Tiziana Malandrino Bernardo Vittone e il rapporto con le

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BERNARDO VITTONE E IL RAPPORTO CON LE PREESISTENZE:
SCELTE DI PROGETTO NELLE RELAZIONI AUTOGRAFE
Tiziana Malandrino
TAV. VI
Le ricerche condotte su certe realtà insediative della provincia torinese
del XVIII secolo si sono intrecciate con le vicende costruttive di alcuni
cantieri di Bernardo Vittone (Torino, 19 agosto 1704-19 ottobre 1770)1, architetto attivo in Piemonte a metà del Settecento. L’analisi dei documenti
d’archivio relativi ad alcuni progetti dell’architetto, e in particolare l’esame delle relazioni autografe che egli redige nel corso della costruzione di
alcune fabbriche, ha consentito di tratteggiarne una nuova immagine: un
professionista, che con attenzione e sensibilità, affronta le problematiche
progettuali di inserimento urbano di un nuovo edificio attraverso una
puntuale valutazione delle caratteristiche aggregative del tessuto edilizio
preesistente.
Gli studi portati a compimento a partire dai primi del Novecento da Camillo Boggio e Giuseppe Olivero2, sino ai successivi di Paolo Portoghesi
e Richard Pommer – solo per citare i più noti3 – si sono spesso concentrati sugli esisti architettonici che Vittone consegue nella composizione delle
fabbriche, analizzandone valenze progettuali e simboliche, ma ponendo
tuttavia in secondo piano il rapporto esistente tra edifici e costruito. Nel
1 P. CANTONE, Notizie genealogiche dell’architetto Bernardo Antonio Vittone (Torino 19/8/1704 |
Torino 19/10/1770), in «Studi Piemontesi», XVIII (1989), fasc. 2, pp. 579-600; P. CANTONE,
Ancora sulla genealogia di Bernardo Antonio Vittone, in «Studi Piemontesi», XXXII (2003), fasc.
1, pp. 99-100.
2 C. BOGGIO, Le Chiese del Canavese dai primi secoli ai giorni nostri, Tip. Ditta F. Viascone, Ivrea
1910; E. OLIVERO, Le Opere di Bernardo Antonio Vittone Architetto piemontese del Secolo XVIII,
Tipografia del Collegio degli Artigianelli, Torino 1920.
3 R. POMMER, Architettura del Settecento in Piemonte. Le strutture aperte di Juvarra, Alfieri e
Vittone, a cura di G. DARDANELLO, Allemandi, Torino 2003; P. PORTOGHESI, Bernardo Vittone.
Un architetto tra Illuminismo e Rococò, Elefante, Roma 1966.
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panorama della critica si discosta da questo tipo di approccio Augusto
Cavallari Murat4, il quale propone nel caso specifico della chiesa di San
Michele Arcangelo a Rivarolo Canavese (in provincia di Torino), una possibile lettura del disegno architettonico vittoniano attraverso il rilievo filologico-congetturale della via maestra sulla quale prospetta l’edificio. Interpretazione quest’ultima che, tuttavia, lascia ancora oggi ampi spazi di
riflessione circa l’analisi comparata edificio-tessuto edilizio.
