Aspetti di fisiologia applicata Il calcio femminile, come quello maschile, è uno sport difficile da analizzare: le prestazioni sono prevalentemente di tipo aciclico, con impegno metabolico intermittente di tipo aerobico-anaerobico alternato. Nonostante si sia registrato un considerevole aumento di donne che praticano il calcio,34 i lavori scientifici sull'argomento, soprattutto per quanto riguarda l'impegno energetico richiesto in un incontro calcistico, non sono ancora moltissimi e questo non agevola ovviamente il lavoro dei tecnici che si occupano della preparazione atletica della calciatrici. Ma procediamo con ordine. Le caratteristiche generali di una giocatrice di calcio risultano in realtà sufficientemente descritte nella letteratura medico-sportiva: altezza media 158-170 cm., peso 55-65 kg, capacità di salto verticale 31-44 cm. e tempo di corsa sui 20 metri 3.00-3.31s.35 Questi valori variano a seconda del livello e dello status dell'atleta (dilettante/professionista) e della posizione in campo ricoperta dalle calciatrici, ma risultano comunque decisamente inferiori a quelli che si ritrovano nei calciatori maschi. Riguardo alla forza, che è la massima tensione muscolare che si riesce ad esprimere contro una resistenza, studi recenti hanno messo in evidenza sorprendenti parità e differenze di caratteristiche muscolari fra i sessi. Più in particolare, se si valuta la forza in relazione alla dimensione del muscolo, si osserva che non c'è alcuna differenza fra i sessi. Ciò significa che a parità di massa muscolare uomo e donna hanno la capacità di esprimere la stessa identica forza, alzando gli stessi pesi. Ma la donna ha di solito una massa muscolare meno sviluppata ed una maggiore quantità di grasso rispetto all'uomo. Una donna adulta media ha una statura inferiore di 7/10 centimetri rispetto all’uomo. Il peso corporeo della donna è 11/13 chili più leggero. In media ha circa 4/7 chili in più di massa grassa e 18/20 chili in meno di massa magra (soprattutto muscoli). Quindi, a parità di peso corporeo ha una minore quantità di massa muscolare e solo per questo motivo le prestazioni di forza sono inferiori rispetto a quelle dell’uomo. La forza è ovviamente una componente importantissima per un calciatore/calciatrice. Da essa infatti dipendono altre qualità fisiche, soprattutto la velocità, la resistenza, la forza di stacco o elevazione. La forza muscolare unita alla velocità di contrazione, infatti, determina la “potenza muscolare”, che concorre in notevole misura allo sviluppo della capacità di saltare, scattare, cambiare direzione di corsa, ecc. Per una questione prettamente fisiologica, dunque, si riscontra nella calciatrice una minor forza di stacco e quindi una minor esplosività.36 Questa, peraltro, è direttamente connessa con la capacità di reclutamento della componente contrattile più veloce, le fibre bianche, che le donne hanno in minor percentuale rispetto agli uomini. Anche per questo motivo, dunque, le donne non hanno un'esplosività molto sviluppata. Tuttavia, a fronte di una minor velocità ed esplosività, la presenza di un numero più alto di fibre lente (fibre rosse), consente alle donne una maggior resistenza. Secondo Enrico Arcelli, la resistenza, in una disciplina come il calcio può essere definita come la capacità di resistere ad una serie innumerevole di azioni esplosive (calciare, saltare, scattare, ecc.), avendo a disposizione tempi di recupero in cui il gioco è fermo oppure mantenuto ad intensità più basse. Quindi la si deve considerare e misurare in relazione alla capacità del proprio livello prestativo (dal punto di vista tecnico, tattico, atletico e mentale).Fino alla pubertà differenze specifiche tra i tue sessi non sono considerate importanti. Nel periodo successivo la capacità di resistenza delle ragazze, ampiamente condizionate dalla crescita, ha un andamento inferiore se confrontato con quello dei ragazzi. Nonostante