Introduzione Quotidianamente i mass-media asserviti al regime borghese propongono, in tutte le salse possibili, i crimini o pseudo-crimini del comunismo. Tristemente dobbiamo notare che nessuna voce dissidente si alza, anche grazie a quelle forze pseudo-comuniste e socialdemocratiche che, con il loro chiasso, soffocano ogni opinione indipendente che possa erodere la cappa culturale del capitale. Nell’attesa che il vento della Storia spazzi via questi pennivendoli schiavi dell’oligarchia economicofinanziaria che governa il mondo, iniziamo un lavoro di forza uguale e contraria a quello portato avanti dai media, svelando ogni menzogna ed ogni crimine del capitalismo. Potremmo parlare di numerosi temi, ma decidiamo di iniziare con avvenimento recente e che ci tocca da vicino: le foibe. Proviamo, in queste poche ore, ad analizzare le cause di questo fenomeno storico e a distruggere le false accuse che la borghesia getta sul movimento partigiano jugoslavo. Divideremo quindi il nostro spazio in due: da un lato faremo analisi storica e, dall’altro, parleremo dell’attualità. La Prima Guerra Mondiale, il Trattato di Versailles e le loro conseguenze Può sembrare strano, ma per analizzare le foibe bisogna partire dalla Prima Guerra Mondiale. Ovviamente non parleremo nel dettaglio del conflitto, ma esporremo brevemente i due momenti più importanti per il nostro tema: l’entrata in guerra dell’Italia ed il Trattato di Versailles. Come tutti sanno il 28 luglio 1914 scoppiò la Prima Guerra Mondiale, che altro non fu se non il primo conflitto interimperialista su vasta scala della storia europea. L’Italia non entrò immediatamente in guerra. Il Governo italiano impugnò le armi solo il 24 maggio 1915 ed entrò in guerra a fianco dell’Intesa, rompendo così l’alleanza che da anni vedeva il Regno legato al Reich tedesco e all’Impero Austro-Ungarico. Questo voltagabbana illustra bene la tattica capitalista. Il Governo italiano, infatti, intavolò trattative con il blocco degli Imperi centrali, subordinando l’entrata in guerra alla cessione del Trentino, delle isole della Dalmazia, Gorizia, Gradisca e al "primato" sull'Albania. L’Austria-Ungheria rifiutò e l’Italia si rivolse all’Intesa, chiedendo, in cambio dell’aiuto militare, il Trentino e Trieste, l'Istria, la Dalmazia, il porto di Valona e altri territori da stabilire. Ovviamente le potenze dell’Intesa accettarono la proposta ed il Regno d’Italia entrò in guerra contro gli alleati di un tempo e a favore di quelli che, teoricamente, dovevano essere i suoi nemici. È importante tenere a mente le terre rivendicate dall’Italia in caso di vittoria, poiché da qui, sostanzialmente, partirà la trafila storica che si concluderà con le foibe. Facciamo ora uno sbalzo temporale e arriviamo al 1919, anno del Trattato di Versailles. Nel frattempo è apparsa sulla scena la nuova grande potenza imperialista: gli Stati Uniti d’America. Proprio durante i lavori a Versailles gli Stati Uniti impongono il cosiddetto “principio di nazionalità”. Questo portò a gravi conseguenze per l’Italia, che vide sfumate le pretese sulla Dalmazia settentrionale, vide sfuggirsi di mano il protettorato sull’Albania e vide il Montenegro affidato al neonato Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (in seguito Jugoslavia). Inoltre l’Italia si vide strappare di mano la città di Fiume. Tutti questi dati sono molto importanti per capire i futuri avvenimenti e sono alla base della politica italiana nei Balcani. Potremmo definire la politica estera italiana nel periodo analizzato come “prima ondata imperialistica” nei confronti dei territori slavi. Una delle maggiori conseguenze della firma dei trattati di pace fu l’inizio del contenzioso territoriale con il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, che venne risolto solo nel 1920 con la firma del Trattato di Rapallo. I territori annessi alla fine della Prima Guerra Mondiale erano territori italiani? Il nostro compito ora, come detto poco fa, è quello di svelare le menzogne create ad arte dalla borghesia. Ecco che ci troviamo subito di fronte alla prima grande mistificazione storica. Cosa ci dicono fascisti, nazionalisti e altra feccia simile? Essi continuano a ripetere: “I territori annessi dopo la Prima Guerra Mondiale erano territori italiani!”