Marzo - Aprile 2017

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Marzo - Aprile 2017
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Mensile di informazione culturale – Anno V N. 2 – Marzo Aprile 2017
EDITORIALE MARZO – APRILE 2017
Eco dalla stampa, con note.
CHE MESI MARZO ED APRILE (è non ancora finito!)
“Da inizio anno sono passati mesi densi di importanti
avvenimenti: 25 anni da Maastricht 17 febbraio 1992
(vedi articolo a pag.19), ed il 25 marzo sono 60 anni
da quando sono state gettate le basi dell'Europa così
come la conosciamo oggi. Con la creazione della UE ha
avuto inizio il più lungo periodo di pace della storia
europea. I trattati di Roma hanno istituito un mercato
comune nel quale le persone, i beni, i servizi e i capitali
possono circolare liberamente e un impegno comune a
creare i presupposti di prosperità e stabilità per i
cittadini europei. In occasione di questo anniversario,
l'Europa guarda al passato con orgoglio e al futuro con
speranza. In questi 60 anni avremmo dovuto costruire
un'Unione in grado di promuovere la cooperazione
pacifica, il rispetto della dignità umana, la libertà, la
democrazia, l'uguaglianza e la solidarietà tra le nazioni e
i popoli europei. Considerato l’avanzamento del
progetto nel discorso di celebrazione dell’anniversario
fra l’altro è stato detto: “Ora sta a noi progettare per
l'Europa un futuro migliore e condiviso.” Cioè c’è
ancora molto da fare.
Il tavolo del 1957
In occasione del discorso a Parigi, nel 1950 l’allora
ministro degli Esteri francese Robert Schuman espose la
sua idea per una nuova forma di cooperazione politica
per l'Europa, che avrebbe reso impensabile una guerra
tra le nazioni europee. La sua ambizione era creare
un'istituzione europea che avrebbe messo in comune e
gestito la produzione del carbone e dell'acciaio (CECA).
Il trattato che dava vita ad una simile istituzione è stato
firmato appena un anno dopo 18 aprile 1951. La
proposta di Schuman è considerata l'atto di nascita di
quella che nel 1957 divenne l'Unione Europea. Per
celebrare la festa dell'Europa, le istituzioni dell'UE
apriranno al grande pubblico le porte delle loro sedi il 6
maggio a Bruxelles, il 13 e 14 maggio a Lussemburgo e
il 14 maggio a Strasburgo, gli uffici locali dell'UE in
Europa e nel resto del mondo stanno organizzando
Anno V numero 2
Aut. Tribunale Milano n. 151 del 20/05/2013
organizzano una serie di attività ed eventi per un
pubblico di tutte le età.
Tutto in ordine parrebbe dai toni dei discorsi a dire il
vero retorici dei maggior esponenti europei. Tuttavia il
bilancio non è completamente positivo. La prevalenza
degli aspetti finanziari hanno ritardato l’avverarsi del
sogno, e pertanto sono passati ben 60 anni! Oggi stanno
emergendo critiche profonde sul non fatto o mal
realizzato, in particolare per l’effettiva unione politica,
per una fiscalità ed una giurisprudenza omogenea, un
esercito comune, l’affermazione di una identità pur
complessa, ma che si fonda sul diritto romano e sulla
laicità dello Stato, sul disegno di una Europa dei Popoli.
Per non parlare degli obiettivi federali ancora lontani.
Forse anziché Federale non potrebbe essere un Europa
Confederata? Comunque molto deve cambiare.
Leggendo i testi dei discorsi, chiaramente di
circostanza, emerge l’incertezza sul futuro.
Tutti i 27 Stati membri dell’Unione Europea sono stati
chiamati a rinnovare il patto siglato sessant’anni fa in
Campidoglio, lo stesso luogo dov’era nata la Comunità
Economica Europea e la Comunità Europea dell’energia
atomica (Trattato Euratom). Ufficialmente il "Trattato
che ha istituito la Comunità Europea dell'Energia
Atomica. È stato firmato il 25 marzo 1957 insieme al
Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea
(Trattato CEE): insieme sono chiamati "Trattati di
Roma". «Oggi inizia una nuova fase costituente», ha
detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Jean-Claude Juncker, chiamato anche lui a firmare la
nuova Dichiarazione, ha detto: «Noi siamo solo gli
umili eredi e ci riuniamo nella stessa sala per ribadire gli
intenti dei padri fondatori. Non per nostalgia, ma perché
solo uniti potremo all’altezza delle sfide del mondo di
oggi, potremo essere un’Europa che non si perde nei
dettagli, che non perde la prospettiva. Le sfide di oggi
sono più complesse e non paragonabili a quelle dei
padri fondatori». Da parte mia ricordo che nel 1951-57
l’Europa era ancora impegnata nella ricostruzione
generale economica e politica e non fu del tutto facile,
forse c’era un altro spirito nei popoli.
Tutti si sono auto incensati, scaricando sui predecessori
il lento progresso. Voci di speranza, ma nessun impegno
concreto. Intanto aumentano le differenze fra i vari
Stati. Alla fine alcuni Stati (Grecia e Polonia), hanno
firmato di mala voglia, l’Ungheria ha manifestato una
propria posizione critica. Ma anche i paesi del nord non
hanno mostrato entusiasmo.
Intanto la Gran Bretagna se ne è andata (BREXIT). In
varie parti del Mondo c’è la guerra, non v’è soluzione al
problema enorme dei migranti, la NATO chiede un
maggior impegno militare all’Europa (singoli Stati!), i
rapporti con Russia e Turchia stanno incontrando
difficoltà di vario genere, la disoccupazione in Italia,
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Grecia ed in altre aree geografiche è altissima. Presto ci
saranno elezioni politiche in Francia, Turchia, Gran
Bretagna, Germania ed Italia molto incerte nell’esito.
Dal fondo della sale giunge una voce tremula:
“Speriamo che me la cavo…”
Giuseppe Frattini
el vòster Giuseppe Frattini
I rappresentanti dei 27 Paesi oggi.
Anno V numero 2
perseguire quel "paradigma lombardo del fare" che ha
fatto grande Milano. Si accolgono nei vari numeri
occasioni didattico-informative sempre con un nesso
con le quotidiane vicende e tendenze sociali.
Troveranno spazio naturalmente interventi di cultura
generale con particolare sguardo all’ambito lombardo, a
carattere didattico­bibliografico, volti a stimolare
eventuali approfondimenti personali dei cortesi " quatter
gatt che ghe leggen": storia di Milano, letteratura e
lingua milanese, gastronomia, poesia con prevalenza
nelle lingue lombarde o di bacino culturale prossimo,
cronache di attualità, architettura e storia dell'arte,
registrazioni di conferenze in forma di abstract tenute
nell'ambito del nostro "Corso annuale di incontri con la
cultura milanese e dintorni" a carattere monografico.
Saranno anche accolte proposte di temi con specifiche
valenze di ricerca e tempo libero. Ci rivolgiamo a tutti, i
milanesi di nascita ed adozione, anche a quei borghesi,
alla buona, attaccati al concreto, diffidenti o indifferenti
ai voli della filosofia, combattuti fra interesse alle cause
seconde del corso naturale e gli interessi immediati e
visibili, politica effettuale del privato senza speranza.
Certo l'attualità potrebbe comportare riferimenti a
qualche realtà, nel porre attenzione alle contraddizioni
rilevate e ai loro riflessi nelle regolarità ed affinità di
accadimento storiche.
A proposito: è marzo scatta l’ora legale!
Di nuovo panico fra i politici!
Niente di nuovo sotto il sole.
Giuseppe Frattini
La sala degli Orazi e Curiazi del Campidoglio di
Roma.
NOTIZIE DELL’ULTIMO MOMENTO
Il 16 aprile si è tenuto il Referendum: il si ha vinto,
di misura. L’Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico (OCSE) ha sollevato dubbi sulla
regolarità del voto. La Turchia si sta allontanando
dall’Europa. La maggior parte dei paesi europei
tace. Stanno prevalendo le ragioni economiche,
ancora una volta!
Il Palinsesto della Frusta periodico di
lavoro.
Il Progetto Editoriale.
Dopo ormai venti anni dalla fondazione della Credenza,
e dopo un pari percorso editoriale della FRUSTA de
SANT
AMBROEUS,
che
da
"Notiziario
dell'Associazione" si è trasformato il Periodico di
informazione e cultura, oggi la redazione ritiene
necessario riassumere l'indirizzo scelto nella linea
editoriale.
Il nostro periodico intende sviluppare una raccolta di
articoli divulgativi, impressioni, stati d'animo mossi
dell'attualità, registrazione estemporanea di dibattiti
concernenti Milano e la Lombardia. Nell’apertura al
colloquio con la realtà non ci esimeremo da critiche e
riflessioni: le "Frustate del Sur Carera" che sono
comunque orientate nella convinzione che le cose
debbano sempre potersi migliorare nell’aspirazione di
Populismo di Gianfranco Ravasi in
"il Sole 24 Ore” del 29 gennaio 2019
Trista gente è quella di un popolo che segue lo sbatter di
bandiere e stendardi piuttosto che le idee ben masticate.
Quando si sentono ceti politici urlare parole d'ordine a
masse adoranti oppure si vede lo sventolio di bandiere
agitate da folle, mentre gli altoparlanti lanciano attacchi
verbali agli avversari, condendoli di parolacce per
sembrare più incisivi e spregiudicati, sarebbe bello far
apparire sugli schermi la frase che abbiamo sopra citato.
Il lessico rivela che siamo distanti qualche secolo, ma la
verità del messaggio pare adatta a oggi. E’ l'implacabile
Niccolò Machiavelli che gela con una battuta ogni
tentazione populistica e demagogica, tanto di moda in
questi tempi e lo fa con un linguaggio così limpido da
rendere superfluo e impacciato ogni commento.
Lasciamo, allora, ancora la parola a lui nei suoi Scritti di
governo, ripulendo solo un po' il suo italiano quattrocinquecentesco. «Cosa da deprecare non è il tempo che
si consuma nel confronto. L'errore che non troverà mai
rimedio è invece quello di risolvere ogni decisione per
applauso».
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Il Quarto Stato – Giuseppe Pellizza da Volpedo 1901
Lenin arringa la folla 1917
Un punto di vista con il dovuto rispetto:
Con rispetto devono essere lette le citazioni e
conclusioni, ben motivate, di Sua Eminenza il Cardinale
G. Ravasi. Tuttavia penso che ci possa stare una
modesta riflessione strettamente personale.
Considerato che siamo in regime democratico è
doveroso ascoltare il popolo per cogliere le sue
immediate ed urgenti lamentele e richieste che
evidenziano come certe scelte politiche non abbiamo
centrato l’obiettivo promesso per la salute e felicità
degli elettori o non siano state comprese. Se Luigi XVI
avesse ascoltato, prima, le lamentele e letti i Cahiers de
Doléances e Maria Antonietta non avesse risposto alla
fame del popolo, si dice, offrendo brioches! forse
avrebbe salvato almeno la sua vita e dei suoi cari e di
tanti altri cittadini. Comunque sia ritengo sia utile che
l’ascolto e il confronto possano svolgersi sul territorio
con assemblee e congressi, in luoghi pubblici. Il
politico, che si ritiene dovrebbe essere dotato di ampie
visioni progettuali per il bene pubblico, nello
svolgimento del suo mandato, deve obbligatoriamente
elaborare anche la voce del popolo per guidarla,
prendendo i necessari provvedimenti anche al caso
seguendo le logiche delle politiche effettuali. Nel
rapporto fra politico e popolo gli applausi e l’ondeggiar
di bandiere, fanno parte della teatralità della politica, e
il segnale non deve essere trascurato, se si vuole guidare
le masse popolari ed educarle come in effetti si
proponeva a suo tempo un movimento socio-politico
russo di fine ottocento: detto Populista.
Giuseppe Frattini
PER L’INDICE DI QUESTO NUMERO:
Vedi PAG.26
La frusta de Sant Ambroeus
Periodico mensile registrato presso il Tribunale di
Milano il 20-05-2013 con il n. 151 stampato in
proprio
Dir. Responsabile/Redattore: Giuseppe Frattini
Impaginazione: Massimiliano Frattini
Collaboratori: Pierluigi Crola, Silvio Monti,
Marcello Carotti, Renato Colombo, Umberto
Cavallini, Paolo Colussi, Giuseppe Rossetti,
Romano Bracalini
Editore Antica Credenza di Sant’Ambrogio
Via Rivoli, 4 20121 Milano tel. 02 45487985
Anno V numero 2
EL SUR CARERA
L’altra sera sont andaa dal sur Carera per portagh on
quaj bigliett a propòsit di palm in piazza del Dòmm. Trii
poesii e on bigliett de protesta
che m’hinn vegnuu per i man
di part di Zibit. Ghjie hoo
legiuu d’on fiaa, e lù: “Te
dovarisset mettej chi sòtta
come se faseva on temp! Ma
el Mal de Milza me par de
cognosell, paricc temp fa,
l’era minga mòrt?” – E mì:
“Quel mal de Milza che lù
intend l’è mort, ma lè rivaa
on alter Mal de Milza che per
el moment ghe disi nò chi l’è. I bigliett i faroo mett in su
la Frusta de Sant Ambroeus inscì andarann minga
perduu e i faroo passà anca su Internet.” – “Molto ben!
Fòrsi al dì d’incoeu l’è mej!” sbòtta el Carera. Allora
mè car fioeu, con la licenza dì superior e cont i privilegi,
tej chì i bigliett! ….
Se vedom
Giuseppe Frattini
Oeu!
Tej chi i palm e banan
Che hinn verd de lor tutt l’ann
Per nòster gust e armònia
Ghe voeur paricc de fantasia
Òh! Sindigh cont el bon cafè
T’hee faa sù pussè del rè
Pròpri in front de la Grand Gésa
T’hee lassaa fà ona grand scesa
Su Alegher , che el pròssim ann
Resten de fà anmò i andann...di navili!
El Mal de Milza
13 2 2017
A PROPÒSIT DEL VERD FAA CON DI
PALM IN PIAZZA DEL DÒMM
Ma, oeugg! I palm gh’hann semper menaa gramm a
Milan!