L’accurata valutazione delle preesistenze, relativamente sia alle strutture delle architetture da restaurare – ovvero riedificare – sia alle fabbriche
che definiscono l’intorno entro il quale il nuovo disegno deve prendere
forma, costituisce in effetti elemento imprescindibile per l’analisi dell’architettura vittoniana. Non si può certo sostenere – così come peraltro già
affermato da Carlo Giulio Argan – che sia la stessa «ragione urbanistica»5
che muove le trasformazioni urbane di Torino, a guidare anche gli interventi di Vittone nella provincia. Risulta comunque evidente il fatto che
molti adeguamenti edilizi negli insediamenti piemontesi spesso contribuiscono in modo significativo a connotare tessuti urbani modesti, sovente alla metà del Settecento di matrice ancora fortemente medievale6. I
fenomeni di trasformazione edilizia che interessano la provincia sabauda
non sono, infatti, riconducibili a un complessivo disegno che lo Stato ha
prestabilito per ciascun comune, ma trovano le proprie ragioni nell’eco
prodotta dai processi di ammodernamento edilizio della capitale sabauda. La possibilità, poi, di poter far riferimento alle comprovate capacità
professionali di architetti e ingegneri noti anche presso la corte – prerogativa quest’ultima riservata non soltanto ai centri urbani più ricchi – produce, a partire dal XVII secolo e per tutto il successivo, una diffusione del
gusto e delle soluzioni compositive che caratterizzano fortemente l’immagine di Torino, anche in realtà locali molto piccole7. Il nuovo linguaggio architettonico, portato nella capitale sabauda prima da Guarino Guarini nella seconda metà del Seicento e poi da Filippo Juvarra nei primi
decenni del Settecento, incide pesantemente sugli esiti formali di altri
4 A. CAVALLARI MURAT, Tra Serra d’Ivrea, Orco e Po, Istituto Bancario San Paolo di Torino,
Torino 1976.
5 C. G. ARGAN, Immagine e persuasione. Saggi sul barocco, Feltrinelli, Milano 1986, pp. 429431. Per “ragione urbanistica” si intende quel disegno della capitale voluto dal sovrano che
affinché la città diventi manifesta espressione del proprio potere assoluto (cfr. V. COMOLI,
Torino, Laterza, Roma-Bari 1983).
6 CAVALLARI MURAT, Tra Serra d’Ivrea, Orco e Po, cit.
7 T. MALANDRINO, Bernardo Antonio Vittone architetto nelle province sabaude. Un aggiornamento documentario sulla vita e le architetture nel Canavese tra il 1741e il 1770, tesi di dottorato,
tutor Prof. Costanza Roggero, XX ciclo (2008); T. MALANDRINO, Bernardo Vittone e le procedure amministrative in Piemonte nel XVIII secolo, in M. VOLPIANO (a cura di), Il cantiere storico:
mestieri, organizzazione, tecniche costruttive (XVI-XIX), Quaderni del Progetto Mestieri Reali,
Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, L’Artistica, Savigliano, in c.s.
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architetti minori, attivi prevalentemente in provincia.
L’atteggiamento di Vittone nei confronti di preesistenze e tessuto urbano evidenzia un rigoroso pragmatismo dell’architetto nell’affrontare le
problematiche progettuali: i casi studio della chiesa di San Michele a Rivarolo e del campanile a Montanaro8, in particolare, mostrano come questa prassi compositiva risulti essere efficace nell’inserimento di architetture moderne in ambiti consolidati.
L’inserimento urbano della chiesa di San Michele Arcangelo a Rivarolo
Canavese
Sotto il profilo documentario, per meglio comprendere lo stato in cui
versava nel XVIII secolo il Regno sabaudo, risultano significative le relazioni che gli Intendenti delle Province redigono e inviano periodicamente all’amministrazione centrale: si tratta per lo più di rendiconti espressi
sotto forma tabellare, a cui viene allegata una relazione di tipo analitico,
riportante notizie fiscalmente utili per la gestione dei territori9. Tra questi
resoconti spicca per la dovizia di particolari e la forma narrativa particolarmente esaustiva, quello redatto dall’intendente di Torino, Giovanni
Antonio Sicco, nel 175310. Questa relazione, più ancora di altre, è ricca di
informazioni sia sullo stato dei luoghi, sia sulle architetture; notizie dunque che, prescindendo dal rigore dei dati fiscali, tratteggiano in modo
esplicito la realtà locale.
La descrizione del comune di Rivarolo Canavese prodotta da Sicco, pur
non dilungandosi in una puntuale analisi dei singoli edifici, delinea con
grande efficacia l’immagine dell’insediamento, che al 1753 risulta essere
connotato da «ben molte fabriche costrutte a dissegno moderno e di contrade [in cui] ci scorre l’acqua in mezzo ai sterniti di pietra rizza ugualemente che in questa Metropoli [Torino] a prefferenza di tanti altri luoghi,
8 Situati nel Piemonte nord Occidentale, in provincia di Torino, i comuni di Rivarolo Canavese e Montanaro hanno visto l’intervento di Bernardo Vittone per la riplasmazione delle
loro chiese parrocchiali, e non solo. Un significativo esempio della produzione dell’architetto, circoscritto spazialmente a una precisa area dell’antica provincia sabauda, che abbraccia
un arco cronologico compreso tra il 1758 e il 1770, anno della sua morte.