questo, numerosi studi hanno dimostrato che le donne hanno una maggiore resistenza alla fatica degli uomini, quindi, le donne sono in grado di sostenere contrazioni muscolari continue e intermittenti a bassa o moderata intensità più a lungo rispetto agli uomini. Il dato più rilevante di cui si necessita per la valutazione funzionale dell’atleta, specialmente nell’ottica della programmazione degli allenamenti e della loro periodizzazione, è quello relativo al dispendio di energie nel corso di un incontro. Per quantificare l’impegno metabolico di una partita di calcio, sarebbe dunque importante conoscere puntualmente alcuni dati pertinenti alle diverse fasi del match e paragonarli con i dati rilevati relativi ad almeno una delle variabili metaboliche misurabili, quale ad esempio la frequenza cardiaca. I dati di cui siamo in possesso allo stato attuale ci dicono che il carico di lavoro cui è sottoposta una calciatrice durante un incontro è relativamente alto e corrisponde in larga misura a quello di un calciatore, come dimostrano le misurazioni del battito cardiaco e i valori di acido lattico rilevati al termine di una partita. In particolare, il primo report sulla distanza percorsa dalle calciatrici durante una partita (Davis,Brewer 1993) ci dice queste coprivano una distanza media di 8500 ± 2200 metri percorsi in fasi di diversa intensità (cammino, corsa, corsa veloce, scatti, cambi di direzione, corsa all’indietro, fasi di possesso di palla e controllo). Dati più recenti (Krustrup ed altri 2005; Hewitt ed altri 2007; Gabbett e Mulvey 2008) hanno rilevato una distanza media di circa 10 km per partita, coperta per oltre la metà al passo o a corsa leggera. Questo dato appare del tutto in linea con quelli raccolti per i calciatori. Un ulteriore studio (Mohr ed altri 2008) ha mostrato che le top players a livello internazionale coprono approssimativamente una media di 1700 metri di HIR (High Intensity Running), che include una velocità di corsa superiore ai 15 km/h e scatti in cui si raggiungono velocità superiori ai 25 km/h. Questo dato, invece, differisce in qualche misura da quelle che sono le prestazioni dei top players in campo maschile, che coprono approssimativamente 2-3 km in HIR durante una partita. Si tratta di dati ancora parziali, che necessiterebbero di essere ulteriormente approfonditi, sia nel senso di una estensione delle ricerche su un target più ampio di calciatrici e non solo sulle top players a livello internazionale, sia nella direzione di una analisi dei dati che tenga conto delle differenze tra i diversi ruoli ricoperti dalle calciatrici stesse. Tuttavia i dati sulla distanza percorsa e sulle diverse modalità di copertura possono rappresentare già un primo punto di partenza nell’analisi del modello di prestazione, utile anche al fine di definire attraverso misure di laboratorio le capacità funzionali cardiorespiratorie e quelle di potenza muscolare. Bene si prestano a tali finalità test eseguiti al nastro trasportatore o pedana mobile con modalità di tipo incrementale e massimale, con contestuale valutazione dei gas espirati e con misurazioni di frequenza cardiaca. Un recentissimo studio condotto nel nostro paese (Sproviero, De Vito 2011) su un gruppo di calciatrici della massima serie nazionale ha documentato che la potenza aerobica - espressa come valori di consumo massimo di ossigeno, normalizzato per il peso corporeo - pone le calciatrici studiate a livelli superiori a ragazze di pari età ma sedentarie e poco al di sotto delle atlete di resistenza. Tali valori, tuttavia, si attestano a livelli inferiori rispetto a quelli di pari età di sesso maschile e ciò trova giustificazione nella diversa percentuale di massa grassa, che, come già detto è maggiore nelle donne. Analoghe considerazioni sono valide quando il parametro di valutazione adottato è la frequenza cardiaca. Relativamente alle caratteristiche meccanico-muscolari, i