Evoluzione e creazione1 - Parrocchia San Basilio Magno

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Evoluzione e creazione1
Marcello Di Tora o.p.
Parrocchia «S. Basilio», 17.3.2013
Schema:
1. Premessa
2. Distinzione e convergenze tra i campi della ragione e della fede
3. Precisazioni sul termine evoluzione
A. L’evoluzione cosmologica
B. L’evoluzione biologica
1. Il pensiero di Darwin
2. I neodarwinisti
3. Argomenti a favore di una interpretazione teista dell’evoluzione: critica alla
dottrina darwinista
1. Premessa
Il titolo di questa comunicazione offre già sia l’orientamento del cammino che intendo
intraprendere (porre a confronto la scienza e la fede), sia la chiave di lettura per interpretarne i
rapporti, data dalla e di congiunzione. Si capisce, inoltre che il tema può essere sviluppato almeno
da due punti di vista, da cui potrebbero partire due filoni di riflessione di grandissima portata: o
quello metodologico, dei rapporti tra scienza (evoluzione) e fede (creazione), oppure nel merito,
individuando i fattori per cui è possibile credere all’evoluzione e nello stesso tempo e con lo stessa
convinzione alla creazione di Dio.
In realtà, sappiamo che con lo sviluppo tecnologico e scientifico, spesso per motivi ideologici
la conoscenza della scienza e quella della fede sono visti in contrapposizione. Ne parla anche
Benedetto nell’indizione dell’Anno della Fede, quando scrive che «la fede è sottoposta più che nel
passato ad una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che riduce l’ambito
delle certezze razionali a quelle delle conquiste scientifiche e tecnologiche. Ma la chiesa tuttavia
non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun
1
Rielaborazione del primo capitolo del mio saggio su Cristianesimo e Religioni, EDI, Napoli 2008 (cf.
http://framarcelloditora.blogspot.it/)
2
conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità» (PF 12; FR 34, 106). Il
conflitto tra Galileo (1564-1642), il fondatore della fisica moderna e le autorità ecclesiastiche, che
interpretavano le idee sue idee copernicane come contrarie all’eliocentrismo biblico, ha segnato i
rapporti tra la chiesa e la scienza nei secoli successivi, fu appianato con la dichiarazione del
Vaticano II sulla legittima autonomia delle realtà terrene (36, 59), dal discorso di Giovanni Paolo II
alla Pontificia Accademia delle Scienze del 10 novembre 1979, che deplorava gli interventi
indebiti degli organismi di chiesa nel campo della scienza, e il 31 ottobre 1992 in cui si riabilitava
lo scienziato pisano. L’esperienza dolorosa del caso Galileo ha permesso di comprendere sempre
meglio che i rapporti tra scienza e fede, tra ragione e fede, possono mantenersi armonici nella
misura in cui se ne stabiliscono le legittime autonomie, riconoscendo oggetti, principi e metodi
propri alla scienza e alla fede. Su questa distinzione è ritornato solennemente GPII nell’enciclica
Fides et ratio.
2. Distinzione di campi e convergenze tra i campi della ragione e della fede
La scienza e la fede convengono nel porsi interrogativi che riguardano l’uomo e la sua
origine, il senso della sua esistenza nel mondo e nell’universo, l’origine dell’universo. Ma subito
divergono gli approcci alle risposte. La scienza spiega i meccanismi con cui funzionano i fenomeni
fisici, e perciò anche il mondo e l’uomo, ma non è in grado di dare risposte pertinenti a tutti gli
interrogativi che trascendono la sfera naturale sugli interrogatiti sul senso. È noto che la scienza ci
dice come funziona la natura e quali sono le leggi e i meccanismi che presiedono al governo
dell’universo, ma non ci dice perché il mondo è così come lo conosciamo. Ma il fatto che la
scienza non possa dare una risposta non significhi che non vi possa essere una risposta; essa sarà
data su un altro piano, che è quello della fede che accoglie la rivelazione. Del resto, che la scienza
non dica tutto, è facilmente dimostrabile: né la matematica, né la biologia, o l’astronomia possono
rispondere agli interrogativi di giustizia, verità e libertà che fanno parte della nostra vita quotidiana
(e di cui si occupa la politica): dalla difesa dello stato sociale, alla tutela del diritto al lavoro, alla
vita e così via; la dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 o la costituzione italiana non sono
stati forgiati a seguito dei risultati della chimica o dell’astrofisica. Ciò significa che ci sono valori,
che concorrono a formarsi un’immagine di noi e del nostro rapporto con la società, che non trovano
risposta nella scienza, ma che sono altrettanto vitali per noi tutti.
Dunque l’uomo è il principale protagonista della ricerca scientifica e della conoscenza per
rivelazione. Scienza e fede comprendono l’uomo da punti di vista differenti, e complementari. Il
nostro organismo, per fare un esempio, può esser esaminato dal punti di vista dei vari sistemi e
apparati, ossia gruppi di organi e tessuti che lavorano insieme per portare a termine un compito
3
specifico: sistema scheletrico, facendo una radiografia che mette in evidenza le ossa che lo
compongono; oppure può essere studiato il suo sistema circolatorio, che mette in risalto il sangue
che circola nell’organismo; oppure il sistema muscolare, l’apparato digerente, l’apparato
riproduttivo il sistema endocrino.
Dunque scienza e fede sono due campi distinti; i conflitti nascono quando si invadono i
campi: quando l’esegesi o la teologia vuol proporre teorie scientifiche, o quando la scienza si
lancia in valutazioni filosofiche o teologiche. E la chiesa cattolica, a differenza di talune correnti
evangeliche americane, con il rinnovamento degli studi biblici avviato agli inizi del XX sec., ha
mostrato come i primi capitoli della Genesi, sull’origine dell’universo e dell’uomo, non vadano
letti in termini letterali, come se la Bibbia avesse intenti scientifici, ma religiosi. Ciò che il testo
biblico vuol insegnare è che:
- il mondo non è divino (a differenza della mentalità babilonese), ma dipendente da Dio;
- Dio non crea mediante un demiurgo (filosofia greca)
- l’uomo e la donna sono uguali e complementari e hanno una dignità unica perché creati col
soffio divino
- l’uomo diventa un vivente (nèfesh); questo principio vitale è detto psyckè = anima;
- l’uomo è creato ad immagine e somiglianza, ossia dotato di intelligenza, coscienza, volontà
La sua vocazione altissima (GS 12-22) è la relazione con Dio
3. Il termine evoluzione
Posti i chiarimenti e le distinzioni sulle differenti metodologie tra scienza e fede, vediamo di
entrare nel merito e comprendere come sia possibile essere evoluzionisti e creazionisti allo stesso
tempo.
Anzitutto una questione terminologica. In termini generali, per evoluzione intendiamo una
trasformazione. Ma non una trasformazione qualunque; una trasformazione che fa progredire la
realtà che si evolve. Altrimenti parleremmo di involuzione. Ciò vale anche per i rapporti sociali, in
politica, ecc. Ebbene, applichiamo il termine evoluzione almeno a due realtà distinte, certamente
interconnesse tra loro: quella dell’universo. Procediamo analizzando i risultati delle scienze
cosmologiche e quelle biologiche; su un piano differente faremo delle considerazioni filosofiche e
religiose. I piani, come detto, sono distinti. La scienza, in quanto tale, non ha argomenti a favore o
contro l’esistenza di Dio dal momento che il suo metodo sperimentale non si occupa altro che di
ciò di cui si può avere esperienza sensibile, che è riproducibile in laboratorio. E Dio esula da questa
sfera. Semplicemente, si tratta di raccogliere alcune acquisizioni dalla ricerca scientifica odierna e
di operare su di esse – su un piano differente – una riflessione razionale e filosofica dal momento
4
che, come scrive il fisico P. Davies2, sono gravide di «implicazioni che sconfinano nell’ambito
filosofico e religioso»3.
La domanda di fondo che ci accompagna è: l’universo che ci circonda, e la vita che pullula
sul pianeta Terra, è frutto del caso o di un disegno intelligente di cui l’universo è parte? Siamo solo
«polvere di stelle» (Novalis, Hack), costituiti soprattutto da atomi di carbonio e di ossigeno, o c’è
dell’altro? Questa è una questione che la scienza, in quanto tale, non può sollevare perché «non è in
grado di rivelare se la vita e l’universo abbiano un significato»4, ma che ogni uomo non può non
porsi giacché rappresenta la domanda centrale per rispondere al senso ultimo della propria
esistenza e imprimere l’orientamento alla propria vita.
A. L’evoluzione cosmologica: l’origine e l’inizio dell’universo
Sappiamo che l’universo ha avuto inizio circa 14 miliardi e mezzo di anni fa. Tutta la materia
e l’energia esistente nell’universo era concentrata in un punto, miliardi di volte più piccolo della
testa di uno spillo: precisamente 10 meno 33 alla potenza (10-33), ossia 1 cm3 di viso per 1 seguito
da 33 zeri5.
Questa materia è esplosa dando origine alla formazione dello spazio e al tempo, nonché
all’aggregazione della materia e la nascita delle galassie. È la teoria del Big Bang, elaborata negli
anni Sessanta dall’astronomo E. Hubble con la scoperta dell’espansione e dell’allontanamento
delle galassie a velocità crescenti e in rapporto alla distanza. Gli spazi interminabili del nostro
cosmo misurano circa 15 miliardi di anni luce, ossia 15 miliardi di volte 300.000 chilometri,
moltiplicati per il numero dei secondi di un anno, ossia circa 30 milioni. Con il Big Bang hanno
preso forma anche tutte le leggi della fisica e della chimica che ne regolano l’esistenza. Dal lungo
processo di evoluzione cosmica, ha preso forma la Terra circa 4,55 miliardi di anni fa. Gli
scienziati si chiedono se ci sarà una fine dell’universo, e coma sarà, e se l’universo è un sistema
aperto (in cui la densità è inferiore al valore critico, perciò in espansione permanente), o chiuso, nel
cui caso la sua densità sarebbe superiore al valore critico; in questa ipotesi, l’espansione
2
Sigle: S. ARCIDIACONO, L’evoluzione dopo Darwin. La teoria sintropica dell’evoluzione, Di Renzo Editore, Roma
1993 (Arcidiacono); P. DAVIES, Da dove viene la vita. Il mistero dell’origine sulla Terra e in altri mondi, Oscar
Mondatori, Milano 2001 (DaviesV); ID., Il cosmo intelligente. Le nuove scoperte sulla natura e l’ordine dell’universo,
Oscar Mondatori, Milano 2000 (DaviesC); ID., La mente di Dio. Il senso della nostra vita nell’universo, Arnoldo
Mondatori Editore, Milano 1996 (DaviesM); ID., Dio e la nuova fisica. Con 26 illustrazioni nel testo, Arnoldo
Mondatori Editore, Milano 1994 (DaviesF); F. FACCHINI, L’avventura dell’uomo. Caso o progetto?, San Paolo,
Cinisello Balsamo (MI) 2006 (FacchiniA); F. FACCHINI, E l’uomo venne sulla terra, San Paolo, Cinisello Balsamo
(MI) 2005 (FacchiniU); M. GUERRA Storia delle religioni, La Scuola, Brescia 19993 (Guerra).
3
DaviesD, p. 19; cf. p. 97; cf. DaviesC, p. 19; DaviesM, p. 25.
4
DaviesC, p. 253
5
Cf. R. LAURENTIN, Dio esiste. Ecco le prove, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1997, p. 41.
5
dell’universo si esaurirà per iniziare una fase di contrazione accelerata, in cui la radiazione di
fondo, che attualmente ha una temperatura di 2,7 gradi Kelvin, diventerà sempre più calda e alla
fine ogni realtà si schiaccerà e annienterà in un Big Crung (Grande Contrazione) dal quale,
eventualmente, si potrebbe ricominciare daccapo.
Quello che ci interessa più da vicino, perché è un tema sensibile dal punto di vista filosofico,
è che l’universo si presenta con alcune caratteristiche che il fisico divulgatore P. Davies, riassume
egregiamente come segue.
