Bioetica e Neuroscienze

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Bioetica e Neuroscienze
articolo
S ezione monografica
Giulio Corrivetti
L
e questioni relative ai dilemmi etici
sono state per un lungo periodo quasi
esclusivo appannaggio dei filosofi
morali, le uniche figure in grado di sviluppare ipotesi e teorie sulle questioni che riguardavano le scelte e i comportamenti
umani. Recentemente, la dimensione etica
ha cominciato a interessare anche i neuroscienziati e i filosofi delle scienze da quando
nuove tecniche (in particolare quelle del
neuroimaging) hanno permesso di studiare le
correlazioni neurali tra aree cerebrali attivate
e lo stato mentale del soggetto esaminato,
sia esso un individuo sano sottoposto a particolari tasks, sia invece un paziente, anche
in relazione ai comportamenti cosiddetti
morali1. Da qui nasce la formulazione di
domande sulla natura anche costituzionale,
diremmo genetica della morale ovvero su
di un suo postulato evolutivo acquisito: la
dimensione epigenetica, quella secondo la
quale le esperienze modellano la composizione genetica, ereditata e individuale. Esistono sempre maggiori evidenze scientifiche
che documentano le correlazioni di particolari circuiti neurali, sebbene non specifici
per questa facoltà, che sarebbero coinvolti
nelle scelte di tipo morale2. L’emergere di
tali ipotesi ed evidenze ha portato allo sviluppo di un nuovo campo disciplinare definito “Neuroetica” che, nella sua prima tradizione e sulla base di osservazioni oggettive
di attivazione di specifiche aree cerebrali in
circostanze che implicano scelte di valore
etico, ha dato origine a un settore d’indagine
noto come “Neuroscienze dell’Etica” o
“Neuro-Morale”3. Infatti, la Neuroetica è
suddivisa in Neuroscienze dell’Etica o
Neuro-Morale ed Etica delle Neuroscienze,
quest’ultima intesa come la valutazione etica
delle scoperte delle neuroscienze e delle loro
applicazioni all’uomo, insieme alle imprescindibili ricadute sociali, politiche e giuridiche.Tante sono le dimostrazioni e gli esperimenti, in contesti specifici, da cui ricavare
quei collegamenti in grado di operare una
sintesi tra le conoscenze razionali individuali
e la sfera delle emozioni, che favorirebbero
una scelta anziché un’altra, ma soprattutto il
tentativo di comprendere se, in quei contesti
in cui l’uomo è costretto a scelte di valore
etico, prevarrebbero fattori ereditati biologicamente piuttosto che elementi acquisiti
nel corso della vita sulla base delle esperienze
soggettive. In estrema sintesi, tale scenario
ripropone la dialettica esistente tra “innatismo” e “apprendimento”, in quanto la libertà
individuale del singolo si misura a partire
dal campo dell’autoproduzione quale elaborazione critica delle proprie esperienze e
della propria esistenza «nel cuneo delle relazioni con i regimi di verità e con i dispositivi di potere»4. Dall’analisi teorica foucoltiana deriverebbe che il luogo dell’etica in
una prospettiva antropologica viene delineato da quel lavoro personale, quell’analisi
del Sé che è la risultante d’interazioni agite
in uno spazio virtuale triangolare definito
tra «liberta, potere e verità»5. A tutte queste
variabili le neuroscienze offrono un supporto
d’analisi che coinvolge il corpo quale legame
dinamico tra tecnica e semiologia del vivente.
Alcune questioni fondamentali come, l’essere, il fare, il sentire, il pensare, sollecitano
le filosofie della mente e ineriscono sostan-
Psichiatra,
direttore Unità
Operativa di Salute
Mentale, Salerno,
Presidente eletto
Società Italiana di
Riabilitazione
Psicosociale,
Fondazione Scuola
Medica Salernitana
Studia Bioethica - vol. 4 (2011) n. 1 , pp. 7-16
Premessa
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zialmente la natura della mente e il suo rapporto con il corpo. L’essere cosciente si riferisce a stati e/o processi mentali e l’interesse delle neuroscienze è orientato a capire
e dimostrare come tali stati si correlino alle
attività ed alle funzioni del cervello. I processi
cognitivi delle moderne neuroscienze sono
stati definiti in passato da Platone «mondo
delle idee», da Ippocrate «Messaggero» del
cervello, da Eraclito «fuoco divino», mentre
per Kraepelin tutta la natura restava un mistero, così come, in particolare, il suo legame
operativo con il cervello.