. Purtroppo molta gente crede ancora a questa affermazione, si impone quindi una spiegazione. I territori conquistati dall’imperialismo italiano non erano assolutamente “italici” né, tanto meno, abitati in maggioranza da italiani. Per rendersene conto basta guardare una cartina etnica, per esempio quella redatta da Cesare Battisti nel 1915 e pubblicata nel 1920 dall’Istituto Geografico De Agostini. Riferendosi al 1910 l’autore nota che la popolazione della Venezia Giulia era così ripartita: - italiani: 43,09% sloveni: 32,23% croati: 20,64% tedeschi: 3.30% tot. popolazione slava: 52,87% mentre per l’Istria la popolazione era così ripartita: - italiani: 35,15% sloveni: 14,27% croati: 43,52% tedeschi: 3,51% tot. popolazione slava: 57,79% L’avvento del fascismo, l’italianizzazione dei territori slavi e la politica imperialistica nei confronti della Jugoslavia Altro balzo storico. 1922, marcia su Roma: il fascismo prende il potere. Con l’avvento del fascismo inizia quella che possiamo definire “seconda ondata imperialista contro la Jugoslavia”. Ma cos’è il fascismo? La versione che oggi va per la maggiore è che il fascismo è nato come reazione della piccola e media borghesia contro la grande borghesia finanziaria. Ciò è errato: come insegna il rapporto del VII Congresso dell’Internazionale Comunista il fascismo “ non è né un potere al di sopra delle classi, né il potere della piccola borghesia o del sottoproletariato sul capitale finanziario. Il fascismo è il potere dello stesso capitale finanziario. È la organizzazione della repressione terroristica contro la classe operaia e contro la parte rivoluzionaria dei contadini e degli intellettuali. Il fascismo, in politica estera, è lo sciovinismo nella sua forma più rozza, lo sciovinismo che coltiva l'odio bestiale contro gli altri popoli.”. Esso si appoggia alla piccola-media borghesia e agli strati più arretrati del proletariato per ottenere una base “di massa”, ma nella sostanza è il potere del grande capitale liberato dai fronzoli della democrazia borghese. Quando si instaura questo potere? Nei momenti di crisi, nei momenti in cui una riscossa del proletariato potrebbe far collassare il sistema di produzione capitalista (questo dovrebbe farci riflettere sulla situazione attuale che stiamo vivendo e dovrebbe farci preparare al peggio). Essendo il fascismo una emanazione del capitalismo è normale che esso cerchi di aprire nuovi mercati all’oligarchia economico-finanziaria. In politica estera il fascismo rappresenta l’imperialismo più becero ed aggressivo. Prima di analizzare la politica nei confronti della Jugoslavia analizziamo la politica interna. Quello che ora ci interessa è il processo di italianizzazione portato avanti dal fascismo nei territori slavi annessi dopo la Guerra. La campagna discriminatoria portata avanti dal regime contro le minoranze etniche all’interno del Paese, infatti, trovò l’apice più virulento proprio ai danni del pollo slavo. Un breve elenco di alcuni provvedimenti presi dal regime fascista nei confronti della minoranza slava: - soppressione totale delle istituzioni nazionali slovene e croate divieto dell'uso del serbo-croato e imposizione dell'italiano come unica lingua nelle scuole e negli uffici pubblici l'italianizzazione delle principali città con il trasferimento in esse di popolazione italiana licenziamento di insegnanti di madrelingua forte limitazione all'assunzione di impiegati sloveni negli uffici pubblici italianizzazione