La reclamm l’è l’anima del commercio, el dis el detto!
La propòsta de arred de la Piazza del Dòmm, che l’ha
vinciuu el bando e che la preved de mett giò di palm, l’è
adree a vess portada a coo. Me domandi: ma quaj hinn
staa i alter progett? Saria util ch’el se disa anca ai
cittadin, o se po’ nò savell? Consideraa che semm adree
a parlà de la Piazza del Dòmm, i cittadin gh’avarien de
conoss i impegn ciappaa, i condizion propòst che hann
permettuu l’assegnazion. Donca i reson che hann
giustificaa la scelta.
Disen che giamò a la fin del vòttcent hinn staa piantaa
di palmett in Piazza!
Effettivament se demm on’oggiada a di fotografii de
l’epoca se ved di palmett bass, come se fudessen di sces
rar e solitari. Demm donca ona data a la fòto. Sul camp
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gh’eren di militar. Se tegnom present l’età de la fòto, se
pò dì che la sia del 1898, quand el rè Umberto I l’ha
ordinaa a Bava Beccaris de reprimm i rivòlt de piazza di
milanes che protestaven per el prezzi tròpp alt del pan.
E el Bava l’ha controllaa sì la protesta, con fusil e
canoni, ma l’ha causaa on numer di vittim che s’è mai
savuu: i autorità de allora hann dii ch’eren ona centèna i
mòrt e circa 400 i ferii. Second la Prefettura, i vittim
accerta hinn staa 88, inveci, second el famos cronista e
politich repubblican Paolo Valera, i mòrt sarien staa
almen 118, e i ferii pussee de 400. Second di testimòni
ocular i mòrt hinn staa pussee de 300. El rè l’è staa poeu
coppaa a Monza a causa del mazzament di cittadin.
Intanta l’Italia l’aveva daa l’inviada a ona campagna
militar per sviluppà la soa politica colonialista: “I alter
sì, e numm perchè nò…?” Giamò in del 1861 Cavour
l’aveva promòss on’iniziativa compagna rivòlta a la
Nigeria, ma tutt l’è andaa in fumm de ravioeu. In sèguit,
in del 1869, hinn staa compraa di terren in la Baia de
Assab, inscì tant per ‘vegh ona “sponda”. Passin passin,
in del 1890, l’è “rivada” l’Eritrea, poeu,
succcessivament, la Somalia, la Libia, l’Abissinia,
l’Etiòpia. Pròppi in quei ann chì l’è diventaa de mòda,
per testimonià i conquist in cors, importà i palm,
minga per metti in òrt botanich con intent scientifich,
ma come arred a scòpo de propaganda politica e poeu, a
la fin de la fera, l’era on oeuv foeura del cavagnoeu.
Cont el fascismo e l’impero l’obiettiv colonial el s’è
rinforzaa, e per testimonià ancamò pussee la conquista
de territòri noeuv, l’è vegnuu in ment de fà cress
l’usanza di palm che confermaven in manera ciara e
netta el splendor noeuv novent e che quei Terr d’Africa
eren diventaaa part de l’Italia… Hinn staa miss in tutt’i
còst e lagh e anca a Milan, indove prest hinn sparii,
giamò in del 1900 gh’eren pù, e hinn pù tornaa.
La Soprintendenza l’ha dii: SÌ! E l’offizzi Verde e
Arredo Urbano del Comun come el s’è comportaa?
Generalment gh’è in vigor la prescrizion che ògni pianta
noeuva la gh’ha de vess autorizzada e che la gh’ha de
vess del loeugh ò almen ona specie che la se troeuva chì
da sécol: rubinii, magnòli, piant de frutta de tanti sòrt (
importat sorattutt a scòpo alimentar come i fasoeu, i
patati e piant compagn). E el bambù che l’è staa in
passaa piantaa in di giardin? Incoeu l’è considerada ona
pianta che la infescia perchè la se riproduss tròpp a svelt
come i banann. Se voraria piantà in d’on terren ona
specie compagna e dovaria domandà l’autorizzazion,
probabilment me darien el duu de picch. Ma se se
dovariom debon “mett in fonzion” ancamò i Navili, l’è
nò che magara, a on quai spònsor, ghe vegnarà in ment
de piantà palm e banann arent i spond faa sù de noeuv?
A bon cunt, se pròppi vorariom minga perd on
contributt sostanzios, quest el gh’avaria de vess destinaa
a alter òper: monument, verd pubblich, arred de la città,
urgenz scolastich, camp per i gioeuh, assistenza ai
bisognos, rispettando la città e la soa stòria.
Donca, a sto propòsit, hoo interpellaa el mè amis, el
sciur Carera, ch’el gh’ha ona saviezza e ona memòria
secolar, e el m’ha ricordaa che, ai sò temp, i generai
portaven per i trionf a Ròma, per celebrà vittòri e
conquist, tanti pred de guerra: oggett prezios de tutti i
sòrt, òr, piant, frutt, s’ciav incadenaa. Incoeu la palma
l’è minga ona preda de guerra, ma el frutt de ona
sponsorizzazion, cioè el finanziament e la realizzazion
Anno V numero 2
de ona iniziativa a scòpo pubblicitari. Ma, el domanda
el Carera: “De chi sarà la preda? Quanti danee l’ha
portaa in di cass del Comun? E, i lavorà futur a chi
toccarann?” El scior Sindich, per quell che soo dai
crònach, l’è minga infolarmaa, al contari, l’è putttòst
fregg. Cert i manifestazion organizzaa a favor de
l’accoglienza, adess, se trovarien in d’on ambiett adatt;
podariom, de soramaròss, suggerì de portà chì, se
serviss per fà sentì i milanes d’adozion a cà soa, on quai
animalett simpatich: pappagai, scimbiett, on bell giraffin
e tanta sabbia ò on poo de savana. Come l’ha dii el
Verri ai sò Superior: “Sciori vègni in de Vialter, cari e
stimaa Amministrador, con la front in terra e el cù in
l’aria per implorà pietà per Milan!” Tutt quell che
semm ‘dree a realizzà, purtròpp, el me fa vegnì a ment
el colonialismo, i mazzament del Bava B., el fascismo.
“Oeu!” l’esclama on cittadin, “a mì me par esageraa el
paragon”, ma l’Òmm de Preja fa memòria che el rispett
di loeugh e di simbol l’è l’identità del coeur.
Scrivuu a dò man, mì, el Mal de Milza, cont el sciur
Carera che el parla domà a mì, ma el tegn on oeugg
al gatt e vun a la padella!
Giuseppe Frattini cont el Mal de Milza
MA SEMM A MILAN O A MARRAKECH
Milan el me stupiss semper de pù
stavòlta gh'hoo de dì in negativ
che in giunta ghe sien di turlurù?
Mai che faghen quaicòss de positiv
anca stavòlta me l'hann fada gròssa
hann faa on quaicòss che me mett ingòssa.
Chì semm a Milan, Insubria, Lombardia
semm nò in del Sahara, marrochitt
se gh'emm de fà, femm 'na quai miglioria
perchè altriment me giren i fongitt
in la piazza del Dòmm, inscì bella
m'hann minga miss di palm, pòrca sidella.
Se gh'entren stì piant con la città
poeu in piazza del Dòmm, pròppi lì
forse per i can che gh'andarann a pissà
de cert a vedei son restaa sbalordii
metti ai giardin pubblich al parch
pròppi in piazza alora Sanmarch.
Sta a vedè che dess mettarann i cammei
cont i palm soluzion appropiada
cammei ò dromedari chì i pussee bei?
Mettela me sia a l'è 'na gran boiada,
l'ha pagaa tutt 'na ditta de caffè
dimm el nòmm che da dess bevi el thè.
Ma i avarann minga miss per i clandestin?
per fagh minga sentì 'l distacch de cà
inscì ghe par de vess pussee visin
poeu poderann anca sòtta pregà
inscì resterann lì al fresch a l'ombria
oh! Madonina, Madonina mia.
Tì fa finta de nient, de nagòtt
Milan l'è diventaa on quarantòtt.
Renato Colombo
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SUL REFERENDUM IN TURCHIA
QUESTA NON È UNA POSIZIONE
POLITICA, MA IL RACCONTO DI
FATTI CHE RITENIAMO IMPORTANTI
PER L’EUROPA.
“Mettiamola sul leggero” : –
“Tutti figli di Erdogan” “Il suo ministro degli Esteri
(turco) ha appena promesso di portare la guerra santa
nel cuore dell'Europa e ora Erdogan il Grande rivela con
quale esercito intende invaderci dall'interno. I neonati!
Affacciandosi al balcone del proprio ego in una piazza
alla peri­ feria di Istanbul, il ducetto del Bosforo ha
lanciato un proclama ai giovani turchi (Orfini per una
volta non c'entra) in trasferta per manente nelle nostre
lande stanche e brizzolate: restate in Europa e
moltiplicatevi, fate cinque figli a testa, riempite di
sangue ottomano il continente degli infedeli. Una
crociata a colpi di biberon che si insinua nella più
profonda delle paure occidentali: risvegliarsi minoranza
in casa propria. Perché un conflitto combattuto con la
bomba demografica sarebbe l'unico perso in partenza. I
testi di Erdogan sembrano scritti dal ghost-writer ( noti
politici europei così detti populisti? ndr). Nel senso che,
appena uno sente certi discorsi, è assalito dall'insana
voglia di farsi prestare da Trump un muretto o
direttamente una catena montuosa. Nel suo delirio
narcisista, Erdogan se ne infischia di come potrà sentirsi
una turca incinta a passeggio per le strade di Parigi o di
Berlino, adesso che le sue parole l'hanno trasformata nel
manifesto vivente dell'invasione islamica. Per fortuna il
Sultano sottovaluta l'effetto che i costumi europei
esercitano sui suoi sudditi maschi. Circondati dalle
nostre implacabili armi di distrazione di massa smartphone, videogiochi, pay tv, già al secondo figlio si
accasceranno sul divano. Altro che <<mamma li
turchi». A salvarci saranno i padri.”
Dalla stampa: di Massimo Gramellini- 18-3-2017 - Il
Corriere della Sera.
I fatti: una sintesi delle notizie colte da
internet:
A fine aprile Erdogan affronterà una prova forse più
dura del tentato golpe: gli elettori sono chiamati a
pronunciarsi su un referendum costituzionale che
dovrebbe consegnare tutti i poteri nelle mani del
presidente. Anche se la popolarità di Erdogan è
altissima, l'esito della consultazione non è così scontato.
Il presidente vuole il plebiscito popolare, e ha bisogno
(visto che non sempre le elezioni politiche sono state a
lui favorevoli quanto avrebbe voluto) anche del voto dei
turchi all'estero. Ragione per cui i membri del suo
governo hanno cercato di organizzare comizi nei Paesi
in cui i turchi sono più presenti.
Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu voleva
andare a Rotterdam a tutti i costi. Avrebbe dovuto
tenere un comizio pro Erdogan destinato ai concittadini
espatriati nei Paesi Bassi in vista del referendum del 16
aprile per aumentare i poteri del presidente. Per questo
nonostante il divieto delle autorità olandesi, è salito
sull’aereo determinato a portare a termine la sua
missione. Ancora poco prima del decollo Cavusoglu
Anno V numero 2
aveva detto alla tv turca: «Se il mio permesso di
atterraggio verrà negato, le sanzioni contro l’Olanda
saranno dure». Ma non c’è stato nulla da fare l’Aja ha
vietato il diritto di atterraggio al volo di Stato del
ministro degli Esteri. Come anticipato da giorni da un
comunicato del governo «non c’erano le condizioni per
garantire la sicurezza» visto che i turchi olandesi
avevano convocato una massiccia manifestazione. La
reazione di Ankara è stata immediata con il presidente
Erdogan che, minacciando conseguenze, ha definito gli
olandesi «residui nazisti e fascisti». E il premier Binali
Yildirim ha rincarato la dose dichiarando che «ora non
si può più considerare l’Olanda come un alleato»,
nonostante i due Paesi facciano entrambi parte della
Nato.
Ed è così che Ankara totalizza tre crisi diplomatiche in
meno di due settimane. A fine febbraio, anche l’Austria
aveva definito «inopportuna» una visita di Erdogan se
finalizzata alla sua campagna per il referendum. Anche
la Germania ha cancellato due degli appuntamenti preelettorali che la diplomazia turca stava organizzando per
cercare i consensi dei residenti all’estero. La reazione di
Ankara era stata durissima: «La Germania continua a
praticare il nazismo, non fa parlare i nostri amici»,
aveva attaccato il presidente.
Nel frattempo è stata chiusa l’ambasciata olandese a
Istanbul.
Perché tanta opposizione ai comizi orinata da Erdogan?
Agli occhi di vari Governi europei Erdogan ha
commesso diversi errori, primi fra tutti la svolta
autoritaria, repressione violenta delle manifestazioni di
Piazza Taksim a Istanbul, mancata soluzione della
Questione curda, Violazione della libertà di stampa,
Negazionismo del genocidio armeno, Omofobia con
repressione violenta, Ambiguità diplomatica.
Non solo: non tutti i turchi di Germania sono turchi: un
terzo di loro è in realtà curdo, la minoranza che Erdogan
ha più di tutte represso nel corso degli ultimi anni e ciò
da fastidio ai fini referendari. La Danimarca, ha fatto
sapere il primo ministro danese, Lars Lokke Rasmussen,
di non aver apprezzato l'atteggiamento che Ankara ha
assunto nei confronti dell'Olanda e "segue con grande
preoccupazione gli eventi in Turchia, dove i principi
democratici sono sotto grave pressione".
Così porte chiuse all'emissario di Erdogan che avrebbe
dovuto convincere i turchi in Europa, Germania,
Austria, Danimarca, Francia a votare 'sì' al referendum
costituzionale. Fredda l’accoglienza della Francia che
ha lanciato segnali di pace autorizzando un comizio di
Cavusoglu, che a Metz ha rincarato la dose: "L'Olanda è
la capitale del fascismo", ha detto ai giornalisti. Il
suggello della crisi aperta tra l'Aja e Ankara, in seguito
alla decisione del governo olandese di accompagnare al
confine la ministra turca della Famiglia Fatma Beytul
Sayan Kaya impedendole di entrare al consolato.
