La frequenza cardiaca e la prognosi nello scompenso cardiaco acuto e cronico Fabrizio Oliva1, Enrico Ammirati1, Carlo Campana2, Valentina Carubelli3, Antonio Cirò4, Giuseppe Di Tano5, Andrea Mortara6, Michele Senni7, Fabrizio Morandi8, Marco Metra3 1 ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, De Gasperis Cardio Center, Milano 2 Dipartimento di Cardiologia, A.O. Sant’Anna, Como 3 Cardiologia, Università degli Studi, Spedali Civili, Brescia 4 Unità Scompenso Cardiaco, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Ospedale San Gerardo, Monza (MB) 5 U.O. Cardiologia, A.O. Istituti Ospitalieri, Cremona 6 Unità Scompenso Cardiaco, Dipartimento di Cardiologia, Policlinico di Monza, Monza (MB) 7 Dipartimento Cardiovascolare, A.O. Papa Giovanni XXIII, Bergamo 8 S.C. Cardiologia, Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, Varese Heart rate (HR) is not only a physical sign but also a biomarker. High HR in several cardiac disorders is associated with increased mortality. In heart failure (HF), HR represents an important therapeutic target, both in the acute and chronic phase. Beta-blockers are a milestone of recommended treatments in HF patients with reduced ejection fraction. However, hemodynamic profile or intolerance may limit the use or the optimization of beta-blocker treatment, both during hospitalization and outpatient follow-up. More recently, ivabradine has become available, a drug that lowers HR by blocking the If current in the pacemaker cells at the sinoatrial node level. In the SHIFT trial, ivabradine was shown to improve the outcome of patients with chronic HF, in sinus rhythm, with HR >70 b/min while on beta-blockers. Preliminary data have shown that this drug has a good safety profile and lowers effectively HR even during hospitalization due to worsening HF. However, further studies are warranted to understand if an earlier administration of ivabradine can lead to a better prognosis beyond symptom control and improved hemodynamics. In patients with atrial fibrillation and HF, the target is the restoration of sinus rhythm, alternatively rate control should be pursued with beta-blockers, amiodarone or digitalis, even if there is no clear evidence of an association between ventricular rate response in patients with atrial fibrillation at discharge after an HF hospitalization and major cardiovascular events. In this review, the studies that point to a role of HR both as a biomarker and a therapeutic target in patients with acute and chronic HF are described. In addition, the proportions of patients who do not reach target HR values at discharge after an acute decompensated HF episode or in the chronic phase are evaluated based on the Italian registries. Key words. Beta-blockers; Heart failure; Heart rate; Ivabradine. G Ital Cardiol 2016;17(3 Suppl 1):3S-16S INTRODUZIONE In Italia la prevalenza dello scompenso cardiaco (SC) è pari circa al 2% della popolazione generale e cresce in maniera esponenziale con l’età, raddoppiando ad ogni decade. Lo SC è in continuo aumento per l’invecchiamento generale della popolazione, il miglior trattamento dell’infarto miocardico e delle altre malattie croniche come il diabete e l’ipertensione arteriosa. L’incidenza è complessivamente 10 per 1000 sopra i 65 anni e raggiunge 40 per 1000 dopo gli 85 anni, ma varia in base al sesso e all’etnia. All’età di 40 anni il rischio di sviluppare SC nel- © 2016 Il Pensiero Scientifico Editore Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza: Dr. Fabrizio Oliva ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, De Gasperis Cardio Center, Piazza Ospedale Maggiore 3, 20162 Milano e-mail: [email protected] l’arco della vita residua è pari al 20%, mentre oltre i 65 anni lo SC rappresenta la prima causa di ricovero in ospedale1,2. La storia naturale della malattia è caratterizzata da fasi di esacerbazione clinicamente evidenti, intervallate da periodi di stabilità clinica, con un progressivo scadimento della capacità funzionale e della qualità di vita. La prognosi dei pazienti affetti da SC è stata spesso paragonata a quella delle neoplasie maligne. Studi di popolazione in pazienti ambulatoriali documentano una mortalità intorno al 5-7% durante il ricovero, del 10% a 30 giorni, 20-25% ad 1 anno e 50% a 5 anni dalla diagnosi1,2. Nello SC sono stati identificati alcuni marker biologici che sono risultati molto efficaci sia nella fase di diagnosi e prognosi della malattia, sia come indicatori di severità e risposta al trattamento farmacologico3,4. Le caratteristiche principali di un biomarcatore clinicamente efficiente includono la capacità di essere misurato in modo oggettivo, di poter essere messo in relazione in modo diretto e preciso ad alcuni aspetti della malatG ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 3S F OLIVA ET AL tia con chiari correlati fisiopatologici, o di catturare il decorso della patologia stessa. Alcuni biomarcatori come i peptidi natriuretici si sono affermati ormai in modo indiscutibile, mentre altri sono ancora in fase di studio, ciascuno riflettendo i differenti processi fisiopatologici coinvolti nello sviluppo e nella progressione dello SC: tra questi soprattutto il danno miocardico, l’infiammazione e la risposta reattiva-fibrotica5. Può anche la frequenza cardiaca (FC) essere considerata un marcatore di prognosi e di monitoraggio nello SC? La FC è considerata in medicina un “segno fisico” che può essere misurato facilmente. Essa rappresenta un determinante del consumo miocardico di ossigeno, del flusso coronarico e ha un ruolo centrale nell’adattamento della portata cardiaca alle esigenze metaboliche dell’intero organismo. In termini strettamente fisiopatologici la FC misurabile è il determinante finale della regolazione della cosiddetta “FC intrinseca” da parte del sistema nervoso autonomo a livello del nodo seno-atriale. In varie patologie cardiache è stato dimostrato che la FC media aumentata, e soprattutto la FC notturna, si associa ad una maggiore mortalità6. Nello studio di Framingham, la popolazione generale ha mostrato un incremento della mortalità per tutte le cause del 14% per ogni incremento di 10 b/min della FC basale. Nella stessa popolazione una FC basale >80 b/min si associava anche ad un aumento significativo del rischio di sviluppare SC7. Quest’ultimo dato è stato confermato da altri autori che hanno dimostrato in pazienti affetti da aterosclerosi, che per ogni incremento di 1 b/min della FC basale si aveva un incremento del 4% del rischio di presentare segni di SC nel successivo follow-up e di sviluppare disfunzione globale e regionale del ventricolo sinistro indipendentemente dalla presenza di malattia coronarica8. Nei pazienti affetti da SC questa relazione diventa particolarmente importante e il limite oltre il quale incrementa il peso prognostico della FC è stato fissato a >70 b/min; sopra questo valore per ogni incremento di 1 o 5 battiti della FC basale è stato dimostrato un aumento dell’evento cumulativo di morte per cause cardiovascolari e ospedalizzazione per SC rispettivamente del 3% e 16%9. Inoltre, in uno studio recente in pazienti arruolati nel trial multicentrico CHARM (Candesartan in Heart Failure: Assessment of Reduction in Mortality and Morbidity), l’aumento di FC nel corso del follow-up rispetto alla visita precedente, era un significativo predittore di eventi, confermando l’importanza di seguire attentamente nel tempo i valori di FC durante le visite ambulatoriali anche con tecniche di monitoraggio a distanza10. La FC può quindi essere identificata come marker biologico di deterioramento della funzione ventricolare sinistra e di maggiore incidenza di eventi, e come tale può rappresentare un importante target terapeutico. Tale target può essere perseguito sia con farmaci come betabloccanti, calcioantagonisti, digitale, amiodarone ma anche con farmaci più selettivi per la FC come l’ivabradina, senza altri effetti a livello cardiaco o con minimi effetti a livello di altri organi. BASI FISIOLOGICHE NELLA GENESI E REGOLAZIONE DELLA FREQUENZA CARDIACA A livello del nodo seno-atriale avviene la depolarizzazione spontanea nella fase 4 del potenziale d’azione (PdA), in un modo più rapido rispetto a tutte le altre parti del sistema di conduzione cardiaca. Quando la cellula del nodo del seno durante la depolarizzazione spontanea raggiunge il potenziale soglia, av- 4S G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 viene un nuovo PdA e questo si ripete ciclicamente con una frequenza che è strettamente dipendente dalla velocità della depolarizzazione spontanea. Questo meccanismo permette al nodo del seno di essere il fisiologico segnapassi cardiaco. Già negli anni ’70 si è compreso che a determinare questa spontanea depolarizzazione non è un decadimento progressivo dell’uscita di ioni potassio come si pensava in passato, ma l’attivazione specifica di una corrente denominata If durante la fase diastolica11. Tuttavia solo negli anni ’90 si è compresa l’importanza di questa corrente e soprattutto la possibilità di modularla farmacologicamente. La corrente If durante la fase di depolarizzazione del PdA è completamente inerte, ma durante la ripolarizzazione ad un voltaggio di -40, -50 mV comincia ad attivarsi progressivamente e dà inizio alla depolarizzazione diastolica. Il contributo della corrente If termina nelle prime fasi di attivazione del PdA e, sebbene la deattivazione della corrente If sia rapida, vi è un intervallo di tempo breve dove è ancora attiva nonostante la presenza di potenziali positivi. Questo intervallo di tempo risulta importante per l’azione dei farmaci che bloccano la corrente