La metamorfosi dei Presidenti nell`Italia senza regole

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DIARIO
GIOVEDÌ 28 OTTOBRE 2010
DI REPUBBLICA
■ 44
Le discussioni sul Lodo Alfano rimettono in primo piano
il ruolo del Colle: un’autorità disegnata come potere
neutro che diventa più presente in certe fasi storiche
QUIRINALE
La metamorfosi dei Presidenti
nell’Italia senza regole
CARLO GALLI
LIBRI
ALDO
SCHIAVONE
L’Italia contesa
Laterza 2010
NORBERTO
BOBBIO
Stato,
governo,
società
Einaudi 2006
MARZIO
BREDA
La guerra
del Quirinale
Garzanti 2006
MASSIMO
GIANNINI
Ciampi
Einaudi 2006
GIOVANNI
SARTORI
Mala costituzione
e altri malanni
Laterza 2006
MAURO
TEBALDI
Il Presidente
della
Repubblica
il Mulino 2005
CARLO
FUSARO
Il Presidente
della
Repubblica
il Mulino 2003
FEDERICO
CHABOD
L’Italia
contemporanea
Einaudi 2002
VITTORIO
FOA
Passaggi
Einaudi 2000
A.BALDASSARRE
C.MEZZANOTTE
Gli uomini
del Quirinale
Laterza 1985
GIORGIO
BOCCA
Storia
della
Repubblica
italiana
Rizzoli 1982
ra gli effetti del lodo
Alfano c’è quello di
innalzare il rango
costituzionale del
presidente del
Consiglio, e contemporaneamente – anche se verrà corretta la previsione che il blocco
dei processi sia subordinato a
un voto del parlamento – di
abbassare quello del presidente della Repubblica, che
viene parificato al premierper
la temporanea immunità davanti ai reati comuni.
In realtà, si tratta di due figure assai diverse, per significato, per legittimità, e per finalità. Il presidente del Consiglio è l’espressione di una
parte che resta tale – la maggioranza (quella reale o quella resa tale dalla legge elettorale) – , poiché governa legittimamente l’Italia secondo
una linea che non deve essere
condivisa da tutti (esiste, altrettanto legittima, l’opposizione); il presidente della Repubblica, invece, ha nell’unità la propria cifra caratterizzante.
Infatti, il legislativo – il parlamento, che concede la fiducia al governo – è composto da
“membri”, ciascuno dei quali
“rappresenta la Nazione”
(art. 67 della Costituzione);
mentre il presidente della Repubblica è il “Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale” (art. 87). L’Italia è
quindi rappresentata sia da
un corpo composto da membri (il parlamento) sia da un
Capo al quale è associata l’idea di unità. Che il testo costituzionale, pur così moderno
nelle forme e nei contenuti,
utilizzi l’antichissima immagine (ecclesiastica, ma anche
romana) delle membra e del
capo di un corpo, significa
che la compagine giuridicopolitica del Paese – l’ingranarsi del potere legislativo,
espressione della dialettica
politica che è la vita della nazione, dell’esecutivo, che a
quella dialettica dà una direzione specifica (di centro, di
destra, di sinistra), del giudiziario, che amministra le norme che gli altri due poteri stabiliscono e mettono in pratica – richiede, per funzionare
ordinatamente, una proiezione simbolica verticale. Ci
deve essere autorità, perché
ci siano i poteri legali.
Un’autorità non trascendente, e anzi democratica,
che non nasce dal sangue e da
Dio, come quella che nello
Statuto albertino era detenu-
L’unità
T
Simboleggia
e rappresenta l’unità
del popolo e
un’istituzione
di garanzia
del funzionamento
dello Stato
La garanzia
La garanzia che è
fornita non è
formalismo: è anzi
la custodia della
Democrazia per
la salvaguardia
della Costituzione
ta dal re e dalla sua “maestà”.