- È ordinato: l’universo «obbedisce a leggi matematiche semplici […] dalle galassie più
remote ai più fondi abissi dell’atomo; vediamo regolarità e complessa organizzazione.
Vediamo che né la materia né l’energia sono distribuite in modo caotico: al contrario sono
disposte secondo una gerarchia strutturale: atomi e molecole, cristalli, esseri viventi,
sistemi planetari, ammassi stellari eccetera. Inoltre, i sistemi fisici non si comportano in
modo casuale, ma sistematico, rispettando rigorosamente certe leggi»6. Dunque, «la
materia e l’energia non sono distribuite né uniformemente né casualmente, ma sono
organizzate in strutture chiaramente coerenti, talvolta dotate di grande complessità»7.
- È regolare: «il corso della natura rivela evidenti regolarità. Le orbite dei pianeti, per
esempio, sono descritte da semplici forme geometriche, e i loro movimenti manifestano
precisi ritmi matematici. Schemi e ritmi si ritrovano anche negli atomi e nei loro
componenti»8. L’esistenza di tali regolarità, che noi chiamiamo leggi naturali, rende
armonico l’universo. Diversamente, precipiterebbe immediatamente nel caos9. È importante
sottolineare che «queste regolarità della natura sono reali». Se è vero che da un lato
l’intelligenza umana prova a cogliere il mondo reale a partire da schemi mentali, cioè da
griglie interpretative di quanto ci circonda – anche in psicologia si verifica lo stesso
fenomeno – tuttavia le leggi naturali non sono una proiezione della mente. «L’esistenza di
regolarità nella natura è un fatto matematico oggettivo». Un conto sono gli enunciati che
troviamo nei libri di scienza, che riflettono senz’altro della capacità di sintesi del pensiero
umano, un altro è dimenticare che tali enunciati riflettono «proprietà effettivamente
esistenti in natura»10. L’universo reale è quindi «altamente ordinato e ha leggi fisiche e
rapporti di causa ed effetto ben definiti»11.
6
DaviesF, pp. 202-203.
DaviesC, p. 13, cf. DaviesM, pp. 239-241.
8
DaviesM, p. 91.
9
DaviesM, pp. 22, 86.
10
DaviesM, p. 92.
11
DaviesM, p. 241.
7
6
- Le leggi della natura, inoltre, posseggono alcune proprietà12:
a)
sono universali e uniformi, valgono cioè in tutti i punti dell’universo e funzionano
sempre, non ad intermittenza, in tutte le epoche della storia; le leggi fisiche sono quindi
uniformi13. La fisica quantistica, con il suo principio di indeterminazione, riguarda
l’infinitamente piccolo;
b)
sono assolute, ossia non dipendono dall’osservatore o dallo scienziato che le scopre o le
studia;
c)
sono atemporali, vale a dire non sono condizionate dal tempo;
d)
hanno un potere assoluto, nel senso che niente le condiziona;
e)
sono semplici: le leggi naturali possono esser comprese ed espresse in funzioni
matematiche14.
Ma ritorniamo alle caratteristiche dell’universo.
- L’ordine e la complessità sono di tipo organizzato. La regolarità dell’universo si è sviluppata
a partire dal caos primordiale seguito all’evento del Big Bang. Attraverso una serie di
processi autoorganizzativi il cosmo si è progressivamente arricchito e complessificato15.
- Il mondo che ci circonda, dalle macro alle microstrutture, obbedisce alle stesse leggi rigorose
e immutabili. L’insieme di queste leggi si regge su Tre Colonne e Tre Forze Fondamentali,
che A. Zichichi ha descritto molto chiaramente nei suoi saggi16. L’universo è strutturato con
queste forze fondamentali.
Le Tre Colonne Fondamentali sono le tre famiglie di particelle, con cui è organizzata la
materia. Ogni famiglia (o colonna) consiste di due quark e due leptoni. Tutta la realtà, noi
compresi, è composta con i quark e i leptoni della prima famiglia.
Le Forze Fondamentali sono:
3. La Forza di Gravità. È la forza che ha dato forma all’universo, consentendo la
formazione di stelle e pianteti mediante il movimento dei gas, trasformati successivamente
in nubi galattiche e quindi nelle masse rotanti dei corpi celesti. Essa tiene insieme
l’universo legando la Terra e i pianeti al Sole, il Sole e le altre stelle nella Galassia e le
Galassie nel cosmo.
12
DaviesM, pp. 90.93-95.
DaviesM, p. 243.
14
DaviesM, pp. 107-138, 243-244; cf., pp. 22-24, 164.
15
DaviesM, pp. 168, 208-209, 241.
16
A. ZICHICHI, Perché credo in Colui che ha fatto il mondo, Il Saggiatore, Milano 1999, pp. 22-24, 73-75, 111, 121,
162-164, 216; cf. G. L. SCHROEDER, L’universo sapiente, Il Saggiatore, Milano 2001, pp. 44-49, R. LAURENTIN,
op. cit., pp. 30-31, 45; DaviesF, pp. 122ss.
13
7
1. La Forza Subnucleare forte: tiene insieme protone e il neutrone, che formano il nucleo
dell’atomo. Si differenziano perché la carica positiva del protone e zero per il neutrone
(protone + neutrone [formati da quark e leptoni] = nucleo / elettrone gira attorno). È la forza
che consente la formazione degli atomi, e impedisce il disintegrarsi delle particelle
subatomiche dei protoni, e neutroni.
3. la Forza Elettrodebole che è la fusione di due Forze Fondamentali. Essa produce sia le
Forze Elettromagnetiche, come i fulmini, sia le Forze Deboli, in forza delle quali il sole
brucia ad un ritmo costante, e sono all’origine della radioattività (nella vita quotidiana non
veniamo a contatto con essa). La forza elettrodebole sovrintende a tutta la chimica e la
fisica.
In sintesi: le forze sono gravitazione, elettricità e magnetismo e spiegano quasi tutti i
fenomeni del mondo fisico quotidiano;
- le quattro forze fondamentali che spigano tutte sono: gravità, elettromagnetismo,
nucleare forte e debole
Poiché il nostro universo è sostenuto dalle leggi della natura che interagiscono
vicendevolmente, conferendo stabilità e armonia al cosmo, esso, come detto, si rende decifrabile da
schemi e da leggi matematiche17. L’universo è quindi intelligibile. È proprio questo aspetto che ha
determinato il successo della scienza galileana, fondata sull’osservazione, sull’ipotesi e sulla
riproducibilità degli effetti in laboratorio. «L’intera impresa scientifica si regge sull’assunzione
della razionalità della natura»18, che a sua volta suppone «un universo ordinato che obbedisce a
leggi matematiche semplici. Compito dello scienziato è di studiare, catalogare e metter in
relazione l’ordine della natura»19.
FIN QUI I DATI. ORA PASSIAMO AD ALCUNE RIFLESSIONI
Giunti a questo punto e tenendo conto dei risultati della scienza moderna ci possiamo anzitutto
chiedere: perché l’universo è ordinato? Perché è sorretto da leggi ben definite e connesse le une
alle altre e non è invece un mondo caotico regolato d forze cieche e imprevedibili20? E come è
possibile che si sia evoluto, dal Big Bang, secondo un quadro di Colonne e di Forze che lo tengono
17
DaviesM, pp. 241, 244.
DaviesM, pp. 198-199, 208-208.
19
DaviesF, p. 202, cf. p. 19; DaviesM, pp. 198-199; A. ZICHICHI, op. cit., pp. 67-78.119-120.164-166.
20
DaviesM, pp. 22, 25, 239-240; cf. DaviesF, p. 203; A. ZICHICHI, op. cit., pp. 164-166.
18
8
in esistenza? Queste domande, ed altre ancora21, si concentrano e racchiudono in un’altra, più
pressante e incisiva: se l’universo è ordinato, è stato programmato da un creatore intelligente o è il
frutto del puro caso?22 Perché vi è qualcosa e non piuttosto il nulla?
Non si danno alternative. La nostra vita nell’universo o viene da un progetto o è un prodotto del
tutto fortuito di circostanze favorevoli. È chiaro che queste domande non vengono sollevate dalla
scienza in quanto tale, che è l’insieme delle discipline che si rifanno alla metodologia galileana,
perché esulano dalla sua competenza. Gli studi di astrofisica non si pongono la questione del
perché l’universo, con le sue leggi, ha avuto origine. Ma sono domande che nessun uomo, dotato di
intelligenza, non può non porsi. Sono domande che rappresentano «l’interrogativo di fondo
dell’esistenza»23. E perché sono importanti le galassie e i pianeti e le stelle? Perché forniscono le
componenti essenziali con cui siamo composti, a cominciare dal carbonio, poi l’ossigeno, il neon,
il magnesio e così la tavola periodica degli elementi24
Dunque, è che è molto più ragionevole ritenere che vi sia una mente organizzatrice
dell’universo – che non è il demiurgo che organizza il materiale, perché la materia è già
strutturata – (e benché non sia una conclusione che scaturisce direttamente dai dati
scientifici), piuttosto che pensare che sia esso sia frutto del caso cieco, rifugiandosi così in una
risposta che, in realtà, ha tutto il sapore dell’irrazionale. Si potrebbe parafrasare una espressione
dello scienziato Stephen Hawking: Dio soffia sul fuoco delle equazioni; come dire: il mondo
funziona perché ha le sue leggi (che gli scienziati studiano); ma Dio (il Lògos) le mantiene
nell’essere; e così governa il mondo (At 17,28; Ap 4,11; Eb 1,2-3; Gv 1,3).
LE PROVE
Il caso, infatti, per definizione è ciò che non può essere spiegato. È l’irrazionale,
l’imponderabile, ciò che sfugge al controllo della ragione.
1. «Se l’universo è un fatto del tutto casuale, le probabilità che nell’universo esista una
quantità apprezzabile di ordine sono ridicolmente ridotte. Se il Big Bang è stato solo un
evento casuale, con grandissima probabilità il materiale cosmico così prodotto avrebbe
dovuto trovarsi in equilibrio termodinamico con entropia [disordine] massima e ordine zero.
E poiché non è sicuramente così, non si può che concludere che lo stato attuale dell’universo è
frutto di una scelta, di una selezione effettuata tra l’immenso numero degli stati possibili,
tutti privi di ordine tranne una minuscola percentuale. E se uno stato così altamente
21
DaviesF, p. 202; cf. DaviesM, p. 25; DaviesD, pp. 117-118.
DaviesM, pp. 210, 227-245, 244-263.
23
DaviesF, p. 246.
24
Cf. DaviesF, p. 177.
22
9
improbabile è frutto di una scelta, di una selezione, occorre che vi sia un selezionatore,
un’intenzionalità che avvia fatto questa scelta»25.
2. «Una creazione casuale avrebbe comportato, con tutta probabilità e praticamente con
certezza, un universo completamente disordinato»26.
3. R. Penrose27 l’ha calcolata la probabilità che l’universo sia comparso per caso: è pari a una
su 10300.
4. Se l’esplosione iniziale avesse avuto un’energia diversa anche solo di 1/1060, l’universo e noi
inclusi non esisteremmo28. Se fosse stato meno violenta, il cosmo sarebbe subito ricaduto su se
stesso (Big Crunch); se fosse stato più energica, il materiale cosmico si sarebbe disperso così
rapidamente che non ci sarebbe stato il tempo per la formazione delle galassie. L’universo che
oggi conosciamo è quindi il risultato tra due forze antagoniste: quella esplosiva che lo fa espandere
e quella di gravità che risucchia indietro le schegge di quell’esplosione.
5. L’alto grado di isotropia cosmica, ossia l’uniformità e l’orientamento in tutte le direzioni. La
radiazione di fondo, che costituisce quanto rimane dell’energia scaturita dal Big Bang, «ci giunge
pressoché identica da ogni direzione con variazioni minime. Se il Big Bang fosse stato un evento
del tutto casuale, questa uniformità sarebbe estremamente improbabile e quasi
impossibile»29.
