Dispensa 56 (Roma e la Persia) - Corso di Archeologia

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Università Popolare di Torino
Lezioni 9-15; anno 2015
4.1 - I Parti
Una regione denominata Parthava ubicata
nell'Asia centrale è presente nei documenti
achemenidi del VI sec a.C. ed è citata dallo
scrittore greco Erodoto il secolo successivo
a fianco della Corasmia, della Sogdiana e
dell’Aria in qualità di satrapia dell'impero
persiano. Le informazioni relative alla
popolazione insediata in tale regione sono
molto evanescenti, ma è probabile che si
trattasse di popolazioni sedentarie
organizzate per grandi villaggi, dedite al
commercio e all'agricoltura.
Nel 238 a.C. gli equilibri furono sconvolti
dall'affacciarsi all'orizzonte di un popolo di
cultura nomade facente parte della
confederazione dei Dahae che gli autori
antichi ricordano col nome di Parni o
Aparni. Dopo essersi insediate nella
regione, queste tribù passarono
gradatamente dal nomadismo ad uno stato
sedentario facendo perno sulla regione a
oriente dell’Ircania dove costruirono la
loro prima capitale, Nisa (non lontano
dall'attuale Ashkabad). Secondo le ipotesi
più recenti, i Parni parlavano una lingua
iranica orientale e il loro nome fu in
seguito pronunciato come «Parti».
È bene premettere che la regione,
ellenizzata da Alessandro Magno, alla
morte del sovrano era stata affidata al
governatore greco della Media, Peithon,
una delle guardie del corpo del re
macedone (nel 323 a.C.). Peithon aveva
aperto le ostilità contro il legittimo
governatore della satrapia della Parthia,
imponendo il fratello Eudemo. Tale atto
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unilaterale fu visto come estremamente
pericoloso dagli altri diadochi e in
particolare da Seleuco I Nicatore (321-280
a.C.) che, coalizzatosi con altri dignitari e
sovrani locali lo attaccò militarmente.
Peithon cercò di reagire appoggiandosi ad
un antagonista di Seleuco, Antigono
Monoftalmo il quale, per tutta risposta, lo
fece giustiziare.
L'instabilità dei regni ellenistici nati sulle
ceneri del grande impero di Alessandro è
nota; in Battriana, il generale Diodoto I
(256-235 a.C.), quattro anni prima di
morire, aveva tentato di sottrarsi al
controllo dei Seleucidi, e un progetto
analogo era tra le mire del satrapo della
Parthia, Andragora, ma i piani furono resi
vani dall'attacco inaspettato dei Parni.
Il regno che questi ultimi riuscirono a
costruire fu denominato «arsacide» dal
nome del condottiero Arsace I (247-217
a.C.). L'espansione dei Parti negli ampi
territori appartenuti al regno di
Alessandro fu facilitata dal fatto che il
successore di Seleuco I di Siria, Seleuco II
Callinico (246-255 a.C.), si trovò
impossibilitato ad intervenire a causa dei
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continui contrasti militari con l'Egitto dei
Tolomei e per i notevoli sforzi che doveva
concentrare per osteggiare le pretese del
fratello Antioco Ierace.
Saggiamente, i Parti evitarono di
provocare lo scontro diretto con Seleuco
II, asserragliandosi nelle regioni impervie
più orientali; tuttavia, quando in seguito i
Seleucidi furono costretti a ritirarsi,
tornarono ad occupare gran parte
dell'odierno Iran nord-orientale compresa
la Comisene (ubicata non lontano da
Damghan).
Appare dunque evidente come per i
Seleucidi la parte orientale dell'impero
fosse irrimediabilmente perduta, tanto più
che nel 239 a.C. la Battriana si era
proclamata indipendente e le satrapie
dell’Aracosia e della Gedrosia erano state
perse sin dal 305 a.C. in quanto acquisite
dalla nuova dinastia indiana dei Maurya
(322-182 a.C.), e più precisamente dal suo
fondatore, Ciandragupta (324-300 a.C.)
La profonda crisi dell'impero seleucide fu
temporaneamente rallentata dall'ascesa al
trono di Antioco III il Grande (233-186
a.C.) che reagì intraprendendo una
campagna in Persia allo scopo di sedare le
numerose rivolte scoppiate nel territorio
iranico, nel tentativo di ridare – al
contempo – smalto al regno seleucide. Tale
impresa (passata alla storia con il nome di
Anabasi di Antioco) permise ai greci di
controllare la Persia e parte della Parthia
quando era re Arsace II (217-191 a.C.) e a
stipulare un trattato di non belligeranza
con il regno greco-battriano e gli stessi
Maurya.
I successi militari di Antioco III furono
tuttavia vanificati dalla grande sconfitta
militare subita da parte dei Romani a
Magnesia nel 189 a.C. così che, ogni
pretesa da parte dei Seleucidi sull'Oriente
fu ridimensionata.
Rafforzatisi al tempo di Fraate I (176-171
a.C.), i Parti riaprirono le ostilità contro i
siriani, dando il via ad una politica che
sarebbe stata consolidata dal fratello
minore di Fraate I, Mitridate I (171-139
a.C.), il primo sovrano partico a coniare
monete che segnarono in modo definitivo
la totale indipendenza della Persia dai
Seleucidi.
Al tempo di Mitridate I, i greci furono
totalmente espulsi dalla Persia e la loro
posizione in Mesopotamia fortemente
compromessa. Imbaldanzito, il sovrano
arsacide rivolse le sue attenzioni al confine
orientale del suo dominio, effettuando
spedizioni nel regno greco battriano e
cercando di contenere, al tempo, le
minacciose popolazioni nomadi iraniche
dei Saka.
Non bisogna dimenticare che nell'Asia
centrale, a causa di grandi rivolgimenti
politici e etnici, attorno 50 a.C. andò a
formarsi il primo nucleo dell'impero
Kushana proprio nella regione
dell'Afghanistan (Battriana) indebolito
dalle invasioni nomadiche e recentemente
sgomberato dei greci.
Con la morte in battaglia del re seleucide
Antioco VII Sidete, Mitridate II (124-37
a.C.) fu in grado di espandere il proprio
regno in Mesopotamia, dove scelse come
capitale Seleucia/Ctesifonte sul Tigri, dalla
quale si spinse fino in Armenia, attorno al
110 a.C. Durante il suo passaggio ebbe
modo di saccheggiare anche la Siria tra il
93 e il 92 a.C. e nuovamente nell'88 a.C.
Qualche anno prima, nel 96 a.C., una sua
delegazione guidata dal generale Orobazo
si era incontrata con il generale Silla,
impegnato in Oriente contro il re del Ponto
Mitridate VI Eupatore (121-63 a.C.). Altre
ambascerie giunsero a Mitridate
dall'impero cinese degli Han occidentali
(202 a.C.-9 d.C.) e nello specifico dal
governatore Zhang Qian stanziato nella
Battriana, che cercava alleati contro la
temibile confederazione di tribù nomadi
nota con il nome di Xiongnu. Gli
ambasciatori si presentarono a corte
carichi di doni destinati a Mitridate II tra
cui, è lecito presumere, un certa quantità
di seta.
Nel 69 a.C. i Romani – attivi in Anatolia
tramite Lucullo – sottoscrissero con
Mitridate II un trattato di non
belligeranza, poi rinnovato da Fraate III e
da Pompeo nel 66 a.C.
Il peggioramento della situazione fu
segnata dalla proverbiale e sfortunata
impresa di Marco Licinio Crasso che, nel
53 a.C., condusse una campagna di guerra
contro il nuovo re partico Orode II (58-38
a.C.). Un agguerrito esercito guidato dal
generale partico Surena fu in grado di
avere ragione dell'esercito romano presso
Charrae (l’attuale Haran in Turchia) ed i
Romani, travolti dall'esercito catafratto,
subirono anche l’onta della perdita delle
insegne.
Secondo quanto riferito dalle fonti
occidentali, nella sfortunata battaglia di
Charrae, i Romani ebbero per la prima
volta l'occasione di osservare le sete cinesi
con cui erano realizzati gli stendardi degli
avversari.
In effetti, il commercio dei Parti con la
Cina si era consolidato, anche grazie al
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fatto che l'imperatore cinese Xuandi (7449 a.C.) era stato in grado di sottomettere
stabilmente la zona desertica del bacino
del Tarim (attuale regione cinese del
Xinjiang) espellendo gli Xiongnu e
rendendo sicuro il passaggio lungo la
cosiddetta Via della Seta. Resisi conto
dell'interesse da parte dei mercanti
occidentali per questo prezioso tessuto, gli
Arsacidi cercarono di impedire in ogni
modo un incontro tra gli ambasciatori Han
e i Romani, in modo tale da mantenere il
controllo dei traffici commerciali con la
Cina.
Nel 47 a.C. Cesare condusse una serie di
manovre in Anatolia e in Siria per
riportare l'ordine nel Ponto, dove il figlio
di Mitridate VI Eupatore, Farnace II, stava
cercando di ricostruire l'impero paterno,
pur senza grandi risultati. Dopo
l'ennesima vittoria, Cesare
progettò forse di ampliare i
confini romani a svantaggio dei
Parti ma non poté mettere in
pratica il progetto venendo
assassinato nel 44 a.C. da un
gruppo di congiurati. Questi
ultimi, rifugiatisi nel frattempo
in Anatolia, furono raggiunti
dall'esercito di Ottaviano e
sconfitti a Filippi in Macedonia
(42 a.C.), non prima di aver
tentato di ottenere l'alleanza di
Orode II. Il re arsacide aveva
allestito tre potenti eserciti con i
quali raggiunse la Siria, la
Fenicia la Giudea allo scopo di
procurarsi un accesso diretto al
Mediterraneo. Marco Antonio
(83-30 a.C.) – nel periodo nel
quale intratteneva ancora buoni
rapporti con Ottaviano
all'interno del triumvirato –
inviò in Oriente il generale
Publio Ventidio Basso (85-26
a.C.) al fine di contenere
l’avanzata degli Arsacidi. I Parti
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furono sconfitti sia nel 39 a.9 che nel 38
a.C. e dovettero abbandonare le postazioni
occidentali. Incoraggiato dei risultati
ottenuti, Marco Antonio stesso tentò di
sottomettere i Parti con una grande
campagna militare, senza però ottenere i
risultati che si aspettava. Quando,
eliminati Marco Antonio e Cleopatra,
Augusto riuscì a ottenere il principato –
nel 29 a.C. – preferì imporre un trattato al
re arsacide Fraate IV (38-2 a.C.) riuscendo
ad ottenere in cambio le insegne che i
Parti avevano sottratto a Crasso e a far
rientrare in patria i prigionieri ancora
detenuti presso i nemici. Secondo l’uso
dell'epoca, i figli del re Fraate IV furono
invitati a studiare a Roma e venne redatto
un nuovo trattato per stabilire i confini
delle due potenze, benché rimanesse
ancora aperto il problema relativo alla
successione del trono d'Armenia.
In questa fase storica, i Parti si
dimostrarono particolarmente disponibili
ad accettare le richieste di Roma a causa
dell'indebolimento interno della propria
monarchia, in parte derivato dalla
pressione esercitata dei popoli nomadi
lungo i confini orientali dell'impero.
Un problema molto sentito era la minaccia
rappresentata a oriente del misterioso
impero dei Kushana (50 a.C.-233 d.C.).
Molti punti oscuri sussistono ancora su
questa popolazione la cui origine sembra
connettersi a quella del popolo nomade
degli Yuezhi (questo è il nome con cui essi
appaiono nelle fonti cinesi) di cui
costituivano una delle cinque tribù
principali. Stabilitisi in Battriana dove si
erano fusi con la popolazione
precedentemente ellennizzata, i Kush
riuscirono a impadronirsi delle terre
appartenute fino al I secolo d.C. agli
indoparti (in particolare del Gandahara)
per poi volgere le proprie attenzioni alle
regioni fertili dell'India nord-occidentale
fino a inglobare tutta la pianura del Gange.
