Prof. Elio Matassi - 13 Dicembre 2010 La generazione romantica

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Prof. Elio Matassi - 13 Dicembre 2010
La prima sezione del concerto, dedicata alle tre romanze per oboe e pianoforte di Robert
Schumann (l’oboe può essere sostituito dal clarinetto o dal violino), è inquadrabile alla luce
dell’ideale romantico che Schumann espresse con grande coerenza, portandolo alle conseguenze
estreme fino ad estenuarne la sostanza stessa. Qualcuno non casualmente parla a tal proposito (in
particolare Charles Rosen nel suo celebre La generazione romantica) di ‘trionfo’ e, insieme, di
‘fallimento’ dell’ideale romantico proprio riguardo a un compositore come Robert Schumann.
Furono proprio le carenze, i limiti, che conferirono all’ingegno di Schumann di esprimere una forza
non paragonabile a quella di nessun altro contemporaneo. Limiti, carenze che possono essere
facilmente sintetizzabili nella difficoltà di cimentarsi con le forme classiche della generazione
precedente, ovvero con il particolare concetto che Schumann e i suoi contemporanei avevano
proprio di quelle forme. Diversamente da Chopin, Schumann non dimostrò di apprezzare molto né
di capire Mozart, e intorno al 1830 era di fatto scomparsa dal mondo della musica qualsiasi
capacità, per esempio, di penetrare la scrittura di un Haydin, che era diventato solo un
ammirevole ma ‘datato’ antesignano della maniera moderna del comporre; per la rinascita di
un’autentica comprensione della sua musica si dovrà attendere Brahms.
La creatività di Schumann fu tanto distruttiva quanto produttiva, nessuno riuscì come lui a rendere
indifendibili le forme classiche, quelle forme che egli stesso cercò di rispettare ed imitare. In
particolare le forme-sonata, che godevano di un grande prestigio mutuato dalla tradizione, furono
la sfida decisiva per Schumann che ne verificò l’inadeguatezza rispetto ai nuovi sviluppi conseguiti
dal linguaggio musicale. La natura sostanzialmente ossessiva dello stile di Schumann si risolse in un
rapporto diseguale tra forma classica e idea musicale. Proprio in ragione di tale diseguaglianza la
sua influenza sui posteri è del tutto paradossale. Effetti immediati della sua opera coinvolsero,
almeno parzialmente, Brahms, che riuscì a restaurare, sia pure in forma moderata, la tradizione
classica. L’influenza di gran lunga più profonda fu, invece, esercitata su Debussy, che amò la
musica di Schumann fino a coglierne l’inventiva “capricciosa”.
Le romanze per oboe (o clarinetto) e pianoforte sono inquadrabili proprio all’interno di tale
controverso rapporto con le forme classiche: non avrebbero potuto essere composte mai da un
musicista dominato da quella tecnica classica cui pure Schumann aspirava.
La romanza, sia nella sua declinazione vocale come in quella strumentale, è un genere che si
afferma già dalla fine del settecento e che diventa nell’Ottocento centrale proprio nella sua
dimensione strumentale. Schumann si impadronisce di tale genere con straordinaria originalità,
spostandosi da un tema a quello successivo e da una tonalità all’altra, prolungando in un
continuum ininterrotto sia le melodie che il procedimento armonico.
Con la sonata per clarinetto e pianoforte op. 120 n. I di Brahms entriamo in una nuova
dimensione; si devono tener presenti alcuni eventi biografici che presiedettero a tale
composizione. Il 1894 fu anno estremamente complesso per la vita di Brahms; vennero meno tre
amicizie rilevanti: l’insostituibile amico di vita, il chirurgo viennese Billroth, il leggendario direttore
d’orchestra e infatuato paladino di Brahms, Hans von Bülov e, infine, Philipp Spitta, importante
musicologo e “consigliere”, assai apprezzato dal compositore. Per la villeggiatura il musicista scelse
ancora una volta Ischl ed è proprio qui che si rifugia, “come in fuga” per comporre nel corso
dell’estate, le due Sonate per clarinetto op. 120 n. I e op. 120 n.2.
Alla corte di Meiningen (dove aveva soggiornato per parecchi mesi) il compositore era stato
letteralmente stregato, “come trascinato da una cometa”, sono sue parole, dal talento del primo
clarinetto dell’orchestra di corte e solista di spicco.
Brahms trascorse intere giornate al suo fianco per capire i segreti di uno strumento che amava
molto e per impadronirsi del repertorio. Le due sonate che stabiliscono, come anticipato in
precedenza, un rapporto costruttivo con la tradizione classica, testimoniano quel carattere
meditativo-malinconico, di chi è ormai prossimo al distacco terreno.
La prima sonata, che interessa più da vicino, è stata correttamente definita come un movimento
che “ascende dalle tenebre alla luce, attraverso una graduale chiarificazione di stati d’animo”, una
sorta di diario privato.
Nella seconda parte del concerto, che guarda al contemporaneo, le sonate di Poulenc e di
Bernstein confermano ampiamente quanto affermato e argomentato a proposito di Schumann. In
particolare Poulenc, profondamente influenzato dalla mediazione di Debussy, dimostra la ripresa
di quella ‘diseguaglianza’ che rappresentava il filo conduttore della scrittura musicale di Schumann
e del suo controverso rapporto con la tradizione classica.
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