6. Le costanti fondamentali della natura, ossia le quantità esattamente determinate e ricorrenti con
lo stesso valore in ogni punto dell’universo e in ogni momento.
- Ad esempio, l’atomo di idrogeno possiede le medesime caratteristiche sia sulla Terra sia su
Marte. Il suo protone è 1836 volte più pesante dell’elettrone. Scrive pertanto P. Davies: «il
reale non è fatto soltanto di leggi matematiche e di complessi ordinamenti. Vanno
spiegate anche altre cose, e soprattutto le cosiddette “costanti fondamentali” della
natura: ed è proprio in quest’ambito che troviamo gli indizi più inquietanti di un
disegno superiore»30.
Già il fatto che esistono le leggi fisiche mostra che non il mondo non è caotico, un
guazzabuglio di eventi senza connessione tra loro. Se invece possiamo comprendere il mondo che
ci circonda, fino anche a prevedere i fenomeni che verranno (dai fenomeni atmosferici, al
verificarsi di un’eclisse, ala parabola di un calcio di punizione…), è perché il mondo è regolato da
25
DaviesF, pp. 232-233.
DaviesF, p. 235.
27
Cit. in DaviesF, p. 248.
28
DaviesF, pp. 248-249.
29
DaviesF, p. 251; cf. DaviesM, p. 243.
30
DaviesF, p. 259.
26
10
leggi strettamente connesse tra loro e di cui gli scienziati stanno cercando la formulazione in una
super-stringa che le riassuma tutte.
Ma l’aspetto ancora più impressionante che possiamo osservare in natura è che «una minima
alterazione delle costanti fondamentali muterebbe radicalmente la struttura del mondo fisico,
ma che questa stessa struttura è estremamente sensibile a tali alterazioni. Basta un minimo
cambiamento delle leggi fondamentali per indurre sconvolgenti mutamenti strutturali»31.
Questa particolarità di parametri fondamentali della fisica è chiamata principio ANTROPICO.
Questo principio indica che l’universo è propizio alla vita (non solo alla vita dell’uomo, àntropos),
e che se le leggi fossero leggermente diverse la vita (che richiede condizioni regolate con alta
precisione) non esisterebbe.
LE PROVE
Facciamo qualche esempio:
a) se l’interazione (forte) dei quark e gluoni, che tengono insieme l’atomo, fosse poco più debole
produrrebbe instabilità e, alla fine, l’atomo si disintegrerebbe a causa del fattore quantico32. Gli
effetti sarebbero evidenti nel sole e nelle stelle che sarebbero totalmente diverse da come le
conosciamo. Se invece fosse stata poco più forte dopo il Big Bang, non vi sarebbe stato l’idrogeno:
ciò significa che non avremmo le stelle e l’acqua. Dunque nell’uno e nell’altro caso l’universo o
non esisterebbe o sarebbe privo di vita.
b) Se l’intensità della forza di gravità fosse appena diversa di quello che è, poniamo di uno su 1040
avremmo un universo in cui tutte le stelle sarebbero o giganti blu o nane rosse. Certo non
avremmo stelle come il sole e perciò neanche tutte le forme di vita che, come sul pianeta Terra,
dipendono dal sole33.
6. Infine una curiosità: se non ci fosse la Luna, cosa accadrebbe alla Terra? Scomparirebbero le
maree, dovute all’attrazione gravitazionale della Luna. Senza le maree cambierebbe l’ecosistema
terrestre nella zona di confine tra terra e acqua; la Terra aumenterebbe la sua velocità di rotazione
perché verrebbe a mancare il “freno” dovuto alla gravitazione lunare. L’aumento della velocità di
rotazione farebbe diventare i giorni più corti. Si modificherebbe la circolazione atmosferica. La
minore durata del giorno e i cambiamenti della circolazione atmosferica influenzerebbe il clima del
pianeta e perciò gli ecosistemi e i ritmi biologico di piante ed animali. Insomma, il mondo non
31
DaviesF, pp. 260-261; cf. DaviesM, pp. 215, 244-254. Nel suo ultimo libro, P. DaviesF dedica molte pagine su questa
caratteristica delle leggi fisiche.
32
DaviesF, pp. 259-261; cf. DaviesM, p. 252.
33
DaviesF, p. 261.
11
sarebbe come noi oggi lo vediamo. Se la Luna non ci fosse mai stata, non è detto che non saremmo
qui a discuterne.
Tenuto conto solo di questi dati, si presenta immediatamente il nodo davvero cruciale attorno
a cui tutte le domande ruotano: si tratta solo di coincidenze numeriche, o le costanti fondamentali
testimoniano un’intenzione per la vita? La risposta di P. Davies è sensata e consequenziale: «nel
nostro universo le leggi e le condizioni iniziali sono uniche. Se è vero che l’esistenza della vita
richiede che le leggi fisiche e le condizioni iniziali siano regolate con alta precisione e che
questa regolazione fine sussiste realmente, l’idea che ci sia un progetto appare ineludibile»34. Da
qui la conclusione: «la coincidenza, si direbbe miracolosa, dei valori numerici delle costanti
fondamentali della natura resta la più convincente tra le testimonianze della presenza, nel
cosmo, di un elemento di intenzionalità e di un disegno»35 che prepara la vita sulla Terra (clima
adatto, abbondanza di acqua e ossigeno, forza di gravità perfetta, ecc.)36.
A causa della forza persuasiva di questo ragionamento, diversi scienziati non hanno potuto
fare a meno di riconoscere la sua plausibilità logica, o, se si preferisce, la sua evidenza:
menzioniamo solo F. Hoyle37, R. Swinburne38, R. Boyle39, J. Jeans40. Come abbiamo notato, la
conclusione cui siamo giunti, che cioè l’universo postula necessariamente un’intelligenza che lo ha
progettato non scaturisce dal procedimento scientifico in quanto tale, che ha come obiettivo la
spiegazione delle cause fisiche dei processi naturali41, ma da quanto la scienza propone
all’attenzione dell’uomo che si interroga e riflette sulla realtà che lo circonda. Se ammettiamo che
l’universo è intelligibile, non possiamo invocare il caso per decifrarne il mistero. Sarebbe un
controsenso.
Ma qui si cela anche un PARADOSSO. Se per ipotesi fosse stato il credente a dover
difendere la sua posizione di fede invocando il caso, mentre il non credente avesse potuto disporre
degli elementi forniti finora, la posizione del primo sarebbe apparsa chiaramente insostenibile, e
la sua fede un atto del tutto irrazionale, mentre quella del secondo perfettamente razionale e
sensata. Comunemente, invece, e questo è davvero singolare, è la fede del credente che viene
ritenuta non sufficientemente supportata da una solida base razionale di prove, mentre la non
credenza viene apprezzata come quella che offre maggiori garanzie di certezza e di scientificità.
34
DaviesM, pp. 252, 215; cf. DaviesD, pp. 275-308; Arcidiacono, pp. 117-120.
DaviesF, p. 262.
36
DaviesM, p. 253.
37
DaviesM, pp. 245-246.
38
DaviesF, p. 229.
39
DaviesM, p. 248.
40
DaviesM, p. 250.
41
DaviesF, pp. 54ss.; 259.
35
12
Comunque sia, la convinzione che “dietro” il mondo della natura vi sia un disegno
intelligente che lo regge e lo mantiene nell’esistenza attraverso le leggi fisico-chimiche si
rinsalderà maggiormente se consideriamo il “mistero” della comparsa della vita sulla terra e
l’evoluzione biologica che ha condotto fino all’uomo. È quanto faremo nel paragrafo seguente.
B. L’evoluzione biologica
1. Darwin e l’evoluzione
La pubblicazione de L’origine della specie, nel 1859, e de L’origine dell’uomo, nel 1871, di
C. Darwin (12.2.1809-19.4.1882, ha rivoluzionato il modo di percepire la vita sulla terra. Per il
naturalista inglese, l’evoluzione è un processo graduale di trasformazione, attraverso la
differenziazione e l’adattamento, di una specie da un’altra, le cui fase intermedie costituiscono gli
anelli di congiunzione che la paleontologia si preoccupa di ricercare.
Oggi si ritiene che la formazione degli organismi unicellulari (procarioti: senza nucleo),
come i batteri, risale a circa 3,8 miliardi di anni fa nel cosiddetto “brodo primordiale”,
composto da metano, ammoniaca e idrogeno, in un contesto fortemente elettrizzato.
La Terra si era già forma da circa 710 milioni di anni (risale a 4,5 miliardi di anni fa). I primi
eucarioti (forniti di nucleo) unicellulari intorno a 1,5 miliardi di anni fa. Gli organismi
pluricellulari si sono sviluppati circa 600/700 milioni di anni fa. I vertebrati 400 milioni di anni
fa; i mammiferi 200 milioni di anni fa e i primati 70 milioni di anni fa. Tra i 6 e 7 milioni di anni
fa si riconosce la divergenza tra la linea che ha portato agli ominidi e quella delle scimmie
Antropomorfe africane (gorilla e scimpanzé); 3 milioni di anni fa gli australopiteci: scimmie che
camminavano in posizione eretta in ambiente aperto come la savana ma che si arrampicavano
anche sugli alberi.
Se diamo un rapido sguardo alla grande ruota della diversità biologica sulla terra, restiamo
stupefatti dinnanzi alla molteplicità dei viventi.
Dell’1,7 milioni di tipi diversi già classificati, gli insetti e i miriapodi sono di gran lunga il
gruppo che vanta la più alta varietà di specie, pari a 963.000, e di numero;
si contano 270.000 tipi di piante, 100.000 funghi e licheni, 75.000 aracnidi (ragni e
scorpioni), 70.000 molluschi, 40.000 crostacei, 22.000 pesci, 15.000 anellidi (lombrichi),
10.500 rettili e anfibi, 10.000 uccelli, 10.000 cnidari (meduse e anemoni), 4.500 mammiferi
e 4.000 batteri.
Ma torniamo a Darwin. Egli ritiene che i fattori che determinano il processo evolutivo siano i
seguenti: a) le variazioni individuali ereditarie, che avvengono in natura come gli allevatori le
13
provocano negli animali domestici, selezionati per gli impieghi più diversi; b) la selezione
naturale: in natura, a fronte di una sovrapproduzione di organismi viventi, solo una parte di questi
sopravvive perché supera la competizione (dei maschi) per il cibo, per il territorio e per le
femmine; c) l’adattamento: chi si adatta meglio all’ambiente in cui vive, ed è più prolifico, riesce
a superare la competizione per la vita e trasmettere alle generazioni successive la sue caratteristiche
fisiche. Per Darwin il vero motore dell’evoluzione è la selezione; l’ambiente è meno influente nelle
variazioni di quanto pensasse Lamarck
La dottrina darwiniana, in origine, si opponeva soprattutto alla concezione fissista
(palesemente creazionista), secondo cui le specie viventi non hanno subito variazioni nel tempo,
ma sono state create così come sono da Dio. In un primo momento Darwin la coniugava con una
visione teista (da theòs, Dio). Ben presto la interpretò in forma sempre più atea, condizionato dalla
frequenza dei circoli razionalisti e illuministi del tempo. Ma al di là delle sue vicende personali, ci
interessa la formulazione dottrina. L’evoluzione è, dunque, un lento e graduale processo di
trasformazione degli organismi viventi da forme semplici a forme sempre più complesse, uomo
compreso.,
2. I neodarwinisti
A partire dagli anni ’20, e soprattutto con la scoperta del DNA nel 1935, le intuizioni di
Darwin sono state riformulate tenendo conto delle nuove acquisizioni in campo scientifico.
L’evoluzione viene ora spiegata, generalmente, secondo una concezione afinalistica –
denominata “darwinismo”, o “teoria sintetica” – che fa leva su due fattori:
1. le mutazioni genetiche: è la fase della copiatura errata e accidentale dei geni, causata da fattori
esterni (raggi x e ultravioletti, fattori ambientali, ecc.). Con la riproduzione, tali variazioni –
sconosciute al tempo di Darwin – passano nelle generazioni successive. Sarà l’ambiente circostante
e la competizione per la sopravvivenza a determinare se sono convenienti o no. Nel primo caso, la
specie sopravvive, accumulando piccoli vantaggi nel corso di molte generazioni. In caso contrario
soccombe e si estingue.