If12. Le cellule del nodo del seno sono riccamente innervate da fibre nervose simpatiche e parasimpatiche che modulano il cronotropismo. È stato dimostrato, infatti, che la stimolazione dei recettori beta-adrenergici incrementa la corrente If spostando la curva di attivazione verso voltaggi più positivi, e questo attraverso un legame diretto dell’adenosina monofosfato ciclico (AMPc) con i canali If12. Al contrario la liberazione di acetilcolina per attivazione dei recettori muscarinici, soprattutto a bassa dose, inibisce la corrente If rallentando la FC13. Tra i farmaci in grado di modulare la FC, l’ivabradina si è dimostrata un farmaco efficace, perché induce un blocco selettivo della corrente If riducendo solo la pendenza della depolarizzazione diastolica senza interferire con gli altri parametri del PdA. L’azione dell’ivabradina può avere luogo se vengano soddisfatte due condizioni: (1) i canali devono essere aperti affinché l’ivabradina raggiunga il punto di attacco, (2) il legame è voltaggio-dipendente ed è più forte ai voltaggi depolarizzati. Il fatto che il blocco If sia voltaggio-dipendente è dovuto alla positività della carica dell’ivabradina che porta uno ione terziario di ammonio e che determina un passaggio delle molecole attraverso i canali durante la depolarizzazione permettendo di raggiungere i siti di legame11,14. Questo dualismo è molto utile nei sistemi che prevedono il ciclico seguirsi di apertura/chiusura dei canali, infatti il farmaco viene accumulato nella fase di depolarizzazione per esercitare il suo blocco specifico durante la ripolarizzazione, all’apertura dei canali If11. In ogni caso il blocco della corrente If non ostacola il controllo autonomico della FC, anche perché rimane attivo il contributo portato da altre correnti che coinvolgono lo scambio, ad esempio, di ioni sodio/calcio (Na+/Ca2+). L’esatto contributo del ruolo della corrente If nella genesi e controllo delle cellule pacemaker a livello del nodo seno-atriale non è ancora completamente chiarito e sarà forse definito in futuro quando saranno disponibili farmaci ancora più specifici e selettivi sul blocco della corrente If. RUOLO DELLA FREQUENZA CARDIACA NELLA FASE INTRAOSPEDALIERA E ALLA DIMISSIONE NEI PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO La FC sta acquisendo sempre maggior interesse come nuovo target terapeutico non solo nei pazienti con SC cronico ma anche in pazienti ricoverati per SC acuto. Dati estrapolati dal re- FC E PROGNOSI NELLO SCOMPENSO CARDIACO gistro europeo ESC-HF Pilot (EURObservational Research Programme: The Heart Failure Pilot Survey) e italiano IN-HF (Italian Network on Heart Failure Outcome Registry) mostrano come i pazienti con SC acuto abbiano valori più elevati di FC basale rispetto ai pazienti cronici (rispettivamente media ± DS: 88 ± 24 vs 72 ± 14 b/min nell’ESC-HF Pilot; e mediana e range interquartile: 90 [73-110] vs 70 [60-78] b/min nell’IN-HF Outcome)15,16. Attualmente, in letteratura non vi sono dati univoci sul significato prognostico della FC basale in pazienti ricoverati. Nello studio PROTECT (Adenosine A1 Receptor Antagonist Rolofylline in Patients with Acute Heart Failure and Renal Impairment) la FC basale rappresentava un fattore del modello predittivo di eventi a 7 giorni17. In un altro studio, Bui et al.18 hanno dimostrato un rapporto J-shaped tra FC all’ingresso e mortalità intraospedaliera, individuando 70-75 b/min come range a minor rischio. Tuttavia considerando eventi a lungo temine, la FC al momento dell’ospedalizzazione perde il suo potere predittivo16,19. Tale discrepanza può essere in parte imputabile al fatto che all’ammissione del paziente, la FC rappresenta un criterio di severità della presentazione clinica essendo un indice istantaneo dello stato emodinamico e consensualmente è stata associata con eventi precoci. Al contrario dopo stabilizzazione clinica così come nella fase cronica dello SC, la FC rappresenta un marcatore di attivazione neurormonale e quindi correla maggiormente con la progressione sfavorevole della patologia e con mortalità e morbilità a lungo termine. Va detto comunque come in uno studio di Takahama et al.20 la riduzione della FC durante il ricovero (≥27 b/min) è risultata protettiva per eventi a lungo termine indipendentemente dal valore raggiunto. La fase della stabilizzazione clinica e il periodo pre-dimissione rappresentano quindi un momento fondamentale per il controllo della FC in pazienti ricoverati per SC acuto (Figura 1). Dati dal registro europeo mostrano come il target di FC (<70 b/min) sia raggiunto in meno del 50% dei pazienti alla dimissione21. Ciò è spiegabile dal fatto che sebbene i betabloccanti risultino prescritti in più dell’80% dei casi, solo circa il 25% dei pazienti raggiunge la dose target e tale percentuale è anche inferiore nei pazienti ricoverati per SC, nei quali l’ipotensione rappresenta un limite frequente all’ottimizzazione terapeutica15. Alcuni recenti studi dimostrano inoltre come il beneficio in termini di outcome nei pazienti trattati con betabloccanti sia maggiormente influenzato dal valore di FC raggiunto piuttosto che dalla dose prescritta22,23. L’ivabradina può rappresentare una valida possibilità nei pazienti con disfunzione sistolica ventricolare sinistra in ritmo sinusale ricoverati per SC acuto. Recenti evidenze mostrano inoltre che l’ivabradina potrebbe avere un ruolo nel trattamento della tachicardia indotta da dobutamina24. Nella fase pre-dimissione l’ivabradina potrebbe essere associata al betabloccante per migliorare il controllo della FC in pazienti che non tollerano la titolazione di questi ultimi. Le evidenze sono ancora scarse in questo ambito, tuttavia in un recente studio su un piccolo campione l’introduzione precoce di ivabradina è risultata sicura ed è stata associata ad un miglioramento della classe funzione e dei livelli del frammento N-terminale del propeptide natriuretico cerebrale (NT-proBNP)25. In conclusione, la FC rappresenta anche un importante target terapeutico nei pazienti ricoverati per SC acuto. L’ottimizzazione del trattamento con betabloccanti, e soprattutto il raggiungimento della FC target, deve essere incoraggiato nella fase pre-dimissione. L’introduzione precoce di ivabradina è una possibile strategia terapeutica la cui efficacia e sicurezza dovrà essere confermata nell’ambito di trial clinici. RUOLO DELLA FREQUENZA CARDIACA E PERIODO VULNERABILE POST-DIMISSIONE Figura 1. Algoritmo per l’introduzione dell’ivabradina nella fase di stabilizzazione clinica o nel periodo pre-dimissione in pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto per un controllo ottimizzato della frequenza cardiaca (FC). Le riospedalizzazioni precoci (entro 30 giorni) dopo un ricovero per instabilizzazione di SC rappresentano un problema di rilievo nella gestione clinica dei pazienti; esse costituiscono circa il 25% delle riospedalizzazioni e sono comunemente associate a ricorrenza di SC o ad altre cause cardiovascolari in circa il 50% dei casi; diversamente, nel restante 50% sono da attribuire a varie comorbilità26-28. È opinione condivisa che, indipendentemente dal valore di frazione di eiezione del ventricolo sinistro (FEVS), le riospedalizzazioni per SC siano usualmente precedute da variazioni emodinamiche, in particolare da un aumento delle pressioni di riempimento del ventricolo sinistro che è rilevabile, pertanto, in anticipo rispetto all’evidenza dei segni clinici di SC. Le riospedalizzazioni precoci, che occorrono nel cosiddetto “periodo vulnerabile” che corrisponde, come detto, ai primi 30 giorni post-dimissione, possono di fatto essere attribuibili al contributo di differenti fattori causali29; tra i vari fattori che possono concorrere vi sono (1) una inadeguata gestione della durata o dell’efficacia nell’ottimizzazione della terapia nel corso del precedente ricovero, (2) l’assenza di una adeguata assistenza domiciliare e (3) l’assenza di compliance verso le cure mediche. Il profilo clinico-strumentale del paziente deve essere opportunamente valutato in fase pre-dimissione, con l’intento di procedere ad una stratificazione prognostica la più adeguata possibile. Il ruolo della FC, quale rilevante predittore prognostico è stato presentato negli studi precedentemente citati, anche se vi è una relativa scarsità di dati sul ruolo della FC G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 5S F OLIVA ET AL valutata in fase di dimissione dopo un episodio clinico di instabilizzazione. Alcuni dati sono da riferire ai risultati di sottostudi di trial clinici, laddove la FC è stata oggetto di analisi, ricorrendo all’identificazione di sottogruppi definiti per fasce diverse in relazione alla FC rilevata in condizioni basali, in fase pre-dimissione; questi aspetti sono stati compiutamente valutati in un’analisi post-hoc dello studio clinico EVEREST (Efficacy of Vasopressin Antagonism in Heart Failure: Outcome Study With Tolvaptan)19, in una popolazione di oltre 1900 pazienti in ritmo sinusale, con disfunzione ventricolare sinistra, ospedalizzati per instabilizzazione di SC. In presenza di FC ≥70 b/min, ulteriori aumenti di FC in fase precoce post-dimissione si sono rivelati predittori indipendenti di morte nel corso del follow-up successivo precoce; in particolare, incrementi dell’ordine di 5 b/min nella prima settimana post-dimissione sono risultati significativamente correlati con un’aumentata mortalità totale (a 4 settimane post-dimissione: hazard ratio 1.12, intervallo di confidenza 95% 1.05-1.19). Al di là di quanto emerso nell’ambito di studi clinici controllati, un contributo molto importante è stato fornito dai risultati del