9 G. SIMCOX, Vittorio Amedeo II e l’assolutismo sabaudo 1675-1730, SEI, Torino 1983; H. COSTAMAGNA, Pour l’histoire de l’“intendenza” dans l’états de terre-ferme de la Maison de Savoye à l’époque moderne, in «Bollettino storico-bibliografico Subalpino», 2(1985), pp. 373-467; G. RICUPERATI, Gli strumenti dell’Assolutismo Sabaudo: Segreterie di Stato e Consiglio delle Finanze nel
XVIII secolo, in MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI. UFFICIO CENTRALE PER I BENI
ARCHIVISTICI (a cura di), Dal trono all’albero della libertà. Trasformazioni e continuità istituzionali
nei territori del Regno di Sardegna dall’antico regime all’età rivoluzionaria, Atti del convegno,
Torino 11-13 settembre 1989, vol. I, Turingraf, Torino 1991, pp. 37-108.
10 Archivio di Stato di Torino (d’ora in avanti denominato ASTO), Riunite, II Archiviazione,
C. 79, nn. 12 e 12 bis, Stato delle terre della Provincia di Torino giusta la relazione fatta l’anno 1753
dal Signor Vassallo Antonio Sicco Intendente della stessa Provincia.
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e città medesime dello Stato»11.
Rivarolo, dunque, presenta già nella metà del XVIII secolo un abitato rinnovato sotto il profilo insediativo: strade selciate e palazzi di matrice seisettecentesca denotano un elevato livello di sviluppo urbano. È in questo
contesto che Bernardo Vittone si trova ad operare: nel 1758, infatti, riceve
dalla comunità l’incarico per la costruzione della nuova parrocchiale di
San Michele Arcangelo. Per il compimento del progetto, l’architetto procede alla demolizione delle preesistenze – costituite dalla vecchia chiesa,
fondata come pieve nell’VIII secolo12, e da edifici adiacenti a quest’ultima
e posti a servizio del parroco – provvedendo contestualmente allo spostamento del cimitero collocato in aderenza alla parrocchiale.
Il disegno della nuova chiesa rappresenta un significativo esempio dell’attenzione posta da Vittone nell’inserimento di un’architettura in un tessuto edilizio consolidato, a tal punto che lo stesso architetto lo considera
come il «[…] migliore e più conveniente di tutti quelli che ho abbozato
sovra il tippo del sito di detta Chiesa e poche casette annesse in parte
necessarie per la di lei ampliazione […]»13.
Situata al termine della via maestra, a conclusione dei portici che segnano il fronte degli edifici – per lo più di matrice medievale in questa zona
della città – e in prossimità del recinto dell’abitato, la chiesa viene compositivamente definita in considerazione di queste preesistenze14. La
pianta centrale – caratterizzata da un ottagono attorno al quale si articolano sei cappelle e lungo il cui asse longitudinale si attesta l’area presbiteriale – è connotata da una soluzione di facciata assai lontana dal disegno in pianta15. L’andamento curvilineo del primo ordine del prospetto è
definito principalmente da due avancorpi porticati che, quasi a forma di
“tenaglia”, consentono l’arretramento del portale d’ingresso, limitando in
tal modo l’area del sagrato e garantendo allo stesso tempo la continuità
del disegno porticato della via maestra. Soluzione quest’ultima che si pone
come reinterpretazione dell’elemento “loggiato” per un congruente inserimento urbano dell’architettura, ma che induce Cavallari Murat a parlare di «una modificazione, a dire il vero, un po’ strana dei portici»16. Secon11 Ibid,
12 Per
vol. II, p. 892r.
un’ipotesi ricostruttiva della vecchia chiesa di San Michele, cfr. MALANDRINO,
Bernardo Antonio Vittone architetto nelle province sabaude, cit. Relativamente alla descrizione
dell’edificio, cfr. G. CRACCO (a cura di), Storia della Chiesa di Ivrea dalle origini al XV secolo, Viella, Roma 1998, pp. 804-809; Archivio Storico del Comune di Rivarolo Canavese (d’ora in
avanti denominato ASCRIV), Culto, mazzo 1248, Notizie sulla Parrocchiale di S. Michele di Rivarolo scritte da Don Domenico Ghizzardi Prevosto, 30 ottobre 1766.; Archivio della parrocchia di San Michele Arcangelo, Disegni, s.c.