2. la selezione naturale: è il processo per il quale, nella lotta per le risorse, sopravvivono e si
riproducono gli organismi meglio adatti, ossia i più forti. La selezione naturale agisce come
meccanismo di controllo che impedisce la sovrappopolazione dei viventi.
Il darwinismo, quindi, non si limita a descrivere i fenomeni, ma esclude positivamente che vi
siano altre ragioni (progetto o finalità) che non siano il puro caso e la necessità delle leggi naturali.
Dunque nega che alla base dell’evoluzione vi sia un qualche orientamento alla vita, inteso o in
senso trascendente (come il teismo cristiano) o in senso immanente (insito nella materia). In linea
14
di massima i darwinisti escludono le spiegazioni teleologiche, interpretando la biodiveristà come
una lunga serie di coincidenze fortuite, prive di significato e di direzione42. Nella corsa della vita
nulla è preordinato. Anche gli organi più complessi come l’occhio43, o l’orecchio, secondo la
concezione darwinista, non sono stati progettati per vedere o sentire. L’occhio, ad esempio, vede
perché le diverse componenti di cui si compone sono disposte in modo tale che esso non può non
vedere. Ma perché sono disposte così? Perché attraverso un lungo processo di mutazioni casuali
dell’apparato visivo i fattori ambientali hanno favorito nel tempo – a mo’ di collo di bottiglia –
quegli individui che meglio hanno mantenuto, accumulato e integrato quelle porzioni di possibilità
vantaggiose che la “roulette” della natura ha offerto nelle variazioni del DNA, determinando così la
stabilità e la variabilità delle specie viventi che posseggono la vista. Dal momento che quanto più si
perfezionava la vista tanto più aumentava il successo della specie che la possedevano, sono state
scartate dal gioco, perché perdenti, tutte quelle altre variazioni di combinazioni – altrettanto
fortuite – che invece ne impedivano il perfetto funzionamento. Un animale che vede, e che vede
perfettamente, ha più probabilità di sopravvivere rispetto ad uno cieco o con una vista difettosa.
Essendo vincente, la vista si è mantenuta, con tutte le sue proprie innumerevoli varianti, negli
uccelli, nei mammiferi, nei rettili, e così via. Lo stesso discorso vale per tutti gli altri organi dei
viventi. Proviamo a fare un esempio portando l’analogia tra l’occhio e la macchina fotografica, che
è l’artefatto che gli è più simile visto si basa sullo stesso processo ottico. Ebbene, in termini
darwinisti si potrebbe dire che se la macchina fotografica fosse un essere vivente, essa non è stata
costruita per catturare le immagini, ma le cattura perché dispone, casualmente, della camera oscura
all’interno.
Altro esempio: le ali degli uccelli. Se le ali di un aeroplano sono state costruite perché
l’aeromobile voli, per un darwinista gli uccelli volano non perché qualcuno abbia progettato le loro
ali, ma perché attraverso nel processo evolutivo si è presentata questa eventualità. Dal momento
che consente ai volatili di muoversi agevolmente, di procurarsi il cibo, di fuggire dai predatori,
insomma si è trattato di una eventualità senz’altro favorevole, le ali si sono mantenute e
perfezionate nel corso dell’evoluzione. Certo, aggiungono i darwinisti, non si può negare che, per
lo stretto legame tra struttura e funzione, l’occhio è fatto per vedere, l’orecchio per udire e così via.
E tuttavia non c’è alcuna intenzionalità esterna; essa è solo interna (teleonomia: Monod) e perciò
apparente.
Come si può notare si tratta di interpretazioni riduzioniste basate sul principio
dell’adattamento. I darwinisti sono consapevoli che la probabilità che le combinazioni favorevoli è
42
43
DaviesD, p. 277; cf. DaviesC, p. 140.
DaviesM, pp. 250-251; cf. DaviesC, p. 142; Arcidiacono, pp. 36, 53, 115; DaviesC, p. 145.
15
talmente bassa da rendere impossibile la formazione di una cellula o di un organo. Ma l’ostacolo è
aggirato facendo ricorso al tempo.
L’evoluzione è un processo graduale, per cui, a forza di lavorare, la natura ha senz’altro
potuto produrre quelle causali piccole variazioni che, negli anni, si sono accumulate per dare vita
all’attuale varietà biologica.
La CONCLUSIONE momentanea importante cui giungiamo è la seguente.
- La dottrina dell’evoluzione, nella formulazione che ne abbiamo dato, puramente descrittiva, è
compatibile con la fede in Dio perché il processo evolutivo può essere spiegato (in sede
filosofica, non empirica) col fatto che tale processo possa essere guidato da un disegno, un
progetto, di Dio. Perciò la parola creazione indica solo il fatto dell’atto creativo di Dio, non
ci dice come; la creazione può avvenire mediante la creazione delle specie così come le
consociamo (fissismo, che è più immediato da comprendere), oppure secondo un processo
evolutivo. È come se dicessimo: una casa automobilistica vuol costruire un automobile;
stabilisce di farlo, ma per la realizzazione occorrono l’acquisizione delle materie prime, la
lavorazione negli stabilimenti con tutte le fasi fino a quella finale della coloratura a
macchina già realizzata.
- I darwinisti non si limitano a constatare il fatto dell’evoluzione, ma la intendono spiegare
ricorrendo a due fattori che escludono espressamente Dio: il caso e la selezione naturale.
ECCO IL PUNTO: si può accettare la dottrina dell’evoluzione (che in sé si oppone non al
creazionismo, ma al fissismo) e nello stesso ritenere che la sua spiegazione ultima (non
empirica) sia nella luce di un disegno superiore che la orienta (finalismo) verso forme sempre
più complesse, e in ultima analisi l’uomo. Perciò, lo ribadisco, occorre distinguere tra creazione,
evoluzione e fissismo 44.
La frizione tra darwinisti e teisti in questi ultimi anni si è riaccesa a motivo del presunto
conflitto tra creazionismo ed evoluzionismo, favorito dalle interpretazioni letterali della Bibbia da
parte degli evangelici americani; la comunità protestante, negando l’evoluzione tout court, si è
rivolta alla corte delle Pennsylvania, nel dicembre 2005, per chiedere che le teorie sull’Intelligent
design (“disegno intelligente”, Id.), fossero insegnate alla pari del darwinismo. Il giudice ha dato
torto ai genitori che si opponevano all’evoluzione. Il bicentenario della nascita di Darwin (nel
2009, che ha coinciso anche col 150° anniversario della pubblicazione de L’origine della specie,
44
In sintesi: il creazionismo (il mondo è creato da Dio) può essere inteso: in senso fissista o in senso evoluzionista.
L’evoluzionismo può essere inteso: o in senso anticreazionista, comunque si voglia intendere la creazione (i
neodarwinisti); o in senso contrario solo al fissismo (e qui è compatibile con la fede in Dio).
16
nel 1859) hanno acuito la polemica, innescata anche dalla tesi dell’ Id. egli evangelici americani45.
Ma la polemica è divampata in questi ultimi anni negli Stati Uniti. Il dibattito è rimbalzato in
Europa, in particolare in Italia46.
Ma dalle precisazioni appena fatte, va ribadito che la Chiesa cattolica ha ufficialmente
accettato pacificamente la dottrina dell’evoluzione:
- gli interventi di Giovanni Paolo II (il più rilevante dei quali in occasione dell’Assemblea
Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze il 22 ottobre 1996).
«Una fede rettamente intesa nella creazione e un insegnamento rettamente inteso della
evoluzione non creano ostacoli. L’evoluzione presuppone la creazione e la creazione si pone
nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo, come una creatio
continua in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come il Creatore del cielo e della
Terra» («L’Osservatore Romano», 27 aprile 1985)
«Si può dunque dire che, dal punto di vista della dottrina della fede, non si vedono difficoltà
nello spiegare l’origine dell’uomo, in quanto corpo, mediante l’ipotesi dell’evoluzionismo.
Bisogna tuttavia aggiungere che l’ipotesi propone soltanto una probabilità, non una certezza
scientifica. La dottrina della fede invece afferma invariabilmente che l’anima spirituale
dell’uomo è stata creata direttamente da Dio. È cioè possibile secondo l’ipotesi accennata,
che il corpo umano, seguendo l’ordine impresso dal Creatore nelle energie della vita, sia
stato gradatamente preparato nelle forme di esseri viventi antecedenti. L’anima umana, però,
da cui dipende in definitiva l’umanità dell’uomo, essendo spirituale, non può essere emersa
dalla materia» (Catechesi, 16.4.1986)
- i nn. 283-284 del CCC, e:
- «la creazione non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta» (n. 302).
- Dio ha creato un mondo non perfetto, ma «in stato di via verso la sua perfezione ultima.
Questo divenire nel disegno di Dio comporta con la comparsa di certi esseri la scomparsa di
altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura, anche le
distruzioni» (n. 310)
- le catechesi di Benedetto XVI del 10 novembre 2005 ne sono la riprova.
45
Anche qui: l’ID può essere inteso o in senso evangelico, che esclude l’evoluzione; o in senso cattolico: è
l’orientamento trascendente all’evoluzione
46
Si veda il serrato dibattito tra evoluzionismo e creazionismo che ha tenuto banco su alcuni quotidiani italiani ed è
ancora in corso. Ci limitiamo a segnalare quello sul «Corriere della Sera», con gli interventi del 25 gennaio 2007 (di C.
Magris), di febbraio, nei giorni 5 (G. Girello), 8 (M. Ceruti), 10 (G. Laras) e 22 (F. Facchini); infine quello del 2 marzo
(E. Boncinelli). Su «Avvenire», ci limitiamo a menzionare gli articoli di L. Dell’Aglio (1.9.2005, 15.3.2007 e
21.3.2006), F. Facchini (8.11.2006 e 20.12.2006), A. Gavazza (29.9.2005), G. Sermonti (2.2.2006). Infine, suggeriamo
la lettura di una serie di articoli su «La Civiltà Cattolica» che bene illustrano la problematica nel suo insieme: G.
COYNE, Le leggi della natura e finalità nell’universo: una panoramica storica, 157/4 (2006), pp. 315-329; G. DE
ROSA, L’origine dell’uomo. Evoluzione e creazione, 156/2 (2005), pp. 3-14; ID., L’evoluzione dei viventi. Il fatto e i
meccanismi, 157/3 (2006), pp. 232-241; ID., Caso o finalismo nell’evoluzione dei viventi?, 157/3 (2006), pp. 483-492;
ID., Evoluzione dei viventi e fede cristiana. Creazione ed evoluzione, 157/4 (2006), pp. 127-137.
17
L’Id. – nell’interpretazione cattolica rilanciata dal card. C. Schönborn, arcivescovo di
Vienna, nel suo articolo del 7 luglio 2005 sul «New york Times»47 – si limita a decifrare il
percorso dell’evoluzione alla luce dell’intervento di Dio, pur attraverso i meccanismi biologici che
la scienza studia e controlla. L’Id., quindi, non nega l’evoluzione. È solo negli USA, dove sono
forti le pressioni dei protestanti, che è la stessa dottrina evoluzionista che viene messa in
discussione. Ma la disputa statunitense ha ridato voce a quei biologi darwinisti i quali,
nascondendosi dietro la difesa di una dottrina scientifica attaccata dall’oscurantismo religioso, ne
approfittano per divulgare la tesi – o meglio il dogma laicista – che l’evoluzione sarebbe la prova
che Dio non esiste e che la fede si oppone alla scienza.
Non esiste pertanto l’alternativa tra l’evoluzione e la creazione. Le polemiche sono spesso
condizionate da un elevato tasso di inquinamento ideologico. Più volte F. Facchini, illustre docente
di Paleolontologia umana all’Università di Bologna, ha osservato che non vi è conflitto tra le tesi di
Darwin che spiegano, sia pure non in modo esauriente, l’evoluzione dagli organismi unicellulari
all’uomo, e la fede cristiana. Riconoscere che dietro il corso evolutivo vie è Dio non è una
conclusione che la scienza può offrire, perché non rientra, come detto, nella sua metodologia. Ma è
la risposta più ragionevole per comprender come siamo arrivati ad essere ciò che siamo48.
