Frontiere migratorie

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Frontiere migratorie
Governance della mobilità e
trasformazioni della cittadinanza
a cura di
Carmelo Buscema
Alessandra Corrado
Mariafrancesca D’Agostino
Copyright © MMIX
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133 a/b
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–2789–9
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: ottobre 2009
Indice
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Presentazione
La sineddoche migratoria.
Braccia, non-persone, uomini e modello win-win
di Carmelo Buscema
Introduzione, 11 – Il migrante come sineddoche del corpo sociale
globale, 12 – Braccia e uomini ai tempi dell’Impero, 25 – Il modello win-win di governo delle nuove migrazioni, 35 – Riferimenti
bibliografici, 44
49
Migrazioni per lo sviluppo.
Modelli di cooperazione e politiche di co-sviluppo
di Alessandra Corrado
Introduzione, 49 – L’evoluzione del rapporto tra migrazioni e sviluppo, 51 – Il nuovo consenso intorno al nesso migrazionisviluppo, 55 – Il co-sviluppo come campo del politico, 57 – Considerazioni conclusive: ciò che sfugge…, 73 – Riferimenti
bibliografici, 74
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Indice
6
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Fuga dall’umanitario.
I rifugiati nella nuova governance
delle migrazioni forzate
di Mariafrancesca D’Agostino
Introduzione, 81 – Le strategie dell’asilo nel periodo della guerra
fredda, 82 – La nuova governance delle migrazioni forzate, 92 –
Dalla fuga alla diaspora, 97 – Conclusione, 104 – Riferimenti bibliografici, 105
La sineddoche migratoria.
Braccia, non-persone, uomini
e modello win-win
di Carmelo Buscema
Introduzione
Questo saggio nasce dalla rielaborazione dell’intervento da
noi presentato in occasione della conferenza scientifica internazionale organizzata nel giugno del 2009 dall’Università di Trento, ed intitolata “Scenari Migratori e Mutamento Sociale”.
Il capitolo è strutturato in tre paragrafi, tutti articolati attorno
ad un’ipotesi centrale consistente nel leggere (il processo di costruzione – gnoseologica e politica – de) il migrante come la figura paradigmatica della società contemporanea, sui piani inseparabili delle relazioni sia di potere che produttive. La prima
parte consiste di una essenziale esemplificazione del processo di
maturazione della consapevolezza scientifica o – molto più
spesso – delle forme di rappresentazione teorica dell’asserita
paradigmaticità del migrante, arricchita delle riflessioni sulla
trasformazione della cittadinanza. La seconda consta di due paragrafi in cui si prendono in esame i presupposti materiali –
rapporti di potere e di produzione – e le caratteristiche fondamentali del costituendo modello win-win di governo delle migrazioni, nell’ipotesi che esso rappresenti un’istanza di articolazione – attorno alla figura del migrante, investendo politicamente quindi il suo carattere paradigmatico – di un nuovo schema
dinamico di governo del corpo sociale e dei processi di valorizzazione capitalistica.
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12
Carmelo Buscema
Il migrante come sineddoche del corpo sociale globale
Uno degli obiettivi principali e più stimolanti che si sono dati gli organizzatori ed i partecipanti del consesso summenzionato è stato quello di qualificare la rilevanza che gli studi sulle
migrazioni, ed in particolare la riflessione sociologica sviluppata sui fenomeni ad esse correlati, hanno maturato per la teoria
sociale in generale e rispetto allo specifico sforzo di comprensione del mondo contemporaneo. Il mio contributo, a tal riguardo, assume quale campo temporale e logico privilegiato di attenzione, la fase del passaggio dal fordismo al post-fordismo:
ovvero dal modello di valorizzazione proprio della società industriale del secondo dopoguerra, al modello di valorizzazione
fondato attorno alla centralità delle attività cognitive, relazionali
e performative anche esterne agli ambiti spazio-temporali
dell’istituto del lavoro, che si è progressivamente affermato negli ultimi tre decenni. La considerazione di questo processo, dal
punto di vista che qui ci interessa assumere, non può che partire
dalla constatazione di un dato essenziale: l’importanza socioeconomica e politica della mobilità umana, e così pure
l’interesse scientifico e politico per i saperi maturati su di essa,
sono cresciuti enormemente nella fase considerata sino ad intersecare le dinamiche, ed il discorso sulle dinamiche, più rilevanti
del mondo contemporaneo – socio-economiche e politiche, epistemologiche e cognitive. L’indizio più lampante di ciò può essere rintracciato nel fatto che i temi relazionati alle migrazioni,
nel corso degli ultimi lustri, hanno attraversato profondamente
la doxa comune così come i dibattiti politici, la vulgata dei media così come la produzione discorsiva delle scienze sociali ed
economiche. Ciò è avvenuto non solo negli ambiti nazionali e
locali dei principali paesi di destinazione dei flussi, e poi di
quelli di partenza, ma anche dei sempre più numerosi organismi
politici, tecnici e scientifici recentemente articolati a livello sopranazionale.
