Lezione 7-8 EMC - Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale

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(parte I)
IL TEMPO DEL CONSUMO
In molti paesi europei i cittadini la guardano mediamente per quattro ore al giorno e negli
Usa i consumi individuali medi arrivano a circa sei ore facendone l’impiego di tempo più
consistente dopo il sonno e il lavoro, di gran lunga il primo tra i consumi informativi e superiore,
come impiego di tempo, a molti altri consumi come la pratica di sport, l’alimentazione o l’uso
dell’automobile.
Il fatto che molta parte della televisione sia gratuita per il telespettatore, almeno
marginalmente, favorisce questi consumi elevati che però si verificano anche in paesi come gli
Stati Uniti dove la grande maggioranza dei cittadini riceve i programmi televisivi via cavo pagando
un abbonamento mensile.
La televisione, inoltre, si è affermata in molti paesi come lo strumento più importante per le
campagne elettorali e per la diffusione dell’informazione politica contribuendo in modo sostanziale
a determinare l’agenda del dibattito politico attraverso gli interventi negli spazi informativi e nei talk
show.
Questa progressiva centralità ha spinto molti paesi a regolamentare la presenza degli
esponenti politici in televisione durante la campagna elettorale per assicurare che la competizione
si
svolga
mantenendo
una
sostanziale
parità
di
accesso
tra
i
diversi
schieramenti
indipendentemente dal fatto che siano al governo o all’opposizione e alle relazioni che
mantengono con le televisioni.
LA NASCITA DELLE TELEVISIONI PUBBLICHE
Nella maggior parte dei paesi europei i primi decenni dello sviluppo della televisione è stato
attuato da imprese pubbliche che operavano generalmente in una configurazione di monopolio.
Questa struttura del mercato viene ereditata dall’industria radiofonica e ha avuto giustificazioni sia
economiche che politiche.
Sul piano economico la dimensione degli investimenti necessari per sviluppare l’industria
televisiva e la supposta scarsità delle frequenze facevano credere che solo lo stato nel contesto
europeo potesse perseguire questo sviluppo.
Dal punto di vista politico i governi non volevano lasciare nelle mani di privati, con obiettivi
poco controllabili, la disponibilità di un mezzo di comunicazione cosi potente così diretto.
TRA CONCORRENZA E MONOPOLIO
Lo sviluppo negli Stati Uniti della radio prima e della televisione poi in un quadro
concorrenziale aveva mostrato come fosse possibile lo sviluppo di questa industria in un contesto
concorrenziale e commerciale.
In Europa le condizioni economiche, in particolare la domanda pubblicitaria, e quelle
politico sociali erano differenti e hanno favorito lo sviluppo di un modello industriale ritagliato sul
monopolio pubblico. I programmi erano caratterizzati da un orientamento paternalistico educativo,
con un forte peso dei generi informativi e culturali anche nel tentativo di promuovere le altre forme
di espressione artistica e non spaventare gli apparati culturali consolidati altrimenti ostili al nuovo
mezzo.
LA QUESTIONE DEL CANONE
La nuova organizzazione del mercato ha messo al centro dell’attenzione il canone che nella
maggior parte dei paesi si presenta sotto la forma di una tassa sul possesso del televisione e le cui
entrate vengono utilizzate per finanziare la televisione pubblica.
In un mercato più aperto, dove i piani della concorrenza sono molteplici, si presenta il
problema che il trasferimento può essere utilizzato dalle televisioni pubbliche come forma di
sussidio per finanziare il mantenimento di una posizione competitiva nei mercati concorrenziali.
Il dibattito su questo terreno è molto acceso. Già nel 1994 il Consiglio d’Europa indica che
la presenza di servizi pubblici televisivi indipendenti e opportunamente finanziati era da
considerarsi essenziale al funzionamento dei media in una società democratica. Sulla base di
questo filone il Parlamento europeo ha votato una risoluzione che chiede di applicare un’eccezione
culturale alle televisioni pubbliche e di non considerare il canone un aiuto di stato che altera la
concorrenza. D’altra parte la Commissione Europea da diversi anni guarda al canone televisivo
come una forma impropria di finanziamento pubblico, in grado potenzialmente di distorcere la
concorrenza dei mercati televisivi.
LA CRISI DELLE TELEVISIONI PUBBLICHE
La fine del monopolio pubblico avviene secondo lo sviluppo della domanda di pubblicità da
parte dei produttori di beni di largo consumo, quando si accelera la nazionalizzazione dei mercati
regionali e si sviluppano le imprese della distribuzione moderna, in Gran Bretagna negli anni ‘50, in
Francia tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70, in Italia negli anni ‘80.
