Dirac: la ragionevole potenza della matematica (La

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Dirac: la ragionevole potenza della matematica
(La matematizzazione della fisica nell'opera di Dirac)
Salvo D'Agostino
La irragionevole potenza della matematica nelle
scienze naturali
(Eugene Wigner 1960)
…l'esprit a la faculté de créer des symboles…
Sa puissance n'est limitée que par la nèecessité
d'éviter toute contradiction; mais l'esprit
n'en use que si l'expérience lui en fournit une
raison
(Poincarè, La Science et L'Hipothèse)
Riassunto
Secondo Max Jammer, le teorie di Dirac rappresentano l'unico esempio
storico di un formalismo che precedette la sua interpretazione fisica (Jammer,
1974). Il problema del significato della matematizzazione nella fisica di Dirac
viene quindi studiato attraverso un breve esame sia dei suoi contributi, che
contribuirono ai più importanti sviluppi delle teorie quantistiche, sia dei
processi di controllo sperimentale delle sue teorie.
A conclusione, si prende in considerazione la componente strumentale di tali
processi, specie per quanto riguarda il contributo delle teorie strumentali alla
interpretazione delle osservazioni e delle misure.
1 - A modo di introduzione: una
matematizzazione della fisica ottocentesca
svolta
emblematica
nella
Per introdurre la matematica di Paul Adrien Dirac (1902-1984) mi sembra
interessante accennare a una svolta significativa nel processo di
matematizzazione della fisica ottocentesca, la rilevanza dell'adozione di un punto
di vista matematico nell' elaborazione di teorie fisiche, nella metodologia di
James Clerk Maxwell (1831-1879). Nella memoria "On the mathematical
classification of physical quantities" (Maxwell, 1874), lo scienziato scozzese
proponeva una nuova classificazione di grandezze fisiche che, a differenza con la
tradizionale classificazione basata "sulla loro natura materiale ("the matter t o
which they belong"), faceva riferimento alle loro proprietà matematiche.
Grandezze fisicamente diverse nella vecchia classificazione diventano omologhe
principalmente per la loro omogeneità dimensionale.
La nuova classificazione riusciva vantaggiosa per collegare grandezze
appartenenti a fenomeni sino ad allora considerati diversi, come le grandezze
gravitazionali e quelle della conduzione temrmica, così che "una teoria può
essere trasferita in un'altra per la risoluzione di problemi ( "one theory can be
transferred to solve problems in the other" (Maxwell, 1874:258).
Con riferimento alla loro rappresentazione segnica, la classificazione
maxwelliana comportava che ogni "termine" delle equazioni fisiche avesse il
significato di "prodotto" fra un numero razionale e una grandezza dimensionale,
addittivamente omogenea rispetto ai termini dell'equazione (Maxwell, 1874:258).
Nel caso dell'energia, ad esempio, la parte dimensionale poteva essere
rappresentata in modo diverso, come quadrato della velocità per la massa ,
oppure come prodotto di due vettori : quantità di moto per velocità. Maxwell si
diffonde in varie considerazioni sui vantaggi della nuova classificazione, con
specifici esempi sulla sua teoria cinetica (Cfr. D'Agostino, 1996).
Per adeguarsi alla nuova classificazione Maxwell e Kelvin inventarono nuovi
segni matematici e nuovi nomi (divergenza, rotore, quaternioni, etc.). I nuovi
simboli furono presto interpretati nella loro funzione, matematicamente
Salvo D'Agostino - Dirac: la ragionevole potenza della matematica
(La matematizzazione della fisica nell'opera di Dirac)
autonoma, di operatori "ante literam" (una interpretazione che sarebbe stata
congeniale in seguito alle idee di Heaviside).
Per quanto il concetto di operatore avesse avuto origine nella matematica
cosidetta pura, proncipalmete come tecnica per la soluzione di equazioni
differenziali (Jammer, 1966:224)), la convergenza fra il loro più preciso uso
matematico e il loro pieno impiego nella nuova fisica teorica si effettuò per
merito di M. Born e di N. Wiener, in Cambridge (Mass), i quali, nel 1926,
generalizzarono la nuova teoria dei quanti in un calcolo con operatori (Jammer,
1966:222).
Altro importante passo nell'introdurre nuovi segni matematici nella fisica fu
compiuto da Werner Heisenberg, con la sua adozione delle matrici nella
formulazione delle nuove equazioni della meccanica quantistica (QM)
(Heisenberg, 1925).
2 - Dirac: nuovi segni per una nuova matematica
Il modo di generalizzare la teoria matriciale di Werner Heisenberg fu trovato
P. A. da Dirac (1902-1984) nel 1925, in base alla sua idea che la classica
meccanica di Hamilton dovesse trovar posto nella fisica dell'atomo. Egli riformulò
la teoria di Heisenberg adattandola al formalismo di Hamilton, scrivendo al
posto del commutatore hamiltoniano il commutatore quantistico (Jammer,
1966:229).