All’interno di questo quadro, la nostra ipotesi di valutazione
della rilevanza teorica ed epistemologica degli studi sulla mobilità umana – ipotesi tesa ad esaltare la valenza strategica dello
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specifico oggetto sociale ed empirico in questione, ai fini della
comprensione delle dinamiche più determinanti nella contemporaneità –, è la seguente. In definitiva, l’analisi della storia degli
studi sulle migrazioni, ed il loro stato dell’arte, a ben vedere
danno contezza non solo dell’enorme aumento quantitativo delle analisi e delle articolazioni teoriche e disciplinari via via sviluppate sul tema, ma anche dello spostamento qualitativo dello
stesso fenomeno dal margine al centro nevralgico dei campi discorsivi e dei processi determinanti la realtà storica e sociale nel
quadro dello spazio globale tout court. Questo, a nostro avviso,
è il segno più patente – nonché una concausa – del carattere assolutamente paradigmatico che la figura sociale del migrante ha
lentamente guadagnato nell’attuale fase storica, in ragione delle
argomentazione che svilupperemo a seguire.
Quindi, l’ipotesi di lavoro che ispira questo saggio consiste
nel leggere le migrazioni come un campo sociale, politico e
gnoseologico che nel passaggio dal fordismo al post-fordismo,
transita letteralmente dallo status di realtà, ed espressioni discorsive di realtà, marginali e complementari rispetto alle dinamiche dominanti le vicende storiche, politiche e produttive del
mondo occidentale e della fase tardo-moderna del processo di
globalizzazione, a realtà relazionali nevralgiche della contemporaneità. Ciò significa riconoscere il fatto che esse oggi, sempre più
pienamente, attraversano e sono attraversate dai processi storici più
determinanti, non solo in senso semplicemente funzionale, ma soprattutto in quanto contesti relazionali e dinamici che, da una parte,
diventano sineddoche della società globale – ovvero, la parte del
corpo sociale tendenzialmente rappresentativa del tutto – e che,
dall’altra, diventano laboratori sociali e politici per la formazione
della nuova costituzione materiale del mondo contemporaneo, e la
costruzione dei nuovi modelli e schemi di articolazione dei rapporti sociali, di potere e produttivi. Per inciso sia detto che, campo privilegiato di verifica ed analisi ne sono l’impostazione tecnicoteorica del modello win-win – di cui tratteremo nell’ultimo paragrafo –, e le due gambe su cui esso poggia ed incede – gli schemi
di governance coinvolgenti la società civile transnazionale, e le
strategie di socializzazione della finanza.
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Carmelo Buscema
Da ciò deve derivare un riconoscimento dell’importanza
strategica che progressivamente gli studi sulle migrazioni hanno
assunto, e continuano ad assumere, per lo sviluppo delle scienze
sociali e la comprensione dei processi determinanti in atto in
molti campi della società globale.
È importante rimarcare, quindi, come tale ipotesi di lettura
qui assunta è non solo una proposta – necessariamente parziale
– di riordinamento ex post della catalogazione storica e logica
dei dati empirici e delle categorie teoriche che gli studi sulle
migrazioni ci offrono, ma anche l’indicazione di nuove possibili
linee di ricerca su tali temi, che promettono essere innovative e
proficue.
Nel 1950, T. H. Marshall pubblica un saggio di grande impatto nella comunità scientifica – intitolato significativamente
Citizenship and Social Class – in cui l’evoluzione storica delle
forme di inclusione sociale e politica, e quindi della condizione
socio-politica della cittadinanza statual-nazionale, viene descritta come un progresso allo stesso tempo estensivo, rispetto al
corpo sociale, ed intensivo, rispetto alla natura del rapporto
stesso d’inclusione. Rispetto alla logica individualista progressivamente affermatasi con l’estensione del sistema capitalistico
e dell’economia di mercato borghese, nel pensiero del sociologo
britannico, siffatta evoluzione della cittadinanza – gradualmente
comprensiva dei diritti civili, di quelli politici ed, infine, di
quelli sociali – è concepita e rappresentata alla stregua di un
corrispondente correttivo costituzionale e politico. Secondo
l’interpretazione di Mezzadra, il testo di Marshall è l’evidenza
di come in quel periodo storico «un nesso strettissimo si sia
prodotto tra cittadinanza sociale e lavoro, entro una vera e propria apologia della “cooperazione sociale”»1. In definitiva, potremmo dire che tra la dinamica reale di progressiva socializzazione del processo produttivo – tale da tendere al paradosso
1
S. Mezzadra, “Il progresso della cittadinanza. Appunti per una storia del pensiero
politico occidentale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale al 1968”. Testo disponibile presso il sito www.uniurb.it.