Ecco la crisi in pillole:
− Erdogan manda i suoi ministri in Europa a fare
campagna tra gli emigrati turchi e curdi per il Sì alla
riforma costituzionale.
− La Germania rifiuta la visita per non urtare i tanti
curdi presenti nel Paese.
− L'Olanda e l’Austria chiudono la porta a due ministri
turchi per non dare spazio alla propaganda di destra.
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− La Danimarca si schiera con l'Aja dopo le azioni
anti-olandesi a Istanbul.
− La Francia con freddezza consente al ministro turco
di tenere un comizio, pentita?
− E l’Italia politica tace!
Anno V numero 2
LA “RADETZKY MARSCH”, CHE NON
PIACE AI PATRIOTI DEL “BORDELLO
ITALIA” – ROMANO BRACALINI
Erdoğan incontra il presidente palestinese Abu Abbas
nel Palazzo Presidenziale di Ankara con una cerimonia
in stile ottomano antico. Un evidente revival di
Ottomanismo anti europeo? Ritorno al passato?
La Frusta osserva:
Che si debba garantire la libertà di opinione, riunione e
manifestazione pacifica a tutti è principio consolidato e
non discutibile, almeno in Europa, e conquistato col
sangue vero. Ma, nel caso specifico, pari libertà doveva
essere data anche agli oppositori, o mej a chi la pensa nò
compagn de lù, di Erdogan, e da loro non giunge voce.
Quindi le iniziative del Governo turco presentano dei
lati autoritari ed anti democratici. Questo mi pare un
buon motivo per dei necessari chiarimenti. Sic stantibus
rebus… per l’ingresso della Turchia in Europa?
Pensemegh sora, ma ben, ben. Tant se pò fà liber
mercaa istess senza avegh 70/80 milion de turch che
pòdarien votà al parlament europeo per la shari’a. A la
fin mi ghe tegnaria de restà Cristian!
Giuseppe Frattini
PS. Il referendum ha avuto esito positivo.
L’OCSE soleva dubbi sulla regolarità del
voto. Ma, quello che è fatto è fatto.
Radetzky in uniforme austriaca su cui spiccano il
collare del Toson d'oro austriaco, la Croce dei
cannoni e la placca di Gran Croce dell'Ordine di
Maria Teresa.
Anche quest’anno ho seguito il Concerto di
Capodanno da Vienna, conclusosi com’è tradizione con
la Marcia di Radetzky. Il concerto della Filarmonica di
Vienna, diretto dal maestro Daniel Baremboim, ha
avuto ancora una volta la magia di riportare alla mente il
mondo calmo e ordinato della Mitteleuropa, di cui fece
parte anche il Lombardo-Veneto; un mondo che
nostalgicamente contrasta per stile e concezione col
“bordello” italiano. Un susseguirsi di emozioni e di
immagini che hanno appunto il loro momento
culminante nella trascinante “Radetzky Marsch”, diretta
argutamente da Baremboim e ritmata entusiasticamente
dal pubblico in teatro. Contro la marcia di Radeztky
hanno regolarmente protestato ad ogni inizio d’anno i
“patrioti” italiani che avrebbero voluto che l’orchestra
di Vienna la cancellasse dal suo programma di
Capodanno. Il motivo era che la marcia offendeva i
sentimenti degli italiani. Niente di più cretino. Al
provincialismo si aggiungeva il ridicolo. Sarebbe come
abolire le opere “patriottiche” verdiane per non
offendere gli austriaci. Se l’identità italiana è debole, o
inesistente, non è colpa di Radeztky che sul campo di
battaglia sconfisse più volte i vili e fiacchi italiani e
Johann Strauss lo celebrò giustamente come il più
popolare eroe dell’Impero, dopo il principe Eugenio
Radetzky non è stato il mostro descritto dalla
propaganda italiana che non ha trovato metodi meno
ripugnanti e falsi per denigrare un prode soldato. Nel
1848, allo scoppio delle Cinque Giornate, Radetzky
disponeva di un esercito di 16.000 uomini, pochi ma
sufficienti a soffocare la rivolta popolare milanese se
solo avesse fatto uso dell’artiglieria. Avrebbe potuto
farlo, non lo fece perché, disse, non voleva passare per
un novello Barbarossa. Uscendo dal Castello la sera
della quinta giornata, ossia il 22 marzo, giunto a Porta
Romana, sulla strada che lo avrebbe ricondotto nel
Quadrilatero, si voltò verso la città che abbandonava
giurando che sarebbe presto ritornato. Mantenne la
promessa sconfiggendo il debole Carlo Alberto a
Custoza e rientrando a Milano ad agosto dello stesso
1848, mentre i borghesi voltagabbana si toglievano il
tricolore dal bavero e gridavano “Viva Radetzky”. Non
ebbe gli stessi scrupoli morali l’oscuro generale
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piemontese Bava Beccaris, che non s’era distinto in
nessuna campagna del risorgimento, il quale nel 1898,
esattamente mezzo secolo dopo, prese a cannonate il
popolo di Milano, accusato dal capo del governo
marchese Di Rudinì, siculo di pelo rosso, di volere la
rivoluzione secessionista.
Magari. Ma non era vero. Il popolo milanese protestava
per le tasse, per il caro pane, per la fame. Non
bisognerebbe mai perdere di vista i migliori esempi
della storia, come quando nel 1814, sotto i francesi, i
milanesi insorsero contro l’oppressione fiscale dando
l’assalto al palazzo di Giuseppe Prina, ministro delle
finanze, lo massacrarono e lo scaraventarono dalla
finestra.
Il dominio austriaco ha lasciato tracce
profonde nella città, nel costume, nella civiltà dei
comportamenti, che col tempo e sotto l’influenza
italiana, si sono affievoliti.
Le tasse erano gravose ma restavano sul territorio.
Venezia rinacque sotto la buona politica territoriale di
Vienna. Maria Teresa aveva introdotto il catasto del
quale ancora oggi non c’è traccia in gran parte del Sud
Italia. Le grandi istituzioni culturali milanesi e lombarde
risalgono all’epoca austriaca: il Teatro alla Scala, la
Biblioteca di Brera, il Palazzo Reale, la Villa Reale di
Monza. Solo dopo la definitiva partenza degli austriaci
dalla Lombardia, nel 1859, i milanesi si accorsero di ciò
che avevano perduto. Avevano rinunciato alla civile
Austria per darsi alla torva e levantina Italietta, famosa
in Europa come fedifraga e ladra di terre.
Pur
ammettendo che nessun popolo ha maggiori diritti di un
altro, Carlo Cattaneo riconosceva che se un popolo
raggiunge traguardi più avanzati di incivilimento vuol
dire che ha caratteri originari che lo distinguono dagli
altri. Era il caso dell’Austria. Con l’Austria, prima del
1848, quando poi il Piemonte regio si impadronì della
vittoria del popolo milanese, Cattaneo pensava di poter
usare il linguaggio della ragione e non quello delle armi,
e proponeva si rinunciasse ad ogni progetto
insurrezionale per indurre il governo austriaco a
concedere le riforme richieste. Restava fermo nel
proprio convincimento, contrario alle “opere di
violenza”, anche quando erano in gran parte conflitti per
la libertà. Era convinto, senza sbagliare, che ai lombardi
convenisse più la civilissima Austria che l’Italia della
gabola e della truffa. Gli avessero dato retta, la
Lombardia e il Veneto, riuniti sotto un unico scettro,
avrebbero continuato a far parte dell’Impero e di un
patrimonio di civiltà comune. Radetzky appartiene alla
storia, legittimamente anche alla nostra. Parlava
perfettamente italiano, amava Milano, abitava in via
Brisa, una piccola strada che incrocia l’attuale corso
Magenta, amava le partite a carte, la buona tavola, le
osterie popolari; conviveva con una milanesona, la
Giuditta Meregalli, che faceva la stiratrice. Ogni mattina
andava a piedi, senza scorta, fino al Castello e
all’ingresso i mendicati gli andavano incontro ed egli,
uomo di buon cuore, dava un obolo a tutti. Morì nel
1858 e volle restare a Milano, finchè gli avvenimenti
politici glie lo consentirono. I suoi resti vennero traslati
a Vienna nel 1859, quando la Lombardia, con il solito
imbroglio italiano, venne annessa al Piemonte.
Leonardo Sciascia diceva che Milano è diversa perché
ha avuto Maria Teresa e il dominio austriaco, lo diceva
da siciliano; Napoli è quella che è perché ha avuto gli
Anno V numero 2
spagnoli e i Borboni. La differenza si vede. Stoffa
diversa. Radeztzy era il leale difensore dell’Impero, di
gran lunga il più civile e tollerante del nefasto regno
d’Italia. Bava Beccaris è stato dimenticato, Radetzki
vive nella memoria e nella devozione degli antichi ex
sudditi dell’Impero.
Romano Braccalini
GALATEO A TAVOLA
Già Bonvesin de la Riva nella sua opera De magnalibus
Urbi Mediolani data1288 aveva sentito l’urgenza e la
necessità di dissertare sulle maniere dello stare
correttamente e con creanza a tavola, trattato di cui
abbiamo discettato in precedenti occasioni dedicando un
approfondimento con un nostro
Quaderno della Credenza e nel corso
di una conferenza tenutasi presso la
Biblioteca della Provincia di Milano.
Qui riportiamo le: CINQUANTA
CORTESIE, ovvero CREANZE DA
TAVOLA di Giulio Cesare
Croce Edite In Bologna, per
Bartolomeo Rossi nel 1609.
A distanza di trecento anni il problema del ben stare a
tavola educatamente e con rispetto dei convitati era
ancora di attualità. Per certi aspetti raccomandazioni
purtroppo ancora oggi di attualità. Si è mantenuta
l’originaria grafia senza necessità interpretate del testo
di per sé chiaro.
1.
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3.
4.
Padri, che auete figli, e che bramate
Ornarli di creanza, e cortesia,
Quando a qualche convito gli mandate,
Udite (ve ne prego), questa mia
Monitione, overo avvertimento,
Che del proceder vi darò la via.
Cinquanta Gentilezze sono intento
Da tavola, mostrarvi, se l’udienza
Grata darete al mio ragionamento;
Perché chi è mal creato, oltre che senza
Biasmo non parte, i convitati assai
Offende, com’huom pien di negligenza.
Però dunque, figliuol, quando tu andrai A tavola,
se sei giusto, et humano,
Del pover prima ti ricorderai.
E se a sorte darai l’acqua a le mano,
Cerca darla con gratia, destramente,
Che tu non sij accusato per villano.
Ancora ti bisogna haver ben mente
Non ti poner nel luoco più onorato,
Che non t’incontri qualch’inconveniente.
Innanzi ch’il boccone habbi pigliato,
Guarda come fan gli altri, e farà bene,
S’ aspetti ancora, che ti sia assegnato.
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Poi star ben su la vita ti conviene,
E non curvo, né storto, e i pié tenere
Dritti, che dal suo lato ogn’un gli tiene.
Non ti porre appoggiato; né à giacere,
Con le braccia, e co’l corpo su la tola,
Che daresti da dir a più potere.
Guarda di non t’empir troppo la gola,
Ma temprati; perché, se ti bisogna Risponder,
c’habbi schietta la parola.
Parla poco à la mensa, ché vergogna Potresti aver,
che spesso nel convito
Si dicon cose piene di menzogna.
Prima che bevi, fa che tranghiottito
Habbi il boccone; e nettati la bocca,
Acciò che tu non sij mostrato a dito.
E se la sete troppo non ti tocca,
Lascia di ber: perché si perde il vino;
Oltre che spesso il ragionar s’incocca.
Se per sorte colui, che ti è vicino,
Non può torre il bicchier senz’il tuo aiuto,
Porgigliel tu: ma cerca far pianino.
Se ti da bere un qualche dissoluto,
Ch’empia troppo la tazza, mi contento,
Che la pigli à due man, fin c’hai bevuto,
E, similmente, se colui è intento A
dar la coppa, e tu non habbi sete,
Pigliala, e dalla a un altro ch’io’l consento.
Mentre che mangi con le voglie liete,
Se giunge un, pur ch’à te non sja maggiore.
Non ti mover da mensa, e stà in quiete.
Guardati di far strepito, o romore Co’l
naso, e fantasia non ti toccasse Di
bere il brodo, ch’egli è poco honore.
Ancora, se la tosse ti pigliasse,
O lo starnuto, cerca di voltarte
In fuori, che qualch’un non s’aggravasse.
Ancor son obligato d’avvisarte:
Di carne, ova, e formaggio non far pane.
Ma cerca in ogni cosa moderarte.
Mentre, che mangi con tue voglie humane
Loda il convito sempre, e no’l biasimare,
Come far soglion certe genti vane.
E parimente non voler guardare
A la scodella d’altri; s’ella è piena
Più de la tua, che non si deve fare.
A tavola sta sempre con serena
Fronte, et u’ donne son, trinciali innante,
Che per la tema non mangiano è pena.
Cerca d’esser ancor destro, e galante,
Co’l toccar gentilmente le vivande;
Né tor quel c’ha il compagno tuo davante.
Se vuoi ben masticar, mai troppo grande
Non tagliar il boccon; ma fallo onesto,
E non mangiar da tutte due le bande.
E di più di comando e ti protesto:
Se v’è sol un bicchier, non vi por drento
Pane, over altro, ch’egli è disonesto.
Havrai ancora questo avvertimento:
A tavola, non dir cosa schivosa,
Che porgeresti altrui noia, e scontento.
Guardati da parola ingiuriosa:
Né poner mai dinanzi al tuo compagno,
Tondo brutto, o scodella, o simil cosa.
In questo avviso ancor non sparagno
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Di dirti, che non tocchi gatti, or cani,
Che non sta ben, e non v’è guadagno.
Habbi avvertenza ancora con le mani
Non ti tocar il naso, o in altro loco,
Che queste son creanze da vilani.