Sembra possibile che Augusto abbia
ricevuto qualche ambasceria dell'India,
forse proprio dai Kushana, un fatto che
poteva costituire un motivo d'allarme per
gli Arsacidi che, in caso di accordo tra le
due potenze si sarebbero trovati come
stretti tra due fuochi.
Superato il periodo di crisi interna legato
alla successione, arsacide mentre regnava a
Roma Tiberio, salì al trono Artabano II
(10-38 d.C.). Tiberio aveva deciso di
intervenire in maniera decisa sia in
Armenia, sia in alcune zone dell’Anatolia
minacciate dalla prossimità della frontiera
partica. Nonostante l'efficienza
dell'esercito romano, il problema armeno
non fu mai risolto e le frontiere
dell’Armenia rimasero sempre contese tra
Roma e il regno partico.
Alla morte di Artabano II fece seguito un
periodo di instabilità interna fino a
quando salì al potere Vologese I (51-80
d.C.). Il suo regno fu funestato da rivolte
interne e da scontri con Roma, ma
Vologese fu in grado di mantenere integri
i confini del regno, continuando a far
valere le pretese arsacidi sull’Armenia,
firmando poi un trattato di pace con
Nerone (54-68 d.C.), che lo invitò con il
suo seguito in visita a Roma. Grazie a ciò
Vologese riuscì a porre un sovrano
arsacide gradito anche ai Romani in
Armenia.
La situazione si complicò con il nuovo re,
Osroe (108-128 d.C.), che decise di
intervenire militarmente in Armenia.
Traiano, venuto a conoscenza della
difficile situazione di politica interna
attraversata del regno partico, non si
lasciò sfuggire l'occasione per
intervenire: le armate partiche non
furono in grado di offrire alcune
resistenza, e i Romani dilagarono in
Mesopotamia fino al Golfo Persico.
Anche la capitale Ctesifonte fu
conquistata, ma non sembra che i
Romani siano stati in grado di
conquistare Hatra, la città a prevalente
presenza semita che costituiva il più
importante alleato commerciale e politico
del regno arsacide. Traiano fu dunque in
grado di istituire una «provincia di
Mesopotamia», ma le sue conquiste
furono abbandonate poco tempo dopo da
Adriano, interessato a ridimensionare i
confini dell'impero, a consolidarlo e a
riorganizzarlo. Traiano spirò in Cilicia,
lungo la via del ritorno, nel 138 d.C.
Adriano era interessato a limitare la
conflittualità per poter meglio controllare
altri fronti più caldi; gli Arsacidi erano
parimenti interessati a una pace con
Roma in modo da potersi dedicare al
contrasto con i Kushana che, proprio in
quegli anni, avevano inflitto agli arsacidi
una grave sconfitta al tempo
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dell'imperatore Kanishka, verso la metà
del II secolo d.C. La non belligeranza
inaugurata da Adriano durò relativamente
a lungo, e proseguì durante il regno di
Vologese III (111-148 d.C.) per essere poi
interrotta da Vologese IV.
Quest’ultimo invase l'Armenia, riportando
alcune vittorie militari sugli eserciti
romani e riuscendo a saccheggiare la Siria
e la Cappadocia. Marco Aurelio, rispose
all'aggressione inviando in Oriente Stazio
Prisco e il fratello Lucio Vero che nel
frattempo era stato associato al trono
mentre risedeva in Siria;
contemporaneamente, altre legioni
comandate da Avidio Casso si prepararono
per una grande offensiva militare. Nel 165,
Avidio fu in grado di occupare Dura
Europos, Edessa, Charree e Nisibis,
procedendo sino a Ctesifonte da cui
progettava di dirigersi verso l’altopiano
iranico.
I Parti non sembravano in grado di
resistere all'avanzata di Cassio e solo una
grave pestilenza diffusasi tra le file romane
obbligò Marco Aurelio a proporre una
tregua. Vologese IV fu dunque in grado di
recuperare buona parte della Mesopotamia
eccetto l’Osroene, ma alcuni territori
furono riorganizzati dei Romani in
provincia mentre l'Armenia fu sottoposta
al protettorato di Roma.
Alla morte di Commodo, nel periodo della
lotta di successione tra Settimio Severo,
Claudio Albino e Pescennio Nigro, la
Parthia apprfitto della debolezza di Roma
per saccheggiare la provincia della
Mesopotamia lasciata sguarnita,
occupandone i centri principali sotto il
regno di Vologese V (191-208 d.C.).
Nel 195 d.C., ottenuto l'impero, Settimio
Severo riprese possesso dell'intera regione
evitando tuttavia lo scontro diretto con i
Parti, anche a causa della situazione
instabile in politica interna, confidando
inoltre su una rivolta che nel frattempo era
scoppiata nell'Iran occidentale e che
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avrebbe tenuto impegnati i Parti piuttosto
lungo. Per nulla scoraggiato, Vologese V
attaccò immediatamente la Mesopotamia
(nel 198 d.C.) causando un nuovo
intervento romano che portò alla
conquista di Ctesifonte. Settimio Severo
tentò in due occasioni di assediare Hatra
ma non ottenne risultati a causa
dell'eccellente posizione fortificata della
città.
Quando nel 211 d.C. Settimio Severo morì,
il figlio Caracalla (211-217 d.C.) – venuto a
conoscenza di alcune rivolte ai danni di
Vologese VI (207-222 d.C.) – attaccò i
Parti con un futile pretesto. Caracalla
incontrò qualche successo militare ma fu
assassinato da alcuni congiurati guidati
dal generale Macrino proprio mentre si
trovava a Charrae. Poco dopo, Macrino
subì una dura sconfitta e le armate dei
Parti si riversarono nella parte romana
della Mesopotamia obbligando l'impero a
versare un enorme tributo per ottenere la
pace. Nonostante questo successo,
l'impero partico continuava a essere
scosso alle fondamenta da una serie di
crisi interne, lotte per la successione e
spinte indipendentiste dei governatori
delle regioni periferiche. Una di queste
regioni, il Fars, si ribellò apertamente gli
Arsacidi al tempo di Artabano IV
deponendo il re a fondando la dinastia
nuova dinastia sassanide.
4.2 - I Sassanidi
Nascita della dinastia e Artaserse (224-241
d.C.): i Sassanidi si impadronirono della
Persia grazie all'opera di Artaserse I nel
224 d.C. La dinastia prendeva il nome da
un tale Sasan, che era stato nel passato
signore di quella regione e sacerdote
Lista dei re sassanidi:
• Ardašir I (Artaserse) 224-241
• Sapore I (Šapur) 241-272
• Ormisda I (Hormoz) 272-273
• Bahram I 273-276
• Bahram II 276-293
• Bahram III 293-293
• Narsete (Narseh) 293-302
• Ormisda II 302-309
• Sapore II 309-379
• Ardašir II 379-383
• Sapore III 383-388
• Bahram IV 388-399
• Yazdgard I 399-420
• Bahram V 420-438
• Yazdgard II 438-457
• Ormisda III 457-459
• Peroz 459-484
• Balash 484-488
• Kavad I 488-496 (primo regno)
• Jamasp 496-498
• Kavad I 498-531 (secondo regno)
• Cosroe I Anushirvan 531-579
• Ormisda IV 579-590 Gustiniano II
• Bahram VI Chobin 590-590
• Cosroe II Parviz 590-628
• Kavadh II 628-628
• Ardašir III 628-629
• Shahvaraz di Persia 629-629
• Porandoxt 629-630
• Ormisda V 630-632
• Yazdgard III 632-651
presso il santuario di Anahita nella
cittadina di Ishtar.
È bene premettere che nella regione del
Fars, all'inizio del III sec d.C., esistevano
molti piccoli reami che lottavano per il
predominio su quelli vicini e (per un
problema organizzativo caratteristico del
mondo partico) tentavano continuamente
di svincolarsi dal potere centrale.
Il più importante di questi centri era in
Perside e aveva come capitale la cittadina
di Istakhr; i nobili che la governavano
dicevano di discendere direttamente dagli
achemenidi e si ritenevano autorizzati a
conservare e a difendere le tradizioni del
periodo di Dario e di Serse.
Un nobilotto vassallo appartenente a
questa dinastia di nome Papak,
approfittando della guerra scoppiata tra
l'arsacide Vologase VI e suo fratello
Artabano V, si ribellò a Gocir e si proclamò
re di Persia.
Alla morte di Papak, Artaserse contese il
potere al fratello Shapur che poi eliminò,
assumendo il titolo regale nel 208 d.C.
Dopo aver domato una rivolta a
Darabgerd, Arteserse si lanciò alla
conquista delle province di Isfahan e
Kerman e stabilì la capitale a Guz (oggi
Firuzabad, Iran) chiamandola ArdašīrKhurreh, la gloria di Ardašīr. Si tratta di
una città a pianta perfettamente circolare
del diametro di 1950 m i cui resti sono
ancora visibili.
L’attività espansionistica di Artserse attirò
l'attenzione di Artabano V, Gran re
dell'impero partico, che marciò contro di
lui nel settembre del 224 e vi si scontrò in
battaglia a Hormizdeghan. Artabano fu
ucciso e la maggior parte dell'aristocrazia
persiana passò a fianco di Artaserse, che
completò la conquista delle province
occidentali dell'impero. Nel 226 entrò in
Ctesifonte e si fece incoronare shahanshah
(re dei re) prendendo il nome di
Dariardašīr (Dario Ardašīr) dando così vita
all'Impero sasanide. Nel 228 Artserse
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sconfisse e uccise Vologese VI, ponendo
definitivamente fine all'impero dei Parti.
Il fatto che, presso Firuzabad, Artaserse
avesse già fatto costruire precedentemente
una città e un palazzo fortificato lasciano
credere che egli avesse da tempo
preordinato il colpo di mano.
L'ideologia sassanide fu fortemente
influenzata – soprattutto nel primo
periodo – dallo scontro con Roma. E’ noto
come nelle titolatura sassanide,
diversamente da quanto accaduto sotto il
regno partico, fu aggiunto il titolo ud-Aneran (traducibile come «re degli iranici e»
«al contempo dei non iranici»), segno di
una nuova volontà di potenza ecumenica.
Secondo molti studiosi, tuttavia, tale scelta
fu una risposta alla ideologia romana che
ambiva a un imperium sine fine.
Nonostante la soluzione diplomatica
offerta dall'imperatore romano Alessandro
Severo, i Persiani penetrarono in
Mesopotamia cercando senza riuscirvi di
conquistare Nisibis, compiendo anche
brevi incursioni in Siria e Cappadocia.
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I Romani organizzarono una spedizione
con il supporto del regno d'Armenia e
invasero la Media (oggi regione di
Hamadan, Iran) puntando alla capitale
Ctesifonte. Artserse riuscì a respingere
l'assalto a prezzo di numerose perdite, il
che convinse Alessandro Severo a mettere
da parte temporaneamente le mire sulla
costa mediterranea e a concentrarsi nel
consolidamento del suo potere a oriente.
La guerra riprese nel 238 al tempo di
Massimino il Trace (235-238) quando
Artserse, approfittando della guerra civile
scoppiata a Roma, invase nuovamente la
Mesopotamia con l'aiuto del figlio Sapore
I. Dopo la conquista di Nisibi e Carre,
Arteserse associò al trono Shapur
nominandolo re dei re. Nel 240 vinse e
distrusse l'Impero Kushana, recuperando
tutti i territori corrispondenti alle antiche
satrapie orientali achemenidi. Morì nel
241 lasciando al figlio un impero ancora da
consolidare e la prospettiva di un nuovo
conflitto con i Romani.
4.2.2 Shapur I (241-272 d.C.) e la cattura
dell’imperatore Valeriano
Shapur I è ricordato dalle fonti come
principe illuminato, coraggioso,
magnanimo e di larghe vedute. Shapur fu
atratto dalle opere letterarie e filosofiche
dei paesi stranieri e per questa ragione le
fece tradurre in persiano; inoltre si
interessò ai precetti generali dei manichei
che, per tale motivo, furono in qualche
modo tollerati tanto più che il sovrano
divenne amico dello stesso Mani.