valori di massima potenza muscolare degli arti inferiori esibiti dalle calciatrici oggetto dello studio (Sproviero, De Vito 2011) con salti effettuati sulla pedana dinamometrica pongono le nostre atlete al di sopra delle pari età sedentarie, ma a valori più bassi di quelli documentati negli sport in cui il salto verticale è determinante per la prestazione, quale ad esempio il volley. Come detto in precedenza, i valori prestazionali ottenuti in laboratorio sono di notevole importanza quando rapportati ai valori ottenuti durante la partita di calcio. In letteratura, purtroppo, non sono presenti molti lavori scientifici in cui l’impegno metabolico sia stato misurato direttamente sul campo. In questo senso il già citato studio di Sproviero e De Vito è un'eccezione, dal momento che l’uso di un dispositivo telemetrico (Kosmed K2) ha consentito di effettuare misure dirette di vo2 e di fc sul campo. Il trend esibito dalle due variabili è stato divergente, con valori di frequenza cardiaca che presentavano maggiori escursioni differenziali rispetto a quelle relative al massimo consumo di ossigeno. Complessivamente i dati raccolti hanno confermato l’andamento alterno dell’impegno metabolico nella partita di calcio (aerobico-anaerobico alternato) e la presenza di fasi a diverso impegno, rappresentate da sprint ad alta intensità, accanto a fasi di recupero attivo, rappresentate da corsa e jogging. La possibilità di migliorare le prestazioni attraverso un incremento delle fasi ad alta intensità deve indirizzare gli esperti di tecniche di allenamento verso una progettualità mirata a tale scopo. In tal modo la capacità prestativa delle calciatrici si approssimerà sempre di più a quella dei calciatori maschi. In conclusione possiamo affermare che i modelli fisiologici delle calciatrici, in particolar modo delle caratteristiche aerobiche e di resistenza, non si differenziano di molto da quelli di altre atlete praticanti sport di squadra e dai calciatori maschi. Differenze significative, invece, sono evidenziabili per quanto riguarda i movimenti ad alta velocità e le caratteristiche meccaniche e muscolari, che sono quasi sempre accompagnate da insufficienti caratteristiche tecnico coordinative se comparate con quelle di atleti di sesso maschile. Sul tema delle capacità coordinative torneremo nel paragrafo successivo per sottolineare le modalità di intervento per allenarle adeguatamente. Prima però è d'obbligo un'ultima considerazione relativa alle ripercussioni del ciclo mestruale sulla capacità di prestazione di un'atleta. Indubbiamente, al di là delle risposte estremamente soggettive di ogni calciatrice, le cicliche perdite di ferro comportano per l'atleta donna un maggiore fabbisogno alimentare di questo minerale rispetto all'uomo e quindi un maggiore rischio di situazioni di carenza. Un'ulteriore problematica connessa al ciclo mestruale è quella relativa al raggiungimento di un adeguato peso forma. Il parametro più importante per una calciatrice, come per ogni altro atleta, non è il semplice peso ma il rapporto massa muscolare/massa grassa; è vero infatti che una massa grassa troppo elevata rappresenta un peso inutile per l'atleta, ma una sua semplice riduzione senza un adeguato sviluppo di quella muscolare risulta inefficace. A tal proposito non bisogna dimenticare che nell'atleta donna una riduzione eccessiva della massa grassa, associata ad un livello elevato d'attività, rappresenta un fattore di rischio per disturbi del ciclo mestruale. Il sistema per ottenere e mantenere un corretto rapporto "muscolo/grasso" è associare un controllo dell'alimentazione ad un adeguato programma di potenziamento muscolare specifico, fondamentale sia ai fini della prestazione che della prevenzione degli infortuni. Allenare una calciatrice Come abbiamo visto, ciò che distingue le donne dall'uomo è la minore percentuale di fibre muscolari veloci (quelle bianche) e quindi un