registro prospettico AHA GWTG-HF (American Heart Association Get with the Guidelines Program), che ha coinvolto circa 46 000 pazienti, dimessi dopo un episodio di instabilizzazione di SC30; è stata evidenziata una relazione tra la FC alla dimissione e la probabilità di riospedalizzazione per tutte le cause ovvero verso un endpoint combinato rappresentato da mortalità globale/riospedalizzazioni precoci (entro 30 giorni). In questo ambito, la FC si è dimostrata un predittore prognostico significativo sia nei pazienti in ritmo sinusale che in quelli in fibrillazione atriale (FA). In uno studio effettuato nell’ambito del programma EFFECT-HF (Enhanced Feedback for Effective Cardiac Treatment), che ha valutato oltre 9000 pazienti affetti da SC e dimessi dopo un episodio di instabilizzazione e afferenti all’ospedale dell’Università di Toronto, Habal et al.31 hanno evidenziato una correlazione significativa tra la FC, in termini di stratificatore prognostico, e la mortalità totale precoce (a 30 giorni), in particolare per i sottogruppi con FC compresa tra 8190 b/min (odds ratio [OR] 1.59) e >90 b/min (OR 1.56). È pertanto ragionevole ritenere che la FC post-dimissione possa offrire un contributo importante nella stratificazione prognostica di pazienti con recente instabilizzazione di SC; essa può essere, di fatto, monitorizzata in questa fase offrendo informazioni complementari agli altri segni clinici oggetto di valutazione, apportando elementi utili al fine di identificare i pazienti a più elevato rischio di recidiva di instabilizzazione clinica; ulteriori dati potranno meglio chiarire l’ipotesi che la FC, così come nello SC cronico, possa avere un ruolo prognostico indipendente anche nella più complessa fase precoce post-dimissione secondaria ad un episodio di instabilizzazione. POSSIBILITÀ DI RIDUZIONE DELLA FREQUENZA CARDIACA ALLA DIMISSIONE DOPO UN EPISODIO DI SCOMPENSO CARDIACO ACUTO Oltre alle riospedalizzazioni precoci entro 30 giorni, i primi 3-6 mesi dopo un ricovero per deterioramento del grado di compenso sono critici per il paziente con SC per il rischio di un nuovo episodio di SC acuto. In questa periodo e già durante l’ospedalizzazione, il medico dovrebbe riuscire a ottimizzare la terapia riconoscendo i pazienti a più alto rischio di recidive di SC e 6S G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 di morte e identificare dei marcatori di prognosi potenzialmente correggibili. Gli score di rischio hanno il pregio di identificare l’insieme di quei fattori che maggiormente si associano ad una prognosi sfavorevole in una popolazione di pazienti con SC con specifiche caratteristiche. Svariati score di rischio sono stati messi a punto proprio con questa finalità32, e tra questi uno di quelli che incorpora la FC tra i fattori prognostici di mortalità intraospedaliera, insieme ad età, SC come motivo principale del ricovero, pressione arteriosa sistolica (PAS) all’ingresso, livelli di sodiemia, livelli di creatinina sierica e FEVS <40% è il GWTGHF33, basato sull’analisi di oltre 39 000 pazienti ricoverati per SC acuto negli Stati Uniti. Questo score è ritenuto valido sia per i pazienti con SC a frazione di eiezione preservata (heart failure with preserved ejection fraction, HFpEF) che per quelli con disfunzione sistolica. Di contro, un altro recente score, che è validato per calcolare il rischio di mortalità a 90 giorni dopo uno SC acuto con FEVS <30% è l’ADHF/NT-proBNP (Acute Decompensated Heart Failure/NT-proBNP) risk score34, che è uno tra gli score con la maggior capacità discriminativa dei soggetti a rischio di morte (c-statistica >0.80)35. Tra le variabili incluse nello score vi sono: l’età, la FEVS, il filtrato glomerulare, la presenza di concomitante broncopneumopatia cronica ostruttiva, la PAS all’ingresso, i livelli di sodiemia, l’anemia, valori di proBNP >5180 pg/ml, la presenza di insufficienza tricuspidale moderato-severa o severa e una ospedalizzazione nei 6 mesi precedenti34. Quindi in questo score, che ha anche una capacità prognostica a un 1 anno dal ricovero per SC acuto36, la FC all’ingresso non compare tra le variabili indipendenti di prognosi. È verosimile, come già in precedenza spiegato, che parametri misurati nella fase acuta abbiano un valore prognostico maggiore sulla prognosi a breve termine (intraospedaliera) rispetto a quella a breve-medio termine (90 giorni) e ancora meno rispetto a quella a medio termine (1 anno). Oppure ancora, può essere che alcuni parametri vadano rivalutati in fasi diverse durante l’ospedalizzazione per SC, e che un certo valore in una certa fase (alla dimissione o dopo la dimissione) riacquisti un valore prognostico differente se si è modificato dall’ingresso al momento della rivalutazione nel post-ricovero come nel caso della FC20. Il vantaggio dell’ADHF/NT-proBNP risk score è di essere stato costruito e validato su pazienti scompensati italiani, e quindi di riflettere maggiormente la gestione dei nostri pazienti, in primis per una maggior somiglianza della durata dei ricoveri per SC a livello nazionale rispetto a quanto avviene in nazioni extra-europee. Come dimostrato in un sottostudio del trial ASCEND-HF (Acute Study of Clinical Effectiveness of Nesiritide in Decompensated Heart Failure), trial randomizzato che valutava l’efficacia della nesiritide37, la durata del ricovero per SC può differire molto tra le diverse nazioni e solitamente le nazioni con ricoveri più lunghi hanno un minor tasso di recidive per SC acuto precoci, a significare che decongestionando meglio i pazienti si ottiene anche una riduzione dei tassi di ospedalizzazione, ma questo richiede tempo37. L’Italia in questa analisi risultava avere una durata di ospedalizzazione media di 10 giorni e un tasso di riospedalizzazione a 30 giorni dal primo ricovero del 4.7% contro la durata dell’ospedalizzazione di 6 giorni degli Stati Uniti con un tasso di riospedalizzazione del 17.8%. Una maggior durata dell’ospedalizzazione permette anche di ottimizzare meglio la terapia dello SC dopo la fase acuta. Continuando quanto detto in precedenza, nella sottoanalisi dello studio EVEREST (trial randomizzato che valutava l’efficacia del tolvaptan), che era già stato sopra riportato, la FC a 1 settimana dalla dimissione dopo ricovero per SC acuto FC E PROGNOSI NELLO SCOMPENSO CARDIACO aveva un valore predittivo sulla mortalità e non la FC all’ingresso19. Più nello specifico aveva un valore prognostico su tutte le cause di mortalità entro i 100 giorni dalla dimissione per SC la FC >70 b/min, con un hazard ratio di 1.13 di incremento del rischio per ogni 5 b/min sopra la soglia dei 70 b/min. Va altresì detto che oltre i 100 giorni dall’ospedalizzazione il modello non era più valido, per il fatto che verosimilmente nella fase cronica (o post-acuta) venivano a pesare maggiormente altre variabili. Ora, giustapponendo i dati riportati delle sottoanalisi degli studi ASCEND-HF ed EVEREST, e considerando che la durata media del ricovero per SC in Italia si aggira sui 10 giorni, mentre negli Stati Uniti è più breve (circa 6 giorni)37, il primo appuntamento a 1 settimana, come nella sottoanalisi di Greene et al.19 nell’EVEREST, si avvicina a coincidere con il momento della dimissione per i nostri pazienti italiani ricoverati per SC. Quindi avere come obiettivo terapeutico una FC <70 b/min potrebbe dare un beneficio che potrebbe essere evidente specie nei primi 100 giorni dalla dimissione. Al momento mancano studi pubblicati su dati italiani che abbiano valutato qual è la percentuale di pazienti che potrebbero migliorare il target ottimale di FC <70 b/min alla dimissione. Qui presentiamo una sottoanalisi, non pubblicata, derivata dalla coorte di pazienti ricoverati per SC acuto all’A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, che hanno in parte costituito la popolazione di validazione dell’ADHF/NT-proBNP risk score36, che viene riassunta nelle Figure 2 e 3. La popolazione dei 187 pa- zienti ricoverati all’A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda considerati nell’analisi avevano tutti una FEVS ≤35%. Si è osservato come alla dimissione quasi il 20% dei pazienti aveva una FC ≥70 b/min. Le caratteristiche di quel 20% di pazienti che avevano una FC >70 b/min erano di essere relativamente giovani, con un’età media di 54 anni e con una quota del 62% in classe NYHA III alla dimissione. Un dato importante era costituito dalla PAS media che era di 93 mmHg, con una FC media di 80 b/min e con l’86% già in terapia betabloccante. La maggioranza della popolazione non era a target della terapia betabloccante, ma i valori pressori rendevano difficoltosa una rapida titolazione di tale classe di farmaci. Infatti, dopo la prima visita ambulatoriale avvenuta circa 4 mesi dopo il primo ricovero (range interquartile tra 2 e 7 mesi) circa il 13% della popolazione rimanente nelle analisi non era ancora a target di FC, e alla seconda visita dopo circa 9 mesi (range interquartile 3-20 mesi) circa il 10% non aveva ancora raggiunto una FC <70 b/min nonostante l’89% dei pazienti fosse in terapia betabloccante con una PAS media di 102 mmHg. Va riportato che tra la dimissione e la prima visita, 2 pazienti sono deceduti, 3 sono stati trapiantati di cuore, 1 è stato trattato con impianto di assistenza ventricolare sinistra a sottolineare l’alta incidenza di eventi nei 4 mesi successivi al ricovero (11%). Sempre in questo periodo 6 pazienti, invece, sono andati a target di FC, e un paziente è andato in FA. Tenuto conto che questi dati si riferiscono per la maggior parte a ricoveri precedenti il 2012 e quindi prima del- 187 pazienƟ dimessi dopo SC acuto 37 (19.8%) candidabili a