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post-marxiano del comunismo del capitale –, e le articolazioni
progressive delle forme giuridiche e biopolitiche moderne della
soggettività, che è l’individuo, l’evoluzione di una cittadinanza
via via arricchita delle guarentigie socio-economiche tipiche
dell’epoca fordista e dei sistemi pubblici di welfare del secondo
dopoguerra, ha rappresentato allo stesso tempo la sanzione istituzionale de, ed il modo di contenere, il nuovo rapporto storico
intrattenuto dal lavoro (sociale) con la creazione (sociale) della
ricchezza (materiale, sociale e politica). E quindi, forma e tecnologia politica precipua dell’inclusione ai tempi del capitalismo della grande industria e della classe sociale degli operaimassa.
A dispetto di questa rappresentazione ottimistica e celebrativa dell’evoluzione dell’inclusione politica nei paesi occidentali
nell’arco temporale dei due secoli a cui Marshall si riferisce,
tuttavia, negli anni ’70 del Novecento – esattamente nella fase
in cui quella teoria sembrava inverata ed avere assunto la sua
espressione storica più piena – gli studi sulle migrazioni internazionali cominciavano a dare contezza di una realtà sociale,
economica e politica che si sviluppava letteralmente a latere di
questo processo e contro la sua presunta ratio storico-materiale.
A mo’ di esemplificazione, valga qui considerare che, in
quegli anni, A. Sayad iniziava il suo lavoro etnografico e di
riflessione sulle migrazioni algerine in Francia, e M. Piore
conduceva le sue ricerche sui birds of passage negli Stati Uniti.
Quest’ultimo dedurrà dai suoi studi un funzionamento del
mercato del lavoro regolato da un principio strutturale di
dualità, in cui le stratificazioni tra salariati nazionali e stranieri coincidevano regolarmente con le stratificazioni di
mansioni ed occupazioni secondo criterio regressivo di tutele, condizioni e trattamento. Quindi, la cittadinanza nazionale che, spinta dalla dinamica del conflitto di classe, aveva acquisito caratteri sociali, tuttavia veniva a rappresentare non
solo uno strumento d’inclusione, ma de facto anche un principio di esclusione e stratificazione di una quota del corpo
sociale produttivo – in senso, ancora, estensivo ed intensivo.
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Carmelo Buscema
Più profonde e cariche di implicazioni politiche e scientifiche sono le riflessioni scaturite dalle mirabili ricerche di Sayad,
che si distinguono per l’attenta indagine della dimensione psicosociale dei migranti. Specificatamente, il loro apporto fondamentale – entro questo percorso argomentativo – sta nello svelare più esplicitamente la fallacia delle identità nazionali, o meglio, la loro inadeguatezza rispetto a soggetti la cui esistenza si
svolge simultaneamente in due o più ambiti sociali e territoriali
distinti. In particolare, l’autore algerino mette l’accento – in
modo illuminante – sul ruolo essenziale svolto dalla “politica”
nel determinare il punto di equilibrio di questa doppia radicalità, e l’intensità del suo intrinseco stridere: la condizione de facto della “doppia presenza”, e l’identità sincretica che ad essa si
accompagna, scivola continuamente nello stato alienante di
“doppia assenza”, caratterizzato da tratti emotivi frustrati e paralizzanti, per effetto di politiche di confine, tese a frammentare lo spazio geografico, e gli ambiti relazionali di produzione e riproduzione della vita sociale, attraverso l’interposizione di barriere.
Un ulteriore essenziale elemento che il lavoro di Sayad apporta agli studi delle migrazioni moderne in quanto campo conoscitivo privilegiato per la descrizione di quel resto sociale e
storico della cittadinanza, è racchiuso nel concetto di «individuazione del corpo». Con questa espressione, l’autore vuol significare la frustrante esperienza del migrante di riduzione della
propria esistenza alla mera fisicità delle braccia ed alla loro capacità di lavoro. In definitiva, la retorica progressiva sulla cittadinanza moderna e statual-nazionale, vista dal punto di vista dei
gruppi sociali studiati da Sayad, viene smentita non solo sul piano della capacità di quell’istituto nel contenimento del corpo
sociale reale – il movimento di evoluzione estensiva –, ma anche sul fronte dei diritti e delle quote di partecipazione alla ricchezza sociale cui essa dà accesso – il movimento di evoluzione
intensiva. Se per i lavoratori nazionali la cittadinanza qualificata
socialmente rappresentava l’involucro di tutela della “persona”2
2
“Persona” qui ha un senso giuridico e socio-politico. Cfr. con l’uso in negativo
che ne fa Dal Lago (1999), come discusso oltre.