Se brami esser locato fa che poco
O nulla a bere il tuo compagno inviti,
Perche sforzar altrui non è bel gioco,
Per esser più cortese nei conviti,
Vo' ch’usi dar tal’hor’ a chi t’è appresso
I bocconi più grassi, e saporiti.
Quest’anco nel tuo petto avrai impresso
Di ricordarti quando un tuo signore
Beve, bere a te non è concesso,
Ancora ti ricordo havere il core,
Di non nettarti i denti con le dita,
Ma aspetta stecchi, over quando sei fuore
E se qualch’un a ragionar t’invita,
A bocca piena non dar mai risposta,
Perché la mensa starà più polita.
Mala novella mai non sia proposta
Da te, ma parla sempre d’allegrezza,
Perché l’esser civil poco ti costa.
Se vedi nel mangiar qualche bruttezza,
Taci, attendi a mangiar allegramente
Che l’homo savio tal cosa non prezza.
Mentre il compagno beve habbi pur mente
Di non chiamarlo, che causar potresti
Ch’ei spandesse la coppa facilmente,
A tavola conviene haver bei gesti,
Nel guardar, nel parlar con le persone
Né usar costumi brutti, e disonesti,
Fuggi i romor, fuggi la confusione,
Tra convitati, e non ti disdegnare
Se ben tu conoscesti haver ragione.
Le dita sporche mai non ti leccare,
Che mostraresti molta vilania,
E potresti gli altri far stomacare.
E se a tavola dolia, o malattia,
Ti venisse per sorte, habbi patienza,
Fin che si levi su la compagnia.
Se porti piatti in Tavola, o in credenza,
Tiene il police sempre sopra l’orlo,
Che non havrai di spanderlo temenza
Se’l bicchier prendi in man, cerca di torlo
Con destrezza che quello a chi lo dai,
Prender lo possa tu di poi ritorlo.
E quando dai da ber, non empir mai
Troppo il bicchier, perché sara più caro
A chi lo porgi, e tu più lode havrai
Guardati di colmar tropo il cucchiaro
Che portesti causar cattivo effetto
Nel riceverlo in bocca, i’ te’l fo chiaro.
Cerca a la mensa star polito, e netto,
Il naso man in man non ti toccare,
Ma porta sempre teco il fazzoletto.
Ne l’orecchio pianin non ragionare
Del tuo vicin ma parla ch’ogn’un t’oda.
Per che porresti dar da sospettare
Questa sentenza tener ancor per soda,
Che s’un può tor la coppa se stesso
Di lassar la pigliar convien ch’io loda
Se con l’amico mangi, ti confesso
Andar bocconeggiando fin ch’ello,
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Habbia finito, e levati con esse.
48. Dipoi non riporrai il tuo coltello,
Prima de li altri che forse tassato
Saresti per villan da questo, o quello,
49. E inanzi, che da mensa sij levato,
Tutto divoto, e con pensieri umani,
Rende le gratie à Dio che t’ha cibato,
50. Ultimamente: lavati le mani
E cerca sempre star netto e polito,
Che questa è politia da cristiani.
Cerchi di star ogni’un dunque avvertito,
Né prenda a scherzo le parole mie
Che chi le sprezza al fin sara schernito
Queste son le cinquanta cortesie,
Ch’io v’ho promesso, e se l’osservarete
Trarrete lode per tutte le vie
E se tal’hora vi ritrovarete,
A convito, o banchetto in compagnia
Sempre mai la creanza adoprarete,
E come ben da voi gustata sia
Quest’ammonicion, direte ancora:
“Chi me l’ha data benedetto sia!”
Qui faccio fin restare in la buon’hora.
IL FINE
archivio di: Giuseppe Frattini
Giulio Cesare Croce (San Giovanni in Persiceto,
12 marzo 1550 – Bologna, 1º gennaio 1609) scrittore,
cantastorie, commediografo ed enigmista italiano.
QUARESIMA GIORNI DI MAGRO BREVE STORIA
Dopo il carnevale giungerà il periodo Quaresimale, ecco
una memoria storica e di prescrizioni previste dalla
Chiesa Cattolica. Un buon digiuno correttamente
rispettato può essere utile al corpo e all’anima e, se
strettissimo, anche al portafogli.
L'astinenza dalle carni o giorno di magro è un precetto
generale della Chiesa Cattolica che impone di non
mangiare carne il venerdì e gli altri giorni proibiti. Il
pesce è ammesso durante l'astinenza, per cui il venerdì è
il giorno in cui tradizionalmente si consuma pesce nei
paesi a maggioranza cattolica.
L'astinenza risale a
tempi molto antichi, in origine era di più giorni alla
settimana poi concentratisi nel venerdì, scelto in
considerazione del venerdì di passione. Con la Riforma
protestante diventò il segno distintivo tra cattolici e
riformati, molto sentito dalla popolazione e riflesso
anche nelle commedie di Shakespeare. Le norme,
insieme con quelle del digiuno, sono fissate dalla
Costituzione Apostolica ''Paenitemini" del Sommo
Pontefice Paolo VI del 17 febbraio 1966, e dal Codice
di Diritto Canonico (can. 1249 e seguenti), ma possono
essere ulteriormente determinate dalle Conferenze
Episcopali.
Secondo la nonna ecclesiastica (vedi la voce digiuno
ecclesiastico) i fedeli diritto latino sono tenuti
all'astinenza dalle carni in tutti e singoli i venerdì
dell'anno, purché non coincidano con un giorno
annoverato tra le solennità dal calendario liturgico della
Chiesa cattolica. Il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì
Anno V numero 2
Santo sono richiesti il digiuno e l'astinenza il Sabato
Santo sono solo consigliati. L'obbligo del digiuno
s'inizia a 18 anni compiuti (1) e termina a 60 anni
incominciati quello dell'astinenza s'inizia a 14 anni
compiuti. Tuttavia i fedeli sono dispensati dall'obbligo
del digiuno e dell'astinenza in taluni casi. Fino all'inizio
del XX secolo la legge dell'astinenza dalle carni
proibiva di consumare uova e latticini, oggi non più
però oggi è richiesta anche l'astinenza dai cibi e dalle
bevande e che ad un prudente giudizio sono da
considerarsi troppo ricercati e costosi. L'insieme di
queste nonne costituisce il 4° (2) dei cinque precetti
generali della Chiesa cattolica (In giorni stabiliti dalla
Chiesa astieniti dal mangiare carne e osserva il digiuno).
Interrotta per evidenti ragioni pratiche durante la
seconda guerra mondiale, è divenuta sempre meno
sentita dalla popolazione. La Conferenza episcopale
italiana si è adeguata al nuovo clima ed ha ammesso la
sostituzione dell'astinenza con una diversa forma di
mortificazione in tutti i venerdì dell'anno, esclusi quelli
di Quaresima (3)
Il primo testo nel quale si mette in scena i cibi di magro
e quelli di grasso è francese La bataille de Caresme et
de Charnage scritta nel XIII sec. narra la battaglia
d'armate contrapposte: da un lato i pesci, dall'altro le
car1ti spalleggiate da uova e latticini. I capponi arrosto
si scontrano con i naselli, la passera e lo sgombro con la
carne di bue, le anguille con le salsicce di maiale. Le
verdure militano in entrambi gli schieramenti, dipende
da come sono condite: i piselli all'olio di qua, quelli al
lardo di là. La minuzia dei dettagli rappresenta in modo
vivace le regole alin1entar.i legate al calendario
liturgico che la Chiesa impose in Europa fin dal primo
Medioevo.
Rinunciare ai cibi animali in segno di penitenza da
cento a centocinquanta giornate all'anno (es. il venerdì e
durame la Quaresima) faceva considerare la carnee cibo
d'eccellenza,
massimo
desiderio
alimentare.
Nell'immaginario collettivo medioevale il grasso era il
valore forte, il 1nagro un semplice surrogato. Pesci e
verdure all'olio, ai quali si aggiunsero sul finire del
medioevo i latticini (esclusi solo nei giorni di astinenza
totale), erano cibi magri dallo status sociale debole
subalterno. La diffidenza che ha accompagnato i cibi di
magro fino ai giorni nostri trova la sua spiegazione
storica nel carattere costrittivo che per lungo tempo è
stato associato al loro consumo.
La loro subalternità si rispecchiava anche nei remativi di
"Imitazione" delle vivande grasse un po' come accade
oggi in certi ristoranti vegetariani dove si replicano nei
nomi e nelle forme vivande di "carne senza carne", che
tradiscono un persistente senso di inferiorità culturale.
Un'intera letteratura medievale ironizza sui tentativi
delle classi superiori di elaborare prelibatezza da
spacciare per pratiche di penitenza: Pietro Abelardo nel
XII sec. si chiede quale merito possa esse1vi nel
rinunciare alla carne per consumare pesci costosissimi e
raffinati. Ciò non toglie che gli obblighi di magro
abbiano aperto la strada a nuovi capitoli nella storia
dell'alin1entazione. L'esempio più eloquente è quello
della pasta, che si fece strada nei ricettari medioevali e
rinascimentali proprio come vivanda di magro elaborata
in molteplici modi per rispondere agli obblighi liturgici.
Quando l'alternativa magro-grasso non fu più all'ordine
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Anno V numero 2
del giorno e le ricette di pesce o verdure cominciarono
ad emanciparsi dal loro marchio di subalternità (non
prima del Sei-Settecento), le esperienze fatte nel
tentativo di renderli appetibili, rivelarono la cucina di
magro come un prezioso giacimento di eccelsi sapori
gastronomici.
(Editoriale di Susanna Cutini direttore taccuinistorici.it
pubblicato su: “A Tavola- Grande cucina italiana”)
La Quaresima segna i giorni che passano dalla fine del
Carnevale alla Pasqua. Questo è un periodo nel quale i
Cristiani dovrebbero astenersi dai cibi "grassi" per
ricordare i quaranta giorni di digiuno di Cristo. Se la
costosa carne degli animali terrestri era la regina della
categoria proibita il poco dispendioso e umile pesce
spiccava nel gruppo dei magri. I lanici1ti per lo più non
erano permessi, come i rossi delle uova. Durame il
regno di Carlo Magno la trasgressione dei periodi di
magro era punita con la pena di morte, e la Chiesa
spingeva i fedeli ad osservare il digiuno vietando la
vendita di carne ai macellai (salvo al sabato dopo
Vespro).
Insomma, fino a solo quarant'anni fa in Quaresima era
imperativo mangiare di magro. Nella lista dei cibi da
portare in tavola una volta esclusi soprattutto i grassi
degli animali terrestri, spiccavano pane, polenta, zuppe
o minestre di ortaggi, tortelli a base di erbe pesce fresco
o conservato. Vero "companatico" della povera gente
emblema del periodo era l'umilissima aringa o saracca:
arida e secca ma forte di sapore e di odore stuzzicante
suffragata economica. Doveva solitamente bastarne una
sola per una la famiglia, sia che toccasse affumicata o
ravvivata ai ferri nelle case più povere delle nostre
montagne la si teneva appesa penzoloni ai legni del
soffino, ad altezza d'uomo, per sfregarla sopra il pane
perché prendesse un po’ di sapore. Oggi questo tipo di
restrizioni sono state spazzate via dalla cultura globale e
del sempre pronto. Non c'è più l'abitudine di seguire i
precetti religiosi, ma molte delle ricette nate per la
Quaresima a base di pesce o legumi, sono diventate
preparazioni tradizionali di innegabile bontà e dietetica
Anche in questo caso è possibile affermare che il buon
senso e l’arte di arrangiarsi ha vinto sulle privazioni
imposte dall'alto.
SENSO e SCOPO DEL DIGIUNO
QUARESIMALE
Ricerca di Giuseppe Frattini
Più ampie considerazioni nel documento "IL SENSO
CRISTIANO DEL DIGIUNO E DELL'ASTINENZA"
della Conferenza Episcopale Italiana, 4.10.1994
Note
1. Precedentemente il termine era fissato a 21 anni,
così prescrivevano già: Tommaso d’Aquino -Summa
Theologiae II-II. 14, e il Catechismo di
2. Pio X 487. Il nuovo termine di 18 anni è stato
introdotto con il Codice dii Diritto Canonico del
1983
3. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica figura al 4°
posto, nel Catechismo di Pio X figurava al 2° posto
4. Il digiuno quaresimale.
5. 4 Vedi anche “Le proibizioni della Quaresima” su
rivista Cucina della Tavola- Accademia Italiana
della Cucina
Il digiuno quaresimale ha certamente una dimensione
fisica, oltre l'astinenza dal cibo, può comprendere altre
forme, come la privazione del fumo, di alcuni
divertimenti, della televisione. Tutto questo però non è
ancora la realtà del digiuno; è solo il segno esterno di
una realtà interiore; è un rito che deve rivelare un
contenuto salvifico, è il sacramento del santo digiuno. Il
digiuno rituale della Quaresima:
--è segno del nostro vivere la Parola di Dio. Non
digiuna veramente chi non sa nutrirsi della Parola di
Dio, sull'esempio di Cristo, che disse: "Mio cibo è fare
la volontà del Padre";
--è segno della nostra volontà di espiazione: "Non
digiuniamo per la Pasqua, né per la croce, ma per i
nostri peccati, ... " afferma san Giovanni Crisostomo;
--è segno della nostra astinenza dal peccato: come dice
il vescovo sant'Agostino: "Il digiuno veramente grande,
quello che impegna tutti gli uomini, è l'astinenza dalle
iniquità, dai peccati e dai piaceri illeciti del mondo, ...".
In sintesi: la mortificazione del corpo è segno della
conversione dello spirito.
INDICAZIONI
PRATICHE
DIGIUNO E DELL’ASTINENZA
DEL
− il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo sono
giorni di digiuno dal cibo e di astinenza dalla carne e
dai cibi ricercati o costosi.
− i venerdì di Quaresima sono giorni di astinenza
dalla carne e dai cibi ricercati o costosi.
− negli altri venerdì dell’anno, i fedeli possono
sostituire l'astinenza dalla carne con altre opere di
carattere penitenziale.