ivabradina FEVS ч35%, ritmo sinusale con FC ш70 b/min ͻ Età 54±12 anni, F 9 (24%) ͻ Non ischemici 18 (49%) ͻ NYHA II: 38%, NYHA III: 62% ͻ FEVS 23±6% ͻ PAS 93±6 mmHg ͻ FC 80 (75-86) b/min ͻ 32 (86%) in betabloccante ͻ 2 ŵŽƌƟ ͻ 3 TxC ͻ 1 LVAD ͻ 1 FA ͻ 6 FC <70 b/min (16%) 24 (12.8%) ancora candidabili a ivabradina dopo la prima visita post-SC acuto Figura 2. Percentuale di pazienti che potrebbero migliorare il target ottimale di frequenza cardiaca <70 b/min alla dimissione, basata su una sottoanalisi, non pubblicata, derivata dalla coorte di pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto all’A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda. F, femmina; FA, fibrillazione atriale; FC, frequenza cardiaca; FEVS, frazione di eiezione ventricolare sinistra; LVAD, dispositivo di assistenza ventricolare sinistra; PAS, pressione arteriosa sistolica; SC, scompenso cardiaco; TxC, trapianto cardiaco. G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 7S F OLIVA ET AL 24 (12.8%) ancora candidabili a ivabradina dopo prima visita dalla dimissione per SC acuto ͻ Tempo trascorso dalla dimissione 4.5 (2.0-7.5) mesi ͻ PAS 99±9 mmHg ͻ FC 80 (75-87) b/min ͻ 21 (88%) in betabloccante ͻ 2 ŵŽƌƟ ͻ 1 TxC ͻ 2 persi al follow-up ͻ 1 FA 18 (9.6%) ancora candidabili a ivabradina dopo seconda visita dalla dimissione per SC acuto ͻ Tempo trascorso dalla dimissione 9.0 (3.5-20.5) mesi ͻ PAS 102±9 mmHg ͻ FC 80 (70-87) b/min ͻ 16 (89%) in betabloccante Figura 3. Percentuali non a target di frequenza cardiaca dopo la prima e seconda visita dopo un episodio di scompenso cardiaco acuto. FA, fibrillazione atriale; FC, frequenza cardiaca; PAS, pressione arteriosa sistolica; SC, scompenso cardiaco; TxC, trapianto cardiaco. l’approvazione dell’utilizzo dell’ivabradina nello SC, nessun paziente era in terapia con tale farmaco. È possibile che la sensibilizzazione di un target di FC <70-75 b/min nello SC fosse anche meno diffusa all’epoca9 e che questa percentuale non rifletta più la realtà Italiana. Resta comunque da dimostrare con analisi più ampie che il raggiungimento più rapido di un target di FC possa realmente ridurre gli eventi nel periodo vulnerabile dopo SC e che l’ivabradina possa costituire uno strumento utile almeno in una parte di quell’ipotetico 20% di pazienti che alla dimissione hanno una FC >70 b/min che difficilmente possa essere raggiunta con i betabloccanti per il rischio di ipotensione. Parzialmente a conferma della riproducibilità dei dati del Niguarda, vi è lo studio pubblicato da Cullington et al.38 che ha dimostrato che nella popolazione con SC ambulatoriale la percentuale di pazienti in terapia ottimizzata per lo scompenso che potrebbe beneficiare dell’ivabradina è di circa il 9%, valore che si avvicina a quello riscontrato nella nostra casistica (10%) a circa 9 mesi dalla dimissione, quando la “fase vulnerabile” è in parte risolta e il paziente rientra in una fase di cronicità. RUOLO DELLA FREQUENZA CARDIACA NELLA FASE CRONICA AMBULATORIALE È sensazione diffusa, basata anche sull’esperienza clinica quotidiana, che le indicazioni delle linee guida oltre a non essere spesso recepite in tempi rapidi e con appropriatezza, trovino in alcuni modelli clinici delle oggettive difficoltà di applicazione39. Il risultato è di osservare nel “mondo reale” approcci terapeutici non uniformi e a volte inappropriati, specie per quanto riguarda il corretto dosaggio dei farmaci, nonostante questi siano comunque utilizzati in percentuali “soddisfacenti”. In particolare l’ottimizzazione della terapia farmacologica nel paziente ambulatoriale con SC cronico (intesa come raggiungimento delle dosi target impiegate nei grandi trial randomizzati o del- 8S G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 le dosi massime tollerate) risulta insoddisfacente in parte come conseguenza dell’elevata complessità dei pazienti del “mondo reale” rispetto a quelli arruolati nei principali trial. L’esempio dei betabloccanti è paradigmatico. Nella recente analisi dell’ESC Heart Failure Long-term Registry40, incentrata sui pazienti ambulatoriali, nonostante i farmaci betabloccanti fossero prescritti nell’88.9%, si è osservato un sottodosaggio in oltre i due terzi dei pazienti. Le implicazioni clinico-prognostiche di tale comune riscontro, anche se di non facile deduzione, sono state in parte ridimensionate dalle osservazioni di alcune metanalisi41,42 che hanno evidenziato come i benefici sulla sopravvivenza della terapia betabloccante siano associati in modo significativo alla riduzione della FC e non alla dose raggiunta. Ma anche considerando l’entità della FC, i maggiori registri, specchio del “mondo reale”, segnalano come più del 50% dei pazienti in cronico, nonostante un trattamento ottimizzato, abbia ancora una FC >70 b/min (Figura 4)15,16,43, una variabile come detto con impatto prognostico negativo indipendente per quanto riguarda l’incidenza di riospedalizzazioni e di sopravvivenza a distanza19,44-46. Tali osservazioni, alla luce delle linee guida europee che suggeriscono di considerare l’ivabradina in pazienti sintomatici con FC >70 b/min nonostante il trattamento con dosi adeguate di betabloccanti, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) e antialdosteronici (o in alternativa i sartani) o negli intolleranti ai betabloccanti39, pone la questione di quale sia lo spazio terapeutico per questo farmaco, sottolineando la necessità di un impegno da parte del cardiologo ad ottimizzare la FC nei pazienti ambulatoriali con SC. In letteratura tale problematica è stata affrontata recentemente da alcune analisi condotte su coorti di pazienti ambulatoriali con risultati piuttosto disomogenei, condizionati probabilmente dalla tipologia dei pazienti esaminati. Il gruppo scozzese di McMurray ha inizialmente presentato un’analisi condotta specificatamente per valutare quanti fossero gli eleggibili ad ivabradina in una popolazione ambulatoriale di 300 pazienti, nei FC E PROGNOSI NELLO SCOMPENSO CARDIACO Figura 4. I registri sullo scompenso cardiaco cronico15,16,43 mostrano come, nonostante terapia medica ottimizzata, più del 50% dei pazienti ha una frequenza cardiaca (FC) >70 b/min. quali la terapia farmacologica fosse stata ottimizzata adeguatamente. Nella loro esperienza il 15% risultava eleggibile secondo i criteri della European Medicines Agency (EMA) che considerava una soglia di >75 b/min. L’esperienza più ampia che è stata poi pubblicata47 ha preso in esame 1000 visite ambulatoriali consecutive effettuate presso un singolo centro inglese e ha osservato che dopo ottimizzazione della terapia farmacologica, solo il 3% (su 824 pazienti) avrebbe necessitato di una terapia con ivabradina. Utilizzando tale percentuale si calcola che negli Stati Uniti in almeno 600 000 pazienti potrebbe essere aggiunta la terapia con ivabradina48. In una recente analisi49 condotta nell’Unità di Cardiologia degli Istituti Ospitalieri di Cremona mirata a verificare quale fosse la prevalenza e le caratteristiche dei pazienti con SC cronico con una potenziale indicazione a trattamento con ivabradina dopo ottimizzazione della terapia betabloccante, il 22% dei pazienti ambulatoriali (con caratteristiche simili allo studio SHIFT [Systolic Heart Failure Treatment with the If Inhibitor Ivabradine]: SC cronico sintomatico in classe NYHA II-IV, FEVS <35%, FC >70 b/min) aveva una FC persistentemente non a target (≥70 b/min) nonostante il tentativo di ottimizzazione della terapia con betabloccanti, e questo gruppo sarebbe stato candidabile a terapia aggiuntiva con ivabradina. In tale analisi sono stati analizzati 141 pazienti consecutivi ambulatoriali (età media 71 ± 11 anni, 69% uomini) a partire dal maggio 2012, epoca data di diffusione delle nuove linee guida europee sullo SC, e rivalutati a distanza di 6 mesi, dopo l’ottimizzazione della terapia ed in particolare dopo un tentativo di incremento progressivo, quando possibile, del dosaggio del betabloccante. Durante la prima visita 46 pazienti (32.6%) avevano una FC a riposo ≥70 b/min, 36 (25.5%) erano in classe NYHA classe III-IV. Nonostante dopo 6 mesi i pazienti fossero trattati con una dose di betabloccante più alta rispetto a quella della prima visita (carvedilolo, dose equivalente, 23 ± 14 vs 19 ± 13 mg al basale; p<0.0001), e un minor numero di pazienti fosse in classe NYHA III-IV (18 vs 26%), 31 pazienti (22%) non raggiungevano ancora la FC target (Figura 5). Questi pazienti, che non avevano raggiunto la FC target assumevano una dose media più elevata di betabloccante (30 ± 14 vs 21 ± 14 mg; p=0.0001) e avevano valori medi di BNP maggiori (662 ± 852 vs 356 ± 479 pg/ml; p=0.04) (Figura 6). Nessuna differenza è stata osservata per quanto riguardava il sesso, l’età, la FEVS, la funzione renale e l’eziologia dello SC (ischemica vs idiopatica) tra i pazienti con FC elevata rispetto a quelli con FC <70 b/min. Da questi dati italiani si può quindi concludere che nel paziente con SC cronico nel corso del follow-up deve essere perseguito il target di FC considerando attentamente, nei soggetti intolleranti o con difficoltà all’incremento posologico del betabloccante, l’indicazione all’utilizzo di ivabradina. FREQUENZA CARDIACA E SCOMPENSO CARDIACO CON FUNZIONE SISTOLICA PRESERVATA La FC risulta spesso elevata anche nei pazienti con HFpEF e questo è probabilmente dovuto ad un aumento del tono simpatico in questi pazienti50. Sebbene non siano stati condotti studi dettagliati sul sistema nervoso simpatico nei pazienti con HFpEF, è stato ipotizzato che ridurre la FC potrebbe essere utile nel HFpEF attraverso l’aumento del tempo di riempimento diastolico e la riduzione dell’ischemia