Al mentalismo ontologico che interpretava
la mente come una vera e propria realtà autonoma, si è anteposto un mentalismo di
carattere più funzionale che ha animato
maggiormente le filosofie contemporanee.
La mente non s’identifica con il corpo, ma
non rappresenta un’entità meta-corporea6.
Essa può essere definita come una funzione
che si correla con specifici processi fisici anche non coincidendo con essi. Le tecniche
e l’interesse delle neuroscienze hanno ulteriormente sviluppato questo fronte utilizzando meglio le conoscenze sul cervello,
rielaborando il modello interpretativo della
mente su queste basi scientifiche e sul terreno delle connessioni neurali7. Ciononostante, alla base di queste prospettive epistemologiche si colloca l’uomo, la “persona”
con i suoi correlati motivazionali ed intenzionali; in tale più ampia prospettiva che interpreta i “dati bio-fisiologici” in una dimensione antropologica, il senso degli “atti
compiuti” dona alla persona un significato
implicito che la identifica proprio con gli
atti che essa compie. La persona si colloca,
così, nella direzione indicata da Heidegger,
che rifiutava di identificare la verità dell’essere con la verità della scienza e Rorthy, che
consigliava di abbandonare il vocabolario
delle filosofie orientate scientificamente a
favore di una filosofia che promuova il dialogo sociale più che l’indagine fisicalista8.
Il crescente interesse su queste questioni, ha
favorito lo sviluppo multi professionale della
ricerca scientifica favorendo le intersezioni
disciplinari. Questa interdisciplinarietà rappresenta il fulcro della metodologia d’ap-
8
proccio al campo della bioetica ed al settore
della Neuroetica9. Filosofia e Neuroscienze
continuano a delineare quel fronte d’indagine speculativa che ha cercato storicamente
di rappresentare l’anima ed il corpo in una
prospettiva universale, cercando di superare
il limite di questo mistero ed affrontando la
complessità e la problematicità di queste
questioni filosofiche e scientifiche.
L’anima è nel cervello?
Nel linguaggio teologico il libero arbitrio, da
Agostino in poi, ha designato «la libertà di
scelta o del volere umano». Ma in cosa consiste questa libertà? Quella libertà di volere
riconosciuta da Platone e da Aristotele? Naturalmente questo problema trascina in una
dimensione filosofica che l’etica si è posta
sempre e delinea tesi che hanno segnato la
storia del pensiero filosofico e teologico occidentale. Esse si rappresentano ancora in
tutta la loro complessità nelle questioni di
fondo del pensiero contemporaneo. Più in
particolare, possiamo evidenziarne due: la
prima considera il libero arbitrio come una
totale assenza di costrizione all’agire umano
(siamo liberi ogni volta che in una scelta
non siamo in contrasto o conflitto con le
nostre preferenze ed orientamenti). La seconda considera che ciò che rende una scelta
veramente libera è la capacità di scegliere
anche in contrasto con le proprie preferenze,
senza essere contaminati dal proprio carattere, dalla propria costituzione e dalle circostanze in cui si determina quella scelta.
Molti filosofi hanno considerato la volontà
umana e la capacità di autodeterminazione
come un presupposto indeterministico ed
oscuro. Quando l’esistenza che si traduce in
esperienza soggettiva non si declina solo
sulla base del rapporto polare tra un Io ed il
suo Mondo, ma coinvolge una triangolazione dinamica che coniuga verità, potere
ed eticità10.
Cosa accade oggi, sulla base delle nuove conoscenze neuro scientifiche? Quale può essere la ricaduta antropologica derivata dal
considerare la mente (in un’interpretazione
che può apparire riduzionistica e meccani-
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cistica), solo sulla base della sua natura fisica? cento, proponeva già l’ipotesi che pensieri
Ad esempio: i nostri valori potranno avere ed emozioni corrispondessero a tempeste
in futuro, come unico punto di riferimento di atomi nel cervello, ed ipotizzava già allora
lo scenario dell’intelligenza artificiale, che che i disturbi mentali si potessero curare
l’uomo “costruisce” sulla base di una con- con sostanze chimiche. Egli, infatti, a quelcezione di tipo meccanicistico? Le cono- l’epoca proponeva una terapia a base di uno
scenze attuali tendono a dimostrare quanto sciroppo (poco efficace) e di piacevoli chiacnoi siamo il nostro cervello11. Ciononostante, chierate. Mentre dall’inizio del secolo scorso
soprattutto per ciò che riguarda i rapporti le teorie freudiane e le tecniche psicodinatra sistema nervoso e comportamento, molti miche avevano prevalso sulle terapie bioloautori hanno sottolineato i pericoli che de- giche nella cura di gran parte delle malattie
rivano da un’interprepsichiche, l’ipotesi di
tazione banalmente riPer quanto riguarda i agire con una terapia a
duzionista dei dati
base di sostanze chimirapporti tra sistema
scientifici; tali dati inche è stata incerta fino
fluenzano le filosofie nervoso e comportamento, all’epoca della seconda
dell’uomo e ne caratteguerra mondiale. Inmolti
autori
hanno
rizzano il suo tempo.