Aumentando la concentrazione dei mercati a valle e avendo a disposizione mercati
geografici più ampi, i produttori hanno bisogno di comunicare direttamente con i loro clienti finali
per difendere quote di valore aggiunto e di profitti competendo sul mercato intermedio attraverso lo
strumento della fedeltà di marca piuttosto che sul prezzo.
LA NUOVA TELEVISIONE. TRA CONCORRENZA E CONVERGENZA
“C’era una volta la Paleotelevisione”. Comincia così un saggio di Umberto Eco (1983, pag.
163) che commentava la ‘rivoluzione’ televisiva degli anni Ottanta e introduceva l’era della
Neotelevisione caratterizzata dalla “moltiplicazione dei canali, [dal]a privatizzazione, [dal]l’ avvento
di nuove diavolerie elettroniche”.
La nuova televisione è anzitutto figlia del cambiamento tecnologico che ha reso oggi
comunicanti i settori, un tempo separati e distinti, dell’intrattenimento, delle telecomunicazioni e
dell’information technology.
L’innovazione tecnologica progressivamente ha riunito e continua a riunire in nome della
convergenza attività un tempo distanti tra loro e promuove una trasformazione che è al contempo
economica, istituzionale e sociale
Pertanto, gli antichi ma sempre attuali problemi della tutela del pluralismo e dell’ampia
circolazione d’informazioni e conoscenza, rilevanti per garantire ai cittadini la piena partecipazione
ad una società democratica (Gambaro e Silva, 1992; Pace e Manetti, 2006), oggi si legano in
modo intricato con le questioni della tutela della concorrenza e della promozione dell’innovazione.
L’EFFETTO DELA MOLTIPLICAZIONE DEI CANALI
Con la moltiplicazione dei canali disponibili e la presenza di formule di offerta articolate si
supera il tradizionale carattere di bene pubblico dei prodotti informativi. Ciò consente di ritornare a
modelli di mercato più tradizionali dove i telespettatori pagano per vedere i programmi o anche,
nelle formule del pay-per-view o del video on demand pagano per ogni specifico programma che
vedono gli spettatori.
Nonostante tutte queste trasformazioni però la gran parte dei consumi televisivi si addensa
attorno alla tradizionale televisione finanziata dalla pubblicità o dal canone televisivo e la centralità
della televisione in molte società contemporanee è legata principalmente proprio a questa
televisione tradizionale.
CARATTERISTICHE ORGANIZZATIVE E CONCORRENZIALI DEL MERCATO TELEVISIVO
Organizzazione dell’attività televisiva
L’attività di un’impresa televisiva può essere divisa in quattro fasi principali:
1-la produzione o l’acquisto di programmi
2-la costruzione di un palinsesto,
3-la vendita dei contatti pubblicitari e dei prodotti
4-l’illuminazione
1 I programmi
I costi dei programmi sono molto variabili e, considerando gli standard qualitativi di una
televisione nazionale, vanno da circa 5-10mila euro all'ora per telefilm molto vecchi, oppure per
giochi diurni, fino a oltre 1milione di euro l'ora per i maggior show di prima serata.
In generale circa metà dei costi complessivi di un palinsesto sono legati alla messa in onda dei
programmi di prima serata, mentre l’altra metà serve per realizzare le restanti 22 ore giornaliere di
trasmissione. I programmi di prima serata infatti sono molto più ricchi degli altri e nel contesto
italiano hanno un costo orario oscillante tra i 300mila euro e 1 milione di euro, mentre i programmi
della fascia giornaliera hanno costi più variabili, ma generalmente oscillanti, per una grande rete
nazionale tra 20mila e 100mila euro l’ora.
2.1 Il palinsesto.
I programmi sono assemblati in un palinsesto che costituisce un insieme di programmi
distribuiti lungo la giornata oppure può essere definito come un assortimento di prodotti (i
programmi) lungo una dimensione temporale
.
2.2. I costi del palinsesto
Il palinsesto e i programmi costituiscono comunque la principale voce di costo di una
televisione e il suo più importante fattore di successo. Infatti sono proprio i programmi l’oggetto di
attenzione dei consumatori e la ragione principale per cui scelgono di guardare la televisione
oppure di cambiare canale. La selezione dei programmi da trasmettere costituisce la principale
scelta editoriale di una televisione e il principale strumento di differenziazione dalle altre emittenti.
La televisione deve inoltre effettuare per ogni programma una scelta make or buy. A causa
degli elevati costi di produzione non è possibile produrre fiction (film e telefilm) con un orizzonte
esclusivamente nazionale. Infatti per questi generi le televisioni scelgono prevalentemente la
strada dell'acquisizione dei diritti. E' possibile invece produrre internamente i varietà, le
trasmissioni sportive e i notiziari.
