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Indicazioni dei bisfosfonati ed effetti sulla salute orale
Intervista a Massimo Del Fabbro
O
Dott. Del Fabbro, ci può spiegare che cosa sono i bisfosfonati e qual è il loro meccanismo di
azione?
I bisfosfonati sono composti chimici analoghi del pirofosfato inorganico, in grado di inibire il
riassorbimento osseo. Essi hanno affinità per il calcio e l’idrossiapatite, e si legano nei siti ossei in fase
di riassorbimento, ove la sostanza inorganica è maggiormente esposta. Il tipo di gruppi chimici legati
alla struttura base influenza l’affinità per l’idrossiapatite e il tempo di permanenza in situ (emivita), ossia
la durata di azione. Alcuni di essi vengono incorporati nello scheletro e vi rimangono per parecchi anni;
l’emivita dell’alendronato ad es. è di oltre 10 anni.
Gli aminobisfosfonati (alendronato, risedronato, pamidronato, zoledronato, ibandronato) sono
composti di ultima generazione, caratterizzati dalla presenza di azoto nelle catene laterali, che ne
aumenta potenza e affinità per l’osso, prolungandone l’effetto.
L’azione principale dei bisfosfonati è sugli osteoclasti: riducono la loro azione di degradazione della
matrice ossea, ne promuovono l’apoptosi, ne prevengono la formazione a partire dai precursori
ematopoietici, ne inibiscono il reclutamento, e inducono gli osteoblasti a produrre fattori inibenti
l’attività degli osteoclasti.
I bisfosfonati producono un rallentamento globale del turnover osseo, fino a sopprimerlo in caso di
utilizzo prolungato. Ciò riduce drasticamente la capacità di rimaneggiare in modo dinamico la struttura
ossea e di riparare eventuali traumi o microfratture. Inoltre a lungo termine influenzano l’architettura
scheletrica rendendo l’osso più mineralizzato e duro, e quindi più fragile e a rischio di fratture. Infine
essi inibiscono l’angiogenesi, riducendo la capacità proliferativa delle cellule endoteliali e inducendone
l’apoptosi.
Occorre pertanto soppesare attentamente i loro enormi benefìci nei confronti di alcune patologie, con i
loro potenziali effetti indesiderati dovuti alla soppressione del metabolismo osseo.
A
d
O
Quali sono le indicazioni terapeutiche dei bisfosfonati?
Essi hanno importanti indicazioni cliniche. Sono utilizzati con successo, specie l’alendronato, nella
prevenzione e trattamento dell’osteoporosi senile e indotta da corticosteroidi, riducendo incidenza e
severità delle fratture. Nella malattia di Paget migliorano morfologia ossea e sintomatologia dolorosa.
Sono anche utilizzati per il controllo dell’ipercalcemia associata a vari tipi di tumori solidi (prostata,
polmone, mammella) che possono dare metastasi ossee, riducendo il dolore e prevenendo lesioni
osteolitiche e fratture. Nel mieloma multiplo infine sono indicati per ridurre incidenza e gravità di
patologie ossee associate, come fratture vertebrali.
Alcuni bisfosfonati (alendronato, risedronato, ibandronato, etidronato) sono utilizzati per os, altri sono
somministrati intravena (zoledronato, pamidronato). I primi sono potenti inibitori degli osteoclasti,
indicati nella cura dell’osteoporosi ma meno efficienti per complicanze ossee associate a tumori. I
bisfosfonati per via sistemica sono invece più indicati in pazienti con metastasi ossee, mieloma
multiplo, malattia di Paget, e spesso vengono somministrati in associazione con chemioterapia,
radioterapia, o corticosteroidi.
R
Negli ultimi tempi si è parlato molto dei bisfosfonati in relazione ai loro effetti nocivi sulla
salute orale. Che cosa può dirci a riguardo?
O
Negli ultimi anni c’è stata una crescita esponenziale di testimonianze cliniche, che riportavano
l’insorgenza di osteonecrosi (necrosi ossea avascolare) dei mascellari in pazienti sottoposti a trattamento
con bisfosfonati. Si tratta di una lesione con caratteristiche istopatologiche simili alla osteoradionecrosi,
una frequente complicazione della radioterapia. Può rimanere asintomatica per mesi, e porta ad
esposizione di porzioni ossee, associata o meno a dolore. In base ad un’analisi della letteratura recente è
possibile identificare aspetti comuni tra i pazienti affetti da osteonecrosi dei mascellari, che possano
spiegare e possibilmente prevenirne l’insorgenza. Si è trovato innanzitutto che la quasi totalità dei
pazienti (circa 400, in una trentina di articoli) è stata trattata con amino-bisfosfonati intravena, come
pamidronato ed zoledronato (più di rado alendronato).
Non sono invece mai stati riportati casi di osteonecrosi nei pazienti trattati con clodronato. L’85% dei
pazienti era affetto da mieloma multiplo o cancro al seno con metastasi. Il 60% dei casi è insorto in
seguito ad un’estrazione dentale o un altro tipo di chirurgia dento-alveolare, e il 40% spontaneamente,
spesso in pazienti con dentiere o vari tipi di protesi, o a livello di esostosi ossee, siti facilmente soggetti
a traumi locali.
I principali fattori predisponenti l’insorgenza di osteonecrosi dei mascellari sembrano essere il tipo e la
dose totale di bisfosfonati, e una storia di traumi locali, chirurgia orale, o infezioni dentali. E’ da notare
che le dosi per indicazioni oncologiche sono spesso oltre 10 volte superiori a quelle indicate per
osteoporosi, e la terapia sovente si prolunga per vari anni. Il rischio di osteonecrosi dei mascellari è
sostanzialmente maggiore in pazienti trattati con zoledronato o pamidronato e aumenta nel tempo,
probabilmente a causa dell’elevata emivita di tali farmaci. Il rallentamento complessivo del turnover
osseo indotto dai bisfosfonati associato ad inibizione dell’angiogenesi può ridurre la capacità di
guarigione a livello di micro- e macro-traumi o siti chirurgici, facilitando l’insorgenza di fenomeni di
necrosi locale.
