1 - Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio

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3. UNITÀ DIDATTICA ELABORATA DALLE
MICHELA MERO, ZELINDA DI BATTISTA
CORSISTE
GIUSEPPINA COTRONEO,
TITOLO
I moti celesti e i moti terrestri
DOCENTI COINVOLTI
Zelinda Di Battista (Italiano – Latino)
Giuseppina Cotroneo (Matematica – Fisica)
Michelina Mero (Matematica – Fisica)
DISCIPLINE/AMBITI
Italiano, Latino, Filosofia, Matematica, Fisica
FASCIA SCOLARE
Classe IV Liceo Scientifico
Obiettivi Generali
I Criteri di selezione adottati dai docenti delle Materie coinvolte per la scelta dei contenuti
disciplinari hanno tenuto presente i seguenti criteri:
 motivare le scelte didattiche in funzione del significato che possono assumere oggi per i
giovani in generale e per studenti di Liceo Scientifico in particolare
 dare la priorità ai testi ed alle esperienze scientifiche, “montandoli” in funzione delle
scoperte da compiere
 tenere fissi i moduli storico-culturali e su di essi innestare il Tema scelto
 scegliere i contenuti disciplinari e le forme di fruizione (dal testo al Film al CD) di tipologie
diverse, per dare agli studenti un’idea della pluralità di approcci possibili al tema affrontato.
Area Umanistica:

Storicizzare il tema, comprendendone la funzione nell’immaginario collettivo e nei modelli culturali di
un’epoca;

Comprendere analogie e differenze tra opere, fatti, fenomeni tematicamente confrontabili;

Riconoscere la continuità di elementi tematici e culturali attraverso il tempo e la loro persistenza nei
prodotti della cultura recente, anche di massa.
Area Scientifica:

Migliorare le proprie capacità di astrazione, attraverso l’uso di modelli matematici sempre più generali;

saper vagliare le informazioni ricevute e distinguere quelle essenziali da quelle superflue, attraverso
l’analisi dei dati di un problema;

comprendere che la scienza si costruisce poco a poco sulla base delle conoscenze precedenti, nel
tentativo di correggere le incongruenze che inevitabilmente si presentano e che pertanto anche gli errori
sono costruttivi , a patto di non avere”certezze” e di essere pronti a mettere in discussione le proprie
idee.
Finalità educative

Favorire la formazione di quelle mentalità aperte che sappiano guardare il mondo nella sua complessità
di fattori non solo scientifici e sappiano cogliere le profonde interrelazioni che corrono tra i tanti aspetti
del presente, attraverso uno studio interdisciplinare in cui si trovi ad esser superato la contrapposizione
tra umanesimo e scienza e da cui l’alunno impari a cogliere i nessi tra le varie discipline;

sviluppare quel processo di formazione umana potenziando le capacità di socializzazione e di
integrazione dell’individuo nell’ambiente attraverso una conoscenza “materiale” e “formale2 della realtà,
cipoè del valore umano, morale, personale che tali realtàincludonoe nella quale la persona può
esprimersi.
Di qui, la condivisione degli obiettivi didattici, delle finalità, del metodo di analisi utilizzati dagli
insegnanti coinvolti, condivisione che dovrà portare la classe a realizzare come risultato concreto
un Lavoro di Ricerca.
Obiettivi Specifici
Area Umanistica:

riconoscere analogie tematiche tra i Fenomeni del passato ed i prodotti della cultura attuale;

comprendere l’intreccio di fattori individuali e sociali nella formazione di uno scrittore, un periodo
letterario, un fenomeno culturale e riconoscerne le eventuali fasi evolutive;

stabilire un rapporto fra opera e intenzioni di poetica attraverso la lettura diretta e critica dei Testi;

orientarsi nel rapporto tra influenze della tradizione e originalità;

sviluppare il gusto della lettura;

applicare analisi tematiche, stilistiche e narratologiche;

collocare un’opera nel contesto storico-culturale;

saper formulare un giudizio motivato in base al gusto personale o a un’interpretazione storico-critica.
In particolare:

elaborare una procedura valida che guidi gli studenti alla interpretazione del testo scientifico;

abituare gli studenti allo studio del lessico per:
o
individuare il valore semantico generale delle parole
o
individuare le parole – chiave della Cultura Scientifica Latina ed Italiana
o
istituire relazioni tra la dimensione letteraria di un fenomeno e altre espressioni artistiche e
culturali
Area Scientifica:

consapevolezza che la fisica costruisce modelli capaci di descrivere al meglio la realtà, ma che ogni
modello ha dei limiti di cui è necessario tener conto;

capacità di utilizzare conoscenze matematiche per risolvere problemi di fisica;

organicità nell’acquisizione dei contenuti;

consapevolezza dello stretto legame tra fisica e astronomia , con particolare riguardo al moto dei pianeti
nel sistema solare;

consapevolezzadello stretto legame tra fisica e cosmologia , con particolare riguardo alle previsioni del
futuro dell’universo;

saper operare correttamente con gli strumenti concettuali e con le grandezze fisiche adatte alla
descrizione del moto di un corpo;

acquisire i passi fondamentali che condussero dalla visione di un Universo geocentrico ad un Universo
eliocentrico;

saper descrivere i contributi di Brahe, Galileo nell’affermazione del sistema copernicano;

comprendere il significato della legge di gravitazione universale di Newton;

saper applicare la legge di gravitazione universale alla soluzione di alcuni problemi relativi ai pianeti e ai
satelliti;Acquisire nuove tecniche di laboratorio, sfruttando le potenzialità dei mezi informatici;

informazioni sulle attuali prospettive di ricerca.
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Prerequisiti
Per poter sviluppare l’Unità Didattica, la classe deve essere in possesso dei seguenti pre-requisiti:
Area Umanistica:

saper stabilire il rapporto tra caratteri del genere e attese del pubblico;

saper riconoscere persistenze e variazioni , tematiche e formali, del tema attraverso il tempo e lo spazio;

saper inquadrare cronologicamente Autori e Correnti principali;

saper cogliere le linee fondamentali della Storia letteraria nella sua prospettiva storica;

saper usare le regole morfo-sintattiche latine per la comprensione e traduzione di un Testo.
Area Scientifica:

conoscere le tecniche di soluzione di equazioni e sistemi di primo, secondo e di grado superiore;

saper rappresentare ,leggere ed interpretare un grafico di funzioni che esprimono la dipendenza di
grandezze fisiche;

possedere il concetto di vettore, saper operare con le operazioni, scomposizioni di vettori;

possedere anche se a livello intuitivo il concetto di “passaggio al limite” e di “istantaneo”;

conoscere le tre leggi della dinamica;

conoscere il concetto do momento angolare;

conoscere le leggi del moto circolare uniforme.
Argomenti principali
LATINO
Il latino come Lingua universale della Comunicazione Scientifica: dal significato delle parole
all’elaborazione dei concetti.