forzata dei cognomi La gerarchia ecclesiastica non fu da meno. Essa, infatti, rimosse dall'incarico i vescovi slavi di Trieste e Gorizia e abolì l'uso della lingua slovena nelle funzioni liturgiche e nella catechesi. L’analisi dettagliata delle varie forme di opposizione al regime esula dai nostri compiti e meriterebbe degli approfondimenti ben più dettagliati. Basti qui ricordare che essa si sviluppò essenzialmente su due direttrici: una di tipo nazionalista e irredentista, basata su gruppi chiusi e su azioni dimostrative anche di tipo terroristico che il regime utilizzò per cercare di dare giustificazione all'inasprirsi dell'azione repressiva; l'altra che, accanto alla salvaguardia dell'identità nazionale, sosteneva la necessità dell'allargamento e del radicamento della lotta antifascista tra la classe operaia e le masse popolari delle diverse etnie presenti in quei territori. La repressione dell'opposizione fu durissima e tuttavia il regime non riuscì mai a "normalizzare'' la situazione in quei territori. Il Tribunale speciale iniziò la sua nefanda opera in quella zona nel febbraio del 1927. E tra il 1927 e il 1943, solo contro imputati sloveni e croati, ci furono centotredici processi. Le condanne furono sempre durissime. Trentaquattro antifascisti sloveni vennero condannati a morte, mentre ad altri 581 vennero inflitti complessivamente 5.418 anni di reclusione. Tra le vittime di questa spietata azione repressiva, moltissimi furono i militanti comunisti. Veniamo ora alla politica del Regno d’Italia nei confronti della Jugoslavia. Le mire espansionistiche del fascismo italiano si posarono, prima ancora che sull’Etiopia, sulla Jugoslavia guidata dalla dinastia Karađorđevic. Questo per due motivi principali: 1) l’Italia rivaleggiava con la Jugoslavia per il controllo dell’Albania e del mare Adriatico 2) i fascisti nutrivano velleità irredentiste sui territori abitati da minoranze italiane, rappresentanti della “vittoria mutilata” su cui il fascismo basò la sua azione demagogica. Nel tentativo di indebolire ed eventualmente smembrare la Jugoslavia, l’Italia strinse alleanze con Paesi che avevano contenziosi di confine con essa (Ungheria e Bulgaria), ma anche con movimenti estremisti e, in alcuni casi, terroristici, interni al Paese: nazionalisti kosovari, VRMO macedone e ustaša croati. Questi ultimi, guidati da Ante Pavelić, futuro Poglavnik dello Stato Indipendente Croato, vennero accolti ed addestrati in Italia. In questo periodo la Jugoslavia fu attraversata da forti tensioni che culminarono con l’omicidio, da parte degli ustaša, del re Aleksandar I a Marsiglia (9 ottobre 1934). Ecco, tuttavia, che avviene un grande cambiamento nella politica europea: il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi prende il potere in Germania. Inizialmente il fascismo italiano non si fida del suo fratello tedesco. Temendo che un crollo della Jugoslavia potesse favorire l’avversario tedesco Mussolini face arrestare gli ustaša e li mandò in confino alle Eolie. Contemporaneamente si assistette ad un riavvicinamento italo-jugoslavo che portò alla firma del Patto di Belgrado. Altro grande cambiamento: sboccia l’amore tra il fascismo italiano e quello tedesco. Il vicino germanico passa da nemico a potente alleato. Ricomincia, quindi, una politica estera aggressiva nei confronti della Jugoslavia. Nel 1939 il Regno d’Italia occupa l’Albania, l’accerchiamento dell’avversario è completo. Ennesima novità: il Reich tedesco invade la Polonia, scoppia la Seconda Guerra Mondiale. Mussolini inizia ad accarezzare il pensiero di una invasione armata della Jugoslavia. Hitler inizialmente lo appoggia e lo invita a prendersi “la sua parte di bottino in Croazia e Dalmazia”, ma, successivamente, blocca i piani italiani. L’Italia fu spinta a rimanere neutrale fino al maggio 1940, quando partecipò all’aggressione della