Lapidus riassunto

annuncio pubblicitario
"I POPOLI MUSULMANI - sec. XIX-XX" - Ira M. Lapidus
INTRODUZIONE
Nei secoli XVIII e XIX l'evoluzione delle società musulmane fu distorta dall'intervento coloniale
europeo: soprattutto Russia, Francia, Olanda e Gran Bretagna completarono in poco tempo la
conquista di quasi tutto il mondo musulmano e questo intervento alterò profondamente le strutture
intrinseche di quelle società, producendo effetti diversificati che, combinandosi con le peculiarità
culturali e istituzionali delle singole società musulmane, generarono i vari tipi di società islamiche
contemporanee.
Dopo il Medioevo, il Rinascimento e la Riforma, i popoli europei, in possesso di una forma unica di
pluralismo sociale e istituzionale e di una mentalità che enfatizzava l'innovazione, l'agire
individuale, l'aggressiva ricerca del dominio e la sperimentazione tecnica, compirono progressi che
li portarono ad affermare la propria supremazia nel mondo: lo stato nazionale moderno con il
concetto di identità nazionale di ogni popolo, la rivoluzione industriale capitalista e il processo di
laicizzazione furono i pilastri di questa evoluzione.
L'influenza europea portò diverse conseguenze nel mondo musulmano (nascita di nuove élite,
decadenza delle industrie locali. N.B.: le élite musulmane avevano un orientamento
prevalentemente politico o culturale anziché economico e tendevano a porre il problema
dell'intervento europei in termini socio-culturali; in Europa invece il fattore economico era
determinante per la suddivisione in classi, soprattutto con l'avvento della borghesia industriale), così
come un nuovo bagaglio di valori (apprezzamento dell'identità nazionale e della partecipazione
politica, l'impegno nelle attività economiche, l'attivismo morale e una concezione scientifica del
mondo), che si calarono nella matrice delle società islamiche preesistenti.
Si possono individuare tre fasi del processo di trasformazione delle società islamiche in senso
moderno:
1. Crollo del sistema musulmano e imposizione del dominio europeo (XVIII-XX sec.): le
élite politiche, religiose e tribali musulmane cercano di porre su nuove basi ideologiche e
religiose il problema dello sviluppo interno della loro società;
2. Formazione degli stati nazionali (XX sec.): le élite musulmane cercano di dare un'identità
moderna alle loro società e di promuovere lo sviluppo economico e il cambiamento sociale;
3. Lotta per assumere la direzione dello sviluppo in atto e per definire il ruolo ultimo
dell'Islam (in atto).
La dominazione coloniale europea continua tuttora a produrre i suoi effetti, tra cui la formazione di
nuove élite composte da intellettuali, militari, burocrati, tecnici, mercanti, borghesi e possidenti
terrieri. Questi nuovi gruppi suscitarono due risposte alle pressioni europee:
 una fu quella delle élite politiche, che favorirono le concezioni moderniste o laiche e
nazionaliste delle società islamiche e si adoperarono a ridefinire l'Islam per conciliarlo con
le forme europee di stato ed economia;
 la seconda risposta venne invece dai capi tribali, dai mercanti e dagli imprenditori agrari
guidati dagli ulema e dai sufi, che si proposero di riorganizzare le comunità musulmane e di
riformare i costumi secondo i principi religiosi fondamentali.
La prima tendenza fu tipica delle zone dell'ex-Impero ottomano, quindi Turchia, Mezzaluna fertile,
Egitto e Tunisia, dove quindi la penetrazione europea, che fu diplomatica, commerciale e culturale
prima della caduta della Porta, era stata più forte e dove la concorrenza europea indebolì fortemente
la borghesia musulmana, contribuendo a concentrare il potere economico nelle mani delle nuove
élite statali, educate secondo i dettami occidentali: qui, anche nei vari movimenti indipendentisti
(Tunisia, Egitto), gli ulema svolsero un ruolo secondario. Ovunque comunque essi si opponevano
sia al dominio coloniale europeo sia alle nuove élite stataliste pro-indipendenza, che nel frattempo,
tentando di ammodernare le proprie società, avevano aderito prima al modernismo musulmano
(riforma dell'Islam sulla base dei suoi principi originali, ma abbandonando le forme medievali di
civiltà islamica, seguendo l'esempio degli europei) e poi al nazionalismo laico. Gli ulema
adottarono il modernismo islamico: predicavano un ritorno alla pura fede islamica, basata su
disciplina e tradizione e ripudiando coloro che tolleravano l'influenza europea: queste tendenze, che
portarono alla nascita di varie correnti riformiste (i primi furono i wahabbiti) ebbero più fortuna in
Arabia, Africa occidentale (Senegal, Gambia, Niger), Algeria, Marocco, Libia, Asia interna,
Caucaso, India settentrionale (Bengala) e Sudest asiatico (Sumatra), ovvero in zone dove il
movimento riformista poteva esercitare maggiormente il suo richiamo su società tribali, mercantili e
agricole.
Nelle società con una forte tradizione di subordinazione degli ulema allo stato, come nell'Impero
ottomano, l'intellighenzia politica guidò il movimento per l'indipendenza nazionale, ma nelle società
musulmane più pluraliste il dominio coloniale innescò una variegata lotta per il potere che si svolse
su due fronti: contro i regimi coloniali e fra le numerose élite islamico-moderniste, laiche,
nazionaliste, socialiste e musulmane di orientamento tradizionalista e riformatore.
CAPITOLO I: IRAN: STATO E RELIGIONE NELL'ERA MODERNA
Sia nell'epoca dei Safavidi (1501-1722) che in quella dei Cagiari (1779-1925), la Persia fu
caratterizzata dalla presenza di un regime debolmente accentrato costretto a confrontarsi con potenti
forze tribali provinciali e un apparato religioso di ulema sempre più forte e indipendente, capace di
mobilitare un vasto sostegno popolare. Negli ultimi duecento anni, la lotta fra lo stato e gli ulema ha
costituito una caratteristica costante e fondamentale della società persiana.
1.1. Lo stato cagiaro. Mentre lo stato cagiaro disponeva di una sovranità precaria, il potere
dell'apparato religioso andava rafforzandosi e gli ulema, noti come mujtahid o interpreti della legge
religiosa, accrebbero ampiamente la loro autorità dottrinale: gli ulema ricchi e influenti erano i veri
capi della comunità persiana, frammentata e ancora tribale/provinciale, avevano contatti con le
comunità sciite in Iraq e legami con la gente dei bazar (artigiani, operai e mercanti) e costituivano
una forza unificante molto più potente dello stato.
Esisteva anche una grande collaborazione fra stato ed ulema, che per tradizione spesso rifiutavano
di impegnarsi politicamente, concentrandosi su temi teologici e religiosi e per queste funzioni
premiati dallo stato con diverse cariche e ruoli a corte: in particolare Fath 'Ali Shah (1797-1834)
diede agli ulema cariche importanti e li accettò come mediatori fra stato e popolazione. Esisteva
quindi un buon rapporto di cooperazione fra stato e ulema, che permetteva a questi ultimi di
rafforzarsi gradualmente.
L'intervento europeo modificò sensibilmente la posizione del regime cagiaro e acuì le tensioni insite
nel rapporto fra stato e ulema: mentre il primo cercò di modernizzarsi con l'aiuto europeo, i secondi
si eressero a difensori della tradizione persiana. Presto la Persia si trovò divisa in due aree di
influenza, una russa nel Caucaso e in Asia interna e una inglese in Afghanistan, senza tuttavia
subire un dominio coloniale diretto: gli anglo-russi assunsero di fatto il controllo del paese,
avviando una massiccia penetrazione economica e la suddivisione territoriale fu ratificata da un
accordo anglo-russo nel 1907. L'intervento europeo provocò diverse conseguenze: diffusione di
ideali occidentali, stimolo all'ammodernamento e il rafforzamento dell'apparato statale-militare (con
Nasir al-Din, 1848-1896), formazione di una nuova corrente di pensatori islamici modernisti e
intellettuali occidentalizzanti (propensi ad una modernizzazione della Persia) e creazione di una
piccola borghesia persiana.
Il problema fu che le riforme proposte dagli intellettuali toccarono solamente poche élite, lasciando
il popolo totalmente disinteressato e, del resto, troppo arretrato, diviso e povero per contribuire
all'evoluzione della Persia. Talvolta, anche gli scià erano poco propensi ad affrancarsi dal dominio
straniero, visto che i loro regni dipendevano dagli aiuti russi e inglesi. Perciò, gruppi tribali e ulema,
che di fatto guidavano il popolo, si identificarono come i due maggiori oppositori alla
centralizzazione del potere, alla laicizzazione dello stato e al colonialismo europeo: la tensione fra
stato e ulema accrebbe molto nella seconda metà dell'Ottocento con Nasir al-Din, che ne ridusse la
giurisdizione, e gli ulema stessi si sentirono pressati, oltre che dall'irrigidimento del regime, anche
dalla nascita di nuovi movimenti religiosi come quello di 'Ali Muhammad, dal forte messaggio
sociale e di giustizia, ucciso nel 1850 (i seguaci si divisero in azali e bahaisti).