Per rispondere alle aggressioni partiche,
l’imperatore Gordiano III (elevato al
potere dopo la sconfitta di Massimino il
Trace) inviò un grande esercito da
Antiochia in Persia nella primavera del
243. L'armata si diresse verso Charrae
passando da Zeugma, riuscendo ad avere
ragione delle truppe del figlio di Artaserse
I, Shapur I, a Rhesaina. L'anno successivo,
secondo le fonti persiane Gordiano III fu
ucciso in battaglia lungo il basso corso del
Eufrate a Meshike, un luogo che per
l'occasione fu ribattezzato Peroz-Shapur
(«Shapur vittorioso»); questo andamento
dei fatti è sostenuto da una iscrizione
trilingue situata sul Ka’ba-ye Zardost
(«cubo di Zoroastro») che si trova a
Naqsh-e Rostam.
Nei rilievi di Bishapur e Darabger, il
giovane Gordiano III è rappresentato
travolto dal cavallo del sovrano sassanide a
fianco di Filippo l'Arabo in atto di
prostrarsi, a sua volta, davanti al re.
Il punto di vista romano è differente dal
momento che secondo le fonti greche e
latine Gordiano III non morì in uno
scontro contro l'esercito persiano, bensì a
causa di un tranello pianificato
dall'usurpatore Filippo. Nel ka’ba-ye
Zerdost si fa esplicito riferimento a
«Filippo Cesare e ai Romani in tributo e
servitù» e si cita un divieto di
intraprendere attività economiche in
Armenia e a tributi imposti a Roma.
Gli anni successivi, le presunte
interferenze in Armenia di Roma fornirono
il pretesto per una serie di campagne verso
occidente da parte di Shapur I; la prima,
condotta tra il 252 e il 253 d.C., portò alla
conquista di trentasette città tra cui
Antiochia e alla distruzione di una grande
esercito romano a Barbalissos; la prima
campagna fu diretta verso l'alto corso del
Eufrate dove sorgevano importanti città
siriache, mentre la seconda fu condotta in
profondità in Mesopotamia, in Osroene e
in Cilicia. Durante la seconda campagna
del 260 d.C. furono catturati l'imperatore
Valeriano, il prefetto al pretorio, alcuni
senatori e diversi generali dopo una grave
sconfitta subita da oltre 70.000 soldati tra
Edessa e Charrae. L'evento fu celebrato
nei rilievi di Bishapur, Naqs-e Rostam, a
Darabgerd e su un cammeo oggi
conservato a Parigi; di esso ci danno
testimonianza approfondita alcuni testi
latini e soprattutto Lattanzio.
L'iscrizione di Nqsh-e Rostam riferisce che
i Romani catturati furono trasferiti in
Persia, in Parthia, in Susiana e in
Asoristan; invece, una cronaca araba del
IX secolo (la cronaca di Se’ert) riferisce che
i soldati catturati furono condotti a
Bishapur, a Sad-Shapur non lontano da
Meshan e a Obkara sul Tigri. Sempre
secondo Tabari, Shapur avrebbe avviato la
ricostruzione Gundenshapur per ospitare i
Romani catturati ribattezzanda Weh
Antioch Shapur. Lo scrittore arabo Tabari
asserisce che Valeriano fu impegnato
personalmente nella costruzione della diga
di Shustar oltre che nel grande ponte
chiamato Band-e Kaisar (ancora oggi ben
visibile).
Sempre all'azione di Shapur I e di Shapur
II la storiografia attribuisce la dissoluzione
dell'impero Kushana sul confine orientale.
Le regioni appena conquistate furono
affidate a rampolli, a figli cadetti o allo
stesso erede al trono. Tanto da fare un
esempio, il regno del Sestan fu affidato a
Narsete, figlio minore di Shapur e fratello
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minore di Hormuzd I (che poi erediterà il
trono).
Šapur promosse il commercio con l'India e
l'Arabia e fondò diverse città nei territori
spopolati della Persia, dove insediò
immigranti dai territori romani, per lo più
cristiani perseguitati in patria ai quali lo
scià garantiva la completa tolleranza
religiosa. Fu inoltre tollerante con i
cristiani, anche se favorì particolarmente il
Manicheismo, proteggendo Mani (che in
cambio gli dedicò uno dei suoi libri, il
Shabuhragan) e inviando all'estero molti
missionari manichei; fu anche in buoni
rapporti con un rabbino di Babilonia,
Shmuel. Questa amicizia portò vantaggi
alla comunità ebreica e permise agli ebrei
di riaversi dopo le leggi oppressive che
erano state emanate in precedenza. I
successori di Shapur abbandonarono
tuttavia questa politica di tolleranza
religiosa.
4.2.3 - Bahram II (276-293 d.C.)
Nel 283 l'imperatore Caro fu in grado di
riconquistare Seleucia e Ctesifonte senza
72
colpo ferire proprio perché Bahram II (il
figlio di Bahram I) era impegnato in
oriente a domare una grave ribellione
questa volta suscitata dal fratello
Hormuzd. La ribellione fu sostenuta dalle
popolazioni del Gilan, del Sakastan e dei
Kusana, come ricordato da Claudio
Mamertino.
4.2.4 - Narsete II (293-302 d.C.)
Il figlio di Narsete, tale Hormuzd II, sposò
una principessa kushana, segno che i
rapporti tra i persiani e questa
popolazione orientale si erano rilassati
anche grazie all’avvento al potere del ramo
familiare antagonista.
Nel 296 d.C. Narsete II sconfisse Galerio
nel nord della Mesopotamia (Eutropio IX.
24. 5) ma l'anno seguente Galerio riuscì ad
avere una grande vittoria in Armenia. Nel
298, Galerio impose un trattato che
estendeva il dominio romano
sull'Armenia, sull’Iberia (l’attuale Georgia,
che divenne stato cliente di Roma),
imponendo che tutte le trattazioni
commerciali tra persiani e romani
avvenissero a Nisibis, una città sotto il
controllo di Roma ubicata sulla riva
orientale del Tigri superiore. L'attività di
Galerio segnò il punto più alto della
politica ad Oriente mai raggiunto da Roma
nella tarda antichità e Galerio celebrò la
vittoria Tessalonica; nei documenti
dell'epoca appare evidente come le due
potenze fossero mal disposti ad accettare la
reciproca esistente convivenza, cercando di
elaborare nuovi concetti di legittimazione
reciproca.
4.2.5 - Horzmud II (302-309 d.C.)
In seguito alla morte di Hormizd II, gli
Arabi iniziarono a devastare e a
saccheggiare le città meridionali
dell'impero, attaccando tra l'altro anche la
provincia del Fars. I nobili Persiani
uccisero il primogenito di Ormisda II,
accecarono il secondogenito e
imprigionarono il terzogenito (che in
seguito fuggì in territorio romano) e salì al
trono il figlio non ancora nato di una delle
mogli di Ormisda II, Shapur II (309–379),
forse l'unico re a venire incoronato
nell'utero materno visto che la corona fu
posta sul ventre della madre. Shapur II
nacque dunque già re, e durante la
giovinezza l'impero venne governato sotto
la tutela dalla madre e dai nobili.
4.2.6 - Shapur II (309-379)
Durante la minor età di questo sovrano, il
paese fu forse turbato lungo le frontiere
orientali da una serie di rivolte e di
tentativi di rovesciamento. La riscossa di
Shapur II si avviò in Armenia, dove tra il
338 e il 339 furono portati a segno ottimi
risultati.
L'affermazione di Costantino il Grande
dopo le guerre civili che segnarono la vita
di Roma al tempo dell’abdicazione di
Diocleziano avevano generato una pausa
nelle relazioni conflittuali tra Persia e
impero, ma già il fratello di Shapur II,
Ohrmazd, attorno al 324 d.C. si era
rifugiato tra i Romani. Attorno al 330,
stabilizzato il regno, Costantino aveva in
progetto una grande invasione della Persia
che non ebbe seguito solo per la morte,
sette anni più tardi, dell'imperatore.
Per quanto riguarda le dispute religiose è
evidente che molti dei Romani catturati da
Shapur I e deportati in Persia erano di
religione cristiana; nel periodo di
tolleranza religiosa essi avviarono la
costruzione di alcune chiese e monasteri,
ad esempio a Gundeshapur e RevArdashir, e la figlia di un prigioniero
romano cristiano di nome Candida
divenne la moglie favorita di Bahram II;.
All'epoca di Diocleziano, nell'occidente
romano, invece, i manichei erano visti con
un certo sospetto dal momento che si
temeva che rappresentassero un pericolo a
causa delle loro origini persiane.
Nel 324 Costantino scrisse una lettera di
propria mano a Shapur II proponendo
accordi e concessioni a favore dei cristiani
insediati in Persia ma gli effetti non furono
quelli sperati perché Shapur II rispose
avviando una serie di persecuzioni contro
queste comunità; alcuni vescovi orientali
espressero la propria speranza di una
vittoria di Costantino, ma quando
quest'ultimo morì nel 337, Shapur II ne
approfittò per assediare Nisibis e tentare il
controllo dell'Armenia. Il nuovo Augusto
d'oriente, Costanzo II, entrato in possesso
di solo un terzo del regno, si trovò in forte
difficoltà nel dislocare le truppe necessarie
contro la Persia. Quando però nel 353 egli
ebbe eliminato i due fratelli (Costantino II
e Costanzo) divenendo unico imperatore,
poté agire liberamente. Nell'antichità
Costanzo II fu criticato per la sua politica
difensiva, ma considerando i disastri subiti
dal successore Giuliano l'Apostata lungo
l'Eufrate, sembra che la sua prudenza fosse
ben riposta.
L'invasione della Persia da parte di
Giuliano l'Apostata nel 363 nacque dalla
volontà di emulare gli antichi imperatori
73
romani. Giuliano si fece accompagnare dal
principe ribelle Ohrmazd, che era stato il
favorito di Costanzo II e che lo aveva
accompagnato a Roma durante la sua
visita del 357. Giunto in Persia, Ohrmazad
venne ancora riconosciuto dai persiani che
occupavano le fortificazioni del basso
Eufrate cosicché Giuliano poté portare
l'esercito verso Ctesifonte. Le cronache di
Ammiano ricordano un primo conflitto
presso la tomba di Gordiano III a Zaitha e
presso una basilica giudiziaria di Traiano a
Ozogardana. La decisione di dare fuoco
alla flotta dopo aver attraversato il fiume
Tigri a sud di Ctesifonte voluta da Giuliano
unita ai ritardi degli aiuti portati dalle
truppe di Procopio furono fatali. Il
fallimento della missione fu segnato il 26
giugno 363 dalla morte dello stesso
imperatore così che il suo successore, un
certo Gioviano, fu costretto a segnare una
pace umiliante che permise alla Persia di
impossessarsi di Nisibis e di garantirsi
un'influenza politica nella parte
occidentale dell'Armenia. Conclusa la
campagna contro Roma, Shapur II e
Artaserse II fecero scolpire famosi rilievi
Taq-e Bustan nei quali viene celebrata la
74
morte dell'imperatore romano che giace ai
piedi del sovrano sassanide.
4.2.7 - Yazdegerd I, il «Costantino
dell’Oriente» (399-420)
Sotto questo sovrano i Sassanidi cercarono
di rafforzare la propria loro posizione e di
creare una base di consenso accettando
progressivamente le minoranze cristiane
all'interno dell'impero sassanide. Nel 410
d.C. a Seleucia sul Tigri (secondo alcune
fonti a Ctesifonte), si svolse con
l'autorizzazione del sovrano un concilio
che permise l’istituzione di una chiesa
cristiana persiana, nella quale furono
riconosciuti i canoni dottrinali del
consiglio di Nicea. Nel 424 d.C., in
occasione di un ulteriore sinodo, fu
dichiarata l'indipendenza della chiesa
persiana da quella romana.
I sassanidi crearono anche un exilarcato
riservato agli ebrei che vivevano
all'interno dei propri confini, benché la
classe dominante rimanesse
profondamente mazdea.