miocardica. È risaputo che nei pazienti con FA, il controllo della FC è importante nel ridurre i sintomi. Sono pochi i dati pubblicati relativi al rapporto tra FC e i risultati clinici in pazienti con HFpEF. Uno studio suggerisce che un’elevata FC a riposo è un segno di maggiore mortalità nei pazienti con HFpEF48. Nelle popolazioni degli studi CHARM e I-Preserve, la FC a riposo è risultata un predittore di outcome significativo51,52. Nel HFpEF, la riduzione della FC, sia a riposo che sotto sforzo, consentirebbe una performance cardiaca più efficace, con pressioni telediastoliche ventricolari sinistre minori e maggiore gittata sistolica. Due studi hanno dimostrato che la riduzione della FC con verapamil può migliorare in questi pazienti la tolleranza allo sforzo ed alcuni parametri eco-color Doppler53,54. È stato dimostrato che i betabloccanti aumentano il rapporto della velocità dell’onda diastolica precoce (E) rispetto alla velocità dell’onda diastolica tardiva (A), traducibile in un miglioramento delle pressioni di riempimento diastolico e del picco di consumo miocardico di ossigeno (VO2)55. Tuttavia, gli effetti della pura riduzione della FC sulla funzione diastolica non sono stati studiati in pazienti con HFpEF cronico. G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 9S F OLIVA ET AL Figura 5. Andamento della frequenza cardiaca (FC) dopo ottimizzazione della terapia ambulatoriale in pazienti con scompenso cardiaco cronico (esperienza di Cremona). Figura 6. Pazienti ambulatoriali con scompenso cardiaco: dosaggio di betabloccante e livelli di peptide natriuretico cerebrale stratificati per la frequenza cardiaca dopo 6 mesi di follow-up (esperienza di Cremona). BB, betabloccante; BNP, peptide natriuretico cerebrale; FC, frequenza cardiaca. L’ipotesi di un effetto benefico di un farmaco specifico che riduca la FC nei pazienti con HFpEF si basa sul fatto che una FC elevata diminuisce il tempo di riempimento diastolico, aumenta il VO2 e compromette la perfusione coronarica, che può rivelarsi problematica per i pazienti con SC. Un agente specifico che riduca la FC, che non diminuisca la contrattilità miocardica e interferisca con la conduzione (come ad esempio i betabloccanti), sembra potenzialmente interessante. Gli effetti benefici dell’ivabradina sono stati riscontrati in diversi modelli animali che presentano una disfunzione diastolica. Nei modelli di SC ischemico in ratti e cani con disfunzione ventricolare sinistra, 10S G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 oltre all’effetto benefico sulla funzione sistolica, l’ivabradina ha migliorato il riempimento ventricolare sinistro riducendo la pressione telediastolica, lo stress di parete in diastole e il rilasciamento ventricolare sinistro riducendo il rapporto E/A e la Tau56. In un modello murino con SC indotto da angiotensina II, caratterizzato da ipertensione e disfunzione ventricolare sinistra globale, l’ivabradina ha portato a un miglioramento significativo nella funzione sistolica e diastolica con minor ipertrofia cardiaca, fibrosi, infiammazione e apoptosi cardiaca57. In uno studio nel coniglio con ipercolesterolemia indotta senza disfunzione sistolica, la gravità della disfunzione diastolica ventricolare FC E PROGNOSI NELLO SCOMPENSO CARDIACO sinistra è stata notevolmente attenuata dall’ivabradina (disfunzione diastolica lieve 92% e moderata 8% con ivabradina vs disfunzione diastolica lieve 54% e moderata 46% nel gruppo di controllo) e l’indice di performance miocardica è risultato migliorato58. In un altro modello murino di diabete con HFpEF, l’ivabradina ha migliorato la rigidità vascolare misurata con la risonanza magnetica, la contrattilità e la funzione diastolica del ventricolo sinistro, valutata mediante curve pressione-volume. È stata dimostrata, inoltre, una riduzione dell’espressione dell’isoforma più rigida (N2B) della titina, che è la maggiore responsabile della rigidità nella fase passiva della diastole59. Poiché i sintomi dei pazienti con HFpEF si presentano tipicamente durante sforzo, l’ottimizzazione del tempo di riempimento ventricolare sinistro controllando la FC è stato ipotizzato che possa ritardare l’inizio dei sintomi. Dati contrastanti sono stati recentemente pubblicati a tal riguardo. Kosmala et al.60 su 61 pazienti, randomizzati a ivabradina 5 mg bid o placebo per 1 settimana, hanno dimostrato un incremento della capacità di esercizio con un miglioramento delle pressioni di riempimento ventricolari sinistre, come mostrato dalla riduzione del rapporto E/E’61. Al contrario, recentemente, è stato pubblicato uno studio della durata di 2 settimane che ha mostrato come l’ivabradina alla dose di 7.5 mg bid peggiorasse la tolleranza allo sforzo con significativa riduzione del picco di VO261. Una possibile spiegazione del peggioramento della tolleranza allo sforzo potrebbe essere l’incompetenza cronotropa che è frequentemente presente nei pazienti con HFpEF (circa il 60%) e limita la capacità di adattamento della portata cardiaca durante sforzo di questi pazienti62. Indubbiamente nel gruppo di pazienti con HFpEF vi è la necessità di dati controllati in casistiche numericamente più adeguate. Nonostante i dati sperimentali su modelli animali, al momento non vi sono dati convincenti che ridurre la FC nei pazienti con HFpEF possa costituire un target terapeutico e che farmaci come l’ivabradina possano migliorare la prognosi in questo gruppo di pazienti, dove in ogni caso è stato dimostrato un valore prognostico della FC nei pazienti in ritmo sinusale. CONTROLLO DELLA FREQUENZA CARDIACA NELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE La FA complica o accompagna frequentemente lo SC acuto e cronico. I dati dal registro ADHERE (Acute Decompensated Heart Failure National Registry) indicavano una prevalenza della FA del 30% nei pazienti ricoverati per SC acuto63, mentre in una survey europea era già presente nel 34% prima del ricovero in oltre 10 000 pazienti ospedalizzati per SC acuto, con un 9% di nuova insorgenza64. Nello SC la prevalenza della FA correla direttamente con la gravità dei sintomi variando dal 10% al 50% passando dalla classe funzionale NYHA I alla IV65. L’incidenza annuale è >5%66. L’impatto prognostico avverso sembra correlarsi in modo inversamente proporzionale alla funzione cardiaca peggiorando la mortalità in modo relativamente maggiore nel HFpEF rispetto allo SC sistolico67. Indipendentemente dalla questione non ancora risolta relativa al fatto che la FA possa essere un fattore prognostico avverso66, o semplicemente un marker di malattia avanzata68, rimane la necessità di identificare una risposta terapeutica adeguata per ridurre i sintomi, il rischio di ictus ischemico, ed evitare il peggioramento della capacità funzionale dovuta alla perdita del contributo atriale e all’aumento e irregolarità della FC. La terapia anticoa- gulante è indicata in tutti i pazienti con SC e FA a meno di altre controindicazioni per la profilassi tromboembolica. Invece, al momento non vi sono studi che abbiano dimostrato una superiorità in termini di mortalità di una strategia che preveda il controllo del ritmo (rhythm control) rispetto ad una strategia che preveda il controllo della risposta ventricolare (rate control), sebbene sia innegabile che la prima presenti vantaggi per il miglior controllo dei sintomi e per la capacità di ottenere un miglioramento della funzione ventricolare e della capacità di esercizio paragonato anche a pazienti con FA a frequenza controllata69. L’unica raccomandazione di classe I e livello di evidenza A delle attuali linee guida per il controllo del ritmo rimane quella nello SC acuto allorché l’alta FC associata a disfunzione cardiaca determina instabilità emodinamica e la necessità di una cardioversione elettrica urgente39. Nello SC cronico la strategia del mantenimento del ritmo sinusale è percorribile nelle forme secondarie a fattori scatenanti e quando il controllo della FC risulti inefficace o l’aritmia non è tollerata dal paziente. In questo caso l’unico farmaco antiaritmico raccomandato rimane l’amiodarone39. Il ruolo dell’ablazione transcatetere per l’isolamento delle vene polmonari è ancora incerto pur in presenza di dati promettenti in pazienti e Centri selezionati70,71. Quando il controllo del ritmo non è possibile e il controllo della frequenza non è realizzabile farmacologicamente, l’ablazione della conduzione nodale con l’inserzione del pacemaker (ablate and pace) rimane la soluzione interventistica più utilizzata per ridurre i sintomi ma con incerti effetti sulla mortalità e con la necessità peraltro di utilizzare un pacemaker biventricolare per evitare la potenziale progressiva dissincronia interventricolare dovuta alla stimolazione apicale destra cronica72-74. È nostra opinione che nello SC cronico almeno un tentativo di controllo del ritmo debba essere tentato indipendentemente dal controllo o meno della FC e dei sintomi soprattutto nelle forme di FA persistenti di primo riscontro. Sebbene la strategia del rate control con betabloccanti e se necessario con digossina sia indicata dalle linee guida39, studi recenti hanno gettato ombre sull’utilizzo dei betabloccanti nei pazienti con FA e SC da disfunzione sistolica. La metanalisi di Kotecha et al.75 ha evidenziato una sostanziale perdita di beneficio in termini di sopravvivenza e ospedalizzazione per i pazienti trattati con betabloccanti rispetto a quelli che mantenevano il ritmo sinusale a conferma anche di una precedente sottoanalisi sui pazienti dello studio CIBIS (Cardiac Insufficiency Bisoprolol Study) II76. Sono inoltre noti da tempo i dati di incremento della mortalità