3 La vendita
Il risultato economico di una televisione commerciale dipende da quanto riesce a tradurre in
entrate monetarie l’ascolto prodotto attraverso l’attività di vendita degli spot.
Quasi tutte le maggiori televisioni europee controllano direttamente la vendita di spazi pubblicitari,
con strutture di vendita interne, come la francese M6, o concessionarie di proprietà come Carlton e
Granada in Gran Bretagna o Antena 3 in Spagna.
Solo le piccole televisioni ricorrono a concessionarie di terzi perché non hanno la
dimensione sufficiente per mantenere l’incidenza percentuale dei costi di vendita a dimensioni
accettabili.
In questa attività esistono infatti significative economie di scala. Infatti il costo di vendita è
assai più basso per le televisioni maggiori. Il costo di vendita per una grande televisione nazionale
generalmente è compreso tra il 6% e l’8%. Una televisione minore o un’emittente locale possono
arrivare a costi di vendita anche superiori al 20% con uno svantaggio non indifferente in termini
percentuali rispetto alle televisioni maggiori
4.1 L’illuminazione e le frequenze
L’illuminazione distribuisce il segnale televisivo sul territorio attraverso un insieme di
trasmettitori oppure attraverso satelliti o lungo reti via cavo qualora quest’infrastruttura sia
disponibile. In Italia vi è una netta prevalenza della diffusione terrestre perché lo sviluppo di
piattaforme alternative quali il cavo o il satellite è stato meno forte che in altri paesi.
In Italia si registra una sostanziale integrazione verticale dell’illuminazione con le televisioni,
mentre nei principali paesi europei le due attività sono spesso state separate per effetto di specifici
provvedimenti legislativi o amministrativi.
Sebbene l’attività di illuminazione sia fondamentale per una televisione, il suo impatto sui
costi è relativamente basso: rappresenta mediamente il 3% dei costi complessivi.
Ciò nonostante esistono anche nell’illuminazione importanti barriere ed economie di scala.
Infatti il costo di illuminazione del territorio non è a prima vista strettamente collegato con l’ascolto
che una televisione raggiunge, per cui a parità di copertura l’incidenza dei costi di illuminazione
sarà superiore per una televisione piccola rispetto all’incidenza di una televisione grande.
Facendo riferimento al caso italiano mentre per Rai e Mediaset il costo di illuminazione
rappresenta circa il 3% dei costi totali, per le reti minori l’incidenza sale al 15-20% dei costi
complessivi. In secondo luogo poiché le frequenze disponibili per la trasmissione televisiva sono
in numero finito un nuovo operatore potrebbe non essere in grado di entrare sul mercato.
La distribuzione delle frequenze e degli impianti di trasmissione in Italia è molto diseguale e
i due principali operatori Rai e Mediaset controllano l’82% delle frequenze disponibili mentre altre
cinque reti analogiche arrivano assieme solo al 18% (AGCOM, 2006).
Questa disponibilità di frequenze si riflette in coperture disomogenee per le varie reti.
Nella tabella 1 sono riportatele valutazioni dell’AGCOM del 2006 e dell’AGCM nel 2004.
Tab 1 Le frequenze televisive in Italia
N. Impianti/freq
Copertura
su N.
Impianti/freq Copertura
2004 (agcm)
popolaz (agcm)
2006 (agcom)
popolaz(agcom)
Rai 1
2064
99,1%
1956
98,1%
Rai 2
2023
98,6%
1911
98,0%
Rai 3
1984
97,0%
1867
97,3%
Canale 5
1689
91,5%
1616
95,8%
su
Italia 1
1585
86,2%
1519
94,6%
Rete4
1438
82,0%
1389
94,5%
La 7
704
65,1%
713
89,8%
Mtv
402
65,1%
396
82,1%
Rete A
172
47,0%
194
70,9%
Rete Capri
157 (99)
24,4%
200
52,0%
Elaborazioni su dati agcm e agcom
4.2. Le scelte di illuminazione
Per analizzare il problema illustriamo una scelta al margine fatta da un operatore integrato
verticalmente in assenza di vincoli normativi o di limiti alle frequenze disponibili. Una televisione
aggiungerà un impianto per allargare la copertura fino a che i costi annualizzati di quell’impianto
saranno inferiori ai ricavi aggiuntivi che può ottenere. Il costo per spettatore di un impianto
aggiuntivo sarà tanto maggiore quanto minore è la popolazione residente nella zona coperta
dall’impianto trasmettitore. Questo spiega perchè nella costruzione di una rete si inizi a installare
trasmettitori prima nelle zone con maggiore densità di popolazione e solo in seguito nelle zone
marginali.
