Maurizio Ambrosini, Sociologia delle migrazioni. Il Mulino, Bologna

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Maurizio Ambrosini, Sociologia delle migrazioni. Il Mulino, Bologna 2005;
pp. 294
Recensione di Francesca Lazzari (aprile 2007)
Dottorato in Scienze della Cognizione e della Formazione, Cà Foscari Università, Venezia, Dipartimento di Filosofia e
Teoria della Scienza – Centro di Eccellenza per la Ricerca l'Innovazione e la Formazione Avanzata
([email protected])
Review by Francesca Lazzari (April 2007)
PhD in Cognitive and Educational Sciences, Cà Foscari University, Venice, Department of Philosophy and Theory of
Science – Centre of Excellence for Pedagogical Research and Advanced Learning
Abstract
In questo saggio Maurizio Ambrosini presenta un'introduzione a una disciplina sempre più frequente nei curricula
universitari. Il testo analizza le migrazioni internazionali, fenomeno che sta cambiando il volto della società in cui
viviamo e pone sfide inedite alla convivenza sociale. Pensato per un impiego didattico, il volume dà spazio a questioni
definitorie, a tipologie e schemi sintetici al fine di favorire un apprendimento sistematico e ragionato. Pur insistendo
sulla dimensione socio-economica, l'autore ha dato il necessario rilievo a quegli aspetti del problema che riguardano la
famiglia, l'educazione dei minori, le politiche migratorie, i problemi della devianza e della xenofobia. Ambrosini affronta
i rapporti tra cittadinanza economica e cittadinanza sociale, i percorsi che producono integrazione o marginalità, la
costruzione di vecchie e nuove identità sociali.
With this book Maurizio Ambrosini provides an introduction to a discipline which is more and more frequently found in
university curricula. The text intends to analyse international migrations, a phenomena that is changing the face of
society in which we live and places new-found challenges on social coexistence. Conceived for didactic purposes, the
book covers questions about definitions, typologies and synthetic schemes in order to favour a systematic and
reasoned learning. Although he insists on the social-economical dimension, the author has given the necessary
exposure to those aspects of the problem which regard family, education of minors, migratory policies, problems of
deviance and xenophobia.
Recensione
L’approccio di analisi dei processi migratori proposto dall’autore è esplicitamente
pluridisciplinare : le migrazioni internazionali sono individuate come un nodo tematico
interpretabile attraverso l’intersecarsi di svariati contributi (scienza della politica, psicologia e
pedagogia sociale , storia sociale, demografia, geografia umana, antropologia, economia,
scienza dell’educazione …) . L’analisi di Ambrosini muove dalla constatazione che lo stare
insieme di una comunità si basava sulla solidarietà tra simili, derivante dall’idea di una comune
appartenenza geografica, etnica, culturale, linguistica e, per molti, anche religiosa (Cfr.
Kymlicka 1999) e che le migrazioni contemporanee ci obbligano a riscrivere il patto di
convivenza e cittadinanza adattandolo alla società post-nazionale, post-fordista, plurale, fluida,
cangiante. Le migrazioni hanno natura processuale e interattiva, sono in continua e rapida
evoluzione, rielaborano e costruiscono socialmente in divenire l’interscambio con le società
riceventi.
Il testo privilegia le prospettive interpretative del fenomeno fornendo, quindi, pochi dati
descrittivi, utilizzati essenzialmente solo per inquadrare alcune dimensioni delle tematiche
affrontate . Tale scelta metodologica permette, a mio avviso, maggior spessore e, sdoganando
le riflessioni culturali e politiche inerenti le migrazioni dalle variabili quantitative (esistono
ottimi rapporti annuali di carattere statistico che ben documentano i fenomeni ), evidenzia le
rappresentazioni sociali delle società ospitanti.
Altra caratteristica metodologica rilevante e originale del testo sta nel non operare una scelta
netta in favore di uno dei termini semantici con cui si definisce il fenomeno di interazione dei
migranti nelle società ospitanti. Ambrosini usa le categorie definitorie di “integrazione,
inclusione, incorporazione” rivelandone limiti e valenze, dando testimonianza dell’attuale
dibattito, soprattutto americano, dal quale riemergono termini quali “assimilazione”
reinterpretati in modo politically correct nel senso di “trattare come simili”.