3. Argomenti a favore di una interpretazione teista dell’evoluzione: critica alla dottrina
darwinista
Chiarito, quindi, che la concezione tesita dell’evoluzione non mette in discussione il nocciolo
della dottrina darwiniana, ma solo la sua interpretazione scientista e laicista, passiamo ora a
presentare pacatamente le principali argomentazioni che possiamo svolgere a favore di una tesi
creazionista ed evoluzionista. Esse prendono di mira alcuni tasselli importanti della dottrina
darwinista.
1. L’origine della vita
L’origine della vita (biogenesi) rimane un profondo mistero. Gli scienziati non si sanno
spiegare come sia nata la vita dalla non vita (nascita della vita da materiale inorganico). E la vita
significa la presenza del DNA
47
Rilanciato sul «Corriere della Sera», 10.7.2005, pp. 1.142. Si veda anche C. SCHÖNBORN, Darwin, mancano prove,
in «Avvenire», 18.4.2007, p. 29. La posizione della Chiesa cattolica è stata illustrata da F. FACCHINI con l’intervento
su Evoluzione e creazione, pubblicato su «L’Osservatore Romano» del 16.1.2006 e riportato su FacchiniA, pp. 63-69.
48
Si veda l’ultimo libro, appena pubblicato, di F. FACCHINI, Evoluzione. Cinque questioni nel dibattito attuale, Jaca
Book, Milano 2012.
18
Non c’è da sorprendersi che alcuni si siano aggrappati alla possibilità che la vita venga
dallo spazio. Ma si tratta solo di spostare il problema, non risolverlo49.
Caratteristiche della vita50.
a.
Complessità. Ogni forma di vita conosciuta, anche quella degli organismi
unicellulari come i batteri, è costituita da milioni di componenti. Si tratta di
una complessità informata e istruita, vale a dire che ogni componente ha uno
scopo preciso (= olismo), il cui funzionamento è disposto secondo un
compito preciso fissato nei geni del DNA.
b.
Organizzazione. Ciò che sorprende i biologi non è tanto il fatto che ogni cellula
vivente è composta da un numero elevato di atomi, ma l’organizzazione con la
quale la cellula si struttura. I diversi elementi della cellula, ognuno dei quali è
altamente specializzato,
agiscono insieme per un unico scopo, ossia la
sopravvivenza della medesima cellula – mediante l’azione coordinata delle sue
componenti – e, insieme, dell’individuo stesso.
c.
Ordine. Apparentemente contro il 2° principio della termodinamica, il quale
stabilisce l’aumento costante del disordine (principio antropico) e la dispersione
dell’energia, l’evoluzione stranamente procede in salita con un progressivo
aumento di ordine e di complessità. A mano a mano che i sistemi biologici si
evolvono, essi assumono forme sempre più complesse ed elaborate, con
conseguente incremento di ordine.
d.
Teleonomia. I sistemi viventi sono dotati di uno scopo o progetto, che manifestano
nella loro struttura ed eseguono attraverso i loro atti. Perfino il biologo J.
Monod, benché convinto darwinista, non nega questa caratteristica dei viventi
individuata già dal filosofo Aristotele. La sostanziale differenza rispetto a
qualunque altra struttura della materia inanimata è data proprio dal fatto che
tutte le parti degli organismi viventi, nella loro struttura e nei loro atti, decidono
secondo uno scopo e lo perseguono51. Le singole parti sono interdipendenti e
coordinate da una forza organizzatrice – i geni del DNA – che collega i processi
fisici e chimici di un organismo in conformità con l’obiettivo prossimo (la
funzione di un organo) e remoto (la sopravvivenza dell’individuo).
e.
Interattività. Ogni organismo vivente interagisce con il mondo esterno: assimila,
metabolizza, cresce, si adatta, si riproduce.
49
DaaviesD, pp. 249-274, 278-281.
DaviesC, pp. 123-139; cf. DaviesF, pp. 87-105; DaviesD, pp. 25-40, 103-132.
51
Cf. Arcidiacono, pp. 81ss.
50
19
f.
Unicità. I viventi rappresentano la forma più sviluppata che conosciamo di materia
ed energia organizzate.
In definitiva, osserva P. Davies, «il mistero della vita non sta tanto nella natura delle forze
agenti sulle singole molecole che costituiscono un organismo, ma nel modo in cui l’intera struttura
si comporta collettivamente in maniera coerente e cooperativa»52. Ed è proprio su questa
cooperazione delle singole componenti che interagiscono in vista di un bene più altro, la vita e il
benessere dell’individui, che si inserisce la riflessione che muove dall’argomento teleologico, o
sintropico. Il principio razionale secondo cui un’organizzazione complessa di parti differenti,
ognuna con il proprio ruolo, che cooperano in vista di un obiettivo comune (e ciò comporta
simmetria e dunque bellezza: Cor 59,24; 2,73 / Sap 13,1-9; Rm 1,19-20), suppone un progettista
che lo abbia disegnato, è applicabile sia alla cellula sia a qualunque artefatto umano, come ad
esempio un orologio53.
Se trovassimo su un pianeta dell’universo un meccanismo che si comporta con le medesime
caratteristiche non avremmo forse la prova dell’esistenza di altre forme di vita? Dal momento che
l’universo, nel suo insieme, si presenta con una complessità simile a quella dell’orologio, deve
esistere un intelligenza creatrice che ha disposto il mondo in vista di uno scopo, che non può essere
altro che la comparsa dell’uomo. Si tratta, certo, di un ragionamento analogico.
La forza probativa dell’argomento non si basa su una semplice analogia tra gli organismi
naturali e gli artefatti, come pensano I. Kant e D. Hume, ma «sul concetto oggettivo di ordine,
come effetto proprio ed esclusivo di un’intelligenza, e assolutamente mai del caso […] L’ordine,
l’armonia, la proporzione a un fine, il quale fine è il meglio che le cose sempre o quasi sempre
producono, implica, come sola causa possibile, un’intelligenza direttrice, come ogni effetto implica
una causa proporzionata»54. Del resto, il principio di finalità non intacca l’autonomia della scienza
perché non esclude affatto che l’organizzazione complessa degli esseri viventi possa essere
spiegata ricorrendo ai processi naturali. Ma tale spiegazione si pone sul piano della descrizione dei
meccanismi naturali e sul loro funzionamento, non ci spiega il perché gli organismi biologici si
presentano con la caratteristica della complessità e dell’orientamento teleologico55. Interrogarsi sul
“perché” rientra in un altro ordine di valutazioni, non meno logiche e razionali. E in ogni caso, P.
Davies presenta l’argomento teleologico «immune dagli attacchi darwiniani», perché nella sua
«nuova forma non considera gli oggetti materiali dell’universo in quanto tali, ma le leggi a essi
sottostanti» e queste non devono fare i conti con la selezione tra una collezione di individui simili
52
DaviesC, p. 133.
DaviesF, pp. 228-229; cf. DaviesM, pp. 248, 264-265.
54
M. DAFFARA, commento a TOMMASO D’AQUINO, La Somma Teologica, ESD, Bologna 1984, parte I, questione
2, articolo 3, pp. 87-88 n. 2.
55
DaviesM, pp. 247-254; cf. DaviesF, pp. 228-229.
53
20
in competizione fra di loro. «Quando passiamo alle leggi fisiche e alle condizioni cosmologiche
iniziali, non c’è un insieme di competitori. Nel nostro universo le leggi e le condizioni iniziali sono
uniche. Se è vero che l’esistenza della vita richiede che le leggi fisiche e le condizioni iniziali
dell’universo siano regolate con alta precisione e che questa regolazione fine sussiste realmente,
l’idea che ci sia un progetto appare ineludibile» 56.
2. Il principio entropico (da non confondere col principio antropico)
Se già il passaggio dalla non vita alla vita resta uno dei più grandi enigmi della scienza, il
percorso “in salita” di tutta l’evoluzione è un fatto contrario al secondo principio della
termodinamica. Secondo questo principio in natura l’energia, pur conservandosi costante (primo
principio), procede verso forme sempre più “degradate”, ossia inadatte a compire un lavoro, dette
antropiche. I fenomeni si evolvono da uno stato di ordine ad uno finale caotico e di disordine.
L’entropia è quindi sinonimo di disordine, di caos. Lasciando cadere una palla da una mano.
Questa compirà una serie di rimbalzi, sempre più ridotti, fino a fermarsi definitivamente. Una
sequenza di carte ordinata, secondo il modello di ordine stabilito in partenza, sarà certamente meno
ordinata, rispetto a quel tipo di ordine, quanto più si procede nel mescolamento del mazzo. «Allo
stesso modo si dovrebbe supporre che le mutazioni casuali in biologia tenderebbero a degradare,
piuttosto che a migliorare, la complessità degli organismi. Per la verità succede proprio così,
come è stato mostrato da esperimenti diretti: la maggior parte delle mutazioni sono dannose. E
tuttavia si sostiene ancora che il casuale “mescolamento dei geni” è responsabile della comparsa
di occhi, orecchie, cervello, e di tutti gli altri meravigliosi accessori degli esseri viventi […] La
casualità non può essere una sorgente di ordine»57. Dunque, l’aumento dell’entropia (di disordine),
in accordo con il secondo principio della termodinamica «è chiaramente l’opposto di quello che
accade in biologia, il che naturalmente non significa che gli organismi biologici violino il secondo
principio»58. Per questa ragione diversi scienziati ritengono profondamente insufficienti le
spiegazioni del darwinismo e rileggono l’evoluzione delle forme viventi in senso sintropico, ossia
«orientate finalisticamente verso forme sempre più complesse»59. Tra coloro che sono critici nei
confronti del darwinismo, ne menzioniamo alcuni di diversa provenienza ed estrazione: da J.
Maynard-Smith60 a P. Gressé61, da Sermonti e Fondi62 a G. C. Webster e B. C. Goodwin63, da
Boyle64 a R. Chauvin fino a Ravalico, da B. Disertori65 a
56
DaviesM, pp. 251-252; cf. FacchiniA, p. 15-18.
DaviesC, pp. 142-143; cf. Arcidiacono, pp. 52-53.
58
DaviesC, p. 148; cf. DaviesD, pp. 92-94, 299-205.
59
Arcidiacono, p. 83.
60
DaviesC, p. 147.
61
Arcidiacono, pp. 45-46, 85, 98, 110-111.
57
21
3. Le mutazioni.
Il tema è strettamente connesso al punto precedente. Per il darwinismo le mutazioni genetiche
sono la condizione necessaria per l’evoluzione. Si tratta di “errori di copiatura” di parti del DNA
che, con la riproduzione, danno vita a nuove specie. Nella competizione per la vita, quelle specie
con le mutazioni più efficienti e più adatte alla vita si affermano, mentre le altre soccombono.
In primo luogo, le mutazioni spontanee, che avvengono nelle condizioni naturali, «sono eventi
rari con frequenza dell’ordine di 1/10.000 e di 1/1.000.000 per generazione»66.
In secondo luogo, è un fatto statistico facilmente documentabile, come emerge dagli studi di S.
Arcidiacono, che nella stragrande maggioranza le mutazioni «sono nocive e molto rare sono quelle
benefiche o vantaggiose»67. Le variazioni al DNA rappresentano un DNA danneggiato perché il
DNA è fortemente conservativo e non tollera variazioni al suo interno. Nel momento in cui il DNA
non replica il messaggio originario ciò si verifica perché è stato danneggiato.
Diversamente dall’opinione dei darwinisti, una variazione è una variazione. Solo la selezione
dirà se essa è vantaggiosa o no. In realtà, il DNA variato è già un DNA danneggiato. E il DNA
danneggiato è un handicap perché anziché favorire, riduce la probabilità di sopravivenza. «La
mutazione, non costruisce nulla. Essa, in quanto derivata da errori, trasforma e distrugge ciò che
esiste»68.