con digossina quando i valori di digossinemia superano 0.8 ng/ml77. Specie nelle forme parossistiche o in un primo episodio di FA che accompagna lo SC oltre all’identificazione delle possibili cause correggibili (valvulopatia mitralica, disturbi elettrolitici, distiroidismo) o di potenziali fattori precipitanti (ischemia miocardica, pericarditi, chirurgia, malattie polmonari) vanno considerati anche possibili fattori iatrogeni farmacologici, come la stessa ivabradina. L’ivabradina è raccomandata per la riduzione della FC sinusale nello SC cronico dopo i risultati dello studio SHIFT che hanno evidenziato la riduzione dell’endpoint composito di morte o ospedalizzazione per SC con un NNT (number needed to treat) pari a 26 prevalentemente determinato dalla riduzione delle ospedalizzazioni44. Sebbene il rischio di FA riportato dalla letteratura del prodotto sia molto basso (1:10 000), una recente metanalisi su oltre 21 000 pazienti ha evidenziato che l’uso di ivabradina si associa ad un incremento del rischio di FA del 15% in un follow-up medio di circa 1.5 anni con un NNH (number needed to harm) pari a 20878. G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 11S F OLIVA ET AL Tabella 1. Studi che hanno dimostrato il ruolo della frequenza cardiaca nella prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco. Autore e anno Studio/registro Contesto N. pazienti Risultato principale riguardante il ruolo della FC Böhm et al.9, 2010 SHIFT trial SC cronico, FE ≤35% 3264 in ritmo sinusale (gruppo placebo) e 3241 con SC cronico (gruppo ivabradina) Il rischio dell’evento composito aumentava del 3% per ogni aumento della FC sopra i 70 b/min e del 16% per ogni 5 battiti sopra i 70 b/min. Castagno et al.52, 2012 CHARM trial SC cronico, analizzati sottogruppi con FEVS ≤40% vs >40% e presenza o assenza di FA al basale 7599 Simile relazione tra FC e prognosi nelle varie categorie di FEVS che non venivano influenzate dall’uso dei betabloccanti (per il composito di morte cardiovascolare e ospedalizzazione per SC l’HR era 1.23, IC 95% 1.11-1.36; p<0.001). Comunque nei pazienti in FA al basale la FC non ha valore prognostico. Vazir et al.10, 2015 CHARM Program SC cronico 7599 Un aumento della FC tra una visita ambulatoriale e la successiva era associato ad un aumentato rischio di morte per tutte le cause e del composito di morte ed ospedalizzazione per cause cardiovascolari (HR corretto 1.06, IC 95% 1.05-1.08; p<0.001, per un aumento di 5 b/min di FC). Kapoor e Heidenreich50, 2010 Registro della Divisione di Cardiologia dell’Università di Stanford HFpEF (FEVS >50%) 685 Dopo correzione per dati della storia del paziente, di laboratorio ed ecocardiografici, l’HR per mortalità era 1.47 (IC 95% 1.02-2.07) per FC tra 70 e 90 b/min e 2.00 (IC 95% 1.31-3.04) per FC >90 b/min. Böhm et al.51, 2014 I-Preserve trial HFpEF (FEVS >45% 3271 in ritmo ed età >60 anni) sinusale e 696 in FA Per ogni aumento della deviazione standard della FC (12.4 b/min) vi è un aumento del 13% della morte cardiovascolare o di ospedalizzazione per SC (p= 0.002). Non vi è relazione tra FC e prognosi nei pazienti in FA. Peterson et al.33, 2010 Registro prospettico AHA GWTG-HF SC acuto 39 783 Score che incorpora la FC tra i fattori prognostici di mortalità intraospedaliera, insieme ad età, SC come motivo principale del ricovero, PAS all’ingresso, livelli di sodiemia, livelli di creatinina sierica e FEVS <40%. O’Connor et al.17, 2012 PROTECT trial SC acuto 2015 La FC basale rappresentava un fattore del modello predittivo di eventi a 7 giorni. Bui et al.18, 2013 Registro prospettico AHA GWTG-HF SC acuto 145 221 sia in ritmo sinusale che FA Takahama et al.20, 2013 Registro del Dipartimento di Medicina Cardiovascolare di Osaka SC acuto 421 La riduzione della FC durante il ricovero (≥27 b/min) è risultata protettiva per eventi a lungo termine indipendentemente dal valore raggiunto. Greene et al.19, 2013 EVEREST trial SC acuto, FEVS ≤40% 1947 in ritmo sinusale Incrementi di 5 b/min sopra i 70 b/min nella prima settimana post-dimissione sono risultati significativamente correlati con un’aumentata mortalità totale precoce (HR 1.12, IC 95% 1.05-1.19). Habal et al.31, 2014 EFFECT-HF trial SC acuto 9097 Laskey et al.30, 2015 Registro prospettico AHA GWTG-HF SC acuto 46 217 in ritmo sinusale e FA Correlazione significativa tra FC, in termini di stratificatore prognostico, e mortalità a 30 giorni, in particolare per i sottogruppi con FC tra 81-90 b/min (OR 1.59) e >90 b/min (OR 1.56). Dimostrata relazione tra FC alla dimissione e probabilità di riospedalizzazione per tutte le cause a 30 giorni. Sia pazienti in ritmo sinusale che in FA. FC 70-75 b/min come range a minor rischio di morte intraospedaliera. FA, fibrillazione atriale; FC, frequenza cardiaca; FEVS, frazione di eiezione ventricolare sinistra; HFpEF, scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata; HR, hazard ratio; IC, intervallo di confidenza; OR, odds ratio; PAS, pressione arteriosa sistolica; SC, scompenso cardiaco. 12S G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 FC E PROGNOSI NELLO SCOMPENSO CARDIACO Figura 7. Effetti della tachicardizzazione in corso di scompenso cardiaco acuto. La frequenza cardiaca è un target terapeutico già nella fase di acuzie, dove in queste condizioni alla tachicardia come risposta allo scompenso cardiaco si può associare un incremento di frequenza cardiaca indotto dall’eventuale utilizzo di farmaci inotropi. MDO2, disponibilità miocardica di ossigeno; MVO2, consumo miocardico di ossigeno; VS, ventricolo sinistro. È possibile che il farmaco interferisca con le correnti If riscontrate anche nel miocardio delle vene polmonari, sito elettrofisiologicamente critico per l’innesco dell’aritmia, e si ipotizza una variabile suscettibilità individuale correlata al polimorfismo in HNC4 o in altri geni regolatori della FC79. Soprattutto in pazienti con storia di FA parossistica il rapporto rischio-beneficio nella scelta di tale farmaco deve essere quindi attentamente valutato. CONCLUSIONI La FC può essere a ragione considerata non solo un segno fisico ma un marker biologico ed ha un ruolo centrale nell’adattamento delle prestazioni cardiache alle esigenze metaboliche dell’organismo. In molte patologie cardiache un incremento della FC si associa a maggiore mortalità (Tabella 1)9,10,17-20,30,31,33,50-52. Nei pazienti con SC il limite oltre il quale incrementa il peso prognostico è >70 b/min; a ragione quindi la FC rappresenta un importante target terapeutico che può essere perseguito con varie classi di farmaci, come betabloccanti, digitale, amiodarone. Più recentemente si è aggiunta nel panorama dei trattamenti bradicardizzanti l’ivabradina, efficace nel bloccare selettivamente la corrente If a livello delle cellule pacemaker del nodo seno-atriale. La FC è un target terapeutico già nelle fasi di acuzie, dove si è dimostrata correlata alla prognosi. In queste condizioni alla tachicardia come risposta allo SC si può associare un incremento della FC indotto dall’eventuale utilizzo di farmaci inotropi (Figura 7). Nella fase ospedaliera l’ottimizzazione del trattamento con betabloccante, che rappresenta la prima linea terapeutica, può non essere agevole per le condizioni emodinamiche; l’introduzione precoce in questo contesto dell’ivabradina è una possibile e promettente strategia terapeutica da va- lidare con studi specifici. Anche i dati disponibili in letteratura riguardanti il periodo vulnerabile confermano che la FC post-dimissione può offrire un contributo importante nella stratificazione prognostica. La domanda aperta è se un più precoce intervento con riduzione della FC possa impattare positivamente sugli eventi clinici in questi pazienti. Nel paziente con SC cronico i dati disponibili nei registri evidenziano che più del 50%, nonostante terapia ottimizzata, ha FC >70 b/min. Nel corso del follow-up deve quindi essere perseguito il target di FC considerando, nei soggetti intolleranti o con difficoltà all’incremento posologico del betabloccante e in ritmo sinusale, l’utilizzo di ivabradina, come sottolineato dalle linee guida, alla luce della riduzione degli eventi ottenuta nello studio SHIFT. Al momento non sono disponibili dati controllati nel gruppo di soggetti con HFpEF, tuttavia la riduzione della FC sembra essere vantaggiosa in termini fisiopatologici, permettendo una migliore performance cardiaca. Nei pazienti con FA, condizione che spesso complica lo SC, sicuramente il ripristino del ritmo sinusale porta ad un miglioramento della soggettività, della funzione ventricolare e della capacità di esercizio; non è evidente una riduzione della mortalità. Nel caso in cui non sia possibile è indicato il controllo farmacologico della FC con i farmaci disponibili, betabloccanti, amiodarone e digitale; in casi selezionati non responsivi ai farmaci può trovare indicazione una procedura ablativa. RIASSUNTO La frequenza cardiaca (FC) non è solo un segno fisico ma anche un marker biologico. L’aumento della FC in molte malattie cardiache si associa ad una maggiore mortalità. Nello scompenso cardiaco (SC) essa rappresenta un importante target terapeutico sia nelle fasi di acuzie che in quelle croniche. Abbiamo a disposizione varie G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 13S F OLIVA ET AL classi di farmaci ma i betabloccanti sicuramente costituiscono una pietra miliare dei trattamenti raccomandati nella disfunzione sistolica. Tuttavia, sia nella fase ospedaliera che nel follow-up ambulatoriale, condizioni emodinamiche o intolleranza possono limitarne l’utilizzo o l’ottimizzazione del dosaggio. Più recentemente si è aggiunta nel