fatti, solo dalla seconda
Una tale prospettiva, essottolineato i pericoli che metà del secolo la risenzialmente neurobiocerca ha permesso la
derivano
da
logica della mente, imsperimentazione di soplica una dissociazione
stanze
psicoattive che
un’interpretazione
tra realtà materiale e sihanno radicalmente
banalmente
riduzionista
12
gnificati . Ad esempio,
condizionato la cura di
alcuni autori sostenmolte
malattie mentali,
dei dati scientifici
gono che l’etica, quale
testimoniandone gli efcorpo disciplinare, non può essere compresa fetti profondi sul comportamento e sulle
solo su queste basi e nemmeno soltanto at- emozioni.
traverso la storia o l’analisi dei sistemi morali, L’uso di sostanze psicoattive solleva sempre
ma, piuttosto affrontando estesamente le «sue problemi di natura etica che non permettono
problematizzazioni»13. Pertanto, in quest’ot- di ridimensionare le funzioni cognitive ed
tica, una più estesa prospettiva antropologica emozionali ed i complessi aspetti dell’espepotrà rappresentare un’alternativa ad un ri- rienza umana al dato fisico. L’efficacia degli
duzionismo sintetico e svalutativo di tutte psicofarmaci nella cura della depressione e
le qualità legate all’individualità ed alla per- di altri disturbi psichici ha rivoluzionato l’apsona, che rappresentano il fondamento dei proccio metodologico ed ideologico alla
valori umani14.
cura, senza ridurre l’interpretazione dei feSul fronte delle relazioni che problematiz- nomeni psicopatologici a fenomeni biologici
zano il rapporto mente-corpo, molte que- e basta. Uno stesso trattamento, a seconda
stioni etiche coinvolgono il campo delle psi- del paziente, può portare a benefici o a danni
cologie applicate, delle psicoterapie tanto ed alcuni Autori hanno sottolineato i rischi
quanto quello, spesso autoreferenziale, delle che comporta una lettura generalizzata sul
terapie psicofarmacologiche. Fin dal 1600, cervello, soprattutto quando essa è basata su
epoca in cui l’anima veniva considerata un casistiche ristrette15. Infatti, ulteriori teorie
principio immortale ed immateriale che go- complesse, relative all’interpretazione di mavernava il corpo, la malinconia veniva curata, lattie che coinvolgono il sistema dell’auoltre che con la preghiera, sulla base delle toimmunità, i processi infiammatori, ecc.
conoscenze astrologiche e sulla base delle sollevano analoghi quesiti e lo stesso livello
teorie umorali di Galeno. Thomas Willis, di complessità che riscontriamo nell’internell’Inghilterra della prima metà del Sei- pretazione delle malattie della mente. Per-
9
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tanto, oggi, un approccio evoluzionista attento permette di reinterpretare i dati del
rapporto individuo-ambiente (Io-Mondo),
lungo assi di intersezione e di equilibrio dei
dati della genetica, della multifattorialità,
della personalizzazione assoluta del caso clinico16. «Poiché ogni individuo è costituito
da una singolare combinazione di fisiologia,
identità sociale e valori personali, ogni paziente costituisce un esperimento unico».
Continuità e discontinuità dell’Io
Tutti gli esseri umani reagiscono in maniera
differente di fronte alla morte: in generale,
sconvolge poco il fatto che le nostre molecole e gli atomi vadano incontro ad una trasformazione, mentre è più difficile accettare
il fatto che tutto finisca con lo spegnimento
dell’attività del cervello o, più estesamente,
della propria materia fisica. Dai dati della
realtà residua l’evidenza di un’evoluzione
chimica che azzera tutto il portato sostanziale di esperienze, memorie, e soprattutto
dell’identità personale. Ciononostante, a prescindere da questa estrema circostanza, l’Io
cambia comunque nel corso della sua esistenza: ad esempio, esso cambia in conseguenza di molte malattie (vedi traumi, demenze, ecc.). Cosa succede in questi casi alla
propria anima? Cosa accade ad una persona
che non sembra più la stessa e magari non
riconosce il proprio Io e tradisce le sue caratteristiche essenziali della personalità precedente?