Del resto, è molto difficile dimostrare che vi sia un «accumulo sistematico di miriadi di tali
variazioni [lentissime] tale da produrre uno schema coerente di avanzamento della specie»69.
La probabilità statistiche che dalle mutazioni, prodotte dalle radiazioni, possono derivare in
buona parte solo danni per l’organismo è facilmente documentabile anche ai nostri giorni. Basti
pensare ai danni fisici e ai morti alle persone causati da Hiroshima, come anche alle malattie
provocate dalla nube tossica di Chernobyl in Russia. Da una specie non nascono nuove specie.
Tutt’al più si possono dare delle mutazioni non dannose – non proprio vantaggiose –
nell’ambito della medesima specie, con sottospecie, come le piccole variazioni nella tonalità del
colore della pelliccia nei felini. Ma in questo caso, come per le tigri con la pelliccia bianca, hanno
scarsa probabilità di sopravvivenza perché facilmente individuabili dalle prede. Non è un caso che
vivono solo negli zoo (Buenos Aires, Londra, ecc.). Peraltro, ciò che smentisce la derivazione di
62
Arcidiacono, pp. 48-49, 50, 99.
Arcidiacono, pp. 87-88.
64
DaviesM, p. 248.
65
Arcidiacono, pp. 98-99, 100.
66
Arcidiacono, p. 39, cf. pp. 37-44, 48-50, 57-61, 93-103, 107-109, 122; DaviesC, pp. 141ss.
67
Arcidiacono, p. 39.
68
Arcidiacono, p. 98.
69
DaviesC, p. 145.
63
22
una specie dall’altra solo per via di mutazione casuale e attraverso specie intermedie, sta
nell’infecondità delle nuove specie eventualmente prodotte. Gli ibridi sono sterili e ciò rende di
fatto impossibile la transizione in nuove specie. Se sono sterili, come possono riprodursi con quelle
precedenti e trasmettere alle generazioni successive i nuovi caratteri ereditari?
In definitiva, sappiamo bene che le mutazioni sono dannose e non producono vantaggi: per
questo abbiamo rifiutato con referendum la costruzioni di centrali nucleari; e nessuno andrebbe a
costruire la propria abitazione a ridosso di una centrale, sperando che una fuga di radiazioni possa
accrescere i poteri, diventando superman…
4. Gli anelli di congiunzione
Altre obiezioni, più incalzanti, si muovono non contro l’evoluzione delle specie viventi come
tale – che suppone che l’orientamento finalistico delle mutazioni, ossia le «mutazioni
sintropiche»70 – bensì contro la concezione puramente casuale delle mutazioni. Se è vero, infatti,
che diversi esemplari fossili possono essere pensati come anelli di congiunzione tra una specie e
un’altra – pensiamo agli equidi o all’Archaeopteryx, che ha caratteristiche comuni ai rettili e ai
pesci, o al Phenocodus, che presenta nelle ossa caratteristiche che ritroviamo in varai gruppi di
mammiferi71 – in realtà mancano i più importanti resti di specie di transizione: il pesce con le
zampe, ad esempio, che dà il via all’evoluzione sulla terra. Ma soprattutto nel periodo Cambriano
(c.ca 600 milioni d anni fa) compaiono improvvisamente tutti i tipi viventi che avrebbero occupato
la terra e gli oceani, senza che nelle rocce precambiane si trovino i loro fossili progenitori72.
Mancano gli anelli di congiunzione degli invertebrati.
Altre obiezioni che possono esser mosse all’evoluzionismo, osserva S. Arcidiacono, sono
l’esistenza di certe specie viventi che hanno mantenuto immutata la loro forma per centinaia di
milioni di anni (per esempio certe forme radiolari e di foraminiferi e certi artropodi, come gli
scorpioni)»73. Difficile da spiegare, infatti, è «l’esistenza delle forma pancroniche. Molte specie –
scrive ancora S. Arcidiacono – non si sono evolute o quasi dall’origine. Per esempio gli insetti
collemboli sono antichissimi di circa 300-400 milioni di anni e risalgono al periodo devoniano.
Essi presentano una ricca gamma di mutazioni, eppure il loro piano di organizzazione è rimasto
immutato. Tenendo conto che le mutazioni avvengono in tutti gli organismi e la selezione agisce
sempre, tutte le forme dovrebbero derivare. Non si capisce allora perché alcune forme si sono
70
Arcidiacono, p. 114.
Cf. Arcidicono, p. 22.
72
Cf. Arcidiacono, pp. 50-51, 53, 22.
73
Arcidiacono, pp. 22-23.
71
23
trasformate da unicellulari in mammiferi ed altre non sono affatto variate», come i coccodrilli e gli
squali. «I neodarwinisti per spiegare ciò ricorrono alle “nicchie ecologiche”: tali specie non
hanno mutato perché hanno trovato un ambiente adatto al loro genere di vita. Questa spiegazione
non è però soddisfacente e si deve osservare che anche in ambienti che cambiano spesso si trovano
animali pancronici»74. Vi è anche « il fenomeno dell’evoluzione regressiva. Quest’ultimo consiste
in una degenerazione di una specie o di un gruppo: un esempio del genere si riscontra in certi
ammoniti in cui si osservano degli strani avvolgimenti anormali delle conchiglie. Inoltre,
l’esplosione di vita nel paleozoico, per cui si passa da forme di estrema complessità, mal si
concilia con il fenomeno di una lenta e graduale evoluzione»75. Ancora: «l’idea che strutture ed
organi omologhi esistano in animali diversi per eredità da un comune antenato non è avvalorata
da prove scientifiche. Le strutture omologhe dovrebbero essere codificate da geni omologhi, ma
non è così. L’uomo e il pesce hanno lo stesso tipo di occhio, ma l’apparato genetico di questi due
esseri è del tutto diverso […] Quindi, tutte le forme di vita non possono provenire da un antenato
comune»76.
Proprio per la mancanza della prova principale del darwinismo, le forme di passaggio – che fa
dire ad A. Zichichi che il darwinismo non è una dottrina scientifica77 – alcuni studiosi, come S. J.
Gould e N. Eldredge, che pure non contestano la dottrina darwinista, hanno avanzato la teoria
dell’evoluzione per «equilibri punteggiati»78. L’espressione vuole sostanzialmente descrivere
come, dopo lunghi periodi di stasi evolutiva, nuove specie sarebbero apparse all’improvviso per
effetto delle mutazioni genetiche conseguenti a qualche catastrofe naturale. È così che viene
giustificata l’assenza dei fossili di congiunzione. Da qui la polemica sollevata dai darwinisti
ortodossi i quali la ritengono controproducente per la causa darwinista. Questi ultimi, infatti,
proprio per aggirare l’ostacolo dell’alta improbabilità della formazione di nuove specie a partire da
mutamenti improvvisi e vistosi del DNA, preferiscono diluire nel tempo le variazioni pensando ad
accumulazioni gradatamente. La dottrina degli equilibri punteggiati sconfessa la tesi principale del
darwinismo.
Fin qui rileviamo che non sono stati trovati TUTTI gli anelli mancanti del passaggio da una
specie all’altra; ma soprattutto il fatto rilevante è che non ne ESISTONO PROPRIO altri di altra
natura: quelli con il rimescolamento casuale degli organi nelle singole specie. Se, come dicono i
darwinisti, la creazione degli organi è puramente casuale, e sarà il rapporto con mondo circostante
a stabilire ciecamente se sono vantaggiosi o no, dovremmo aspettarci:
74
Ardiciacono, p. 54.
Arcidiacono, pp. 22-23.
76
Aricidiacono, p. 54.
77
Cf. A. ZICHICHI, op. cit., p. 81-93.
78
Cf. Arcidiacono, pp. 61-63.
75
24
a. tutti i passaggi intermedi di ogni organo;
b. la collocazione a caso nelle varie parti del corpo: gli occhi al posto delle orecchie, lo stomaco
al posto del cervello e simili….Tra tutte le innumerevoli possibilità, solo quelle attuali consentono
la vita, e perciò sono state mantenute: ma dove sono le altre infinite possibili varianti?
5. La selezione naturale.
Il concetto darwinista della selezione, inteso come il meccanismo di controllo che impedisce la
sovrappopolazione dei viventi, «non può eliminare la questione del finalismo o sostituirsi ad esso,
in quanto la selezione di per sé non crea nulla di nuovo; essa tende a eliminare le cause
dell’eterogeneità e funziona più conservando il patrimonio ereditario della specie che
trasformandolo»79. Essa «non può agire finché un qualche tipo di forma di vita non si
manifesta»80.
Dunque, la selezione suppone che vi sia già il materiale biologico su cui intervenire e perciò
esistano già le mutazioni favorevoli. In realtà, la formulazione del principio della selezione
naturale, secondo cui “gli organismi più adatti a sopravvivere sopravvivranno meglio»” «è
fondamentalmente tautologica»81, dal momento che non spiega perché i più adatti prevalgono. Non
è sufficiente rispondere che prevalgono perché sono i migliori82.
6. Il caso
L’impianto darwinistico esclude ogni progetto finalistico che viene sostituito con il puro caso e
la cieca necessità. Il meccanismo di mutazione, lento, graduale e cumulativo è in grado di fare
derivare ogni vivente da un altro. La selezione mantiene in vita i più forti e prolifici. Ora, per
verificare la fondatezza matematiche di questo impianto, non possiamo fare a meno di svolgere
qualche considerazione sul concetto di “caso”, la materia prima della sintesi darwinistica.
Le leggi del caso sono studiate da quella branca della matematica che è la statistica. Il caso è un
evento aleatorio, ossia un concorso di circostanze non preferenziali, per cui dire “caso” significa
dire sostanzialmente “equiprobabilità”. Nessun evento è privilegiato rispetto ad un altro. Pertanto,
la probabilità che si verifichi un dato evento è data dal rapporto tra i casi favorevoli e quelli
possibili: p (probabilità) = x (casi favorevoli) / n (casi possibili).
79
Arcidiacono, p. 110, cf. pp. 82-83, 85, 111.
DaviesC, p. 156.
81
DaviesC, p. 141.
82
Arcidiacono, pp. 111, 102.
80
25
Ebbene, le leggi che ricaviamo dell’osservazione sui fenomeni casuali sono le seguenti: il caso
è irregolare, manca di un piano, è incostante e non graduale.
1. Se gettiamo in aria un mazzo di carte, è improbabile che, cadendo, formino una figura
geometrica. Il caso è irregolare.
2. D’altra parte, ogni carta è isolata rispetto al resto del mazzo, per cui nella figura che si viene
a creare ogni pezzo non è coordinato con gli altri secondo un piano, ma ognuna si dispone secondo
la forza del lancio, la direzione, l’eventuale vento che ne può variarne il percorso, ecc. Il caso non
conosce un piano che coordini le parti.
3. Se rilanciamo le carte è improbabile che si dispongano come prima. Il caso è incostante,
perché non privilegia nessuna combinazione su un’altra conservandola e mantenendola a dispetto
di altre.
4. Infine, anche se si dovesse formare un figura, il primo piano di un castello, ad esempio, nei
lanci successivi le carte non si disporrebbero come nei lanci precedenti e per di più aggiungendo
nuovi piani del castello così da formarlo compiutamente dopo un certo numero di lanci. Ogni volta
si ricomincerebbe daccapo buttando giù il livello eventualmente costruito. Il caso non è graduale.
Già queste indicazioni ci presentano il punto debole della dottrina darwinista: l’accumulo lento,
graduale e cumulativo di variazioni genetiche che danno origine a nuove specie. Ma facciamo
anche qualche esempio matematico per rendere più evidente l’alta improbabilità che dal caso si sia
evoluta tutta la varietà delle specie viventi83.