numero più alto di fibre lente (rosse), da cui deriva una maggiore resistenza a discapito della velocità. Tuttavia – afferma Maurizio Pieri - "credo che la maggior resistenza rispetto agli uomini, sia dovuta, oltre che ad aspetti prettamente fisiologici, al fatto che le donne sanno soffrire di più: anche quando non stanno bene le donne riescono ad avere una discreta forma di resistenza". La resistenza è una qualità molto soggetta all’influenza dell’allenamento e quindi notevolmente migliorabile. Il compito dell’allenatore di una squadra di calcio è quello di rendere un allenamento di resistenza piacevole, interessante e con finalità ben precise. Uno degli errori più gravi è quello di far nascere nelle giocatrici l’idea che le situazioni allenanti per la resistenza siano faticose e noiose. Spesso si vedono allenatori che per punire un comportamento della ragazza aumentano i giri di corsa, i tratti da percorrere, il numero di ripetizioni. Ciò significa dare per scontato che il lavoro prolungato è sgradevole e, quando sarà necessario programmare sedute mirate allo sviluppo della resistenza, scatteranno nelle atlete meccanismi di rifiuto più o meno coscienti. Per velocità si intende la capacità di eseguire un determinato movimento o azioni motorie in un tempo minimo. Esistono diverse forme di velocità: -Velocità di reazione motoria; -Velocità del singolo movimento; -Velocità di frequenza degli allenamenti. In linea di principio, la velocità viene considerata una qualità innata, poco migliorabile con l’allenamento, in quanto per ottenere azioni rapide sono necessarie basi fisiologiche specifiche (numero di fibre rapide, velocità di trasmissione degli impulsi nervosi, ecc.), questi fattori sembrano infatti far parte del patrimonio genetico. Questo non significa che un allenatore debba tralasciare questa capacità, anzi dovrà fare in modo di sollecitare sempre la rapidità attraverso continui esercizi, ad esempio potrà allenare la reazione motoria con esercizi che tentino di diminuire il tempo di risposta ad un segnale, es: calcetto su campo ridotto, pallamano, gioco delle direzioni e dello specchio e tutte le forme di partenza ad un preciso segnale, ecc. L’allenamento alla rapidità di ogni singolo movimento insieme con quello della frequenza può essere esercitata nel periodo che va dagli 11 – 14 anni, non più come un aumento puro della velocità (allenabile fino 10/11 anni) ma attraverso miglioramenti dei presupposti di forza veloce, insieme ad un maggior controllo della tecnica di esecuzione, es: skip in avanti e indietro, passaggi di prima contro il muro, ecc. Alternare allenamenti lenti a quelli più veloci ed esplosivi (di tipo balistico), potrebbe rivelarsi un'efficace strategia per tutti gli atleti che puntino, oltre che l'aumento della massa muscolare, al corretto utilizzo delle fibre bianche e quindi dell'esplosività. Nella fattispecie, l'aumento della prestazione in termini di esplosività non si potrà effettuare con resistenze troppo elevate (che ridurrebbero inevitabilmente la nostra capacità di contrarre il muscolo rapidamente), ma piuttosto mediante l'impiego di carichi inferiori al 65% di 1 RM. In questo modo si potrà beneficiare di una volontaria rapidità concentrica per un numero di ripetizioni sicuramente adeguato al tipo di obiettivo prefisso. Un'attenzione particolare nell'ambito dell'allenamento deve essere posta nello sviluppo delle capacità coordinative che sono quelle che hanno la funzione di organizzare e regolare il movimento. Le principali capacità coordinative sono: 1. Capacità di combinazione e accoppiamento dei movimenti: ciò consente di collegare i movimenti degli arti inferiori con il busto e con gli arti superiori, e tutta una serie di coordinazioni segmentarie. Nel calcio si migliora ponendo l’attenzione sulla corretta esecuzione dei “tiri” cercando di “sentire” l’azione preparatoria e propulsiva degli arti inferiori, del busto e l’azione di controllo degli arti superiori. 