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che corrispondeva a, od a cui corrispondevano, le braccia del
lavoro fordista, per i lavoratori esogeni, invece, l’ascrizione alla
condizione residuale di non-cittadini ne implicava la riduzione
virtualmente totale a braccia da valore.
Probabilmente, la più efficace esemplificazione teorica della
contraddizione che la letteratura sulle migrazioni dell’epoca
fordista ha insinuato nella retorica marshalliana e del processo
da egli descritto – e che caratterizza quegli studi in quanto indagini ed espressioni del complemento sociale residuo rispetto al
movimento storico della cittadinanza –, è riassunta ed espressa
nell’opera di economia storica di Y. Moulier-Boutang, Dalla
schiavitù al lavoro salariato. Questi dimostra come nel corso
dei Trenta Gloriosi anni del secondo dopoguerra, ovvero
«nell’Europa del “circolo virtuoso” fordista-keynesiano […] il
lavoro esogeno adempie la funzione fondamentale di garantire
il buon esito del “compromesso storico sostanziale” tra capitale
e lavoro nazionale, controbilanciando la cosiddetta rigidità dei
salari verso il basso con una “rigidità del lavoro verso il basso”»
(Collina e Petricioli, a cura di, 2000: 198). In altri termini, il lavoratore non cittadino, in quel contesto, è reso “costituzionalmente debole”: la dipendenza dal visto d’ingresso, dal permesso
di soggiorno, nonché lo stesso status giuridico di straniero, lo
imbrigliano entro un ordine salariale eccezionale, relegandolo
agli ultimi gradini della gerarchia sociale del lavoro. Il migrante
di quell’epoca è, dunque, questa figura al contempo essenziale e
marginale posta a fungere da cuscinetto per le tensioni tra le
forze sociali e produttive della società industriale e nazionalista
occidentale, suo malgrado garante dimesso del “compromesso
storico sostanziale” (Moulier-Boutang) che lo Stato socialdemocratico organizzava (anche) attorno al criterio biopolitico
di condizionamento dei diritti alla cittadinanza, e della cittadinanza alla nationem – ovvero al fatto biologico del nascere in
uno spazio ed in un tempo determinati politicamente.
Dunque, lo studio della realtà dei lavoratori stranieri del periodo tardo-fordista ci rimanda l’immagine di condizioni di esistenza e di inclusione sussistenti a margine od a complemento
della struttura della società industriale e social-democratica in
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Carmelo Buscema
cui si davano, e delle relative rappresentazioni istituzionali e
scientifiche dominanti celebrative del progresso dell’inclusione
sociale-nazionale.
Dalla collocazione entro questo margine inferiore, o complemento eccezionale della società dell’epoca, nell’attualità la
figura del migrante sembra esserne uscita per guadagnare il centro della scena politica, mediatica, scientifica, economica e sociale, almeno in due sensi: uno negativo, ed uno positivo, come
argomenteremo oltre. In modo emblematico, il migrante è oggi
assunto in misura crescente, con argomentazioni sempre più
convincenti e verificate empiricamente, e da posizioni politiche
e teoriche tra esse assai eterogenee, come la figura già paradigmatica della vicenda dell’intero corpo sociale contemporaneo
nella transizione al post-fordismo, sia rispetto ai processi di valorizzazione capitalistica, sia rispetto alla vicenda storica dei
modi e della sostanza dell’inclusione sociale e politica. Infatti, i
rapporti di produzione e di potere di cui partecipa o di cui è investito il migrante, e le forme e le dinamiche che questi assumono, rappresentano il modello secondo il quale tendono ad essere articolati i processi di riforma delle condizioni di lavoro e
di esistenza anche dei cittadini. Sempre di più, il soggetto della
mobilità – nel doppio senso di colui che agisce e subisce le condizioni storiche della mobilità della forza-lavoro – tende a divenire, su un piano operativo, discorsivo e gnoseologico globale,
l’attore sociale su cui investire strategicamente risorse politiche,
economiche e scientifiche, al fine di accelerare ed innovare i
processi di accumulazione capitalistica, ed estenderne ulteriormente l’articolazione sullo spazio globale e relazionale. Il migrante, sempre più concepito come il centro di reti sociali transnazionali, snodo di relazioni debordanti i criteri e gli istituti
dell’inclusione socio-economica e politica tradizionali, viene
assunto dalle costituende istanze di governance globali come
modello e vettore strategico per la riforma delle tecnologie di
presa politica del corpo sociale.
