Il dialogo in una società della conoscenza

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Università per la Formazione Permanente degli Adulti
"Giovanna Bosi Maramotti“
RAVENNA
Il dialogo in una società della conoscenza
Ravenna è una città di medie dimensioni, capoluogo di provincia,con oltre 150.000 abitanti (per la
precisione, 157.459 abitanti al 31.12.2009) e un indice di vecchiaia (rapporto tra la popolazione
anziana - 65 anni e oltre - e quella più giovane – 0/14 anni) del 189,7 %, uno dei più alti in Italia.
Oltre il 23 % della popolazione ha più di 65 anni di età e la maggior parte della popolazione anziana
vive nell’area urbana.
Un sistema di welfare molto capillare che soddisfa la domanda di assistenza sociale e sanitaria,
servizi pubblici diffusi e accessibili, una rete solidaristica e associativa (volontariato sociale) molto
ricca, una buona qualità della vita complessiva favoriscono l’allungamento della speranza di vita e
la prolungata autosufficienza degli anziani.
Una felice intuizione dell’Università per la formazione permanente degli adulti “Giovanna Bosi
Maramotti“ è stata quella di affrontare il tema dell’integrazione – interazione dei cittadini stranieri
con e nella comunità locale attraverso incontri di approfondimento lontani dallo schema classico
della lezione frontale/verticale e caratterizzati invece da una forma dialogica-orizzontale di incontro
e confronto.
Faccio riferimento all’esperienza dei cineforum e dei seminari presso i centri sociali per anziani.
La prima esperienza, quella dei cineforum, è costituita dalla proiezione, presso una sala
cinematografica cittadina, di un film sul tema e dal successivo scambio di impressioni ed opinioni
sulla pellicola e sul tema affrontato dalla pellicola, scambio guidato da esperti del settore come
esponenti dell’amministrazione comunale che si occupano di servizi per i cittadini stranieri,
sociologi, rappresentanti delle forze di polizia, avvocati, insegnanti ecc.
La seconda esperienza, invece, consiste nel raggiungere direttamente la comunità anziana
autogestita negli spazi dei tanti centri sociali presenti in città e dialogare non tanto sui massimi
sistemi e i principi generali che governano il tema dell’immigrazione ma piuttosto sulle esperienze
quotidiane rivelatrici di problematiche/opportunità all’incrocio tra culture, lingue, tradizioni
differenti.
Nel corso degli incontri all’interno dei centri sociali, per esempio, è stato affrontato il rapporto
badante-badato dove usualmente il badato è un anziano di nazionalità italiana e la badante è una
donna di origine straniera: nella formazione dell’adulto è sempre importante l’aspetto dinamicorelazionale e l’acquisizione di informazioni e conoscenze direttamente ed immediatamente
spendibile nell’esperienza quotidiana.
Di qui l’utilità di affidare la guida dei dialoghi all’interno dei centri sociali a un avvocato
immigrazionista, esperto della materia e come tale capace di rispondere alle tante domande che
l’esperienza quotidiana fa sorgere ma alle quale non offre risposte certe ed univoche.
Ulteriormente, oltre alla figura professionale-legale, il dialogo è stato partecipato da un cittadino di
origine straniera ormai perfettamente integrato nella comunità locale che ha offerto il punto di vista
dell’ “altro” capo del discorso, allargando l’orizzonte di approfondimento, appunto, in una
dimensione di orizzontalità-paritarietà, nonché da una cittadina italiana di origine straniera
impiegata presso un’associazione imprenditoriale che ha rovesciato in positivo lo stereotipo tipico
che vede il cittadino straniero come usuale fruitore di un servizio (in questo caso di consulenza alle
imprese artigiane) e non come erogatore qualificato dello stesso servizio.
Sotto il profilo più strettamente culturale è stata sollecitata dalla popolazione anziana l’indicazione
delle regole codificate che disciplinano in Italia il fenomeno migratorio, attraverso l’analisi delle
norme fondamentali in materia, partendo dai principi costituzionali.
Uno dei temi che hanno suscitato maggiore interesse è stato quello della libertà religiosa al centro
dell’incontro tra culture differenti.
Si ritiene opportuno, riprendere integralmente il contenuto di tale tema specifico.