Ambrosini utilizza il termine integrazione e i suoi sinonimi nell’accezione data nel 2000 dalla
Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati e cioè intesa come “interazione
positiva , basata sulla parità di trattamento e sull’apertura reciproca tra società ricevente e
cittadini mmigrati”.
Il testo introduce con rigore, ampia documentazione e riferimenti bibliografici ragionati le
principali coordinate necessarie allo studio delle migrazioni internazionali. Pur nella fluidità
della semantica dei termini utilizzati in ambito sociologico, Ambrosini ci offre uno sforzo
definitorio aggiornato e storicamente connotato. Il quadro di contesto da cui muovono
riflessioni e interpretazioni percorre fasi, tipologie, tendenze evolutive che hanno
contraddistinto e che percorrono i movimenti migratori internazionali contemporanei.
Identifica le differenti prospettive sociologiche che analizzano le cause producenti e orientanti i
movimenti migratori: quelle macrosociologiche che pongono l’attenzione alla segmentazione
globale del mercato del lavoro, alle dinamiche di sviluppo mondiale o discendono direttamente
dalle teorie della città globale, ( sono dette strutturaliste perchè assegnano il ruolo di motore
dei movimenti migratori a pressioni esterne di tipo economico, politico e culturale); quelle
microsociologiche che, a partire dall’individuo considerato attore razionale e decisore orientato
a massimizzare il proprio benessere individuale, si rifanno alla teoria neoclassica pur
adattandone il paradigma ponendo al centro le scelte di investimento della compagine
familiare. Il testo presenta anche le interpretazioni più recenti che tentano di fare sintesi tra i
due approcci collocandosi in una dimensione intermedia: le teorie dei network che spiegano le
migrazioni sulla base delle reazioni interpersonali tra migranti già insediati e nuovi potenziali
migranti, all’interno di un ampio complesso di istituzioni, formali ed informali, delle politiche e
delle normative di regolazione dei flussi.
Si affrontano le ragioni della domanda di manodopera immigrata da parte delle economie
contemporanee e le forme di inserimento nel mercato occupazionale. Colloca il caso italiano in
questo scenario e analizza i principali modelli territoriali di impiego del lavoro immigrato.
Identifica i tipici lavori per immigrati definendoli delle 5P:
precari, pesanti, pericolosi, poco pagati e penalizzati socialmente. Propone uno schema di
funzionamento del mercato del lavoro immigrato evidenziando la connessione tra economia
sommersa e manodopera straniera. Un aspetto rilevante delle migrazioni contemporanee,
nello scenario internazionale, è il superamento dell’identificazione dell’immigrato con una sola
figura sociale: quella di un lavoratore manuale, poco qualificato, generalmente maschio,
inizialmente solo. Le donne primomigranti sono sempre più protagoniste delle migrazioni per
lavoro. Le migrazioni femminili solo da alcuni anni sono oggetto di studio, in relazione alla
crescente femminilizzazione di tali processi. Il fenomeno si intreccia con la problematica della
tripla discriminazione che colpisce le donne immigrate: di genere, di etnia, di classe sociale e
con il ruolo centrale svolto dalle donne nella socializzazione dei figli all’interno delle famiglie in
emigrazione Sono sospese fra accoglienza benigna e discriminazione. La prima deriva da una
relativa facilità delle donne ad inserirsi nel mercato del lavoro italiano.
Il problema tuttavia, segnala l'autore, è il loro confinamento nel segmento dell'attività
domestica anche in presenza di titoli di studio e competenze elevate Ed è per questo che
Ambrosini prendendolo a prestito da Brettel e Simon parla di doppia discriminazione delle
donne sia in quanto donne che in quanto immigrate. In altre parole, quello che società italiana
chiede alle donne immigrate deriva semplicemente dalla loro identità femminile Il
comportamento delle madri incide sul tessuto sociale, inducendo trasformazioni che investono
vari settori: dal mercato del lavoro alle tematiche educative, dal campo religioso a quello della
vita quotidiana.
