendo. La percezione delle sensazioni viscerali funziona in modo analogo a quella degli stimoli provenienti dai sensi esterni (vista, udito, olfatto eccetera): non è un fenomeno passivo, ma un processo di elaborazione attiva e riveste un ruolo chiave nella motivazione a fare qualcosa o nella formulazione delle intuizioni. La scienza ha individuato nella capacità di sentire il proprio battito cardiaco e le sue alterazioni uno dei parametri più importanti per stabilire il grado soggettivo della sensibilità alle sensazioni interiori. Tutti siamo in grado, per esempio, di percepire l’accelerazione della frequenza cardiaca, la tachicardia o il «tuffo al cuore» (o extrasistole); ma solo chi ha un’accurata conoscenza del proprio corpo riesce a 152 PACORI LTC.indd 152 13/01/16 15:18 percepire il ritmo del proprio cuore senza ricorrere alle consuete modalità di misurazione (auscultando il polso, per esempio) o ad appositi strumenti (come il cardiofrequenzimetro di una cyclette). Numerose ricerche mettono in relazione questa consapevolezza con la partecipazione emotiva. In uno studio, per esempio, sono state mostrate a un gruppo di studenti delle scene emozionanti tratte da film, monitorando strumentalmente il loro battito cardiaco. Ne è emerso che chi era più attento ai segnali del proprio cuore riferiva di aver vissuto delle emozioni in modo più intenso rispetto a chi non li avvertiva. Uno studio di Vivien Ainley, psicologa presso l’Università di Londra ha inoltre dimostrato che una maggior coscienza delle proprie esperienze viscerali è collegata non solo a una più intensa eccitabilità emotiva, ma anche a una più efficiente memoria per gli eventi emozionali, a una spiccata capacità intuitiva e, sembra, a un maggiore controllo delle emozioni negative. Muscoli ciarlieri: la propriocezione La percezione del corpo non è data solo da sensazioni viscerali, ma anche dal senso del tatto e da quello propriocettivo. Il primo comprende sensazioni come prurito, dolore, caldo, freddo eccetera che avvertiamo sulla pelle; il secondo, invece, riguarda percezioni che provengono dai recettori che si trovano nei muscoli, nelle articolazioni e nell’epidermide: grazie a questi segnali acquisiamo consapevolezza della posizione di arti e tronco, della tensione o distensione muscolare, della forza, della debolezza, dello sforzo, della pesantezza, del senso di oppressione o di leggerezza e via dicendo. L’ipotonia (un ridotto tono muscolare), per esempio, viene avvertita nella depressione ed è solitamente associata a un senso di debolezza. Per contro, un aumento della tensione nel retro del collo, nella schiena e nelle estremità, […] 153 PACORI LTC.indd 153 13/01/16 15:18 7 Echi dal profondo Così come accade con i segnali del corpo (passarsi una mano fra i capelli, cambiare postura, sollevare un piede eccetera), in cui dei comportamenti sono eseguiti automaticamente in risposta a delle emozioni, gli organi interni reagiscono a degli stimoli esterni o interni modificando la loro fisiologia. Non si tratta però di cambiamenti visibili, ma di sensazioni: spetta a noi prestare ascolto a questi messaggi per capire come il nostro intuito elabora le esperienze che viviamo. Poste queste premesse, passeremo in rassegna le sensazioni viscerali o fisiche più comuni, descrivendo come e quando si attivano. Va puntualizzato che sono pochi i segnali che valgono per tutti: per la maggior parte si tratta di reazioni soggettive che dobbiamo imparare ad ascoltare e riconoscere. Raggrupperemo le sensazioni in base alle loro caratteristiche comuni: non si tratta di una classificazione scientifica, ma solo di un modo per rendere i concetti più chiari. Le sensazioni viscerali sono sempre affidabili? Numerose ricerche hanno dimostrato quanto è importante imparare ad ascoltare le proprie sensazioni interne e come queste siano, spesso, il frutto di un elaborato processo intuitivo. segue 165 PACORI LTC.indd 165 13/01/16 15:18 Questo principio vale in senso assoluto? In