− al digiuno sono tenuti i fedeli dai diciotto anni
compiuti ai sessanta incominciati; all'astinenza dalla
carne
i
fedeli
che
hanno
compiuto
i quattordici anni.
− anche coloro che non sono tenuti all'osservanza del
digiuno, i bambini e i ragazzi, vanno formati al
genuino senso della penitenza cristiana.
Digiuno ecclesiastico
Il digiuno ecclesiastico è il digiuno praticato dai
cattolici come forma di penitenza durante alcuni giorni
dell'anno (detti appunto giorni penitenziali). Le più
recenti norme di questo digiuno sono state scritte da
Paolo VI nella Costituzione Apostolica Paenitemini del
17 febbraio 1966, dettagliate nel Codice di Diritto
Canonico (can1249 e seguenti), e possono essere
ulteriormente determinate dalle Conferenze Episcopali.
Le norme riguardo: digiuno e astinenza
Attualmente i fedeli cattolici dei vari riti latini sono
tenuti contemporaneamente sia al digiuno ecclesiastico
che all'astinenza dalla carne due volte l'anno,
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il Mercoledì delle Ceneri(per il rito ambrosiano il primo
venerdì di Quaresima) e il Venerdì Santo. Sono tenuti
alla sola astinenza dalle carni in tutti e singoli i venerdì
dell'anno, purché non coincidano con un giorno
annoverato tra le solennità dal calendario liturgico della
Chiesa cattolica. L'obbligo del digiuno inizia a 18 anni
compiuti[1] e termina a 60 anni incominciati; quello
dell'astinenza inizia a 14 anni compiuti. Tuttavia, i
fedeli sono dispensati dall'obbligo del digiuno e
dell'astinenza in taluni casi.
La regola del digiuno obbliga a fare un solo pasto
durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po'
di cibo al mattino e alla sera, attenendosi, per la quantità
e la qualità, alle consuetudini locali approvate[2].
L'acqua e le medicine sia solide sia liquide si possono
assumere liberamente.
La regola dell'astinenza dalle carni non proibisce di
consumare pesce, uova e latticini, ma proibisce di
consumare, oltre alla carne, cibi e bevande che ad un
prudente giudizio sono da considerarsi come
particolarmente ricercati o costosi.
I parroci possono, per giusta causa, dispensare i singoli
fedeli o le famiglie dall'osservanza del digiuno e
dell'astinenza, o commutarlo con altre opere pie.
L'insieme di queste norme costituisce il 4°[3] dei cinque
precetti generali della Chiesa ("In giorni stabiliti dalla
Chiesa astieniti dal mangiare carne e osserva il
digiuno") che ha come fine di garantire ai fedeli il
minimo necessario nell'impegno penitenziale (cfr.
Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 2041); tuttavia
"per legge divina, tutti i fedeli sono tenuti a fare
penitenza, ciascuno a proprio modo" (can. 1249 del
Codice di Diritto Canonico), specialmente nel tempo
penitenziale della Quaresima; i Vescovi italiani hanno
suggerito, a tal proposito, nuove forme di penitenza
accanto a quelle tradizionali, come l'astensione dal fumo
e dalle bevande alcoliche, dalla ricerca di forme
smodate di divertimento, dai comportamenti
consumistici, il digiuno dalla televisione. Il canone 919
del Codice di Diritto canonico obbliga poi tutti i fedeli
che vogliono ricevere l'Eucaristia ad astenersi "per lo
spazio di almeno un'ora prima della sacra comunione da
qualunque cibo o bevanda, fatta eccezione soltanto per
l'acqua e le medicine".
In Italia
Per l'Italia, la CEI ha emanato nel 1994 la nota pastorale
a carattere normativo "Il senso cristiano del digiuno e
dell'astinenza"[4]. I Vescovi riuniti nella CEI hanno
concesso la facoltà ai singoli fedeli di commutare
l'osservanza dell'astinenza in tutti i venerdì che non
sono di Quaresima con qualche altra opera di penitenza,
di preghiera o di carità, a discrezione del singolo fedele;
hanno consigliato inoltre di osservare il digiuno e
l'astinenza nel giorno di Sabato Santo fino alla Veglia
Pasquale; hanno infine stabilito che ci si può astenere
dall'osservanza dell'obbligo della legge del digiuno e
dell'astinenza per una ragione giusta, come ad esempio
per motivi di salute.
Digiuno ecclesiastico nella Chiesa Ortodossa
Anno V numero 2
Nella Chiesa ortodossa occorre distinguere due tipi di
digiuno: quello Ecclesiastico strettamente detto la cui
prescrizione si rivolge a tutti i fedeli e il Digiuno
Monastico. Il digiuno ecclesiastico strettamente detto
non si applica in "periodi liberi" che sono: la settimana
seguente la Pasqua detta "Luminosa", il periodo tra
Natale e la Vigilia della Teofania e una settimana
precedente il grande digiuno della Grande Quaresima.
Al di fuori di questi periodi i fedeli digiunano due volte
la settimana ossia il Mercoledì ed il Venerdì. Il Digiuno
consiste nel non mangiare al mattino e dopo sesta
(mezzogiorno) e astenendosi da ogni cibo di derivazione
animale (carne, pesce compreso, uova latte e latticini)
nonché dal vino e dalle altre bevande alcoliche e
dall'olio d'oliva. Se cade una grande festa del Signore il
digiuno è soppresso, se cade una grande festa della
Madre di Dio o di Santi particolarmente festeggiati è
consentito olio, vino e pesce, se capita la festa di un
Santo particolarmente festeggiato ma di livello liturgico
inferiore è consentito l'olio e il vino.
Qualunque calendario ortodosso contiene queste
mitigazioni. Inoltre si digiuna in maniera più mitigata
nei 40 giorni che precedono il Natale, nei giorni dalla
Domenica dopo pentecoste alla festività degli Apostoli
Pietro e Paolo. Invece si digiuna pienamente nella
Quaresima che precede la Pasqua, con particolare rigore
(il pesce è consentito solo la Domenica delle Palme e la
festa dell'Annunciazione e l'olio e il vino solo il sabato e
la domenica) e nei giorni dal 1 al 14 agosto - Digiuno
della Dormizione della Madre di Dio, con pesce
consentito per la festa della Trasfigurazione. Nella
pratica il digiuno è seguito dagli ortodossi praticanti
specialmente quei due digiuni maggiori della Pasqua e
della Dormizione. Tuttavia, dal momento che per gli
ortodossi la legislazione ecclesiastica ha carattere
pedagogico ed educativo alla vita spirituale più che
precettistico non si parla di trasgressione "morale" nel
caso della non osservanza e i fedeli che sono
impossibilitati ad osservarlo rigorosamente ne parlano
col loro padre spirituale che nell'ortodossia ha una parte
più importante che in occidente nella vita spirituale dei
fedeli
osservanti.
Nelle Chiese
Orientali cosiddette non-calcedonesi (Copti, Armeni,
Siri e anche Assiri d'Oriente) i digiuni assomigliano
molto a quelli degli ortodossi.
Posizione delle Chiese Protestanti
Le Chiese protestanti, ad eccezione degli anglicani,
rifiutarono le regole che prescrivevano l'obbligatorietà
del digiuno nei periodi stabiliti dalla Chiesa cattolica.
La riforma protestante concepì il digiuno come una
pratica esteriore che non serviva di per sè a guadagnare
la salvezza. Martin Lutero riteneva che un cristiano
potesse scegliere individualmente di praticare il digiuno
come un esercizio spirituale per disciplinare il proprio
corpo, ma che il tempo e il modo di digiunare dovesse
essere lasciato alla discrezione individuale. La posizione
di Lutero è stata accolta dalla maggior parte delle
Chiese protestanti, in cui il digiuno è meno popolare
rispetto alle altre confessioni cristiane.[5] In genere le
Chiese
luterane
consigliano
di
effettuare
volontariamente di tanto in tanto alcuni giorni di
digiuno senza finalità rituali o salutistiche ma con
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finalità spirituali, per distogliere l'attenzione da se stessi
e dai propri desideri, associando il digiuno alla
preghiera.[6] Alcune comunità consigliano di praticare il
digiuno
durante
il
periodo
della quaresima,
preferibilmente nei giorni di giovedì o venerdì, in
ricordo del digiuno che Gesù effettuò per 40 giorni nel
deserto
all'inizio
della
sua
missione.[7] Per
il metodismo il digiuno è considerato un'opera di pietà,
che è bene praticare insieme alla preghiera e alle opere
di misericordia. Il digiuno va considerato come una
disciplina spirituale che aiuta a focalizzare l'attenzione
sulla preghiera e su Dio, evitando di cadere nel
formalismo (che consiste nel considerarlo come fine a
se stesso) e nel legalismo (che consiste nel considerarlo
come un mero dovere religioso). Il digiuno non va
inoltre praticato per ottenere grazie da Dio, perché è una
pratica che serve a cambiare il fedele e non le intenzioni
di Dio[8].
Anno V numero 2
Tomba di Azzone Visconti in San Gottardo in Corte,
dietro il Palazzo Reale (vedi immagine).
Sunto bibliografico di Giuseppe Frattini
Note
1. Precedentemente il termine era fissato a 21 anni.
Così prescrivevano già Tommaso d'Aquino, Summa
theologiae, II-II, 147; e il Catechismo di Pio X, 487.
Il nuovo termine di 18 anni è stato introdotto con il
Codice di Diritto Canonico del 1983.
2. Paenitemini (17 febbraio 1966), Art. III, § 2.,
su w2.vatican.va. URL consultato il 20 maggio
2015.
3. Nel Catechismo della Chiesa cattolica figura al 4º
posto, nel Catechismo di Pio X invece figurava al 2º
posto
4. Nota pastorale CEI, "Il senso cristiano del digiuno e
dell'astinenza", 1994.
5. J. Gordon Melton, Encyclopedia of Protestantism,
Checkmark Books, 2008
6. Prayer: Fasting
7. What is the holiest season in the Church Year?
8. Fasting as a Spiritual Practice
SIMBOLI DI MILANO
PARTE PRIMA: LO SCUDO
Milano, nella sua lunga storia ho avuto quattro simboli:
-la scrofa semilanuta
-lo scudo crociato
-il Biscione
-Sant’Ambrogio con la frusta
Iniziamo dallo scudo perché è ancora oggi il simbolo
ufficiale della città.
Le origini
Lo scudo di Milano ha il fondo bianco (d’argento in
araldica) con una croce rossa. Significa che il Comune
di Milano ha partecipato alle Crociate (non diciamolo
all’Isis però) e che era di parte guelfa. Se fosse stato un
Comune ghibellino avrebbe avuto la croce bianca in
campo rosso, come lo scudo dei Savoia che vediamo al
centro della Galleria Vittorio Emanuele II, e che molti
scambiano per lo stemma di Milano. La più antica
immagine che ci resta di questa croce si trova nella
Alla fine del 1300, quando Milano diventa capitale del
Ducato, sopra lo scudo crociato viene posta la corona
ducale con otto fioroni d’oro (vedi immagine
commestibile), che continuerà a sormontare lo scudo
fino a quando, perso il ducato, Milano diventerà una
semplice città del Regno e poi della Repubblica Italiana.
Pochi anni dopo, Filippo Maria Visconti, terzo duca di
Milano, si inventa un nuovo simbolo da aggiungere allo
scudo e alla corona: i “Piumai”. Due piante spuntano
dalla corona (si potrebbe anche dire dal “cilindro”): la
palma e l’ulivo. Sono piante simboliche che vogliono
definire un programma di governo, come la quercia di
Ochetto o l’ulivo di Prodi. La palma e l’ulivo, come sa
ogni buon cristiano, sono le piante usate per festeggiare
l’arrivo di Gesù a Gerusalemma per Pasqua. Con queste
piante Gesù viene acclamato Re d’Israele, e forse anche
Filippo Maria Visconti con questa immagine mirava a
farsi acclamare re, come aveva fatto suo padre Gian
Galeazzo e come faranno i successivi duchi sforzeschi
che continueranno a usare la corona con le due piante.
I Piumai a Santa Maria delle Grazie
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Sui muri delle sale e dei cortili del Castello Sforzesco si
vedono numerosi
stemmi sforzeschi
con l’aquila, la
corona ducale con
palma e ulivo, e
con il Biscione che
spiegherò nella
seconda parte di
questo scritto.
Nella maggior parte
dei casi si tratta di
stemmi del Ducato,
non del Comune,
con l’aquila
imperiale al posto
della croce. Alcuni
di questi stemmi sono originali dell’epoca (1450-1535),
altri li ha voluti l’architetto Luca Beltrami, il geniale
restauratore del Castello agli inizi del ‘900. Vediamo
quello del Comune, affrescato dove c’era la Scuola
d’Arte Applicata ora trasferita altrove.
Il
periodo
asburgico
Con l’arrivo a Milano
degli Spagnoli, trionfa il
nuovo stile Barocco che
trasforma
anche
lo
stemma della città di
Milano. Restano la croce
e la corona con palma e
ulivo, ma arrivano anche
altre piante, cartigli, e
cianfrusaglie
varie.
Molto elegante, a mio avviso, quello disegnato dal
Cerano agli inizi del 1600.
La palma e l’ulivo, invece di nascere dalla corona, si
arrampicano partendo dallo scudo per arricciarsi alla
fine alla corona ducale.
Più
tradizionale,
ma
sempre in stile barocco,
un
altro
disegno
seicentesco che riporta lo
stemma di Milano e delle
sue sei porte o sestieri,
oltre ad altri due simboli
della città – la scrofa e
sant’Ambrogio – dei quali
parleremo nei prossimi
numeri della Frusta. Come
si vede bene, il Biscione è
assente dallo stemma della
città, mentre campeggia
sicuro nello stemma del
ducato. E’ un segno di autonomia, che però finisce con
il regno d’Italia napoleonico, quando dal nuovo stemma
scompare la corona ducale, la palma e l’ulivo, e resta
solo la croce, sormontata questa volta dalla corona
turrita di semplice città, dall’aquila e dalla “N” del
nuovo padrone Napoleone. C’è però un’interessante
novità, che si affermerà nel futuro: una corona dove si
alternano foglie di quercia e di alloro.