Lo studio di queste circostanze pone in essere, con evidenti riscontri, quel fenomeno
specifico della soggettivazione che Kant indicava come «l’Io che è affetto da se stesso»17:
se l’Io conserva la sua unità è «in un solo e
medesimo atto», il soggetto determinante e
il soggetto che determina se stesso. In base a
dati recenti, un danno della corteccia frontale
comporta un’alterazione del circuito neurale
che è alla base della «teoria della mente»,
ovvero la capacità di rappresentare gli stati
mentali altrui e quindi di entrare in empatia
con l’altro e di comportarsi in termini morali18. Shallice, ad esempio, ritiene che le di-
10
verse disfunzioni della sindrome frontale dipendano da un deficit del cosiddetto sistema
attenzionale, che esercita un controllo su
tutti i sistemi cognitivi e quindi anche sui
giudizi morali19.
Emblematico è stato il famoso caso del minatore Phineas Gage e la questione del cambiamento temperamentale e comportamentale che egli subì quando fu colpito da una
barra di ferro. Sebbene sopravvisse, apparve
profondamente trasformato nelle sue caratteristiche personologiche. Questo caso sollevò tante polemiche tra gli studiosi del cervello, (inclusi neurologi e studiosi del
linguaggio del livello di Broca e Wernicke).
Dopo molti anni, lo studio del cranio del
minatore ha risvegliato l’interesse del neuroscienziato Damasio che, sulla base delle
moderne potenzialità tecnologiche, ha ritenuto di dover studiare l’effetto della traiettoria della barra sulle aree cerebrali20: in base
all’analisi della traiettoria desunta dal foro
d’entrata e quello d’uscita nel cranio e delle
simulazioni computerizzate, ha potuto affermare che era stata lesa una specifica area
della corteccia, quella che media gli aspetti
emotivi e cognitivi del comportamento. Proprio tale trauma aveva prodotto i cambiamenti della persona, poiché quelle aree cerebrali sono coinvolte nelle scelte e nelle
decisioni di valore etico, ed in Phineas Gage
esse avevano determinato l’incertezza nelle
decisioni e nelle scelte di tipo morale21.
Certamente utile alle riflessioni di quest’articolo è un’altra interessante osservazione, il
riscontro, cioè, che il cervello funziona in
modi diversi quando riflettiamo su noi stessi.
La coscienza “riflettente di sé” attiva reti ed
aree neuronali specifiche. In particolare, alcune regioni cerebrali sembrano coordinare
un particolare tipo di pensiero, una meta
cognizione, che si rappresenta quando la coscienza riflette su se stessa. Tale dimensione
meta cognitiva è un particolare strumento
molto speciale che il cervello possiede per
identificare tutto ciò che ha a che vedere
con noi stessi e ad essa è connesso il concetto
di Io; da questa prospettiva, l’“Io” può essere
inteso come un processo o un’organizzazione cerebrale22.
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In sintonia con tale modello si pone il ri- mento e, quindi, la formazione di memorie
scontro che quando quelle reti neurali ven- “a lungo termine”.
gono alterate da diversi fenomeni lesivi, una La seconda questione riguarda il riconsolipersona non mantiene le costanti della pro- damento della memoria e la relazione tra
pria identità e non è più la stessa di prima, corteccia cerebrale e memoria: tutto è cosoprattutto in quanto priva di una memoria, dificato per sempre? I ricordi di tutta la vita
non riesce più a riferirsi alla propria auto- sono sempre sepolti nel cervello?25 Per la
biografia. Il soggetto in queste circostanze, psicobiologia la memoria non è un’immanon ricordando più chi è, non identifica più gine “da fermo”, ma dinamica. Come nel
il “sé stesso” precedente, e non collega espe- caso di altre attività mentali, la memoria è
rienze ed identità; non si riconosce in quel un’elaborazione fortemente individuale
processo di identificazione che lo rende «af- dell’esperienza ed è esposta a un continuo
fetto da se stesso»23, non rielabora più l’esame aggiornamento.
del «senso interno» e dell’«appercezione» Sino a non molto tempo fa si riteneva che
quale coscienza empirica che ha «percezione le memorie fossero stabili e che la loro
scomparsa fosse dovuta all’oblio. Oggi si
di un me nel suo statuto di oggetto»24.