13 ASCRIV, Culto, mazzo 1248, Notizie sulla Parrocchiale di S. Michele di Rivarolo, cit.
14 CAVALLARI MURAT, Tra Serra d’Ivrea, Orco e Po, cit. pp. 355-362.
15 POMMER, Architettura del Settecento in Piemonte, cit.
16 CAVALLARI MURAT, Tra Serra d’Ivrea, Orco e Po, cit. p. 342.
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do Paolo Portoghesi, invece, il disegno del fronte sottolinea una «mancanza di continuità con il tessuto urbano»17, soprattutto sul lato sinistro
della chiesa, poiché sprovvisto di portici. Situazione che induce lo studioso a ipotizzare una «continuazione dei loggiati, che si aprono alle
estremità della facciata, nelle quinte stradali di cui [Vittone] aveva forse
previsto la trasformazione»18. Questa tesi, tuttavia, non troverebbe conferma nella cartografia settecentesca: dallo studio del Tipo geometrico del
corso della Bealera di Rivarolo19 si rileva, infatti, che il termine dei portici
coincide con il punto sul quale sorge la chiesa20. Il restante tratto della via,
che si conclude a ridosso della porta urbana lungo la strada per Ivrea, presenta invece un evidente restringimento, che non consente la presenza di
loggiati. Nell’ipotesi – peraltro non documentata – di una loro edificazione, si sarebbe dovuto procedere a una pesante riplasmazione delle preesistenze attraverso l’ampliamento della sede stradale. Come, infine, sottolinea lo stesso Vittone nelle Istruzioni diverse: « È questo un caso, in cui
mi trovai in obbligo di studiare dentro un sito cinto a due parti da Contrade pubbliche, e per le rimanenti da Fabbriche convicine un’idea per cui
si venisse a dar luogo ad un assai numeroso Popolo, ed a render insieme
comoda la Chiesa, e le sue parti per tutte le Funzioni, e sacre Officiature
Parrocchiali […]»21.
Le parole dell’architetto rimarcano quale sia la posizione della chiesa,
ossia una collocazione d’angolo tra due vie pubbliche: la possibilità, pertanto, di far continuare il porticato lungo i fronti degli edifici posti a sinistra della chiesa comporterebbe una consistente trasformazione delle preesistenze, di cui peraltro le fonti documentarie analizzate non fanno cenno.
La scelta progettuale di Vittone, invece, si può con ogni probabilità ricondurre alla necessità di far arretrare il filo di facciata del nuovo edificio,
al fine di dar maggior respiro al prospetto della chiesa, che risulterebbe
penalizzato, essendo questa collocata sul finire della via maestra e in continuità con gli edifici meno rappresentativi della strada, posti non soltanto in adiacenza alle mura, ma anche in prossimità del corso fluviale. La
17
18
19
PORTOGHESI, Bernardo Vittone. Un architetto tra Illuminismo e Rococò, cit., p. 152.
Ibid.
ASCRIV., Cartografia, n. 488, Particolare del Tipo geometrico del corso della Bealera di Rivarolo, e sue diramazioni, nel quale resta dimostrativamente delineata quella porzione di prati, e campi
esistenti lateralmente a detta bealera, ed ogni altra cosa nel seguente indice indicata. Firma di
Giuseppe Castelli ingegnere; Torino, 16 maggio 1743.
20 Dalla disamina del disegno si rileva l’interruzione della linea punteggiata che individua la presenza di edifici porticati.