realtà, sebbene sia da considerarsi in linea di massima valido, non va preso come un fatto inconfutabile, anzi bisogna valutarlo attentamente. Alcuni studi mettono in dubbio l’affidabilità delle percezioni corporee: è stato dimostrato, infatti, che manipolandole si possono condizionare i giudizi delle persone. Per esempio, un team giapponese, guidato da Hiroko Nakamura, ha scoperto che questo sistema può essere tratto in inganno. Lo studio ha coinvolto 88 studenti universitari, ai quali era stato detto che erano in procinto di partecipare alla valutazione di un prodotto commerciale. Nella prima fase dell’esperimento (per dare maggiore credibilità al pretesto della ricerca), i partecipanti sono stati invitati a indossare una sciarpa imbottita con sacche d’acqua, alcune congelate, altre tiepide, ed è stato chiesto quale effetto produceva loro il prodotto e che cosa ne pensassero. In un secondo passaggio (il vero obiettivo dello studio), sempre con lo strano accessorio al collo, sono stati intervistati rispetto a un’ipotetica scelta che implicava un conflitto morale: sacrificare alcune persone allo scopo di ottenere un grande beneficio per altre. L’esito dell’indagine ha messo in luce che chi era stato «raffreddato» aveva meno scrupoli ed era più propenso a prendere una decisione scomoda ma vantaggiosa; inoltre, era decisamente meno empatico rispetto a quelli che erano stati esposti a temperature miti. Analogamente, una ricerca di Simone Schnall, Jonathan Haidt e altri studiosi ha dimostrato che suscitare disgusto può rendere le persone più severe nei giudizi morali. In questo studio, condotto su un folto gruppo di studenti della Stanford University, i partecipanti sono stati esposti ad alcune percezioni repellenti: dapprima sono stati posti in prossimità (2 metri circa) di un cestino della spazzatura su cui era stato spruzzato un composto che aveva l’odore delle flatulenze; poi hanno dovuto effettuare delle valutazioni morali in una stanza lercia e sudicia; infine è stato chiesto loro di mettere per iscritto un fatto realmente accaduto in cui avevano visto o toccato qualcosa che aveva provocato loro un grande senso di ripugnanza. Nell’ultima fase dello studio, poi, ai volontari venivano mostrati degli spezzoni di film ora repellenti, ora tristi. Tutte le variabili sperimentali hanno dimostrato che suscitare un senso di disgusto in qualcuno che deve poi esprimere un giudizio morale rende il suo atteggiamento più critico e severo. Inoltre, è stato dimostrato che chi era più sensibile ai propri segnali viscerali risentiva maggiormente di quest’effetto. Infine, si è evidenziato come tra disgusto e morale sussista uno stretto 166 PACORI LTC.indd 166 13/01/16 15:18 legame: davanti alle scene malinconiche, infatti, non è stato osservato alcun inasprimento delle valutazioni. Questa rilevazione trova riscontro in una successiva ricerca condotta dalla Stanford University, che ha messo in luce come il disgusto fisico e quello morale condividano, in buona parte, gli stessi circuiti cerebrali, in cui gioca un ruolo chiave l’amigdala. Sulla base dei risultati dello studio, la Schnall e i colleghi suggeriscono di non essere precipitosi nei propri giudizi morali proprio perché l’intuito può essere tratto in inganno dal senso del disgusto: per esempio, commentano gli autori, se un magistrato dovesse giudicare un individuo dal viso sfigurato o che si dedica a pratiche sessuali che lui disapprova potrebbe essere influenzato dalla percezione della ripugnanza e quindi dai propri pregiudizi. Lo stesso ammonimento vale per il quotidiano: i segnali interiori del corpo vanno tenuti in somma considerazione, ma non dobbiamo dimenticare che possono dipendere anche da condizioni fisiche o ambientali e, pertanto, possono indurci a fraintendimenti ed errori di valutazione. Al fresco In questa categoria rientrano tutte le sensazioni collegate all’esperienza del freddo. Nel linguaggio comune, peraltro, utilizziamo molte espressioni che, attraverso la metafora del freddo, indicano la sensazione che ci suscita qualcosa o qualcuno: per esempio, parliamo di «accoglienza fredda», «sguardo gelido» e via dicendo. Come abbiamo visto, molta di questa fraseologia riflette una vera e propria esperienza sensoriale. Brividi Una specie di scarica elettrica che corre lungo la spina dorsale o nella parte posteriore del collo: questo è il brivido, una vibrazione che ha origine nel termometro del nostro cervello, ovvero l’ipotalamo posteriore. 