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I Misteri orfici
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Nel VI secolo a.C. in Grecia ci furono grandi trasformazioni in seguito al passaggio dalle antiche istituzioni monarchiche alle
configurazioni di stati democratici, quale fu quello di Atene.
In questo periodo ci fu una espansione colonizzatrice verso il nord del mar Nero e così il mondo greco entrò in contatto con le
culture iraniche e anche con l'India considerando che esistevano, fin dal terzo millennio a.C., dei traffici commerciali tra il mondo
mesopotamico dei Sumeri e l'India. Questi contatti sono ravvisabili nella concezione indiana della creazione uscita dall'uovo
cosmico (hiranyagarbha: “germe d'oro”), che trova la sua prima elaborazione, pur senza arrivare all'immagine dell'uovo, proprio nel
mondo mesopotamico. In India inoltre si erano riversate nel secolo XVI le invasioni degli Arii, popolo indoeuropeo sviluppatosi nelle
steppe asiatiche. Queste invasioni determinarono nuovi stimoli culturali nel mondo indiano, cosicché le divinità adorate dagli Arii
divennero parte dei testi Veda, che proprio allora si stavano costituendo; e influssi Veda giunsero fino alla regione Iranica, nella
religione pre-zoroastrana (Zarathustra o Zoroastro, in greco, visse tra il X e il VII-VI sec.a.C.).
Molto sensibile a questi molteplici contatti fu Ferecide di Siro, nato attorno al 600-596 a.C. e che sembra essere stato un maestro di
Pitagora, insieme a Talete. Ferecide nella sua cosmologia ochieggiò il dualismo iranico: principio del bene (Aura
Mazda; Ohrmazd in lingua pahlavi) e il principio del male (Ahriman). Indubbiamente, la pressione delle sopravvenute conquiste del
persiano Ciro che occupò la Media spinse verso la Grecia elementi del dualismo iranico. Esiste il caso dei greci che dovettero
fuggire da Focea (in Asia minore, oggi Turchia), trasmettendo a Parmenide, filosofo greco, elementi della cultura iranica.
Ferecide di Siro, che esercitò pratiche divinatorie, fu attratto anche dalla concezione della reincarnazione, già elaborata in India dai
testi Veda e dalle Upanishad. E' difficile sottrarsi dal vedere un influsso che parte proprio dall'India. Difficile pensare che gli Orfici e
Pitagora abbiano elaborato la credenza della trasmigrazione delle anime a partire dalla concezione sciamanica che l'anima di un
defunto può investire uno sciamano rafforzandone i poteri divinatori, dal momento che ciò non crea affatto il presupposto per la
concezione della reincarnazione, che ha bisogno di elaborare il concetto di punizione di una vita precedente sbagliata. Difficile
pensare che gli Orfici abbiano elaborato con concezione originaria l'uovo cosmico presente nella loro cosmologia, senza derivarlo
dall'India, dalla quale l'idea dell'uovo cosmico si espanse in molte direzioni, ad esempio presso i fenici.
Queste sollecitazioni dall'esterno vennero tuttavia recepite dentro il quadro greco, che si affermò fortemente nel V secolo con le
vittorie sui Persiani, e soprattutto con una capacità propria di dare risposte ai problemi. Ne segue che è corretto dire che la grande
filosofia, la speculazione razionale, si sviluppò in Grecia, ponendosi a distanza dalle strettezze dei miti, usandoli come fatti
allegorici.
Platone recepì dall'orfismo la credenza della reincarnazione, ma rifiutò nel “Simposio” il mito orfico, classificando Orfeo non come
un vero amante. Un vero amante si sarebbe dato la morte per scendere nell'Ade dall'amata Euridice, uccisa dal morso di un
serpente. La sua morte per mano dei Titani è anti-eroica, perché ha voluto forzare le leggi dell'Ade con l'incantesimo musicale, egli
è uno che usa la parola nella ricerca della doxa (la gloria), e non nell'episteme (la conoscenza). Platone accolse il dualismo orfico
tra l'anima con il corpo, ma in maniera temperata, non riconduce il corpo ad un principio creatore malvagio, ma ad una condizione
di esistenza punitiva per peccati antecedenti, cosa che è presente nell'orfismo, ma in aggiunta alla concezione di un corpo
proveniente da una realtà malvagia. Ovviamente, il mito di Orfeo che scende nell'Ade era letto dagli orfici come desiderio di forzare
i cancelli dell'Ade con l'incanto musicale, che è un potere senza violenza. Tutto fallì perché Orfeo si voltò indietro per vedere se
Euridice lo seguiva e così mancò al patto stabilito con il dio Ade presso il quale aveva agito la moglie Persefone, incantata e
commossa dal canto di Orfeo.
L'orfismo, infatti, inserì il dualismo iranico nel quadro del culto dionisiaco. Dionisio divenne il principio del bene e i Titani che lo
uccisero quello del male. L'uomo, formato dalle ceneri dei Titani, che avevano ucciso e divorato Dionisio, porta in sé un dualismo: il
bene, che venne mangiato dai Titani e il male che procede da loro.
Il mito di Orfeo
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