Una serie di avvenimenti portarono poi alla crisi costituzionale del 1905-1911: l'affare De Reuter
(concessioni ferroviarie, tranviarie e doganali, 1872) e la concessione del monopolio del tabacco
agli inglesi (1890-92) provocarono diverse agitazioni da parte degli ulema, dei bazar e degli
intellettuali e pensatori islamici modernisti, i quali però non furono sostenuti dai contadini (questi
erano praticamente tutti servi, vivevano in villaggi isolati ed erano estremamente poveri). Principi
come la sovranità popolare, la supremazia della legge e il patriottismo, di ispirazione occidentale e
portati avanti dalle élite intellettuali (Akhund-Zadah, Malkum Khan), furono adottati in occasione
della crisi costituzionale del 1905-06 e ad essi aderirono anche molti agitatori panislamisti (Giamal
al-Din al-Afghani, Mirza Aqa Khan Kermani) e ulema liberali (sia per equivoci sia per motivi
tattici: pensavano che un'assemblea costituente avrebbe rafforzato il ruolo dell'Islam): fu emanata
una Costituzione, in vigore fino al 1979, che rendeva l'Iran una monarchia costituzionale e
proclamava l'Islam religione ufficiale, con applicazione della Sharia. Dopo una breve interruzione
tra il 1907 e il 1908, quando lo scià fece chiudere il parlamento, ci fu un secondo periodo
costituzionale, terminato nel 1911 con l'intervento russo che riportò al potere lo scià, durante il
quale l'alleanza fra riformatori liberali e ulema cominciò a incrinarsi. In linea di massima, gli ulema
non erano contrari alla monarchia in se, ma semplicemente erano preoccupati che le politiche statali
si conciliassero con le norme religiose islamiche.
1.2. Il regno dei Palhavi. Il XX secolo vide un forte acuirsi del conflitto fra stato e apparato
religioso, come dimostrò la crisi costituzionale del 1905: mentre il potere dello stato riusciva a
consolidarsi in virtù delle riforme interne e di una dipendenza ancora più stretta, dopo la prima
guerra mondiale, dall'aiuto europeo e americano, gli ulema mantennero la loro posizione di guida
nelle coalizioni che si opponevano al potere statale, all'influenza straniera e alle politiche contrarie
ai valori islamici.
Il periodo 1911-1925 fu un periodo di semi-anarchia: il trattato anglo-persiano del 1919 fece della
Persia una sorta di protettorato inglese, mentre quello con l'Urss del 1921 lasciava alla Persia
diversi vantaggi. Le cose cambiarono con l'avvento di Riza Khan al comando dell'esercito e al
ministero della Guerra: egli si proclamò scià di Persia nel 1925, dando vita alla dinastia Pahlavi, che
regnerà fino al 1979.
Durante il regno dei Pahlavi vide la luce, per la prima volta, un forte governo accentrato. Lo stato fu
definito in termini ideologici nazionalistici e impegnato nella realizzazione, guidata da un governo
autoritario, di un ambizioso programma di modernizzazione economica e di occidentalizzazione
culturale, superando presto l'opposizione delle élite religiose, mercantili e tribali. Le forze tribali
furono eliminate, i poteri degli ulema ridotti, il sistema scolastico laicizzato, il partito comunista
messo fuori legge, la stampa sottoposta a censura e il parlamento ridotto al ruolo di passacarte: la
supremazia dello stato era totale. Fu riorganizzata anche l'amministrazione giudiziaria, fino a quel
momento appannaggio dei soli ulema: tribunali laici, nuovi codici legali e requisiti universitari per i
giudici. Ci furono anche importanti riforme economiche, controllate strettamente dallo stato: nuovo
sistema doganale, infrastrutture, nuova esazione delle imposte, creazione di una banca nazionale
persiana, progetti industriali (soprattutto per beni di consumo alternativi) e orientamento dei
commerci esteri verso la Germania, per bilanciare l'influenza anglo-sovietica (v. raffinerie di
Abadan, acquisite nel 1914, e Anglo-Persian Oil Company, creata nel 1909).
Il modernizzato stato persiano definì la sua legittimità in termini nazionalistici e laici, rispolverando
l'antica storia persiana per creare un'identità nazionale comune. Il suo programma era però
totalmente dipendente dall'aiuto estero e dell'apparato di consiglieri occidentali e amministratori
persiani educati all'occidentale, che costituivano una ristretta élite che governava una popolazione
contadina improduttiva e povera.
La seconda guerra mondiale pose fine a questi esperimenti di accentramento del potere statale e
sviluppo economico: Urss e Gran Bretagna si impadronirono militarmente del paese, sostituendo
nel 1941 lo scià con il figlio Muhammad Riza Pahlavi; seguì, fino al 1953, un periodo di lotta
politica aperta fra le varie potenze straniere che ambivano a proteggere la Persia e fra i numerosi
partiti politici interni. Aumentò l'influenza degli Stati Uniti e dopo la crisi di Abadan (1951-53),
conclusasi con il colpo di stato filo-britannico contro Mossadeq, gli inglesi riuscirono ad evitare la
nazionalizzazione delle compagnie petrolifere creando la National Iranian Oil Company. Il 1953,
con la caduta del Fronte Nazionale di Mossadeq, fu anche la fine delle lotte politiche interne: lo scià
restaurò un regime accentrato e autoritario, basato sull'appoggio straniero e favorevole alla
modernizzazione economica e sociale (si trattava in pratica di un potere assoluto dello scià,
appoggiato da una piccola élite di ufficiali, amministratori, proprietari terrieri e ricchi mercanti). Le
riforme in senso centralizzato, laico e socialista furono molte: servizio sanitario, alfabetizzazione,
riforma agraria, miglioramento della condizione femminile, produzione industriale; queste però non
impedirono l'avvento di un'acuta inflazione e il peggioramento delle condizioni di vita generali,
visto che le industrie persiane erano troppo poco competitive per il mercato mondiale e la
produzione agricola stentava a decollare a causa di un'eccessiva presenza statale; in più, le ricchezze
prodotte dalle vendite petrolifere erano distribuite in modo iniquo.
Nel complesso, il programma di rinnovamento accrebbe i quadri dell'intellighenzia dotati di una
moderna formazione occidentale e creò un settore modernizzato dell'economia, ma intimorì
mercanti, artigiani, intellettuali di sinistra e ulema, che si opponevano all'influenza straniera e alla
natura autoritaria del regime. Dopo un periodo di quietismo religioso dopo la crisi del '53, gli ulema
tornarono all'attacco, criticando tra le altre cose anche l'alfabetizzazione (che gli avrebbe tolto il
ruolo di educatori delle masse) e il diritto di voto alle donne: nacque un movimento per la riforma
religiosa all'inizio degli anni Sessanta e guidato dall'ayatollah Khomeyni, esiliato in Iraq nel '64 e
sostenitore di un ruolo attivo degli ulema in politica contro gli abusi della monarchia. Negli anni
Settanta il regime di Pahlavi divenne più rigido, ma le condizioni del popolo non migliorarono visto
che i vantaggi andavano sempre alle stesse élite. Il 1979 fu l'anno della rivoluzione, scaturita
dall'uccisione a Qum di alcuni manifestanti religiosi da parte della polizia: l'esercito non poté
fermare la rivolta, lo scià fuggì all'estero e l'ayatollah Khomeyni, proclamatosi Guida Suprema del
nuovo governo islamico, abolì la monarchia, sostituita da una repubblica islamica presidenziale.
La rivoluzione islamica iraniana segna il culmine di una lotta, iniziata circa due secoli fa, fra lo
stato persiano e gli ulema organizzati. I rapporti fra questi furono sempre ambigui: l'opposizione
contro lo stato era inizialmente sporadica e in vari momenti gli ulema passarono dall'attivismo
rivoluzionario al quietismo religioso, atteggiamenti che trovano una giustificazione nello sciismo
(l'attivismo è giustificato dalla dottrina "comandare il bene e proibire il male" e dal diritto
riconosciuto agli ulema di farsi consiglieri spirituali di tutti i persiani in assenza dell'imām
occultato; il quietismo invece si spiega col fatto che gli sciiti, aspettandosi un mondo ingiusto e
speranzosi nella redenzione messianica, non sono portati a impegnarsi nella vita pubblica).
Non si può dire che la rivoluzione iraniana sia il frutto di un'intrinseca opposizione religiosa contro
l'autorità dello stato; occorre invece trattarla come una reazione a condizioni specifiche e cause
storiche (occupazione anglo-russa, concessioni a stranieri, riforma agraria maldestra, tensioni
economiche). Sia la rivoluzione costituzionalista del 1905-06 che la rivoluzione del 1979 sono
l'espressione non già di una costante ostilità, bensì di una ricorrente possibilità di confronto fra stato
e religione. La sua importanza è mondiale: per la prima volta, dei capi religiosi sono riusciti a
opporsi con successo a un regime modernizzato e dispotico, assumendo il controllo dello stato.
CAPITOLO II: LA DISSOLUZIONE
MODERNIZZAZIONE DELLA TURCHIA
DELL'IMPERO
OTTOMANO
E
LA
Vedi tesi sulla caduta dell'Impero ottomano.