167 PACORI LTC.indd 167 13/01/16 15:18 Questa regione riceve dai recettori del corpo la sensazione che la temperatura corporea è scesa, anche di un solo grado. Di riflesso, l’ipotalamo attiva la reazione del brivido con lo scopo di aumentare il calore: questo effetto è determinato da un tremore dei muscoli, che liberano così energia. Non è però solo un calo della temperatura a provocare questa reazione: infatti, sentiamo i brividi anche quando avvertiamo un pericolo, quando viviamo un misto tra paura ed eccitazione (come sulle montagne russe) e anche quando siamo eccitati (per esempio, dal contatto o alla vista di una persona attraente). In merito a questa esperienza, la ricerca scientifica ha esaminato soprattutto gli effetti prodotti dalla musica, il che ha permesso di scoprire che alcune strutture musicali suscitano più facilmente i brividi: i crescendo, le armonie inattese, l’ingresso di una voce solista, di un coro o di uno strumento nuovo. Uno studio di Anne Blood e Robert Zatorre del Montreal Neurological Institute, in cui è stata impiegata la PET per monitorare gli effetti emotivi della musica, ha appurato che i passaggi che provocavano i brividi suscitavano un maggior afflusso di sangue nelle regioni cerebrali legate alla ricompensa, all’euforia e all’eccitazione. A volte possiamo sentire un brivido mentre proviamo un’auto che vorremmo comprare, un abito che vediamo in una vetrina o quando conosciamo una persona. Questa sensazione, che percepiamo a livello conscio, è solo un brandello dell’emozione di cui fa parte, ma ci fornisce un indizio rispetto a come viviamo una data esperienza: cosa di cui non siamo pienamente consapevoli. IL CASO. UNA MACCHINA DA BRIVIDO Ci sono persone che per indole sono attratte dal rischio, dal pericolo e dalle emozioni forti: sono i cosiddetti sensation seekers, «cercatori di sensazioni». Riccardo, il protagonista di questo aneddoto, non apparteneva però a questa categoria: non che disdegnasse il piacere, ma preferiva 168 PACORI LTC.indd 168 13/01/16 15:18 ricavarlo da esperienze più soft, come comprarsi una macchina nuova, e non una spider per sfrecciare sulle piste né un fuoristrada per affrontare percorsi impervi, ma un più ordinario SUV. Aveva sfogliato le riviste di settore, poi aveva cercato su internet; infine, confuso dalla valanga di informazioni su motori CRDi o da 115 cavalli, cambio a doppia frizione o 7DCT a sette rapporti, aveva realizzato che la soluzione migliore era andare di persona nelle concessionarie. Dopo averne girate diverse, era stato stordito dalle caratteristiche tecniche illustrate, con grande dovizia di dettagli, dai venditori, ma non era rimasto colpito da nessun modello in particolare. Aveva così ripreso a cercare sul web e questa volta ne aveva trovata una, di casa madre coreana, di cui gli era piaciuta la linea; dopo aver cercato, in qualche modo, di valutarne anche gli aspetti tecnici, si era deciso ad andare a vederla. Scorgendola in bella mostra all’ingresso del concessionario, Riccardo aveva sentito un brivido scorrergli lungo la schiena. L’aveva comprata e, dopo un anno, era pienamente soddisfatto del suo acquisto. Una macchina è una macchina, ma la stessa sensazione l’aveva avuta anche quando il suo sguardo si era posato su quella sconosciuta che sarebbe diventata sua moglie. Da quel momento non ha avuto più dubbi: il brivido era il «termometro» con cui il suo intuito gli suggeriva le scelte vincenti. Pelle d’oca E anche qui parliamo di