Significativamente, sul piano degli studi e della letteratura
sulle migrazioni, a questo processo è corrisposta – ed ad esso ha
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contribuito – la contestuale maturazione di due principali forme
di produzione scientifica e teorica. Da una parte, possiamo distinguere lo sviluppo dei filoni di indagine ed analisi delle reti
sociali e del transnazionalismo. Fatte salve le reciproche differenze e le intersezioni che caratterizzano gli studi ascrivibili a
tali paradigmi teorici, in questo quadro essi sono assimilabili
nella misura determinante in cui hanno contribuito alla costruzione di categorie e strumenti euristici delineanti un campo discorsivo ed un oggetto sociale contraddistinti dall’accento posto
sulle relazioni nella mobilità, e dalla mobilità nelle relazioni.
Rispetto ai filoni d’analisi strutturalisti e funzionalisti dell’epoca fordista, ed a ciò che abbiamo definito la studio della quota
marginale o complementare del corpo sociale, stante a latere
della cittadinanza nazionale e sociale, gli approcci delle reti e
del transnazionalismo hanno avuto il merito scientifico di sbalzare positivamente le forme sociali e le strutture relazionali della mobilità umana, lasciando sullo sfondo il formalismo giuridico e dei confini, da una parte, e le spiegazioni deterministiche e
meccaniche di certo materialismo, per indagare invece il continente liquido e proteiforme della mobilità sociale contemporanea.
Dall’altra parte, ci sembra rilevante distinguere un altrettanto
eterogeneo filone di indagine – o, più propriamente, una sensibilità analitica trasversale rispetto alle più canoniche scuole teoriche – che, invece, si è curato di studiare il migrante come soggetto liminale, abitante uno spazio di sospensione, la cui identità è resa ibrida, plurale, sfaccettata, complessa, dalla mobilità,
dal travagliato percorso di vita, e dalla molteplicità di condizioni e condizionamenti.
Al fine di approfondire questa linea di discorso, è interessante ripartire dal riferimento a Sayad, il cui lavoro di ricerca sulle
migrazioni si colloca, in effetti, nel lasso di passaggio tra il fordismo ed il post-fordismo, sia in senso temporale che logicoanalitico. Nella sua concezione esistenzialista del migrante,
questo spazio è piuttosto un “alibi”: ovvero, un “altrove” frustrato, un luogo altro sia rispetto alla terra ed alla società di partenza, che a quella di arrivo. Nel testo di Sayad, esso assume le
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Carmelo Buscema
forme ingannevoli od aberranti del lavoro, dell’atteggiamento
sinistroso, o del ricordo edulcorato e falsante dell’emigrante di
ritorno. Lo stato di sospensione del migrante di Sayad evoca,
dunque, uno spazio non fisico, ma mentale, esistenziale, individuabile in un anfratto dell’animo lacerato e imploso del soggetto, stante al limite tra l’incoscienza sovrastante e la consapevolezza che precede l’azione. Questo spazio è una tabula rasa identitaria dal potenziale rigeneratore, su cui deve agire – sembra indicare il sociologo algerino – l’avanguardia della nuova
scienza delle migrazioni per incentivare lo sviluppo di pratiche
sociali di emancipazione.
All’interno di questo percorso, è utile considerare anche il
lavoro di ricerca di Mezzadra, animato da una tensione dialettica che alloca lo spazio della sospensione nel concetto in chiaroscuro di limes politico, sociale, culturale. Esso consta di una direttrice bifronte: da una parte il confine, dall’altra la frontiera;
da una parte il campo di una lotta cruenta, in cui si consuma la
contrapposizione stridente tra offensori e difensori dei limiti,
dall’altra il terreno di scambi e contatti fertilissimi e fecondi tra
esistenze ibridantisi e foriere di progresso.
Infine, fondamentale ai nostri scopi, nel percorso di ricerca
delle condizioni di sospensione del migrante e del loro rapporto
con la vicenda dell’inclusione nel passaggio al post-fordismo, è
il concetto di non-persona di Dal Lago, richiamante l’immagine
di un limbo di virtuale inesistenza che si definisce declinando a
contrario il concetto giuridico di cittadinanza. Questo sembra
essere lo spazio del mero annichilimento, seppure caratterizzato
da un duplice gradiente: la condanna a morte della persona (ossia dell’essere umano nella sua dimensione di maschera sociale
e giuridica) attraverso l’ordine d’espulsione; oppure la pena
dell’a-legalità (comunque precaria), dell’invisibilità passiva e
sottomessa, che consta dell’atteggiamento istituzionale d’ignoranza deliberata della presenza degli immigrati in quelle nicchie
di lavoro nero e degradante cui li releghino gli interessi economici nazionali.