Al di là di una quota consistente legata ai ricongiungimenti familiari, la nuova e più significativa
presenza delle donne nelle nuove migrazioni internazionali appare imputabile anche e
soprattutto alla diversa partecipazione della componente femminile al mercato del lavoro. In
particolare, nei paesi del Mediterraneo, appare riflettere la natura della domanda di lavoro,
espressione a sua volta della struttura economica e del sistema del welfare dei paesi localizzati
in quest’area (cfr. Pugliese 2001) . Si è allargata, così, notevolmente la fascia delle
provenienze al femminile, dai primi tempi, in cui le presenze più massicce erano dal Capo
Verde e dalle Filippine, ad oggi, quando le donne provengono da paesi dell'Est europeo
(soprattutto polacche, ucraine, albanesi e donne dell'ex-Iugoslavia), ma anche da vari paesi
dell'Africa e degli altri continenti. Presenze quindi non necessariamente da paesi di fede
religiosa cattolica, ma anche da paesi di fede islamica o da luoghi dove sussistono religioni
tradizionali.
Nelle migrazioni internazionali storicamente – anni ’50 e ’60 - le immigrate comparivano solo in
uno stadio di maturazione avanzata dei flussi e raramente esse divenivano parte della
popolazione attiva (Cfr. Reyneri, 1983). Lo schema era il seguente: prima i giovani maschi
celibi, più competitivi per risorse culturali e professionali, quindi in un secondo stadio i maschi
meno giovani, coniugati, e nel terzo stadio l’immigrazione riguardava il ricongiungimento
famigliare (donne e bambini). Il terzo stadio coincideva quindi con l’abbassamento
dell’incidenza della forza lavoro sulla popolazione immigrata e il successivo quarto stadio – la
stabilizzazione – implicava la crescita della domanda di servizi sociali e segnava la progressiva
stabilità della componente immigrata e la scolarizzazione dei figli.
Le statistiche più recenti segnalano invece un mutamento del modello: a fronte di una nuova e
più significativa presenza della componente femminile vi è una presenza delle stesse sul
mercato del lavoro molto più consistente (Ibidem) . La presenza di donne immigrate conferma
l'impressione di flussi migratori oggi più stabili di quanto non lo fossero negli anni '80, quando
l'Italia era di fatto, o comunque nelle aspirazioni di molti immigrati, considerata soprattutto un
paese di transito.
Oggi in Italia la presenza femminile supera il 40% della popolazione immigrata, con
l'esclusione dal computo dei paesi dell'Unione Europea e degli Usa: una presenza quindi
significativa, che andrebbe meglio conosciuta e compresa, al di là degli stereotipi correnti che
vogliono le donne immigrate o nel settore della prostituzione o in quello del lavoro domestico.
Vi è piuttosto una sorta di destinazione a specifiche nicchie lavorative a seconda dei bacini di
provenienza.
I dati non tengono conto della quota di lavoro sommerso, sicuramente
consistente e presumibilmente maggioritaria. L’elevata sommersione, inoltre, ha a che fare
soprattutto con le difficoltà di regolarizzazione.