una sensazione connessa al freddo. Negli animali, un calo della temperatura determina una reazione spontanea: l’erezione dei peli o delle piume, che fanno da isolante. Anche l’uomo conosce un’esperienza simile, solo che i peli non si sollevano davvero, se non quelli sottili degli avambracci, e quando diciamo che qualcosa ci ha fatto «drizzare i capelli in testa» non è altro che una metafora. Il modo in cui si manifesta questa sensazione, 169 PACORI LTC.indd 169 13/01/16 15:18 infatti, è l’accapponarsi della pelle, sempre dovuto a una contrazione muscolare. Nello specifico, i muscoli erettori dei peli si contraggono in modo involontario e la pelle, da piatta, si ricopre di minuscole protuberanze e avvallamenti che la fanno assomigliare a quella di un’oca spennata, da cui l’espressione «pelle d’oca», appunto. Mentre negli animali questa reazione è stata osservata in momenti di paura o ansia, si è appurato che nell’essere umano può essere innescata da molteplici stimoli psicologici: dalla musica, da una scena di un film, di un’opera teatrale e perfino da un passaggio di un libro, dalla contemplazione di un quadro o di un paesaggio, dall’assistere a un gesto eroico, dal pensare a momenti nostalgici o anche dal contatto fisico con una specifica persona. Gli stimoli che suscitano la pelle d’oca, a ben guardare, sono gli stessi del brivido, ma cambia la percezione soggettiva, solitamente avvertita come una sorta di formicolio lungo gli avambracci. IL CASO. PAURA A PELLE Le cene fuori, accompagnate da qualche bicchierino di troppo, erano un appuntamento fisso del fine settimana per Luigi e i suoi amici. Una sera, però, dopo una delle solite bisbocce, si era fatto particolarmente tardi e tutti i bar nei paraggi erano chiusi. I ragazzi non si erano dati per vinti e avevano continuato a girare fino a che non avevano trovato un pub ancora aperto, così erano entrati. Appena varcato l’uscio, Luigi aveva sentito come se un «vento gelido» gli spirasse sull’avambraccio sinistro. Cercando di ignorare questa spiacevole sensazione si era diretto al bancone, seguito a ruota dagli amici. Mentre aspettavano il loro turno per ordinare il bicchiere della staffa, il ragazzo si era guardato attorno e, benché la clientela del locale non fosse particolarmente raffinata, gli sembrava che si trattasse di gente a posto. Eppure continuava a sentirsi inquieto, così, mentre il barman stava 170 PACORI LTC.indd 170 13/01/16 15:18 per liberarsi, si era voltato in direzione dell’uscita e, in un tono che non lasciava spazio a repliche, aveva detto agli amici: «Andiamo via!» Stranamente, nessuno degli altri aveva osato protestare ed erano usciti tutti, compatti come un plotone. Non avevano percorso nemmeno 100 metri che, sgommando, erano arrivate sul posto diverse pattuglie delle forze dell’ordine e una decina di poliziotti aveva fatto irruzione nel bar. I ragazzi si erano allontanati in tutta fretta. «Retata in un bar del centro: un vero e proprio quartiere generale dello spaccio di droga», avevano titolato i quotidiani locali il giorno dopo. Curiosamente, al fiuto di Luigi non era servito altro che qualche sparuto dettaglio per attivare il sistema di allarme e percepire un insolito accapponamento della pelle che lo aveva indotto a tenersi alla larga dai guai. Mani fredde... cuore caldo? «Che gelida manina», la frase con cui inizia l’omonima aria della Bohème, è probabilmente la più nota celebrazione del raffreddamento delle estremità. Di norma, quando la temperatura esterna scende troppo, le piccole vene appena al di sotto della cute si assottigliano, per ridurre la dispersione di calore. Questo fenomeno, però, può accadere anche quando qualcuno è sotto stress e perfino se qualche evento o situazione ci provoca un’improvvisa sensazione di paura o di ansia. Claude Lum, medico e ricercatore presso il Papworth Hospital, a Cambridge, ha rilevato che la sensazione di freddo di mani e piedi che accompagna l’ansia è causata dall’iperventilazione, ovvero