Anno V numero 2
Dimenticavo
un
particolare
importante.
Dallo stemma del Cerano
fino a quello napoleonico,
si affaccia timidamente il
caduceo di Mercurio, un
nuovo elemento che ha un
chiaro significato: i Soldi.
Milano ha preso coscienza
della
sua
vocazione
economica
e
ormai
preferisce essere ricca
piuttosto che potente. I simboli regali – palma e ulivo –
scompaiono lasciando il posto a Mercurio, e poi alla
quercia e l’alloro, due nuove piante araldiche che
significano forza (quercia) e competenza (lauro), gli
ingredienti del benessere.
L’arrivo della quercia e dell’alloro sullo stemma di
Milano, com’è oggi, è tutt’altro che semplice da
raccontare.
Con il ritorno degli Austriaci, dopo la caduta di
Napoleone, lo stemma recupera la corona ducale (senza
palma e ulivo) ma
conserva l’aquila della
sottomissione.
Un’aquila asburgica, a
due teste, che indica
l’appartenenza
della
città
all’Impero
d’Austria. Un po’ di
piante
anonime
decorano lo scudo
senza aggiungere alcun
particolare significato alla “missione” della città.
E’ interessante notare che, durante i moti antiaustriaci
del 1848, le piante napoleoniche (quercia e alloro) fanno
la loro ricomparsa, per esempio nelle monete, con i due
rami legati e contrapposti, che rivedremo molto più tardi
nel nostro stemma.
Va detto anche che questa novità araldica non appare in
questo periodo soltanto in Lombardia, ma anche in altri
Stati (Roma papale, Napoli borbonica) che vogliono
indicare con queste piante la loro opposizione
all’oppressione asburgica.
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Anno V numero 2
Oggi
Con la formazione del Regno d’Italia nel 1861, però, la
quercia e l’alloro scompaiono dall’araldica italiana,
almeno fino all’avvento del Fascismo. Lo stemma del
Comune di Milano, in questi anni (1861-1921) va
incontro a una strana vicenda, che non ho potuto
chiarire completamente. Accanto alla solita croce
compare un secondo scudo che riporta la “scrofa
semilanuta” ben nota ai conoscitori della storia di
Milano, e che tratteremo ampiamente in un prossimo
articolo della Frusta. Entrambi questi scudi sono
sormontati dalla città turrita e abbelliti da piante
generiche. Possiamo vedere questa strana coppia a
Palazzo Marino, nel Palazzo del Giureconsulti oppure
nel Cimitero Monumentale (vedi immagine). Tutte
decorazioni che risalgono al periodo sopra menzionato.
di Paolo Colussi
Nell’Era Fascista (1922-1943) gli stemmi comunali
vengono rivisti e codificati. Il 19 marzo 1934 nasce
ufficialmente lo stemma del Comune di Milano, poi
modificato dopo il 1945 e oggi così descritto:
“Lo stemma della Città di Milano è araldicamente così
descritto: d'argento (bianco) alla croce di rosso, cimato
di corona turrita (un cerchio d'oro aperto da otto
pusterle), e circondato ai lati nella parte inferiore da
fronde verdi di alloro e di quercia annodate con un
nastro tricolore.”
[Statuto del Comune di Milano,
Art. 4, punto 2]
Le modifiche rispetto al 1934
riguardano il nastro che diventa
tricolore (prima era dorato) e
l’abolizione del “capo del
littorio” (vedi immagine) che
dal
1933
doveva
obbligatoriamente sormontare
gli stemmi di tutti i comuni
italiani.
Oggi lo stemma corrente del Comune di Milano ha
subito una trasformazione grafica che conserva le
caratteristiche essenziali dell’immagine ufficiale, ma
che ha una “versione semplificata” senza piante.
A quando una nuova versione con le palme?
PER RAGIONI DI SPAZIO IL PRESENTE ARTICOLO
VERRA’ PRESENTATO IN TRE PUNTATE PER
CONSENTIRE AL LETTORE DI POTER FRUIRE DEL
TESTO NELL SUA ORGANICITA’. (N.D.R)
TERZA PARTE
DECLASSAMENTO DELLA LINGUA ITALIANA
NELL’UNIONE
EUROPEA
E
AUTOLESIONISMO
LINGUISTICO
DEGLI
ITALIANI – INTRUSIONE LESSICALE ANGLO –
AMERICANA NELL’ITALIANO DEL NUOVO
SECOLO.
Il Frullone, simbolo dell’Accademia della Crusca
Non c’è che da sperare in un baby-boom (TG2, ore
13,00 dell’8- 8- ‘05), sul tema dell’esiguità di quelle che
saranno le future retribuzioni pensionistiche per gli
odierni giovani –massimo 32% dell’ultima retribuzione.
In un’intervista a un operatore turistico di castelli e
antiche dimore trasformati in alberghi nella rubrica TG
ECONOMIA:
“…bisogna
andare
a
vendere
direttamente le location”. In una lettera di Piero
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Ostellino al Corsera del 9-8 05: “Se un columnist del
New York Time scrivesse al presidente degli Stati Uniti
di interessarsi [dell’acquisto del giornale] l’America… .
Dulcis in fundo: trasmissione condotta dal dottor
Mirabella del 18-8 -’05, Rai 3 ore 13,00 circa, dedicata
agli animali. In fine di trasmissione l’intervista al
proprietario di un cane, il quale spiega che lo porta ad
effettuare un percorso di agility!
Si fanno i conti per una leadership (della coalizione, del
partito), si cita il premier, anche nelle più scassate
squadrette di calcio giovanile nell’arcipelago calcistico
di casa nostra guai a rivolgersi anche al più
improvvisato allenatore di turno senza usargli
l’appellativo di mister!
Sulla stampa abbiamo notizie di una baby-gang e
nell’articolo si legge la descrizione di uno di questi
baby: “…giovanotto di 16-17 anni, alto 1,85 metri e dal
peso di 85 kg”. Alla faccia del baby!
Ricorrente è il trinomio feeling, flirt, fan. Il sedicente
smemorato presunto pianista che ha commosso le folle
internazionali e che si rivelerà una bufala giornalistica
estiva è stato indicato come piano-man. Su un
quotidiano del 28-8-05 una citazione del ministro
Lunari sul tema della sicurezza aerea: “Sulle black list
mi hanno frainteso”.
Non c’è più settore della politica, della cultura, del
giornalismo, della pubblicità – insomma non c’è più
settore alcuno- dove non si ricorra a qualche termine o
espressione inglese: welfare, establishment, premier
leader, lobby, devolution,…fino ad arrivare al più
modesto e contingente bed and breakfast al posto di
“affittacamere”. In ambito sportivo sono frequenti
indoor, offshore, set, match, penalty, corner, goal,
round, knock-out, uppercut.
Si è allargato a macchia d’olio l’uso dell’espressione
staff dirigenziale (sic, che obbrobrio questa
trasformazione peggiorativa dell’aggettivo usato fino a
qualche tempo fa nell’espressione nostrana “gruppo
dirigente”!).
Nelle statistiche leggiamo trend e in un saggio troviamo
background storico-legislativo e pedagogico-didattico.
Nel periodico ALI Giovani del dicembre 2005: “Al
Ministero della Salute italiano la LIPU, che fa parte
della task force di questo istituto (Birdlife, ndr) …” e
ancora: “Assieme a tutti i partner europei di birdlife…”.
E quanti racket, standard qualitativi, floppy-disc, harddisc… Su una pagina del quotidiano l’Unità del 27-1105 troviamo time share e time sharing (multiproprietà):
“da oggi è possibile convertire la tua multiproprietà o
time share permutandola nel nuovo club vacanze
GENESIS VACATION CLUB”!
E poi: stage (l’inglese però l’ha mediato a sua volta dal
francese); gag, escalation, best seller. Al TG1 del 26 12- 05 il conduttore usa l’espressione pit stop al posto di
“fermata”.
Il Consiglio dei ministri ha approvato a notte fonda il
decreto che trasformava gli enti in spa, ne trasferiva la
proprietà al Tesoro e stabiliva in tre i componenti i
board. Notare che nell’articolo citato la parola inglese
non è riportata in italico o virgolettata, ma in caratteri
correnti, come fosse una parola del lessico della lingua
nazionale. Da un’intervista del Corsera di sabato 31
dicembre 2005 a Francesco Giavazzi, docente in
Bocconi e amico del neogovernatore della Banca
Anno V numero 2
d’Italia: “Raggiunto l’accordo con il ministro
dell’industria Giuseppe Guarino sostenitore di un piano
che prevedeva la costituzione di superholdig. Segue la
domanda dell’intervistatore: “Il decreto notturno è stato
uno shock?” (in realtà la parola era stampata con la
grafia francesizzata choc!). Leggiamo sempre più
frequentemente holding company (società finanziaria).
E ancora a pagina 20 del Corsera citato, ci imbattiamo
nel seguente passo da una corrispondenza da New York
sul personaggio Lapo Elkann: “Tutti gli occhi erano su
Lapo, per aver resuscitato il nome FIAT. Per la sua love
story con la più hot delle starlet italiane, per aver
illuminato il futuro della sua azienda con la nuova
patinata Grande Punto”.
Un
rappresentante
dell’Associazione
culturale
Roccabrivio nel giugno 2006 informa che nel cortile
della rocca ogni sera ci sarà un servizio di happy hour.
Mio figlio dice a sua sorella che faranno fifty-fifty con
la mancia ricevuta dalla nonna e lei gli risponde con un
OK. Al TG1 delle ore 13,30 del 9 gennaio 2006 una
dirigente scolastica intervistata si esprime così:
“Riprendiamo a studiare un pochino più soft”.
Bisogna portare gli stivaletti in pelle anche al mare e ad
ogni costo, nonostante la canicola di luglio, se si vuole
essere trendy (da un tg del luglio 2006). Il giorno dopo
la risoluzione 1701 dell’ONU del 12 agosto 2006 sulla
crisi del Libano si leggeva il seguente sottotitolo su un
quotidiano nazionale: “Su cessate il fuoco e
peacekeeper raggiunta l’unanimità a Palazzo di vetro”.
E più avanti, sullo stesso giornale: “Sarà una missione
dura, pronti a regole da Peace enforcement”, e due
pagine dopo, il titolo del quarto paragrafo di un
documento programmatico di politica ecologica: “Una
nuova governance delle aree protette”. Al Gr3 delle ore
8,45 di Ferragosto si annuncia una preoccupante crescita
in Italia del fenomeno delle baby gang, precisando che
sono altra cosa dall’usuale bullismo. Al TG3 delle ore19
del 30-8-06 in un servizio sulla mescolanza etnica si usa
l’espressione melting pot.
Dulcis in fundo (fra così tanti inglesismi ci sia
consentito usare un’espressione latina) dal raduno
internazionale di giovani cattolici il 18 e 19 agosto a
Colonia nell’estate 2005 per la Giornata mondiale della
Gioventù i cronisti di turno dell’avvenimento indicano
la folla di giovani con l’espressione papa boys,
assegnando alla parola “boys” un’accezione che va oltre
l’indicazione del genere maschile.
Non c’è più settore, insomma, della politica, del
giornalismo, dell’istruzione, dell’amministrazione, della
cultura in senso lato dove non si ricorra a qualche
termine o espressione anglo-americani. Così sul Tempo
dell’8-8-06 in un articolo intitolato “Prodi, una poltrona
al giorno: “…lo spoil system del centro sinistra.”
Abbiamo aperto la nostra scorribanda nel lessico
anglosassone penetrato nella nostra lingua citando il
pensiero di Pier Paolo Pasolini. Vogliamo chiudere
questo nostro discorso con una domanda che ci fa
pensare ancora a questo intellettuale che molto ha dato
alla cultura contemporanea ma prematuramente ci ha
lasciati: se fosse ancora presente a quale analisi
approderebbe in merito a questa massiccia presenza di
15
Marzo - Aprile 2017
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lessico inglese nei più svariati settori della nostra
lingua?
Ci fermiamo qui nella registrazione delle intrusioni
lessicali, consapevoli di esser lungi dall’aver esaurito la
rilevazione del fenomeno nella sua interezza. Intanto da
queste osservazioni possiamo anche constatare che il
lessico inglese è impiegato non soltanto nella lingua
scritta di giornalisti e scrittori, ma è ormai abbastanza
ampiamente utilizzato pure nella lingua parlata,
ancorché in settori specialistici. Questo utilizzo
nell’orale è probabilmente indice di una effettiva (e
forse anche definitiva?) assimilazione nella koiné.
Conseguentemente è lecito chiedersi fino a che punto la
lingua italiana potrà continuare a mantenere la propria
identità non solo lessicale ma anche strutturale.
Riteniamo utile citare, in quanto significativo, ciò che
accade, di diverso, nella lingua dei transalpini, dove più
forte e storica è la preoccupazione della maggioranza
culturale francese di salvaguardare la lingua nazionale
da evoluzioni dovute all’intrusione di lessico immigrato.
I cugini Francesi hanno già provveduto ad utilizzare
parole della loro lingua per sostituire termini inglesi
“globalizzati” come pc, aids, globalizzazione, NATO,
DNA
rispettivamente
in
ordinateur,
SIDA,
mondialisation, OTAN e ADN. Perfino la città
statunitense di New Orleans in terra francese è
rigorosamente indicata in la Nouvelle Orléans!
Corrado Augias su la Repubblica del 4 dicembre 2004,
rispondendo a una lettera alla sua rubrica su questo
tema, raccontava cosa avessero combinato i nostri vicini
transalpini che, secondo lui, la loro lingua la prendono
sul serio, precisando anche troppo. Hanno addirittura
istituito un premio denominato “Prix d’indignité
civique” o de la Carpette anglaise. Ebbene
quell’accademia si era riunita il 24 novembre e fra i vari
premi deliberati c’era quello speciale attribuito a un
membro della nomenklatura europea o internazionale
per il suo servile contributo alla diffusione della lingua
inglese: assegnato in quell’occasione addirittura al
presidente della banca centrale europea Jan- Claude
Trichet. Aveva osato esporre in inglese la politica della
BCE a Strasburgo e dichiarato, al momento di prendere
possesso della carica: “I am not a frenchman”. Quale
orribile delitto linguistico! Il nostro Augias ammette che
forse i francesi esagerano.