2.1. Il crollo dell'Impero ottomano, avvenimenti principali.
1831  invasione della Siria da parte di Muhammad Ali, governatore d'Egitto.
1833  trattato di Unkiar Skelessi fra Impero ottomano e Russia: chiusura degli Stretti alle navi da
guerra in cambio dell'appoggio russo contro Ali.
1841  convenzione degli Stretti: no passaggio di navi da guerra negli Stretti in tempo di pace.
1853-56  guerra di Crimea: integrità Porta, neutralizzazione del Mar Nero, autonomia di
Valacchia e Moldavia, internazionalizzazione del Danubio.
1876  crisi d'Oriente e guerra turco-russa.
1877  trattato di Santo Stefano.
1878  congresso di Berlino: Romania, Serbia e Montenegro ufficialmente indipendenti; Bulgaria
autonoma tributaria di Istanbul; Bosnia e Sangiaccato amministrati da Austria.
1881  trattato del Bardo: protettorato francese in Tunisia.
1882  occupazione britannica dell'Egitto.
1908  annessione austriaca della Bosnia-Erzegovina.
1912-13  guerre balcaniche.
1916  accordi Sykes-Picot.
1917  accordi di San Giovanni di Moriana. Dichiarazione Balfour.
1920  mandato britannico in Palestina e mandato francese in Siria.
2.2. Le riforme ottomane. Nonostante l'enorme influenza delle potenze europee, il loro impatto
sull'evoluzione interna della società tardo ottomana e di quella turca emergente fu mediato dalle
élite ottomane e turche. A differenza degli altri imperi musulmani, gli Ottomani mantennero infatti
la loro sovranità e riuscirono a realizzare il loro programma di modernizzazione e riforma,
ispirandosi all'Occidente e venendo influenzati da esso culturalmente, economicamente e
diplomaticamente.
Principali riforme: Nizam-i Jedid ("nuova organizzazione") di Selim III (1789-1807); scioglimento
del corpo dei giannizzeri e indebolimento degli ulema (1826); abolizione monopoli statali e
riduzione dei dazi (1838); rescritto sultanale di Gulhane (1839); riorganizzazione economica e
produttiva (durante i Tanzimat, 1839-1876); creazione di un sistema postale e telegrafico (18341855); avvio costruzioni ferroviarie (1866); introduzione di tribunali di tipo occidentale (dal 1840);
nuovo codice civile, Mejelle (1870); prime scuole medie (1847); prima università (1870, poi
chiusa); rescritto imperiale (Hatt-i Humayun, 1856); riorganizzazione in senso laico delle comunità
non musulmane.
Pur non essendo penetrate profondamente nella società ottomana, né avendo influenzato il grosso
della popolazione, le Tanzimat determinarono però la formazione di una nuova classe, quella dei
memur (burocrati), occidentalizzati e occidentalizzanti, affermatisi grazie all'indebolimento degli
ulema e all'eliminazione dei giannizzeri: fu questa élite a guidare le riforme ottomane nella seconda
metà dell'Ottocento. Inizialmente fatte in modo agevole, a partire dal 1860 le riforme incontrarono
una certa opposizione, quella di una nuova intellighenzia rappresentata dai Giovani Ottomani,
favorevoli ad un regime costituzionale e alla fusione della tradizione islamica ottomana con il
riformismo modernizzante; essi erano di fatto dei musulmani modernisti, poiché affermavano che
l'Islam, se correttamente inteso, fosse compatibile con l'organizzazione moderna della società e con
il governo costituzionale: bisognava conciliare l'Islam con le esigenze della modernità.
Fautori del colpo di stato del 1876 con cui Abdul Hamid II fu portato al trono, i costituzionalisti
rimasero presto delusi dall'atteggiamento autoritario e conservatore del sultano, che presto finirono
per combattere, sviluppando un'opposizione soprattutto all'estero, che però prese la via del
nazionalismo turco al posto del modernismo musulmano: a Parigi, nel 1889, nacquero i Giovani
Turchi ("Società ottomana per l'unione e il progresso"), seguita poi dal Comitato per l'unione e il
progresso (CUP), fondato a Salonicco nel 1907, entrambi composti principalmente da giovani
quadri ufficiali. Dopo un periodo di lotte di potere tra il 1908 e il 1912, il CUP salì stabilmente al
potere, adottando un programma di laicizzazione delle scuole, dei tribunali e dei codici legali per
reagire all'impronta islamica del regno di Abdul Hamid. Il programma del CUP era ottomano e
laico, ma andava altresì accentuando l'orientamento turco: i capi del CUP cominciarono a pensare
all'Impero ottomano in termini di nazionalità turca e l'idea di nazione turca rafforzò le tendenze
favorevoli al secolarismo e alla modernità, poiché consentì ai turchi di separarsi dall'Islam senza
compromettere la loro identità non occidentale (il concetto di "turco" rese possibile definire una
nuova civiltà che incorporava l'identità storica del popolo turco senza essere musulmana ed era
moderna senza essere occidentale).
Dopo la guerra Mustafa Kemal mise in pratica i principi sviluppati dai Giovani Turchi, guidando
l'élite nazionale e mobilitando le masse turche nella lotta contro l'occupazione straniera e a sostegno
dell'idea nazionale: nel 1923, con il Trattato di Losanna, le potenze riconobbero l'indipendenza della
Turchia. La svolta verso la concezione di uno stato nazionale laico fu propiziata dall'incapacità dei
capi religiosi musulmani di esprimere e organizzare un'efficace opposizione politica musulmana,
soprattutto grazie all'eliminazione dei giannizzeri e all'indebolimento degli ulema nel 1826. Questi
ultimi continuarono ad appoggiare lo stato ottomano, a riconoscerne il potere, il carisma e il fascino
di stato guerriero difensore dell'Islam: il sultano era considerato ancora il capo religioso dei popoli
musulmani. Perché? Innanzitutto perché molti di loro capivano l'esigenza di conferire all'Islam
l'efficienza richiesta dal mondo moderno e, in secondo luogo, perché gli ulema più influenti erano
amici del sultano, frequentavano la corte e avevano un importante tornaconto finanziario.
La marcia verso la costruzione di uno stato laico e moderno fu agevolata anche dal fatto che le élite
militari e burocratiche musulmane non dovevano confrontarsi con una borghesia musulmana o con
una classe media mercantile, assenti a causa sia della sempre esistita preminenza dello stato sulla
società sia della penetrazione economica europea che aveva danneggiato le classi medie ottomane
(a partire dall'abolizione dei dazi nel 1838).
2.3. La Turchia repubblicana. Due tratti salienti della tradizione ottomana, il forte centralismo
statale e la leadership dei militari, furono trasmessi alla repubblica turca. La storia della Turchia può
essere divisa in due fasi:
1. 1921-1950  epoca della dittatura presidenziale, della riforma religiosa e
dell'industrializzazione incipiente;
2. 1950 - oggi  epoca del sistema multipartitico, della crescente differenziazione sociale, del
rapido cambiamento economico e della ripresa dei conflitti ideologici.
Il periodo kemalista ebbe inizio ne 1921 con la Legge fondamentale sull'organizzazione, che
proclamò la sovranità del popolo turco. Nel 1923 Kemal fu nominato presidente a vita della
repubblica, era capo del governo e leader del Partito repubblicano popolare; proprio il partito era il
principale strumento del regime nelle campagne, dove il governo instillava l'ideologia laica e
nazionalistica nelle popolazioni rurali. Mentre gli ulema e la nobiltà locale furono esclusi da potere
politico, a governare il paese fu un'élite urbana colta di burocrati e militari.
Gli obiettivi principali della Turchia kemalista erano lo sviluppo economico e la modernizzazione
culturale: nazionalizzazione di ferrovie e trasporti, controllo statale sull'economia, piani
quinquennali e rivoluzione culturale. Bisognava far sì che il popolo si allontanasse dall'Islam e si
accostasse invece a una maniera di vivere occidentale e laica: perciò il regime soppresse le
istituzioni organizzate dell'Islam, che venne così spogliato del suo carattere ufficiale e privato del
suo ruolo nella vita pubblica, mentre i comuni segni dell'affezione dei turchi per la cultura
tradizionale furono sostituiti da nuovi simboli dell'identità moderna. Importante fu anche
l'evoluzione, seppur timida, della condizione femminile, teorizzata da Ziya Gok Alp: abolizione
della poligamia (1924), parità dei sessi in fatto di divorzio, diritto di voto alle donne ed elezione di
donne al parlamento (1935).
Per quanto radicali fossero le sue politiche economiche e culturali, il regime kemalista non era
rivoluzionario. Le élite e le organizzazioni dominanti conservarono il potere, non si fece alcuno
sforzo per mobilitare i contadini e la rivoluzione culturale, calata dall'alto, non agì in profondità e
servì soprattutto a dividere il paese fra un'élite urbana modernizzata e le masse rurali fedeli
all'Islam. La Turchia divenne un regime autoritario che cercava di realizzare riforme economiche e
culturali radicali.