E per concludere questi brevi appunti su guarda alle memorie come a entità instabili,
e pertanto sensibili ad
dilemmi che altrove
Un’altra
importante
un processo di potensono più ampiamente
ziamento e di ri-condibattuti, si deve sottoconsiderazione
è
che
il
solidamento, cioè ad un
lineare che nella disamina delle questioni cervello funziona in modi continuo processo di riche riguardano il rap- diversi quando riflettiamo strutturazione26. Perporto dell’etica con le
tanto, poiché questo
su noi stessi
neuroscienze, il proconcetto è in contrasto
blema dell’identità si
con l’idea tradizionale
coniuga con quello della persistenza della che descriveva la memoria come una fotomemoria nell’Io. Proprio la memoria solleva grafia duratura della realtà, la prospettiva
un’ulteriore questione etica che riguarda le etica è costretta a considerare sia il fatto che
tecniche attuali che ne permettono la ma- esiste una riorganizzazione continua delle
nipolazione.
esperienze e dei processi di soggettivazione
Nonostante l’esistenza di diversi tipi di me- delle stesse, ma anche il fatto che esiste una
moria, quella procedurale (andare in bici- contaminazione delle esperienze precedenti
cletta), semantica (ricordare il significato e da parte di quelle successive, in un contesto
l’esperienza dell’informazione), episodica e in cui è noto quanto nuovi farmaci induautobiografica, la loro base neurobiologica cono modifiche delle funzioni cognitive e
è simile e nota agli scienziati. La memoria a emotive. Infatti esistono “target farmacolobreve termine o “di lavoro” comporta mo- gici per il potenziamento” di funzioni quali
difiche dell’attività bioelettrica di alcune reti memoria, funzioni esecutive, umore, libido,
e delle relative sinapsi. Questa memoria è ecc. Negli USA sino al 16% degli studenti
fragile e diversi trattamenti fisici possono assumono metilfenidato (Ritalin) e/o deriindurre amnesia. Il suo consolidamento im- vati destro-amfetamina, non per l’ADHD
plica il passaggio a una forma stabile di me- (attention deficit hyperactivity disorder) ma come
moria a lungo termine. Il consolidamento potenziatori cognitivi di memoria e funzioni
della memoria, come ipotizzò Donald Hebb, esecutive.
dipende dalla stabilizzazione di alcune sinapsi
o dalla formazione di nuove sinapsi. La Comportamento aggressivo
prima questione da porsi risiede nel fatto
che molti trattamenti che interferiscono con Il comportamento aggressivo è un’azione
la sintesi proteica bloccano quel consolida- intenzionale volta a provocare dolore fisico
11
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o psicologico su una persona. Un primo
problema si può porre cosi: È un comportamento innato?
In risposta a questo quesito alcuni autori
hanno sostenuto la tesi che nei comportamenti aggressivi e/o delittuosi possa essere
sottesa una base biologica27. In particolare
uno dei fattori più probabili è la disfunzione
della corteccia prefrontale28. Una parte del
cervello che è coinvolta nella regolazione
del comportamento e che, in genere, è particolarmente attiva quando un individuo è
nelle condizioni di assumere decisioni complesse. Altrettanto significativa in questo
senso è la prova di quanto quest’area della
corteccia cerebrale sia coinvolta nella inibizione dell’aggressività. La domanda che si
sono posti scienziati, sociologi, giuristi, filosofi è: quanto le azioni violente e aggressive
siano la conseguenza di fattori ambientali,
libero arbitrio, ovvero solo la conseguenza
di disfunzioni della sostanza grigia della corteccia prefrontale? Gli esecutori di delitti
sono veramente liberi di decidere se commettere o meno quel crimine? Alcuni sostengono che per poter disporre realmente
del libero arbitrio è indispensabile il corretto
funzionamento della corteccia prefrontale29.
Le neuroscienze del libero arbitrio tendono
a dimostrare che le intenzioni e le azioni
personali dipendono da processi deterministici: in realtà, la natura dei comportamenti,
si declina sulla base di alcuni fattori genetico-costituzionali e dell’interazione con
specifici fattori ambientali. Così, le scelte e i
comportamenti appaiono quali conseguenze
di quelle interazioni (alla fine, nel giudicare
un’azione si conclude che un individuo poteva agire prevalentemente come ha agito).
Qual è la conseguenza di tale ottica? Essendo
determinati ad agire in un certo modo non
si sarebbe né liberi, né responsabili direttamente di quelle azioni.
Un secondo quesito è relativo alla evidenza
del fatto che la coscienza appare un requisito
indispensabile della responsabilità morale; e
tale requisito è alla base del diritto penale30.
Consideriamo qui i meccanismi naturali di
autodifesa: essi sono stati funzionali alla conservazione delle specie, ed emergono dalla
12
interazione tra corteccia prefrontale e sistema
limbico, dove si elaborano le reazioni più
istintive e si regolano le emozioni e i suoi
correlati fisiologici31. I rilevatori fisiologici
delle emozioni sono il ritmo cardiaco, la respirazione, la temperatura del volto e delle
mani, la tensione dei muscoli frontali ecc.