panorama dei trattamenti bradicardizzanti l’ivabradina, bloccante selettivo della corrente If a livello delle cellule pacemaker del nodo seno-atriale. Nello studio SHIFT l’ivabradina si è dimostrata in grado di migliorare la prognosi in soggetti con SC cronico, in ritmo sinusale, con FC >70 b/min nonostante terapia betabloccante. Esperienze iniziali hanno dimostrato la sicurezza di questo farmaco e la capacità di controllo della FC anche nelle fasi di acuzie, anche se sono necessari ulteriori studi controllati per capire se oltre a favorevoli effetti sui sintomi e sul profilo emodinamico, un più pre- coce utilizzo può portare anche in questi sottogruppi di pazienti ad una prognosi migliore. Nel paziente con fibrillazione atriale e SC il primo obiettivo è il ripristino del ritmo sinusale; se non possibile è indicato il controllo farmacologico della FC, ottenibile con betabloccanti, amiodarone e digitale, anche se non si è evidenziata una così chiara relazione tra risposta ventricolare alla dimissione dopo SC acuto ed eventi avversi cardiovascolari maggiori nei pazienti con fibrillazione atriale. In questa rassegna verranno presentati gli studi che hanno dimostrato il ruolo della FC come marcatore di prognosi e target terapeutico nello SC cronico e nell’acuto, oltre a valutare l’attuale percentuale di pazienti non a target di FC con SC alla dimissione dopo uno SC acuto e in cronico sulla base di dati italiani. Parole chiave. Betabloccanti; Frequenza cardiaca; Ivabradina; Scompenso cardiaco. BIBLIOGRAFIA 1. Nieminen MS, Brutsaert D, Dickstein K, et al.; EuroHeart Survey Investigators; Heart Failure Association; European Society of Cardiology. EuroHeart Failure Survey II (EHFS II): a survey on hospitalized acute heart failure patients: description of population. Eur Heart J 2006;27:2725-36. 2. Tavazzi L, Senni M, Metra M, et al.; InHF (Italian Network on Heart Failure) Outcome Investigators. Multicenter prospective observational study on acute and chronic heart failure: one-year follow-up results of IN-HF (Italian Network on Heart Failure) outcome registry. Circ Heart Fail 2013;6:47381. 3. Braunwald E. Biomarkers in heart failure. N Engl J Med 2008;358:2148-59. 4. Braunwald E. The war against heart failure: the Lancet lecture. Lancet 2015;385: 812-24. 5. de Boer RA, Daniels LB, Maisel AS, Januzzi JL Jr. State of the Art: Newer biomarkers in heart failure. Eur J Heart Fail 2015; 17:559-69. 6. Johansen CD, Olsen RH, Pedersen LR, et al. Resting, night-time, and 24 h heart rate as markers of cardiovascular risk in middleaged and elderly men and women with no apparent heart disease. Eur Heart J 2013; 34:1732-9. 7. Kannel WB, Kannel C, Paffenbarger RS Jr, Cupples LA. Heart rate and cardiovascular mortality: the Framingham Study. Am Heart J 1987;113:1489-94. 8. Opdahl A, Ambale Venkatesh B, Fernandes VR, et al. Resting heart rate as predictor for left ventricular dysfunction and heart failure: MESA (Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis). J Am Coll Cardiol 2014;63: 1182-9. 9. Böhm M, Swedberg K, Komajda M, et al.; SHIFT Investigators. Heart rate as a risk factor in chronic heart failure (SHIFT): the association between heart rate and outcomes in a randomised placebo-controlled trial. Lancet 2010;376:886-94. 10. Vazir A, Claggett B, Jhund P, et al. Prognostic importance of temporal changes 14S in resting heart rate in heart failure patients: an analysis of the CHARM program. Eur Heart J 2015;36:669-75. 11. DiFrancesco D. The role of the funny current in pacemaker activity. Circ Res 2010;106:434-46. 12. DiFrancesco D, Ferroni A, Mazzanti M, Tromba C. Properties of the hyperpolarizing-activated current (if) in cells isolated from the rabbit sino-atrial node. J Physiol 1986;377:61-88. 13. DiFrancesco D, Ducouret P, Robinson RB. Muscarinic modulation of cardiac rate at low acetylcholine concentrations. Science 1989;243:669-71. 14. Deedwania P. Selective and specific inhibition of If with ivabradine for the treatment of coronary artery disease or heart failure. Drugs 2013;73:1569-86. 15. Maggioni AP, Dahlström U, Filippatos G, et al.; Heart Failure Association of ESC (HFA). EURObservational Research Programme: the Heart Failure Pilot Survey (ESCHF Pilot). Eur J Heart Fail 2010;12:1076-84. 16. Tavazzi L, Senni M, Metra M, et al.; INHF (Italian Network on Heart Failure) Outcome Investigators. Multicenter prospective observational study on acute and chronic heart failure: one-year follow-up results of IN-HF (Italian Network on Heart Failure) outcome registry. Circ Heart Fail 2013;6:47381. 17. O’Connor CM, Mentz RJ, Cotter G, et al. The PROTECT in-hospital risk model: 7day outcome in patients hospitalized with acute heart failure and renal dysfunction. Eur J Heart Fail 2012;14:605-12. 18. Bui AL, Grau-Sepulveda MV, Hernandez AF, et al. Admission heart rate and inhospital outcomes in patients hospitalized for heart failure in sinus rhythm and in atrial fibrillation. Am Heart J 2013;165:567574.e6. 19. Greene SJ, Vaduganathan M, Wilcox JE, et al.; EVEREST Trial Investigators. The prognostic significance of heart rate in patients hospitalized for heart failure with reduced ejection fraction in sinus rhythm: in- G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 sights from the EVEREST (Efficacy of Vasopressin Antagonism in Heart Failure: Outcome Study With Tolvaptan) Trial. JACC Heart Fail 2013;1:488-96. 20. Takahama H, Yokoyama H, Kada A, et al. Extent of heart rate reduction during hospitalization using beta-blockers, not the achieved heart rate itself at discharge, predicts the clinical outcome in patients with acute heart failure syndromes. J Cardiol 2013;61:58-64. 21. Farmakis D, Parissis J, Karavidas A, et al. In-hospital management of acute heart failure: practical recommendations and future perspectives. Int J Cardiol 2015;201: 231-6. 22. Swedberg K, Komajda M, Böhm M, et al.; SHIFT Investigators. Effects on outcomes of heart rate reduction by ivabradine in patients with congestive heart failure: is there an influence of beta-blocker dose? Findings from the SHIFT (Systolic Heart failure treatment with the If inhibitor ivabradine Trial) study. J Am Coll Cardiol 2012;59:1938-45. 23. Cullington D, Goode KM, Clark AL, Cleland JG. Heart rate achieved or betablocker dose in patients with chronic heart failure: which is the better target? Eur J Heart Fail 2012;14:737-47. 24. Cavusoglu Y, Mert U, Nadir A, Mutlu F, Morrad B, Ulus T. Ivabradine treatment prevents dobutamine-induced increase in heart rate in patients with acute decompensated heart failure. J Cardiovasc Med 2015;16: 603-9. 25. Sargento L, Satendra M, Longo S, Lousada N, dos Reis RP. Heart rate reduction with ivabradine in patients with acute decompensated systolic heart failure. Am J Cardiovasc Drugs 2014;14:229-35. 26. Desai AS, Stevenson LW. Rehospitalization for heart failure: predict or prevent? Circulation 2012;126:501-6. 27. Gheorghiade M, Vaduganathan M, Fonarow GC, Bonow RO. Rehospitalization for heart failure: problems and perspectives. J Am Coll Cardiol 2013;61:391-403. 28. Joynt KE, Orav EJ, Jha AK. Thirty-day FC E PROGNOSI NELLO SCOMPENSO CARDIACO readmission rates for Medicare beneficiaries by race and site of care. JAMA 2011; 305: 675-81. 29. Abraham WT, Adamson PB, Bourge RC, et al.; CHAMPION Trial Study Group. Wireless pulmonary artery haemodynamic monitoring in chronic heart failure: a randomised controlled trial. Lancet 2011;377: 658-66. 30. Laskey WK, Alomari I, Cox M, et al.; AHA Get With The Guidelines-Heart Failure Program. Heart rate at hospital discharge in patients with heart failure is associated with mortality and rehospitalization. J Am Heart Assoc 2015;4:e001626. 31. Habal MV, Liu PP, Austin PC, et al. Association of heart rate at hospital discharge with mortality and hospitalizations in patients with heart failure. Circ Heart Fail 2014;7:12-20. 32. Ferrero P, Iacovoni A, D’Elia E, Vaduganathan M, Gavazzi A, Senni M. Prognostic scores in heart failure - Critical appraisal and practical use. Int J Cardiol 2015;188:1-9. 33. Peterson PN, Rumsfeld JS, Liang L, et al.; AHA Get With The Guidelines-Heart Failure Program. A validated risk score for in-hospital mortality in patients with heart failure from the American Heart Association get with the guidelines program. Circ Cardiovasc Qual Outcomes 2010;3:25-32. 34. Scrutinio D, Ammirati E, Guida P, et al. The ADHF/NT-proBNP risk score to predict 1-year mortality in hospitalized patients with advanced decompensated heart failure. J Heart Lung Transplant 2014;33:40411. 35. Scrutinio D, Ammirati E, Passantino A, et al. Predicting short-term mortality in advanced decompensated heart failure - role of the updated acute decompensated heart failure/N-terminal pro-B-type natriuretic peptide risk score. Circ J 2015;79: 1076-83. 36. Scrutinio D, Ammirati E, Guida P, et al. Clinical utility of N-terminal pro-B-type natriuretic peptide for risk stratification of patients with acute decompensated heart failure. Derivation and validation of the ADHF/NT-proBNP risk score. Int J Cardiol 2013; 168:2120-6. 37. Eapen ZJ, Reed SD, Li Y, et al. Do countries or hospitals with longer hospital stays for acute heart failure have lower readmission rates? Findings from ASCENDHF. Circ Heart Fail 2013;6:727-32. 38. Cullington D, Goode KM, Cleland JG, Clark AL. Limited role for ivabradine in the treatment of chronic heart failure. Heart 2011;97:1961-6. 39. McMurray JJ, Adamopoulos S, Anker SD, et al. ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure 2012: The Task Force for the Diagnosis and Treatment of Acute and Chronic Heart Failure 2012 of the European Society of Cardiology. Developed in collaboration with the Heart Failure Association (HFA) of the ESC. Eur Heart J 2012;33:1787-47. 