1) Calcoliamo la probabilità (p) che, lanciando una moneta, esca consecutivamente 10 volte
Testa84. Il numeratore è sempre 1 perché i lanci successivi non sono influenzati dai precedenti.
p=1x1x1x1x1x1x1x1x1x1
2
2
2 2
2
2
2
2 2
=
1 = 0,0009765 = 0,0975 %
2
1024
2) Calcoliamo la p che, al gioco della roulette, esca un dato numero (es. il “2”, o il 29”, ecc.)
per 20 volte di seguito. I settori numerati del disco sono 37, tra cui anche la casella dello 0.
p= 1 x 1 x 1 x 1 x 1 x 1 …. fino a 37 volte =
37 37 37 37 37 37
83
1
105551349557778 e 44 zeri
Basterà qui ricordare soltanto il testo classico (dal quale abbiamo tratti gli esempi) di P. F. FONTANI, Linguaggio
matematico, struttura algebrica, probabilità e statistica, Litografia Felici, Pisa 1981; B. DE FINETTI, Teoria delle
probabilità. Sintesi introduttiva con appendice critica, Giuffrè, Milano 2005; P. NEGRINI – M. RAGAGNI, La
probabilità, Carocci, Roma 2005. Sul web sono disponibili diverse dispense di docenti universitari:
http://www.matematicamente.it/sociologia/Appunti%20Probabilit%C3%A0.pdf; http://www1.mate.polimi.it/dispense/
0506CP/
84
Si tratta di una provabilità «composta perché i tentativi si ripetono. In caso contrario avremmo la probabilità «totale».
26
3) Calcoliamo ora la p che da un mazzo di 52 carte si estraggano (successivamente o
contemporaneamente) 4 carte dello stesso colore. Dal momento che l’evento successivo dipende da
quello precedente, il numeratore decresce. I colori, ognuno dei quali comprende 13 carte, sono
quattro; pertanto il risultato va moltiplicato per 4.
p = 13 x 12 x 11 x 10
52
51
50
x 4=
17.160 x 4 =
49
17.160
6.497.400
=
1.624.350
p = 0,010564226
4) E la p che si verifichi un poker determinato (es. di “9”)?
p=4 x 3 x 2 x 1 =
52
51
50 49
24
=
0,0000037 = 0,00037 %
6.497.400
5) E quattro poker di seguito?
0,0000037
x
0,0000037
x
0,0000037
x
0,0000037
che
equivalgono
a
0,0000000000000000000001874, cioè un numero con 21 zeri dopo la virgola…
Ora, proviamo a considerare la probabilità che si sia formata a caso una proteina, che è una
componente importante di una cellula. Gli organismi più semplici ne hanno milioni85. Le nostre
cellule ne contengono 200 milioni di milioni. Il nostro organismo è composto da circa 60 mila
miliardi di cellule. In ognuna di esse è avvolto il DNA, che se srotoliamo per esteso corrisponde a
1 metro e 70 centimetri; è sottile 2 milionesimi di millimetro, pari a 10 atomi. La lunghezza totale
di tutto il nostro DNA è di 102 miliardi di Km86.
Una proteina è composta da 20 tipi amminoacidi, che possiamo rappresentare come una collana
di perline collegate in ordine l’una dopo l’altra mediante un acido che funge da uncino e da un
occhiello (gruppo amminico). La possibilità che si formi a caso una sola molecola di proteina è pari
a «20!», ossia il fattoriale di 20: 1 x 2 x 3 x 4 e così via fino a 20. La moltiplicazione dà il seguente
risultato: 2,4 x 1018, che corrisponde a 2.400.000.000.000.000.000 (2 mila e 400 milioni di
miliardi)87. Se «una piccola proteina contiene tipicamente un centinaio di amminoacidi di 20 tipi
diversi. In una molecola di questa lunghezza gli amminoacidi possono disporsi in circa 10130 (1
85
DaviesD, pp. 92-96.
D. RAVALICO, La Creazione non è una favola, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1986, pp. 96-97, 59-63, 19ss. Una
cellula, e ne abbiamo più di 60 miliardi, è composta da proteine; le proteine sono composte da amminoacidi; gli
amminoacidi da atomi.
87
ID., pp. 79-80.
86
27
seguito da 130 zeri!) sequenze diverse. Centrare a caso quella giusta non sarebbe un’impresa da
poco»88. Nessuno, in definitiva, osservando l’efficienza e il disegno di una proteina formata da
2000 atomi, potrebbe mai pensare che tutti questi atomi si siano disposti per puro caso nella loro
disposizione. La mutazione casuale potrebbe avvenire su una volta su 10 alla 320 potenza (10320), e
quindi non basterebbe a realizzare la proteina
P. Davies fa perciò notare, al riguardo del cosiddetto brodo primordiale89, che «è stato
calcolato che una soluzione concentrata di amminoacidi, lasciata a se stessa, dovrebbe avere un
volume pari all’universo visibile perché in un suo punto, andando contro la marea
termondicamica, si formasse un solo breve polipeptide» (cioè una proteina)90. E in ogni caso,
aggiunge D. Ravalico, quand’anche si formasse tale proteina, dal momento che il caso non è
graduale, tale polipeptide sia sarebbe unito e disunito continuamente senza sosta e senza risultato.
Allungando il tempo aumentano le difficoltà perché aumentano le possibilità di distruzione91.
Dunque il caposaldo del darwinismo, secondo cui aumentando innumerevolmente i tentativi alla
fine “per forza” si sarebbe formata la vita non regge.
Quindi, se le probabilità che vanno contro l’eventualità di ottenere una molecola proteica, con
una data sequenza, accozzando amminoacidi a caso, sono «fantasmagoriche», quanto più riducono
le probabilità che il processo spontaneo che conduca ad un vivente. Scrive ancora P. Davies: «la
vita, come la conosciamo oggi, richiede centinaia di migliaia di proteine specializzate, per non
parlare degli acidi nucleici»
LE PROVE
Ecco, allora, qualche dato altamente significativo in merito alla probabilità della formazione
casuale della vita.
1. «Le probabilità contrarie alla sintesi puramente casuale delle sole proteine sono circa
1040.000. Ciò significa 1 seguito da 40.000 zeri, un numero che, scritto per esteso, occuperebbe
un intero capitolo di questo libro. Al confronto, ottenere un poker 1000 volte di fila è un gioco
da ragazzi. È nota l’osservazione dell’astronomo britannico Fred Hoyle, secondo cui le
probabilità che un processo spontaneo metta insieme un essere vivente sono analoghe a quelle
che una tromba d’aria, spazzando un deposito di robivecchi, produca un Boeing 747
perfettamente funzionante»92. Infatti, sostenere «che la complessità e varietà della vita siano
88
DaviesD, p. 95.
DaviesD, pp. 83-100.
90
DaviesD, p. 94.
91
Cf. D. RAVALICO, op. cit., pp. 90-92; DaviesD, p. 93.
92
DaviesD, p. 100.
89
28
derivate da mutazioni casuali, cioè da errori e dalla loro cieca selezione» è anche «come
aspettarsi che una moltitudine di scimmie, dotate di macchine da scrivere, scrivano, insieme
ad un mare di inesattezze, un libro leggibile»93.
2. «È possibile calcolare approssimativamente la probabilità che il continuo spezzarsi e
riformarsi delle molecole complesse presenti nel brodo primordiale abbia prodotto, dopo un
miliardo di anni, un piccolo virus. Il numero di combinazioni chimiche differenti è talmente
enorme che tale probabilità è minore di 1 su 102.000.000. Cioè, per capirsi meglio, meno
probabile che ottenere testa sei milioni di volte di seguito lanciando una moneta. Se anziché
un virus si prende invece in considerazione una qualunque ipotetica molecola più semplice
capace di riprodursi le probabilità favorevoli potrebbero considerevolmente aumentare, ma
con numeri di questo tipo la conclusione non cambia: la spontanea generazione della vita a
partire dal mescolamento molecolare casuale è un evento ridicolmente improbabile»94.
7. L’evoluzione dell’uomo
Le considerazioni svolte finora valgono, a fortiori, anche per l’evoluzione dell’uomo. Tanto più
che il processo evolutivo che dai primati conduce all’uomo è di una rapidità sorprendente. Per
capirci, tracciamo la linea evolutiva umana, per rendercene conto.
1. Tra i più remoti antenati comuni a uomini e scimmie troviamo il Proconsul (o Dryopithecus
africanus), vissuto circa 30 milioni di anni fa.
2. La prima scimmia antropomorfa che discese dagli alberi per vivere al suolo è il Ramapiteco,
vissuto tra i 12 e gli 11 milioni di anni fa. È il primo ominide, ossia un essere che mantiene la
posizione eretta. Il Ramapiteco va annoverato tra gli stadi evoluti delle scimmie, per la
precisione dell’Orango asiatico.
3. Le scimmie e gli uomini cominciano a differenziarsi tra i 6 e i 4 milioni di anni fa.
4. I primi resti fossili di un certo rilievo sono quelli rinvenuti circa 3,6 milioni di anni fa in Etiopia,
di un celebre individuo femminile, battezzato Lucy. Appartiene al genere Australopitecus
afarensis. Lucy si pone su una linea laterale rispetto alla linea evolutiva dell’uomo perché è una
forma preumana, anche se viene ritenuto un antenato o un cugino dell’uomo95. Questo ominide
misura circa un metro, la capacità cranica ospita un cervello piccolo, di ca. 500 cm3 (oggi è di
ca. 1400). Tra i 4 milioni di anni fa fino a 1,5, compaiono altre specie di Australopiteco:
Ramidus, Anamensis (più antico di Lucy), da 4.2 a 3,9; Africanus, dai 3 ai 2,3 milioni di anni
fa, con capacità cranica di 500 cm3 ; Aethiopicus, circa 2,8 milioni di anni fa; Garhi, circa 2,5 di
93
Arcidiacono, pp. 111, 48; R. LAURENTIN, op. cit., p. 48.
DaviesC, pp. 153-154.
95
FacchiniU, pp. 19, 26-28.
94
29
milioni di anni fa); Boisei, dai 2,3 a 1,4 di milioni di anni fa; Robustus, da 1,9 a 1,5 di milioni
di anni fa.
5. Il genere Homo appare circa 2,5 milioni di anni fa con l’Homo habilis. Il genere Homo si
differenzia dai precedenti a motivo di alcune caratteristiche particolari: il cervello è più
sviluppato (da 700 a 800 cm3); possiede la capacità di fabbricare rudimentali strumenti di pietra
o legno; è altro tra 1,25 e 1,35 m. La peculiarità è nel comportamento intenzionale, per cui
conosce la connessione mezzo-fine96.
Forse preceduto dall’Homo ergaster, vissuto da 1,7 a 1,5 milioni di anni fa, compare l’Homo
erectus (o Pithecantrhropus erectus) tra 1,7 e 100 mila anni fa. È il primo ominide ad utilizzare il
fuoco: per cuocere, cacciare i predatori, ecc. Costruisce raffinati utensili utilizzando l’amigdala,
una selce a forma di mandorla lavorata su due lati e quindi appuntita come una lama. Ciò dimostra
la capacità astratta della simmetria97. La capacità cranica oscilla tra gli 800 e i 1200 cm3. Possiede
l’articolazione della parola. La prima forma di religiosità, ma ancora, dubbia, si presenta con
l’Erectus con il culto dei crani, 400.000 anni fa. Secondo alcuni studiosi dall’Homo erectus si
passa al Neanderthal tramite l’Heidelbengensis, vissuto circa 500 mila anni fa. L’Homo antecessor
è vissuto circa 800 mila anni fa.
L’Homo neaderthalensis vive dagli 80 mila ai 37 mila anni fa. È tra le specie umane più
studiate. Si tratta di un individuo più robusto e muscoloso dell’uomo moderno e ha una capacità
cranica ancora maggiore della nostra. Il volto è prominente. Compaiono le prime forme certe di
spiritualità perché usa seppellire i morti, spesso con cibo e armi, dando prova di un elevato livello
di civiltà e attestando la diffusione di convinzioni religiose come la sopravvivenza dopo la morte.
La più antica sepoltura conosciuta risale a 80.000 anni fa98. Recentemente è stato escluso che vi
siano stati incontri fecondi con l’Homo sapiens sapiens, che la specie alla quale apparteniamo.