Ma l’equilibrio tra i due sistemi non si limita
alla sola funzione di autodifesa e sopravvivenza32; esso consente soprattutto l’espressione e la consapevolezza dei sentimenti
coinvolti nelle relazioni sociali. Questa speciale funzione della mente si riflette, poi,
soprattutto nella capacità di considerare regole e norme di condotta, di rispettarle e di
avere consapevolezza del comportamento
etico.
Il terzo punto, diretta conseguenza di questo
appena accennato, è relativo a una questione
etica fondamentale: qual è la responsabilità
individuale di gesti e di comportamenti violenti? È possibile che alcune persone non
siano responsabili di azioni aggressive o delitti che hanno commesso? In estrema ratio, il
quesito è postulabile anche così: una lesione
cerebrale rende naturalmente quella persona
pericolosa? Il confronto tra le teorie che affidano all’ambiente e alla cultura il ruolo
predominante nel determinare comportamenti aggressivi e quelle che riconoscono
nella biologia la base per spiegare il comportamento criminale, introduce a una riflessione spinosa e scottante che cerca di delineare i confini di senso degli elementi
biologici e attribuire un ruolo al contesto
sociale, forse con aspettative superiori a
quanto le scienze naturali e sociali possano
ancora oggi determinare33.
Alcuni autori hanno elaborato una teoria
secondo la quale alla base del comportamento violento possono e devono concorrere tre fattori principali: i maltrattamenti
fisici o ambientali, un danno neuronale, una
malattia mentale34. Tenendo conto del fatto
che la maggior parte delle persone che presentano ognuna delle tre condizioni su elencate non è violenta, la compresenza dei tre
fattori può rappresentare una sintesi probabilisticamente determinante per il comportamento violento.
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Il cervello è un organo in costante evolu- Il ruolo dell’imitazione e della risonanza
zione e fenomeni quali la neuroplasticità e emozionale nello sviluppo di automatismi
la neurogenesi35 coinvolgono le strutture ce- aggressivi e propensione alla violenza pone
rebrali per tutto l’arco della vita dei neuroni. in essere anche il coinvolgimento di altre
In alcuni casi, esperienze molto precoci pos- strutture cerebrali nell’interpretazione di
sono addirittura influenzare l’espressione ge- questi differenti tipi di aggressività: le aree
nica e rappresentare danni irreversibili per dei neuroni specchio36, l’ippocampo, il ceril resto della vita, nonostante a quell’epoca i velletto37. Un’azione è compresa perché la
fenomeni di plasticità siano più attivi, mentre rappresentazione motoria di quell’azione è
esperienze soggettive traumatiche e danni attivata nel nostro cervello38.
dell’età più adulta hanno un impatto minore Un ulteriore ambito delle conoscenze sciensull’espressione comportamentale e sono tifiche ha studiato le correlazioni tra bassi
maggiormente disposti
livelli di serotonina e
a sviluppi, elaborazioni
comportamenti vioLa bioetica è una
ed evoluzioni, sempre
lenti: a supporto di quesulla base dei fenomeni
disciplina relativamente ste ipotesi è l’osservaneuroplastici. È ben dezione dell’efficacia di
recente
la
quale
tenendo
il
scritto dalla letteratura
terapie farmacologiche
che nella prima infanzia passo con l’incedere rapido a base di stabilizzanti
un ambiente ricco di
dell’umore e farmaci
dei
saperi
ha
assunto
una
stimoli e sano sul piano
serotoninergici nel conaffettivo favorisce lo
trollo dell’impulsività,
grande attualità nel
sviluppo delle potenziadella compulsività e del
dibattito
sull’uomo
lità cerebrali superiori
discontrollo degli imdell’individuo, mentre
soprattutto
moderno e post-moderno pulsi,
un ambiente povero e
quando questi assuviolento può determinare danni e limiti evo- mono un carattere aggressivo e violento. Palutivi anche permanenti. In questi casi esiste rallelamente, sono descritte prove dell’effisempre un correlato biologico di quelle cacia delle psicoterapie in questi particolari
esperienze soggettive.
pazienti. Molti autori sostengono il ruolo
Ma ciò è sufficiente a determinare un giu- delle terapie integrate anche in queste cirdizio conclusivo relativamente alla libertà costanze.