Sebbene il saggio del 1925 presentasse risultati incompleti, Dirac perfezionò
il suo metodo nel 1926, presentando una nuova algebra quantistica che
comprendeva nuove entità matematiche dette numeri q, diverse dai numeri c
corrispondenti ai numeri razionali della fisica clasica (Dirac, 1926).
Pur limitando i calcoli con il nuovo algoritmo alla trattazione dei sistemi
periodici, gli riusciva di calcolare tutte le frequenze della'atomo di idrogeno che
erano invece mancanti nella teoria di Born e Wiener. E' comprensibile come
dopo questo iniziale successo Dirac non abbandonasse più il suo particolare
metodo di farsi guidare dalla matematica di Hamilton, realizzando in breve tempo
nuove conquiste. Il saggio: "The Quantum Theory of Emission and Absorption of
Radiation" (Dirac, 1927:243) è considerato come il contributo che segna l'inizio
dell'elettrodinamica quantistica (Schwinger, 1958, VIII).
Oltre a dedurre mediante appropriati commutatori quantistici i coefficienti di
Einstein per l'emissione e assorbimento dei fotoni, Dirac presenta un'importante
innovazione nell'uso del formalismo, consistente nell'uso degli operatori di
creazione e distruzione dei fotoni. Gli operatori di creazione e distruzione
agiscono propriamente non su sistemi (corpuscoli) ma su stati del sistema, dato
che i simboli rappresentano questi stati. La caduta del fotone nello stato
stazionario zero è interpretato come l'assorbimento, corrispondente alla sua
distruzione, e, reciprocamente, l'uscita dallo stato zero rappresenta l'emissione.
Il formalismo implica cioè che il fotone esiste in quanto ha uno stato, cioè, il
fotone è il suo stato.1
E' interessante esaminare sotto il punto di vista del rapporto fra la notazione
segnica e il modello interpretativo il saggio del 1928: "The Quantum Theory of
the Electron" (Dirac, 1928, a, b).
La soluzione della celebre equazione relativistica per l'elettrone, ottenuta
inserendo grandezze relativistiche per l'energia e la quantità di moto in
1
La matematica di Dirac implica l'identificazione dell'"oggetto" fotone con il suo
stato, prescindendo dal portatore dello stato (o degli stati), che, nella fisica
classica, rappresentava l'oggetto (Cfr.: Hanson, 1963:49 passim; D'Agostino,
2000).
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un'equazione alla Schrödinger, presentava matrici di quattro elementi, che
Dirac interpretò affermando che vi sono due elettroni con energia positiva e
spin inverso (come previsto da Pauli) e due con le stesse caratteristiche ma con
energia negativa.
Lo stesso spin Pauli e Darwin l'avevano derivato dalla loro equazione
relativistica come una duplicità non spiegabile classicamente e Goudsmith e
Uhlenbeck l'avevano interpretato nel modello dell'elettrone rotante per far
tornare la duplicità degli spettri. Dirac insiste sulla forza della matematica
relativistica e della teoria delle trasformazioni che consentono per loro stesse
l'apparizione dello spin:
E' chiaro che il più semplice Hamiltoniano per un elettrone puntiforme quando
soddisfa alle richieste della relatività e alla teoria generale delle trasformazioni
conduce senza aggiunte ulteriori a una spiegazione dei fenomeni della duplicità
(Dirac, 1928).
Chiaramente per lui il grande risultato era stato quello di aver fatto uscire
lo spin dalla matematica, ma restava il problema dell'elettrone con energia
negativa, che in un primo tempo, aveva cercato di rendere comprensibile
mediante il modello dei buchi con energia negativa.
Secondo Pais, "il problema di trovare l'interpretazione {fisica} si dimostrò
molto più difficile di quello di lavorare semplicemente con le equazioni"(Pais,
1998:10). L'interpretazione fisica doveva condurre a modelli non sempre accettati
dai fisici contemporanei. Secondo Heisenberg, la teoria di Dirac restava : "Il più
triste capitolo della fisica moderna" (Heisenberg, 1928, in Pais, 1968:13).
Com'è noto, la discussione se i buchi potessero rappresentare protoni si
protrasse sino al 1930, quando Hermann Weyl ebbe a dicharare : "…temo che le
nuvole che circondano questa parte dell'argomento si coaguleranno sino a
produrre una nuova crisi nella fisica dei quanti" (Pais, 1968:16).
Finalmente nel 1931, Dirac ebbe il coraggio di parlare di elettroni con carica
positiva che chiamò anti-elettroni (Dirac, 1929:360). Prima che finisse l'anno
Carl Anderson fece la nota scoperta, dopo di che la predizione di Dirac e la sua
conferma fu considerata uno dei maggiori trionfi della fisica moderna.