Dunque non abbiamo un legame diretto con i Neandertaliani.
I primi individui di Homo sapiens sapiens sono stati trovati 40 mila anni fa a Cro Magnon, in
Francia. È con il Sapiens che abbiamo maggiori testimonianze di produzioni culturali e perciò
simboliche, soprattutto in tre direzioni: le sepolture, le pitture e le raffigurazioni umane99.
- Le sepolture. la posizione dei cadaveri è rannicchiata, in forma fetale, che è il tipico
atteggiamento del bimbo nel seno materno; inoltre sono orientati a oriente, in sintonia con l’ascesa
dell’anima con il sorgere del sole. I corredi funerari si arricchiscono di lame di selce, pendagli di
96
Ibid., p. 41.
Ibid.
98
P. ANGELA – A. ANGELA, La straordinaria storia dell’uomo, Osar Mondatori, Milano 1993, p. 272; cf. FacchiniU,
pp. 78-85.
99
Cf. FaccchhiniU, pp. 78-98, Sulla problematica, si veda anche A. N. TERRIN, Introduzione allo studio comparato
delle religioni, Morcelliana, Brescia 19982, pp. 41-53.
97
30
avori, collane di denti di cervo. È la dotazione per un’altra vita, simbolizzata anche dall’uso dei
defunti dell’ocra rossa (il colore del sangue)100.
- Le pitture. Infatti, la produzione artistiche del paleolitico superiore (35 mila – 10 mila anni
fa) dimostra che l’uomo raggiunge la piena consapevolezza di sé e del mistero che lo circonda,
documentata dalle raffigurazioni animali sulle pareti delle grotte101 – la cui interpretazione non si
può limitare al senso sciamanico, visto che solo il 10% delle frecce colpisce i grandi i bisonti
affrescati102 – ed anche umane, divine e astratte103. Nell’ambito dell’arte rupestre vanno segnalati i
dipinti nella grotte di Altamira, in Spagna, i cui affreschi più antichi risalgono ad un periodo
compreso tra i 27.000 e i 20.000 anni fa. Per la loro bellezza sono stati definiti la “Cappella
Sistina” della preistoria. Sempre in ambito di raffigurazioni di animali, vanno ricordate anche le
grotte di Lascaux, in Francia, risalenti a 17.000 anni fa.
Le statuette. Nel Paleolitico superiore (da 30.000 a 12.000 anni fa) comincia un’ampia e
capillare produzione di statuette raffiguranti la Dea Madre, la divinità suprema e unica, legata al
culto della fertilità per lo sviluppo esagerato dei caratteri sessuali secondari (le mammelle)104.Le
più note sono la Venere di Willendorf, in Austria, risalente a circa 25.000 anni fa; e quella di
Dorgogna, in Francia, di 20.000 anni fa.
Questa breve carrellata del processo evolutivo umano vuole mettere in rilievo almeno due
aspetti.
In primo luogo, il rapido processo di cerebralizzazione, accompagnato da modificazioni,
oltre che nel cranio, anche nella mano, che diventa capace di fabbricare strumenti, nonché di
deambulare105. Ciò significa uno sviluppo esponenziale di cellule, in particolare di tipo neuronale.
Ciò va chiaramente contro la tesi della lento accumulo di variazioni a livello biologico.
In secondo luogo, il salto qualitativo che differenzia l’uomo rispetto alla linea evolutiva delle
scimmie, rappresentato da alcuni importanti fattori: il linguaggio articolato, simbolico e astratto
– diverso da quello dei segnali degli animali e derivato dallo sviluppo cerebrale –, l’autocosciensa
e autodeterminazione; infine la tecnologia. Sono tutti aspetti di una natura spirituale che segna la
differenza con il mondo delle scimmie. L’uomo, quindi, non è una scimmia particolarmente
evoluta106.
100
Cf. FaccchiniU, pp. 83-85.
FacchiniU, pp. 87-96. Tale produzione può essere visionata, tra gli altri, in D. VIALOU, Preistoria. Le origini
dell’arte, Corriere della Sera – Rizzoli, Milano 2005, pp. 23-33, 89-146.
102
Cf. Guerra, pp. 312, 230.
103
Cf. F. VIALOU, op. cit., pp. 190-229.
104
Cf. Guerra, pp. 19-28, 233-234, FacchiniU, pp. 85-87. Per la documentazione delle Veneri scolpite, si veda D.
VIALOU, op. cit., pp. 37-87, 48-53, 84-89, 176-181, 51-52, 64, 67-69.
105
Cf. FacchiniU, p. 42.
106
Cf. FacchiniU, pp. 36-48, 56-63.
101
31
4. Valutazioni conclusive
In questo lungo percorso abbiamo focalizzato l’attenzione sulla prima questione connessa alla
ragionevolezza della fede: l’esistenza di Dio. È una conoscenza che non appartiene, propriamente,
alla fede, ma alla ragione. La fede nella sua Parola suppone, come presupposto o fondamento, che
Dio esiste. Le obiezioni che possono essere sollevate contro l’esistenza di Dio vanno risolte
esclusivamente sul piano razionale. Se la ragione non è in grado di conoscere con certezza e con le
sue forze che Dio esiste ed è all’origine del mondo, la fede non potrà in alcun modo garantirla.
Dalla formazione dell’universo alla comparsa dell’uomo, tutta una serie infinita di fattori, così
incastonati e connessi, sembra che sia costruita da un progetto teso alla comparsa della vita e, in
particolare, dell’Homo sapiens sapiens. Dalle costanti fondamentali della natura alla la presenza
sulla Terra di una serie di circostanze concomitanti favorevoli (acqua, ossigeno, distanza dal Sole
giusta, ecc.), tutto fa pensare che “dietro” vi sia un progetto. La scienza si limita a spiegare i
processi fisico-chimichi, ma non spiega il senso dell’esistenza.
Anche il cammino evolutivo dei viventi, sorprendentemente in ascesa lascia intuire che vi sia
un disegno sottostante. Ebbene, l’insieme di questi elementi può avere solo due spiegazioni
possibili: o che le leggi fisico-chimiche siano preferenziali verso la vita107, e c’è da chiedersi
perché, o è tutto frutto del caso. È senz’altro possibile statisticamente possibile che tra le infinite
probabilità noi ci troviamo proprio in quella giusta, plausibilmente l’unica, che ci consente di
esistere. Ma è più ragionevole credere «che siamo solo un bizzarro scherzo della natura, o il
prodotto atteso di un universo ingegnosamente predisposto alla vita?»108. Siamo capitati
nell’unica probabilità favorevole tra gli infiniti casi possibili, o piuttosto, proprio perché tutto è
così altamente improbabile, «vi è qualcosa dietro a tutto ciò. [Infatti] l’impressione
dell’esistenza di un disegno globale è schiacciante»109. Ma proprio questo è il punto: non è solo
un’impressione, ma una certezza matematica. Per esser più esatti, non si tratta tecnicamente di una
certezza matematica, ma di una certezza di fatto matematica. Infatti le probabilità a favore della
formazione casuale dell’universo e della nostra esistenza in esso, come abbiamo visto, sono
talmente basse da rasentare pressoché lo zero. In questo senso, la certezza di fatto matematica è
una dimostrazione, ossia, in senso lato, un ragionamento certo, inconfutabile, incontrovertibile. Il
filosofo B. Pascal parlava di Dio in termini di scommessa. Ma la scommessa cui si riferiva non è
quella nella quale si hanno 50% di probabilità che Dio ci sia e altrettante che non esista, bensì di
107
FacchiniA, p. 15; DaviesD, pp. 275-308.
DaviesD, p. 278.
109
DaviesC, p. 261.
108
32
una scommessa sicuramente “vincente”110. Si può scommettere che Dio esiste perché la stessa
matematica ci garantisce che si tratta della scelta più ragionevole. La riprova? Se giocando alla
roulette cominciasse a uscire un dato numero per la prima volta, poi la seconda, e la terza, poi la
quarta, e quinta fino alla ventesima volta consecutiva, e oltre, chi di noi affermerebbe sensatamente
che si tratta di pura casualità e non sospetterebbe, a ragione invece, che il gioco è truccato? Perché
è altamente improbabile che lo stesso numero esca così tante volte? Perché, lo abbiamo visto, il
caso è assolutamente equiprobabile, a meno che la ruota non sia orientata, come nel caso di una
calamita posto sotto il disco o la casella del numero “fortunato” molto più grande degli altri, così
da orientare il risultato. È esattamente quanto accade in natura. Le leggi naturali sono preferenziali,
ossia orientate alla formazione della vita e dell’uomo111. Capovolgiamo la situazione della nostra
roulette per rendere più incisivo il ragionamento. Sostenere che noi e il nostro mondo siamo frutto
del caso è come scommettere tutto quanto si possiede che esca di seguito, su una roulette
perfettamente funzionante, “almeno” venti volte un numero desiderato. Venti volte è un numero
indicato a dir poco per eccesso di difetto. P. Davies ci ha offerto, invece, una seppur minima idea
delle vere proporzioni in campo. E tuttavia, quale persona, sana di mente, scommetterebbe una
somma di rilievo anche solo per venti volte? Non si tratterebbe, piuttosto, di una scelta scellerata e
irragionevole, vista la certezza di fatto matematica di non avere nessuna possibilità di vittoria?
Ebbene, affermare che Dio non esiste equivale proprio a dichiarare di essere certi che il numero
desiderato esca per venti volte di seguito, pur con la sua elevata probabilità, tanto da scommetterci
sopra.
Per concludere, la Mente sapiente e potente (cf. Rm 1,19-21; CCC 268, 279ss.) che sta dietro le
leggi e le proprietà dell’universo, è Dio, che le ha così determinate e le mantiene continuamente
nell’esistenza. Diversamente non esisterebbero né leggi né cosmo. L’universo si può spiegare
facendo ricorso diretto alle leggi che lo reggono. E ciò ha favorito lo sviluppo autonomo delle
scienze empiriche. Ma indirettamente è Dio «la causa prima» dell’universo perché Egli «opera
nelle e per mezzo delle cause seconde» (CCC 308). La storia evolutiva dell’universo, fino
all’uomo, si lascia interpretare come «una serie di fotogrammi successivi» che rappresentano «una
serie di eventi che sembrano finalizzati all’uomo, anche se molte direzioni evolutive non hanno un
rapporto con la linea umana La comparsa dell’uomo viene vista da Teilhard de Chardin come “la
freccia dell’evoluzione”. Guardando il processo evolutivo nel suo insieme e nella successione di
comparsa dei vertebrati (pesci, anfibi, rettili, mammiferi, uccelli) tutto si svolge come se l’uomo
110
111
B. PASCAL, Pensieri, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1988, nn. 184-241.
DaviesD, pp. 275-308.
33
costituisca il punto di arrivo privilegiato dell’evoluzione»112. Si tratta di un «finalismo reale,
realizzato attraverso una catena di eventi naturali, determinati da cause seconde, presenti nella
mente di Dio»113.
Pertanto, «che l’universo risposta a un disegno di Dio (in qualunque modo sia realizzato,
anche con modalità apparentemente casuali) è da ammettersi sulla base di un retto
ragionare»114. Raggiungiamo così il vertice più alto e nobile di quanto la conoscenza umana possa
indagare con le sue forze, ossia l’esistenza del Creatore cui protendersi e cui elevare il culto e
la lode con la religione115. Non resta che aprirsi all’azione di Dio che cerca l’uomo per
comunicarli la propria vita divina. È quanto si realizza in particolare nella storia della salvezza,
cominciata dai progenitori e culmina in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, credendo il quale si ha la vita
(Gv 3,16; 17,3).
112
FacchiniA, pp. 20-21.
Ibid., p. 21.
114
Ibid., p. 23.
115
È questo, secondo F. FIORNETINO, Filosofia e religione in S. Tommaso e Kant, Editrice Domenicana Italiana,
Napoli-Bari 1997, pp. 196-200, 224, 259, 294, 303, il senso ultimo della dimostrazione tomista dell’esistenza di Dio.
113
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