Concludiamo questa riflessione ponendoci una
domanda: a quando il top di iniezioni di lessico inglese
nella nostra lingua? Intanto con questo quesito ci
accorgiamo che siamo ormai tutti contagiati! Ma forse è
utile ancorché doveroso avere coscienza della sua
portata. (FINE ARTICOLO)
Giuseppe Rossetti
STORIA DELLA CARNE ITALIANA IN
SCATOLA
Come abbiamo visto nel numero precedente della Frusta
fu il francese Nicolas Appert ad ideare come conservare
il cibo in scatolette. In Italia furono i piemontesi i
pionieri della preparazione di questa carne, con il “bue
in scatola” elaborato da Lancia per i soldati della guerra
in Crimea (1854/6).
Anno V numero 2
La prima scatoletta di carne dal sapore e dal colore
accettabile vide la luce invece nel 1881 grazie al genio
di Pietro Sada gastronomo milanese, che studiò nuovi
processi di conservazione per mantenere più a lungo il
suo richiestissimo lesso. Per far uscire la carne in
scatola di Sada dalla connotazione di strambo prodotto
moderno fu necessario un evento di grande risonanza: la
trasvolata delle Alpi in mongolfiera organizzata dallo
svizzero Gondrand.
Così Sada mise a disposizione dell’equipaggio il suo
bollito in scatola. Da allora tutti vollero assaggiare
quella carne che rappresentava una curiosa modernità
simbolo di progresso. Il figlio di Pietro Sada, Gino
Alfonso, fondò nel 1923 la Simmenthal dal nome di
una valle svizzera. Dalla metà dello scorso secolo la
carne in scatola ha identificato un cibo subito pronto,
pratico, igienico, poco grasso e neanche troppo costoso,
ed oggi è un’alternativa alla carne fresca, soprattutto in
estate.
Una lattina vuota e senza etichetta del tipo a tre pezzi
in latta.
La Lattina
La lattina è un contenitore a tenuta ermetica non
richiudibile costituito con diversi materiali metallici:
alluminio o lamiera di ferro stagnata o plastificata. La
lamiera di ferro stagnata, detta anche latta, è stato il
primo materiale utilizzato e da ciò deriva il nome
italiano.
Una moderna lattina di birra del tipo a 2 pezzi in
alluminio
Una moderna lattina di birra del tipo a 2 pezzi in
alluminio
Storia
Alla fine del XVIII secolo l'inglese Bryan Donkin
sperimentò l'impiego della latta per la realizzazione di
scatole per la conservazione di alimenti[1] e nel 1810
Pierre Durand ne registrò il brevetto [2]. Nello stesso
periodo alcuni impresari inglesi introdussero la
conservazione di cibi in scatola negli Stati Uniti:
Thomas Kensett (nel 1812 a New York) e William
Underwood (nel 1817 a Boston) avviarono le prime
industrie di conserve alimentari, con scatolette di
importazione britannica. Solo nel 1825 lo stesso
Thomas Kenset registrò il brevetto negli Stati Uniti[3], e
le prime fabbriche di lamiera stagnata furono aperte nel
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1870 a Cincinnati e Chicago[1]. In Italia la produzione
di alimenti conservati in scatole di latta iniziò nel 1856
(Francesco Cirio) a Torino, la produzione fu avviata nel
1890 da Luigi Origoni a Milano[1]. Inizialmente la
lattina era principalmente utilizzata per la conservazione
di prodotti alimentari se l'elevato costo di produzione
rendeva il cibo un lusso fu anche una preziosa risorsa
logistica per usi militari per il rifornimento di
vettovaglie.
Alla metà del XIX secolo iniziò una radicale
trasformazione
della
distribuzione
e
commercializzazione delle merci alimentari e non,
sostituendo la millenaria cessione di prodotto sfuso con
prodotti preconfezionati, anche non alimentari. Nel
1957 sono introdotte le prime lattine in alluminio[4],
materiale più malleabile con la stessa resistenza alla
corrosione della latta ma più leggero ed economico.
Questa evoluzione ha eliminato il rischio di migrazione
dello stagno negli alimenti. Oggi sono utilizzate scatole
in lamiera di acciaio rivestite all’interno con plastica a
base di Bisfenolo tuttavia alcuni recenti studi ipotizzano
la tossicità di questa famiglia di materie plastiche.
Tecnica
La lattina è composta da tre pezzi un corpo a sezione
cilindrica o rettangolare in lamiera ripiegata chiusa da
una saldatura o da aggraffatura, il coperchio ed il fondo
sono aggraffati. La lattina di alluminio è composta da
due soli pezzi: corpo cilindrico ed fondo si ottengono
per imbutitura, il coperchio stampato è aggraffato.
Le metodologie di lavorazione dell'alluminio si sono
evolute arrivando a costruire contenitori proporzionati,
robusti e resistenti capaci di mantenere pressioni elevate
impiegando per una lattina da 33 cl. Sono impiegati solo
13 grammi di alluminio.
Coperchio con sistema di apertura che rimane con la
lattina diffuso dopo il 1980.
Anno V numero 2
ciél, che ghe dànn content adrée a giugà a te ghe l'et. E a
Milano l'aria può divenire di cristallo e così trasparente
da far sembrare la città più prossima ai monti di quanto
in realtà non lo sia. Noi la diciamo aria remondìnna,
mondata dallo smog, da ogni impurità. Sono giornate
così attese e spettacolariche sono celebrate sui giornali
con le classiche fotografie prese dall'alto del Duomo:
con le guglie in primo piano, i grattacieli, i più umili
tetti di tegole e, subito dietro, ecco lì le Alpi sforbiciate
nel cielo limpido.
E l 'anema d'on meneghin la se deslengua ...
'Me l'è bèll fàss sperluscià 1,
dent' per dent', d'on poo de vent:
te par quasi de volà!
El zif fola in di orècc 2
e poeu el sgura i monumént
che te paren sbarlusént 3,
luster ciàr come di spécc.
El s' ciarìss el panorama
fìnna in fond all'orizzont.
Salten foeura fìnna i mont:
la citàa l'è un "cineràma" ! 4
-Ven sul Dòmm, l'è eccezional,
l'è on spettacol de incantà:
gh'è la Grigna, el Bianch l'è là!
Fàmm vedè... fenomenal
... ma l'è el Ròsa: va a ranà! 5
Ciapparàtt tiress in là;
voeuri fà ona fotografia ,
de quèj bèj de tegnì via!!
Coperchio con sistema di apertura che rimane con la
lattina diffuso dopo il 1980.
Alla fine del XX secolo alla lattina in latta o acciaio è
inserita l'apertura a strappo, prima esclusiva delle lattine
in alluminio. Le lattine in genare, essendo realizzate in
materiali metallici, sono facilmente e proficuamente
riciclabili.
Bibliografia consigliata:
1. Fausto Masi, Acciaio, Vallardi, Milano, 1956, pp.
112-113.
2. Fausto Masi, Acciaio, Vallardi, Milano, 1956, p.
113.
3. Petroleum week, Volume 9, 1959, p. 82 (Google
Books)
VENTO DI MARZO a Ricordo di Giorgio Caprotti
Il biglietto da visita della primavera è l'aria sottile del
mattino ripulita dal vento di marzo, cont i ronden su nel
E’ ormai primavera: i campi, giardini e panorami si
aprono al veto ed alla trasparenza di marzo. Tutto pare
toccato da un nuovo soffio di vita. E lo smog per un po’
è sconfitto. Anche gli stretti e lunghi cortili delle
vecchie case dei quartieri popolari sono percorsi
dall’aria primaverile. Dall’alto Milano riscopre, quasi
per incanto, la suggestiva visione delle Grigne e del
Resegone.
Panorama verso Alpi
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Respirare quell'aria allarga i polmoni, come succhiare
una caramella di menta, on slargafiàa, come diciamo
noi. Ma si sa anche che "Marz l'è el fioeu d'ona
baltròcca: on dì el pioeuv e on dì el fiòcca". Cioè il
tempo è mutevole e il vento può farsi d'un tratto freddo
e allora ... ciao Ninètta! Comincia un pizzicore nel
naso, purisna el nas, e... già on acciùmm ( L’ “etcì" in
italiano), ona bèlla stranudada. In meneghino anziché
"starnuto" diciamo stranùd, se ne sente meglio
l'esplosività, non vi pare? È la premessa di uno di quei
raffreddori che i medici definiscono "rinite allergica", e
noi ribattezziamo rafreddor allèrgich inserendo quella
parola allergica che è divenuta quasi di moda. E in
causa sono spesso i pollini, la polverìnna di fior, e i
oeucc se fann piangiorent, specie quando andiamo nei
prati per cattà l'insalata matta per fare la classica
insalata e ciàpp, l'insalata con le uova sode che, servite
spaccate in due e posate col tuorlo sul letto verde,
sembrano proprio due chiappette sode che tornano a
comparire di primavera sotto le gonne, d'un tratto
fattesi leggere. Ma nei campi, sulle ramaglie, ci sono
anche i lovertìs (leggi "luertis", con la "i" un po'
strascicata, stemperata, dice il Cherubini), i fragili
germogli rampicanti del luppolo che, nella cottura,
perdono la ruvidezza e servono per fare risotti e frittate
insaporite di primavera. Al pari delle prime ortiche
dolci, ma attenti a non sbagliare perché le altre fànn
vegnì sù i bagòttol (l'orticaria) e, gratta che te gratta,
per­ ché hìnn bisijént (di un dolore pungente), ci si trova
tùtt besinfi e sgarbellàa (tutti gonfi e graf­ fiati). E
nell'aria volen i caterinètt (i fiocchi dei pioppi, i pobbi )
imprendibili e che gli osti bruciano coi zoffreghìtt (i
fiammiferi di legno) annullandoli. E anche questo fa
primavera.
Giorgio Caprotti
Altra immagine del Monte Rosa
NOTE
1) sperluscià = spettinare. Sperlusciàss è anche lo
scomporsi i capelli con lo shampoo o lo starnazzare
scomponendo il piumaggio come fanno gli uccelli.
2) orècc = orecchie è il plurale maschile di orèggia,
che al singolare è femminile
3) sbarlusént = rilucenti.
4) cineràma è termine intruso dal mondo del cinema
5) ranà è lo sgambettare come una rana, per esempio
del bambino nel cambio dei pannolini, non l'andare a
prendere le rane, a ciappà i rann.
LA PIANTA IN FIOR
Ricordi di un’osteria milanese
Anno V numero 2
indove la comincia la periferia.
Trii basei, on ciarin (3)
e la pianta in fior.
Atmosfera de semplicità e cordialità
l’è on paradis di temp andaa.
In del local mal miss
pròppi nagòtt l’è cambiaa
da cent ann e pussee in là (4).
Tavolinett piscinitt, tovaj a quadrettin,
la stuvetta che ne scalda
cont el canon (5) ch’el pirla de chì e de là.
Se staon poo strett, in verità,
ma quanto cicciarà.
La cusina casarenga l’è ona bontà,
par de vess pròppi a cà.
Ma l’è la gent la soa bellezza:
dal legnamee a l’ingegnee,
dal trombee al ragionatt,
dal maester al tranvier,
dal lombard al calabres,
dal frances al sudanes.
La famiglia cont i fioeu
E el nòno cont i nevoditt,
ma anca i cagnoeu.
Gh’è l’attor improvvisaa,
l’architett ch’el fa i cà senza tett,
el musicista ch’el fa i canzon de sinistra.
El poverett, el bollettari,
e queel che in del destin nel ghe cred semper.
El balòss e el bolgiron
stann semper on poo sui sò.
Ma anca el sgalis l’alza tròpp el gombet
e la sgalisa che la trira sù on poo tròpp la sòcca.
El pòst el gh’è per tucc
e chi sta minga al sò pòst … le metten a pòst.
Canzon, musica e allegria
e a la fin de la serada
hinn content e soddisfaa (6)
e tornen a cà soa.
E questa l’è la canzon de l’osteria
Prima che el ciappin se la pòrta via.
El Luis
Note al testo:
(1)
Potrebbe andare anche TRANI, dipende da che
tipo di osteria si tratta, anche se osteria va meglio
perché fa rima con via
(2)
Ho messo via in fondo invece che all’inizio per
conservare la rima con osteria
(3)
Ricorda il verso de El barbon di Navili (Ma el
ciarin d’ona veggia osteria)
(4)
Sarebbe meglio pussee indree, ma lasciamo in
là per licenza poetica (per lasciare l’assonanza:
cambiaa/là)
(5)
Non si capisce che cos’è
(6)
Non essendo molto usato felice ho usato due
sinonimi
Gh’è el Gianni, la Pinuccia,
gh’è la mama.
Là, in quell’osteria (1),
in la curta e stretta via (2)
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MAASTRICHT FONDAMENTO
DELL’UNIONE EUROPEA
PREMESSE
Le contingenti vicende nazionali: le conflittualità
politiche all’interno dei partiti, le schermaglie e gli
attacchi fra i diversi gruppi politici, il gossip parallelo,
l’emergenza sicurezza ed il problema dei rifugiati o
meno, un’informazione complessivamente difficilmente
indipendente, con un chiasso incredibile, occupano
quasi interamente gli spazi dell’informazione e non
permettono una ponderata riflessione sulla politica
internazionale che risulta molto complessa e la cui
comprensione oggi, guardando verso il futuro
(prossimo), è di fondamentale importanza. Così
rivolgersi anche alla stampa estera permette di fruire di
punti di vista diversi, e di cogliere osservazioni che
possono essere utili per chiarire qualche domanda e
comprendere meglio ciò che si trova nella stampa
nazionale, spesso, fra le righe o in articoli scritti per chi
“sa”. Qui di seguito la redazione ha ritenuto di proporvi
un articolo di recente pubblicazione che mi pare pacato
e che ben inquadra lo stato delle cose riguardo la
politica europea con spunti chiarificatori ed alcune
considerazioni interessanti. Bona lettura! E tenete alta la
guardia: un sano spirito critico è l’anima della libertà e
ci mantiene vivi.