Al contrario, la legittimità del
presidente della Repubblica,
secondo la nostra Costituzione, deriva da un’elezione di
secondo grado, da parte del
parlamento; questa procedura stacca il presidente dalla vita dei partiti e dalla loro inevitabile conflittualità, e proprio
per questo distacco – che non
è una contrapposizione – gli
consente di simboleggiare, di
rappresentare con autorità
l’unità del popolo.
Di fatto, questa figura democratica dell’autorità è disegnata, nella Costituzione,
SILLABARIO
QUIRINALE
come un potere neutro, come
un’istituzione di garanzia che
provvede a regolare – come il
bilanciere di un orologio – il
funzionamento della macchina delle istituzioni; a tal fine il presidente della Repubblica collabora alle dinamiche dei tre poteri dello Stato,
curandone la rispondenza
formale alle procedure costituzionali. È in questa distanza
dai contenuti specifici dell’opera dei poteri statali la spiegazione della irresponsabilità del presidente, prevista
dalla Costituzione.
Questo ruolo di garanzia, di
MARC LAZAR
l presidente della Repubblica ha avuto, nei fatti,
sempre più potere di quanto gli se ne vuole riconoscere, e il suo ruolo è stato rafforzato dalla crisi generale del sistema politico. Chiunque sia il titolare della carica, Oscar Luigi Scalfaro, dal 1992 al 1999, o Carlo
Azeglio Ciampi, dal 1999 al 2006, la presidenza della Repubblica è sempre apparsa come un’istituzione di riferimento, garante dell’unità del paese e della sua stabilità. Questo è il motivo per cui gli italiani danno ad essa
un voto plebiscitario in tutti i sondaggi. In queste condizioni gli appelli alla calma lanciati dal presidente della Repubblica ai protagonisti della politica, le invocazioni dello spirito della Costituzione, i richiami all’ordine in direzione del governo, talvolta il rifiuto di firmare
un testo di legge, sono altrettanti limiti posti per contenere il campo di manovra del presidente del Consiglio.
I
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autorità super partes, è stato
interpretato – da De Nicola fino a Napolitano – da democristiani, socialisti, comunisti, socialdemocratici, laici. Vi
sono stati presidenti conservatori e progressisti, notarili e
interventisti; non tutti sono
stati perfetti e impeccabili
(basti ricordare le polemiche
su Segni e il “piano Solo”, nell’estate del 1964, o la richiesta
comunista di mettere Cossiga
in stato d’accusa nel 1991); alcuni hanno voluto imprimere
alla politica certe direzioni
piuttosto che altre (Gronchi
favorì il centrosinistra); alcuni si sono dimessi (Leone e
Cossiga), altri sono stati amatissimi e popolari (Pertini,
Ciampi) o hanno ispirato
molta fiducia (Napolitano).
Ma in generale, comunque
si presenti, la garanzia che è
fornita dal presidente della
Repubblica non è formalismo; è anzi la custodia – autorevole ma non autoritaria –
della democrazia, per la salvaguardia del significato autentico della Costituzione: il
rispetto delle competenze e
del decoro costituzionale, l’equilibrio fra le componenti
storiche del Paese e fra le sensibilità e gli interessi che lo costituiscono, la pari dignità fra
i cittadini e fra le forze politiche e sociali. E tutto ciò non è
ipocrisia, né vuoto cerimoniale: è politica, sottratta alla
politica quotidiana, e quindi
più alta e più profonda di questa.
L’aspetto “politico” dell’autorità del presidente è
meno evidente nei tempi
“normali” della Repubblica,
mentre è molto rilevante
quando, come ai nostri giorni, prevalgono le tentazioni di
forzatura costituzionale, le
interpretazioni plebiscitarie
della democrazia, i disegni di
squilibrare i poteri dello Stato
a favore dell’esecutivo.