A
d
Come mai l’osteonecrosi indotta dai bisfosfonati colpisce prevalentemente le ossa mascellari?
Ci sono delle teorie?
O
Una ipotesi è che i bisfosfonati si accumulino preferibilmente nelle ossa mascellari a causa
dell’abbondante vascolarizzazione e dell’elevato turnover osseo correlato alla cospicua attività
funzionale e alla presenza dei denti. Inoltre, le patologie dentali sono frequenti e quindi vi è spesso
necessità di trattamenti odontoiatrici che possono coinvolgere il sottile strato di mucosa e periostio che
riveste le ossa mascellari. Tale barriera è alquanto fragile e soggetta a traumatismi di vario genere. In
presenza di un osso ipodinamico, come nei pazienti in terapia con bisfosfonati, traumi a livello del
periostio possono generare fenomeni di osteonecrosi in pazienti predisposti, come coloro che hanno
dentiere o protesi, o in pazienti con notevoli esostosi.
Inoltre, i denti sono assai soggetti a colonizzazione batterica, con possibilità di sviluppare infezioni che,
a causa della contiguità del legamento parodontale con l’osso alveolare, possono facilmente propagarsi
nell’osso circostante. Mantenere un buon turnover osseo è essenziale per conservare la vitalità dell’osso
e la capacità di contrastare prontamente ogni causa di potenziale danno alla sua struttura. L’abilità di
rimuovere tessuto necrotico o danneggiato e la rapida ed efficiente sostituzione con osso neoformato
sono proprietà fondamentali. Se la funzione degli osteoclasti è severamente compromessa, anche gli
osteociti non vengono rimpiazzati e la rete capillare ossea non si mantiene efficiente, permettendo che
si realizzino condizioni favorevoli all’insorgere della necrosi ossea avascolare.
R
Quali raccomandazioni si potrebbero dare per limitare l’insorgenza di osteonecrosi dei
mascellari?
O
Sono state recentemente formulate diverse linee guida e protocolli che concordano su molti punti.
Innanzitutto bisognerebbe distinguere tra chi non ha ancora iniziato la cura con bisfosfonati, e chi
invece è già in terapia. Nel primo caso, in via preventiva, va eliminato ogni possibile focolaio di
infezione dentale per ridurre il rischio di infezioni future e la necessità di chirurgie dento-alveolari come
estrazioni dentali. Terzi molari inclusi, elementi non restaurabili o con parodontite severa vanno
rimossi. Tutte le carie vanno curate, le terapie endodontiche eseguite, e l’igiene orale va incoraggiata in
modo sistematico. Se i trattamenti dentali possono essere ultimati entro 1-2 mesi non è necessario
ritardare l’inizio della terapia. I pazienti già in terapia andrebbero valutati caso per caso. Quelli che
ricevono bisfosfonati per indicazioni oncologiche da oltre 6 mesi sono i casi più a rischio.
Se possibile, sono da preferire soluzioni conservative alle procedure chirurgiche, sotto appropriata
copertura antibiotica. Se non fosse possibile evitare estrazioni e altri interventi di chirurgia orale,
minimizzare la manipolazione ossea e seguire il caso frequentemente nei primi mesi per accertarsi della
corretta guarigione. In pazienti che già presentano osteonecrosi, la regione necrotica andrebbe rimossa
con grande cautela, evitando traumi addizionali ai tessuti duri e molli adiacenti. Sono da evitare nel
modo più assoluto ampie resezioni delle zone necrotiche.
Si prescrivono sciacqui orali con clorexidina, analgesici se necessari, e terapia antibiotica sistemica. In
questi ultimi casi si può suggerire di interrompere per alcune settimane la terapia con bisfosfonati fino
alla guarigione del sito con osteonecrosi, almeno per limitare l’effetto anti-angiogenetico su tessuti molli
e periostio.
A
d
Quali sono le future possibili linee di ricerca per fare maggior luce su questo fenomeno?
Le attuali testimonianze relative all’osteonecrosi da bisfosfonati si basano su studi con modesto livello
di evidenza, case reports e case series. E’ necessario progettare ed eseguire studi clinici prospettici con
elevato livello di evidenza per determinare in modo più preciso il peso eventuale di altri fattori di
rischio quali età, sesso, assunzione di farmaci concomitanti, condizioni mediche pre-esistenti,
suscettibilità genetica. E’ necessario anche stabilire se modificazioni del dosaggio iniziale possano
ridurre l’incidenza dell’osteonecrosi mantenendo l’enorme beneficio di questa categoria di farmaci. Ad
esempio una volta che la condizione del paziente si è stabilizzata, nella fase di mantenimento, farmaci
con minore potenza, possibilmente non amino-bisfosfonati, forse potrebbero essere sostituiti ai farmaci
più potenti utilizzati in fase iniziale.
Il frequente monitoraggio di markers del turnover osseo potrebbe essere di utilità ai clinici, per
riconoscere ed evitare una eccessiva soppressione del metabolismo osseo. Bisognerebbe anche stabilire
criteri diagnostici precisi (biochimici, radiologici, clinici) per una precoce identificazione di
modificazioni che possano precedere o predire l’insorgenza di esposizioni ossee tipiche
dell’osteonecrosi dei mascellari. Infine, bisognerebbe effettuare studi clinici rigorosi per determinare le
linee guida e i protocolli di trattamento più efficaci per i pazienti affetti da questa gravosa condizione.
O
R
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