La terminologia scientifica desunta dal Lessico latino; la Storia delle parole come: habitat, video, audio,
missile, automobile, legge gravitazionale, ecc.

Perché nel mondo della Scienza e della Tecnica si preferisce coniare parole dalle Lingue “morte”, come
il Greco ed il Latino?
Storia Letteraria ed Antologia di Autori Classici:


Breve storia della Scienza antica.
o
L’Epistème e la Techne come sinonimi nell’attività dello scienziato-filosofo.
o
L’Età Ellenistica e la progressiva separazione tra le Scienze esatte e la Filosofia.
o
La Nascita del Museo e della Biblioteca di Alessandria.
Caratteristiche della Cultura scientifica latina e sua dipendenza da quella greca.
o

Aspetto “pratico” della cultura scientifica latina. Due esempi: Catone il Censore
Reatino.
Varrone
Un primo esempio di atteggiamento (pre) scientifico: Lucrezio
o
Valutazione oggettiva e razionale dei dati dell’esperienza e costruzione di modelli in grado di
spiegare i fenomeni. ( De rerum Natura I, vv. 265 – 279 e 298 – 328)
o
Nulla si crea e nulla si distrugge ( De rerum Natura I, vv. 146 – 214 e 215 – 264) Confronto
con il Principio di Conservazione della materia.
o
Il tempo di caduta di un oggetto non dipende dalla sua massa (De Rerum Natura, II, vv. 230
– 239) Confronto con la Teoria di Galileo.
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
Seneca: la consapevolezza dell’esistenza di forze di attrazione reciproca dei corpi celesti
o

Naturales Quaestiones, VII, 1, 3,; 2,3; 25,1,2, 6. Confronto con la Legge di Gravitazione
Universale.
Vitruvio: descrizione di uno strumento: il Contachilometri
o
De Architectura, X, 9, 1-5

Il Medioevo: il modo di pensare “segnico” della Scienza medioevale

Bernardo da Chiaravalle ed il comportamento “Scientifico” nel Medioevo
o



Sententiae, I, 19
Bonaventura da Bagnoregio: per operare “scientificamente” è necessario un corretto atteggiamento
mentale
o
Itinerarium mentis in Deum. Prologo
o
Lo Scienziato deve riflettere sui meccanicismi che gli permettono di operare
o
Itinerarium mentis in deum, cap. III
Niccolò Copernico e la Scienza Moderna
o
“De Revolutionibus Orbium Caelestium”. Analisi linguistica e tematica del Titolo e dei termini
Revolutio – Orbis - Caelestis . Loro significato nel Presente.
o
Sulla sfericità del mondo e della terra, Op. Cit., I, 1; II
Galileo Galilei e la Rivoluzione Scientifica
o
Sidereus Nuncius: Il Cannocchiale.
ITALIANO
Dante astronomo e cosmologo

Passi del Convivio e della Divina Commedia.
Galileo Galilei: il Metodo scientifico applicato alla Letteratura

Due Lezioni all’Accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante (1588).

Il Nuovo linguaggio della Scienza: la scelta del volgare.

Le lettere copernicane.
MATEMATICA E FISICA
I moti terrestri e i moti celesti da Galileo a Newton
“..la filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto inanzi agli occi ( io
dico l’universo) ma non si può intendere se prima non si impara a intendere la lingua e conoscere i caratteri,
nei qiuali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi e altre figure
geometriche , senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un
aggirarsi vanamente in un oscuro labirinto” (Galileo – Il Saggiatore )
Il Metodo scientifico: “La via delle certe dimostrazioni”
Galileo capi l’importanza dello strumento come mezzo di potenziamento della propria capacità
osservativa, per questo accostò allo strumento matematico lo strumento scientifico. Da questo
accostamento nacque in G. lo studio razionale di fenomeni e problemi particolari che lo strumento
matematico elaborava nella mente e lo strumento scientifico verificava nella officina.Egli mutò la
scelta degli obiettivi : la ricerca scientifica consiste essenzialmente nella definizione e nella
descrizione quantitativa di fenomeni particolari, prescindendo dalla soluzione di problemi troppo
ampi e dalla ricerca delle cause. A differenza di Aristotele che aveva tentato di spiegare il “perché”
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dell’avvenimento fenomenico, G. abbandonò l’aspirazione alla conoscenza causale proponendo di
sostituirla con una descrizione quantitativa.Scopo del “metodo” diventa quello di collegare la
definizione astratta con le proprietà naturali: bisogna conoscere le leggi naturali e prevederne i
comportamenti sulla base di una corrispondenza tra legge e dato sperimentale. Il metodo galileiano
può essere sintetizzato nei seguenti punti:

osservazione dei fenomeni naturali , dalla quale si può formulare un’ipotesi universale; l’osservazione (la
"sensata esperienza" di Galileo);

la descrizione del fenomeno;

la formulazione di un’ipotesi che si riferisce alle osservazioni (che Galileo chiama "Assioma tal modo è
possibile eliminare le ipotesi false o dare consistenza a quelle vere;

l’esperimento che dovrebbe convalidare o confutare l’ipotesi (il "cimento sperimentale")