A dieci anni dalla pubblicazione di Non-persone, questo
concetto sembra aver guadagnato massima importanza, perti-
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21
nenza ed efficacia descrittiva proprio nei nostri giorni. Ci limitiamo qui a citare soltanto alcuni fatti rilevanti della cronaca italiana degli ultimi mesi: l’introduzione del reato di clandestinità,
e delle altre disposizioni vessatorie dei migranti contenute nella
Legge 94 del 2009 – il cosiddetto Pacchetto Sicurezza3 –; i paradossi determinati dalle misure draconiane di questo nella misura in cui subordina sistematicamente la vita e le soggettività al
lavoro ed alle sue condizioni più dure, come esemplifica
l’episodio della ragazza tailandese venuta in Italia per contrarre
matrimonio, e costretta invece ad essere assunta dai suoceri italiani come badante fittizia ed attendere l’esito della sanatoria in
corso per sperare di potersi sposare4; i sempre più frequenti respingimenti presso le acque territoriali italiane ed i dirottamenti
verso la Libia di barconi di profughi, in spregio delle disposizioni della Convenzione di Ginevra (di cui l’Italia è pur firmataria, mentre il paese di Gheddafi no), suscitando l’esplicita riprovazione dell’Alto Commissariato dell’ONU per i Rifugiati, e
le preoccupate richieste di chiarimento da parte della Commissione Europea5; l’avallo da parte del Governo italiano alle dichiarazioni di Gheddafi, in occasione della sua visita ufficiale in
giugno a Roma, circa l’impossibilità e l’inopportunità per
l’Europa di accogliere tutti i rifugiati africani che vi richiedono
asilo, i quali peraltro sarebbero indistinguibili dai migranti economici in quanto entrambi mossi dal sogno dello stile di vita
occidentale; l’allarmante aumento di atti di razzismo e violenza
ai danni di cittadini di origine rom e stranieri in Italia, denunciato dalla Commissione Libertà Pubblica del Parlamento europeo
e da altre istituzioni, e liquidato dal Governo come episodi non
preoccupanti, frutto di “allarmismo” e “strumentalizzazione”6.
In definitiva, in questa fase, si sono fatte più che mai esasperate
3
Cfr. l’analisi di S. Moccia su il Manifesto del 26 agosto 2009.
Vedi la Repubblica del 18 agosto 2009.
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Politica/?id=3.0.3718416369. Data di consultazione: 1° settembre 2009.
6
Cfr. http://blog.panorama.it/italia/2008/10/08/maroni-non-ce-emergenza-razzismo-solo-episodi-da-colpire/ e http://www.osservatoriorepressione.org/2009/01/ue-initalia-in-aumento-episodi-di.html Data consultazione: 1° settembre 2009.
4
5
22
Carmelo Buscema
ed esplicite la dinamica di letterale criminalizzazione per mezzo
legale, amministrativo, discorsivo e mediatico dei lavoratori
stranieri in Italia, nonché le pratiche di inferiorizzazione
dell’alterità sociale. Queste oggi paiono darsi secondo procedure nuove e funzionalità inedite che, da una parte, ci inducono a
ripensare il concetto e l’evoluzione storica della cittadinanza e
dell’inclusione sociale politica, e dall’altra giustificano e danno
forza all’ipotesi summenzionata: nell’attuale fase storica, il migrante e lo straniero non sono più quel margine residuale o
complementare della cittadinanza, ma il modello e la figura sociale attorno a cui si stanno ridefinendo la forma e la sostanza
dell’inclusione socio-politica dell’intero corpo sociale. Quelle
dinamiche e pratiche, infatti, tendono a produrre in maniera sistematica e diffusa la figura sociale e politica della nonpersona, sia sul piano materiale e dei rapporti di potere diffusi,
sia – ed questo l’elemento di più inquietante novità ed attualità
– in termini di condizioni, status e fattispecie formali e sostanziali inglobati entro un ventaglio delle condizioni d’inclusione
regressive che, passando per i vari gradienti possibili ed empiricamente riscontrabili, va dalla sudditanza sprovveduta di diritti
(il migrante o il rifugiato da respingere e dirottare in mare, o
“reo” di clandestinità), alla cittadinanza formalmente piena ma
vieppiù depotenziata sul piano intensivo.