Nel 1938 morì Kemal e il regime continuò con Ismet Inönü. Dopo la seconda guerra mondiale e la
presenza degli Stati Uniti come garanti della sicurezza turca, si aprì una nuova epoca, segnata dalla
nascita di un sistema multipartitico. Dal 1950, quando le elezioni rilevarono un conflitto fra un
regime autoritario e centralizzato e un governo liberale e tollerante verso l'Islam, al 1960 governò il
Partito democratico di Bayar e Menderes. La collaborazione militare turco-americana portò alla
costruzione di strade, ferrovie, aeroporti e porti, ma crebbero inflazione, disavanzo commerciale e
debito pubblico. Il Partito democratico venne poi meno al credo kemalista laico, favorendo sia la
modernizzazione economia sia l'indulgenza nei confronti dell'Islam. Nel 1960 Menderes venne
rovesciato da un colpo di stato militare, lasciando il posto a un nuovo regime parlamentare: le
difficoltà economiche tuttavia continuarono, mentre nacquero nuovi partiti e si tornò ad un sistema
pluripartitico con l'ingresso di nuovi attori di varia estrazione sociale. Nel 1971 e nel 1980 ci furono
altri due colpi di stato militari, visto che i conflitti fra partiti si erano intensificati pericolosamente:
si era creata una società fortemente pluralistica che mancava di mezzi politici idonei a imprimere un
coerente orientamento economico e ideologico allo sviluppo del paese.
Ne frattempo, la tradizione urbana degli ulema era stata in gran parte distrutta ed essi non ebbero
più influenza sulla vita pubblica del paese: l'ideologia della Turchia era ed è laica e le classi
superiori colte delle città vedevano l'Islam come simbolo di arretratezza; la tradizione sufi
comunque sopravvisse nel mondo rurale e il sentimento di appartenenza all'Islam della gente
comune non è mai stato seriamente scosso. Le tensioni politiche ed economiche diedero infatti vita
a movimenti impegnai a re-islamizzare stato e società, come quello di Said Nursi, autore dell'
"Epistola della luce", o il Partito di salvezza nazionale, favorevole alla costituzione di uno stato
islamico in Turchia. Ad ogni modo, questa rinascita dell'attivismo islamico rimase circoscritta a una
minoranza.
Lo scenario era molto complesso: al tradizionale problema del ruolo dell'Islam nella società politica
si sono aggiunte le contrapposizioni fra gli interessi del centro e quelli delle province, fra le
direzioni aziendali e gli operai, fra il blocco militare-burocratico e l'imprenditoria privata. In
Turchia la rinascita islamica è soltanto uno tra molti movimenti ideologici, in una società
caratterizzata da un alto grado di pluralismo e cambiamento. La contrapposizione fra laicismo e
Islam dunque non è che uno fra i tanti problemi turchi. In definitiva, la moderna Turchia, che fu
preparata da riforme già avviate nell'Impero ottomano, possiede una società nazionale fortemente
pluralistica e secolarizzata, dove l'Islam conserva un profondo significato religioso per gran parte
della popolazione turca, ma ha uno spazio molto limitato nella vita pubblica.
CAPITOLO III: EGITTO: LAICISMO E MODERNITA' ISLAMICA
La storia dell'Egitto è simile a quella della Turchia, con alcune importanti differenze. Prima fra
tutte, la dominazione inglese ha impedito il consolidamento di un'élite militare e amministrativa
egiziana, con la conseguenza che alla guida del movimento per l'indipendenza nazionale si pose
un'elite subalterna di proprietari terrieri, funzionari, mercanti ed elementi dell'intellighenzia. Le élite
liberali furono col venire estromesse dal potere e sostituite da una nuova generazione di ufficiali
arabi nazionalisti che istituirono un regime militare e socialista.
3.1. Muhammad 'Ali e Isma'il. Durante il periodo della sovranità ottomana l'Egitto fu di fatto
governato da fazioni militari locali di Mamelucchi. Dopo l'invasione napoleonica del 1798, nel
1805 divenne governatore Muhammad 'Ali, lo stesso che nel 1831 invase la Siria andando in guerra
contro il suo stesso impero. Il suo fu un regime militare aggressivo, ma riformatore in campo
interno: nuovo esercito (reclutamento di contadini egiziani locali), nuovo sistema fiscale,
eliminazione delle opposizioni, demolizione del potere degli ulema, controllo dello stato
sull'economia. Il suo successore, Isma'il, fece progredire ulteriormente il paese: sviluppo economico
e tecnico, creazione di istituzioni giuridiche e culturali simili a quelle occidentali. Questa
riorganizzazione ebbe l'effetto di distruggere il vecchio ordinamento sociale, travolto da un
sommovimento ancora più profondo di quello che ebbe luogo nel resto dell'Impero ottomano.
Nacque così una nuova élite di proprietari terrieri e le famiglie egiziane divennero potenti
nell'esercito e nella pubblica amministrazione: mercanti, usurai, capi-villaggio e funzionari
governativi gestivano ora la maggior parte dei terreni. Fu da questa nuova classe di proprietari
terrieri che provennero i burocrati e gli ufficiali dell'esercito che formarono la nuova élite
dominante. Nello stesso tempo, il nuovo sistema economico distrusse l'economia di villaggio, le cui
istituzioni collettive furono sostituite dai controlli statali e dalla proprietà privata. La nuova
economia favorì poi lo sviluppo del controllo statale e dell'individualismo al posto delle strutture
corporative. Analoga trasformazione subì la posizione delle élite religiose: Muhammad 'Ali, in
cambio del loro appoggio, accettò di consultarli a proposito degli affari politici e consentì loro di
arricchirsi; tuttavia, una volta consolidato il suo potere, il governatore sottomise gli ulema al regime
ed essi persero la loro capacità di influenzare la politica dello stato, venendo sostituiti da nuove élite
di militari e burocrati. I poteri dei sufi furono parimenti circoscritti e Muhammad 'Ali li assoggettò
all'autorità dello stato.
3.2. La dominazione inglese. La subordinazione degli ulema e l'ascesa di una nuova élite agraria,
mercantile e intellettuale prepararono il terreno altri, radicali cambiamenti nella società. Prima
ancora che queste nuove élite potessero far sentire la loro influenza, la Gran Bretagna, sconfiggendo
i ribelli di Arabi Pascià, pose l'Egitto sotto il suo diretto controllo nel 1882, avendo l'esigenza di
consolidare il proprio impero in India (prima, nel 1875, la bancarotta dell'Egitto era sfociata nella
creazione di un'amministrazione anglo-francese del debito pubblico). Fino alla fine della prima
guerra mondiale gli inglesi avrebbero amministrato l'economia egiziana in modo efficiente ma
secondo i loro interessi imperiali, così lo sviluppo economico favorì la concentrazione del surplus
nelle mani dei grandi proprietari terrieri. L'industrializzazione invece fu impedita da molteplici
fattori: l'interesse degli inglesi a scoraggiare la concorrenza, la scarsa propensione dei proprietari
terrieri a investire e mancanza di risorse naturali. Sotto la dominazione inglese la nuova élite
egiziana continuò la resistenza, esprimendosi attraverso il modernismo islamico e il nazionalismo
egiziano, i cui principali esponenti del primo furono Giamal al-Din al Afghani e il suo discepolo
Muhammad 'Abduh: gli egiziani, come i turchi, definirono prima la concezione islamico-modernista
e poi quella laica in una società nazionale indipendente.
Il modernismo islamico e la riforma religiosa divennero le parole d'ordine dell'intellighenzia
egiziana nel periodo compreso fra la rivolta di Arabi Pascià nel 1879-81 e la fine del secolo. Scopo
principale del movimento islamico era la rinascita politica: mentre al-Afghani aveva privilegiato
l'esigenza pragmatica di una solidarietà islamica, 'Abduh perseguì gli stessi obiettivi puntando sulla
riforma scolastica, giudiziaria e spirituale. In Egitto però, come in Turchia, il modernismo islamico
e la riforma teorizzati da loro furono superati da una concezione nazionalistica dell'identità egiziana
e della politica più laica: l'intellighenzia nazionalista vide i suoi più alti rappresentanti in Mustafa
Kamil, Lutfi al-Sayyid e Sa'd Zaghlul. L'omogeneità e l'isolamento del paese, la sua lunga
tradizione di governo centrale e il suo particolare passato culturale favorirono la nascita di una
coscienza dell'identità egiziana (in Egitto più che in qualsiasi altro paese musulmano, l'identità
nazionale è fondamentale) e lo sviluppo di un intenso nazionalismo basato sulle idee di nazione
unificata, spirito patriottico, odio per la dominazione straniera e società laica e costituzionale.
Il movimento nazionale ebbe inizio sulla stampa, ma fu la formazione del Partito nazionale nel 1907
che gli diede una vera forma politica. La prima guerra mondiale rinsaldò la determinazione di
ottenere l'indipendenza e, dopo tre anni di lotta delle masse, nel 1922 gli inglesi furono costretti ad
abolire il protettorato, rendendo l'Egitto uno stato semindipendente, guidato da un'intellighenzia
occidentalizzata e da un regime costituzionale liberale (ebbe un regime nazionale laico come la
Turchia, ma rimase in parte dipendente) dominato politicamente dal partito Wafd. Tuttavia, mentre
l'élite turca di militari e burocrati era stata in grado di organizzare uno stato solido con le armi,
quella egiziana composta da proprietari terrieri, giornalisti e politici era in grado di organizzarne
uno politicamente, ma non anche militarmente nella lotta per l'indipendenza.