2. Capacità di orientamento spazio-temporale: permette di adeguare la posizione ed il movimento del corpo nello spazio e nel tempo, in un campo d’azione ben preciso. Nel calcio questa capacità è importantissima a causa dei numerosi punti di riferimento che la calciatrice deve avere per fare la giusta scelta tecnico-tattica. Si può migliorare osservando i movimenti e le posizioni delle altre giocatrici, o lavorando a diverse velocità con palloni di peso diverso. 3. Capacità di differenziazione: permette di realizzare i parametri dinamici, temporali e spaziali del movimento, sulla base di percezioni dettagliate del tempo, dello spazio e delle forze. Nel calcio esprime la capacità di differenziare velocità, potenza e traiettoria del pallone. E’ quella che gli allenatori chiamano sensibilità. Per migliorarla è necessario fare esercizi diversificati nei quali ci sia un aumento graduale della precisione; es: tiri al bersaglio a distanze crescenti e decrescenti da posizioni diverse e con parti del piede diverse. 4. Capacità di equilibrio: è la capacità di mantenere o riacquistare una postura di equilibrio del proprio corpo. Elaborando molto velocemente le informazioni ricevute, dall’orecchio interno, dall’appoggio plantare, dai muscoli, tendini e articolazioni, il cervelletto scatena reazioni chiamate riflessi di equilibrio, facendo contrarre le zone muscolari necessarie a mantenere eretta la persona. Lo sviluppo dell’equilibrio avviene, sul campo introducendo partenze o movimenti disequilibranti (da terra colpire la palla, saltare e colpire). 5. Capacità di reazione motoria: permette di reagire agli stimoli, eseguendo come risposta azioni motorie adeguate. I metodi di sviluppo sono costituiti da tutte le situazioni nelle quali occorre reagire a stimoli visivi, acustici, tattili, cinestetici, in forma progressivamente complessa. La calciatrice deve reagire soprattutto a stimoli visivi; di conseguenza tutte le esercitazioni, anche quelle atletiche, dovranno prevedere soprattutto segnali ti questo tipo. 6. Capacità di trasformazione motoria del movimento: rende possibile adattare o trasformare il programma motorio, in base a mutamenti della situazione improvvisi e del tutto inattesi, tali da richiedere una interruzione del movimento programmato e la sua prosecuzione con altri schemi o programmi motori. Nel calcio si evidenzia quando la palla, ad esempio, colpisce un avversario o rimbalza in modo irregolare. Nel campo si sviluppa attraverso situazioni si gioco in cui sono richiesti improvvisi cambiamenti di azioni (finte) o realizzando percorsi poco conosciuti utilizzando palloni di diverso peso o misura. Tatticamente parlando si ottiene un miglioramento di questa capacità richiedendo un adattamento veloce a situazioni sempre diverse, come ad esempio l’alternanza tre fasi di attacco e difesa. 7. Capacità di ritmizzazione: è la capacità di dare ritmo alle azioni motorie, organizzando muscoli agonisti e antagonisti, contrazioni e decontrazioni, secondo un ordine cronologico. È importante in tutti gli sport, ma soprattutto nel calcio, dove l’esigenza tattica richiede la capacità di variare la velocità dei movimenti. Si sviluppa attraverso la richiesta di variazioni di ritmo e di frequenza, quindi facendo eseguire le diverse tecniche a velocità variabile. La mobilità articolare è una qualità intermedia fra le capacità condizionali e quelle coordinative in quanto dipende sia da qualità anatomiche sia da qualità nervose. La flessibilità è la capacità di compiere gesti con l’impiego dell’escursione articolare più ampia possibile, l’estensione angolare quindi risulterà tanto maggiore quanto più le articolazioni risulteranno mobili e i muscoli allungabili. Questa capacità è di gran valore nell’esecuzione del gesto atletico in quanto aumenta l’economia del movimento e ne favorisce l’apprendimento e la precisione. Una