Il movimento regressivo di quest’ultima polarità dello spettro è
imputabile a: il fenomeno di abbattimento del welfare state; le numerose riforme che – ai vari livelli politico-istituzionali – hanno
contribuito all’indebolimento ed alla precarizzazione strutturale del
potere contrattuale, delle garanzie e delle condizioni di entrata,
permanenza ed uscita dei soggetti nazionali (e non) dal mercato del
lavoro; la più recente dislocazione massiccia dei fondi statali dei
paesi più ricchi del mondo dal finanziamento dei servizi pubblici e
sociali, al finanziamento delle spese militari e delle missioni internazionali di occupazione territoriale, alle spese per le strutture carcerarie e per l’internamento di crescenti quote della popolazione
(Wacquant), ed infine, ai nostri giorni, alle spese di sostegno diretto al grande capitale finanziario ed industriale, per far fronte alla
violenta crisi finanziaria ed economica in atto.
La sineddoche migratoria
23
Per limitarci alla considerazione dell’emblematico caso europeo, le condizioni intermedie dell’inclusione sono rese variabili e proteiformi, nonché scavate profondamente nella loro dimensione sostanziale, dal dilagare di pratiche discorsive più o
meno esplicitamente razziste, sempre più frequenti casi di violenza sociale non sanzionati contro portatori (malcapitati) di alterità, iniziative amministrative pubbliche altamente discriminatorie come la recente campagna di schedatura dei cittadini di origine rom in Italia. Infine, un altro determinante impulso a questo processo, che contribuisce ad allargare le maglie interne del
ventaglio, è il progressivo allargamento ad est dei confini
dell’Unione europea. Esso ha avuto l’effetto di esasperare la
molteplicità delle forme costituzionali e degli equilibri sociopolitici concreti che sostanziano il contenitore astratto della comune cittadinanza europea, nonché di imprimere un particolare
senso al movimento storico della cittadinanza contrario a quello
marshalliano: la fagocitazione dell’alterità, e di condizioni sociali, politiche ed economiche relativamente deboli, non da innalzare ad un comune standard europeo di diritti civili, politici e
sociali acquisiti storicamente, ma di cui semmai incentivare la
funzione depotenziante per gli status reali della generalità della
popolazione continentale – come esemplificato dalle misure assimilabili alla proposta di direttiva Bolkestein.
In ultimo, alla definizione concreta della prima polarità dello
spettro – che abbiamo definito come condizione di sudditanza
sprovveduta di diritti – contribuisce la proliferazione delle pratiche di governance – informali ed istituzionali, ai livelli locali,
nazionali e transnazionali – che coinvolgono sempre più migranti e rifugiati a prescindere dai loro status legali, ed indipendentemente dal processo di acquisizione di diritti e della cittadinanza. Tale coinvolgimento è sempre più determinante rispetto
ai processi di innovazione nella gestione politica delle dinamiche sociali e dell’ordine pubblico, nella regolazione di alcuni
settori del mercato del lavoro, e finanche nella formazione e nel
consolidamento di vecchi e nuovi meccanismi di valorizzazione
capitalistica. È a questa ratio positiva – come vedremo oltre –
24
Carmelo Buscema
che sono informati gli schemi operativi del costituendo modello
win-win.
Ancora, determinante a questo proposito è la redazione di
accordi bi-nazionali o transnazionali e l’implementazioni di
sempre maggiori procedure per il concreto trattamento dei soggetti della mobilità, che producono l’effetto di estendere o prolungare la sovranità degli Stati europei (in questo caso) fuori dal
territorio continentale ed, a ben vedere, anche fuori dallo spazio
costituzionale e giuridico, di principi e limiti, dell’Europa. Emblematico e lampante è l’esempio dell’Accordo tra Italia e Libia, i cui termini e misure trovano applicazione ed efficacia su
una popolazione, un territorio ed uno spazio costituzionale a
geometria molto variabile: essa dota la sovranità europea di un
braccio politico esterno, e più capace ed agile nel perpetrare abusi. Da un altro angolo visuale, il risultato è l’esposizione diretta di quote di popolazione non europea all’esercizio ed agli
effetti del potere e delle sovranità degli Stati europei, in quanto
sudditi sprovveduti di diritti, ovvero – per utilizzare l’ossimoro
dalla forte valenza euristica proposto da E. Rigo (2009) – cittadini illegali. In Italia la recente sanzione del reato di ingresso
clandestino è fortemente significativa rispetto a questo processo
storico e politico di crescente e sistematica confusione tra i termini della cittadinanza e della discriminazione, dell’inclusione e
dell’esclusione, della partecipazione alla vita produttiva e riproduttiva di un contesto e della istituzionalizzazione delle relative
condizioni di inferiorizzazione, sfruttamento ed assoggettamento che agiscono sul corpo sociale dai confini elastici e secondo
criterio post-razziale. L’importanza storica e politica di tale
sanzione, come sottolinea E. Rigo7, è evidente se riflettiamo sul
fatto che essa sconvolge il principio già illuministico del nullum
crimen sine iniuria, nella misura in cui criminalizza situazioni
in sé non lesive od offensive di altrui diritti, bensì condizioni
positive già maturate de facto di inclusione e partecipazione
produttiva, riproduttiva, sociale e culturale.