d’arbitrio e al valore etico soggettivo delle Nonostante il fervore della ricerca neuroazioni violente? Tali azioni, pur essendo in- scientifica degli ultimi decenni, la dimentenzionali non implicano che l’intenzione sione etica dei quesiti posti in questo parasia sempre uguale e noi possiamo distinguere grafo resta legata alla dialettica tra il ruolo
due dimensioni diverse di quell’aggressività: dei fattori biologici e quello dei fattori psila prima è un’aggressività ostile (quando cologici e ambientali. Molte prove hanno
l’unico scopo è infliggere dolore), che è dimostrato che non tutte le persone che
emozionale, reattiva e impulsiva. In questi hanno una corteccia prefrontale lesa sono
casi l’aggressività è indotta da immagina- violente. Inoltre, da dati di laboratorio si
zione e sentimenti (es. rabbia), spesso in as- evince che le tensioni sociali, l’aggressività,
senza di un’analisi razionale sui costi e be- la violenza modificano la chimica neuronale
nefici. La seconda è un’aggressività e che i cambiamenti neuronali e neurochistrumentale, più razionale e calcolata; un’ag- mici persistono nel tempo. Non è possibile
gressività utilizzata per massimizzare i propri sostenere che la violenza sia direttamente
profitti (mezzo per altro scopo). In queste legata alla biologia, mentre è certamente
due differenti circostanze entrano comunque vero che gli schemi di funzionamento apin gioco le propensioni innate, le risposte presi precocemente nella vita influenzano il
comportamento umano e che, così, l’aminibitorie apprese e la situazione sociale.
13
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biente determina quel comportamento in
maniera decisiva, coinvolgendo e influenzando in questo processo, la funzione e la
struttura di specifiche aree cerebrali.
Molti recenti dati delle psicologie e delle
neuroscienze rappresentano comunque una
sfida alla libertà e al libero arbitrio in quanto
sulla base di ipotesi deterministiche, coinvolgendo il ruolo della coscienza, in realtà,
esse finiscono per sostenere che noi esseri
umani non agiamo mai in maniera veramente libera in quanto le nostre azioni continuano a essere dominate più dai processi
emozionali che razionali. Pertanto se ne deduce che se non siamo noi a determinare
consapevolmente tanto le nostre intenzioni,
quanto i nostri desideri e le nostre decisioni,
non possiamo ritenerci pienamente consapevoli e responsabili delle nostre azioni.
Conclusioni
Una riflessione non metafisica sul problema
dell’etica in relazione ai saperi moderni delle
neuroscienze non riesce a prescindere dalla
riflessione sull’identità e sui suoi correlati
filosofici e antropologici. Sentirsi è conoscersi e la conoscenza della propria soggettività prelude a ogni discorso che debba declinare in maniera non superficiale ogni
dibattito relativo alla sfera dell’etica. È il compito che qualifica la tensione etica e rispetto a
esso ogni azione è solo un elemento e un
aspetto della condotta morale nel suo insieme. La costituzione consapevole del sé si
determina in quanto costituzione morale
del sé. La bioetica si formula come una disciplina relativamente recente, ma proprio
tenendo il passo con l’incedere vorticoso
dei saperi ha assunto un progresso e una sua
scottante attualità nel dibattito sull’uomo
moderno e post-moderno. Psiche e tecnica
delineano scenari futuri in cui l’immaginario
affanna in ogni possibile bilancio di previsione delle soggettività e delle personalità
future. Tutto il rapporto uomo natura attraversa in maniera estremamente problematica
tanto le scienze della natura che le scienze
umane. L’analisi dell’esperienza morale, oggi,
14
deve essere tradotta nell’analisi delle “problematizzazioni etiche”39 e considerare quattro fattori che concorrono a produrre i movimenti di soggettivazione e determinarne
le differenze: il primo fattore riguarda la determinazione della sostanza etica (cioè della
materia principale della condotta morale),
il secondo fattore è rappresentato dal modo
in cui il soggetto si riconosce in quanto legato all’obbligo di mettere in pratica una
regola, il terzo è la forma di elaborazione
del lavoro etico che si conduce su se stessi,
infine, il quarto, il telos, il fine e l’orientamento che assume il lavoro su di sé.
Per affrontare su base empirica e scientifica
quanto fin qui sostenuto e teorizzato dalle
sociologie e filosofie del tempo, bisogna considerare che le sfide empiriche al ruolo della
responsabilità morale coinvolgono insieme
tanto il campo delle psicologie che quello
delle neuroscienze. Da quanto detto prima,
appare che la coscienza non avrebbe un
ruolo diretto nell’assumere decisioni o nell’esprimere un desiderio o una volontà. La
coscienza giunge tardivamente sulla scena
del determinismo di un’azione e pertanto è
legittimo interrogarsi sulle conseguenze di
tali specifiche ipotesi. Se noi non controlliamo pienamente ciò che immaginiamo,
desideriamo e facciamo, possiamo sempre
essere ritenuti responsabili del nostro agire?