La politica conciliante verso i cristiani di
altre religioni non durò a lungo perché fu
negletta dal figlio Barhran V giunto al
potere dopo la morte del padre nel 420
d.C. Va comunque detto che la Persia
continuò ad offrire rifugio agli eretici
nestoriani condannati dal concilio di Efeso
del 431 e di Calcedonia del 451, tanto più
che l'imperatore Anastasio – asceso al
trono nel 491 – fu di orientamento
opposto, ovvero monofisita.
4.2.8 - Yazdgerd II (438-457 d.C.) L’età
delle persecuzioni religiose
Il regno di Yazdegerd II (trad: «plasmato
da Dio») si caratterizza per lo spostamento
del baricentro sassanide dall'Occidente
romano in direzione dell'Oriente a causa
della pressione esercitata in quelle regioni
dalle tribù degli Unni. Proprio in questo
periodo, i re sassanidi adottarono il titolo
di kay che veniva utilizzato,
contemporaneamente, dagli avversari
kayanidi.
La nuova figura poltica del kay tentò di
reintrodurre la religione mazdea in
Armenia e ad un certo punto riprese le
persecuzioni contro i cristiani. Secondo
alcune fonti,sotto il regno di Yazdegerd II
153.000 siri furono massacrati nella città
di Kirkuk e furono emanati dei decreti che
dettavano gli ebrei di osservare il sabato
apertamente e pubblicamente, e fu
ordinata l'esecuzione di alcuni leader
religiosi. Nella città di Isfahan per
rappresaglia, la comunità ebraica scuoiò
pubblicamente due sacerdoti di Zoroastro
mentre erano in vita, cosa che determinò
nuove e più violente ritorsioni.
Il problema fondamentale del regno era la
guerra scatenatasi sul fronte orientale
contro gli Eftaliti (anche detti Unni
bianchi), cosicché Yazdegerd II cercò di
procurarsi il denaro necessario per
sostenere la campagna sferrando un
attacco sui confini occidentali di Roma,
con una guerra culminata nello scontro tra
Teodosio II e Yazdegerd II tra i 441 e i 442
(il sovrano sassanide sperava di sfruttare
lo scontro che Roma stava sostenendo
contro i Vandali per ottenere veloci
successi). Stretto da significative difficoltà
finanziarie, nel 464 d.C. il suo successore
Peroz giunse al punto di chiedere un
prestito a Roma, presentando la mossa
come un tributo ottenuto dai nemici
occidentali, come aveva fatto poco un
tempo Shapur I nei confronti di Filippo
l'Arabo; è evidente dunque come, in
politica interna, Roma venisse
progressivamente descritta sempre più
come uno stato vassallo e in un'ottica
chiaramente antagonista.
4.2.9 - Kavad I, l’età dei Mazdakiti
(488-531 d.C.)
Sotto il regno di Kawad I si assistette ad
una nuova variazione del titolo legale,
caratterizzata dalla sparizione delle vecchie
nomenclature di sahan sha e kay e
l’aggiunta, subito dopo il nome del re, della
parola abzon che si può tradurre
letteralmente come «incremento». Questo
periodo storico fu segnato dall'affermarsi
del cosiddetto movimento mazdakita,
legato alla predicazione di un profeta di
nome Mazdak che fu recepita e promossa
in ambiente regale, il modo da collegare
sempre di più la religiosità
all'amministrazione centrale.
Mazdak visse in un periodo storico
caratterizzato da tensioni economiche e
sociali anche legate alla sperequazione
economica derivata dalla concentrazione
delle proprietà agricole nelle mani di un
ristretto numero di nobili di culto
zoroastriano, in concomitanza con le
pressioni militari sul confine orientale
degli Unni bianchi provenienti
dall'Afghanistan. Poiché la teologia di
Mazdak si opponeva al rafforzamento
dell'aristocrazia e conteneva dei principi
atti a indebolire la nobiltà di sangue
ereditaria, la sua visione religiosa fu
abbracciata da Kawad I godendo di una
momentanea affermazione. La politica
generale fu orientata verso riforme sociali
75
a favore delle classi meno abbienti,
togliendo potere al clero zoroastriano che
vide molti dei suoi templi sbarrati per
ordine regale. La reazione da parte degli
aristocratici e del clero si ebbe nel 496 con
la deposizione del sovrano che fu
imprigionato nel Castello dell’Oblio di
Susa e l’ascesa al trono di suo fratello
minore Jamasp (Zamaspes). Kawad I,
fuggito tra gli Unni bianchi, due anni più
tardi, ritornò al potere con il loro aiuto,
mutando repentinamente politica con
l'aiuto del figlio Cosroe I, al punto che fu
messa in atto una campagna militare tra il
524 e il 525 nel corso della quale Mazdak e
molti dei suoi fedeli furono uccisi,
garantendo la restaurazione dello
zoroastrismo. Dal punto di vista teologico,
il mazdakismo è stato da alcuni definito
come una sorta di comunismo ante
litteram visto che prevedeva la
redistribuzione delle ricchezze tra tutti
cittadini. Tra le norme introdotte nel
periodo mazdakeo si deve annoverare una
legge che permetteva ad un uomo sposato
di concedere la moglie in un matrimonio
temporaneo (sturih) con il dovere di
tenere successivamente con sé i figli nati
da tale relazione. Questa curiosa legge
sembra spiegarsi con il fatto che il sovrano
cercava di inquinare la discendenza per
sangue dell'aristocrazia in modo tale da
76
non permettere un facile controllo della
primogenitura. Ottenuto il suo scopo,
come si è detto, Kawad I scelse
deliberatamente di abbandonare la
dottrina per dar luogo a un nuovo ordine
sociale, creando un nuovo stato feudale di
stampo nobiliare i cui componenti però
furono frutto delle relazioni e delle
trasformazioni avvenute nella piccola
parentesi mazdakea.
4.2.9 - Ohrmazd IV (579-590 d.C.)
Il nuovo re si attirò l'ostilità del generale
Bahram Cobin quando quest'ultimo fu
rimosso dalla carica per aver subito
un'ignominiosa sconfitta da parte dei
bizantini 590 d.C. Bahram Cobin si rivoltò
al suo signore insediandosi a Ctesifonde
dove battè moneta sino a che il figlio di
Ohrmazd, Cosroe II, si rivolse
all'imperatore di Bisanzio Maurizio per
averne l'appoggio. Maurizio appoggiò il
secondo così che Cosroe e della possibilità
di sconfiggere Bahran nel 591 a Ganzak
prendendo il potere, stipulando subito
dopo un trattato di pace con Bisanzio. In
tale occasione Cosroe II inviò per
ringraziamento delle croci dorate al
santuario di San Sergio a Rasafa
(Sergiopolis) dei martiri a seguito della
sua elevazione al trono iraniano.
4.2.10 - Cosroe II (520-628 d.C.)
Il 27 novembre 602 l’imperatore bizantino
Maurizio veniva ucciso in una congiura di
palazzo dal tiranno Foca così che Cosroe II,
desideroso di ripristinare l’antico impero
achemenide, ebbe il pretesto per iniziare
una nuova guerra contro i bizantini.
Con il pretesto di vendicare la morte di
Maurizio (a cui era riconoscente perché
l’aveva aiutato a sconfiggere Bahram
Chobin), invase l’impero bizantino
riportando grandi successi sui Bizantini,
che privi dell’aiuto di Narsete e incapaci di
contrastarlo.
Nel 606 d.C. l’esercito di Cosroe II occupò
la fortezza di Dara e invase l'Asia Minore,
espugnando Cesarea e penetrando in
Calcedonia. In seguito occupò le città
siriane di Hierapolis, Chalcis e Berrhaea,
assediando Antiochia. La rapida
successione dei successi persiani svelò la
debolezza dell'impero bizantino,
l'incapacità di Foca e l'odio che i sudditi
provavano per lui. Cosroe sparse inoltre la
voce che il figlio di Maurizio ed erede
legittimo al trono, Teodosio, fosse ancora
vivo e vivesse alla corte di Persia, anche se
è probabile che si trattasse di un
impostore.
Quando nel 610 d.C. Foca venne deposto e
ucciso ed Eraclio (610 d.C.) incoronato
imperatore, i Persiani continuarono la
guerra con il pretesto di sostenere la
candidatura al trono di Teodosio – il già
citato presunto figlio di Maurizio -, e dopo
aver occupato l’Armenia e la Mesopotamia
arrivarono a occupare Antiochia e la Siria
nel 611 d.C. In seguito essi proseguirono
verso sud, occupando nel 614 d.C. la
Palestina e Gerusalemme. Durante la
conquista e il saccheggio della Città santa
venne trafugata e portata in Persia la Vera
Croce di Gesù Cristo del Santo Sepolcro e
le chiese di Costantino ed Elena vennero
danneggiate e date alle fiamme.
Nel 616 d.C. i Persiani iniziarono la
conquista dell'Egitto mentre un’armata
persiana si dirigeva verso la Tracia
occupando in poco tempo Calcedone, le
coste del Bosforo, la città di Ancyra e
l'isola di Rodi. Nel 621 d.C. quasi tutto
l’Impero bizantino era occupato dai
persiani e ai bizantini rimanevano solo la
77
Grecia, l’Anatolia e i lontani esarcati
d'Italia e d'Africa.
Il Senato di Bisanzio in preda alla
disperazione propose a Cosroe II di
adottare Eraclio come figlio ed è famoso il
contenuto della risposta fornita da Cosroe
II all'ambasciatore bizantino giunto a corte
e condannato a morte: «Non è un
ambasciatore ma la persona stessa di
Eraclio, ridotta in catene, a dover essere
portata ai piedi del mio trono. Non
concederò mai la pace all'Imperatore di
Roma, fino a quando non avrà abiurato la
fede nel suo Dio crocifisso e non avrà
abbracciato la fede nel dio Sole. »
L'esperienza di sei anni di guerra aveva
però persuaso Cosroe a rinunciare alla
conquista di Costantinopoli e ad
accontentare di un tributo annuale.
Eraclio due giorni dopo Pasqua (622 d.C.)
lasciò Costantinopoli e con il suo esercito
di 5.000 soldati giunse via mare in Cilicia
accampandosi a Isso. In seguito penetrò in
Armenia dove sorprendentemente
sconfisse in varie occasioni i Persiani. Le
fonti ricordano come nella primavera
successiva l'esercito bizantino distrusse il
Tempio del Fuoco di Zoroastro e numerosi
altri templi, molteplici statue di Cosroe e i
resti delle città di Thebarma o Ormia,
luogo di nascita di Zoroastro.
Cosroe, allarmato per i successi bizantini,
richiamò dall'Egitto e dal Bosforo e con
essi sui migliori generali: Shahrbaraz,
Shahin e Shahraplakan. Cosroe II rispose
alla controffensiva di Eraclio stringendo
un'alleanza con gli Avari e formando tre
grossi eserciti: il primo di 50.000 uomini,
soprannominati le lance d'oro fu mandato
contro Eraclio e le sue truppe, il secondo
ebbe l'incarico di prevenire il
ricongiungimento tra l'esercito di Eraclio e
quello del fratello Teodoro; un terzo
esercito ebbe l'incarico di assediare
Costantinopoli con l'aiuto degli Avari.
L'assedio di Costantinopoli avvenuto nel
626 d.C., fallì grazie all'inespugnabilità
78
delle mura teodosiane e a 12.000 cavalieri
inviati da Eraclio per difendere la città.
Tirato un sospiro di sollievo per lo
scampato pericolo, Eraclio strinse
un'alleanza con il khan dei Cazari, formò
un esercito di settantamila uomini tra
Bizantini e stranieri e riuscì a
riconquistare in poco tempo le città della
Siria, dell'Armenia e della Mesopotamia.
Decise quindi di attraversare le montagne
del Kurdistan in modo di giungere a
Ninive inseguito dai Persiani comandati
da Rahzadh che, tuttavia, affrontarono
violente tormente di neve e arrivarono a
Ninive decimati. Il 12 dicembre 627 nella
battaglia di Ninive; i Persiani, decimati dal
gelo e dalla fame vennero massacrati dai
bizantini così che Eraclio poté trascorrere
il Natale a Ninive, ospitato nella tenuta di
un nobile persiano.