buona flessibilità, inoltre consente di evitare o ridurre le possibilità di stiramenti, contratture, distorsioni. Più una calciatrice è flessibile, come abbiamo gia detto, maggiore sarà l’escursione angolare dei suoi movimenti, ne consegue che essa sarà in grado di risolvere a suo vantaggio anche situazioni motorie particolarmente difficili, tipo calciare in scivolata, colpire la palla al volo o eseguire una finta. Inoltre, va ancora sottolineato, essere mobili e avere muscoli estensibili significa abbassare la percentuale di rischi di certi infortuni. È durante l'età puberale che si ha il massimo sviluppo di questa capacità motoria e dunque è di fondamentale importanza introdurre esercizi di allungamento muscolare come lo stretching in questa fase della crescita. La psicologia nel calcio femminile Secondo il Prof. Josè Carrascosa Oltra, psicologo dello sport presso Valencia C.F. S.A.D. gli allenatori sono consapevoli che il carattere che i giocatori dimostrano in allenamento ed in partita, siano fattori importanti per spiegare e giustificare il loro rendimento. Le sconfitte vengono spesso attribuite a variabili di tipo psicologico quali “la mancanza di concentrazione”, che “si è avuta poca tensione”, che “la squadra ha perso fiducia in sé stessa”, ecc. Si cerca, perciò, la spiegazione di un insuccesso nella “mentalità” della squadra. Un ruolo, quindi, fondamentale nel calcio, come in tutti gli sport, è rappresentato dalla psicologia. Ma cos'è la psicologia dello sport? La psicologia dello sport è una scienza che nasce dall'incontro della pratica sportiva con la psicologia ed ha come obiettivo la crescita dell'atleta e dei sistemi che gravitano intorno a lui. Per raggiungere i suoi obiettivi la psicologia dello sport attinge dal bagaglio di numerose scienze quali la neuropsicologia, la psicologia sociale, la psicologia delle organizzazioni, la psicologia della personalità ecc, mettendo tutto il suo sapere pratico al servizio di uno sport moderno che non può prescindere dallo specializzare le sue figure professionali e riconoscere e valorizzare l'importanza delle qualità mentali dei propri atleti. In tutti gli sport la fiducia nella propria forza, la lucidità nei momenti importanti, la determinazione, il saper stare in gruppo sono elementi invisibili che tuttavia fanno spesso pendere l'ago della bilancia della prestazione in una direzione positiva in presenza di una buona preparazione mentale. Quando parliamo di allenamento intendiamo esclusivamente un allenamento muscolare, invece, secondo la psicologa dello sport Sonia Rosberti, anche la mente deve essere allenata per migliorare il gesto tecnico. Lo psicologo dello sport, “gioca” in un ruolo ancora poco diffuso nel calcio femminile e nel calcio in genere, ma comunque molto importante per capire le dinamiche del gruppo e del singolo atleta. In particolar modo l'intervento della psicologa è volto ad ottimizzare: lo sviluppo e la crescita personale dell'atleta, la prestazione dell'atleta, la comunicazione e la coesione all'interno del gruppo. La psicologa dello sport, quindi, non deve curare, non deve fare psicoterapia, nessuna calciatrice deve essere trattata come “una pazza” o come un problema, anche perché le giocatrici sono difficilmente avvicinabili se ti proponi loro come “psicologa”. Invece la “psicologia dello sport” punta, in questi ultimi anni, sull’ ottimizzazione della performance, cerca insomma di migliorare la prestazione dell’ atleta. Per fare questo ci sono vari modi: il “mental training”, cioè visualizzare mentalmente il gesto tecnico per poi andarlo ad eseguire realmente in campo, una sorta di allenamento tecnico fatto con la mente. Altro argomento della “psicologia dello sport” è il “flow”, ovvero il “momento magico”, cercare di ripercorrere mentalmente il momento in cui ci si è sentiti meglio in campo, il momento in cui tutto andava bene, in cui la prestazione tecnica era