Francia. Ecco che Mussolini inizia la sua “guerra parallela” contro la Grecia. il potente esercito italico e fascista non riuscì, da solo, a stroncare le reni alla Grecia ed ecco che lo sguardo torvo del fascismo torna a posarsi sulla Jugoslavia. L’invasione della Jugoslavia Il 6 aprile 1941 le potenze dell’Asse sferrano il loro attacco contro il Regno di Jugoslavia. Mentre l’aviazione tedesca bombarda a tappeto Belgrado (provocando diecimila morti), truppe tedesche, italiane, bulgare ed ungheresi iniziavano l’offensiva via terra. Obiettivo: distruggere completamente la Jugoslavia. Il 15 aprile il re ed il Governo fuggirono in Grecia, per poi spostarsi in Inghilterra. Il 17 aprile i vertici militari di Belgrado si arresero al generale Von Weichs. I fascisti ottennero ciò che volevano: la distruzione della Jugoslavia. Il territorio jugoslavo venne così spartito tra i vincitori: - parte della Slovenia venne annessa dalla Germania il Banato venne occupato militarmente dai tedeschi la Serbia divenne uno Stato fantoccio sotto la guida del generale Milan Nedić la Macedonia viene annessa alla Bulgaria Novi Sad viene annessa all’Ungheria - - la Croazia viene eretta a regno formalmente indipendente. Monarca di questo Stato fantoccio (lo Stato Indipendente Croato) fu il duca Aimone di Savoia, mentre la guida del governo fu affidata all’ ustaša Ante Pavelić. Lubiana, la zone meridionale della Slovenia, gran parte del litorale della Dalmazia, alcune zone della Bosnia, del Montenegro e del Kosovo furono annesse dall’Italia I crimini fascisti in Jugoslavia Le foibe, come già detto, furono una conseguenza dell’occupazione fascista della Jugoslavia. Occorre quindi analizzare, seppure rapidamente, i crimini commessi dal fascismo italiano nei territori conquistati. La circolare 3 C Perno della politica repressiva del fascismo fu la tristemente nota circolare 3 C, emanata dal generale Mario Roatta il 1° marzo 1942. Le disposizioni del generale Mario Roatta erano del tutto simili a quelle impartite dai comandanti nazisti: rappresaglie, incendi di case e villaggi, esecuzioni sommarie, raccolta e uccisione di ostaggi, internamenti nei campi di concentramento di Rab (Arbe) e di Gonars. Il generale Roatta emanò inoltre anche ordini più espliciti: "(...) Se necessario, non rifuggire da usare crudeltà. Deve essere una pulizia completa. Abbiamo bisogno di internare tutti gli abitanti e mettere le famiglie italiane al loro posto", ‘’(…)l’internamento può essere esteso… sino allo sgombero di intere regioni, come ad esempio la Slovenia. In questo caso si tratterebbe di trasferire, al completo, masse ragguardevoli di popolazione… e di sostituirle in loco con popolazioni italiane”.Secondo gli storici James Walston[11] e Carlo Spartaco Capogeco [12], il tasso di mortalità annua nel campo di concentramento di Rab (Arbe) superava il tasso di mortalità medio nel campo di concentramento nazista di Buchenwald (che era il 15%). Monsignor Joze Srebnic, vescovo di Veglia (Krk), il 5 agosto 1943 riferì a Papa Pio XII, che "secondo i testimoni, che avevano partecipato alle sepolture, il numero dei morti avrebbe superato le 3500 unità". Crimini fascisti in Dalmazia Come per i territori annessi dopo la Prima Guerra Mondiale anche ora il Regno d’Italia iniziò l’italianizzazione forzata dei territori conquistati. Ovviamente la risposta della popolazione slava fu la resistenza. La risposta dei Tribunali speciali non si fece attendere ed iniziarono le prime condanne a morte: 8 a Bencovazzo il 6 agosto; 6 aSebenico il 13 ottobre; 19 a Spalato il 14 ottobre; 12 a Vodizze il 26 ottobre. Furono inoltre organizzate rappresaglie sui familiari di latitanti ribelli che portarono all'internamento di migliaia di persone. Solo per fare un esempio, l'ordinanza del 7 giugno1942 stabilì che tutti coloro i quali avessero abbandonato i comuni di residenza per unirsi