Quando si cerca di deformare
la Costituzione, il presidente
– proprio per esserne custode
– deve resistere, diventando
così un attore, di fatto, della
politica; ma senz’altro contenuto e senz’altra finalità che
di consentirne il normale funzionamento. La fiducia che gli
italiani oggi manifestano per
Napolitano è quindi rivolta,
oltre che alla persona, anche
alla forma democratica e istituzionale dell’autorità, e a
una politica che sia rispettosa
delle indicazioni della Costituzione.
Gli autori
IL TESTO del Sillabario di Marc Lazar è
tratto da Democrazia alla prova (Laterza).
Carlo Galli insegna Storia delle dottrine
politiche a Bologna, tra le sue ultime pubblicazioni Perché ancora destra e sinistra
(Laterza) e Contingenza e necessità nella ragione politica moderna (Laterza).
I Diari online
TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblica, comprensivi delle fotografie e dei
testi completi, sono consultabili su Internet in formato Pdf all’indirizzo web
www.repubblica.it I lettori potranno
accedervi direttamente dalla home page del sito, cliccando sul menu “Supplementi”.
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Repubblica Nazionale
Natalia Ginzburg
Pier Paolo Pasolini
Vorrei abitare al Quirinale,
non come presidente della
repubblica, ma come re
Al Quirinale i picchetti si
davano il cambio, attendendo
che il Presidente si alzasse
Il Quirinale non rappresenta un
osservatorio ideale della storia
o della società italiana
Alcuni pensieri sui re, 1969
Alì dagli occhi azzurri, 1965
Berlusconi, 2003
Paul Ginsborg
SEGNI
LEONE
PERTINI
COSSIGA
NAPOLITANO
È il primo presidente
a dimettersi in anticipo.
La presidenza dura
dal 6 maggio ’62 al
6 dicembre ’64
In carica dal ’71,
si dimette nel ’78
in seguito alle
polemiche dello
scandalo Lockheed
Partigiano e
antifascista, è il primo
presidente mediatico
che riavvicina i cittadini
al Quirinale (’78-’85)
Il presidente
“picconatore” esce con
le sue esternazioni da
un ruolo rigidamente
“notarile” (’85-’92)
Dopo l’intervento
di Napolitano sul lodo
Alfano si torna a parlare
del ruolo del presidente
della Repubblica
■ 45
Le tappe
L’ex presidente racconta la sua esperienza Storie, miti e leggende dei suoi inquilini
IL SENTIMENTO L’INCANTESIMO
DELLA PATRIA DEL COLLE
CARLO AZEGLIO CIAMPI
FILIPPO CECCARELLI
ppena eletto dissi a Franca: «Fa’ una valigia,
perché andiamo a dormire al Quirinale». Rimase un po’ sorpresa. Quando sono andato al
Quirinale non ho ritenuto di dover rifarmi allo “stile” dei miei predecessori. Non ho ignorato quello
che essi avevano fatto. Ma ho ritenuto di dover tener
conto soprattutto di quel sentimento profondo di Patria che avvertivo in me e che era stato la mia coscienza
interiore, in tutta la mia vita. C’è una costante rimasta
silenziosa in me, ma che mi ha guidato negli anni della
gioventù e del possibile smarrimento: il sentimento
della Patria in un contesto di libertà e giustizia come elementi fondamentali del nostro operare di cittadini.
Ho voluto sdoganare subito la parola “Patria”, quando il governo era in mano alle sinistre. Poteva esserci il
timore che se questa operazione fosse stata fatta con il
centrodestra potesse apparire come vittoria dei patrioti nazionalisti, o fascisti o comunque nostalgici. Quando lanciai, appena arrivato al Quirinale, l’idea di fare
manifestazioni simbolo dell’amore di Patria, a cominciare dalla parata militare del 2 giugno, trovai forti
preoccupazioni non solo al Quirinale ma anche tra i militari.