I problemi di fondo dunque rimanevano anche per il regime nazionale laico, che sarebbe durato fino
al 1952 sotto forma di monarchia costituzionale: indipendenza totale, migliorare il tenore di vita,
avviare lo sviluppo economico e darsi un'identità culturale e ideologica moderna. Fra il 1922 e il
1952, il regime non riuscì però a far fronte a questi problemi, soprattutto a quelli economici:
nonostante un buono sviluppo delle industrie per la produzione dei beni di consumo, la crescita
della popolazione aumentò di molto aumentando il tasso di povertà e solo una parte molto piccola di
essa traeva beneficio dal progresso economico. Anche in campo culturale ci furono molte difficoltà:
nonostante l'intellighenzia egiziana fosse nazionalista, laica, modernista, liberale e
occidentalizzante, mentre i governanti turchi procedettero ad attuare un programma di
modernizzazione, quelli egiziani non poterono farlo perché mancavano del pieno potere politico e
dell'unità ed inoltre erano sempre più delusi dall'Europa bellicosa del tempo. Così, a partire dagli
anni '30-'40 si incominciò ad abbandonare l'orientamento laico e occidentalizzante, che fu sostituito
dalla rinascita dell'affezione popolare per l'Islam: questa rinascita tuttavia non si dovette agli ulema
e ai sufi, ormai poco influenti, quanto a una nuova generazione di predicatori e insegnanti
musulmani, che operò per insegnare la morale e l'etica islamica, rafforzare i legami di fratellanza fra
musulmani e restaurare la legge religiosa insieme alla supremazia dell'Islam nella società. Il più
importante fra i movimenti musulmani fu quello dei Fratelli Musulmani, fondato nel 1928 da Hasan
al-Banna, predicante la restaurazione dei principi islamici, il ritorno al Corano e la devozione
islamica. In Egitto i Fratelli si allearono con i movimenti giovanili islamici formando una concreta
opposizione all'occupazione inglese e al regime nazionale: essi chiedevano la costituzione di un
governo islamico basato sulla consultazione degli ulema impegnato ad applicare la Sharia,
proponendo di regolare l'economia secondo una combinazione di principi islamici e socialisti. Di
fronte a questa rinascita dell'Islam popolare, l'intellighenzia laica dovette scendere a compromessi,
legittimando la rinascita e senza riuscire, come i turchi, ad orientare le tematiche culturali nazionali.
3.3. L'indipendenza da Londra e il colpo militare. Il problema della conquista dell'indipendenza
era il più pressante e fu complicato dalla triplice divisione del potere fra il re, i partiti politici e gli
inglesi, i quali, al fine di destabilizzare il paese e mantenerne il controllo, si servivano del loro
potere per fomentare le rivalità fra il re e i partiti e sfruttarle a loro vantaggio.
Nel 1936 comunque si concluse un trattato che dava all'Egitto l'indipendenza tanto ambita, seppur
con qualche riserva: Londra manteneva importanti canali privilegiati in ambito commerciale e
soprattutto continuava ad occupare militarmente la zona del canale di Suez. Gli strascichi della
seconda guerra mondiale, durante la quale l'occupazione inglese era divenuta più oppressiva e
presente, e la sconfitta nella guerra fra Israele e Palestina del 1948 misero in crisi il regime. Nel
1950, dopo la guerra, l'Egitto abrogò poi il trattato, avviando una guerriglia contro l'occupazione
inglese nella zona del canale, che sfociò in sommosse nel gennaio e, infine, nel luglio 1952, in un
colpo di stato militare che pose fine alla monarchia e al regime parlamentare nel 1953. L'Inghilterra
evacuò il canale, concedendo così la piena indipendenza de facto all'Egitto, divenuto ora un regime
presidenziale a partito unico gestito dai Liberi Ufficiali (Muhammad Nagib, Giamal 'Abd al-Nasser
e Anwar Sadat) e da una nuova élite politica di ufficiali e burocrati, i cui valori furono socialismo,
antimperialismo e panarabismo. Sotto Nasser, l'Egitto assunse il ruolo di guida nella lotta dei paesi
arabi contro l'imperialismo e il sionismo: la crisi di Suez, l'adesione al neutralismo, la diffidenza nei
confronti di Usa e Gran Bretagna, gli acquisti di armi dalla Cecoslovacchia sovietica e il fatto che il
regime fosse sopravvissuto all'attacco anglo-francese-israeliano nel 1956 fecero di Nasser il leader
supremo del mondo arabo, malgrado il fallimento del progetto di unione con la Siria (1958-61).
Negli affari interni, la figura dominante era quella del presidente, il cui potere poggiava
sull'esercito, sulla burocrazia e sulle sue capacità di dirigente politico in grado di mobilitare il paese.
Nell'intento di avviare un'economia socialista, Nasser puntò molto sul settore agricolo: per spezzare
la spirale dell'impoverimento, il governo cercò di industrializzare il paese poggiandosi sull'aumento
produttivo in campo agricolo, appropriandosi del surplus ed eliminando le vecchie classi dirigenti
(il partito Wafd fu eliminato, i Fratelli Musulmani schiacciati e i proprietari terrieri danneggiati).
L'industrializzazione passò per l'introduzione di elementi di controllo statale dell'economia
(nazionalizzazione di molte aziende e banche). Il regime si aspettava che l'economia socializzata
soddisfacesse le esigenze dello sviluppo liberando gli egiziani dal controllo economico straniero e
generando occupazione ed esportazioni, ma l'economia continuava a stentare.
La sconfitta nella guerra dei sei giorni del 1967 e le difficoltà economiche fecero di nuovo traballare
il regime laico di Nasser, morto nel 1970, favorendo ancora la rinascita di un forte sentimento
islamico. Nel 1973, il buon comportamento dell'esercito nella guerra dello Yom Kippur e l'alleanza
di Sadat con gli Stati Uniti permisero un riavvicinamento alla cultura occidentale; grazie a questo
rapporto con gli Usa, Sadat incoraggiò l'investimento privato, aprendo le porte all'investimento
estero.
Riguardo al rapporto con la religione, il regime di Nasser e Sadat cercò di sottoporre le attività
religiose islamiche al controllo statale e, nonostante si continuasse ad applicare la Sharia, lo stato
creò nuovi codici per controllare la giustizia. Lo sforzo statale di controllare la vita religiosa riuscì
solo in parte, perché nel paese il sentimento musulmano rimase forte ed indipendente dall'autorità
statale: mentre gli ulema rimasero effettivamente controllati dallo stato, predicatori e insegnanti
poterono agire liberamente tra la popolazione. Gli anni '70 furono luogo di una ripresa dell'Islam
soprattutto tra gli studenti della classe media e i giovani professionisti, favorito anche dal
contemporaneo successo del regime islamico dell'Arabia Saudita. Insegnamenti di maestri come
Sayyid Qutb e Shukri Mustafà, capo del movimento Jama'at al-Muslimin (represso nel 1978 con
l'esecuzione di Shukri), diffusero idee di lotta diretta contro lo stato, nonostante Sadat facesse
propria la retorica dell'Islam per avere l'appoggio popolare: l'Egitto viveva secondo jahiliya, quindi
bisognava proclamare il jihad e riconvertire il paese all'Islam. Queste idee sfociarono in violente
sommosse che, nel 1981, portarono all'assassinio dello stesso Sadat da parte del movimento alJihad, poiché aveva colpito duramente tutte le organizzazioni musulmane con arresti di massa. Gli
assassini di Sadat, succeduto da Hosni Mubarak, proclamavano che il governo egiziano era
illegittimo poiché non applicava la legge musulmana, era retto da apostati tiranni ed era alleato a
sionisti, comunisti e imperialisti; dopo l'assassinio comunque, il movimento islamista non ebbe il
sostegno popolare e l'esercito represse le sommosse. Una base più vasta, seppur con limitato seguito
popolare, la ebbero invece le Jama'at al-Islamiya, organizzazioni islamiste studentesche che
volevano l'instaurazione di un califfato restaurato. I circoli si occupavano di tutto, dalla politica alla
moralità, ed ebbero molto successo tra gli studenti che vivevano in grande povertà e
sovraffollamento, disoccupati e senza posto nella società del Cairo, relegati in quartieri periferici
malandati, che presto adottarono i costumi del tradizionalismo islamico come il velo integrale (il
risveglio islamico fu quindi anche un meccanismo di adattamento degli studenti musulmani alla
complessità dell'ambiente urbano): dopo le sommosse del 1981 furono sciolti.
A differenza di quanto accadde in Turchia, il Egitto l'Islam rimane il principale canale di resistenza
allo stato e alle sue politiche. Le strutture fondamentali della società egiziana sono simili a quelle
della società turca, ma, a causa del limitato potere dell'élite politica egiziana e della minore
differenziazione sociale ed economica, persiste un tenace conflitto fra l'élite statale laicizzata e la
piccola borghesia e gli studenti che le si oppongono in nome dell'Islam.