ai ribelli sarebbero stati iscritti in apposite liste, compilate da ogni comune. Gli iscritti alle liste, non appena catturati, sarebbero stati passati per le armi; le famiglie degli iscritti sarebbero state considerate ostaggi e non avrebbero potuto, per nessuna ragione, allontanarsi dal comune di residenza, senza un salvacondotto rilasciato dalla Polizia o dai Carabinieri. In caso di allontanamento ingiustificato sarebbero stati passati per le armi. I beni degli iscritti alle liste sarebbero stati confiscati o venduti al miglior offerente. I capovilla di ogni villaggio dovevano tenersi a disposizione dell'autorità civile e militare e contribuire alla ricerca e l'identificazione degli iscritti nelle liste. In caso di colpevole negligenza anch'essi sarebbero stati passati per le armi. L'ordinanza, promulgata per la sola provincia di Zara, fu estesa il 1º febbraio 1943 a Spalato e Cattaro. Crimini fascisti in Slovenia Per colpire la resistenza jugoslava le autorità italiane puntarono sulla deportazione di intere zone popolate da civili in contatto o in grado di parentela con i partigiani. La stessa politica venne perseguita anche nell'adiacente Provincia di Fiume. Il 12 luglio 1942 nel villaggio di Podhum, per rappresaglia furono fucilati da reparti militari italiani per ordine del Prefetto della Provincia di Fiume Temistocle Testa tutti gli uomini del villaggio di età compresa tra i 16 ed i 64 anni. Sul monumento che oggi sorge nei pressi del villaggio sono indicati i nomi delle 91 vittime dell'eccidio. Il resto della popolazione fu deportata nei campi di internamento italiani e le abitazioni furono incendiate. Nell'estate 1941 le autorità italiane decisero di utilizzare reparti del Regio Esercito per il controllo del territorio delle zone controllate dalla resistenza. Il 6 ottobre 1941 le divisioni "Granatieri di Sardegna" e "Isonzo" avviarono una prima offensiva nel territorio di Golo-Skrilje e MokrecMalinjek incendiando le case del luogo; il 14 ottobre a Zapotok i militari italiani attaccarono il battaglione partigiano "Krim" uccidendo 2 combattenti jugoslavi e arrestando i civili che abitavano il vicino villaggio. Dalla relazione del novembre 1941 del comandante della divisione "Granatieri" e dell'XI Corpo d'armata si evince che i granatieri italiani a Ribnica riuscirono, dopo tre giorni di operazioni, a sbarrare la strada per la Croazia ai ribelli e a distruggerne la banda: 13 uccisi, 10 feriti e catturati, 44 catturati illesi. Nonostante questi successi del Regio Esercito l'attività partigiana allargò la propria capacità operativa e di mobilitazione grazie all'ampio appoggio popolare di cui godeva. Il 1º dicembre 1941 studenti e gruppi armati realizzarono una serie di azioni dimostrative: esplosione di una bomba contro postazioni fasciste, manifestazioni di studenti, astensione della popolazione dalla circolazione e frequentazione dei locali pubblici. L'esercito italiano reagì sparando sui civili e uccidendo 2 persone (Vittorio Meden, Presidente della Federazione commercianti di Lubiana, e Dan Jakor) e ferendo gravemente Grikar Slavo, impiegato presso l'Alto Commissariato. Dal 2 al 14 dicembre 1941 il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato celebrò a Trieste un processo contro 60 antifascisti operanti nel territorio sloveno e giuliano condannandone 9 a morte, 30 a trent'anni di carcere e gli altri a pene di poco inferiori. Cinque dei nove condannati a morte vennero fucilati al poligono di tiro di Opicina, vicino Trieste, il 15 dicembre 1941 e uno di questi, Pinko Tomazic, dopo la fine della guerra venne decorato come eroe nazionale. Nel novembre 1941 a seguito di un attacco partigiano ad un ponte ferroviario sulla linea LubianaPostumia vennero eseguiti rastrellamenti e distruzioni in vaste zone adiacenti; durante le operazioni militari e gli scontri armati con la resistenza