Cosroe II dopo la sconfitta fuggì a Seleucia
e, vedendo la propria fine vicina, decise di
nominare suo successore Merdaza, il suo
figlio preferito. Ma Siroe, un altro suo
figlio, non approvò la sua decisione e cercò
il consenso dei satrapi per preparare una
congiura contro il padre, offrendo ai
soldati un aumento dei salari, ai cristiani
la libertà di professare la propria religione,
ai prigionieri la libertà e alla nazione pace
immediata e la riduzione delle tasse.
Il 23 febbraio 628 Cosroe II, perso il
sostegno dell’aristocrazia, venne
rovesciato e rinchiuso in un sotterraneo
per ordine del figlio Siroe (che salì al trono
con il nome di Kavadh II) e, dopo cinque
giorni di torture, spirò; Kavadh II, salito al
trono, firmò una pace con i Bizantini in cui
si impegnava a ritirare le sue truppe dalle
zone occupate durante la guerra e
restituiva ai Bizantini la Vera Croce.
L’impero bizantinoe persiani, ormai
esuasti, subitono nel decennio successivo
la penetrazione delle armate islamiche che
trovano libero il campo, impossessandosi
del Vicino oriente e della Persia.
4.3 - Bishapur, città sassanide
Un esempio interessante di città sassanide
è quello costituito da Bishapur, un centro
che la tradizione vorrebbe fondato dal
figlio di Ardashir (primo sovrano della
dinstia sassanide) dopo la straordinaria
vittoria su Veleriano e i Romani. Qui
Shapur costruì un grande palazzo nelle cui
prossimità sarebbe stato detenuto
l’imperatore romano e i suoi ufficiali
catturati in battaglia. La città fu
immaginata come una vera e propria
capitale e venne edificata nella provincia
natale di Shapur I, in un paesaggio non
molto differente da quello in cui il padre
aveva fondato Firuzabad.
Bishapur aveva una pianta a scacchiera di
tradizione ellenistica, era circondata da un
muro di cinta turrito ed era rinforzata su
un lato da un fossato, sull’altro lato dal
corso di un torrente. Verso l’entroterra lo
sbarramento era costituito dalle montagne
mentre, al vertice di un colle, una fortezza
a gradoni proteggeva l’accesso alla
principale valle.
E’ interessante il fatto che in tale città fu
ignorata la tradizionale pianta circolare di
tradizione partico-sasanide, e venne invece
impiegato un impianto del tipo definito,
convenzionalmente, «ippodameo». Questa
soluzione era già stata utilizzata in passato,
ad esempio nel IV sec a.C. a Dura Europos
e nel centro di Begram – situato a nord di
Kabul – , una città fondata da un re grecobattriano. La città di Bishapur fu dunque
immaginata con una pianta elaborata e
divisa per quartieri: in alcuni vivevano i
nobili che disponevano di dimore
circondate da giardini, e due viali si
incontravano ad angolo retto proprio nel
suo centro.
4.3.2 - Il palazzo presenta un’aula
principale con forma a croce in cui si è
riconosciuta un'aula per le udienze. L'aula
ha dimensioni generose, con i lati di 22 m,
ed era forse sormontata da una cupola, che
secondo le ricostruzioni, avrebbe raggiunto
i 25 m di altezza. I quattro bracci che si
dipartono dal centro hanno la stessa
lunghezza e terminano in iwan circondati
da un cordone perimetrale di forma
quadrata sul quale si aprono quattro porte
su ogni lato.
La grande aula del palazzo di Bishapur
79
aveva 64 nicchie al cui interno, forse, si
trovavano delle statue dei sovrani,
analogamente a quanto si è verificato nel
palazzo di Nisa o nella fortezza di Tuprak
nella Corasmia.
Un frammento di stucco conservato nel
Museo del Louvre dimostra che le nicchie
erano inquadrate da semicolonne
quadrangolari con capitello semplice; ai
lati si trovavano due fregi decorati con
delle «greche». Il fregio superiore era poi
decorato con un intricato arabesco di
foglie che formava delle volute. Le volte
dell'aula erano stuccate e dipinte di rosso,
giallo e nero, con motivi a foglie d'acanto
alla moda ellenistica.
Il palazzo ha restituito anche alcuni curiosi
mosaici pavimentali che tendono ad
evocare l'atmosfera di un sontuoso
banchetto: vi si vedono delle dame di corte
mollemente appoggiate su cuscini, altre
con lunghe vesti e corone di fiori, e ritratti
di persone forse appartenenti alla famiglia
reale o a classi privilegiate. Sono inoltre
presenti delle danzatrici, delle suonatrici
di arpa e fanciulle che intrecciano
ghirlande, con il corpo nudo appena velato
da una sciarpa. I soggetti di questo
pavimento sono ripresi dal repertorio
d'Antiochia dell'Africa del nord ma nessun
80
originale è stato riprodotto
compiutamente. Sembra pertanto
probabile che i cartoni originali siano stati
rielaborati da artisti locali secondo il gusto
e le tradizioni iraniche: l'aspetto dei volti, i
vestiti, le acconciature e persino il modo
caratteristico con cui i personaggi si
siedono sono, in effetti, persiani.
Nella letteratura scientifica il palazzo è
immaginato coperto da una grande cupola
in pietra e calce che credo, tuttavia, non
sia credibile in considerazione della
mancanza di malta idraulica e della
modesta qualità del materiale da
costruzione impiegato; anche l’ipotesi
secondo la quale la stanza sarebbe stata
scoperta ed avesse ospitato al centro un
altare del fuoco è poco plausibile, dal
momento che non vi è alcuna traccia di
questo altare mentre i pavimenti e gli
stucchi sarebbero stati soggetti a un veloce
deperimento. Ho proposto, pertanto, che
l’ampia luce dell’aula fosse coperta da una
cupola lignea, sul modello di quanto
sperimentato a Cordova dagli
arabiomayyadi che rielaborarono e
diffusero i modelli dell’architettura partico
sassanide dopo la conquista del nord
Africa e della Spagna.
4.3.3 - Il palazzo di Valeriano
Nelle vicinanze si trovano i resti di un
palazzo affacciato sulla medesima corte i
cui scavi sono stati interrotti durante
l'ultima guerra mondiale. Due nicchie
portate alla luce sono costruite con blocchi
ben squadrati e rettangolari che
rimandano alle opere di Dario e di Serse a
Persepoli. Su qualche blocco si sono
riconosciuti dei rilievi rappresentanti
cavalieri alla carica e soldati appiedati; è
possibile che i rilievi fossero integrati
all'interno della facciata dell'edificio che,
oggi, non è facilmente ricostruibile. Forse
la composizione faceva riferimento alle
guerre di Shapur contro i Romani e, forse,
l’edificio fu riservato all'imperatoreostaggio che sappiamo essere stato
ospitato sino alla morte alla corte
sassanide.
4.3.4 - Tempio di Anahita
Si tratta di un edificio a pianta quadrata di
14 m di lato che raggiunge i 7 m di
profondità. Vi si accedeva tramite una
lunga scala in pietra; arrivati in quello che
oggi appare come un cortile (ma che
anticamente era una stanza coperta da un
soffitto) è possibile osservare, su ognuno
dei punti cardinali, delle porte che danno
accesso ad un corridoio perimetrale. Il
tempio era probabilmente dedicato alla
divinità della fecondità e delle acque
Anahita.
Al vertice delle pareti – realizzate con
blocchi in pietra isodomi – erano inserite
delle grandi mensole fatta a forma di
protome taurina ispirate ai capitelli di
Persepoli; si tratta di un elemento di
arcaismo voluto, segno che la prima
architettura sassanide del Fars voleva
chiaramente richiamare il periodo d'oro
achemenide. Poiché le protomi guardano
all'interno del cortile, Roman Ghirshman
ipotizzò che esse sostenessero una tettoia
che avrebbe coperto solo parzialmente
l'interno della cella. Secondo Giorgio
Gullini le proporzioni molto elevate di
queste mensole lasciano supporre che
sostenessero delle travi di un telaio a
cassettoni incorbellati (cioè rastremati
gradatamente).
Il tempio è molto interessante per il
sistema perfezionato di conduttura delle
acque. I muri sono costruiti con grossi
blocchi di pietra saldati con grappe a coda
di rondine in ferro e presentano un
riempimento di piccole pietre (emplecton)
in cui riconosciamo una tecnica romana
impiegata, ad esempio, negli edifici di
Filippopoli in Siria (città fondata da
Filippo l'Arabo).
4.3.5 - Ara di pietra
Nelle immediate vicinanze è stato possibile
identificare la base di una colonna e di un
blocco che potevano far parte di un'ara del
fuoco, un «tipo» spesso raffigurato sulle
monete sassanide. Dobbiamo infatti
ricordare che spesso il fuoco che ardeva
all'interno del tempio veniva trasferito al di
fuori e posto entro un chiosco composto da
quattro pilastri sormontati da un tetto a
cupola (atash gah). Il padiglione era
aperto con quattro archi su quattro lati e
attorno ad esso si radunavano i fedeli che
assistevano alla cerimonia. Nella zona del
Luristan presso Tang i Chack-chak, la
religione Zoroastro sembra essere
sopravvissuta alla conquista araba e alla
conversione del paese all'Islam.
4.3.5 - Area rupestre: Non lontano dal
centro storico, una stretta vallata protetta
da un forte che conduce verso l’entroterra
(ma anche al sentiero che conduceva alla
cosiddetta Grotta di Shapur, un grande
antro decorato con una stalattite scolpita
con le fattezze di un sovrano sassanide)
presenta una sfilata di rilievi rupestri che
ci offrono un quadro della grande
produzione propagandistica affidata ai
rilievi rupestri; questa, inaugurata dagli
achemenidi con la famosa iscrizione di
81
Bisutun, fu ripresa dai sovrani sassanidi in
una accezione particolare, influenzata
dalla pubblicistica greco-romana
dell’epoca reinterpretata in una chiave
persiana, e caratterizzata da schematicità,
sintesi e rottura dell’unità di tempo e di
luogo teorizzati nella cultura ellenistica.
Anche in tal caso, la soluzione impiegata
dai sassanidi aprì la strada ad interessanti
soluzioni d’avanguardia che lasciarono
tracce sensibili nella cultura medievale
europea.
I rilievi sono normalmente legati alla
celebrazione delle imprese guerresche dei
sovrani sassanidi e si affiancano a scene di
incoronazione da parte di Ahura Mazda
che hanno la funzione di sottolineare la
legittimità divina dell’impero ecumenico
sasanide.
Un rilievo presenta l'immagine
dell'imperatore Valeriano a piedi,
trascinato per mano, secondo la
convenzione iconografica che presso i
Persiani stava a indicare l'atto della
cattura. L’opera è resa monumentale della
presenza di più registri scolpiti l’uno sopra
l'altro, in cui sono rappresentati cavalieri
persiani e prigionieri romani.
Il gesto rappresentato nel rilievo è
conforme al racconto storico della cattura
di Valeriano, confermato da un cammeo
inciso di grande bellezza attualmente
conservato nel Cabinet des Medailles di
82
Parigi. Secondo la tradizione iranica,
l'imperatore cadde prigioniero nel
combattimento contro il suo avversario:
nel cammeo è Valeriano ad alzare la spada
contro Shapur che tiene la mano sull'elsa
della spada senza nemmeno sguainarla,
accontentandosi di afferrare la mano
dell’imperatore.
La scena di Bishapur è completata da due
persiani, posti in atteggiamento rispettoso
presso il gruppo centrale.
La composizzione è “sorvolata” da un
putto che reca al re un diadema, simile a
quello che di solito porta Ahura Mazda
nelle scene di investitura. La composizione
non può considerarsi una narrazione
fedele degli avvenimenti occorsi, quanto
piuttosto un generico riferimento ad
alcuni episodi storici senza che ne venga
fissata con chiarezza lo spazio e il tempo.