Per quanto riguarda i ricavi aggiuntivi questi sono collegati essenzialmente alla possibilità di
aumentare le tariffe pubblicitarie per riflettere il maggior numero di spettatori raggiunti. Ma il
numero di nuovi spettatori è dato dal prodotto della diffusione dei televisori, per la propensione al
consumo televisivo per la share del singolo canale (determinata questa dall’attrattività dei
programmi e dal loro costo). I primi due fattori sono comuni a tutte le televisioni, mentre il terzo
parametro può essere molto diverso. L’uguaglianza tra costi e ricavi incrementali per ogni singolo
impianto di trasmissione porta a concludere che gli obiettivi di copertura sono collegati
positivamente con l’ascolto di ogni emittenti e indirettamente con la spesa in programmi che ne è
la principale determinante.
Dovendo eguagliare costi e benefici marginali una televisione con una share elevata
sceglierà un grado di copertura superiore a quello di una televisione piccola che non troverà
conveniente investire per la copertura di zone marginali.
Nella trasmissione via satellite gli elevati costi fissi indivisibili del satellite consentono di
trasmettere il segnale in un territorio ampio senza altri costi aggiuntivi, per cui i costi medi per
utente decrescono in modo significativo al crescere degli utenti raggiunti. Per contro per estendere
la copertura di una rete terrestre occorre installare nuovi trasmettitori che coprano porzioni
specifiche di territorio.
LA CONCORRENZA SUL MERCATO DELL’ASCOLTO
Sul mercato dell’ascolto le singole reti, una volta stabilito il grado di copertura del segnale,
competono attraverso le scelte di programmazione determinando sia il grado di differenziazione
orizzontale, ossia i generi di programmi da trasmettere, sia il grado di differenziazione verticale
cioè le risorse da investire per produrre o acquistare il singolo programma.
Se volesse fare questo semplicemente trasmetterebbe sempre programmi ad alto budget,
ma rischierebbe di spendere più di quello che ricava con la pubblicità. Infatti nelle fasce orarie in
cui poche persone sono davanti alla televisione, e le emittenti concorrenti trasmettono
generalmente programmi a basso costo, otterrebbe share (quote d’ascolto) molto elevate, ma
audience troppo basse per ripagare qui programmi costosi.
Una televisione deve tenere conto delle scelte delle altre emittenti quando decide la
programmazione e in questo senso può adottare strategie di complementarietà tendendo a
differenziare il più possibile i programmi nella stessa fascia oraria oppure strategie di scontro
trasmettendo programmi simili ai concorrenti. A seconda delle tipologie di programmi, della forza
dell’emittente, del numero di canali di cui dispone una televisione possono essere convenienti
ambedue le alternative.
IL MODELLO DI SCELTA DEI PROGRAMMI
Il punto di partenza di queste analisi è costituito dal modello di scelta dei programmi di
Steiner (1952) che confronta la scelta di generi televisivi da parte di un emittente in monopolio e in
concorrenza e arriva a concludere che, sotto certe condizioni l’offerta di generi è più varia sotto un
monopolio.
Il modello consente di spiegare il fenomeno, ampiamente verificato in molti paesi, della
convergenza da parte di televisioni concorrenti sugli stessi programmi agli stessi orari
Recentemente la crescita dimensionale di molti mercati televisivi e il persistere di
concentrazioni elevate ha fatto emergere una spiegazione che enfatizza le interazioni
oligopolistiche e la differenziazione verticale come spiegazione della concentrazione del mercato e
del suo carattere oligopolistico, secondo il modello dei costi endogeni non recuperabili proposto da
Sutton (1991). Gli elevati costi fissi non recuperabili collegati alla produzione o all’acquisto dei
programmi sarebbero in questa logica le principali barriere all’entrata nel settore televisivo e la
maggiore determinante della concentrazione elevata.
Tab 2 Evoluzione della share nella prima serata(%)
1992
1996
2000
2002
2004
2005
RAI1
20.7
23.9
25.1
23
25.7
23.9
RAI2
15.9
14.9
14.2
12.1
11.1
10.6
RAI3
10.7
11
10
10.4
9.6
9.7
TOT. RAI
47.3
49.8
49.3
45.5
46.4
44.2
CANALE 5
20
22.3
22.5
23.8
22.2
22.5
ITALIA 1
12
11.5
11.7
12.2
11.2
11.5
RETE 4
11.4
8.4
7.9
8.1
8.9
8.8
TOT. MEDIASET
43.4
42.2
42.1
44.1
42.3
42.8
Altre
9.3
8
6.4
8.1
9.2
10.9
Altre SAT.