jugoslava le truppe italiane ebbero 4 morti e 3 feriti. Le autorità italiane reagirono incarcerando 69 civili dei villaggi del luogo, processandoli ed emettendo 28 condanne a morte, 12 ergastoli, 4 a trent'anni di carcere e altri 6 a pene tra i cinque e gli otto anni. Dal gennaio al 23 febbraio 1942 le autorità civili e militari italiane cinsero con filo spinato e reticolati l'intero perimetro di Lubiana, disponendo un ferreo controllo su tutte le entrate e le uscite della città. Il recinto era lungo ben 41 chilometri e nel suo corso vennero dislocati sessanta posti di guardia, nonché quattro stazioni fotoelettriche. La città venne divisa in tredici settori e furono raccolti 18.708 uomini che furono controllati nelle caserme con l'aiuto di delatori sloveni dissimulati; 878 di questi uomini furono mandati in campo di concentramento. A Lubiana nel solo mese del marzo '42 gli italiani fucilarono 102 ostaggi. Secondo fonti slovene e jugoslave, in 29 mesi di occupazione italiana della Provincia di Lubiana, vennero fucilati o come ostaggi o durante operazioni di rastrellamento circa 5.000 civili, ai quali furono aggiunti 200 bruciati vivi o massacrati in modo diverso, 900 partigiani catturati e fucilati e oltre 7.000 (su 33.000 deportati) persone, in buona parte anziani, donne e bambini, morti nei campi di concentramento. In totale quindi si arrivò alla cifra di circa 13.100 persone uccise su un totale di circa 340.000 (più precisamente 339.751 al momento dell'annessione), quindi il 2,6% della popolazione totale della provincia. Crimini fascisti in Montenegro Il 2 dicembre 1941 i reparti del Regio Esercito irruppero nel villaggio di Pljevlja fucilando sul posto 74 civili e passando per le armi anche tutti i partigiani catturati. Il 6 dicembredopo un attacco partigiano presso Passo Jabuka, che causò gravi perdite alle truppe del Regio Esercito, le autorità italiane disposero un'ampia azione di rastrellamento e distruzione delle zone circostanti coinvolgendo in particolare i villaggi di Causevici, Jabuka e Crljenica, che vennero bombardati e dati alle fiamme mentre civili e partigiani furono trucidati sul posto. Il 14 dicembre vennero fucilati 14 contadini nel villaggio di Drenovo, mentre nei villaggi di Babina Vlaka, Jabuka e Mihailovici vennero uccise 120 persone, tra cui donne e bambini, e incendiate 23 case. Il 12 gennaio 1942 il generale Alessandro Pirzio Biroli ordinò che per ogni soldato ucciso, o ufficiale ferito la rappresaglia avrebbe compreso una proporzione di 50 ostaggi fucilati per ogni militare italiano e di 10 ostaggi fucilati per ogni sottufficiale o soldato ferito. Nel gennaio 1942 le truppe italiane fecero irruzione nei villaggi di Ljubotinja e Gornji Ceklini devastandone gli abitati; a Bokovo vennero arrestati e deportati una quindicina di contadini. Il 13 febbraio 1942 l'aviazione italiana bombardò il villaggio di Morinje, a Gluhi Dol, uccidendo 4 persone in una scuola elementare; nel villaggio di Rubezi i soldati italiani, durante una spedizione punitiva, bruciarono alcune case e uccisero gli abitanti locali. Tra il febbraio e l'aprile 1942 i battaglioni alpini "Ivrea" e "Aosta" operarono una serie di rastrellamenti nella zona delle Bocche di Cattaro, fucilando 20 contadini e distruggendo 11 villaggi (Bjelske, Krusevice, Bunovici, Gornje Morinje, Repaj, Zlijebi, Gornje, Djurice, Sasovici, Kuta, Presjeka, Lastra, Kameno e Bakoci). Il 7 maggio 1942 a Cajnice, dove già nel dicembre 1941 si era verificato un attacco partigiano a seguito del quale erano morti alcuni soldati italiani, il generale del Regio Esercito, Esposito, ordinò l'esecuzione di 70 ostaggi presi tra la popolazione civile, seguendo le indicazioni dettate da Pirzio Biroli. Il 20 giugno 1942 Pirzio Biroli fece fucilare 95 comunisti. Il 25 giugno 1942 a Cettigne, in rappresaglia di un attacco partigiano alle truppe del Regio Esercito che aveva provocato la morte di 9 ufficiali italiani, vennero fucilati 30 montenegrini. Il 26 giugno 1942 a Nikšić il giovane Dujo Davico, che lavorava come cameriere presso la mensa degli ufficiali del comando italiano del 48º reggimento fanteria, lanciò contro di loro una bomba a mano. Nonostante l'azione non provocò vittime, per rappresaglia vennero fucilati 20 prigionieri comunisti. Il 31 dicembre 1942 Pirzio Biroli fece fucilare per rappresaglia contro l'uccisione di un nazionalista 6 montenegrini accusati di correità e partecipazione all'uccisione. 