Un secondo rilievo ripropone il tema in
una chiave differente, imitando un modello
iconografico già sperimentato da Ardashir
(il padre di Shapur) nei più famosi rilievi
Taqsh-e Rostam (Persepoli). Ahura Mazda
è raffigurato al fianco di Shapur I mentre
calpesta il cattivo dio Ahriman; da parte
sua Shapur I calpesta Gordiano III. La
scena è completata dalla figura di Filippo
l'Arabo nell'atto di inginocchiarsi per
chiedere la pace.
Si nota come la testa di Ahriman – con la
capigliatura ondulata come un serpente –
appaia orribile. Il corpo di Gordiano III è
invece schiacciato sotto il peso del potente
destriero del re e nella postura di Filippo
l'Arabo tutto esprime angoscia e
disperazione. In questo senso Shapur I
appare come il padrone del mondo. È
interessante il fatto che nella scena manchi
Valeriano, segno che la scultura fu
realizzata poco dopo il 244 mentre erano
in atto le trattative di pace con Roma. I due
altri rilievi in cui troviamo la figura di
Valeriano, sarebbero stati fatti scolpire
dopo la sua sconfitta del 260 d.C., quando
fu catturato e posto a residenza coatta
proprio a Bishapur.
Un terzo rilievo presenta una superficie
semicircolare e la composizione richiama
ancora una volta la triplice vittoria di
Shapur I. Molto interessanti sono i quattro
registri che inquadrano la scena, quattro a
sinistra e quattro a destra, forse concepiti
per rendere la scultura più monumentale
ed amplificare la potenza del re. A sinistra,
per tutta l'altezza delle rilievo, osserviamo
la cavalleria dei nobili; sulla destra
riconosciamo invece nelle zone inferiori i
prigionieri romani e i Persiani recanti il
bottino nelle due superiori.
Vi chi ha ipotizzato che l'opera sia stata
realizzata come risposta all'invasione della
Persia da parte di Traiano e alla presa di
Ctesifonte del 115 d.C. In questo senso si
potrebbe spiegare la forma semicircolare
della scultura che potrebbe essere una
citazione della Colonna Traiana. Tutta la
massa delle persone disposte sui quattro
registri laterali non è che un riempitivo,
anche se viene rispettata la tradizione
iconografica romana che prevede la
disposizione, in basso, dei prigionieri.
83
Un’evoluzione del gusto e dell’iconografia
lo si può cogliere in un rilievo situato a
poca distanza, databile al V sec d.C. e fatto
scolpire da Shapur II.
Shapur II è seduto al centro, affiancato ai
lati da più registri figurati. Signore del
mondo, emanazione del dio sulla terra, il
re sassanide è rappresentato nel registro
superiore seduto con le gambe divaricate
sul tipico trono: alla sua sinistra, sono
allineati i nobili, mentre alla sua destra si
trovano dei Persiani che conducono
prigionieri incatenati.
Nel registro inferiore, a sinistra, un
palafreniere introduce il cavallo del
sovrano. Nello scomparto di destra, un
altro personaggio offre al re la testa di un
nemico vinto il cui copricapo ricorda
quello dei principi Kushana, una tribù
ostile insediata a oriente dell’impero
sassanide.
Sul lato opposto della vallata si trovano
ancora altri rilievi monumentali:
il primo celebra le vittorie di Shapur I
contro i Romani e raffigura l'investitura di
Shapur I da parte di Ahura Mazda. I due
sono rappresentati frontalmente, sempre a
cavallo, nell'atto di calpestare due nemici:
Shapur calpesta Gordiano III, Ahura
Mazda lo spirito del male Ahriman.
È interessante notare che gli eventi storici
– pur essendo avvenuti in tempi separati –
sono rappresentati contemporaneamente,
dando luogo a una sintesi temporale
destinata a sottolineare il tema principale,
ovvero il trionfo sul male dei valori positivi
impersonati dal re e dai Persiani; la sfera
negativa è chiaramente rappresentata da
Roma, dei suoi imperatori e dai legionari.
Tale visione dualistica tra luce e tenebre,
tra positivo e negativo, sembra influenzata
dalla ristretta visione della cultura
sassanide che fu influenzata dalla filosofia
manichea.
84
4.4 - Palazzo sassanide di Firuzabad
Quando il padre di Artserse (il sacerdote
Papak) era custode del tempio di Anahita e
Artaserse non era ancora re, Artserse
decise di costruire una solida fortezza per
sua residenza e mise assieme un suo
esercito che gli permise di espandere il suo
governatorato fino alla regione di Kerman,
annettendo tutto l'Iran meridionale. Il suo
comportamento si faceva probabilmente
forza del fatto che – secondo quanto
riferisce la tradizione – egli aveva sposato
la figlia del re partico in carica, Artabano.
Quando Artaserse iniziò la costruzione di
un grande palazzo presso Firuzabad,
Artabano si fece irrequieto e in una lettera
gli scrisse: «oh sventurato, perché hai
osato costruito un tale palazzo reale?».
L’irrispettosa protesta di Artabano unita ai
comportamenti sospetti di Artserse
determinò l’inasprirsi dell'inamicizia tra i
due e lo scatenarsi di una guerra nella
quale Artabano fu sconfitto e Artaserse
diventò re. Firuzabad, ovvero Ghur eArdshir, fu allora denominata «lo
splendore di Artaserse», Shokuh-e
Ardashir. Nel 222 d.C., dopo la vittoria
militare di Artserse su Artabano presso
Nagsh-e Rejab, (tra Estakhr e Persepoli) il
nuovo sovrano sassanide entrò a Ctesifonte
e vi fu incoronato ufficialmente.
La nuova città di Firuzabad fu pertanto
costruita prima ancora che Artaserse
sconfiggesse l'ultimo sovrano della dinastia
partica, ma nella sua urbanistica era
implicito il desiderio di segnare una
continuità con la tradizione culturale
locale. La scelta è particolarmente
evidente, ad esempio, nella pianta
circolare, una soluzione che apparteneva
alla cultura assira e che era stata
riproposta dai Parti.
Particolarmente impressionante,
soprattutto se vista dall’aereo o dal
satellite, la città di Firuzabad presenta una
pianta circolare bipartita da due strade
perpendicolari perfettamente orientate
sud-nord/est-ovest. Al centro si erge una
grande torre in muratura che doveva,
all’origine, essere sormontata dal fuoco
sacro, che vi veniva trasportato dai magi da
un padiglione coperto denominato cahartaq durante le festività. È evidente che il
fuoco, posizionato a grande altezza, doveva
essere ben visibile da tutte la valle, cin un
notevole effetto scenografico.
Le fonti arabe ricordano che la torre era
dotata di una scala e questo può aiutarci a
spiegare la curiosa forma della città; in
effetti, la scelta di allineare le strade con i
punti cardinali è del tutto insolita e
problematica dal punto di vista
urbanistico, tanto più che obbligò i
costruttori a studiare difficili raccordi con
le rete viaria locale che presenta un
differente orientamento. Poiché la stessa
soluzione si manifesta anche nella città
reale di Darab Gherd (situata più a sud), è
evidente che la scelta sia stata
intenzionale: mi sento così di proporre che
tra le sue finalità si debbano ricercare
ragioni di natura astronomica. In molte
civiltà antiche, l’osservazione del moto
degli astri, del sole e della luna, veniva
effettuata da una posizione eminente; in
genere l’orizzonte era segnato da strutture
85
equidistanti dal centro a profilo
semicircolare che permettevano di
traguardare la posizione degli astri; questo
ruolo è qui svolto dalle mura di cinta, oggi
collassate, ma un tempo elevate sul piano
di campagna di oltre 9 metri e realizzate
con mattoni crudi e cotti su un doppio
ordine. La torre sacra centrale potrebbe
dunque spiegarsi come osservatorio, tanto
più che le fonti antiche attribuiscono ai
magi una spiccata competenza
astronomica, ed era loro compito stilare i
calendari lunari e solari che sancivano le
festività religiose o i lavori agricoli.
Il Chahar Taq è stato ben descritto dagli
storici arabi come Estakhiri, Ibn al-Fagih,
Masudi e Ferdowsi. Sappiamo che esso era
dotato di una base quadrata alta 2 m, che
era posto all'ombra di alberi, e che al
centro si ergeva una piattaforma che
supportava una cupola sorretta da quattro
colonne sotto la quale era posto il fuoco.
Intorno alla struttura c'erano giardini e
altre pertinenze del tempio, tra cui un
braciere, un deposito e gli alloggi dei
custodi del tempio.
86
4.4.2 - Khal-e Doktar.
L’accesso alla pianura in cui sorse la città è
sorvegliato da un curioso edificio
denominato Khal-e Doktar. Si tratta di un
complesso monumentale costruito da
Artaserse al vertice di una roccia; l'aspetto
generale è quello di una vera e propria
fortezza, anche se la particolare
planimetria ne rende difficile la
comprensione. L’edificio presenta un
grande iwan coperto da volta a botte che
si conclude al fondo con un piccolo
passaggio che dà accesso a una sala
quadrata coperta da una cupola.
Curiosamente, su questa sala si affacciano
quattro porte. Non è chiaro se si tratti di
una residenza o di un luogo di culto; però,
vi si ripete il solito schema composto da
iwan di accesso seguito da un ambiente
coperto da cupola. Anche questo edificio è
completamente realizzato in calcestruzzo,
con scaglie di pietre unite da malta di
gesso.
4.4.3 - Il palazzo di Artserse è
affacciato su un piccolo lago alimentato da
una sorgente piuttosto copiosa; l'acqua
proveniente da questo lago alimentava
l'antica città di Ardeshir-Khurra (Gur),
dall'ingresso del palazzo era possibile
godere della veduta dello specchio d’acqua
e non c’è motivo di dubitare che l’area
fosse occupata da una serie di giardini in
stile persiano.
Il palazzo fu costruito con pietra da taglio
legata con calce (una tecnica architettonica
ben diffusa nella ragione da tempo
immemorabile) mentre la superficie
esterna dei muri fu realizzata in gesso. Si è
affermato che questa tecnica fosse
caratteristica della regione e che il sovrano
decise di non utilizzare blocchi di pietra
tagliata a squadra per una relativa
limitatezza di risorse, dal momento che
quando al tempo in cui era in funzione il
cantiere edile egli rivestiva solo la carica di
governatore e non ancora re. Certo è che il
palazzo sorge in una regione arida,
caratterizzata da estati molto calde, e la
calce aveva il vantaggio di tenere fresco
l'interno degli edifici.
La superficie delle pareti era ricoperta poi
da un intonaco di gesso che permetteva di
dissimulare le diseguaglianze della
superficie muraria. Dal punto di vista
decorativo è significativa la presenza di
una cornice estroversa decorata con
cannelle con un profilo a gola egizia;
secondo alcuni studiosi questa sarebbe
stata copiata direttamente dei palazzi
achemenidi di Persepoli che i Sassanidi,
potevano cogliere meglio ancora di quanto
ci sia possibile farlo oggi. In ogni caso,
l'apparato decorativo originale fu citato
senza essere compreso, poiché fu applicato
a scopo puramente ornamentale e in
posizioni prive di una logica interna: nella
tradizione achemenide tale tipo di cornice
era solitamente scolpita sulle architravi o
all’interno di nicchie rettangolari, mentre a
Firuzabad la gola viene posta al centro di
un muro.
Anche questo è un indizio della natura
programmatica e propagandistica di molte
scelte fatte dalla dinastia sassanide in
ambito artistico.
Si accedeva all’edificio attraverso un tipico
iwan, oblungo e coperto con volta a botte,
oltre il quale si trovava una serie di sale
raccolte attorno ad un cortile, spesso
coperte a cupola.
L’iwan d'ingresso – piuttosto profondo – è
affiancato sui lati da due sale per parte,
tutte coperte con volta a botte.
Oltrepassata la porta di fondo dell’iwan si
aveva accesso a tre ambienti a pianta
87
quadrata coperti da cupola (che
raggiungevano una notevole altezza,
oltrepassando il secondo piano).