Le migrazioni sono costruzioni sociali complesse, in cui entrano in gioco, oltre ai soggetti
migranti, le società di origine e quelle di destinazione. Sono analizzabili come processi e come
sistemi di relazioni sociali. Tra le diverse figure sociali di immigrati (per lavoro, stagionali o a
contratto sottoposti a regolamentazione specifica, qualificati, imprenditori “skilled migration”,
familiari al seguito, rifugiati e richiedenti asilo, di ritorno,…) un caso particolare e difficile da
classificare è quello dei migranti di seconda generazione. Questo termine, di solito, è inteso in
senso ampio e comprende sia i figli di immigrati nati nel paese di origine e ricongiunti in
seguito, sia i figli nati nel paese ricevente, migranti senza migrazione, verso i quali le
legislazioni nazionali non hanno un atteggiamento univoco, in alcuni paesi sono considerati
cittadini, in altri sono ritenuti stranieri e in altri ancora, fra cui il nostro, possono acquistare la
cittadinanza facendone richiesta raggiunta la maggiore età. Esistono poi realtà variamente
trattate come i figli di coppie miste o di minori non accompagnati. La questione delle seconde
generazioni ha un rilievo cruciale nei processi migratori. La loro socializzazione in contesti
sviluppati li rende meno disponibili della generazione dei genitori a sobbarcarsi i lavori umili,
mentre l’accesso alle opportunità migliori rimane arduo e spesso precluso. Si determinano
tensioni tra posizione sociale e acculturazione agli stili di vita delle società riceventi. La realtà
registra una dissonanza tra socializzazione e opportunità. Le scuole sono luoghi cruciali di
mediazione tra differenti contesti di vita, codici culturali e interazioni con le società dei paesi
riceventi. Il momento della formazione è fondamentale perchè fornisce una possibilità in più
di avere accesso al lavoro. Ma questa raggiunta parità formativa non sempre si traduce in
parità lavorativa.
Si registra anche tra gli studenti e le studentesse immigrati/e, come per gli/le italiani e
italiane una evidente differenza di genere: a parità di livelli di istruzione, per le donne
permane una segregazione educativa, in quanto le ragazze si concentrano maggiormente in
tipi di scuole con sbocchi professionali legati a lavori di cura o a tempo parziale. Se i dati
riferiti al complesso della popolazione residente evidenziano ancora un certo svantaggio delle
ragazze nel conseguimento di gradi di istruzione medi, l’analisi di indicatori più puntuali mette
in luce una maggiore tendenza delle giovani a frequentare e spesso a concludere con maggior
successo il ciclo superiore. Le traiettorie delle seconde generazioni: un 'ipotesi di tipologia.
Riassumendo, possiamo individuare tre traiettorie idealtipiche delle seconde generazioni:
a) La prima è quella dell'assimilazione tradizionalmente intesa, in cui l'avanzamento
socioeconomico si accompagna all'acculturazione nella società ricevente, e questa a sua volta
comporta il progressivo abbandono dell' identificazione con un' appartenenza etnica minoritaria
e con pratiche culturali distintive.
b) La seconda è quella della confluenza negli strati svantaggiati della popolazione, con scarse
possibilità di fuoriuscita da una condizione di esclusione, un aggravamento della marginalità e
della disoccupazione. Possiamo peraltro distinguere due varianti di questa traiettoria: nelle
impostazioni strutturaliste è stata in genere sottolineata soprattutto la scansione tra
socializzazione, paradossalmente riuscita, agli stili di vita e ai consumi delle classi giovanili, e
persistente carenza di opportunità di miglioramento economico e sociale (proponiamo in
proposito il concetto di «assimilazione anomica» o «illusoria»); in America, invece, Portes e
altri, con il concetto di downward assimilation, sottolineano piuttosto l'assunzione di un'identità
etnica reattiva, contrapposta ai valori e alle istituzioni delIa società ricevente, tipica dei ghetti
urbani e delle minoranze storicamente discriminate.
c) La terza traiettoria è quella dell'assimilazione selettiva, che rimanda all'assimilazione
segmentata del recente dibattito americano, in cui la conservazione di tratti identitari
minoritari, in genere rielaborati e adattati al nuovo contesto, diventa una risorsa per i processi
di inclusione e in modo particolare per il successo scolastico e professionale. Si discute peraltro,
come abbiamo visto, sull'influenza dei livelli di istruzione dei genitori e delle condizioni
economiche della famiglia d'origine, su quanto pesino questi elementi convenzionali della
stratificazione sociale e quanto contino invece i fattori propriamente culturali ed etnici nella
riuscita delle seconde generazioni. Il fatto che in America i flussi migratori post-1965 siano
prevalentemente extraeuropei, ma anche in buona parte qualificati, specialmente nel caso
dell'immigrazione asiatica, rende complessa la distinzione tra i due tipi di variabili. L'incrocio
tra elementi culturali ed elementi di natura strutturale, nonché il confronto tra il capitale
umano e sociale di cui possono disporre gli immigrati e le disposizioni della società ospitante,
appare in ogni caso cruciale.