1943, esplode la rabbia popolare: le foibe Quando l'8 settembre 1943 l'Italia firmava l'armistizio, vaste zone del Friuli, della Venezia-Giulia, della Slovenia e dell'Istria erano controllate dalle formazioni partigiane italiane, slovene e croate. Il disfacimento del regime portò allo sfaldamento degli organi di gestione e di controllo del potere mussoliniano a cui si sostituirono le prime forme embrionali di governo da parte del Fronte di Liberazione sloveno e croato. Il Movimento di Liberazione proclamò i territori delle province di Trieste e Gorizia e di Pola e Fiume annesse rispettivamente alla Slovenia ed alla Croazia. Fu in questa situazione, tutt'altro che stabilizzata sul piano della sicurezza e del controllo militare, che in Istria nel settembre 1943 alcune centinaia di persone: fascisti italiani (squadristi, gerarchi e funzionari delle istituzioni del regime); slavi (collaborazionisti e ustascia) e soldati tedeschi, molti dei quali già sul punto di scappare per non dover rendere conto del proprio operato, furono giudicati colpevoli di crimini contro la popolazione locale e quindi passati per le armi dai partigiani slavi e italiani e i loro corpi infoibati. La propaganda fascista parlò, allora come oggi, dello sterminio etnico di migliaia di italiani. Tutti gli atti risultanti dalle indagini e dalle ricerche svolte nel dopoguerra, anche da parte occidentale, e suffragate da una puntuale documentazione, hanno stabilito che furono circa cinquecento le persone uccise e infoibate nel 1943 in Istria. Il Giorno del ricordo: memoria selettiva ed anticomunismo Con la legge n° 92 del 30 marzo 2004 (votata anche con l’appoggio ci certa parte del centrosinistra) viene istituito il Giorno del ricordo, a memoria delle vittime delle foibe e dei profughi italiani dei territori assegnati alla Jugoslavia dopo la Seconda Guerra Mondiale. La celebrazione ricade il 10 febbraio. Ai più questa data non dirà niente, ma il 10 febbraio è anche l’anniversario del Trattato di pace di Parigi, che pose fine al secondo conflitto mondiale. La memoria richiamata con questa ricorrenza è completamente selettiva. Si esalta il fenomeno storico senza comprenderne le cause. Si negano i crimini fascisti, ci si autoassolve, e si condannano i crimini (o presunti crimini) dei partigiani jugoslavi. Perché? La risposta è molto semplice: la borghesia deve assolutamente ed in ogni modo criminalizzare il comunismo. Essa teme più di ogni cosa il socialismo, unica forza in grado di sconfiggerla è deve scongiurare il ritorno di un movimento comunista. Per fare questo ogni singolo giorno vengono criminalizzati i comunisti. Il revisionismo storico sulle foibe fa parte di questo processo. Si ingigantiscono le cifre, si inventano crimini, si mente spudoratamente per arrivare allo scopo. Come avviene questo vero e proprio processo di instradamento delle masse? Attraverso due canali: lo spettacolo e la politica. Il revisionismo storico nello spettacolo: “Il cuore nel pozzo” Un grande e recente esempio di revisionismo storico è rappresentato dallo sceneggiato RAI “Il cuore nel pozzo”, prodotto da Angelo Rizzoli (il noto piduista), diretto da Alberto Negrin ed interpretato da Leo Gullotta. Riportiamo la recensione fatta da Laura Delli Colli, apparsa su Panorama.it col titolo “Foibe. Un film per