la tesi, legge che esprime i risultati ottenuti.
Nel primo passo il fisico coglie gli aspetti salienti del fenomeno che permettono di descriverlo
schematizzandolo. Ovviamente non e' possibile descrivere qualsiasi processo senza riferirsi
all’intuito, all’esperienza e alla sensibilita' dello sperimentatore.La seconda fase consiste
generalmente nel formulare una legge matematica che si accordi il piu' possibile con le osservazioni
sperimentali.Il passaggio dalla prima alla seconda fase e' un'inferenza induttiva, per cui da
un’insieme di osservazioni particolari si giunge ad una affermazione generale.Il passo successivo e'
quello che consiste nel ricavare il maggior numero di conseguenze, e percio' di previsioni, a partire
dalle ipotesi. Questa fase, che consiste in una inferenza deduttiva, si avvale del supporto della
matematica. Lo sforzo di deduzione si accompagna anche a quello di sistemazione. La quarta fase e'
quella della verifica sperimentale , in quanto si accetta il principio che, se una legge fisica e' vera,
tutte le conseguenze che da essa si possono dedurre matematicamente devono essere confermate
dall’esperienza entro i limiti dell’incertezza delle misure.Il presupposto che sottende la fase
dell’esperimento e' che questo, se ripetuto nelle stesse condizioni, fornira' gli stessi risultati. Cio'
permette di confrontare i risultati in laboratori diversi, di ripetere quante volte si vuole
l’esperimento per migliorare la precisione dei risultati. La fisica “ideale” di Galileo è una forma di
conoscenza , che trascura volutamente certi aspetti del mondo particolare –empirico per valorizzare
acquisizioni e traguardi di ordine universale,astratto,suscettibili di essere formalizzati e tali da
consentire a loro riguardo l’enunciazione di leggi rigorose.
I moti terrestri : Un esempio di fisica ideale è l’indagine sulla caduta dei gravi
…”i mobili grandi e i piccoli ancora , essendo della medesima gravità in spezie, si muovono con pari
velocità”.
Galileo non fu il primo a studiare il moto dei corpi, infatti Aristotele fu il primo a studiare i moti
terrestri in modo sistematico.Secondo Questi “tutto ciò che si muove è mosso da qualcos’altro”.
Egli distingueva tra “moti violenti” e” moti naturali”e per qualunque tipo di moti diede una
spiegazione generale : la legge di Aristotele che si può così esprimere “La velocità di un corpo è
direttamente proporzionale alla forza che lo fa muovere e inversamente proporzionale alla
resistenza del mezzo in cui ha luogo il movimento”. Non stupisce che queste conclusioni
determinarono il successo della fisica aristotelica in quanto riportando ciò che scrisse il Duhem
“questa dinamica sembra adattarsi così bene alle osservazioni comuni che non poteva mancare di
imporsi immediatamente a coloro che per primi avessero riflettuto sulle forze e sui moti.”Solo
intorno alla metà del XIVsecolo Buridano criticò le ipotesi di Aristotele sul ruolo dell’aria nel moto
violento di un corpo pesante .Egli propose una nuova teoria secondo la quale un corpo può eseguire
un moto violento in quanto riceve dal suo lanciatore una “virtù motrice” interna chiamata impetus.
Questa non rimaneva però perennemente legata al corpo ma veniva consumata via via dalla
resistenza del mezzo in cui il corpo si muoveva. Anche nella teoria di Buridano rimanevano il
carattere qualitativo della descrizione aristotelica e termini e concetti che esprimevano uno stretto
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legame tra l’osservazione dei fenomeni e principi filosofici Il primo Galileo affronta la teoria
dell’impetus. Secondo G. quando una pietra sale verso l’alto , insieme al suo peso , che le è proprio,
ha acquisito anche una leggerezza , che inizialmente prevale sulla pesantezza è tale “leggerezza
accidentale” che rende possibile il moto.Ma è nelle opere della maturità che Galileo assume un
atteggiamento antiaristotelico dovuto alla scoperta dell’assoluta infondatezza delle teorie
peripatetiche sul moto , che ricercavano la causa fisica del movimento nella tendenza a raggiungere
i “loci naturali”.
“…..moto eguale o uniforme intendo quello in cui gli spazi percorsi da un mobile in tempi uguali, comunque
presi, risultano tra loro uguali…” (da le Nuove scienze )
Nel brano tratto da Le Due Nuove Scienze, G. parla del moto dei corpi in caduta libera. Egli
comincia con l’esaminare da un punto di vista matematico le caratteristiche di un moto possibile e
particolarmente semplice (quello che oggi chiamiamo moto uniformemente accelerato), e quindi
avanza l’ipotesi che in realtà il moto di caduta dei corpi pesanti sia proprio di questo tipo. Utilizza
poi questa ipotesi per prevedere il comportamento di una sfera che rotola lungo un piano inclinato e
infine dimostra che gli esperimenti confermano queste previsioni . Galileo ha introdotto due distinte
affermazioni:

si ha un’accelerazione costante quando si verificano uguali incrementi di velocità v in uguali intervalli di
tempo t ;