21 B. A. VITTONE, Istruzioni diverse concernenti l’ officio dell’ architetto civile, ed inservienti d’elucidazione, ed aumento alle Istruzioni Elementari d’ Architettura già al pubblico consegnate; ove si
tratta della misura delle fabbriche, del moto, e della misura delle acque correnti, dell’ estimo de’ beni,
del miglio comune d’ Italia, dei ponti, e di pressoche ogni sorta di fabbriche, ed ornamenti d’ architettura civile, Lugano 1766, p. 181.
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realizzazione della facciata “a tenaglia”, con questa sorta di portici a chiusura dello spazio del sagrato, contribuisce inoltre a concludere visivamente la via, accompagnandone il naturale restringimento.
La soluzione compositiva elaborata da Vittone per la parrocchiale di Rivarolo evoca le architetture a pianta centrale del Bernini: gli edifici romani di Sant’Andrea al Quirinale e di Santa Maria dell’Assunzione ad Ariccia22 potrebbero essere individuati come possibili riferimenti culturali dai
quali l’architetto avrebbe forse desunto il disegno per il San Michele. Sebbene le due chiese romane risultino essere assai differenti nella composizione architettonica di facciata, la ripresa di alcuni elementi strutturali e
ornamentali è tuttavia evidente. L’uso della balaustra a delimitare il primo ordine in corrispondenza degli elementi di raccordo ai portici della
via maestra, unitamente all’andamento volutamente concavo della facciata, trova ragione proprio in questi modelli romani, che Vittone ha conosciuto e studiato durante gli anni formativi presso l’Accademia di San Luca23. La soluzione del portale all’antica segnato da colonne corinzie, che
sorreggono oltre alla trabeazione completa il timpano spezzato al centro
del quale si colloca la finestra, rimanda invece, in forme semplificate, alla
più articolata soluzione di facciata adottata da Carlo Fontana nella chiesa
di San Marcello a Roma. I riferimenti culturali a questi modelli non si limitano, tuttavia, alla sola dimensione architettonica della chiesa, ma anche a quella urbana. Il rapporto tra edificio e contesto si esplicita attraverso la realizzazione di strutture che mediano tra fabbrica e ambito urbano: nel Sant’Andrea le ali curvilinee in cui si dilata il fronte della chiesa
delineano lo spazio del sagrato, mentre nella collegiata di Ariccia la realizzazione di logge a completamento del prospetto contribuisce alla definizione della piazza su cui la chiesa prospetta. La soluzione compositiva
adottata da Vittone nel San Michele di Rivarolo sembra rifarsi a questi
modelli, che vengono plasmati in una reinterpretazione architettonica del
portico piemontese, rivisitata in chiave locale – ma non localistica – e in
coerenza al disegno della chiesa. Il progetto così realizzato non soltanto
delinea un singolare disegno di facciata, ma risolve uno spazio urbano
attraverso l’enfatizzazione del sagrato, altrimenti inesistente.
Un accessorio assai ragguardevole: il campanile di Montanaro
Nel 1758 Bernardo Vittone è chiamato nella piccola località di Montanaro – territorio che a metà del XVIII secolo è ancora sotto la giurisdizio22 A. SCOTTI TOSINI, (a cura di), Storia dell’architettura italiana. Il Seicento, Einaudi, Torino
2003; WITTKOWER, Arte e architettura in Italia 1600-1750, cit., p. 317.
23 OECHSLIN, Il soggiorno romano di Bernardo Antonio Vittone, cit.; MILLON, La formazione piemontese di B. Vittone fino al 1742, cit.
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ne dell’abbazia di Fruttuaria24, oggi in provincia di Torino – a progettare
l’ampliamento della chiesa parrocchiale e la ricostruzione del campanile
e della casa comunale25. Il complesso disegno proposto dall’architetto
acquisisce rilievo nel disegno della città, poiché incide pesantemente sull’assetto della piazza posta al termine della via maestra porticata. Su questo
spazio urbano, rinnovato dal progetto del Vittone, prospettano non soltanto gli edifici per i quali l’architetto è stato convocato, ma anche il cimitero – spostato definitivamente nel XIX secolo per lasciar spazio ad un edificio residenziale – e la chiesa della confraternita di Santa Marta, che, a
seguito dei lavori vittoniani, verrà anch’essa trasformata mediante la
sovrapposizione di una nuova facciata. Come ricorda Antonio Dondana,
infatti: «[…] Per costrurre la nuova chiesa [parrocchiale di San Nicolao] fu
mestieri di abbassare il livello della medesima, e quindi della piazza che le
sta dinnanzi. Di qui avvenne che alla chiesa di Santa Marta non si poteva
accedere se non per mezzo d’una scala a farsi. […] Ma questo abbassamento di livello nuoceva del pari alla chiesa dalla parte di mezzanotte.