Pais sottolinea che, anche dopo la conferma di Anderson, e poco dopo, di
Powell e Occhialini, sulla esistenza della nuova particella elementare, il
concetto di positrone come un buco in un mare infinito di elettroni negativi
riusciva indigesto, e "non senza ragione". Pauli scriveva a Dirac nel 1933 :
"Anche se l'esistenza dell' anti-elettrone è provata, io non credo nella vostra
concezione dei buchi". E un mese dopo, in una lettera ad Heisenberg, lo stesso
Pauli aggiungeva:
Non credo nella teoria dei buchi, perchè mi piacerebbe che vi fossero asimmetrie
nelle leggi naturali fra elettricità negativa e positiva… non mi soddisfa che le
asimmetrie confermate empiricamente fossero confinate ad uno degi stati iniziali"
{cioè nel mare dei buchi} (Pais, 1998: 17).
Pais aggiunge (ibid.: 17) che le difficoltà non stavano tanto nell'energia di
punto zero e nel mare di elettroni perché questi difetti potevano essere
eliminati attraverso una riformulazione della teoria, ma che i maggiori difetti
stavano negli infiniti che venivano a presentarsi nelle interazioni e che
facevano dire a Pauli, ancora nel 1936: "Sembrerebbe che a favore di Dirac
giochi più il successo che la logica" (ibid.: 18).
Il lavoro che segna l'inizio di una consistente teoria del positrone viene
considerato da Pais (ibid.: 19) il saggio di Dirac dell'ottobre 1933, cioè il suo
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Report alla settima conferenza Solvay, in cui viene presentata una "teoria
seria" della rinormalizzazione e, assieme, della corretta polarizazzione del vuoto.
Una teoria più soddisfacente della rinormalizzazione fu sviluppata, com'è
noto, da Lamb, Schwinger e Feynman nel 1947-48, sebbene Dirac non la
considerasse nel 1951 una teoria completa (ibid.: 25).
Ma Dirac restò sempre fedele al suo modello dei buchi. Anche nel suo
intarvento, a Solvay del 1934, insisteva sulla differenza fra un elettrone con
energia negativa (un oggetto "estraneo alla nostra esperienza"), e il positrone,
che ha energia positiva. La loro identificazione si affidava unicamente alla
teoria perché solo in teoria (Dirac :" nel quadro della teoria elettromagnetica") il
primo si comporta come un elettrone con energia e carica positiva (Dirac, 1934).
Il commento dello stesso Dirac, a distanza di quasi mezzo secolo dalla
scoperta, conferma quella che era stato sempre il suo pensiero sulla rilevanza
matematica della teoria:
Io ero più interessato nel trovare le giuste equazioni. Mi sembrava che questa
fosse la cosa più importante per il lavoro di un fisico matematico, la loro
interpretazione era di importanza secondaria (Dirac, 1982; Pais, 1998:10).
E' interessante osservare che alla domanda postagli da Thomas Kuhn, in
un'intervista che fa parte degli Archives for the History of Quantum Physics, se
egli avesse provato sorpresa o entusiasmo davanti alla scoperta sperimentale, del
positrone egli rispose:
Non credo che la soddisfazione sia da paragonarsi a quella che ho provato
quando mi sono accorto che le equazioni facevano tornare i conti (getting the
equations to fit).
Era quindi la veste matematica della teoria che in definitiva prediceva
consistentemente il quadrato dell'energia come invariante relativistico assieme
al quadrato del momento come soluzione della celebra equazione del 27, mentre
la interpretazione fisica della radice quadrata, come possibile energia negativa,
comportava il modello assai criticabile e criticato dei buchi (cfr. anche:
S.D'Agostino, 2000).
Pur nella spesso commentata reticenza ad avventurarsi sul piano filosofico,
Dirac ebbe spesso ad esprimere le sue idee su questa capacità della matematica di
vedere dove i concetti fisici presentavano ambiguità semantiche. Ecco come
questo problema è da lui visto nella Prefazione alla prima edizione del classico
libro The Principles of Quantum Mechanics. Vi si prospetta la necessità che la
fisica si distacchi dalla meccanica classica. Tuttavia esprime la fiducia che non si
tratti del crollo di "un sistema di idee e di leggi le quali formano uno schema
semplice ed elegante, che sembrerebbe impossibile modificare seriamente senza
distruggere le sue più affascinanti caratteristiche". E' cioè possibile cambiare lo
schema della fisica classica senza distruggerlo, col sostituirlo con un nuovo
schema, quello della meccanica quantistica, per alcuni aspetti più elegante e
soddisfacente: è qui evidente il suo ricorso al formalismo hamiltoniano, anche se
trasformato nel commutatore quantistico.