-
-
-
-
3.8
5
Altre TERR.
-
-
-
-
5.4
5.9
TMC/La 7
-
-
2.2
2.3
2.1
2.1
TOTALE
100
100
100
100
100
100
Elaborazioni su dati Auditel
Nella concorrenza monopolistica il numero ridotto di operatori è legato alla ridotta
dimensione del mercato. Quando la domanda cresce, poiché i costi fissi restano sostanzialmente
stabili, oppure si riducono per l’innovazione tecnologica, anche il numero di operatori cresce e la
concentrazione si riduce. Invece nei mercati televisivi il mercato resta strettamente oligopolistico
anche quando cresce. Il numero degli operatori non è legato alla dimensione del mercato come
nella concorrenza monopolistica (che prevede nel lungo periodo un mercato frammentato per
l’entrata di numerosi operatori), ma agli investimenti fissi che determinano la qualità del prodotto
(nel caso del mercato televisivo essenzialmente gli investimenti in programmi che rappresentano
circa i 2/3 dei costi di un’emittente) e alle preferenze dei consumatori per i programmi che
incorporano una quantità maggiore di investimenti. Quando il mercato cresce gli operatori esistenti
tendono ad aumentare gli investimenti per la produzione o l’acquisto di programmi per poter
vincere la guerra dell’ascolto contro i concorrenti e di conseguenza sale il livello dei costi fissi
necessario per operare sul mercato e la concentrazione rimane elevata.
IL MERCATO ITALIANO
La configurazione del mercato italiano mostra come l’eventuale scarsità di frequenze non
sia il fattore di concentrazione determinante. Il piano delle frequenze prevede 17 reti nazionali
equivalenti (11 reti nazionali e altre 6 costituite dall’insieme delle locali), mentre sul mercato
risultavano attive 15 emittenti nazionali per un totale di 21 emittenti nazionali equivalenti
comprendendo le locali. Esiste dunque lo spazio tecnico per queste emittenti, che infatti sono tutte
riuscite a trasmettere segnali contemporaneamente, mentre la configurazione del settore fa sì che
lo spazio economico sia limitato e che i primi due operatori controllino la quasi totalità del mercato.
Nei lunghi anni di sviluppo del mercato televisivo italiano, dopo il consolidamento del duopolio,
nessun operatore è riuscito a crescere sopra la soglia di una presenza nominale, nonostante i
numerosi tentativi di sviluppo e di rilancio. Questo indica che nel mercato operano delle barriere
all’entrata più strette della disponibilità tecnica delle frequenze. La mancanza di concorrenti non
sembrerebbe dunque dovuta tanto alla mancanza di frequenze disponibili (anche se naturalmente
gli ostacoli al trasferimento delle licenze rendono più difficili i nuovi ingressi), quanto alle economie
di scala presenti nella produzione e nell’acquisizione dei programmi.
Il controllo di tre reti ciascuno da parte dei primi due operatori ha un impatto maggiore sul
grado di concentrazione del mercato italiano proprio perché impone a un nuovo entrante di
operare con lo stesso numero di reti dei due incumbent principali per non soffrire di uno svantaggio
permanente nei costi. Infatti se entrasse con un numero minore di reti, ad esempio con due, un
incumbent non accomodante coprirebbe in contro-programmazione i palinsesti del newentrant con
due delle sue reti ( ad esempio film contro film e varietà contro varietà) per ridurre l’efficacia delle
sue scelte di programmazione, mentre con la terza coprirebbe segmenti complementari di ascolto
e di pubblico con una produttività (costo per la produzione di un contatto) maggiore. Il risultato
sarebbe che il costo di produzione per telespettatore (costo di un programma diviso l’audience
raggiunta) sarebbe stabilmente più alto per il nuovo entrante (anche ipotizzando una distribuzione
omogenea di talenti, fiuto e abilità di programmazione).