Imperocché al di là del fosso Merdarello, che dietro la barbacane correva
da levante ad occidente, e scaricava le acque sulla piazza della chiesa, il
terreno era molto elevato, e ciò era causa di grande umidità nei muri a
mezzanotte della chiesa, che deperivano. Si consultò l’ingegnere Vittone
intorno al modo di levar quel grave inconveniente […]»26.
Il documento mostra chiaramente che la complessità del sito induce
l’amministrazione comunale di Montanaro a ricorrere alla professionalità
di Vittone, riconosciuto competente nella soluzione di articolati problemi
urbani. Non si può in effetti dimenticare che, ad esempio a Pinerolo, nel
1754, l’architetto esegue il progetto per lo spianamento della piazza d’Armi27 e il conseguente raccordo dei fronti degli edifici su questa prospicienti.
Tra i documenti relativi alle fabbriche montanaresi di particolare interesse per la comprensione della portata del progetto architettonico è la
relazione mediante la quale Vittone giustifica la scelta del luogo in cui col24 Nell’ambito delle diocesi di Torino e Ivrea, i comuni di San Benigno Canavese, Montanaro, Lombardore e Feletto, ricadono direttamente sotto il controllo dell’Abbazia di Fruttuaria di San Benigno, ovvero dello Stato della Chiesa, almeno sino al 1741, anno in cui il
pontefice rinuncia definitivamente a queste terre abbaziali, occupate militarmente dai Savoia a partire dal 1711.
25 M. BATTAGLIO, L’ultimo Vittone: il campanile di Montanaro, nuovi rilievi e fonti, Litoart, Torino 2000.
26 A. DONDANA, Memorie storiche sulla comunità di Montanaro, Artigianelli, Torino 1884, pp.
195-203.
27 PORTOGHESI, Bernardo Vittone. Un architetto tra Illuminismo e Rococò, cit.; B. SIGNORELLI,
Vittone a Pinerolo, in Bernardo Vittone e la disputa fra classicismo e barocco, Atti del convegno
internazionale promosso dall’Accademia delle Scienze di Torino nella ricorrenza della morte di B. Vittone (Torino, 21-24 settembre 1970), Torino 1972, tomo II, pp. 245-281.
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locare il nuovo campanile28. L’architetto, per rispondere a una specifica
richiesta della comunità, esamina puntualmente tutti i luoghi disponibili
per l’edificazione della nuova struttura, valutando peculiarità e vantaggi
– estetici e funzionali – di ciascuna area29. Il campanile, infatti, è di proprietà comunale, ma le quattro campane sono rispettivamente due della
parrocchia di San Nicolao, una della chiesa della Confraternita di Santa
Marta e una del medesimo comune e, pertanto, tutti questi soggetti devono avere facile accesso alla nuova struttura. A queste ragioni se ne aggiungono altre di carattere economico: l’opportuno posizionamento dell’edificio consentirebbe, infatti, di utilizzare almeno due muri della nuova fabbrica per la costruzione della casa comunale, riducendo in tal modo la
spesa complessiva. La collocazione del campanile costituisce, inoltre, elemento critico nella definizione degli spazi della piazza30, poiché dalla sua
ubicazione – trattandosi di struttura particolarmente elevata – dipende la
percezione dello spazio urbano.