E’ bene chiarire che l’iwan è una tipologia
architettonica che si attribuisce agli antichi
Parti, successivamente ereditata dai
sassanidi e da essi passata all’Islam.
Si tratta di un grande arcone
completamente aperto su un lato (come
una sorta di galleria cieca) e dal profilo
parabolico. Caratteristica dell’iwan è
quella di concludersi sul fondo con un
muro in cui, in genere, si apre una porta di
modeste dimensioni che dà accesso al
palazzo.
Oltre ad essere decorativo, l’iwan poteva
essere sfruttato dai sovrani per ricevere
ambasciatori e visitatori senza che essi
avessero accesso alle stanze interne, tanto
più che l’ampio spazio coperto da tale
arcone poteva essere protetto da cortile e
tendaggi e reso confortevole con arredi.
D’altronde, si è proposto che nel periodo
più antico i sovrani partici ricevessero
nelle proprio tende, che si aprivano su un
lato al fine di permettere le udienze. Credo
che la forma parabolica dell’arco derivi –
nelle fasi più antiche – dall’uso ripetuto di
fascine di canne che, incurvate,
permettevano di coprire facilmente gli
ambienti; probabilmente, in un momento
cronologico successivo, gli iwan furono
realizzati con mattoni cotti al sole di forma
allungata ma rimase l’uso di porli di
coltello (cioè con il lato lungo messo di
verticale), forse perché per lungo tempo
non fu noto l’uso della centina. La forma
parabolica dell’arco aveva la funzione di
ridurre gradualmente la luce dell’apertura
senza troppi problemi strutturali, se è vero
che la chiave di volta non era nota. È
curioso che ancora oggi, molti archi
realizzati su centina con mattoni cotti in
forno continuino a essere realizzati con
mattoni posti di coltello (in verticale)
senza che questo abbia alcuna funzione
pratica.
88
La planimetria del palazzo fu composta
sfruttando delle proporzioni studiate a
tavolino, così che sommando
dell’ampiezza delle tre camere quadrate si
ottiene una misura pari alla lunghezza
dell’iwan di accesso. La sala centrale –
anche detta Sala del trono – comunica a
nord con un iwan più piccolo che si apre
su un cortile; a destra di questo iwan si
trova una piccola stanza e dotata di una
scalinata che porta al secondo piano.
Tutt’attorno al cortile si aprono diverse
aule rettangolari caratterizzate per il fatto
che un lato lungo è il doppio di quello
corto. Complessivamente l'edificio copre
un'area di 55 x 104 m e i suoi muri hanno
uno spessore che raggiunge i 4 m.
Gli architetti cercano di rompere la
monotonia della parete esterna con una
sequenza di lesene che richiamano certe
soluzioni dell’architettura mesopotamica.
4.5 - Taq-i-Kisra, Ctesifonte (Iraq)
È questo il nome del grande palazzo di
Ctesifonte che la tradizione fa risalire a
Cosroe I (531/579). L’edificio di Ctesifonte
è forse l’esempio meglio conservato e più
imponente di architettura sasanide anche
se un terremoto nel XIX sec ha purtroppo
fatto collassare il lato destro della grande
facciata rivestita ad arcatelle in mattoni
cotti.
A Taq-i-Kisra la sala del trono assume
dimensioni colossali; vi si accedeva da un
grande iwan con volta parabolica posto al
centro della facciata largo 25 m e alto 30
m, che si annovera come il più grande mai
costruiti.
scaenae dei grandi teatri romani, ma è
probabile che si tratti solo di una
convergenza, perché i Sassanidi vollero
semplicemente interpretare in chiave
persiana il tema degli ordini architettonici
a semicolonne e nicchie di tradizione
ellenistica. In ogni caso, è certo che il tema
fu imitato ma non compreso, perché il
rapporto classico che ne costituiva il
fondamento ne risultò alterato; qui sono
ignorati gli allineamenti verticali, la
simmetria delle parti e le proporzioni tra le
medesime; molto spesso le cose grandi e
quelle minute sono affiancate, e i rapporti
tra diametro all'altezza delle colonne del
tutto inusitate. Taq i Qisra ci fornisce la
chiave per comprendere la sensibilità
Sembra che originariamente questo iwan
si affacciasse su un cortile, che occupava la
2
stupefacente superfice di 10.000 m e che
si concludeva, sul lato opposto, con un
secondo iwan simmetrico oggi andato
distrutto.
Dal punto di vista decorativo, la facciata
presenta una sequenza di arcate cieche
disposte su quattro piani, segnatamente
più alti in basso e ridotti in altezza al
vertice, senza che vi si riconoscano
proporzioni canoniche o logiche
matematiche; ogni piano è scandito da
nicchie cieche fiancheggiate da colonne
murate; la fonte di ispirazione è sembrata
ad alcuni essere costituita dalle frontes
architettonica del mondo particosassanide, interessato principalmente al
valore esornativo e superficiale degli
elementi della facciata piuttosto che al
rapporto tra forma e struttura elaborato
dal mondo greco-romano. È evidente che
la mancanza di buona pietra da
costruzione e la tradizione costruttiva in
mattoni crudi e in pisé tipica delle regioni
mesopotamiche e iraniche abbiano favorito
lo sviluppo di diverse modalità costruttive;
l’impatto della cultura ellenistica sul
mondo partico ebbe come effetto quella di
introdurre una serie di moduli
architettonici (colonne, capitelli) che non
potevano essere compresi a fondo, e che
89
furono utilizzati come rivestimento
superficiale di strutture per lo più piene,
fatte ancora in mattone crudo o cotto,
pietrame e gesso. Questa sensibilità è
rimasta viva ancora i secoli successivi, ad
esempio in età islamica, quando il valore
superficiale e decorativo delle facciate è
stato reso magnificente con l’introduzione
della piastrella smaltata.
Alcuni pannelli di stucco trovati a
Ctesifonte rappresentano animali in libertà
che si muovono all'interno di un
paesaggio; secondo alcuni studiosi questi
rilievi sono strettamente derivati dall'arte
siriana, tanto più che Cosroe I dopo avere
conquistato la città di Antiochia volle
soprannominare la sua nuova capitale,
Ctesifonte, la nuova Antiochia e il sovrano
vi trasferì a artisti e artigiani stranieri. Se
anche così fu, la piattezza dei rilievi e il
loro rigido geometrismo spianarono la
strada alla sensibilità tardo-romana e di
età bizantina che troviamo ben espressa in
molti edifici privati, e soprattutto religiosi,
tra V e VI sec d.C.
Nella parte posteriore dell’iwan si
estendeva un insieme di stanze che poteva
essere raggiunto sia dalla porta sul fondo
del grande iwan, sia le due porte disposte
direttamente sulla facciata e, ne deduco,
evidentemente collegate da un corridoio o
da una stanza allungata. Dietro il
complesso si trovava un altro iwan, simile
al primo, ma leggermente più piccolo, il
cui uso non è ancora chiaro. Non è chiaro
90
quale fosse il salone principale, ma
sappiamo dagli storiografi antichi che era
decorato con immagini rappresentanti la
battaglia di Cosroe I ad Antiochia e che
aveva un grande tappeto impreziosito da
pietre dure e gioielli noto con il nome di
«primavera di Cosroe». Quando gli Arabi
conquistarono la città smembrarono il
tappeto per spartirselo come bottino di
guerra. Gli archeologi tedeschi che hanno
scavato il palazzo hanno rinvenuto un
considerevole numero di parallelepipedi
ricoperti d'oro che devono essere stati
incassati nella parte superiore dei muri
nonché frammenti di lastre di marmo
colorate che coprivano la parte inferiore.
La facciata esterna era intonacata con
calce dipinta, come testimoniato dai
numerosi frammenti conservati nei musei
occidentali.
Approfondimento architettonico
Pennacchio continuo (o sferico?)
Il tipo più diffuso è il pennacchio tridimensionale
posto tra due archi di sostegno contigui e la cupola.
Il pennacchio assume così la forma di una superficie
triangolare concava, come una porzione di
superficie di una sfera (triangolo sferico), avente il
vertice inferiore coincidente con uno degli spigoli
del quadrato o poligono di base, Infatti pennacchi
sferici vengono solitamente usati per raccordare
una volta a cupola circolare con delle strutture a
base quadrangolare.
Essi possono appartenere alla superficie stessa della
cupola, senza interruzione di continuità
(pennacchio continuo), come nel Mausoleo di Galla
Placidia a Ravenna, oppure appartenere alla
superficie ideale di un'altra semisfera con centro più
basso, come per esempio nella cupola centrale della
basilica di San Marco a Venezia.
Questo secondo tipo, sorto cronologicamente dopo
il primo, nell'ambito dell'architettura armena e
bizantina) permette una sagoma più slanciata alla
cupola e rende geometricamente indipendenti
pennacchio e cupola, separati quasi sempre da una
cornice. Tale soluzione rappresenta la premessa
all'introduzione tra di essi di un tamburo che slancia
ancora di più l'insieme.
Pennacchio a tromba
Quando la struttura di raccordo invece di una
sezione sferica presenta una sezione conica si parla
di tromba. Si tratta, in pratica, di piccole nicchie che
formano il penacchio raccordando generalmente un
perimetro quadrato con uno ottagonale. Risulta
particolarmente usato nell'architettura romanica, in
particolare in quella lombarda.
Pennacchio a cuffia
Questa tipologia di raccordo è caratteristica delle
architetture orientali, ma anche di quella bizantina e
arabo-normanna. Lo spazio quadrato o poligonale
viene coperto mediante raccordi costituiti da una
serie di archi digradanti verso i vertici. Spesso in tali
piccoli vani inarcati, che sorreggono la cupola
soprastante, si ricavano decorazioni alveolari dette
muqarnas, secondo lo stile arabo
4.6 - Palazzo di Sarvestan
Il palazzo di Sarvistan fu fatto costruire da
Bahram V (420-438).
La facciata principale presenta tre iwan
affiancati, di cui quello centrale un po' più
alto, ottenuto in pianta affiancando due
quadrati. Tale soluzione, secondo gli
studiosi iraniani, influenzò l'arte islamica e
da qui giunse alle chiese gotiche francesi
per poi diffondersi in tutta Europa,
costituendo la base della cultura gotica
medievale.
Superata una piccola porta, si giunge a una
sala di ricevimento quadrata coperta da
una cupola impostata su due pennacchi a
cuffia. Il pennacchio a cuffia è una
soluzione del tutto persiana che non trova
alcuna corrispondenza nel mondo romano
e che trova nel palazzo di Sarvestan una
versione matura. Sembra dunque
probabile che il problema di raccordare la
base quadrata con quella semicircolare
della cupola in ambienti privi di calce di
buona qualità, abbia indotto i primi
costruttori dell’età partica a disporre delle
mensole diagonali agli angoli dell’aula
(forse in legno, forse in pietra). Questi, in
una fase successiva sarebbero stati
realizzati più organicamente creando delle
murature angolari di forma semisferica
costruite in mattoni; l’utilizzo di una
materia prima modulare e di forma
geometrica netta impedì, pertanto, ai
costruttori orientali di realizzare dei
pennacchi a tromba come avvenne invece a
Roma. In Italia, la possibilità di gettare
malta di ottima qualità su un impalcatura
lignea (ponteggio/centina) di geometria
variabile, permise di creare di volta in volta
forme sinuose e quanto mai varie, dando
luogo alla tradizione del pennacchio a
tromba della grande architettura romana
antica. È significativo che nella Spagna e
nella Sicilia normanna siano noti alcuni
esempi di pennacchi a cuffia,
91
probabilmente costruiti per influenza
della civiltà islamica.
Il palazzo è orientato in senso ovest-est;
così vediamo che a oriente si trova un
ampio cortile che dà sulla strada esterna
tramite un iwan più piccolo. In direzione
nord, una porticina che dà accesso ad una
sala voltata e corrisponde a un'ulteriore
iwan, più profondo di quello dalla porta
principale. Ad esso, è adiacente una salone
altro lungo. Il lato meridionale del palazzo
è occupato da una grande sala che
appartiene alla parte residenziale
dell'edificio.