capire”. “Il massacro di migliaia di civili inermi. La tragedia della pulizia etnica nelle terre slavizzate a forza. Gli spietati partigiani di Tito in azione…”, scrive la giornalista. Ed ancora: “una tragedia rimossa costata non meno di 20-30 mila vittime, uccise dalla feroce repressione del regime di Tito. Un massacro e una persecuzione di massa con un solo obiettivo, ancora attuale: la pulizia etnica (…) Mentre l’Italia viveva la fine della guerra, i partigiani iugoslavi con la stella rossa di Tito eliminarono con ferocia intere famiglie, uomini e donne e spesso con loro i bambini, solo perché oppositori, dichiarati o anche solo potenziali, della slavizzazione dei territori. Almeno diecimila i desaparecidos di un massacro…”. “La storia è quella di don Bruno, in fuga nelle campagne istriane per mettere in salvo, tra i bambini, Carlo e Francesco. Carlo è figlio di un’italiana, violentata dal capo partigiano Novak. E Novak va a caccia di quel bambino per eliminarlo. Il prete lo difenderà fino al sacrificio (…) sotto la tonaca di un mite sacerdote di frontiera, ha il cuore di un leone mentre salva i bambini in fuga dalle fiamme che i titini hanno appiccato all’orfanotrofio”. Ogni commento a questo articolo, che sembra appena uscito da un libello del MINCULPOP, è superfluo, soprattutto alla luce di quanto detto poco fa. Il revisionismo storico nella politica: Gasparri e Napolitano La presentazione delle foibe come atti avulsi dal contesto di reazione al fascismo ha raggiunto il paradosso nelle dichiarazioni di Maurizio Gasparri, che ha definito le foibe come “la Shoah italiana”. L’ignorante Gasparri non sa che con questo termine si definisce anche lo sterminio di migliaia di ebrei italiani, avvenuto con la complicità attiva dei suoi camerati del Partito fascista. Ma, obietteranno in molti, Gasparri è un fascista. Molto bene, riportiamo allora le dichiarazioni del migliorista Giorgio Napolitano, il nostro caro Presidente golpista. Cosa ha detto il Presidente della Repubblica il 10 febbraio 2007? “[…] nell’autunno 1943, si intrecciarono giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria,e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica […]. Va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe, ma egualmente l’odissea dell’esodo, e del dolore e della fatica che costò ai fiumani, istriani e dalmati ricostruirsi una vita nell’Italia tornata libera ed indipendente, ma umiliata e mutilata nella sua regione orientale. E va ricordata […] la congiura del silenzio, la fase meno drammatica ma ancora più amara e demoralizzante dell’oblio”. Non si capisce se è un discorso di Napolitano o di Junio Valerio Borghese, tanta è la retorica nazionalista e la mistificazione storica del nostro migliorista! Conclusioni Come dicevamo all’inizio ogni giorno la borghesia alza la sua voce e mistifica la storia, con l’unico scopo di attaccare il comunismo. Le foibe sono, come si è visto, un esempio lampante. Quello che si è fatto oggi è un lavoro importantissimo. È l’inizio di un processo che non si deve fermare. Se ogni giorno i mass-media asserviti al regime alzano la voce noi dobbiamo alzarla ancora più forte per sovrastarli. Dopo questa breve riflessione concludiamo ricordando una frase tratta da una nota del Partito Comunista Croato scritta nel settembre 1944: “La reazione cercherà di sfruttare ancora le foibe affermando che allora si tentò di distruggere gli italiani dell'Istria e che quella fu la manifestazione di uno sciovinismo croato. Noi sappiamo benissimo che nelle foibe finirono non solo gli sfruttatori e assassini fascisti italiani, ma anche i traditori del popolo croato, i fascisti ustaša e i degenerati cetnici. Le foibe non furono che l'espressione dell'odio popolare compresso in decenni di oppressione e di sfruttamento, che esplose con la caratteristica violenza delle insurrezioni di popolo''.