dal respirare in modo affannoso. La respirazione accelerata (che di per sé possiamo considerare un’esperienza viscerale) crea nel sangue un aumento considerevole 171 PACORI LTC.indd 171 13/01/16 15:18 dell’ossigeno e una riduzione dell’anidride carbonica: questo disequilibrio procura una costrizione dei vasi sanguigni, generando, appunto, un senso di freddo, talvolta accompagnato da una sudorazione fredda nei palmi delle mani e dei piedi. IL CASO. L’ESAME MANCATO «Non tutta l’ansia vien per nuocere.» Questa rielaborazione di una nota massima descrive perfettamente quanto è successo a Lorena. Quando le capitò l’episodio che stiamo per illustrare, l’attuale avvocato rampante era ancora una timida studentessa di giurisprudenza. Lorena studiava sodo e i risultati non mancavano: aveva passato tutti gli esami, quasi sempre con lode. Doveva sostenere l’esame di storia del diritto romano, una materia piuttosto facile, e, avendolo preparato con la sua solita solerzia, non aveva dubbi che lo avrebbe superato brillantemente come sempre. Il giorno dell’appello si era accomodata in aula e aveva notato che, insieme al docente, c’era anche un assistente che non aveva mai visto. La lista di chi sarebbe stato esaminato dall’uno o dall’altro sarebbe stata distribuita di lì a poco, ma Lorena era sicura che lei lo avrebbe sostenuto con il cattedratico, che la conosceva bene. Quando però il foglio con l’elenco era giunto nelle sue mani, il suo nome era segnato nella colonna dell’assistente: d’improvviso aveva sentito un «intenso freddo» alle mani che, peraltro, avevano cominciato a sudare. Una simile reazione era del tutto immotivata: lei era preparata e l’uomo non le aveva fatto un’impressione negativa. Non era da lei agitarsi in quel modo! Tuttavia d’istinto si era alzata ed era uscita dall’aula, con l’intenzione di ripresentarsi all’appello successivo. Il giorno dopo, i compagni di corso che erano finiti nelle grinfie dell’assistente le avevano raccontato quanto fosse stato insidioso nelle domande, come avesse cercato di metterli in difficoltà e con che 172 PACORI LTC.indd 172 13/01/16 15:18 sorriso beffardo avesse detto a quasi tutti di tornare quando avessero studiato meglio. Lorena l’aveva scampata, ma non riusciva a capacitarsi di che cosa l’avesse spinta a prendere quella decisione che, a posteriori, si era rivelata tanto assennata. Il freddo dentro Una delle metafore più usate per esprimere l’esperienza della solitudine è sentire freddo nel cuore. Partendo dalle ricerche che hanno messo in luce i concetti cardine dell’intelligenza corporea, o cognizione incarnata (di cui abbiamo parlato all’inizio), gli psicologi Chen-Bo Zhong e Geoffrey Leonardelli, ricercatori alla Rotman School of Management dell’Università di Toronto, hanno supposto che il modo di dire nascesse da un effettivo calo della temperatura corporea e che fosse possibile dimostrarlo sperimentalmente. Per accertarlo, hanno reclutato un gruppo di 65 volontari, divisi in due gruppi: ai primi è stato chiesto di ricordare una situazione in cui erano stati esclusi da una compagnia (in modo da evocare il sentimento di solitudine), agli altri di ripensare al momento in cui erano stati accolti in un club o in una squadra (per far loro rivivere l’entusiasmo legato al sentirsi benvoluti). A quel punto, gli studiosi hanno domandato ai partecipanti di stimare la temperatura del laboratorio, con la scusa che l’informazione servisse al personale addetto alla manutenzione. La valutazione si è rivelata sorprendentemente variabile e soggettiva: dai 12 ai 40 gradi (della scala Celsius); un’escursione che ha dell’incredibile, ma che ha trovato spiegazione nel confronto tra la stima del calore ambientale e l’esperienza a cui avevano pensato. In chi aveva rivissuto una situazione in cui si era sentito emarginato, la temperatura corporea si era abbassata, così da far percepire più freddo. In un secondo esperimento, i ricercatori […] 173 PACORI LTC.indd 173 13/01/16 15:18