Ma i cambiamenti radicali riguardano i fondamenti:
La vecchia fisica procedeva formulando ipotesi sul meccanismo e sulle forze che
connettono gli oggetti osservabili, per spiegare il loro comportamento nel modo più
semplice... ma la natura lavora in modo diverso. Le sue leggi fondamentali non
governarono il mondo come ci appare direttamente nelle nostre immagini mentali,
ma controllano invece un substrato di cui non possiamo farci un'immagine
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mentale se non vogliamo complicare le cose con elementi irrilevanti. La
formulazione di queste leggi richiede l'uso della matematica delle trasformazioni
(Dirac, 1958, Prefazione VII).
E' chiaro che il substrato di cui non è possibile un'immagine mentale è
rappresentato dagli invarianti della teoria delle trasformazioni. Ecco allora il
tema predominante nelle concezioni del grande fisico: da ora in poi occorrerà
cominciare a guardare il mondo con gli occhi della matematica , la matematica è
lo strumento che per sua natura è adatta per trattare concetti astratti di ogni
tipo e non c'è qui limite al suo potere.
Dopo queste premesse Dirac introduce il suo metodo simbolico, una
rappresentazione matematica molto astratta dalla realtà fisica che ha il
vantaggio di facilitare l'avvicinamento alle nuove idee nel modo più diretto
possibile (Ibid.: IX).
3 - La teoria del monopolo: una "nota particella" che non si è ancora
trovata
Dopo aver esaminato le teorie di Dirac confortate dagli esperimenti, ci sembra
significativo per la nostra tesi prendere in considerazione il caso di una teoria
matematiaca che non ha sino ad oggi ricevuto un confronto decisivo con i
risultati sperientali. Si tratta del lavoro di Dirac del 1931: "Quantised
Singularities in the Electromagnetic Field " (Dirac, 1931:60) nel quale la teoria
prevedeva la possibilità di cariche magnetiche isolate.
Con un prassi oggi inusitata nella composizione degli articoli scientifici,
Dirac discuteva a lungo del rapporto tra fisica e matematica, con lo scopo di
precisare i cambiamenti di metodo che la fisica teorica avrebbe dovuto seguire
nello immediato futuro:
Molto probabilmente questi cambiamenti saranno così grandi che sarà oltre il
potere dell'intelligenza umana ottenere le idee necessarie {allo sviluppo della fisica
fondamentale}, cercando di dare direttamente forma matematica ai dati
sperimentali (Dirac, 1931: 60)
Dopo questa premessa di sfiducia verso quello che si deve intendere come il
metodo induttivo-empirico, egli proponeva come alternativa "…il più potente
metodo di avanzamento {della scienza} che al presente si possa suggerire".
Si trattava essenzialmente di un programma di sviluppo del formalismo
matematico allora presente nella fisica teorica:
Il metodo di avanzamento più potente che si possa suggerire è quello di
impiegare tutte le risorse della matematica pura nel tentativo di perfezionare e
generalizzare il formalismo matematico che costituisce ciò che è oggi la base della
fisica teorica, e, dopo ogni successo in questa direzione, cercare di interpretare le
nuove forme caratteristiche della matematica in termini di enti fisici - con u n
procedimento come il principio di identificazione di Eddington - (Dirac, 1931:60).
Nel suo commento Dirac contrapponeva il ruolo della matematica nella fisica
dell'ottocento a quello che essa deve avere nella fisica moderna. Mentre nello
scorso secolo la matematica richiesta per le teorie fisiche si poteva sviluppare in
complessità, ma restando sempre legata "agli stessi assiomi e definizioni" (si
trattava sempre in definitiva di sviluppi del calcolo e dell'analisi), gli sviluppi
della fisica moderna hanno richiesto una matematica che cambia continuamente
i suoi fondamenti:
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La geometria non euclidea o l'algebra non commutativa, che erano state
considerate come pure immaginazioni e giochi logici, sono arrivate ora ad essere
strumenti indispensabili (Dirac: very necessary) per la descrizione di fatti generali
del mondo fisico. Sembra ragionevole prevedere che questo processo di crescente
astrazione proseguirà nel futuro e che il progresso della fisica sarà associato ad
una continua modifica e generalizzazione degli assiomi che sono alla base della
matematica, piuttosto che ad uno sviluppo logico di un particolare schema
matematico basato su dati fondamenti (ibid.: 60).
Il grande fisico inglese faceva poi notare che proprio seguendo un metodo
consistente nella trattazione relativistica della equazione di Schrödinger
dell'elettrone, egli, un anno prima, nel suo saggio su "Elettroni e Protoni"
aveva conseguito un successo "un piccolo passo in accordo con lo schema
generale di sviluppo (ibid.: 61). Il "piccolo passo" a cui egli si riferisce era la
predizione di una particella con carica positiva. Dirac rendeva esplicito quindi
quello che, per lui, era il nuovo metodo preposto allo sviluppo della meccanica
quantistica, seguendo il quale essa aveva raccolto i primi notevoli successi:
inventare nuove matematiche per nuove fisiche.