In Italia si è sviluppato da tempo un dibattito a tutti i livelli istituzionali sul tema della libertà di
culto, con particolare riferimento ai casi di molte città in cui comunità religiose di cittadini stranieri
(ma anche autoctoni) - radicate e numericamente significative - rivendicano il diritto di riunirsi per
la preghiera in luoghi all’uopo attrezzati.
Il tema, oltre a rivestire una indubbia valenza socio-politica, investe anche questioni di carattere
giuridico: chi scrive è convinto che una conoscenza non superficiale e non strumentale delle regole
giovi alla serenità del confronto e alla ragionevolezza delle decisioni pubbliche.
Nel continente europeo e nella storia politica e giuridica dei paesi occidentali la libertà religiosa è il
primo ed il più antico diritto civile rivendicato nei confronti del potere politico.
Uno degli aspetti meno indagati è proprio quello del livello di conoscenza che i soggetti coinvolti
nei processi di integrazione culturale e politica hanno del sistema di regole in cui tutti i fenomeni
socialmente rilevanti si inscrivono: persino lo stadio che precede logicamente e materialmente il
processo di integrazione e cioè quello del dialogo e del confronto con l’altro da sé è governato da
regole che, se conosciute e rispettate da tutte le parti in gioco, aiutano a costruire percorsi condivisi
e non conflittuali.
Tra queste regole, prima e direi anche a prescindere da “dichiarazioni d’intenti”, “intese” e “carte
dei valori” (di cui pure non si nega la valenza culturale/simbolica) occorre citare la Costituzione.
L’art. 8 della Costituzione italiana stabilisce che “Tutte le confessioni religiose sono egualmente
libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di
organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico
italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative
rappresentanze.”
L’art. 19 della Costituzione italiana stabilisce che “Tutti hanno diritto di professare liberamente la
propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di
esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.”
Queste due norme settoriali di disciplina del fenomeno religioso si inseriscono in un “sistema di
libertà” che tutela profili differenti e complementari di detto fenomeno, sia nella sfera individuale
che nella sfera collettiva/comunitaria.
La libertà di manifestazione del pensiero è tutelata dall’art. 21 della Costituzione, nonché dall’art.
10 della Convenzione Europea dei Diritti Umani e dall’art. 19 della Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’Uomo.
Orbene, nel concetto di libertà di manifestazione del pensiero è compresa la libertà di esprimere i
contenuti del proprio credo religioso, anche nella prospettiva del proselitismo: comunicare la
propria credenza, manifestarla attraverso segni esteriori riconoscibili, attraverso la parola, lo scritto,
i mezzi di comunicazione di massa sono attività che non tollerano compressioni o ingerenze della
pubblica autorità, finché non contrastino con la tutela di beni di pari rango costituzionale (diritto
alla vita, diritto alla dignità sociale…).
Altresì, mi pare qui opportuno sottolineare un dato testuale significativo: l’art. 21 afferma che “Tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”, con ciò parificando cittadini italiani e
stranieri, in quanto tale diritto afferisce sicuramente ad uno dei diritti fondamentali della persona
umana.
La stessa legislazione ordinaria in materia di immigrazione, prevede che “Allo straniero comunque
presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della
persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e
dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti” (art. 2 comma 1 D.Lgs. 286/98
recante “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero”): la latitudine di tale diritto è tale che la posizione di soggiorno del
cittadino straniero (regolare, irregolare, in fase di regolarizzazione) è del tutto irrilevante.
Accanto alla libertà di manifestare il proprio pensiero vi è quella di riunione (art. 17 Costituzione),
giusta la quale “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi”, con le sole
limitazioni dovute a “comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”: il dato testuale che
appare limitare la tutela ai soli “cittadini” è in realtà superato dall’ascrivibilità del diritto di riunione
a quei “diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali” che la
Repubblica “riconosce e garantisce” con l’art. 2.
In argomento, è opportuno osservare che, sul versante della legislazione ordinaria, la Legge
205/1993 (Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa) punisce
chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti simboli propri delle
organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi razzisti o xenofobi.
Da ultimo, la libertà di associazione è sancita dall’art. 18 della Costituzione, con il solo limite del
divieto di perseguire fini che siano vietati al singolo dalla legge penale.
Il “sistema di libertà” appena delineato si salda con un principio cardine dell’ordinamento, quello di
uguaglianza e non discriminazione (art. 3 Costituzione): in base ad esso la religione non può essere
motivo di distinzione o di trattamento diseguale o di trattamento discriminatorio, in quanto tutti gli
individui hanno “pari dignità sociale” e sono “eguali davanti alla legge”.