La questione dell’inserimento del campanile si può, infine, ricondurre
anche a una più evidente ragione di rapporti con il costruito, che sappiamo essere particolarmente cari all’architetto: nel libro II, sezione II capitolo II delle Istruzioni diverse si possono, infatti, apprendere i caratteri che
queste strutture devono possedere: «[…] Primo, lo spicco, che colla rilevante, e nobile vista loro essi accrescono a quelle Città, o Villaggj, nè quali
si trovano eretti. Secondo. Il comodo di potervi nelle solennità sovrapporre dei fuochi d’allegrezza, che per l’altezza, in cui a trovare si vengono, possono di se cospicua render d’assai lungi la vista. Terzo. Il piacere,
di cui sì volentieri comunemente si gusta, di potere, salendo sovra essi,
godere la vista de’ spettacoli, ed oggetto, che di lontano rendonsi spettandi, ed a chi li mira aggradevoli, al qual effetto gioverà tuttora maneggiarne l’idea in modo, che a trovar vi sì vengano delle Finestre alla maggiormente possibile altezza. […]»31.
È l’altezza del campanile, dunque, a incidere pesantemente sul contesto, poiché causa un rapporto biunivoco di interdipendenza tra le parti: il
campanile è una struttura atta ad essere vista da lontano, ma è altresì un
edificio da cui si può dominare il territorio. È anche alla luce di queste
considerazioni che, con ogni probabilità, Vittone ha enunciato nella propria relazione le diverse ipotesi per una opportuna collocazione del nuovo campanile montanarese, scartandole poi una per una, per giungere
alla sesta e definiva soluzione progettuale. Insoddisfacenti risultano, in28 Archivio storico comunale di Montanaro (d’ora in avanti denominato ASCMO), Categoria VII, Culto, mazzo 697, Relazione per il sito in cui edificare il nuovo Campanile e la casa comunale.
29 VITTONE, Istruzioni diverse concernenti l’ officio dell’ architetto civile, cit.
30 BATTAGLIO, L’ultimo Vittone, cit.
31 VITTONE, Istruzioni diverse concernenti l’officio dell’ architetto civile, cit., pp.189-192.
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fatti, le ipotesi che causano inconvenienti costruttivi nello smaltimento
delle acque meteoriche delle fabbriche adiacenti il campanile, piuttosto
che la presenza di terreni cedevoli e inadatti a resistere a carichi puntuali. Vittone, tuttavia, accantona soprattutto quelle soluzioni che, a suo parere, compromettono la percezione dello spazio urbano. Dall’analisi della
perizia appare evidente la preoccupazione dell’architetto per la definizione di un ambito urbanisticamente disarmonico; uno stato d’animo che si
manifesta nella minuziosità di ragionamento con cui viene affrontato il
problema della collocazione dell’edificio in rapporto alla complessità di
fronti prospicienti la piazza. L’eventuale costruzione del campanile in
una parte del sito occupato dall’antico cimitero comunale, infatti, avrebbe posto in posizione defilata la struttura, relegandola al margine della
strada maestra. Al contrario la sua ricostruzione nel luogo in cui insisteva quello medievale avrebbe irreparabilmente compromesso la corretta
visibilità del fronte principale della parrocchiale. In quest’ultimo caso,
peraltro, l’ubicazione del campanile avrebbe contribuito a deformare l’irregolarità della piazza. La costruzione del campanile, infine, tra la chiesa
della confraternita di Santa Marta e la parrocchiale avrebbe impedito la
realizzazione di un basamento indipendente per la struttura che, svettando sopra le due chiese, non avrebbe assunto piena autonomia rispetto al
contesto. Questa ipotesi, tra l’altro, è in chiara opposizione a quei principi che lo stesso Vittone enuncia nelle Istruzioni diverse, secondo i quali:
«Varie esser possono per ben formargli le regole; ma quattro fra le altre
pajono a me le più osservabili; e sono queste: Primo. Il disporgli in modo,
che vi si vegga un richiamo reciproco tra le parti, che gli compongono,
così che non un ammasso appajono disordinato di cose, delle quali le une
non abbino che fare colle altre; ma dimostrino insieme unite formare un
tutto assoluto, e compito nelle sue membra; effetto, che si conseguirà
prendendo la principale della parti loro di mira, e ad essa le rimanenti,
come di lei membra, od accessorj, adattando.»32
Sono invece ragioni di incomodo a rendere inadeguata la soluzione con
la quale Vittone valutava l’opportunità di innalzare il campanile in corrispondenza della vecchia porta del Luogo, che interseca la Contrada Principale.