Questo modo di porre il problema costituiva quindi una altra giustificazione
metateorica, a monte dello stesso asserto: esistono i monopoli, perché ne esiste
la matematica.
La teoria del monopolo non incontrò subito un grande favore nelle ricerche e
negli esperimenti. Negli anni trenta, fu ripresa soltanto da I. Tamm, P. Jordan e
B.O.Gronblom, e da M.N. Saba nel 1936. Negli anni quaranta, da M. Fierz nel
1944 e da P.P. Bauderet nel 1946 (Kragh, 1981). In queste ricerche teoriche le
condizioni poste dalla teoria per l'esistenza dei monopoli furono confermate. Lo
stesso Dirac riprese nel 1948 la sua prima teoria (Dirac, 1948), riformulandola
sotto la forma di un principio varazionale, e vi ritornò ancora negli anni 1975 e
1976-78.
La scoperta del neutrino nel 1956, un'altra di quelle particelle previste su
basi puramente teoriche, aumentò le speranze di successo. Infatti il neutrino
era stato per vari anni considerato come osservabile con difficoltà, mentre la
teoria di Dirac assegnava proprietà facilmente osservabili al monopolo, fra le
quali quella di produrre una traccia di ionizzazione di densità costante lungo
tutto il suo percorso (anche verso la fine), oltre ovviamente al suo
comportamento caratteristico in un campo magnetico.
Negli anni seguenti esperimenti di ricerca dei monopoli furono compiuti nel
1951 da M. Malkus nei raggi cosmici. Altri fisici li hanno cercati nella materia
stabile, fra l'altro, nelle rocce lunari e nelle rocce delle profondità marine. Altre
ricerche sono state fatte con gli acceleratori di particelle, il primo di questi
esperimenti è del 1959.
Edoardo Amaldi, a capo di un gruppo di ricercatori con elevati standards di
successo in altre ricerche, contribuì in anni recenti alla ricerca della particella
(Amaldi et altri, 1963). L'illustre fisico commentò così le ricerche sui monopoli
(Amaldi, 1968):
uno dei pochi esempi... di idee brillanti che sono rimaste in qualche modo al
di fuori delle grosse correnti di evoluzione (della fisica) senza trovare sino ad oggi
né gli indispensabili collegamenti con le osservazioni sperimentali né argomenti
teorici che provano la loro incompatibilità con leggi della natura solidamente
fondate.
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Amaldi faceva anche riferimento al fascino notevole della proposta di Dirac e
al fatto che, ben al di fuori da ogni proibizione posta dalla fisica classica
all'esistenza dei monopoli, al contrario, la loro esistenza implicherebbe una
maggiore simmetria delle equazioni di Maxwell (cfr. anche Pais, 1998: 92 passim).
Osservava inoltre che lo stesso vantaggio ne deriverebbe alle teorie
quantistiche di prima quantizzazione del campo elettromagnetico. Per quanto
riguarda invece la seconda quantizzazione, essa incontrerebbe considerabili
difficoltà se si ammettesse l'esistenza di monopoli puntiformi oltre a cariche
elettriche puntiformi. D'altra parte, secondo Amaldi, la teoria di Dirac apportava
anche notevoli chiarimenti a problemi di meccanica quantistica, fra l'altro
derivando come logico corollario la massa nulla del fotone (Amaldi, 1968).
B. Buford Price dell'Università di California nell'agosto 1975 aveva
annunciato la scoperta del monopolo su Physical Review Letters, ma essa fu
pesantemente contestata già nel Convegno di Monaco alla fine di Agosto e nello
stesso autunno del 1975 da P. Fowler e L. Alvarez, autorità nel campo dei Raggi
Cosmici e della fisica delle particelle elementari. Essenzialmente essi
affermavano che la traccia di Price avrebbe potuto essere provocata da un ente
fisico più tradizionale come un nucleo di platino. Questa alternativa non era
d'altra parte completamente soddisfacente, ma non lo era altrettanto quella del
monopolo.
Secondo H. Kragh (Kragh, 1981) la sfiducia nella interpretazione di Price fu
più basata su opinioni e un certo clima di sfiducia che si era venuto creando,
piuttosto che su dati inoppugnabili e non si è mai dimostrato che fosse
completamente errata. L'esperimento non è stato più ripetuto. Price e i
collaboratori confessarono candidamente nel gennaio 76 di aver avuto troppa
fretta e tre anni dopo in un'analisi più dettagliata dell'evento ammisero che la
loro pretesa di aver scoperto il monopolo era stata un errore (le misure furono
trovate compatibili con quelle di un antinucleo e di un nucleo ultrapesante).
Dopo la pubblicazione della scoperta di Price, Dirac assunse u n
atteggiamento piuttosto freddo, commentando che le probabilità che essa
costituisse una conferma era solo del cinquanta per cento, e subito dopo disse
allo stesso Price che non credeva che lo fosse (Kragh, 1981).