IL RUOLO DELLA PUBBLICITA’
La pubblicità è un fattore di produzione impiegato, assieme ad altri nella specifica funzione
di vendita. La sua domanda è influenzata dalla produttività del fattore
La domanda di pubblicità televisiva è più concentrata di quella di altri mezzi, ad esempio
quella dei quotidiani dove vi sono oltre 10mila clienti nella sola pubblicità nazionale. La causa di
questa concentrazione sono le soglie elevate per comunicare in televisione. Gli esperti del settore
valutano che difficilmente sia possibile effettuare una campagna pubblicitaria sulla televisione
nazionale con un budget inferiore a 3-400mila euro per l’acquisto di spazi. Inoltre la sola
produzione dello spot costa mediamente 150-200mila euro per 30 secondi di girato
Tab 3 LA RIPARTIZIONE DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICITARI PER MEZZI, 2003
tv
radio
Quotidiani periodidici esterna
Cinema
ITALIA
58%
5%
17%
17%
3%
1%
100%
SPAGNA
45%
10%
20%
15%
8%
1%
100%
FRANCIA
41%
12%
8%
23%
16%
1%
100%
GERMANIA 39%
6%
25%
27%
4%
0%
100%
GRAN
7%
25%
13%
8%
2%
100%
BRETAGNA
45%
Come si vede dalla tabella 3, in Italia la televisione rappresenta il 58% degli investimenti
pubblicitari nazionali calcolati in questo modo, ma negli altri paesi la quota della pubblicità
televisiva è comunque superiore al 40% e la televisione è ovunque il primo mezzo pubblicitario
nazionale.
La Rai, per compensare la presenza del canone, ha un affollamento più ridotto delle
emittenti commerciali sia su base oraria che su base settimanale. Secondo le disposizioni
introdotte dalla legge Gasparri l’affollamento orario è del 12% per Rai e del 18% per le emittenti
commerciali più un 2% di tolleranza allo sforamento, cui si aggiunge per le emittenti commerciali
un limite giornaliero del 15% per la pubblicità tabellare e settimanale del 5% per le telepromozioni
e le televendite. Rai invece ha un limite del settimanale del 4% comprensivo della pubblicità
tabellare e delle telepromozioni. Il limite giornaliero del 15% per le commerciali non è stringente
perché consente di compensare agevolmente il 20% di affollamento delle ore migliori del daytime e
del prime time con un affollamento notturno attorno al 10%.
GLI SPOT
Come si vede dalla tabella 4 durante il peak time i canali commerciali trasmettono circa il
doppio degli spot dei canali pubblici mentre se si prende in considerazione l’intero giorno il
rapporto è di circa 3,5 volte tra Rai1 e Canale5 mentre sale a 5,5 volte tra Rai3 e Rete4.
Tab 4 NUMERO DI SPOT NELL'INTERA GIORNATA E IN
PRIME TIME
Numero totale Numero
spot 2000
Numero
totale
spot prime
2003
2000
spot Numero
time prime time 2003\
Rai1
65,178
70,939
11,673
13,735
Rai2
57,316
58,385
7,859
9,077
Rai3
30,669
33,509
5,619
7,625
Can5
197,223
212,362
22,048
22,629
Ita1
201,350
203,964
17,943
19,119
Rete4
163,994
192,044
19,204
18,028
La7
136,314
150,941
17,043
16,285
Elaborazioni su dati Auditel
spot
I PREZZI
Nonostante gli elementi di differenziazione, il contatto scambiato sul mercato pubblicitario è
un bene relativamente omogeneo o perlomeno è considerato tale dalle aziende acquirenti. Di
conseguenza la concorrenza di prezzo è abbastanza intensa e i prezzi medi per mezzo sono
abbastanza allineati. La concorrenza di prezzo viene però mitigata da alcuni fattori rilevanti.
Innanzitutto fenomeni di vincolo alla capacità produttiva come i limiti all’affollamento
pongono un freno alla discesa dei prezzi. Vincoli asimmetrici o selettivi, come quelli differenziati
per televisioni commerciali e pubbliche favoriscono l’adozione di posizionamenti e strategie
diversificate moderando lo scontro frontale sui prezzi.
In secondo luogo il fatto che in tutti i paesi europei ci sia un numero ridotto di imprese
televisive concorrenti favorisce forme di coordinamento implicito o di collusione che limitano la
discesa dei prezzi.
In terzo luogo nei mercati pubblicitari funziona una discriminazione di prezzo di primo grado
per cui i prezzi pagati da ogni singolo cliente sono molto diversi tra loro.
Questi aspetti rendono il mercato poco trasparente e costituiscono un ulteriore freno alla
discesa dei prezzi.
L’EVOLUZIONE DEL MERCATO TELEVISIVO
la televisione FTA (free to air) rappresenta il mercato originario da cui negli ultimi decenni sono
venuti separandosi nuovi sottomercati di dimensioni crescenti, sempre più importanti, ovvero:
-
la televisione a pagamento
-
la televisione su domanda
-
la televisione via internet
Questi mercati si distinguono da quello originario in parte per una diversa modalità di
trasmissione, ma soprattutto di finanziamento, in quanto la tecnologia ha reso possibile far
pagare un prezzo all’utente per il suo ascolto, e pertanto ha consentito l’attivazione di mercati
differenziati. Tutto questo ha generato un nuovo tipo di concorrenza, che oggi si esercita più tra
piattaforme diverse che all’interno della piattaforma originaria (FTA), e reso necessari nuovi tipi
di interventi regolativi.
