La speranza, le passioni e il ritratto di un popolo

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La speranza, le passioni e il ritratto di un popolo
Escono il nuovo libro di Federico Rampini sul grande laboratorio economico e politico d'Oriente,
una raccolta di saggi filosofici su eros e ascesi, e il ritratto della psiche collettiva di un
popolo.
di DARIO OLIVERO
Non ci sono soltanto reportage, cifre, dati e analisi economiche e sociali sul grande gigante
indiano nel nuovo libro di Federico Rampini, La speranza indiana ( Mondadori, 15 euro ).
Ovviamente ci sono e raccontano - dai nuovi tycoon alla mafia di Bollywood, dal sistema castale
al fascino spirituale che l'India ha sempre esercitato - la dinamicità e il chiaroscuro di quella
parte di Oriente meno sotto i riflettori della Cina. Ma ci sono anche categorie più generali che
forse servono a capire meglio il nostro Occidente che sembra aver perso fiato e vigore critico
verso il mondo. Facile era dire mezzo secolo fa che l'India era condannata a breve all'eutanasia
economica, democratica e sociale. Così facile che ci cascarono tutti, dagli inglesi da poco
sloggiati a Pasolini che Rampini cita all'inizio per poi ribaltarne la prospettiva. E trarre le
seguenti conclusioni: esiste un Paese che ha conosciuto uno sviluppo economico simile a
quello indiano e che contemporaneamente si è mantenuto entro il recinto democratico? Né
Europa né Stati Uniti ci sono riusciti durante la prima rivoluzione industriale per non parlare,
sottolinea Rampini, dell'odierno neocapitalismo russo o cinese. Esiste un paese che si trova al
centro di questioni universali prioritarie come il problema alimentare e che può mettere alla
prova il sistema democratico e vedere se sia in grado di sconfiggere una fame endemica?
Quale altro paese è un laboratorio così vasto per sperimentare le tensioni dei nazionalismi e dei
fanatismi religiosi oppure scioglierli in un modello di tolleranza? Conflitti, tensioni,
contraddizioni, preoccupazioni ecologiche e diseguaglianze: tutto vero. Ma anche dinamismo,
ottimismo, consapevolezza. Tutte cose che l'Occidente ha smarrito, troppo chiuso nella paura di
perdere tutto ciò che ha, intimorito da un avversario giovane (ma in realtà millenario) che rischia
di cancellare la visione paternalistica di chi sta a Ovest di un Est ormai vastissimo. Forse noi
siamo diventati i pessimisti, noi siamo rassegnati, noi siamo quelli che Pasolini riferendosi agli
indiani chiamava
i senza
speranza
.
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La speranza, le passioni e il ritratto di un popolo
C'è la passione e c'è la rinuncia: il Kamasutra e l'arahat buddista del Piccolo veicolo. C'è il
fondo oscuro e imperscrutabile dell'energia sessuale umana e c'è il distacco della ragione: il
tantrismo e il samkhya. C'è il più antico Inno alla creazione del mondo contenuto nei Veda,
un'esplosione di energia universale. E c'è chi, come Gautama Siddharta, ha dedicato vita e
pensiero a liberarsi da questo mondo. C'è chi è pronto a dibattere fino alla fine dei tempi
sull'esistenza dell'atman, la cosa più simile all'anima occidentale, e chi si dichiara ateo totale.
Eppure tutti più o meno sono d'accordo sul ciclo delle nascite e sulle cause del nostro vagare
da una vita all'altra fino alla fine del nostro tempo. Meraviglioso paese l'India per i filosofi. Terra
di grandi speculazioni e di soluzioni molto pratiche, di sconfinate acrobazie verso l'infinito e di
maniacali catalogazioni del finito, di psicologie nascoste nei miti, sistemi logici e meditazioni che
si innestano gli uni sugli altri. Ma come si conciliano queste contraddizioni e soprattutto la più
vistosa, quella tra passioni e ascesi? La grande tradizione italiana dello studio della filosofia
indiana da Tucci a Vecchiotti a Gnoli a Filippani Ronconi, è fortunatamente ancora viva. Come
dimostra questa raccolta di saggi dal titolo Passioni d'Oriente a cura di Giuliano Boccali e
Raffaele Torella
(Einaudi, 18,50 euro).
Sudhir Kakar, considerato uno dei padri della psicanalisi indiana, ha legato il suo nome anche
al romanzo Mira e il Mahatma, la storia di Madeleine Slade, figlia di un ammiraglio britannico
che divenne l'allieva prediletta di Gandhi. Ora ha scritto
Indiani, ritratto di un
popolo
(tr. it M. T.
Gabriele, Neri Pozza, 16 euro). E' una specie di analisi della psiche collettiva indiana attraverso
le sue dinamiche sentimentali e sociali e trasversale alle caste e ai legami familiari. La storia
filosofica e religiosa di matrice hindu viene calata nelle questioni fondamentali come
matrimonio, sesso, vita, morte, cibo, abitudini quotidiane. Una delle conclusioni che si possono
trarre è che se esiste questo grande serbatoio collettivo nonostante l'infinita varietà
multiculturale, multietnica e multireligosa indiana, questo è in grado di decidere più del singolo
sulle scelte di vita. Se esiste è con esso che occorre fare i conti quando si affronta il rapporto tra
modello indiano e influenze occidentali o tra induismo moderato e flessibile o induismo
nazionalista che quel serbatoio salvaguarda e difende da ogni cambiamento.
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La speranza, le passioni e il ritratto di un popolo
Fonte: Repubblica.it
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