L'appellativo di "ben nota particella che non si è trovata" («well known
missing particle»), inventata da un noto fisico (Giacomelli, 1984), prova che
anche nei loro modi scherzosi i fisici ammettono una certa discrepanza fra il
livello teorico e il contenuto empirico.
4 - Previsioni teoriche ed effetti strumentali
E' ormai accettato che i risultati sperimentali interpretati attraverso le
teorie della camera di Wilson e dei Geiger rappresentano una conferma delle
previsioni della teoria quanto relativistica di Dirac sulla esistenza di elettroni
con carica positiva. E' noto che, come esempio dei primi osservabili, vengono
presentati (Hanson, 1963) la celebre fotografia di Anderson in camera di Wilson
e le fotografie di Powell-Occhialini. L'episodio storico di queste prime
osservazioni di antimateria è ormai considerato un classico, un esempio
paradigmatico di previsione teorica.
Le considerazioni di Dirac sulla scarsa rilevanza della conferma empirica dal
punto di vista della teoria matematica offrono però materia per ulteriori
riflessioni ad un esame storico-critico.2 Avendo già notato come le posizioni di
2
Il libro di Hanson pappresenta un contributo alla comprensione della fisica
moderna che resta ancora insuperato nel suo intelligente e profondo
problematicismo.
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Dirac sono strettamenti coerenti alle sue idee sulla natura delle teorie
matematiche, ci sembra opportuno cercare di individuare nella natura stessa dei
processi di confronto empirico nelle moderne teorie le ragioni che giustificano
queste posizioni.
E' ormai acquisito nella letteratura scientifica e storico-critica che i cosidetti
osservabili non sono oggetto di confronto diretto con gli enti teorici della teoria,
perché il confonto si realizza con la mediazione delle teorie strumentali (cfr.:
Dalla Chiara, Toraldo di Francia, 1973).
Il carattere indiretto delle predizioni è ancor più accentuato dal fatto che la
eventuale negatività del risultato di uno o più esperimenti non rappresenta
sempre una falsificazione della teoria. Nel caso del monopolo, anche ammettendo
che la teoria fondamentale (detta anche: teoria principale) assegni alla particella
alcune ben determinate caratteristiche primarie (carica, massa, densità di
ionizzazione, momento magnetico, etc.), non è detto che esse debbano essere
necessariamente direttamente rilevate attraverso una data strumentazione. Vi è
sempre la possibilità che alcuni parametri secondari, non determinabili o incerti
nella teoria principale, ma rilevanti nella strumentazione, rendano precari o
addirittura impossibile il rilevamento strumentale. Si possono ipotizzare ad
esempio sezioni d'urto molto piccole o vite medie eccezionalmente corte, per cui
la particella non viene prodotta negli eventi in cui la si attende, o, se è
prodotta, vi resta "in vita" per tempi troppo piccoli per essere rilevata dagli
strumenti.
E' notevole che nel rilevamento del positrone le teorie della ionizzazione per
urto nel gas della camera prevedano sezioni d'urto compatibili con
l'elettrodinamica classica. Analogamente, l'esperimento con rivelatori ottici era
probante in quanto la vita media dell'antielettrone ne consente un cammino
libero medio compatibile con i tempi di osservazione. Qualche volta può anche
accadere che sviluppi della teoria possano far prevedere quali misure possono
essere attribuite a "traccie" residue della trasformazione della particella,
rilevabili dagli strumenti. E' questo il caso dei più recenti sviluppi della teoria
del monopolo proposta da Ruderman e Zwanzinger nel 1969, secondo i quali
quando si produce una coppia di monopoli, lo smorzamento (damping) radiativo,
associato con la loro forte attrazione mutua, condurrebbe alla perdita della
maggior parte della loro energia cinetica, cosicché la coppia ricadrebbe su se
stessa annichilendosi in un tempo molto breve. L'effetto osservabile di questo
processo sarebbe l'emissione di un grande numero di fotoni (Amaldi, 1968)
(fenomeno analogo all'annihilazione elettrone-positrone). Vi sarebbe quindi
soltanto una prova oltremodo indiretta dell'esistenza dei monopoli, legata alle
caratteristiche energetiche e alla distribuzione spazio temporale dei fotoni
osservati. Le caratteristiche energetiche dell'urto elettrone-positrone prevedono
la produzione di fotoni singoli, facilmente individuabili con la strumentazione
ormai classica.
Soltanto in pochi casi, elaborati a livello della teoria principale, un risultato
negativo dell'esperimento, può essere considerato come una ragionevole
falsificazione della teoria. Ad esempio, nel 1975 F. J. Tipler affermò (Tipler,
1975) che il fatto che i monopoli non sembrano presentarsi in natura non è per
niente misterioso, solo che si voglia abbandonare la teoria di campo e accettare
le teorie elettrodinamiche di azione a distanza. Solo nelle teorie di campo, tipo
Lorentz-Maxwell, e nei loro sviluppi nell'elettrodinamica quantistica, dove i
campi e le particelle hanno lo stesso stato ontologico, si può introdurre il
concetto di monopolo; secondo Tipler, è difficile, se non impossibile,introdurlo
nella elettrodinamica dell'azione a distanza, anzi, si può capovolgere l'ordine del
criterio dimostrativo affermando che la non esistenza di monopoli proverebbe la
falsità delle teorie di campo.