DALLA FTA ALLA PAY TV
Per lungo tempo, la televisione terrestre FTA ha rappresentato l’unica piattaforma trasmissiva
disponibile, identificandosi tout court con il mercato televisivo. Solo in tempi successivi
l’innovazione tecnologica ha prodotto nuovi sistemi di distribuzione (il cavo, il satellite, il digitale
terrestre, ecc.) che sono entrati a vario titolo in rapporto con il mercato originario, talvolta
favorendone lo sviluppo, come avvenuto nella fase iniziale per la televisione via cavo statunitense,
talora alterandone la fisionomia, come è avvenuto ad esempio con la transizione di parte del
palinsesto della televisione FTA alla pay-TV.
Il perno strategico sul quale si è giocata la trasformazione è stato l’estensivo ricorso
all’esclusione che, operata dal lato dei consumatori ha permesso di introdurre un prezzo d’accesso
diretto all’intrattenimento televisivo, mentre praticata dal lato dell’offerta, sia a livello tecnologico
che di contenuti, ha permesso alle imprese di creare barriere all’entrata per i concorrenti.
ANALISI CRITICA DELLA DOMANDA
Nonostante la tendenza segua una progressiva globalizzazione nel settore della televisione
free, i mercati televisivi tradizionali rimangono per ora sostanzialmente nazionali con reti di
distribuzione terrestre costruite sulla sagoma dei confini nazionali. Anche la televisione a
pagamento rimane prevalentemente nazionale sebbene vi sia una maggiore internazionalizzazione
del controllo proprietario con alcuni operatori quali, ad es. Sky.
Trasformare l’interesse dei telespettatori per i programmi in offerta pubblicitaria è risultato un
metodo efficace per organizzare l’industria dei mezzi di comunicazione e le formule di televisione a
pagamento devono scontrarsi con quest’offerta attrattiva e gratuita. Naturalmente più i gusti dei
telespettatori si specializzano più crescono gli spazi per palinsesti tematici che sono offerti in modo
più efficace dalle piattaforme a pagamento, ma si tratta di un processo lento, e non sembrano
esserci all’orizzonte mezzi pubblicitari capaci di sostituire rapidamente le grandi televisioni
generaliste.
(parte II)
CONCORRENZA E CAMBIAMENTO NEL MERCATO TELEVISIVO
IL CASO DELLA PAY-TV
Le diverse strutture industriali assunte dal settore televisivo nella sua evoluzione sono l’esito
contingente del processo d’interazione descritto e sono perciò inesorabilmente destinate a
cambiare al mutare di una o più variabili implicate.
Da questo profilo verrà studiato il mercato della televisione a pagamento, nato in contiguità con
la televisione in chiaro terrestre, la c.d. televisione free-to-air (FTA), e cresciuto nella progressiva
separazione, man mano che una varietà di impulsi ne hanno lentamente delineato una fisionomia
specifica. Benché oggi i due mercati siano percepiti e trattati come distinti - come evidenziato da
alcuni casi antitrust europei -, esiste una storia comune, una sorta di filo rosso, che ha avvicinato e
allontanato i due settori nelle varie fasi del cambiamento. Tale processo, ragionevolmente,
continuerà ad operare in futuro cosicché nessuna configurazione può essere considerata come
definitiva.
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Il cavo e la trasformazione della distribuzione: il caso statunitense
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Contenuti, diritti ed esclusiva: il caso europeo
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Elementi distintivi del processo concorrenziale
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La lezione della pay-TV: esclusione e concorrenza
TEMI APERTI
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problemi della tutela del pluralismo e dell’ampia circolazione d’informazioni e conoscenza,
rilevanti per garantire ai cittadini la piena partecipazione ad una società democratica
(Gambaro e Silva, 1992; Pace e Manetti, 2006), oggi si legano in modo intricato con le
questioni della tutela della concorrenza e della promozione dell’innovazione.
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La penetrazione delle piattaforme digitali, caratterizzate da minori limitazioni in termini di
capacità trasmissiva, può determinare inoltre un aumento dell’ampiezza della scelta per i
consumatori che si traduce in un aumento della loro disponibilità a pagare per l’accesso a
contenuti che meglio rispondono alle proprie preferenze. Quindi vi è non solo un aumento
della domanda di mercato in generale, ma anche della domanda rivolta a mercati di
nicchia. Si affermano dunque nuove potenzialità e ciò dovrebbe favorire ulteriormente una
maggiore pressione concorrenziale.