Dal quadro complessivamente tratteggiato emerge che tutti gli individui, con i limiti sopra indicati,
sono liberi di coltivare il proprio culto, di manifestare esteriormente il proprio credo (con parole,
oggetti, simboli, comportamenti), di fare proseliti, ma anche di non coltivare alcun credo religioso.
In questi principi e in questi valori si coagula la sostanza del principio di pluralismo e laicità dello
Stato italiano, che secondo la Corte Costituzionale (sentenza 203/1989) “implica non indifferenza
dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di
religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale.”
Non può essere trascurata, in questa sia pure parziale disamina del sistema di regole che presiedono
all’esercizio del diritto di culto e alla libertà religiosa, un cenno all’art. 9 della Convenzione
Europea sui Diritti Umani, secondo il quale “La libertà di manifestare la propria religione o il
proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono state stabilite dalla
legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza,
alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti o delle
libertà altrui.”
L’esperienza umana insegna che l’effettività dei diritti proclamati solennemente dalle Costituzioni e
dalle Convenzioni Internazionali si misura nella concretezza delle scelte che i cittadini operano,
nelle decisioni che le pubbliche amministrazioni assumono, nelle sentenze che i tribunali emettono,
nel clima culturale e nel contesto sociale in cui si calano.
In questa prospettiva, la libertà religiosa costituisce uno dei terreni più fecondi di incontro tra
culture differenti e di stimolo politico alla ricerca di soluzioni condivise e non conflittuali.
Il secondo più significativo tema affrontato nei dialoghi presso i centro sociali è stato “Il percorso
dell’integrazione e del dialogo secondo le regole della Costituzione”.
Di seguito, si indicano gli articoli fondamentali richiamati: 2 diritti inviolabili dell’uomo - 3
eguaglianza - 8 libertà delle confessioni religiose - 10 condizione giuridica dello straniero e asilo
costituzionale - 11 ripudio della guerra - 13 libertà personale - 19 libertà individuale di religione 24 diritto inviolabile alla difesa - 31 tutela della maternità e dell’infanzia - 32 diritto alla salute 34 diritto all’istruzione - 41 libertà d’impresa e limite dell’utilità sociale, sicurezza, libertà, dignità
umana - 53 no taxation without representation.
Queste le tappe fondamentali del percorso:
9 Nel concetto di libertà stanno i diritti insieme ai doveri, perché ogni libertà è esercizio di un
diritto e allo stesso tempo è dovere di rispettare l’altrui diritto
9 Nell’era contemporanea viviamo il passaggio dalla “libertà mediante lo Stato” (paradigma
dei primi diritti sociali) alla “libertà mediante la società” (paradigma dei nuovi diritti
sociali): è una sfida che chiama in causa la nostra responsabilità individuale e comunitaria –
il processo di integrazione non è tutto delegabile allo Stato, una parte consistente della
costruzione compete ai cittadini singoli e alle loro formazioni sociali
9 Il rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo deve essere il patrimonio comune minimo su cui si
costruisce il dialogo e può fiorire il bene e il bello dell’integrazione
9 Immigrazione fenomeno strutturale e non episodico: richiede regole strutturali e non
episodiche/emergenziali
9 I diritti fondamentali non tollerano deroghe e discriminazioni: salute, scuola, casa sono
diritti di cittadinanza universale, che non possono essere compressi in ragione dell’origine
straniera della persona ma certo devono essere regolati
9 I diritti dei bambini hanno la precedenza su tutto: art. 31 Costituzione, Convenzione di New
York sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata dall’Italia con Legge 176/1991
9 La Costituzione italiana ci suggerisce il percorso e le regole di una buona integrazione tra
mondi, persone, culture, religioni diverse: le leggi, le prassi, i comportamenti devono
seguire quel percorso e rispettare quelle regole per portare a risultati fecondi e duraturi
Per la collaborazione ai dialoghi presso i centri sociali desidero ringraziare la Dott.ssa Fatou
Boro Lo, responsabile provinciale di C.N.A. World e Iochebet Chaleb Tunad, imprenditore edile.
Ravenna, novembre 2010
A cura di avv. Andrea Maestri
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