La caratteristica più importante di questo
edificio consiste in due sale di forma
allungata, allineate ai lati rispettivamente
nord e sud le cui pareti sono movimentate
con delle nicchie semicircolari che si
concludono verso l'alto con una sorta di
cupola a calotta. Le spalle di tale catino
semicircolare appoggiano su semipilastri
circolari separati dalla parete da un
passaggio posteriore. La sala era coperta
da volte a botte disposte a novanta gradi
rispetto al lato lungo, appoggiate a grandi
archi in muratura appoggiati alla
colonnette di cui si è detto. Una soluzione
del tutto assente nel mondo romano ed
92
elaborata nelle aree desertiche del Medio
oriente con la funzione di coprire ambienti
di ampie dimensioni disponendo di
modeste travicelli o semplice pietre
calcaree a cavallo degli archi la cui luce era
fondamentalmente limitata.
Secondo lo storico Tabari, il palazzo
sarebbe appartenuto al potente ministro di
Bahram Gur, tale Mir Narseh che non
avrebbe eretto sui terreni di sua proprietà.
4.6-Rilievi della grotta Taq i-Bustan
I rilievi rupestri di Taq-i Bustan
dovrebbero risalire all'epoca di Cosroe II,
e quindi ci testimoniano la fase finale della
parabola sassanide, poco prima
dell’avvento dell’Islam. La nicchia scavata
nella parete doveva un tempo costituire la
parte terminale di un triplice iwan mai
completato.
La preferenza data alle nicchie o alle grotte
- intensificatasi nel periodo di Shapur III è stata da alcuni studiosi collegata alle
conquiste effettuate nei paesi orientali; in
particolare, un ruolo sembra essere stato
giocato dal regno kushana che fu, da
questo momento, governato da una
famiglia reale di origine persiana. Anche
l'immagine del fiore di loto associata a
Mitra che è possibile riconoscere nel rilievo
è derivata dall'osservazione delle immagini
del Budda.
La facciata è simile ad un arco trionfale ed
è ornata da rilievi che rappresentano in
modo stilizzato un albero della vita con
grandi foglie d’acanto. Sull'arco, ai lati di
una mezza luna, sono poste due figure
femminili alate che sostengono una coppa
ricolma di pietre preziose; queste sono
distese in volo e pur volendo rappresentare
le due divinità locali del culto di Zoroastro,
Amortat e Havartat, sono pedisseque
riproduzioni di vittorie romano
ellenistiche.
La zona più interna della nicchia à divisa
due parti: nella fascia superiore si nota un
rilievo rappresentante l'investitura di
Cosroe II nell'atto di ricevere due
ghirlande, simbolo del potere,
rispettivamente da Ahura Mazda e
Anahita. Nel registro inferiore è
rappresentato un cavaliere con il tipico
simbolo regale del nimbo, indossate un
elmo, tenente nella mano sinistra uno
scudo e nella destra una lancia. La parte
anteriore del suo cavallo è protetta da una
pancetta formata da dischi. Sembra
abbastanza naturale che l'immagine voglia
rappresentare Cosroe II in posa la
guerriero con la cotta di maglia tipica
dell'epoca.
Sulle pareti laterali della grotta sono
rappresentati a bassorilievo alcune scene
di caccia reale: a sinistra il re ed alcune
persone del seguito cacciano in barca dei
cinghiali accompagnati dal suono della
musica. A destra, il re colpisce alcuni cervi,
mentre la selvaggina già uccisa viene
portata via su elefanti e cammelli. Sulla
parete di destra il re invece raffigurato
cavallo mentre entra in un parco sotto d'un
parasole; la sua figura sormonta in altezza
tutte le altre ed è riprodotta più volte le
diverse fasi della caccia a cui partecipa. Le
figure degli animali, disposte su piani
diversi, sono trattate con vivacità
narrativa, secondo la tradizione
animalistica mesopotamica.
Il rilievo originariamente era colorato e
forse voler imitare la pittura o addirittura
un tappeto intessuto; la decorazione infatti
ricorda molto quella a tappeto dell'oriente
con le figure collocate in successione di
piani senza alcuna possibilità di
prospettiva reale.
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Un’innovazione interessante percepibile in
questa scena è caratterizzato
dall'introduzione della prospettiva aerea:
come nella pittura cinese, il “paradiso” qui
rappresentato si compone di varie scene
che vengono affiancate l'una all'altra ma
vedute come dall'alto.
Lo stile descrittivo di questi immagini e
pieno di vita e di movimento che in questi
disegni riconosciamo un'estetica del
dettaglio che sarà tipica della pittura
islamica dell'Iran tra IX e X secolo d.C.
5 - Ponte e diga romano-sasanide di
Gargar
L'antica Sushtar sorge su una terrazza
naturale incisa dal fiume Kârun, la cui
sorgente si trova a qualche chilometro a
nord della città. Il luogo offrì nell'antichità
una posizione commerciale e strategica di
notevole importanza, inducendo i suoi
abitanti a realizzare una serie di dighe
piuttosto ardite che la resero famosa in
tutto l'altipiano iranico. Il complesso delle
dighe, del canale e dei muli è databile tra
III e IV sec d.C. ed è attribuito dalla
tradizione locale all’opera degli ingegneri
catturati dai persiani e impiegati
forzatamente in questa costrizione durante
la prigionia.
Il blocco principale di questa installazione
idraulica è costituito dal canale di
Ab-e Gârgar, scavato artificialmente per
condurre l'acqua da una captazione situata
sulla sponda orografica sinistra del fiume
fino in città; il canale, che costeggia il lato
meridionale della falesia cittadina, viene
poi fatto confluire nel fiume Kârun presso
la località di Band-e Ghir. A monte si
distingue la grande infrastruttura dalla
diga di Band-e Qaysar (la diga di Cesare,
anche detta band-e Mizân) che crea come
uno sbarramento di irreggimentazione
delle acque nella parte orientale della città
su una lunghezza di 350 m. La diga è
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attraversata superiormente da un ponte
che mette in comunicazione il lato
orientale e quello occidentale del centro
cittadino.
I muri che la costituiscono – alti 4,50 m –
sono stati costruiti in solida pietra, e sono
interrotti da nove aperture dotate di
paratie con altezze variabili tra i 2,85 e i
2,70 m.
Nelle sue prossimità si trovano anche gli
scarsi resti di alcuni mulini ad acqua
utilizzati nell'antichità per la macinazione
del grano.
Sul lato occidentale della diga, su un
piccolo promontorio, si trova la torre
ottagonale di Kolah Frangi che, secondo
alcuni storici, sarebbe servita per misurare
e controllare il livello delle acque.
Dalla diga si riparte canale di Gargân, uno
dei canali artificiali più importanti
dell’altopiano iranico, scavato nel banco
naturale per una lunghezza di oltre 100
chilometri, derivato dal fiume Kârun
presso cui si congiunge al termine del
percorso. Scavato in gran parte
nell'arenaria locale, il canale raggiunge
un'ampiezza oscillante tra i 20 e i 90 m e,
dopo aver superato la città di Shustar,
prosegue in un'area fertile a sud della città
per irrigare i campi.
In prossimità del centro storico, il grande
canale artificiale è poi irreggimentato da
una diga artificiale della lunghezza di 700
m da cui si dipartono tre canali artificiali
chiamati Boleyti, Su-Kureh e Dahan-e
Shahr che superano lo sbarramento
tramite condotti di diversa altezza per poi
gettarsi nel fiume a valle, non prima di
aver mosso le pale di alcuni mulini ad
acqua.
Complessivamente, sono noti i resti di
oltre 50 mulini destinati alla macinazione
del grano; qui, tra l'altro, nel corso del
Novecento, fu realizzata le prima centrale
idroelettrica dell'intero paese. Sei di questi
mulini si trovano nelle immediate
vicinanze della diga, dove si scorgono
anche i resti di una costruzione
denominata Sabat Zabetun, utilizzata dagli
ufficiali governativi per la riscossione delle
tasse dai commercianti che attraversavano
il vicino ponte. Sul lato orientale dello
sbarramento (sulla sinistra rispetto alla
diga) si trovano oltre dodici mulini, otto
dei quali sono stati ristrutturati e rimessi
in funzione; nell'antichità, questo settore
era accessibile tramite una scala esterna
oggi crollata, poi sostituita da quella
denominata Shani («Re»), edificata in
funzione della centrale idroelettrica in
occasione della visita dello scià Reza
Pahlavi.
I mulini sono realizzati nella forma di un
edificio composto da due camere unite da
un arco, una delle quali ospita l'impianto
di macinazione vero e proprio.
Sul lato occidentale (a destra della diga)
sono quindi riconoscibili altri 21 mulini,
alimentati dal tunnel denominato SeKureh; nelle immediate vicinanze si trova
una scala composta da 115 gradini che
congiunge il centro abitato con gli impianti
di produzione. Alla base della scala si trova
un edificio quadrangolare su cui si aprono
tre grandi archi, denominato localmente
95
Cahar taqi nel quale trovavano riposo e
potevano dedicarsi le preghiere giornaliere
i mugnai. L'acqua, al termine del percorso
che alimenta i mulini, si getta nel fiume
tramite delle cascate artificiali che creano
un effetto particolarmente suggestivo e che
ne fanno una delle attrazioni cittadine. Nel
settore a occidente del canale si trovavano
anche le ghiacciaie.
La diga è sormontata da un ponte lungo 83
m e anche 12 m, capace di mettere in
comunicazione il lato orientale e quello
occidentale della città. La diga è stata
attribuita ai sassanidi e fu costruito con
blocchi di arenaria uniti da calce.
Procedendo verso sud, il canale di Gargar
incontra un secondo sbarramento o diga
denominato Borj-e ayâr, anch’esso
realizzato nel periodo sassanide. La diga è
stata oggetto di demolizione nel passato e
attualmente è possibile solo riconoscerne
alcune parti. La diga raggiunge ha una
lunghezza di 4 m e uno spessore di 2,5.
Nelle immediate vicinanze si trovano i
resti di un edificio in pessime condizioni
parzialmente scavato nella roccia,
probabilmente un antico tempio utilizzato
dai cristiani per il battesimo, grazie anche
alla vicinanza con una sorgente d'acqua.
Degno di nota poi un canale denominato
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Miyanab che capta l'acqua a monte dello
sbarramento per condurla con un
condotto sotterraneo scavato nella roccia
in direzione ovest con la finalità di
permettere l'irrigazione dei campi situati
nella regione meridionale della città.
La differenza altimetrica tra il corso del
Karun e l'insediamento cittadino
(stimabile in circa 10 m) favorì dunque la
progettazione di un'imponente sistema
idraulico capace di garantire l'irrigazione
del territorio della città e, al contempo, di
mettere al sicuro gli abitanti dalle
frequenti alluvioni. Le parti principali del
complesso idraulico, composte da dighe,
canali artificiali, mulini, magazzini, riserve
e tunnel, sono da attribuire al periodo
sassanide, in particolare al regno di
Shapur I (240-272 d.C.).
5.2 - Ponte di Polband-e Shâdorvân
Quanto resta di un poderoso ponte è
ancora visibile nell'area nord ovest di
Shushtar. L'edificio fu costruito sul ramo
principale del fiume Kârun, in
corrispondenza dell'asse nord-sud che
rappresentava la principale via d'ingresso
alla città. Secondo la tradizione, esso fu
costruito in periodo sassanide con la
collaborazione dei soldati romani catturati
da Shapur. Il ponte è lungo
approssimativamente 543 m, ampio tra i
10 e i 15 m, alto sul livello dell'acqua
mediamente 8 m. Realizzato con 45 piloni,
esso si adatta all'altimetria dei fondali e
invece di avere un andamento rettilineo,
manifesta una planimetria curvata. Tra gli
elementi più caratteristici di questo ponte
dobbiamo annoverare l'uso di grappe di
ferro piombate per tenere uniti i blocchi, e
la curiosa scelta di lastricare con pietre
unite da malta il letto del fiume,
probabilmente per mantenere il livello
dell'acqua costante.
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