nella realtà gli oggetti cadono proprio secondo questa legge.
Osserviamo più attentamente la definizione proposta da Galileo. Quello che abbiamo appena
esposto non è affatto l’unico modo possibile per definire un’accelerazione costante: Galileo stesso
afferma di avere, in un primo tempo, ritenuto opportuno l’uso del termine "accelerazione costante"
nel caso di un moto in cui la variazione di velocità è proporzionale allo spazio percorso, s, invece
che al tempo percorso t. Entrambe le definizioni possedevano quella semplicità che Galileo
riteneva necessaria (e in realtà entrambe erano state discusse fin dagli inizi del XIV sec.); inoltre,
entrambe corrispondono abbastanza bene alla nostra idea intuitiva di accelerazione. Nel linguaggio
comune, affermare che un corpo sta "accelerando", può significare sia che "la velocità cresce
quando aumenta lo spazio percorso", sia che "la velocità cresce col passare del tempo". Come
possiamo scegliere una di queste definizioni e decidere quale sarà più utile nella descrizione della
natura? Il dilemma può essere risolto solo da una verifica sperimentale. Galileo scelse di dare il
nome di moto uniformemente accelerato a quello in cui la variazione di velocità v è proporzionale
al tempo trascorso t, per poi dimostrare che gli oggetti reali, sia in laboratorio sia nell’ esperienza
quotidiana, non "manipolata", si comportano in questo modo. Galileo aveva definito la
accelerazione costante in modo che corrispondesse alla sua ipotesi sul moto degli oggetti in caduta
libera; doveva ora trovare un modo per dimostrare che da essa era possibile ricavare una descrizione
del moto dei corpi che effettivamente osserviamo.
Supponiamo di far cadere un oggetto pesante da altezze diverse e di voler controllare se la velocità
finale è proporzionale al tempo di caduta, cioè se v  t o, in altre parole, se v/t è costante. In
ogni esperimento dovremo misurare il tempo impiegato e determinare la velocità dell’oggetto
immediatamente prima che tocchi il suolo.Ci si potrebbe chiedere quale misura si riferisca davvero
al tempo. Gli orologi antichi facevano affidamento sulle ombre del sole (misuravano quindi delle
posizioni),oppure contavano sull’acqua raccolta in una bacinella (misure di volume o di peso)o
l’uso delle clessidre (ancora misure di volume relative alla sabbia).Gli orologi meccanici
misuravano in realtà angoli ,distanze,ed altre quantità che potevano indicare il tempo,ma non
misurarlo.La realtà è che il tempo è un concetto astratto e non una grandezza fisica.E’ la nostra
soggettiva percezione del cambiamento che genera il tempo.Naturalmente si è giunti a
formalizzare questa “esperienza soggettiva” in una grandezza oggettiva. Purtroppo, ancora oggi
sarebbe molto difficile misurare direttamente la velocità di un oggetto che sta per toccare terra; non
solo, ma anche i tempi di caduta erano troppo piccoli perchè Galileo potesse misurarli
accuratamente con gli orologi a sua disposizione.Egli quindi non era in grado di controllare in
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maniera diretta se v/t fosse costante. L’impossibilità di verificare con esperienze dirette la sua
ipotesi cioè che  v/ t è costante durante una caduta libera, non fermò Galileo: egli cercò allora,
con l’aiuto di metodi matematici, di ricavare dalla sua ipotesi qualche altra relazione che potesse
essere controllata con gli strumenti a sua disposizione. E' chiaro che è più semplice misurare il
tempo e lo spazio relativi a tutta la caduta che non i piccoli intervalli s e t, necessari per calcolare
la velocità finale. Quindi Galileo cercò di dedurre logicamente dalla sua ipotesi, cioè che
l’accelerazione fosse costante, una relazione tra l’altezza totale di caduta e il tempo impiegato.
Conosciamo già una relazione tra queste due quantità per un moto con velocità costante. Prima di
tutto ricordiamo che la velocità media è stata definita come il rapporto tra lo spazio percorso s e il
tempo t impiegato a percorrerlo:
Vm =s/t
Questa è una definizione generale, e non ha importanza che s e t siano grandi o piccoli. Possiamo
riscriverla in questo modo:
s = vmt
Se la velocità fosse costante, la velocità media sarebbe uguale a v e quindi s = v t; conoscendo v
potremmo calcolare lo spazio percorso in un dato intervallo di tempo. Ma in un moto
uniformemente accelerato la velocità cambia continuamente: che valore possiamo usare per la
velocità media? Galileo arrivò a concludere che, se una quantità varia uniformemente il suo valore
medio è a metà tra il valore iniziale e quello finale. Per un corpo inizialmente fermo che si muove di
moto uniformemente accelerato fino a raggiungere una velocità v, la velocità media sarà ½ v . Se
questo ragionamento è giusto, per un moto uniformemente accelerato con velocità iniziale nulla si
avrà :
s= ½ v t
Nemmeno questa relazione può essere controllata direttamente, perché contiene la velocità :
dobbiamo ottenere una relazione tra il tempo totale e la distanza totale, in cui non sia necessario
misurare la velocità . Consideriamo la definizione di accelerazione data da Galileo : a =v/t, che
può essere riscritta come v = a t. Ma v non è altro che v se il moto inizia dalla quiete. Possiamo
quindi scrivere:
s=1/2 vt = ½a(t)2
Questa è proprio la relazione cercata da Galileo: infatti esprime lo spazio totale s in funzione del
tempo t e non contiene la velocità .Se misuriamo spazi e tempi iniziando dalla posizione e
dall’istante in cui comincia il moto (s e t iniziali uguali a 0), allora s = s .
L’equazione precedente diventa:
s = 1/2at2
si tratta di un'equazione ricavata in un caso molto particolare: essa dà lo spazio totale percorso in
funzione del tempo totale di caduta solo se il moto inizia dalla quiete, se l’accelerazione è costante e
se tempo e spazio vengono misurati dall’inizio del moto . La stessa relazione si può anche
esprimere dicendo che il rapporto tra s (spazio percorso) e t (tempo impiegato) al quadrato è
costante.Dalla definizione scelta da Galileo per l’accelerazione costante segue quindi, logicamente,
che in un moto uniformemente accelerato che inizi dalla quiete il rapporto spazio su tempo al
quadrato rimane costante per diversi valori degli spazi e dei tempi corrispondenti.Naturalmente, non
abbiamo ancora verificato l’ipotesi che i corpi in caduta libera si muovono effettivamente secondo
questa legge. Non era possibile controllare direttamente se v/t si manteneva costante; avrebbe
dovuto essere più facile misurare la distanza totale e il tempo di caduta e verificare se il rapporto
spazio su tempo al quadrato rimane costante. Ai tempi di Galileo era però molto difficile misurare il
tempo di caduta; quindi, invece di fare una verifica diretta, egli dovette compiere ancora un
ulteriore passo ed escogitare un ingegnosa verifica indiretta.Infatti , studiò la possibilità di compiere
l’esperimento su un oggetto meno veloce. Dovette però introdurre un’ulteriore ipotesi: se un corpo
in caduta libera si muove con accelerazione costante, allora una palla perfettamente sferica, che