In fine, Ambrosini si chiede quali siano le opportunità di promozione sociale delle seconde
generazioni per le quali se da una parte intravede il pericolo di una downward assimilation
(assimilazione verso il basso) causata dallo squilibrio fra aspettative e istruzione maturate nel
contesto ricevente e opportunità del mercato del lavoro ancora legate alla figura dell'immigrato
di prima generazione, dall'altra riprendendo casi come quelli studiati da Tribalat relativi agli
immigrati spagnoli e algerini in Francia crede possano esserci percorsi di mobilità sociale
ascendente. Ambrosini comunque raccomanda di imparare bene la lezione delle esperienze
internazionali in tema di seconde generazioni e della loro integrazione pena l'acuirsi del
conflitto sociale fra italiani e immigrati. La condizione delle seconde generazioni è per
definizione ambigua, in bilico tra appartenenza ed estraneità. Può comportare una relazione di
marginalità o di contrapposizione con la società ricevente, ma anche contribuire a porre in
discussione concezioni statiche dell'identità e della nazionalità, fornendo elementi per la
costruzione di spazi sociali e politici in cui possano trovare luogo espressioni miste (Cfr. Andall,
2002, Second Generation Attitude? African-Italians in Milan, Journal of Ethnics and migration
studies, vol. 28, n. 3, 389-407). Infine, anche se oggetto di questa riflessione non sono né la
scuola né altre istituzioni educative, che hanno costituito finora il fuoco centrale della
riflessione sulle seconde generazioni in Italia, è inevitabile domandarsi che cosa possono fare
le istituzioni italiane per accompagnare i minori di origine straniera nel lungo viaggio
dell'acquisizione dello status di cittadini a pieno titolo della nostra società.
Anche il mondo dell' educazione extrascolastica sta aprendosi ai minori immigrati, con una
miriade di iniziative promosse dal volontariato, dall'associazionismo e dal terzo settore.
L’autore approfondisce le funzioni delle reti migratorie ed etniche (tale accezione è utilizzata
soprattutto nella letteratura anglosassone) nella costruzione sociale dei processi culturali ed
economici. L’azione delle reti viene analizzata secondo i risultati , non sempre positivi, in
termini di efficacia del sostegno, secondo le diverse dimensioni (numerosità, concentrazione,
composizione socio-professionale, coesione interna, capacità di controllo sociale, ricezione
societale, ecc.). Le attività economiche degli immigrati si inseriscono un contesto economico
postfordista, rispondendo a domande di mercato variabili, di servizi e prodotti personalizzabili,
di flessibilità delle prestazioni offerte e di conseguenza il passaggio al lavoro autonomo
rappresenta nello scenario odierno un terreno di novità e di rilevanza nella sfaccettata realtà
del lavoro migrante. Le interpretazioni prevalenti di tale fenomeno si collocano sul versante
dell’offerta(teorie culturali, dello svantaggio, della mobilità bloccata, della middleman
minorities, della successione ecologica, delle enclave). Più di recente si tende a proporre
modelli integrati al versante della domanda legati al funzionamento delle metropoli e al
contesto normativo facilitante la nascita di nuove microimprese (modello interattivo di
Waldinger,teoria della mixed embeddedness di Rath e Kloosterman). Le tipologie di
imprenditoria immigrata vengono classificate nelle seguenti categorie: impresa etnica,
intermediaria, etnica allargata, prossima, esotica, aperta ( Cfr. Martinelli , 2003).