Filosofi, giuristi, scienziati cognitivi affollano
lo scenario di questo stimolante dibattito.
Sembra che prendere una decisione non è
un compito della coscienza intesa quale potere causale attivo. Il requisito fondamentale
per il quale dovremmo esercitare una volontà nella coscienza sembra essere quello
di controllare il nostro controllo; e posto
così esso appare come un requisito impossibile. Secondo alcuni non importa se le nostre
azioni sono causate consciamente o meno,
ma che si addicano all’immagine cosciente
che abbiamo di noi e dei nostri scopi.
Le neuroscienze dell’etica si dibattono ancora in un territorio impervio e ricco di
dilemmi. In sinergia con le scienze sociali
indicano che spesso le nostre valutazioni etiche si dimostrano irrazionali, se non ingiustificate40. Il pensiero morale si basa sempre
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su “intuizioni” morali, verificando e giustificando le teorie morali sulla base di un
equilibrio tra le nostre intuizioni e le nostre
teorie esplicite. È impossibile che una teoria
morale possa fare a meno di intuizioni, anche
se ognuna se ne avvale in maniera diversa.
Gli utilitaristi che bocciano il ruolo delle
intuizioni41, finiscono per dipendere da
quelle stesse intuizioni come avviene per
qualunque altra teoria morale. Alle neuroscienze si sono poste molteplici sfide relativamente alle intuizioni morali, ai giudizi
morali e al ruolo dell’attività neuronale in
tali specifiche funzioni della mente. Uno
studio ha specificamente elaborato il ruolo
del cervello nella elaborazione di casi di dilemmi morali personali o impersonali rilevando differenze significative nell’elaborazione dei primi o dei secondi42. Ma è lecito
domandarsi se il riscontro dei correlati anatomo-funzionali del nostro cervello possa
favorire il giudizio sui gradi di responsabilità
che le persone hanno nell’agire in maniera
aggressiva, violenta o illegale. Quanto le implicazioni relative al riscontro che l’attivazione di specifiche aree cerebrali prima di
un’azione, di una decisione o di un giudizio
possano interferire con le teorie dell’etica
resta ancora esso stesso un dilemma. Questa
questione entusiasma i ricercatori e stimola
la speculazione teorica alla ricerca di categorie universali che rispondano agli interrogativi che l’uomo pone alla sua stessa esistenza. E c’è da giurarci che ciò sarà vero
ancora per moltissimo tempo.
Eticità e praticità, nella filosofia e nella medicina, alimentano lo stesso campo di interesse teorico e convergono nelle forme arcaiche della problematizzazione di un
campo, quello della cura, che colloca il soggetto nella sua irripetibile singolarità, nella
sua specifica e inevitabile flessione, ma anche
nello sforzo a costituirne la virtù43. Ogni
discorso relativo ai fattori speculativi inerenti
ai rapporti tra bioetica e neuroscienze diverrebbe vuoto se non illuminato dalla dimensione intersoggettiva, dalla prospettiva
relazionale e dal fine ultimo della cura, anche
quando essa assume il senso singolare della
cura di sé.
NOTE
1
S. J. MARCUS, Neuroethics: Mapping the Field, Dana
Press, Chicago 2004.
2
B. HESS and D. PLOOG (edited by), Neurosciences and
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3
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4
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5
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8
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9
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10
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11
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2008.
12
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(2008), 163-186.
13
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14
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15
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trad. it. La mente etica, Codice Edizioni, Torino 2006.
16
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17
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inedito, primo di due tomi dattiloscritti depositati
alla Sorbonne nel 1061.
18
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19
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20
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21
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22
E. PUNSET, l’anima è nel cervello, op. cit.
23
M. FOUCAULT, Introduction à l’anthropologie de Kant,
op. cit.
24
I. KANT, «Antropologia dal punto di vista pragmatico», in ID., Scritti morali, a cura di P. CHIODI, Utet,
15
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25
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27
A. OLIVERIO, «Neuroscienze ed etica», op. cit.
28
A. DAMASIO, D.TRANEL, H. DAMASIO, «Individuals
with Sociopathic Behavior caused by Frontal Damage
fail to respond autonomically to Social Stimuli», op.
cit., 81-94.
29
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39
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40
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41
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43
MP. FIMIANI, L’arcaico e l’attuale, op. cit.
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