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rotola lungo un piano inclinato perfettamente liscio, avrà anch’essa un’accelerazione costante anche
se minore.
1) Prima di tutto, egli trovò che se l’angolo d’inclinazione è costante il rapporto tra lo spazio
percorso e il quadrato del tempo corrispondente è costante.
s1/t12=s2/t22=s3/t32
2) In secondo luogo, Galileo studiò l’effetto che si ottiene variando l’angolo inclinazione. Egli trovò
che, se l’angolo cambia, cambia anche il valore di s/t.2 Galileo controllò questo risultato ripetendo
l’esperimento "ben 100 volte" per ogni diverso angolo. Alla fine concluse che, se esso valeva per
tutte le inclinazioni per cui gli era stato possibile misurare t, era ammissibile un’estrapolazione al
caso di angoli più grandi, cioè quando la sfera è tanto veloce da non permettere misure
precise.Infine, Galileo affermò che nel caso particolare in cui l’inclinazione è di 90, la sfera scende
lungo la verticale e la situazione ottenuta coincide con quella di un oggetto in caduta libera.
Secondo il suo ragionamento, il rapporto spazio su tempo al quadrato rimane costante anche in
questo caso limite ( non era però possibile calcolarne il valore). Dato che aveva in precedenza
dimostrato che il rapporto resta costante nel moto uniformemente accelerato, pot caduta libera
l’accelerazione è costante.Per queste sue misurazioni Galileo usò un orologio ad acqua .L’orologio
ad acqua descritto da Galileo non era una sua invenzione: si ha notizia dell'esistenza di orologi ad
acqua in Cina fin dal VI secolo a. C. e probabilmente essi furono usati ancor prima in Babilonia e in
India. Nei primi anni del’600 un buon orologio ad acqua era lo strumento più preciso allora
disponibile per la misura di piccoli intervalli di tempo, e tale rimase fino a poco dopo la morte di
Galileo, quando i lavori di Christiaan Huygens e di altri permisero di costruire orologi a pendolo
utilizzabili praticamente. Con questi orologi, più precisi, fu possibile confermare i risultati ottenuti
da Galileo per il moto su un piano inclinato.
Un’ obiezione che si può rivolgere al lavoro di Galileo riguarda la grande differenza che passa tra il
moto di caduta libera e quello di una sfera che rotola per una leggera discesa.. Galileo non ci dice
quali angoli d’inclinazione fossero usati nel suo esperimento, ma, eseguendone uno analogo, si vede
che essi devono essere abbastanza piccoli, perché per angoli più grandi la velocità della sfera
aumenta tanto da rendere difficile la misura dei tempi . Da una recente ripetizione dell'esperienza di
Galileo risulta che il massimo angolo utilizzabile è solo di 6, e non sembra che Galileo abbia
lavorato con angoli molto più grandi. Questo vuol dire che l'estrapolazione al caso della caduta
libera (inclinazione di 90 ) può apparire eccessiva a una persona prudente, o a chi non sia convinto
in partenza delle tesi di Galileo. Vi è ancora un altro motivo per mettere in dubbio i risultati di
Galileo: se si aumenta l’angolo di inclinazione, a un certo punto la sfera comincia a scivolare oltre
che a rotolare e in questo caso la legge del moto potrebbe cambiare completamente. Galileo non
esamina questa possibilità ed è strano che (per quanto ne sappiamo) egli non abbia mai ripetuto i
suoi esperimenti con blocchi che scivolassero lungo un piano inclinato, invece di rotolare. Avrebbe
trovato che, anche in questo caso, il rapporto s/t rimane costante, pur avendo un valore diverso da
quello che si ottiene per oggetti che rotolano, con lo stesso angolo d’inclinazione.
Galileo non tentò di calcolare il valore numerico dell’accelerazione di un corpo in caduta libera,
probabilmente perché si rendeva conto che non avrebbe potuto ottenerne uno attendibile
semplicemente estrapolando i risultati già ottenuti. Per i suoi scopi era sufficiente aver confermato
l’ipotesi che l’accelerazione di un corpo che scende, cadendo o rotolando, è costante. Questa è la
prima conclusione raggiunta dal lavoro di Galileo, confermata poi da tutti i controlli successivi.
Essa concorda anche con i suoi "esperimenti ideali ", che dimostravano come corpi di peso diverso
dovessero cadere in tempi eguali. I suoi risultati confutarono in maniera decisiva la teoria del moto
di Aristotele.In terzo luogo, Galileo sviluppò una teoria matematica del moto da cui si possono
ricavare altre previsioni. E’ possibile dimostrare, senza fare nuove ipotesi, che, per un corpo
inizialmente fermo che si muove con accelerazione costante, il quadrato della velocità subisce
incrementi uguali su distante uguali.
I moti celesti
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Ii dire che supposto che la terra si muova et il Sole stia fermo si salvano tutte l’apparenzemeglio
che con porre gli eccentrici et epicicli, è benissimo detto ,non ha pericolo nessuno [….].A VOLER
AFFERMARE CHE REALMENTE IL SOLE STIA AL CENTRO DEL MONDO [……] È COSA MOLTO PERICOLOSA NON
SOLO D’IRRITARE TUTTI I FILOSOFI E THEOLOGHI SCOLASTICI, MA ANCHE DI NUOCERE ALLA SANTA FEDE
CON RENDERE FALSE LE SCRITTURE SANTE (CARDINALE R. BELLARMINO)
Queste conclusioni raggiunte da Galileo, pur essendo molto importanti per lo sviluppo della fisica,
non erano certo sufficienti da sole a provare una rivoluzione scientifica: nessuno studioso di buon
senso, nel ‘600, avrebbe abbandonato la cosmologia aristotelica solo perché alcune delle asserzioni
in essa contenute erano state smentite nel caso dei corpi che cadono. Il lavoro di Galileo sul moto
dei corpi in caduta libera contribuì però ad aprire la strada verso una nuova fisica e una nuova
cosmologia, insinuando il dubbio sulle ipotesi che stavano alla base della fisica aristotelica. Sin dal
V secolo a.C. , a partire dalla scuola pitagorica, forse ispirata da motivi di bellezza geometrica
L’universo , secondo tale concezione sarebbe un immenso globo che, sorreggendo le stelle, ruota su
se stesso; all’interno , sette sfere concentriche sorreggono i corpi celesti conosciuti: la Luna,
Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove e Saturno; al centro dell’intero sistema sta la Terra. La
richiesta che i corpi celesti dovessero muoversi di moto circolare e uniforme intorno alla terra ,
derivava dalla convinzione che solo la circonferenza fosse un orbita “perfetta “ adatta agli oggetti in
moto nello spazio translunare
La prima teoria che e' stata proposta per spiegare la struttura dell'Universo e il moto degli astri e'
stata formulata da Aristotele nel IV secolo a.C. Secondo questa teoria, tutti i corpi celesti allora
conosciuti (la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno e le cosiddette "stelle fisse")
erano incastonati in sfere rigide concentriche rotanti in modo uniforme attorno alla Terra.Le diverse
irregolarità che presentavano i moti dei pianeti erano giustificate con un ulteriore moto oltre a un
moto regolare verso est sullo sfondo delle stelle fisse, questo secondo era denominato moto
retrogrado, da est verso ovest.Per spiegare però dunque questi moti, , che non erano semplici da
comprendere furono elaborati vari modelli di Universo che erano acccomunati tutti dalle stesse
caratteristiche.