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Ma questi casi di falsificazione totale, considerati paradigmatici da Karl
Popper, sono molto rari; nel caso del monopolo una decisione del tipo proposto
da Tipler, la falsificazione totale delle teorie di campo, contradirebbe un secolo
di risultati fecondi e comporterebbe sconvolgimenti così radicali da non esser
considerati plausibili. Piuttosto sono più accettabili modificazioni parziali del
tipo sopra accennato, che giustifichino i risultati negativi, senza per questo
falsificare la teoria principale. I. Lakatos aveva discusso in un noto contributo le
tattiche protettive delle teorie (I.Lakatos, 1970).
Conclusioni
Il particolare caso storico sopra delineato di due teorie altamente
matematizzate, una delle quali ha ricevuto una eclatante conferma sperimentale
mentre l'altra non ha dato sino ad oggi alcun risultato decisivo di conferma o di
refutazione, presenta a mio parere un interesse per un inizio di discussione sui
complessi problemi che si presentano per comprendere il ruolo della
matematizzazione nella fisica moderna.
E' interessante a questo scopo osservare che, sin dagli inizii della sua
costituzione, i maestri della fisica teorica tendevano ad attribuire valore
probante a caratteristiche interne alla teoria stessa, quali la coerenza della
formulazione matematica, la sua eleganza e la sua completezza (Jammer, 1979;
cfr. anche: D'Agostino, 2000 A). Questa tendenza ha origini ottocentesche ma
riceve anche eminente conferma nelle idee di Einstein e dei fisici-matematici
come Hilbert, Weyl, ed altri (Jammer, 1979).
E' proprio questo l'atteggiamento di Dirac davanti alla ricerca della sue
particelle. In diversi scritti ed interviste egli ha spesso dichiarato di non aver
mai attribuito un interesse predominante alle conferme sperimentali delle sue
teorie. Pur accettando, come la maggioranza dei fisici, che il giudizio ultimo sulla
teoria risieda in questa conferma, egli, come risulta dalle idee dianzi espresse,
ha prestato maggior interesse alle caratteristiche di consistenza interna, di
eleganza, infine anche alle qualità estetiche della teoria.
Occorre allora riconoscere che Dirac proponeva una nuova concezione di
scienza empirica in cui il rapporto tradizionale fra base empirica e matematica
veniva essenzialmente rovesciato. Che si tratti di una convinzione razionale e
non di atteggiamento motivato solo sul piano psicologico, può essere comprovato,
non foss'altro, dalla perfetta coerenza delle idee qui espresse con quelle sopra
riportate nelle quali esplicitava i presupposti stessi in base a cui era "razionale"
accettare le teorie.
Si deve quindi concludere che una nuova concezione del ruolo della
matematica nella fisica viene considerata da Dirac come una delle caratteristiche
salienti della fisica moderna: la fecondità di questa fisica sta proprio in questo
rapporto con una matematica che cambia radicalmente i suoi fondamenti, senza
limiti verso le concezioni più astratte, ed è quindi questo nuovo ruolo della
matematica che va evidenziato nella ricerca fisica, anzi esso viene proposto come
il metodo stesso della ricerca. In breve: una nuova matematica propone una
nuova fisica.
Recenti ricerche hanno cercato di dare un più preciso significato a questa
affermazione (Garber, 1999; Boniolo, 2000). Mi sembra interessante riferirmi alla
tesi di Boniolo che sottolineava una triplice funzione della notazione segnica
delle teorie fisico-matematiche identificabile rispettivamente nella valenza
iconica, indicativa e simbolica del segno matematico nelle equazioni della fisica.
Viene qui a proposito spiegare il nuovo ruolo della matematica nella fisica di
Dirac come una prevalenza della valenza iconica rispetto a quella di indice e di
simbolo, rappresentative ed indicative di un possibile oggetto. Non trovo
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Salvo D'Agostino - Dirac: la ragionevole potenza della matematica
(La matematizzazione della fisica nell'opera di Dirac)
nessuna migliore espressione di questa funzione che quella illustrata nelle
parole dell'autore del recente articolo nel sottolineare l'autonomia della
funzione iconica del segno.3
Più in generale, si può affermare che nelle recenti teorie fisico-matematiche,
rappresentate emblematicamente dalle teorie di Dirac, la funzione iconica
verebbe enfatizzata sino al punto di prevalere sulle funzioni indicizzanti e
simboliche (nel senso di riferirsi ad entità esterne alla teoria stessa).