CAPITOLO IV: IL MEDIO ORIENTE ARABO: ARABISMO, STATI MILITARI E ISLAM
4.1. I notabili e la nascita del nazionalismo arabo. L'attuale sistema di stati arabi e il movimento
nazionale arabo ebbero origine dal sistema ottomano del XIX secolo e dalle influenze esercitate
dall'Europa sulla Mezzaluna Fertile. Gli Ottomani avevano governato la regione come un insieme di
piccole province separate, senza creare particolari unità di governo territoriali che corrispondessero
ai "sub-stati" ottomani di Egitto, Tunisia o Algeria.
Il nazionalismo arabo ebbe la sua culla in Libano, dove la modernizzazione e la formazione di una
nuova coscienza politica furono influenzate direttamente dalla penetrazione commerciale, politica e
culturale dell'Europa. Dalla metà del XIX secolo infatti, le potenze europee erano diventate le
garanti della sicurezza del Libano, regione che proprio grazie agli scambi con l'Occidente era
divenuta molto florida, nonostante fosse in quegli anni in condizioni di guerra civile quasi perenne
Tra il 1825 e il 1860 scoppiarono diverse tensione nel paese (risveglio della chiesa maronita contro i
signori feudali, conflitti ripetuti fra maroniti cristiani e drusi islamici), fino a quando, con i
Regolamenti del 1861, le potenze europee intervennero costringendo il governo ottomano a sancire
la supremazia dei cristiani: il capo del governo (mutassarif) doveva essere cristiano, mentre il
consiglio di governo avrebbe rappresentato le altre comunità religiose. Il Libano divenne una
provincia ottomana privilegiata, la cui sicurezza era garantita dalle potenze europee, la cui influenza
sul commercio e sulla politica del paese fu accompagnata da interventi diretti nell'ambito
dell'istruzione, che contribuirono a costituire una nuova intellighenzia letteraria occidentalizzante
(Nasif Yaziji, Butrus Bustani). Sul finire del secolo la rinascita intellettuale era sfociata in
agitazione politica, basata su un forte sentimento di ostilità verso i turchi e di superiorità dei popoli
arabi nei confronti delle popolazioni turche: Al-Kawakibi fu uno dei primi scrittori ad affermare che
gli arabi dovevano strappare ai turchi corrotti la guida del mondo musulmano; più moderati erano
gli scrittori cristiani arabi, che accarezzavano l'idea della secessione dall'Impero ottomano e della
formazione di un nuovo stato arabo laico in cui cristiani e arabi potessero convivere.
In Siria invece il nazionalismo arabo attecchì in un momento successivo, principalmente fra i
notabili musulmani di Damasco e come frutto del desiderio di affrancarsi non tanto dall'influenza
commerciale e politica europea quanto dagli stessi meccanismi dell'Impero ottomano. Durante
l'occupazione della Siria (1831-39), gli egiziani cercarono di sopprimere l'indipendenza locale,
imponendo un'amministrazione accentrata e promuovendo lo sviluppo economico, cosa che fecero
anche gli ottomani quando tornarono padroni della Siria nel 1841, eliminando i notabili intermedi e
mobilitando le masse a favore dello stato: di qui nacque l'ostilità dei notabili damasceni per le
riforme ottomane. Anche l'atteggiamento del Comitato per l'Unione e il Progresso (CUP), salito al
potere nel 1908, non piacque ai notabili, poiché il CUP puntava ad accentrare il potere ottomano in
mani turche. Ecco che quindi l'arabismo divenne l'ideologia dei notabili di Damasco, degli ufficiali,
degli avvocati e degli ulema non integrati nel governo.
Il terzo filone del nazionalismo arabo si sviluppò in Arabia, sotto la guida dello sceriffo della
Mecca Husayn. Egli, sperando che gli inglesi lo avrebbero aiutato a rovesciare gli ottomani e a
divenire re di un grande stato arabo, concluse un accordo con Londra tra il 1915 e il 1916:
purtroppo però le promesse britanniche furono presto sconfessate dagli Accordi Sykes-Picot del
1916 e dalla Conferenza di San Remo del 1920, che sancirono la divisione della Mezzaluna Fertile
tra Francia (Siria e Libano) e Gran Bretagna (Palestina, Iraq e Transgiordania).
Perciò, a differenza di quanto accadde in Turchia e in Egitto, nella Mezzaluna Fertile furono
l'Inghilterra e la Francia, invece delle élite locali, che decisero a proprio piacimento la formazione
degli stati arabi. Era difficile immaginare una resistenza dei popoli arabi, il cui movimento
nazionale era troppo debole e diviso per influenzare la sorte della regione.
4.2. L'arabismo nel periodo coloniale. Nel periodo dei mandati ogni paese era controllato da una
potenza straniera alleata a un'élite politica interna conservatrice e la rivendicazione
dell'indipendenza, obiettivo di lungo termine di tutte le élite, trovò la sua massima espressione nel
nazionalismo arabo. Sulle prime l'idea dell'arabismo fu strettamente associata all'autonomia
nell'ambito dell'Impero ottomano e alla rinascita di una classe dirigente araba, nella prospettiva di
un nuovo califfato che avrebbe guidato una società araba risorta. Influenzata dall'orientamento laico
dell'élite formatasi nelle scuole professionali ottomane, dall'ascendente degli alleati nazionalisti
cristiani e dalle inevitabili conseguenze della dissoluzione della Porta e dell'abolizione del califfato,
la dottrina arabista accentuò i propri aspetti laici.
Molti teorici, come Sati al-Husri, cercarono di dimostrare che i popoli arabi potevano superare la
divisione fra di loro e giungere ad un'unità; Michel Aflaq parlava del nazionalismo come
"qawmiya" ("appartenente a un gruppo"): è solo attraverso la nazione che l'individuo può
conseguire l'autentica libertà ed elevarsi a una forma di esistenza superiore.
In ogni paese, all'élite nazionale conservatrice si contrapponeva la generazione più giovane
dell'intellighenzia, istituita in modo moderno, composta da soldati, tecnocrati e intellettuali,
evidentemente influenzati dagli influssi culturali occidentali: l'avvento del pensiero occidentale
permise a questi giovani di acquisire nuove armi culturali per costruire le proprie teorie
nazionalistiche. L'élite della nuova generazione era determinata a porsi alla guida dello stato in
nome delle riforme interne, dell'anticolonialismo e del nazionalismo arabo.
In Siria scoppiò un vero e proprio conflitto generazionale e ideologico fra giovani e conservatori:
qui, l'amministrazione francese tracciò i lineamenti di uno stato siriano moderno, ma, nell'intento di
accrescere gli ostacoli che si frapponevano alla formazione di una società nazionale compatta,
capace di gestire un regime indipendente, acuì le divisioni etniche e religiose del paese.
L'espressione più importante della nuova generazione fu il partito Baath (partito socialista arabo),
fondato negli anni '40 da Michel Aflaq e Salah al-Din Bitar, che elaborarono una teoria dell'unità,
della giustizia sociale, della democrazia e della libertà dei popoli arabi. Il conflitto fra la vecchia
generazione e la nuova élite di ufficiali entrò nel vivo alla fine degli anni '40, dopo l'indipendenza
siriana del 1947: il nuovo regime fu sconvolto da una serie di colpi di stato che permisero il
passaggio del potere dalla vecchia generazione a quella nuova.
In Iraq, nell'Ottocento gli ottomani avevano avviato un processo di ridimensionamento del potere
dei capi tribali e di sviluppo della proprietà terriera privata (codice fondiario nel 1858), continuato
dagli inglesi che, dal 1917, governarono l'Iraq come l'India. Nel 1921, dopo una rivolta, gli inglesi
permisero la costituzione di una monarchia con a capo Faysal, figlio di Husayn, mentre nel 1930 un
nuovo accordo diede la formale indipendenza all'Iraq, seppur con affari esteri e militari controllati
da Londra. I governanti inglesi contribuirono a creare l'infrastruttura di uno stato moderno, ma
l'élite che governava il paese era fortemente divisa: negli anni '30 e '40 si verificarono una serie di
colpi di stato militari e lotte fra la fazione filo-britannica e quella filotedesca; fino al 1958 fu Faysal
II a governare, insieme al suo primo ministro Nuri al-Sa'id, filo-statunitense, e a una cerchia di
proprietari terrieri: nel nome del nazionalismo arabo questa élite, di estrazione prevalentemente
sunnita, governava un popolo per metà sciita e per metà curdo. Nel 1958 ci fu un colpo di stato
condotto dai vertici dell'esercito, che rovesciarono la monarchia e assassinarono Nuri e il re: questi
ufficiali facevano parte di una nuova generazione venuta alla ribalta in seguito allo sviluppo
economico post-bellico.