La parata fu vista con preoccupazione. Si temeva di
on i suoi 57 metri e 20 centimetri sul livello del mare, il Colle più alto non è in realtà il più alto, essendo il Quirinale di poco sottostante all’Esquilino. E già questa superiore inferiorità geologica,
questo virtuoso dislivello spiegano lo specialissimo potere che tra l’equivoco e il paradosso la «Reggia della
Repubblica» seguita a esercitare sulla politica italiana.
Trentuno papi ha ospitato nei secoli il grande palazzo,
quattro sovrani della dinastia Savoia e undici presidenti:
quanto basta perché tra le mura antiche e i magnifici giardini si accumulassero storie, miti, leggende e sortilegi. «Ca’
preive», la casa dei preti, definì in piemontese il Quirinale Vittorio Emanuele II con malcelato disdegno per i precedenti
inquilini. Ma si può credere che il suo giudizio fosse anche
dettato da quella specie di anatema malaugurante con cui,
una volta cacciato di lì, Pio IX volle evocare il numero crescente «dei flagelli ai quali, dopo la funesta breccia di Porta
Pia, sembra che Iddio abbia permesso libero corso».
Ci furono in effetti dopo il 20 settembre 1870 cataclismi, alluvioni, epidemie, al punto da accreditare presso Andreotti
l’esistenza di una vera e propria «maledizione del Quirinale»;
che col tempo fu estesa anche ai presidenti della Repubblica, però solo a quelli provenienti dal partito cattolico, la Dc.
Per cui Gronchi, che pure a corte dovette spassarsela, fu
A
LE IMMAGINI
Sopra, nell’immagine grande,
un dipinto di Johann Wilhelm Baur
Sotto, la poltrona del Presidente
della Repubblica. In alto, a sinistra,
un torrino del Quirinale con
il tricolore
C
La prima notte
Il palazzo
Appena eletto dissi a Franca: “Fa’ una valigia
perché andiamo a dormire al Quirinale”. Rimase
sorpresa. Arrivato lì non ho ritenuto di dovermi rifare
allo “stile” dei miei predecessori, ma non li ho ignorati
Gronchi contestato dal suo partito. Il dramma di Segni
Le dimissioni di Leone. Cossiga che non ebbe vita facile
Secondo Andreotti esiste una maledizione intorno a quel
palazzo che investe anche chi lo desidera ma non l’ottiene
attirarsi l’accusa di essere nazionalisti. Io mi assunsi la
responsabilità di farla, superando le obiezioni degli
stessi militari. Ricordo le preoccupazioni dei politici: il
ministro della Difesa, il bravo Mattarella, venne alla parata preoccupatissimo. Io ero sereno. Passai in rassegna le truppe schierate, fino alla via Cristoforo Colombo, poi andai sul palco delle autorità, per assistere alla
lunga sfilata. Fu un trionfo. Finita la parata, risalito in
macchina con al fianco Mattarella, la gente non mi lasciava tornare al Quirinale. Ricordo di aver detto a Mattarella: possibile che non aveste capito che questo è il
sentimento degli italiani? Proprio perché sono un antiretorico, riuscii a fare una manifestazione patriottica
senza che diventasse una manifestazione retorica, né
tanto meno nostalgica.
Io sono un fissato della moral suasion, arte praticata
da tempo da tutti i banchieri centrali; è in un certo qual
modo caratteristica dell’«arte del banchiere centrale»,
arte che ho trovato utilissima anche da Presidente della Repubblica.
Il Presidente della Repubblica rinvia una legge che
apertamente e palesemente è incostituzionale. Se ci sono solo dei dubbi, firma, e lascia il giudizio definitivo alla Corte; questo è sempre accaduto.
Debbo dire che ebbi forti pressioni, in particolare dal
centrodestra, per accettare il rinnovo del mandato. Io
risposi con un secco no, e ne ho spiegato i motivi con
una dichiarazione studiata a lungo, diramata il 3 maggio 2006. Cito a memoria: «Mal si confà alla forma repubblicana del nostro Stato il rinnovo di un mandato
già di per sé lungo, come quello settennale. Confido con
questo di aver posto un precedente che impedisca in
futuro qualsiasi riconferma oltre il primo settennato.