In questo caso si sarebbe dovuto procedere all’abbattimento di una delle
porte urbiche e dell’edificio destinato a pubblico macello, nonché a forno
comunale; inoltre, il nuovo campanile sarebbe sorto lontano dalla parrocchiale, causando grave disagio soprattutto al parroco. L’ipotesi definitiva
e caldeggiata da Vittone è, quindi, quella che prevede il posizionamento
del campanile nell’area compresa tra la chiesa della Confraternita di
Santa Marta e il sito deputato alla costruzione della nuova casa comuna32
VITTONE, Istruzioni diverse concernenti l’officio dell’ architetto civile, cit. pp. 189-192.
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le, in asse con la strada maestra.
Come dichiara lo stesso architetto nella sua relazione dell’8 settembre
1767: «[…] questo sitto [mi parve più conveniente perché] dalla parte di
mezzo giorno verrà presentarsi in fronte della Contrada principale del
luogo, et sopra della pubblica Piazza, e dalla parte di Levante confinerebbe con la Chiesa di Santa Marta, e dalla parte di Ponente con li nuovi
Archivj di detta Communità, et dalla parte di mezza notte con la Camera
del Consiglio, Cortetta, e ripostiglio della nuova Casa d’essa Communità
ed in questa maniera esso Campanile le resterebbe disgiunto da qualsivoglia Fabbrica particolare […]»33.
Questa soluzione risolve numerosi problemi sia di natura squisitamente compositiva e percettiva dello spazio pubblico, sia pratica, dal momento che questa scelta consente ai tre soggetti fruitori della struttura – confraternita, parrocchia e casa comunale – un agevole accesso alle campane34. «[…] Per ultimo fatto riflesso che a ponente della chiesa di Santa
Marta et in successività della medesima tendendo sino alla rampa detta
del Castello, essersi qui la quasi rovinosa Casa di detta Communità, la
quale si presenta di fronte verso della Principal Contrada di questo luogo,
trameddiante però la Piazza, questo sito a prima vista mi sembrò il più
comodo, e conveniente per collocarvi sovra di esso il già detto campanile
unitamente alla Casa di questo Pubblico, […] qui il Campanile verrà ad
essere piuttosto maggiormente vicino alla Parrocchiale di quello che presentaneamente sia il Campanile esistente, ed a questo Campanile dalla
Piazza si avrà libero accesso in ogni tempo senz’incommodo, o disturbo
di verun particolare»35.
33 ASCMO, Categoria VII, Culto, mazzo 697, Relazione per il sito in cui edificare il nuovo
Campanile e la casa comunale, cit.
34 Relativamente ad alcune discrepanze relative alle ricostruzioni proposte da Massimo
Battaglio, cfr. MALANDRINO, Bernardo Antonio Vittone architetto nelle province sabaude, cit.
35 ASCMO, Categoria VII, Culto, mazzo 697, Relazione per il sito in cui edificare il nuovo
Campanile e la casa comunale, cit.
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G. CASTELLI INGEGNERE, Particolare del Tipo geometrico del corso della Bealera di Rivarolo, e sue
diramazioni, nel quale resta dimostrativamente delineata quella porzione di prati, e campi esistenti
lateralmente a detta bealera, ed ogni altra cosa nel seguente indice indicata; Torino, 16 maggio 1743.
Scala grafica: Scala di trabucchi 250. Disegno su carta telata, realizzato a matita nera, inchiostro nero e rosso, e acquerello verde, rosa e marrone. Misure 995x4160 mm. (ASCRIV., Cartografia, n. 488).
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La chiesa di San Michele Arcangelo a Rivarolo Canavese. L’immagine mostra la particolare
soluzione “a tenaglia” realizzata con semi-portici che proseguono idealmente l’andamento
della via maestra (oggi via Ivrea). (Foto T. Malandrino).
La via maestra di Montanaro, sul cui fondo si staglia il campanile progettato da Bernardo
Vittone nel 1767.
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