La Transgiordania doveva, in origine, far parte della Palestina, ma nel 1922 gli inglesi
consentirono all'emiro 'Abdallah, fratello di Faysal, di formare un governo, sottraendo così la
regione all'area su cui la dichiarazione Balfour aveva promesso di costruire un focolare nazionale
ebraico. Un trattato del 1928 istituì una monarchia costituzionale, una legislatura e dei partiti
politici, ma riservò all'Inghilterra la potestà sulla politica estera e sull'esercito. Nel 1946 la
Transgiordania divenne indipendente e fra il 1948 e il 1950, in seguito alla guerra arabo-israeliana,
assorbì alcune parti della Palestina, venendo riorganizzata come Regno di Giordania, governato da
un re e da un'élite composta da ufficiali inglesi, funzionari arabi palestinesi, personale di palazzo
circasso e capi religiosi musulmani. A differenza di quanto accadde in Iraq, l'influenza dei capi
tribali in Transgiordania si ridusse rapidamente, mentre la classe media colta divenne, come altrove,
un elemento di opposizione all'élite di governo: mentre l'esercito rimaneva fedele allo stato,
l'opposizione fu costruita sull'intellighenzia e sui palestinesi.
In Libano invece ci fu una lotta, più che tra le varie generazione o fra le élite, tra le varie comunità
confessionali musulmane e cristiane. I francesi non crearono uno stato esclusivamente cristiano, ma
aggiunsero alla vecchia provincia libanese nuovi territori (Tripoli, Sidone) per accrescere la
superficie del paese e la proporzione di musulmani. Inizialmente governato da un governatore
francese, nel 1926 il Libano ebbe una nuova costituzione che garantiva una lieve maggioranza
politica ai cristiani in parlamento, distribuendo il potere fra i gruppi religiosi (presidente maronita,
premier sunnita e capo del parlamento sciita): le istituzioni statali erano concepite in modo tale da
rafforzare le divisioni settarie, anziché unificare la società libanese. I partiti politici erano
espressione di clan, comunità e caporioni e il sistema si basava su una fitta rete di clientele: il
popolo era indotto a identificarsi con i capi delle clientele, anziché con lo stato. Fu così che il paese
fu governato fino al 1945 sulla base di un compromesso fra i caporioni delle sette e delle comunità
locali; anche dopo la guerra tuttavia, il nuovo regime indipendente dalla Francia continuò a basarsi
sugli equilibri di potere fra le comunità confessionali, venendo governato da governi di coalizione
misti.
4.3. La lotta per l'unità araba e gli stati odierni della Mezzaluna Fertile. Gli stati arabi avevano
molteplici problemi: su tutti, in ciascuno di essi si sviluppò la lotta per il potere fra le élite di
militari, proprietari terrieri e mercanti della generazione precedente e l'intellighenzia espressa dai
militari e dai tecnici della generazione successiva, situazione aggravata dalla guerra israelopalestinese del 1948 e dalla guerra fredda. Queste tensioni causarono colpi di stato militari a catena
in Siria fra il 1947 e il 1963, e quello iracheno del 1958, mentre il Libano e Giordania ci furono
guerre civili.
Abbandonato nel primo dopoguerra, il nazionalismo arabo fu ripreso alla fine degli anni '30
dall'esplosione della rivolta contadina palestinese contro la colonizzazione ebraica e il governo
inglese. Nel 1945 fu fondata la Lega degli stati arabi fra Siria, Egitto, Iraq e Transgiordania, che
però si sciolse subito nel 1948 dopo il fallimento della guerra contro Israele. La causa araba sarebbe
stata ripresa negli anni '50, soprattutto da Nasser in Egitto e grazie al successo del partito Baath in
Siria, mentre la Turchia e l'Iraq, finiti sotto l'influenza statunitense dopo la guerra, furono coinvolti
nel Patto di Baghdad del 1955, pensato da Washington per creare un'organizzazione araba sotto il
suo controllo: Egitto e Siria ottennero dall'Urss delle garanzie circa la loro sicurezza. In Libano e in
Giordania l'intervento americano e inglese aiutò a sconfiggere l'opposizione e mantenne l'integrità
dei regimi esistenti, mentre Egitto, Siria e Iraq furono sconvolti da colpi di stato (1952, 1963, 19581963-19689: in tutti questi paesi la nuova forza dominante fu un'élite militare, antimperialista,
antisraeliana e neutralista, legittimata dalla solenne adesione alla causa dell'indipendenza nazionale
araba e ai principi della modernizzazione economica diretta dallo stato. Purtroppo però, le continue
rivalità fra Siria, Egitto e Iraq impedirono l'unificazione araba e la sconfitta nella guerra del 1967 fu
un duro colpo al movimento nazionalista arabo.
In Siria, negli anni '50 il partito Baath giunse al potere tramite colpi di stato ed elezioni, estendo il
suo controllo sul paese e adottando un programma economico socialista, continuato poi dal regime
militare. Il fallimento dell'unione con l'Egitto nel 1958-61 però permise all'esercito di prendere il
potere nel 1963: si avviò così un regime militare capeggiato dagli alawiti, minoranza sciita di cui fa
parte l'attuale presidente Assad, il cui padre salì al potere con un colpo di mano nel 1970 (tutti i
colpi di stato furono all'interno del partito Baath, che resta tuttora il partito di maggioranza di
Assad); il regime tentò di superare l'intrinseca divisione del paese in fazioni attuando una politica di
controllo accentrato e di sviluppo socializzato dell'agricoltura e dell'industria. Il regime siriano, che
continua comunque ad essere diviso in fazioni, ha una forte connotazione personale, faziosa e
settaria e la minoranza sciita alawita continua a governare un paese che è in maggioranza sunnita,
causando contrasti che hanno condotto alla guerra civile odierna (ci furono già lotte armate negli
anni Settanta e Ottanta fra governo e partito sunnita dei Fratelli Musulmani).
Anche in Iraq il vecchio regime fu rovesciato in nome del nazionalismo panarabo e delle riforme
interne. Nel luglio 1958 il re Faysal II e il suo primo ministro furono trucidati da un gruppo di
ufficiali guidato da 'Abd al-Karim Qassim, che creò ben presto una dittatura militare basata
sull'appoggio di un forte Partito comunista e ostile ai gruppi di opposizione. Nel 1963 il regime fu
però rovesciato da un colpo di stato del partito Baath iracheno, attuato anch'esso in nome dell'unità
araba, che avviò in Iraq un corso socialista continuato poi da Saddam Hussein, salito al potere nel
1968 insieme ad Ahmad Hassan con un colpo di stato militare. Il regime iracheno poggiava
sull'esercito e sul sostegno accordato da burocrati e tecnocrati. L'élite al potere rappresentava
sostanzialmente la popolazione sunnita del'Iraq nordoccidentale e governava richiamandosi agli
ideali nazionalisti arabi: essa però non rappresentava la maggioranza sciita della popolazione e la
consistente componente curda. Le mire espansionistiche di Saddam svanirono nel 1988 con la fine
della guerra contro l'Iran iniziata nel 1981 per sancire la propria supremazia nel Golfo e nel mondo
arabo in generale.
Mentre i regimi militar-socialisti hanno assunto il potere in Egitto, Siria e Iraq, in Giordania
l'opposizione è stata sconfitta nel 1958 con l'aiuto britannico e la Giordania rimane tuttora uno stato
conservatore, dipendente dall'Inghilterra, dagli Stati Uniti e dai paesi arabi conservatori del Golfo,
appoggiandosi su un'élite militare e burocratica.
A differenza degli altri paesi, dove i regimi statali si sono consolidati, il Libano si è disintegrato
nella guerra civile. Il problema era che il paese era dominato politicamente dai cristiani, pur essendo
in maggioranza musulmano; inoltre, c'erano conflitti riguardo la questione palestinese: ospitare o
meno l'OLP, rischiando di far scoppiare un conflitto con Israele? Nel 1975, in mancanza di
compromessi, scoppiò la guerra civile fra due fazioni:
 Falange (destra nazionalista) - gruppi maroniti - parte di sciiti liberali e favorevoli al non
conflitto con Israele;
 Partito socialista progressista (prevalentemente druso) - Partito nazionalista sociale siriano Partito comunista - raggruppamenti palestinesi.
Con il Libano diviso, Siria e Israele intervennero per manovrare la lotta interna. Nel 1976 l'esercito
siriano intervenne per impedire una vittoria palestinese che avrebbe potuto compromettere i rapporti
della Siria con Israele, mentre nel 1978 Israele intervenne nel sud del paese per sostenere i gruppi
cristiani e separatisti (operazione Litani), impedendo il consolidamento dei palestinesi lungo il
confine. Nel 1982 infine, Israele invase il Libano (operazione Pace in Galilea) nel tentativo di
distruggere la base politica dell'OLP e imporre un regime libanese cristiano favorevole ai suoi
interessi a Beirut (in ciò l'elezione alla presidenza del falangista Bashir Gemayel avrebbe dovuto
aiutarli, ma egli fu ucciso nel 1982 da un attentato organizzato dai siriani). Intanto, a seguito
dell’invasione israeliana del 1982, l'Iran, con l'accordo e l'aiuto dei siriani, inviò
molti Pasdaran (Guardiani della Rivoluzione khomeinista) per addestrare alla guerra la comunità
musulmana sciita. Fece così la comparsa sulla scena libanese una nuova variante: Hezbollah, cioè il
"Partito di Dio", composto da musulmani sciiti. L'escalation di violenza costrinse le potenze
straniere ad intervenire con una missione di pace (Italcon): tuttavia, dopo una serie di attentati, le
truppe americane, francesi e italiane si ritirarono nel 1984, lasciando il Libano in una situazione
precaria: nel 1985 Israele si ritirò.