Questa speciale situazione si presta a mio parere anche ad un'analisi storicocritica del mutato rapporto nella fisica moderna fra l'elaborazione matematica
della teoria e i risultati degli esperimenti. Vi accennerò brevemente in questa
sede.
Ammessa la prevalenza del ruolo iconico della matematica, la teoria si
presenta con un'adattabilità interpretativa inconcepibile nelle teorie della fisica
classica, diciamo, pre-relativistica. Nello stesso tempo, è facile constatare che la
imponente strumentazione negli esperimenti implica teorie la cui eleborazione
supera di granlunga quella della strumentazione cosidetta classica (Galison,
1987).
E' evidente allora che il confronto teoria-esperimento si presenta nella forma
di un processo di adattamento fra teorie-matematiche e teorie strumentali. Le
teorie strumentali funzionerebbero da adattamento di impedenza (in senso
metaforico) (Bunge, 1973) fra le teoria principale e i dati, col risultato di liberare
la teoria stessa da vincoli troppo stretti (catene operative corte) con il piano
empirico. La funzione iconica dei segni delle formule ne verrebbe così esaltata.4
Va d'altra parte affermato che le mie considerazioni tolgono molto credito ad
una idealizzazione del potere delle teorie matematiche (nel senso di una loro
rilevanza ontologica),5 senza nulla togliere però a una sottolineatura della
potenza segnica della matematica nella fisica moderna in quanto costruttrice di
entità simboliche.
3
"Una caratteristica importante dell'icona, al di la di essere rappresentazione,
consiste nella sua autonomia. In effetti, una volta costuita si può mettere del
tutto fra parentesi il suo essere rappresentazione {cioè, v. prima, la sua funzione
simbolica} {nota S.D.} e il suo avere un interpretante; connesso con l'oggetto
{cioè, la sua funzione di indice} {nota S.D.} e si può lavorare su di essa come
entità in se conclusa, ossia come avente un interpretante senza alcun
collegamento con alcun oggetto" (Boniolo, cit. p. 14).
4
Nella letteratura, le ricerche sulla potenza matematica delle teorie di Dirac
hanno dato luogo alla formunazione di punti di vista diametralmente opposti,
tendenti, da una parte, a sottolineare la potenza del simbolismo matematico in
quanto tale, mentre, dall' altra, è l'interpretazione fisica che viene considerata
la quasi unica depositaria del potere euristico delle teorie (Per la bibl.: cfr.
Monti, 1996).
5
Cfr. il recente saggio di Paolo Budinich, "La rivoluzione del metodo di Dirac
come metafisica verificabile", in: Nuova Civiltà delle Macchine, anno XVIII, N.
4, 2000; pp. 83-89. L'autore contrappone il metodo galileano che prescriverebbe
di "osservare prima il fenomeno e poi scriverne le leggi in forma matematica" al
metodo di Dirac, che procede "con la matematica pura alla scoperta della legge
che governa i tanti possibili fenomeni naturali". Fra le interessanti ma
discutibili tesi di Budinich esposte nel saggio, che ho letto quando il mio
articolo era già scritto, mi limito a considerare che egli, identificando i simboli
della grande matematica di Dirac con entità fisiche "tout court", sottovaluta la
multiforme correlazione (Helmholtz, Hempel, Toraldo di Francia) fra legge
matematica e legge fisica, che implica, fra l'altro, il ruolo essenziale della
strumentazione.
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Salvo D'Agostino - Dirac: la ragionevole potenza della matematica
(La matematizzazione della fisica nell'opera di Dirac)
L'allargamento dell'idea di razionalità a procedimenti ed a contesti più larghi
rispetto a quelli impliciti nell'idea tradizionale di scienza empirica (come
confronto diretto fra una teoria che rappresenterebbe una razionalità tutta
dispiegata ed un esperimento concettualmente neutro rispetto alla teoria),
rappresenta a mio parere un pregevole recente contributo della storiografia ed
epistemologia.6
In conclusione,le considerazioni precedenti ci inducono a riconsiderare la
tradizionale concezione di scienza empirica, almeno nei riguardi di quella che è
stata considerata tradizionalmente una delle sue formulazioni paradigmatiche: la
fisica.
Lo studio delle interazioni fra teorie e strumentazione degli esperimenti
rappresenta un argomento di grande interesse per gli storici e i filosofi della
scienza.
6
Non sorprenderà allora l'affermazione di Peter Galison: quando tutto il
complesso ambito delle condizioni in cui si svolge la ricerca fisica moderna è
preso in considerazione, si può ancora affermare che la decisione di considerare
confermata o refutata una teoria e concluso un esperimento è una decisione
razionale (Galison, 1987).
E'anche interessante considerare che questo ampliamento dell'idea di razionalità
scientifica ne migliora le potenziamità comunicative e pedagogiche.
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