Erano modelli geocentrici, in cui la terra era considerata al centro dell’universo;

Erano modelli in cui l’universo veniva considerato finito e delimitato dalla sfera delle stelle fisse;

Utilizzavano opportuni “meccanismi correttivi,” che potessero spiegare in accordo coi dettami platonici, le
irregolarità del motodi corpi celesti , attraverso opportune combinazioni di moti circolari e uniformi Le
varie peculiarita' dei moti planetari venivano spiegate attraverso complicati moti su circonferenze
centrate su queste sfere.

Le sfere celesti avevano la proprieta' di essere perfette ed immutabili.
“la nostra opinione è che i cieli sono sferici e che si muovono in maniera sferica; che la terra per quanto
riguarda la forma è sensibilmente sferica……; per ciò che riguarda la sua posizione è posta nel giusto
mezzo dei cieli, a guisa di centro geometrico; per ciò che riguarda le dimensioni e la distanza, la Terraè
come un punto rispetto alla sfera delle stelle fisse, e non è animata da alcun moto locale……( Almagesto Tolomeo )
Tolomeo per spiegare le fasi di moto retrogrado, introdusse una serie opportuna di combinazione di
cerchi, chiamati rispettivamente deferente ed epiciclo, che permettevano di capire perché un pianeta
potesse invertire la direzione del suo moto , pur muovendosi di moto circolare uniforme.
All’interno del sistema tolemaico non ci si occuoa affatto di trovare una spiegazione del perché i
pianeti si muovano di moto circolare.La teoria geocentrica rimase in voga fino al secolo XVI,
quando l'astronomo polacco Niccolo' Copernico (1473-1543) formulo' l'ipotesi che fosse il Sole, e
non la Terra, il centro dell'universo.
”Contro l’opinione accolta dagli scienziati , e perfino contro il senso comune , oso immaginare che
la terra sia dotata di movimento….” (Copernico-De Revolutionibus )Nel sistema copernicano il
ruolo speciale del sole derivava dal considerarlo un centro di rotazione “molto eccentrico” rispetto
alla terra. La vera novità non consisteva tanto nel fatto che i pianeti non ruotassero più intorno alla
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terra, quanto nel fatto che anche la Terra , al pari degli altri pianeti , veniva considerata in rotazione
attorno a un centro extraterrestre. Non essendo ben chiaro il concetto di relatività del moto , la
scelta tra Terra o Sole come centri di rotazione coincideva con la scelta tra due punti ritenuti
assolutamente fermi nello spazio. Qusta teoria prende quindi il nome di eliocentrica. L'ipotesi di
Copernico era accompagnata da un accurato studio per spiegare il moto dei pianeti, ma incontro'
notevoli resistenze nel mondo scientifico dell'epoca. La sua definitiva affermazione fu dovuta agli
studi di Galileo…….. più volte con incredibile godimento dell’animo le stelle, tanto fisse rova … E
poi scrive: " […] ma io lasciando le cose terrene mi rivolsi alla speculazione delle celesti; […]
dopo questa osservai che erranti […]".
Infatti Galileo fornì la prima prova diretta contro la teoria tolemaica ; dimostrò che l’oggettto
luminoso apparso improvvisamente nella Costellazione di Ofiuco provenendo dallo spazio esterno
,era penetrato all’interno della sfera lunare: cadeva in tal modo il principio aristotelico
dell’immutabilità ed impenetrabilità delle sfere celesti, già messo in dubbio da Tycho Brahe nel
1572. Con la costruzione del cannocchiale e puntandolo verso il cielo scrutò Giove che fornì a
Galileo “l’argomento più importante”; In qualsiasi parte del cielo puntasse il suo strumento,
comparivano molte più stelle di quante se ne potevano vedere a occhio nudo; e ciò era in
contraddizione con la vecchia idea che le stelle erano state create per fornir luce, in modo che
l’uomo potesse vedere anche di notte.Ma L’osservazione di Giove fu un successo, intorno al
pianeta osservò quattro punti luminosi che nelle sere successive avevano cambiato posizione, Giove
era un sistema copernicano in miniatura… In quanto già da molti anni sono anche io dell’idea di
Copernico; e da questo punto di vista sono state da me scoperte anche le cause di molti fenomeni
naturali, che senza dubbio nella comune ipotesi sono inspiegabili….( Galileo - lettera sul
copernicanesimo) .Ma la dimostrazione che le orbite di tutti i pianeti sono ellissi, delle quali il Sole
occupa uno dei due fuochi fu fornita da Giovanni Keplero (1571-1630), sulla base delle
osservazioni condotte dall'astronomo danese Thyco Brahe. Oggi noi sappiamo che a sua volta il
Sole non e' al centro dell'universo, ma e' solo una delle tante stelle della nostra galassia, e questa, a
sua volta, e' solo una delle tante galassie che lo popolano.
Keplero enuncio' tre leggi che regolano il moto dei pianeti attorno al Sole; questo moto prende il
nome di "rivoluzione". Il tempo impiegato dal pianeta tra due passaggi consecutivi per lo stesso
punto dell'orbita si dice "periodo" della rivoluzione. Le tre leggi di Keplero sono dedotte
dall'osservazione senza alcuna base teorica. Isacco Newton (1642-1727) rivelo' in seguito come
queste leggi non siano altro che casi particolari della legge di gravitazione universale, che descrive
l'interazione tra tutti i corpi.
PRIMA LEGGE DI KEPLERO
la legge delle orbite
Tutti i pianeti descrivono attorno al Sole delle orbite di forma ellittica. Il Sole occupa uno dei due fuochi,
comune a tutte le ellissi.
L'ellisse e'una figura piana ottenuta sezionando un cono con un piano non perpendicolare al suo
asse; ha la proprieta' che la somma delle distanze da due punti detti fuochi e' la stessa per tutti i suoi
punti. Dato che i pianeti percorrono un'orbita ellittica, della quale il Sole occupa uno dei due fuochi,
risulta che la distanza Sole-pianeta varia nel tempo, ed ha un valore massimo in un punto detto
"afelio" ed un valore minimo in un punto detto "perielio". Si dice "eccentricita'" dell'ellisse il
rapporto tra la misura della distanza di un suo fuoco dal centro e la misura del semiasse maggiore.
Una circonferenza puo' essere vista come un caso particolare di ellisse, con eccentricita' nulla.
SECONDA LEGGE DI KEPLERO la legge delle aree
Il raggio vettore copre aree uguali in tempi uguali.
Si intende per raggio vettore il segmento che congiunge il centro del Sole con quello del pianeta. La
sua lunghezza varia lungo l'orbita, variando la distanza del pianeta dal Sole. Prese due aree uguali
definite dal raggio vettore, dalla seconda legge di Keplero risulta che la rivoluzione del pianeta non
avviene con velocita' uniforme, ma e' piu' rapida al perielio e piu' lenta all'afelio.
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Supponiamo di avere un pianeta che gira intorno al sole. Nel tempo t la linea congiungente i due
corpi descrive un angolo ( t) L’area  A del triangolino è approssimata da 1/2r *r essendo
rla base ed r approssimando l’altezza. Questa espressione perA diventa esattamente nel limite
t 0. La velocità areale istantanea con la quale l’area è spazzata è dA/dt = lim(1/2r2) /t =1/2
r2 d/dt = ½ r2
(*)
Se consideriamo la scomposizione del vettore quantità di moto p del pianeta nelle due componenti
Pr=mvr e p =mv si avrà che il momento angolare l del pianeta rispetto al sole è l = p r = (mv) r
= (mr)r = mr2 andando a sostituire in (*) otteniamo dA/dt = l/2m . Ma nel sistema terra- sole
non vi sono momenti esterni e quindi l deve rimanere costante; ne segue che anche dA/dt deve
essere costante e questo è il contenuto della seconda legge di Keplero.
TERZA LEGGE DI KEPLERO legge dei periodi
Il quadrato dei periodi di rivoluzione dei pianeti e' proporzionale ai cubi dei semiassi maggiori
delle loro orbite.
Questa legge implica che, tanto maggiore e' la distanza del pianeta dal Sole, tanto piu' lenta sara' la
sua rivoluzione. Infatti, piu' il pianeta e' vicino al Sole e piu' risente della sua attrazione, percio' esso
deve muoversi a maggior velocita' per sfuggirle. In realta', sia il Sole che il pianeta ruotano attorno
al baricentro comune, ma poiche' il primo e' molto piu' massiccio del secondo, il baricentro coincide
quasi con il centro del Sole, e quindi la sola rivoluzione evidente e' quella del pianeta attorno al
Sole. Questo avviene ogni volta che un corpo ruota attorno ad un altro molto piu' massiccio. Queste
leggi, infatti, non sono valide solo per i pianeti del Sistema Solare, bensi' per tutti i corpi celesti.
Se i due corpi hanno masse confrontabili, il loro baricentro non coincide con nessuno dei due e
diventano evidenti le orbite che essi descrivono attorno a questo punto. Questo avviene per esempio
nel caso delle stelle doppie.
Se invece ci sono tre o piu' corpi di masse confrontabili, le loro orbite relative non possono essere
predette da nessuna legge della meccanica, perche' la loro descrizione diventa troppo complessa.
Da Keplero alla sintesi newtoniana
….ho esposto un esempio di ciò al fine di spiegare il mondo. Ivi infatti , dai fenomeni celesti, mediante
le poposizioni dimostrate matematicamente nei libri precedenti , vengono descritte le forze della gravità per
effetto delle quali i corpi tendono verso il sole e i singoli pianeti. In seguito , da queste forze, sempre
mediante proposizioni matematiche , vvengono dedotti i moti dei pianeti, delle comete ,della luna e del
mare……..(Newton- principia )
Le tre leggi di Keplero resero più urgente l’esigenza di formulare una spiegazione del perché
i pianeti si muovessero nel modo descritto e quale “forza li trattiene” lungo le loro orbite.Fu
Newtonche nei principia risolse il quesito enunciando la legge di gravitazione universale, enunciata
nel 1688.Nella visione Newtoniana la Terra attrae la luna con lo stesso tipo di forza , chiamata