ottima. Poi c’è anche il linguaggio interno, l’ auto-incitamento “va tutto bene”, “sono forte”, “vai così” .. In uno sport come il calcio è pure molto importante il lavoro di gruppo e allora occorre lavorare sulla coesione, sul leader tecnico, sul leader fuori dal campo, sul leader carismatico. Le persone che fanno parte di una squadra, tutte le loro caratteristiche, i loro ruoli, le interazioni fra loro, i sogni di ognuna e di tutte, le componenti esterne (pubblico, giornalisti, parenti ecc.) sono solo alcuni elementi da considerare ma danno una prima idea della difficoltà che si incontra quando si vuole comprendere o rendere prolifico un team sportivo. Nella creazione di una strategia efficace di allenamento e di gara, è fondamentale dare all'aspetto psicologo la stessa attenzione data allo sviluppo delle altre componenti. Per creare un gruppo, quindi, occorre: che tutte partecipino a tutti i momenti di gioco e di attività e si scambino contributi ( opinioni, conforto, disponibilità ecc.); che tutte operino perché non nascono rivalità eccessive e contrasti; che interessi a tutte stimolare intesa e cooperazione. Solo una riuscita integrazione porta il gruppo ad esprimere una qualità di gioco superiore alla somma delle capacità dei singoli. Per fare questo lo psicologo dello sport lavora in collaborazione con l’allenatore, il preparatore atletico, il massaggiatore e la società, facendo da tramite fra giocatrici e società. È però molto difficile trovare allenatori che accettano la figura dello psicologo. Ci sono allenatori e dirigenti che tendono a fare da mamma e da papà e magari temono che lo psicologo faccia loro perdere quel ruolo, in realtà può solo aiutarli. Altra strategia utile a fini della gara è quella di proporre giochi di squadra che mirano a sviluppare determinate caratteristiche. Per esempio si può lavorare sull’ aggressività, intesa come aggressività in campo e non di cattiveria o di far male all'avversario. Queste le parole di Sonia Rusberti : "l’ ho detto anche alle ragazze: la partita di calcio non è una partita a scacchi per cui se tutti i miei pensieri, la mia voglia di vincere, la mia grinta rimangono mentali non succede niente. L’ avversario invece deve sentire la mia presenza, la mia voglia di vincere e la mia aggressività. Questo non significa diventare fallosi bensì diventare più vivaci in campo." Tutte queste cose riguardano il momento tecnico-atletico della prestazione sportiva. Ci incuriosisce però anche l’aspetto umano, in questo senso la “psicologa dello sport” può dare un contributo? "Sì, ci sono giocatrici – commenta Sonia Rusberto - che mi pongono determinati problemi, determinati quesiti, determinate necessità: in questo senso la “psicologa dello sport” può senza dubbio aiutare e dare un contributo, ma sempre come “psicologa dello sport”. Devo sicuramente tenere conto delle caratteristiche individuali di un’ atleta. Se so che un’ atleta va per esempio presa di petto allora mi rivolgerò a lei in un certo modo, se so che un’ altra, alzando la voce, non produce più niente, cercherò di rivolgermi a lei in un altro modo. Le conoscenze psicologiche quindi servono per poter intervenire tecnicamente e atleticamente sulla giocatrice". Educazione come umanizzazione Abbiamo già più volte sottolineato, come l'esperienza calcistica, anche ai più alti livelli, non si esaurisca nella dimensione fisica o tecnica, ma comporti una serie di implicazioni di altra natura. Come e più di altri sport, il calcio è infatti un'importante occasione di socializzazione, di confronto- incontro, di competizione, di apprendimento ed assimilazione di regole, di conoscenza del sé corporeo. Questi aspetti, che ridefiniscono e valorizzano questo sport, devono necessariamente essere affrontati se si vuol contribuire al benessere psico-fisico dell'atleta. Certamente è questa una priorità essenziale in età evolutiva e il progetto "Educazione ... in