Il saggio affronta la regolazione degli ingressi. È ormai evidente che l'ammissione sul territorio
nazionale di individui-lavoratori, sollecitata dal sistema economico e dalle famiglie, innesca
processi di cambiamento demografico e sociale che alla lunga incidono sulla composizione della
popolazione e conducono alla formazione di minoranze etniche. In altri termini: non possiamo
illuderci di reclutare soltanto dei lavoratori isolati; dietro ad essi, si formeranno delle famiglie e
delle giovani generazioni che cresceranno in Italia e progetteranno qui il loro avvenire.
D'altro canto, presumere di bloccare l'immigrazione o di contingentarla rigidamente su piccoli
numeri produce conseguenze perverse, sotto forma di ingressi irregolari e incontrollati, nonché
di accentuazione del rifiuto degli immigrati e di conflittualità interetnica. Anche gli ostacoli posti
ai ricongiungimenti familiari, in termini di requisiti di reddito e di standard abitativi alquanto
selettivi, rischiano di ottenere effetti opposti a quelli desiderati. I ricongiungimenti tendono
comunque ad avvenire di fatto e a formare una popolazione dallo status incerto e precario. Per
fare qualche esempio, le madri hanno comunque diritto alle cure mediche, in caso di maternità,
e i minori anche irregolari sono inclusi nel diritto/dovere all'istruzione; ma l'incertezza sulla
condizione giuridica condiziona i rapporti con le istituzioni e i processi di incorporazione nella
società italiana.
Un secondo ordine di questioni concerne la posizione strutturale degli immigrati nel sistema
economico e sociale. Un'inclusione basata di fatto sull'integrazione subalterna può giovare
all'accettazione dell'immigrazione nel breve periodo, ma non prepara un futuro sereno per i
rapporti interetnici. Con ogni probabilità, i figli degli immigrati laboriosi e pacifici di oggi,
rifiuteranno largamente di riprodurre la collocazione occupazionale e sociale dei genitori. Come
già notava a suo tempo Piore, «il problema centrale del mercato del lavoro [...] è quello di
assicurare canali di mobilità ascendenti per la seconda generazione. Per incontrare le
aspirazioni di questi lavoratori, è necessario che una varietà di istituzioni si apra nei loro
confronti e divenga responsabile verso di essi» (1979, p. 111).
Prevedere spazi e porte di accesso per l'immigrazione qualificata, opportunità di miglioramento
per i lavoratori stranieri in possesso di competenze sottoutilizzate, modalità meno penalizzanti
di riconoscimento dei titoli di studio, significherebbe differenziare l'immagine dell'immigrazione
e affermare l'idea che i lavoratori stranieri sono anche in grado di svolgere occupazioni di
rango intermedio ed elevato, incluse le libere professioni. Le seconde generazioni ne
trarrebbero giovamento, giacché si intaccherebbe l'associazione cognitiva tra provenienza
«etnica» e determinate nicchie occupazionali a bassa qualificazione, con i processi di
discriminazione statistica che ne discendono.
Un ruolo significativo potrebbe essere assicurato dal lavoro indipendente, in cui confluiscono
caratteristiche peculiari del sistema economico italiano e strategie di mobilità sociale delle
popolazioni immigrate. Un maggior numero di imprese con titolari immigrati comporta il rischio
di allargare sacche di sfruttamento, anche intrafamiliare, ma pure l'opportunità di offrire
maggiori spazi di inserimento in occupazioni non meramente esecutive per i figli dei
protagonisti.
In questo ambito si profila inevitabilmente una questione assai dibattuta nei paesi che hanno
assunto con maggiore consapevolezza lo statuto di società multietniche: quella dell'avvio, ed
eventualmente secondo quali criteri, in quali casi, con quali modalità, di azioni positive per la
promozione sociale delle minoranze etniche derivanti dai processi migratori. I principi di
eguaglianza dei cittadini (e dei residenti legali) e di inviolabilità dei diritti individuali andranno
rivisitati e declinati nel nuovo contesto pluralistico.
Più esplicitamente: nessun ordinamento occidentale accetta la poligamia o la disparità giuridica
tra uomini e donne, per non parlare delle mutilazioni genitali femminili; viceversa,
l'abbigliamento, l'alimentazione, le festività, le pratiche religiose, sono un terreno in cui
aperture e negoziazioni sono possibili e praticate. La stessa laicità degli ordinamenti statuali
andrà forse rivisitata, aprendo una rinnovata discussione sul contributo delle identità religiose
alla coesione sociale complessiva.