gravitazionale con cui attrae un corpo in caduta liberae con cui il sole attrae la Terra , la Luna e
tutti gli altri corpi celesti.Non occorre pensare a qualche altra forza cosmica o “primo mobile” e la
gravità assume il ruolo di principio universale unificatore
Per formulare la legge di gravitazione universale N. constatò che mentre fino ad allora si credeva
che un moto curvilineo derivasse dall’azione di una “ centrifuga” che contrastava la tendenza dei
corpi a muoversi verso il centro, seguendo le ipotesi di Hooke, un moto curvilineo poteva essere
considerato come la combinazione di un moto diretto per la tangente e un moto di attrazione verso il
corpo centrale. La componente “tangenziale” da sola avrebbe fatto muovere il corpo lungo una
traiettoria rettilinea, ma la presenza contemporaneamente della forza centripeta, lo deviava
continuamente verso il centro costringendolo a descrivere una traiettori curva.Riuscì infatti a
dimostrare che un corpo sottoposto a forza centripeta e inversamente proporzionale al quadrato
della distanza avrebbe descritto un orbita ellittica, e che anche un corpo in moto rettilineo uniforme
si muove in accordo con la legge delle aree di Keplero.Per dimostrare la legge di gravitazione
Newton sostitu’ l’affermazione che i pianeti descrivono orbite ellittiche con il Sole in uno dei
fuochi, con quella “…i pianeti non si muovono esattamente su ellissi , né ripercorrono due volte la
stessa orbita…. Questao afferma che N aveva già compreso che tutti i pianeti interagiscono
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gravitazionalmente tra loro e che le leggi di Keplero si applicano a un sistema di masse puntiformi
,che senza agire tra di loro orbitano attorno ad un corpo immobile che esercita su di esse una forza
di attrazione.
Egli riscrisse le leggi di Keplero immaginando che le orbite dei pianeti fossero circolari invece che
ellittiche. Le tre leggi diventano cosi':
1°) I pianeti descrivono intorno al Sole orbite circolari aventi tutte al centro il Sole;
2°) Il moto dei pianeti e' uniforme;
3°) I quadrati dei tempi impiegati dai pianeti a descrivere le orbite sono proporzionali ai cubi dei
raggi delle orbite.
Dalla 2a legge si deduce che i pianeti hanno accelerazione centripeta e quindi soggetti a una forza
centripeta diretta verso il sole
Siano m la massa,r, e T il raggio dell’orbita e il periodo, la f
Fc = (42/T2) m r
Per la 3a legge è T2 = Kr3 K costante per tutti i pianeti
Fc = ( 42/K) (m/r2 ) = C m/r2
Con C costante pari a 42 /K. La forza di attrazione del sole è proporzionale alla massa del pianeta.
er il principio di azione e reazione anche il pianeta attrae il sole con una forza che dovrà avere la
stessa intensità ed essere proporzionale alla massa M del Sole: C= GM la forza di attrazione
reciproca diventa F = G M m/r2.
Ogni corpo esercita su ogni altro corpo una forza attrattiva che ha per direzione la retta che
congiunge i due corpi e la cui intensita' e' direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e
inversamente proporzionale al quadrato delle loro distanze.
K e' detta costante di gravitazione universale, ed e' indipendente dalla forma dalle dimensioni e
dalla composizione chimica dei corpi in questione. Sulla base della legge di gravitazione universale,
e' ovvio che non soltanto il Sole, ma anche ogni pianeta esercita un'attrazione sugli altri, sebbene
molto minore di quella solare. Questo fa si' che le orbite dei pianeti non siano delle ellissi perfette,
ma risentano delle perturbazioni gravitazionali degli altri pianeti. La legge di gravitazione apre due
questioni: una riguarda il concetto di massa, l’altra è che si da per scontato che la gravità esista. In
merito alla prima il concetto di massa come quantità di materia è proprio di Newton e presuppone la
costituzione atomica della materia. Per Galileo la massa coincide con il concetto di una materia
qualitativamente indifferente, portatrice della cosiddette qualità primarie. Sia Descartes e poi
Huygens accettano la distinzione delle qualità della materia, ma aggiungono la nozione di
corpuscolo. La massa di N. presuppone una costituzione atomica della materia, egli la concepiva
non soltanto come somma dei volumi dei punti materiali che offrono una resistenza al moto (massa
inerziale) ma anche come massa attraente, cioè come somma di punti che esercitano una forza sui
corpi circostanti. Con questo concetto N. spogliava i corpi di tutte le qualità estranee alla fisica. La
massa fa pensare ad un corpo la cui materia è qualitivamente indifferente. Il che comportava
l’invalidazione dello strumento di studio impiegato fino ad allora e, in pari tempo, la necessità di
apprezzarne uno nuovo, atto a fornire conoscenze di una materia che si sottrae alle deformazioni
della soggettività. Newton porta a compimento l’operazione di liberazione della disica da proprietà
soggettive e incontrollabili iniziata da Galileo. Nella fisica classica l’equivalenza tra massa
gravitazionale e massa inerziale fu considerato un fatto accidentale finchè Einstein ha fatto di questa
equivalenza un principio da cui dipende la struttura geometrica dello spazio fisico. Per quanto
concerne la seconda questione, Newton così si esprime” … è inconcepibile che materia bruta e
inanimata possa, senza la mediazione di qualcos’altro che non è materiale, operare ed influire su
altra materia senza reciproco contatto…Che la gravità possa essere innata, intrinseca ed
essenziale alla materia cosicchè un corpo possa agire su un altro a distanza attraverso il vuoto,
senza la mediazione di qualcos’altro, in virtù del quale e mediante il quale la loro azione e forza
possa essere trasmessa dall’uno all’altro, è per me una tale assurdità che io credo che nessun
uomo capace di pensar in modo coerente in materia di filosofia possa accettarla….” (Newton
Lettera a Bentley).
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Newton non si dichiarò ostile al concetto di azione a distanza ma si impegnò per la ricerca di un
possibile meccanismo di azione sotteso dalla gravitazione. Presuppose l’esistenza di un “etere” ma
non riuscendo a verificare l’ipotesi dell’esistenza dell’etere… Ipotesi non fingo.
Dalla forza gravitazionale al… futuro dell’universo.
Le masse, qualunque esse siano, dovunque si trovino, qualunque struttura fisica o chimica
possiedano, esercitano fra loro una forza di mutua attrazione espressa con la relazione F=
(Km1m2)/r2. La mela di Newton cade perchè è una massa attratta dalla Terra, che è un'altra massa.
Ma se c'è in vista laLuna, la mela cade più lentamente... Oppure: la mela è ferma e la Terra "sale"
per raggiungerla.
Naturalmente quest'ultima ipotesi è "vera" solo tendenzialmente. La legge fondamentale della
dinamica F=ma si applica sia alla Terra intera che alla mela, ma le accelerazioni che nascono nei
due oggetti sono infinitamente diverse. Ricaviamole: rispettivamente sono aT = F / mT e am = F /
mm. Poichè mT >> mm, risulta aT << am e quindi accade che ben prima che la Terra si muova per
raggiungere la mela, questa è già arrivata da un pezzo!
E se la mela fosse molto grande? Basta vedere l'azione della Luna: essa non riesce a "muovere" la
Terra intera, ma almeno le acque tende a strapparle (le maree). Noi chiamiamo “peso" l'attrazione
gravitazionale del nostro pianeta sugli oggetti che stanno su di esso. Possiamo però estendere
arditamente il significato di peso a tutte le attrazioni gravitazionali e quindi parlare di peso rispetto
al Sole, alla Luna, alla galassia di Andromeda,ecc.
Esiste una situazione di assenza di peso? In modo assoluto no, ma è possibile in modo relativo a
qualcosa: immaginiamo di muoverci su una traiettoria rettilinea verso la Luna: durante il viaggio
diminuisce la attrazione verso la Terra (poichè cresce la distanza da essa) e aumenta quella verso la
Luna (poichè diminuisce la distanza da essa): c'è un punto nel quale le due attrazioni sono uguali e
quindi il peso relativo ai due oggetti è zero. Attenzione però: resta il peso rispetto al Sole a Giove, a
Sirio, ecc.
La forza di gravitazione probabilmente condiziona il futuro (lontano!) del nostro Universo. Questo è
ora in espansione, " creando". La creazione di sempre nuovo spazio discende anche dalla necessità
di sempre nuovi scambi di energia, dal luogo di produzione (le stelle, le supernovae, ecc.) ad un
altro luogo. E' regola generale della termodinamica che il calore (rappresentato dai fotoni) si
"muove" da temperature superiori a temperature inferiori. Se l'universo fosse limitato, i fotoni, nei
15 miliardi di anni della loro vita, si sarebbero accumulati al confine producendo un aumento di
temperatura all'interno del contenitore-universo, oppure sarebbero rimbalzati indietro mostrando
che il calore proviene da due direzioni opposte. Poichè queste due possibilità non si sono ancora
verificate possiamo concludere che o l'universo è per natura illimitato, oppure esso si espande
proprio per effetto dell'azione della massa-energia che conosciamo.
Immaginare un confine significa anche domandarsi come e di cosa è fatto e cosa c'è aldilà. Io
preferisco pensare che tale confine non esiste e che lo spazio oltre i punti raggiunti da qualcosa non
è vuoto ma "non esiste".
Secondo una certa ipotesi, a lungo andare i corpi celesti perderanno l'energia cinetica iniziale
dovuta al Big- banga causa della mutua attrazione gravitazionale fra legalassie. A quel punto
rimarrebbe solo quella forza, la quale costringerebbe tutte le masse a riunirsi in un unico punto
producendo una implosione (Big-Crash) da cui potrebbe nascere un nuovo Universo, cominciando
un nuovo ciclo.
Metodologia di lavoro
AREA UMANISTICA
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Lezione frontale