- Nonostante l’innovazione tecnologica garantisca spazi trasmissivi sempre più numerosi, la
presenza di operatori dominanti in uno o più mercati, l’assenza di un quadro regolatorio
ottimale e l’eventuale adozione di pratiche escludenti possono complessivamente limitare
l’accesso al mercato di nuovi operatori e rallentare o distorcere il processo innovativo,
annullandone i potenziali effetti positivi.
Tre operatori coprono da soli ancora quasi il 92% dei ricavi totali, mentre le altre imprese si
contendono per ora quote marginali del mercato, operando tramite piattaforme distinte e,
per ora, non concorrenti in modo sostanziale.
IL RUOLO DELLE REGOLE
È del tutto evidente che in questa prospettiva un ruolo fondamentale è giocato dal mondo delle
regole, da sempre protagonista non solo nel definire i margini istituzionali nei quali gli operatori
devono operare, ma anche nell’indirizzare, secondo i vincoli o gli incentivi prodotti, il
cambiamento del mercato verso specifiche configurazioni, al punto da divenire, almeno nella
prospettiva di lungo periodo, una delle variabili concorrenziali, come eloquentemente
testimoniato da un articolo apparso recentemente su un quotidiano che titola “guerra di regole
per la TV a pagamento” (Grazzini, 2007).
Il processo di convergenza in corso costringe il legislatore e le autorità di regolazione settoriale
a ridefinire un chiaro quadro di regole che permetta l’avvento di mercati concorrenziali e
dunque di una pluralità di operatori senza al contempo ridurre gli incentivi alla innovazione
tecnologica.
fruitori in consumatori ‘personalizzati’ e paganti, capaci cioè di scegliere il contenuto al quale
accedere, il tempo di fruizione e il prezzo al quale sono disposti ad acquistarlo.
GLI INTERVENTI
La definizione dei mercati rilevanti - Un primo tema riguarda la definizione dei modelli di
business e dei mercati rilevanti conseguente al processo di convergenza tecnologica.
La revisione dei vincoli regolatori - Nella maggior parte dei paesi industrializzati, la televisione
FTA è soggetta a precisi vincoli regolatori volti a ridurre le barriere all’entrata e a garantire
concorrenza e pluralismo (esterno), unitamente all’adozione di misure finalizzate a promuovere la
diversità dei contenuti accessibili (pluralismo interno).
Il governo della transizione tecnologica – Si pone cioè il tema della opportunità della definizione
di misure asimmetriche di governo della transizione alle nuove piattaforme e ai nuovi modelli di
business volte a garantire l’accesso di nuove piattaforme trasmissive alternative in diretta
concorrenza con gli operatori dominanti nelle piattaforme tradizionali.
Il coordinamento delle politiche regolatorie si pone il tema di fornire un quadro regolatorio unico
che disciplini coerentemente tutte le fasi della filiera produttiva televisiva, da un lato eliminando gli
oneri amministrativi per le imprese e dall’altro incoraggiando l’ingresso di operatori efficienti a tutti i
livelli della filiera.
La relazione tra innovazione tecnologica e innovazione regolatoria – il tema di promuovere
una virtuosa complementarietà, sincronica e diacronica, tra innovazione tecnologica e innovazione
regolatoria, in ragione della quale misure asimmetriche e pro-concorrenziali abbiano un’
estensione temporale tale da garantire nel medio-lungo periodo maggiore libertà di scelta e
riduzione dei prezzi e/o incremento della qualità fruita.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Le questioni sollevate difficilmente permettono risposte certe e immutabili, giacché il
processo evolutivo descritto le rende tutte imperfette e rapidamente obsolete. La dinamica che
caratterizza il settore in esame, infatti, limita in buona misura la validità di soluzioni ‘statiche’, volte
plasmarlo in modo preciso e predeterminato o cristallizzarlo in un dato assetto.
Inoltre, non esiste un percorso “ottimale” o anche solo “standard”, né esistono ricette
comuni. Ogni paese declina a modo suo, sulla base della propria storia e per effetto dei vari
interessi in gioco, un percorso su cui appunto convergono e si declinano in modo differenziato le
forze dell’economia, della tecnologia e delle regole.
Perciò, la risposta più seria in termini di policy pare essere quella che suggerisce di tutelare
il ‘processo’ piuttosto che il ‘prodotto.
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