Temo che altrimenti si possa degenerare in una Repubblica presidenziale, quando il carattere della nostra
Costituzione è diverso». Con il che uscii dal Quirinale.
Questo brano è tratto
dal libro conversazione con Arrigo Levi
“Da Livorno al Quirinale”, edito da il Mulino
politicamente contestatissimo dal suo ex partito; e se Segni,
fin troppo intimorito dagli spioni sulle conseguenze dell’apertura a sinistra, dovette mollare dopo un drammatico coccolone, Leone venne praticamente cacciato via all’indomani di una logorante campagna di stampa.
A conferma dell’incantesimo del Colle va aggiunto che chi
lo desidera troppo non lo ottiene: vedi Fanfani, Moro, Spadolini e lo stesso Andreotti. Anche di Cossiga, penultimo Capo di Stato dc, non si può dire che lassù ebbe vita facile. Certo presentì e fece il massimo sforzo per pilotare, fra le massime incomprensioni, la fine della Prima Repubblica. Tra una
picconata e l’altra scoprì che nei sotterranei del palazzo c’era ancora il trono dei Savoia (in verità appartenuto a Maria
Luisa d’Austria) e lo fece restaurare.
Ma a quel punto il modello presidenziale era inesorabilmente mutato; come del resto lo stile che contrassegna la vita dei vari settennati: dalla frugalità di Einaudi che chiedeva
ai commensali chi volesse dividere con lui una pera (incerta
tra Flaiano e Montanelli la paternità del racconto) alle fastose «cacciarelle» al cinghiale e al massivo consumo di champagne Krug dell’era Saragat.
Dal punto di vista del comando, molto incisiva, oltre che
profetica per quanto riguarda l’odierno dominio degli spettacoli politici, è da considerarsi la presidenza Pertini — che
ricevendo a colazione quelli de Il Male decisi a fumarsi uno
spinello al Quirinale, li scoraggiò ancor prima che ci provassero brontolando: «Droghe leggere o pesanti, io darei a tutti
la pena di morte». Di Scalfaro, il «Pertini bianco», si può dire
che ruppe l’incantesimo di Pio IX impartendo a Berlusconi
la prima, seria e unica sconfitta campale e istituzionale che
meriti rammentare; mentre del settennato di Ciampi è ancora fresco il ricordo di solido equilibrio, impeccabile accortezza ed esemplare sobrietà.
Nei mesi scorsi, colto da impulso savonaroliano, l’ex portavoce di De Mita, Giuseppe Sangiorgi, ha proposto in un libro (Rivoluzione Quirinale, Gaffi) che la presidenza della Repubblica abbandoni lo storico palazzo per trasformare in
museo nazionale il Colle più alto, che poi non è il più alto, ma
nei secoli è come se lo fosse.
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LIBRI
LEOPOLDO
ELIA
Costituzione,
partiti,
istituzioni
il Mulino 2009
GIUSEPPE
MAMMARELLA
L’Italia
contemporanea
il Mulino 2008
SIMONA
COLARIZI
Storia politica
della
Repubblica
Laterza 2007
LUCIO
CARACCIOLO
Terra
incognita
Laterza 2001
MAURIZIO
RIDOLFI
Almanacco
della
Repubblica
Bruno
Mondadori
2003
SABINO
CASSESE
Lo Stato
introvabile
Donzelli 1998
SERGIO
FABBRINI
Le regole della
democrazia
Laterza 1997
CAMILLA
CEDERNA
Giovanni
Leone. La
carriera di un
presidente
Feltrinelli 1979
C.CASALEGNO
A.GALANTE
GARRONE
Il nostro Stato
Bompiani
1978
LUIGI
EINAUDI
Lo scrittoio
del Presidente
Einaudi 1956
Repubblica Nazionale
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