il trifoglio, un`eccellente foraggera buona anche in cucina

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il trifoglio,
un’eccellente foraggera
buona anche in cucina
Iris Fontanari
Chi di noi, da bambino, andando nei prati o nei campi coltivati
a trifoglio, non s’è mai soffermato a cercare, fra le tipiche foglie
di questa pianticella, l’esemplare
costituito da quattro foglioline (o
magari anche da cinque)? Sia per
gli adulti che per i bambini trovare un quadrifoglio - evento abbastanza raro - significava allora
e ancora oggi, trovare… la fortuna! Da sempre, infatti, questa
foglia quadripartita è considera-
ta alla stregua di un “amuleto” da
portare appresso; per questo noi
bambini eravamo soliti essiccarla
per poi inserirla fra le pagine dei
nostri libri di scuola.
Credenze a parte, la pianta del
trifoglio (e del… quadrifoglio)
non ha bisogno di molte descrizioni, perché tutti conoscono questa comunissima foraggera che viene coltivata un po’ in
tutto il mondo ed è spesso rinvenibile anche allo stato selvati-
Note botaniche e colturali
Il genere Trifolium appartiene alla grande famiglia delle Leguminose e comprende circa 300 specie di piante erbacee, annuali o
perenni, diffuse nelle zone temperate subtropicali dell’emisfero
boreale; molte sono state anche
importate nell’emisfero australe,
dove ora sono del tutto naturalizzate.
Il trifoglio e le altre leguminose
foraggere, prima dell’avvento dei
concimi minerali, erano utilizzati, oltre che per l’alimentazione
del bestiame, anche per il sovescio, una pratica agronomica, valida ancora oggi, che arricchisce
il terreno di azoto grazie alla simbiosi che le radici di queste piante hanno con un batterio (Rhizobium leguminosarum) capace di
fissare, per l’appunto, l’azoto atmosferico. Esse, pertanto, incrementano la fertilità del terreno e
sono perciò usate nella pratica
della rotazione agraria.
Terra Trentina
co nelle radure dei boschi, vicino
ai fossati, nei pascoli e nei luoghi
incolti. Ma forse non tutti sanno
che essa può essere utilizzata anche in cucina per gustose insalate o per insaporire minestre un
po’ inusuali. I suoi fiori, in particolare, si possono servire gratinati o nelle misticanze (mescolanze di fiori e insalatine verdi).
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Il trifoglio comune o violetto
(Trifolium pratense) è una pianta erbacea di longevità variabile: nei paesi nordici, dove trova
condizioni climatiche favorevoli, dura fino a 4 anni; in Italia,
invece, vive solitamente un paio
d’anni e produce solo al secondo anno.
È dotato di un apparato radicale costituito da un piccolo fittone
molto ramificato con numerosi e
piccoli tubercoli. Gli steli, eretti
o più o meno prostrati, pieni o
cavi, portano numerose foglie alterne e tripartite (da cui il nome
del genere), verdi con una macchia biancastra a forma di cuore. All’ascella delle foglie sono
situate le infiorescenze globose
a capolino, contenenti ciascuna
da 30 a 90 fiorellini, di colore rosa più o meno intenso tendente
al viola pallido, inseriti l’uno accanto all’altro e somiglianti a tubi profondi e sottili. I fiori sono
ermafroditi, quindi autosterili e
perciò l’impollinazione non può
che essere incrociata; essa viene
assicurata dagli insetti impollinatori (di solito api o bombi).
Il nettare dei fiori, ottimo e abbondante, è molto ricercato dalle api che ne traggono un miele squisito.
Il frutto è un legume corto, ovoidale e peloso, contenente un seme di forma globoso-triangolare,
quasi a pera, di colore variabile
dal giallo-verde al violetto con la
plantula (piantina germinata dall’embrione) molto appariscente.
Il trifoglio fiorisce da maggio a
settembre in Italia e per un periodo più limitato nel centro e
nel nord dell’Europa.
Questa eccellente pianta da foraggio viene seminata sia da sola sia mescolata ad altre erbe da
prato. Come l’erba medica (Medicago sativa) e tante altre leguminose arricchisce, come già s’è
detto, il terreno di composti azotati e viene perciò coltivata in al-
ternanza con altre colture (v. cereali). Al giorno d’oggi il trifoglio
ha ceduto molto terreno all’erba medica, la quale è capace di
maggiori rese.
La specie coltivata è meno rustica della specie spontanea, che è
invece più piccola ed ha foglie
più ridotte. Il trifoglio violetto
coltivato nel nostro Paese deriva
da un ecotipo emiliano, il “trifoglio bolognino”, diffuso in seguito anche in numerose zone d’Italia, dove ha assunto altri nomi:
“Cremonese”, “delle Venezie”,
“Piemontese”, “dell’Italia Centrale”, “Spadone veronese” ecc.
Il trifoglio pratense non tollera i
climi caldi, siccitosi e aridi, prediligendo ambienti freschi e piuttosto umidi. Si adatta bene a vari
tipi di terreno, sia a quelli subacidi e umidi che a quelli pesanti.
Nell’avvicendamento delle colture questa foraggera segue quella
del frumento e pure la precede.
È una pianta sensibilissima alla “stanchezza”, per cui non
può essere seminata nello
stesso terreno se non dopo
parecchi anni (4-6). La semina viene fatta all’inizio
della primavera, a spaglio,
nella quantità di 25-30
kg per ettaro.
Nell’anno di piena
produzione (quello successivo alla
semina), il
prato rende non più
di due tagli,
in annate favorevoli anche tre.
Durante la fienagione il trifoglio, se
essiccato troppo,
perde facilmente le foglie.
Il trifoglio può
essere colpito da varie
crittogame: la
ruggine (Uromyces trifolii), il mal
bianco (Erysiphe trifolii), la peronospora (Peronospora trifolii),
il mal dello sclerozio (Sclerotinia
trifoliorum), tutte malattie non
particolarmente gravi.
Danni abbastanza evidenti provoca invece il Bacillus trifolii che
colpisce in particolare i prati che
non sono stati ben concimati.
Proprietà e usi
Il trifoglio contiene grassi, proteine, resine, tannino. In fitoterapia e in cucina, oltre ai fiori, utilizzati soprattutto a scopi
culinari, si può usare praticamente tutta la parte verde della
pianta (da cogliere solo durante
il periodo della fioritura). L’infuso è valido come regolarizzante dell’ipercloridria (aumento di acido cloridrico nel succo
gastrico).
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