Se gli immigrati saranno permanentemente discriminati nel lavoro, nel sistema educativo, nel
mercato abitativo, se per fare un esempio, i loro titoli di studio continueranno a incontrare
difficoltà pressoché insuperabili all’atto del riconoscimento, diventare cittadini non basterà.
Servirà quindi un impegno serio a combattere le discriminazioni e a costruire effettive
opportunità di integrazione. I significati della cittadinanza utilizzati da Ambrosiani sono
riconducibili a quattro:il primo è l'appartenza a uno Stato, e in questo caso "cittadino" si
contrappone a "straniero". Nel secondo, cittadinanza vuol dire emancipazione, essere
riconosciuti come adulti, capaci di prendere decisioni e di partecipare alle decisioni. E qui
"cittadino" si contrappone a "suddito". In terzo luogo, cittadinanza è dotazione comune,
accesso ad alcuni benefici (la casa, per esempio) e "cittadino" qui si contrappone a
"emarginato".
Nell'ultimo
significato
cittadinanza
significa
standardizzazione,
cioè
uguaglianza, parità di diritti e di doveri e "cittadino" si contrappone a "comunitario".
Uno dei punti caldi sulla discussione riguardante la cittadinanza è la possibilità di introdurre
regole diverse o di consentire regolazioni diverse a chi proviene da comunità minoritarie.
Certo è che l'immigrazione scompagina questa visione moderna e nazionale delle popolazioni
omogenee separate da frontiere e confini netti. Michael Walzer, filosofo della politica
americano, usa un'immagine molto sferzante per parlare del nostro rapporto con gli immigrati
evocando i meteci dell'antica Atene, quella splendida democrazia dove però votavano i cittadini
(non gli schiavi e le donne), non votavano i meteci, stranieri ammessi in quanto utili, ma non
cittadini. Walzer dice che in Europa stiamo facendo la stessa cosa. Abbiamo introdotto i meteci
che non fanno parte della comunità del "Noi". Questa è la forma più comune di tirannia, dove
alcuni decidono per tutti.
Un altro elemento critico del tema immigrazione è che nei confronti degli immigrati si inverte la
sequenza classica marshalliana dei diritti. Nell'ambito dei diritti di cittadinanza, Marshall
distingue diritti civili, politici e sociali. Gli immigrati accedono prima a quelli sociali, ma non
avendo quelli politici il loro accesso ai diritti sociali può essere facilmente revocato.
Oggi c'è una tendenza crescente nelle legislazioni internazionali ad andare, sia pur con molta
fatica, verso la doppia cittadinanza, verso il diritto di voto locale, verso una maggiore
possibilità di naturalizzazione. Dire chi sono i nostri concittadini, significa ridefinire i confini del
"Noi", il perimetro di coloro con i quali siamo disposti a convivere, a farli parte della "comunità
immaginata" che chiamiamo nazione. Si aprono quindi alcune questioni emergenti.
Una è quella delle possibili forme di cittadinanza post-nazionale o trans-nazionale. Se sia
possibile immaginare, a partire dalla nostra doppia cittadinanza di italiani ed europei, qualcosa
di simile anche nei confronti dei nuovi italiani. Ci sono realisti nel campo del diritto che non
riconoscono nessuna dignità ai diritti umani in quanto tali, considerando diritti solo quelli
concessi dagli Stati. Questa tensione tra diritti umani universali e diritti positivi concessi dagli
Stati è una delle questioni calde del dibattito sulla cittadinanza. Ci sono forme di diritti che
dipendono addirittura dalla residenza anagrafica, nemmeno dalla cittadinanza nazionale.