MAASTRICHT
MEMORIA
PER
RINFRESCARSI
LA
Il trattato nel 1992 lanciava un’esperienza politica:
federare degli Stati-nazione. Ricordiamo le sorgenti
d’un’ambizione, nel momento in cui l’Unione trema
dalle sue basi.
Fra la Brexit e le minacce proferite da Donald Trump, la
crescita dei populismi e la crisi dei rifugiati, l’Europa
non può concentrarsi sulle commemorazioni. A
Bruxelles e nelle altre capitali, è dunque con grande
discrezione che si dovrà celebrare l’anniversario del
trattato di Maastricht firmato Il 7 febbraio 1992 nel
cuore di una bella città del sud dei Paesi-Bassi. Questi
Anno V numero 2
testo sarà il caposaldo più importante della storia
europea col quale fu creata l’Unione europea. All’epoca
era immensa l’ambizione. Il progetto estende i poteri del
Parlamento di Strasburgo, istituisce la cittadinanza
europea, enuncia il principio di trasparenza per tutte le
decisioni. A fianco del pilastro comunitario (le politiche
dette integrate, per le quali le decisioni sono prese dalle
istituzioni comunitarie, come l’agricoltura o ripatite fra
l’Unione e gli Stati come la salute pubblica) è instaurato
un secondo pilastro (la politica estera e la sicurezza
comune con il principio d’una cooperazione sistematica)
ed un terzo pilastro gettando le basi di una cooperazione
nel campo della giustizia, della polizia e
dell’immigrazione.
Il testo afferma soprattutto la vocazione e il carattere
politico de l’Unione e lancia (2002) la moneta unica
l’euro. In questo modo i creatori del trattato vogliono
definire un processo, di principio irreversibile, di messa
in comune della sovranità monetaria degli Stati, o per lo
meno di una parte di loro. Con l’euro l’Europa sino ad
allora astratta è avviata a divenire più concreta,
materializzata. J. Delors (allora presidente della
Commissione che volle fortemente l’euro, quale pegno
di stabilità monetaria e successo del mercato unico.
Regno Unito e Danimarca fruirono di alcune deroghe.
Gli altri accettarono di principio di compiere sforzi di
budget per poter aderire all’euro. Questi famosi “criteri
di Maastricht” guida della coordinazione delle politiche
macroeconomiche e di buon funzionamento della zona
euro sono a venticinque anni dopo il bersaglio di
numerose critiche. I criteri di stabilità e crescita (1996)
stipulano che il deficit pubblico di uno Stato non superi
il3% del suo prodotto interno lordo, impediscono un
eccessivo tasso di inflazione e di indebitamento. Quasi
subito non furono rigorosamente applicati. Il loro
carattere, giudicato puramente contabile, è contestato e,
anche se la crisi 2007/2008 ha dimostrato la loro
relativa pertinenza, sono via via divenuti elementi a
favore degli euroscettici ed eurofobi, ed anche questi
senza essere avversari del progetto europeo, criticano la
gestione burocratica, il suo ultraliberalismo, e la
debolezza degli obiettivi sociali. Obiettivi che avevano
sedotto numerosi elettori di sinistra nel 1990. Quello
che l’anziano ministro Hubert Védrine (v. Savoeur
d’Europe,2016) chiama “insurrezione elettorale” del
2005 (il no di Francia e Danimarca al progetto di trattato
costituzionale europeo, che in qualche modo ha
prolungato Maastricht, trova la sua origine nel trattato
originale. Anche se, dove si votò –Francia e Danimarca,
gli uomini politici dell’epoca avevano invitato a votare
si nel 1992 al referendum sul trattato di Maastricht,
molti elettori stimarono che la questione sociale spariva
dal progetto comunitario a vantaggio di norme
incompatibili con un modello alla francese. L’invito di
Delor per cui il sociale doveva restare nel progetto
europeo, ma continuando ad essere di competenza
nazionale. Gli euroscettici giudicavano ugualmente che
l’allargamento, previsto dal trattato (un Consiglio
europeo tenutosi a Copenhagen poco dopo la firma del
testo aveva affermato la vocazione dei paesi dell’Europa
centrale ed orientale ad aderire), avrebbe potuto
generare dei movimenti migratori incontrollati. Delors
stesso aveva messo in guardia a degli allargamenti
troppo grandi e rapidi (v. Philippe Herzog “l’Europe
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après l’Europe “-2002). Dopo Maastricht, ma prima dei
testi che ampliavano certe disposizioni del trattato
fondatore (Amsterdam 1997, Nizza 2001, Lisbona
2009), il presidente della Commissione prese comunque
partito per una Europa allargata e basata sul libero
scambio. Quello che, oggi è il bersaglio privilegiato dei
populisti di destra e di sinistra, non ha potuto arginare la
volontà di ritorno in forza agli Stati-nazione dalla fine
degli anni 1990. Questo movimento suona
apparentemente la campana a morto del federalismo
europeo e degli Stati uniti d’Europa, che solo una
minoranza difende ancora apertamente. Delors evocava,
lui stesso “una federazione di Stati nazione, ossimoro
intelligente che impiegava nel senso abbastanza
federale, ma nel quale ogni parola è importante, come
Stati e nazioni..” (v. Hubert Védrine- 2016). Un’altra
idea di Delors è restata d’attualità: quella d’un Unione
che funziona a ritmi diversi. Questo progetto a “cerchi
concentrici” questa oggi sembra un’uscita quando le
crisi dividono l’Unione in tutti i sensi, che il contesto
internazionale è teso di giorno in giorno e che, per
mancanza di rilancio, rischia l’implosione. La
prospettiva di una ridinamizzazione a partire dagli Stati
fondatori, eventualmente raggiunti da qualche altro,
sembra a molti come la sola realista. Non potendo
avanzare a 28 e un domani a 27 per l’uscita del Regno
Unito, l’Unione lavorerebbe per reti, per progetti,
appoggiati o meno dall’insieme dei suoi membri. L’opt
out, o derogabilità, a certe regole comuni son d’altronde
già in applicazione in diversi campi, e l?UE lavora in
realtà con dei livelli di integrazione differenti per i suoi
membri ( l’eurozona, lo spazio senza passaporto di
Schengen, la difesa Europea…).
Dal lato del
federalismo, si pensa tuttavia che le difficoltà attuali, e
in particolare la delitizzazione, vedi la rottura del
legame transatlantico che potrebbe provocare la
presidenza Trump, mostreranno la necessità di serio
balzo in avanti. I più ottimisti sottolineano d’altronde
che è sempre in occasione di importanti crisi che, passo
a passo, l’Europa si approfondisce e si allarga,
camminando verso quello che il politologo Dusan
Sidjanski (professore emerito a Ginevra, chiama “ la
ricerca di un federalismo inedito”. E’ evidente che gli
sconvolgimenti politici maggiori del XX secolo hanno
stimolato lo slancio europeo: la guerra fredda ha
trascinato il disegno della costruzione comunitaria 1950;
la caduta del muro di Berlino e l’implosione dell’URSS
hanno permesso di schematizzare l’unione politica
1990. Quanto a Maastricht spiega Jean-Louis
Quermonne (Système politique de l’Union européenne 1998), questo trattato non ha stabilito né uno Stato né un
governo europeo, ma ha legittimato l’esistenza di un
vero “système politique”. Reputate essere secondo la
definizione di Delors stesso, un “object politique non
Jean-Pierre Stroobants – da: Le Monde, sabato
04/02/2017 –
Anno V numero 2
I 12 stati firmatari del trattato Maastricht
Firma 7 febbraio 1992 entra in vigore nel
1993
Traduzione Giuseppe Frattini
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IL 23 APRILE SAN GIORGIO A MILANO
SI FESTEGGIA LA: PANERADA
Antica tradizione che ha radici agricole remote, nei
secoli reiterpretato e nel passare dei secoli e
l’avvicendarsi delle tradizioni locali e religioni. Presso i
romani la festività si chiamava: Parilia.
La Panerada alla Credenza: pan de mej e
panera!
LA PARILIA a ROMA
Festività romana Palilia o Parilia erano un'antichissima
festa pastorale della religione romana che si celebrava il
21 aprile in onore del numen Pale, a volte descritto
come semplice genio, a volte come divinità femminile.
Celebrata per purificare le greggi ed i pastori, la festa
dei Palilia, insieme alla precedente dei Fordicidia (15
aprile) e la successiva dei Robigalia (25 aprile), faceva
parte del trittico di cerimonie religiose agricole nate
ancor prima della fondazione della città di Roma,
avvenuta nel 753 a.C.[1], anche se per un'altra
narrazione[2] questa festività fu stabilità proprio per
festeggiare la nascita della città.
In età più recente, a partire dal 121 si iniziò a
festeggiare nella stessa data anche il giorno della
fondazione di Roma, ovvero la festività di Romaia.
Anno V numero 2
L'intera descrizione del cerimoniale la troviamo in
Ovidio.[3]
La festa aveva due forme rituali leggermente dissimili,
una urbana (che si svolgeva a Roma) ed una rurale.
Ovidio ci dà una descrizione di entrambe in sequenza,
cominciando dal rituale della festa in Roma (Fas. IV,
721-781). Nel rito urbano si eseguiva una lustrazione
sull'ara di Vesta colla partecipazione della vestale più
anziana che vi bruciava profumi e poi vi mescolava
cenere di vitello (sacrificato nelle precedenti
Fordicidia), sangue di cavallo (il cavallo di destra della
biga vincitrice della festa dell'equus October dell'anno
precedente) e steli di fave.
Nella versione rurale descritta di seguito il pastore
spruzzava d'acqua il gregge, scopava l'ovile e lo ornava
di fronde. Bruciava poi fronde d'olivo, zolfo, erbe
sabine e fronde di lauro stillante d'acqua con fiaccole.
Offriva poi latte, miglio e pizze di miglio a Pale.
Doveva quindi recitare quattro volte una preghiera (vv.
746-776) in cui si domandava venia a Pale per
l'infrazione di interdetti operata dal pastore stesso o dal
suo gregge e se ne chiedeva l'intervento per placare le
divinità (numi di boschi e fonti) offese per avere:
« violato luoghi sacri come alberi, erba di tombe, boschi
interdetti;
tagliato fronde di boschi sacri;
essersi rifugiato col gregge in templi per sfuggire il
maltempo;
aver turbato laghi e fonti cogli zoccoli degli animali.
Visto esseri divini (Fauno, Diana, ninfe ed ogni altro
nume dei luoghi selvaggi anche ignoto) obbligandolo
con ciò a fuggire. »
(Ovidio, Fasti, IV, 746-776.)
La preghiera doveva esser recitata rivolti ad Oriente. Poi
il pastore doveva lavarsi le mani, bere latte e sapa
(bevanda preparata dalla bollitura del vino) ed infine
saltare tre volte tra le stoppie incendiate. Ovidio stesso
continua esponendoci le molte interpretazioni che gli
antichi Romani davano del rituale. Per esempio il valore
dato ad acqua e fuoco come i due elementi opposti
indispensabili alla vita ed anche efficaci di per sé per la
purificazione. I vuoti steli delle fave bruciati
significherebbero l'annullamento delle colpe ottenuto
tramite il rito. Il valore religioso della festa è quindi di
una lustratio.
Properzio scrive anche lui delle
Parilia.[4] Il fatto che egli accenni alla relativa novità
dell'uso di bruciare sangue equino ha portato Dumezil a
ritenere che codesto sangue non possa essere quello
dell'equus October dell'anno precedente, contro
l'opinione della maggior parte degli studiosi.
A cura della Credenza
Note
^ Plutarco, Vita di Romolo, 12, 2.
^ Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane, I, 88, 3.
^ Ovidio, Fasti, IV, 721-782.
^ Properzio, Parilia, IV, 4.73-8.
Bibliografia
Plutarco, Vita di Romolo.
Ovidio, Fasti, IV.
Georges Dumezil, La religione romana arcaica trad. it.
Rizzoli, 1977, pp. 333–336.
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Anno V numero 2
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Anno V numero 2
GENTE PARTE IL :
XX CONCORSO DI POESIA E PROSA “……PRIMA CHE
VEGNA NÒTT”
Per informazioni Chiedere copia del Bando a:
ANTICA CREDENZA DI SANT’AMBROGIO
TEL 328 4412882 – 02 45487985
E.mail: [email protected]
INDICE DI QUESTO NUMERO:
- Editoriale -60 anni di Comunità Europea - G. Frattini
- Populismo di G. Ravasi e punti di vista - G. Fratini
- El Sur Carera: Palm a Milan: appunti - el Mal de Milza
- Sul Referendum in Turchia: Sultano si o no - AA.VV
- Radetzky March e il bordello Italia
-R. Bracalini
- Galateo a Tavola di Giulio Cesare Croce –G. Frattini
-Quaresima dì di magro,senso, scopo, pratiche- AA.VV.
- Simboli di Milano: lo Scudo
-P. Colussi
- Declassamento lingua italiana in Europa -G. Rossetti
- Storia della carne in scatola
- AA.VV. –G.Frattini
- Vento di Marzo
-G. Caprotti
- La pianta di fior
el Luis
- Maastricht, trattato a fondamento europeo – AA.VV.
- 23 aprle s. Giorgio: La Panerada e la Parilia – Credenza
Locandine: Concorsi, Conferenze:
-Conferenza ”Questione Lombarda – G. Valditara
- 21o Concorso : La Fotografico “Ponti arte 2017” nell’Alto Oltrepò Pavese
- 200 Concorso: Prima che vegna nòtt – Antica Credenza di Sant’Ambrogio
- Laboratorio ricerca e studio: “Quando un cuoco costava più di un cavallo”- G.C. Valli, AA.VV.
- Laboratorio di ricerca su Cacine a sud di Milano sulla via Francigena-G. Rossetti, P.L. Crola
- Programma 2016-2017 Corsi e conferenze Antica Credenza di Sant’Ambrogio
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