40. Maggioni AP, Anker SD, Dahlstrom U, et al.; Heart Failure Association of the ESC. Are hospitalized or ambulatory patients with heart failure treated in accordance with European Society of Cardiology guidelines? Evidence from 12,440 patients of the ESC Heart Failure Long-Term Registry. Eur J Heart Fail 2013;15:1173-84. 41. Flannery G, Gehrig-Mills R, Billah B, Krum H. Analysis of randomized controlled trials on the effect of magnitude of heart rate reduction on clinical outcomes in patients with systolic chronic heart failure receiving beta-blockers. Am J Cardiol 2008; 101:865-69. 42. McAlister FA, Wiebe N, Ezekowitz JA, Leung AA, Armstrong PW. Meta-analysis: beta-blocker dose, heart rate reduction, and death in patients with heart failure. Ann Intern Med 2009;150:784-94. 43. Assyag P, De Groote P, Galinier M, et al. Temporal trends in prescription rates of recommended treatments in chronic heart failure outpatients: a comparison of three French surveys IMPACT RECO I, II and III [abstract]. Eur J Heart Fail 2009;8(Suppl):ii730. 44. Swedberg K, Komajda M, Böhm M, et al.; SHIFT Investigators. Ivabradine and outcomes in chronic heart failure (SHIFT): a randomised placebo-controlled study. Lancet 2010;376:875-85. 45. Borer JS, Böhm M, Ford I, et al.; SHIFT Investigators. Effect of ivabradine on recurrent hospitalization for worsening heart failure in patients with chronic systolic heart failure: the SHIFT Study. Eur Heart J 2012; 33:2813-20. 46. Shaaya G, Al-Khazaali A, Arora R. Heart rate as a biomarker in heart failure: role of heart rate lowering agents. Am J Ther 2015 Sep 10 [Epub ahead of print]. 47. Dierckx R, Cleland JG, Parsons S, et al. Prescribing patterns to optimize heart rate: analysis of 1000 consecutive outpatient appointments to a single heart failure clinic over a 6-month period. JACC Heart Fail 2015;3:224-30. 48. Borer JS. How many patients will benefit from a new therapy for chronic systolic heart failure, and what difference does it make? JACC Heart Fail 2015;3:231-3. 49. Robba D, Caretta G, Bettari L, et al. Prevalence and characteristics of patients with chronic heart failure and indication to ivabradine treatment after optimization of beta-blocker therapy: a single center experience [abstract]. Eur J Heart Fail 2013; 15(Suppl 1):S253. 50. Kapoor JR, Heidenreich PA. Heart rate predicts mortality in patients with heart failure and preserved systolic function. J Cardiac Fail 2010;16:806-11. 51. Böhm M, Perez AC, Jhund PS, et al.; IPreserve Committees and Investigators. Relationship between heart rate and mortality and morbidity in the irbesartan patients with heart failure and preserved systolic function trial (I-Preserve). Eur J Heart Fail 2014;16:778-87. 52. Castagno D, Skali H, Takeuchi M, et al.; CHARM Investigators. Association of heart rate and outcomes in a broad spectrum of patients with chronic heart failure: results from the CHARM (Candesartan in Heart Failure: Assessment of Reduction in Mortality and morbidity) program. J Am Coll Cardiol 2012;59:1785-95. 53. Hung MJ, Cherng WJ, Kuo LT, Wang CH. Effect of verapamil in elderly patients with left ventricular diastolic dysfunction as a cause of congestive heart failure. Int J Clin Pract 2002;56:57-62. 54. Setaro JF, Zaret BL, Schulman DS, Black HR, Soufer R. Usefulness of verapamil for congestive heart failure associated with abnormal left ventricular diastolic filling and normal left ventricular systolic performance. Am J Cardiol 1990;66:981-6. 55. Bergström A, Andersson B, Edner M, Nylander E, Persson H, Dahlstrom U. Effect of carvedilol on diastolic function in patients with diastolic heart failure and preserved systolic function. Results of the Swedish Doppler-echocardiographic study (SWEDIC). Eur J Heart Fail 2004;6:453-61. 56. Fang Y, Debunne M, Vercauteren M, et al. Heart rate reduction induced by the If current inhibitor ivabradine improves diastolic function and attenuates cardiac tissue hypoxia. J Cardiovasc Pharmacol 2012;59: 260-7. 57. Becher PM, Lindner D, Miteva K, et al. Role of heart rate reduction in the prevention of experimental heart failure: comparison between If-channel blockade and beta-receptor blockade. Hypertension 2012; 59:949-57. 58. Busseuil D, Shi Y, Mecteau M, et al. Heart rate reduction by ivabradine reduces diastolic dysfunction and cardiac fibrosis. Cardiology 2010;117:234-42. 59. Reil JC, Hohl M, Reil GH, et al. Heart rate reduction by If-inhibition improves vascular stiffness and left ventricular systolic and diastolic function in a mouse model of heart failure with preserved ejection fraction. Eur Heart J 2013;34:2839-49. 60. Kosmala W, Holland DJ, Rojek A, Wright L, Przewlocka-Kosmala M, Marwick TH. Effect of If-channel inhibition on hemodynamic status and exercise tolerance in heart failure with preserved ejection fraction: a randomized trial. J Am Coll Cardiol 2013; 62:1330-8. 61. Pal N, Sivaswamy N, Mahmod M, et al. Effect of selective heart rate slowing in heart failure with preserved ejection fraction. Circulation 2015;132:1719-25. 62. Borlaug BA, Melenovsky V, Russell SD, et al. Impaired chronotropic and vasodilator reserves limit exercise capacity in patients with heart failure and a preserved ejection fraction. Circulation 2006;114:2138-47. 63. Adams KF Jr, Fonarow GC, Emerman G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 15S F OLIVA ET AL CL, et al.; ADHERE Scientific Advisory Committee and Investigators. Characteristics and outcomes of patients hospitalized for heart failure in the United States: rationale, design, and preliminary observations from the first 100,000 cases in the Acute Decompensated Heart Failure National Registry (ADHERE). Am Heart J 2005;149:209-16. 64. Rivero-Ayerza M, Scholte Op Reimer W, Lenzen M, et al. New-onset atrial fibrillation is an independent predictor of in-hospital mortality in hospitalized heart failure patients: results of the EuroHeart Failure Survey. Eur Heart J 2008;29:1618-24. 65. Maisel WH, Stevenson LW. Atrial fibrillation in heart failure: epidemiology, pathophysiology, and rationale for therapy. Am J Cardiol 2003;91(6A):2D-8D. 66. Wang TJ, Larson MG, Levy D, et al. Temporal relations of atrial fibrillation and congestive heart failure and their joint influence on mortality: the Framingham Heart Study. Circulation 2003;107:2920-5. 67. Olsson LG, Swedberg K, Ducharme A, et al.; CHARM Investigators. Atrial fibrillation and risk of clinical events in chronic heart failure with and without left ventricular systolic dysfunction: results from the Candesartan in Heart failure-Assessment of Reduction in Mortality and morbidity (CHARM) program. J Am Coll Cardiol 2006; 47:19972004. 68. Anter E, Jessup M, Callans DJ. Atrial fibrillation and heart failure: treatment con- 16S siderations for a dual epidemic. Circulation 2009;119:2516-25. 69. Lip GY, Tse HF, Lane DA. Atrial fibrillation. Lancet 2012;379:648-61. 70. MacDonald MR, Connelly DT, Hawkins NM, et al. Radiofrequency ablation for persistent atrial fibrillation in patients with advanced heart failure and severe left ventricular systolic dysfunction: a randomised controlled trial. Heart 2011;97:740-7. 71. Camm AJ, Lip GY, De Caterina R, et al. 2012 focused update of the ESC Guidelines for the management of atrial fibrillation: an update of the 2010 ESC Guidelines for the management of atrial fibrillation. Developed with the special contribution of the European Heart Rhythm Association. Eur Heart J 2012;33:2719-47. 72. Leon AR, Greenberg JM, Kanuru N, et al. Cardiac resynchronization in patients with congestive heart failure and chronic atrial fibrillation: effect of upgrading to biventricular pacing after chronic right ventricular pacing. J Am Coll Cardiol 2002;39: 1258-63. 73. Valls-Bertault V, Fatemi M, Gilard M, Pennec PY, Etienne Y, Blanc JJ. Assessment of upgrading to biventricular pacing in patients with right ventricular pacing and congestive heart failure after atrioventricular junctional ablation for chronic atrial fibrillation. Europace 2004;6:438-43. 74. Priori SG, Blomström-Lundqvist C, Mazzanti A, et al. 2015 ESC Guidelines for the G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 1 AL N 3 2016 management of patients with ventricular arrhythmias and the prevention of sudden cardiac death: The Task Force for the Management of Patients with Ventricular Arrhythmias and the Prevention of Sudden Cardiac Death of the European Society of Cardiology (ESC). Endorsed by: Association for European Paediatric and Congenital Cardiology (AEPC). Eur Heart J 2015;36: 2793-867. 75. Kotecha D, Holmes J, Krum H, et al. Efficacy of beta blockers in patients with heart failure plus atrial fibrillation: an individual-patient data meta-analysis. Lancet 2014;384:2235-43. 76. Rienstra M, Damman K, Mulder BA, Van Gelder IC, McMurray JJ, Van Veldhuisen DJ. Beta-blockers and outcome in heart failure and atrial fibrillation: a meta-analysis. JACC Heart Fail 2013;1:21-8. 77. Rathore SS, Curtis JP, Wang Y, Bristow MR, Krumholz HM. Association of serum digoxin concentration and outcomes in patients with heart failure. JAMA 2003;289: 871-8. 78. Martin RI, Pogoryelova O, Koref MS, Bourke JP, Teare MD, Keavney BD. Atrial fibrillation associated with ivabradine treatment: meta-analysis of randomised controlled trials. Heart 2014;100:1506-10. 79. Suenari K, Cheng CC, Chen YC, et al. Effects of ivabradine on the pulmonary vein electrical activity and modulation of pacemaker currents and calcium homeostasis. J Cardiovasc Electrophysiol 2012;23:200-6.