4.4. Il movimento palestinese. La Palestina è l'unica parte della Mezzaluna Fertile che non sia
diventata uno stato arabo. L'idea di un movimento sionista fu lanciata dalla pubblicazione, nel 1896,
del libro di Theodor Herzl "Lo Stato ebraico": il sionismo intendeva trasformare una comunità
religiosa in una nazione che avesse come elementi costitutivi una storia e una cultura comuni, cui
necessitava un territorio in cui stabilirsi.
Il caso ebraico era complicato dal fatto che gli ebrei intendevano insediare il loro focolare nazionale
in un territorio in cui essi non erano che un'esigua minoranza in seno a una popolazione arabopalestinese; ciononostante, gli inglesi rilasciarono lo stesso la dichiarazione Balfour nel 1917.
All'inizio del loro mandato in Palestina, gli inglesi consentirono l'immigrazione degli ebrei,
permettendogli di acquistare terre e di organizzare le loro istituzioni politiche: sotto il governo
britannico la comunità ebraica crebbe molto.
Contemporaneamente, si sviluppò anche il movimento palestinese in opposizione all'occupazione
britannica e alla colonizzazione ebraica. La comunità araba era profondamente divisa in molti clan e
sottoclan: dotati di una forte identificazione con il clan e la religione, i palestinesi avevano scarso
senso della comunità nazionale e ben poche possibilità di organizzare un movimenti nazionale.
Negli anni '20 la coscienza politica dei palestinesi fu coltivata da un'élite araba che cercava di
costruire una resistenza di massa contro il sionismo, formata da due componenti: i nazionalisti,
fondatori del Comitato esecutivo arabo, e i musulmani, guidati principalmente da personalità come
al-Hajj Muhammad Amin al-Husayni, capo del Consiglio musulmano supremo e mufti di
Gerusalemme, autore di varie sommosse e dimostrazione per fare della Palestina una causa
panislamica (denunciava il pericolo del sionismo); in opposizione ad Husayni c'era la famiglia
Nashashibi, alleata con proprietari terrieri e mercanti, che diede vita al Partito nazionale nel 1923,
che rivendicava la guida del movimento arabo palestinese. Le contrapposizione tra le fazioni
generarono aspre rivalità e resero impossibile un'azione coordinata. Inoltre, erano presenti molte
rivalità fra arabi musulmani e arabi cristiani: questi ultimi aderirono alla causa palestinese e
volevano resistere alla colonizzazione ebraica, ma non presero parte alle sommosse di fine anni '20
contro gli inglesi: per i musulmani era preoccupante vedere i cristiani assumere un ruolo
indipendente, mentre i cristiani diffidavano del risalto dato ai simboli musulmani.
Nonostante ciò, negli anni '20 si fecero notevoli passi avanti verso la creazione di un'identità e di un
movimento nazionale dei palestinesi. Gli anni '30 videro l'inizio di un movimento di massa: si
formò l'Associazione dei giovani musulmani ad Haifa, guidata da Izz al-Din al Qassam, il quale
predicava contro l'imperialismo britannico e l'insediamento dei sionisti, dando vita a cellule
destinate a condurre la resistenza armata; fautore sia dell'azione diretta che di un'autodisciplina
puritana, fu lui a introdurre la nozione di azione militante di massa, o jihad, così come termini quali
mujahid (guerriero per la fede) e shahid (martire). Al Qassam e i suoi ebbero un ruolo importante
nel promuovere le grandi rivolte arabe del 1936-38, schiacciate dagli inglesi, che imposero
un'amministrazione militare britannica. Sul finire degli anni '30 il movimento palestinese era
riuscito a mobilitare parzialmente le masse, ma le divisioni interne alla dirigenza e la mancanza di
una matura coscienza politica nazionale avevano impedito di creare un'opposizione coordinata al
dominio britannico e al colonialismo sionista.
Nel decennio 1938-48 il conflitto precipitò in una crisi che si rivelò disastrosa per le comunità arabe
della Palestina: l'Inghilterra aveva cominciato a modificare la sua politica in Palestina allo scopo di
guadagnare l'appoggio degli arabi nell'imminente guerra contro la Germania, pubblicando nel 1939
il libro bianco, che limitava l'immigrazione ebraica e le acquisizioni di terra, respingendo gran parte
dei rifugiati ebrei; furono proprio gli ebrei questa volta a scatenare la loro lotta militare contro il
mandato britannico, mentre i palestinesi si ricompattarono nella Lega degli stati arabi fondata nel
1945. Nel 1947 l'Inghilterra rassegnò il mandato e le Nazioni Unite stabilirono di dividere la
Palestina in due stati: tuttavia, Israele vinse la guerra contro gli arabi affermandosi come stato
sovrano nel 1948, seppur cedendo alla Transgiordania alcune zone a est del Giordano e all'Egitto
Gaza; i profughi palestinesi furono sparpagliata in Giordania, Libano, Siria e negli altri stati arabi:
da questo momento in poi, il problema dei palestinesi fu la privazione della terra che gli impediva di
affermarsi come popolo libero e affermare la propria identità nazionale (questa identità, nazionale e
laica, poggia però in parte sull'Islam, elemento sempre importante).
Tra il 1948 e il 1967, anno della sconfitta di Egitto e Siria nella guerra dei sei giorni, la causa
palestinese fu portata avanti dai paesi arabi; dopo la sconfitta però furono i palestinesi stessi a
riprendere in mano la loro lotta: creazione dell'OLP nel 1964, di al-Fatah (coalizione parte dell'OLP
che rappresenta la popolazione palestinese musulmana, capeggiata da Yassir Arafat) e del Fronte
popolare per la liberazione della Palestina (guidato da George Habash). Questi movimenti però
ebbero difficoltà ad affermarsi e subirono diverse sconfitte: in Giordania nel 1970, da parte della
Siria negli anni '70 (temendo un predominio palestinese in Libano) e con l'invasione di Israele del
Libano nel 1982-85. Queste sconfitte hanno condotto alla frammentazione del movimento in
fazioni.
4.5. Nazionalismo arabo e Islam. L'epoca precedente la prima guerra mondiale vide delle lotte per
liberarsi dal giogo ottomano e per creare uno stato arabo indipendente: durante questo periodo, il
nazionalismo arabo passò da un lessico intrinsecamente islamico a uno di stampo nazionalista.
L'arabismo si sostituì all'Islam in quanto tema dominante e il suo linguaggio rimpiazzò quello in cui
si erano tradizionalmente espresse l'osservanza e l'azione politica.
Nel periodo coloniale il nazionalismo arabo divenne l'ideologia comune alle forze d'opposizione,
ossia alle élite politiche e all'intellighenzia.
Dopo la seconda guerra mondiale l'identità araba divenne il fondamento di finalità politiche quali
l'antimperialismo, la lotta contro Israele e la formazione di regimi politici.
Quantunque importanti, il modernismo e il riformismo islamici hanno rappresentato filoni
secondari. In Siria, il movimento Salafiyya è stato interpretato in senso conservatore da Rashid
Rida, principale discepolo di 'Abduh: secondo lui, l'obiettivo ultimo della restaurazione islamica era
una società retta da un califfo, orientata dagli ulema, che avrebbe rivisto le leggi dell'Islam per
adeguarle alle esigenze del tempo; egli sottolineò anche l'importanza del jihad e della lotta morale
per raggiungere la purezza e la perfezione.
Le tendenze laiche e nazionaliste affondano le loro radici nella debolezza degli ulema del XIX
secolo. In generale, nel mondo arabo la resistenza alle tendenze laiche veniva da funzionari religiosi
di basso rango (insegnanti, predicatori), ma questa opposizione si rivelò inefficace, poiché in
generale le istituzioni giuridiche e giudiziarie secolari hanno sostituito la legge musulmana, essendo
stati introdotti nuovi codici penali e civili (in Siria e in Iraq si è affermato un doppio sistema di
tribunali statali e islamici. Grazie al contatto con i principi occidentali, la riforma giudiziaria ha
portato ad accettare il punto di vista modernista secondo il quale la legge non è prescritta per
l'eternità ma è suscettibile di venire riformulata di volta in volta secondo le circostanze e gli
interessi dello stato.
Insomma, l'Islam continua a svolgere un ruolo essenziale per l'identità dei popoli arabi. La
coscienza nazionalista araba è ancora legata all'Islam: i teorici del nazionalismo degli anni '20 e '30
sottolineavano come in pratica l'arabismo coincidesse con l'Islam, soprattutto dal punto di vista del
lessico. Sulle orme dei pensatori nazionalisti, la gente comune identifica infatti la nazione araba con
l'Islam: essere arabo è ancora, prima di tutto, essere musulmano.
Sembra che dal 1967 in poi l'Islam stia divenendo sempre più importante per la coscienza politica
araba. Mentre le ideologie laiche, di stampo economico e panarabo, sono fallite, la protesta contro il
ristagno politico, l'ingiustizia economica e l'alienazione culturale hanno assunto la forma di un
ritorno all'autenticità islamica.
Scarica