Se troppi diritti vengono ingenerati alla status di cittadino nazionale si ingenera una corsa
strumentale alla cittadinanza anche da parte di chi non la vorrebbe. Si ottengono così i cittadini
senza adesione, senza appartenenza. Come misurare l'appartenenza? Quali test sono possibili
per misurare l'adesione al nostro sistema di valori? Quali valori, dove si fonda la nostra
comunità nazionale?
Un punto significativo potrebbe essere quello di cercare di intravvedere quale può essere il
contenuto di uno status intermedio tra quello di straniero e quello di cittadino.
Ponendoci questo problema dei confini del "Noi", di ridefinizione della nostra comunità
potremmo cercare di ridare concretezza al famoso aforisma di Max Frisch "volevamo delle
braccia, sono arrivate delle persone".
Indice
Prefazione
Parte Prima: Coordinate e processi fondamentali (I. Migrazioni e migranti II. Alla ricerca
delle cause III. L’inserimento nel mercato del lavoro IV. Sul versante dei migranti: le funzioni
delle reti sociali )
Parte Seconda:Attori emergenti (V. Il passaggio al lavoro indipendente VI. Donne migranti e
famiglie transnazionali VII. I figli dell’immigrazione)
Parte Terza: La dimensione politica (VIII. La regolazione dell’immigrazione IX. Le politiche
per gli immigrati)
Parte Quarta:Aree problematiche (X. Devianti e vittime, trafficanti e trafficati XI. Pregiudizio,
discriminazione, razzismo)
Riferimenti bibliografici
Indice analitico
Note sull’autore: Maurizio Ambrosini
Nato a Vercelli nel 1956, si è laureato in Filosofia presso l'Università cattolica di Milano nel
1979, con una tesi in Sociologia, conseguendo il Premio Gemelli quale miglior laureato
dell'anno nella Facoltà. Ha poi iniziato a collaborare con il Dipartimento di Sociologia della
medesima Università, approfondendo in particolare l'ambito della sociologia del lavoro e
dell'economia e partecipando a varie ricerche empiriche. E’ Docente di Sociologia generale e
Sociologia dei processi migratori nella facoltà di Scienze della formazione dell'Università di
Genova. Sul piano scientifico, dopo essersi occupato di relazioni industriali, partecipazione
nell'impresa, politiche delle risorse umane, ha approfondito i temi della marginalità, della
disoccupazione giovanile, delle organizzazioni solidaristiche. Da diversi anni, i suoi interessi si
sono concentrati sui temi dell'immigrazione straniera, su cui ha condotto varie ricerche e
pubblicato diversi contributi, entrati nel dibattito sociologico nazionale. Ha collaborato e
collabora con diverse istituzioni formative, di ricerca scientifica e di promozione sociale, tra le
quali possono essere ricordate: la Fondazione Giovanni Agnelli, il Consiglio italiano per le
Scienze sociali, l'Istituto di studi cooperativi L.Luzzatti di Roma, il Sindnova-Cisl, l'IreR, la
Fondazione ISMu (Iniziative e studi sulla multietnicità), la Provincia autonoma di Trento, la
Caritas italiana e ambrosiana, la Fondazione Iard. Fa parte del comitato scientifico del Dossier
immigrazione di Caritas-Migrantes.
Bibliografia essenziale dell’autore
-
Scelte solidali. L'impegno per gli altri in tempi di soggettivismo, Bologna, Il Mulino (2005)
( con E.Abbatecola) Immigrazione e metropoli. Un confronto europeo, Milano, Iard-F.Angeli
( 2004)
(con S.Molina) Seconde generazioni. Un'introduzione al futuro dell'immigrazione in Italia,
Torino, Edizioni della Fondazione Agnelli ( 2004)
(a cura) Per gli altri e per sé. Motivazioni e percorsi del volontariato giovanile, Milano,
F.Angeli ( 2004)
( a cura) Comprate e vendute. Una ricerca su tratta e sfruttamento di donne straniere nel
mercato della prostituzione, F.Angeli, Milano (2002)
La fatica di integrarsi. Immigrati e lavoro in Italia, Bologna, il Mulino (2001)
Utili invasori. L'inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano, Milano, F.AngeliIsmu, ( 1999)
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