campo!”, da poco varato dalla F.I.G.C., che prevede l'inserimento della figura del pedagogista sportivo a supportare ed orientare il lavoro degli allenatori-educatori e monitorare l'ambiente calcistico, è una prima importante risposta in questo senso. Ma se è ormai universalmente accettata l'idea che la funzione educativa non possa esaurirsi con la fase adolescenziale e debba accompagnare l'uomo – e la donna – lungo l'intero arco della vita umana, in quanto è permanente la possibilità di crescere, allora dobbiamo pensare che questo possa e debba valere anche per un'atleta e più in particolare per un calciatore. Voglio dire che educare lo sportivo al rispetto di sé e del suo avversario, rendere l'atleta consapevole dei propri limiti e della necessità di rispettare il proprio corpo, senza ricorrere ad "aiuti" di sorta, inculcare una cultura della sconfitta dopo che si è comunque lottato strenuamente per la vittoria è un compito essenziale che deve darsi chi si occupa di sport. Si tratta di un qualcosa di essenziale – e non di accessorio – che deve essere perseguito anche in età matura quanto e più del risultato sportivo in senso stretto. Dunque, insegnare e praticare calcio porti sempre con sé un’idea di sviluppo globale della persona, in modo tale che si possa parlare di educazione allo sport e non di mera istruzione e/o formazione. L’obiettivo sia sempre quello di costruire il giocatore attraverso un processo di umanizzazione, cercando di “suscitare” la persona e non di addestrarla o riempirla di contenuti. Ci si chieda quali sono davvero gli obiettivi fondamentali che il giovane calciatore e la giovane calciatrice devono perseguire, ci si interroghi sui valori che la nostra cultura e la nostra società esprimono ed impongono. Qual è la cultura sportiva prevalente? Quella della vittoria ad ogni costo, quella che giustifica il ricorso al doping per ottenere migliori risultati, che non punisce e anzi premia, i disonesti, i furbetti. Per sconfiggere questa cultura sportiva è necessario che tutti coloro che direttamente o indirettamente hanno a che fare con lo sport - e in particolare con i giovani che praticano lo sport - collaborino strettamente per il raggiungimento del medesimo obiettivo: costruire una nuova cultura che escluda definitivamente l'idea della vittoria ad ogni costo. Sono sicura che una risposta importante a queste problematiche possa arrivare proprio dalle donne – dalle atlete, dalle dirigenti, dalle allenatrici. Su questo piano le calciatrici non hanno certamente nulla da temere dal confronto con gli uomini e potrebbero anzi rappresentare anche per loro un modello e un esempio da seguire. 34 Il calcio femminile conta 26 milioni di praticanti nel mondo (FIFA 2007). La Germania da sola - ad esempio - vanta oltre un milione di calciatrici tesserate (Deutscher Fussball-Bund 2009). 35 HELENA ANDERSSON, The physiological impact of soccer on elite female players and the effects of active recovery training, Örebro Univerity 2010. 36 Per esplosività si intende la capacità di un muscolo di generare una contrazione più rapida possibile. 37 Enrico Arcelli è laureato in Medicina e Chirurgia ed è specialista in Medicina dello Sport e in Scienza dell'Alimentazione e Dietologia. E' professore associato presso la facoltà di Scienze Motorie dell'Università degli Studi di Milano e preparatore atletico di molte squadre. 38 CLARK ET AL 2003;. FULCO ET AL 2001;. HUNTER & ENOKA 2001, HUNTER ET AL 2004;. RUSS ET AL 2008;. RUSS & KENT- BRAUN 2003; THOMPSON ET AL 2007;. WUST ET AL 2008;. YOON ET AL 2007. 39 HELENA ANDERSSON, The physiological impact of soccer on elite female players and the effects of active recovery training, Örebro Univerity 2010. 40 Maurizio Pieri, preparatore atletico del Primadonna Firenze nella stagione 2011-2012, è attualmente preparatore di una squdra di calcio a 5 maschile. 41 Queste considerazioni sono del personal trainer Luca Zilli.