Lezione interattiva

Lavoro di gruppo

Cooperative learning per l’attività di ricerca
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
Dibattiti in aula

Relazioni scritte

Visite culturali

Conferenze
AREA SCIENTIFICA:
Allo scopo di agganciare il più possibile la fisica alla realtà quotidiana, di coinvolgere gli studenti in
prima persona, di stimolarne la curiosità e l’interesse e di evitare lo studio mnemonico, l’argomento
è affrontato nei limiti del possibile, partendo dall’osservazione del reale e suggerendo piccoli
esperimenti facilmente eseguibili. Ogni situazione sarà debitamente matematizzata anche se si
semplifica l’uso di alcuni concetti matematici, come il calcolo differenziale, anche a costo di una
minor precisione.
Tempo complessivo
Area Umanistica: 20 ore (Latino); 10 ore (italiano); matematica – Fisica: 25 ore
Strumenti e risorse utilizzati
Manuali, Biblioteca scolastica e Comunale, Internet, computer PC, videocamera e fotocamera
digitali, registratore, postazione multimediale.
Strumenti e risorse utilizzabili:
Lezioni frontali; uso del laboratorio di fisica; audiovisivi; letture; uso del computer per esperienze
simulate.
Percorso di valutazione

Questionario di ingresso;

Prima verifica sulla capacità di interpretare e formalizzare i risultati sperimentali delle esperienze
eseguite;

Seconda verifica sulle competenze acquisite: conoscenza del fenomeno,conoscenza della terminologia
scientifica, conoscenza delle leggi;

Relazione finale sul lavoro svolto.
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