7
“Eurovisioni”, inserto de il Manifesto del 3 giugno 2009.
La sineddoche migratoria
25
L’Italia rappresenta uno dei casi più emblematici all’interno
di questo processo di regressione storica della cittadinanza, e di
sua trasfigurazione in un contenitore astratto e labile di condizioni stratificate e caleidoscopiche istituenti – come visto – non
solo di attributi di garanzie, ma anche di annichilimento. Non
sarà il caso – come ha suggerito di recente Dal Lago8 – di cominciare a correlare il fenomeno di esacerbazione di queste espressioni istituzionali e sociali diffuse di razzismo e discriminazione, con i dati macroeconomici che indicano il nostro paese
come avanguardia tra quelli dell’OCSE, negli ultimi lustri, anche nella caduta del potere d’acquisto dei redditi da salario e
nell’allargamento della forbice tra ricchi e poveri?
Nella parte che segue di questo saggio illustreremo le caratteristiche salienti di quello che consideriamo il costituendo paradigma di governo delle migrazione e del corpo sociale globale, che va sotto il nome di win-win model. Esso rappresenta
l’altra faccia del fenomeno su cui ci siamo soffermati sino ad
ora, ovvero la sua pars construens o positiva di nuovi assetti di
potere e produttivi incentrati sulla asserita paradigmaticità del
migrante.
Braccia e uomini ai tempi dell’Impero
Nel testo intitolato Verso un ordine imperiale delle migrazioni, Vitale riflette criticamente sulle implicazioni ed il senso
del processo di veridizione – foucauldianamente inteso – che
negli ultimi anni le grandi istituzioni sovranazionali stanno implementando sul fenomeno generico della mobilità umana.
L’autrice, in particolare, allude alla progressiva formazione di
un pensiero imperiale sulle migrazioni contemporanee – divenute a global policy issue d’importanza strategica –, dalla valenza complementare o surrogante rispetto al moderno pensiero
di stato teorizzato da Sayad. Da più parti, gli strumenti di go8
Ibidem.
26
Carmelo Buscema
verno statual-nazionali sono ormai ritenuti non più sufficienti
od adeguati rispetto alle nuove esigenze e condizioni storiche di
regolazione del fenomeno in questione (ILO 2004, Guiraudon e
Joppke 2001, Cornelius et Al. 2004). Le argomentazioni espresse nell’articolo fanno leva sull’ipotesi che
tutta la produzione discorsiva delle organizzazioni internazionali sulla
migrazione abbia, al fondo, una precisa preoccupazione: il controllo
della riproduzione del proletariato mondiale. Si tratta di riannodare, a
questo livello, il nesso sussistenza-lavoro salariato per costringere i
nuovi bisogni e l’accesso ai consumi dentro la forma-salario9.
Secondo Vitale, infatti, la mobilità viene fatta oggetto di insistenti giochi di verità in quanto è interpretata come «il terreno
strategico di costituzione di nuove figure del dominio»10. Lo
scopo è appunto quello di stringere e costringere, a livello globale, la massima compenetrazione possibile tra esistenza umana
e lavoro salariato, ovvero tra i tempi e gli spazi di vita delle persone ed i tempi e gli spazi della valorizzazione capitalistica.
La rilevanza di questa prospettiva – rimasta relativamente
inesplorata negli studi sulla mobilità umana e sulle trasformazioni del sistema produttivo contemporaneo – deve essere pienamente apprezzata all’interno dello spazio semantico ed epistemologico del testo in cui l’articolo è inserito. Il volume collettaneo che lo contiene – intitolato Le migrazioni tra ordine
imperiale e soggettività – propone, infatti, la lettura incrociata
delle due dimensioni politiche della mobilità umana, che –
d’accordo ad un approccio foucauldiano – si implicano reciprocamente, e non possono essere analizzate che in maniera interdipendente. L’una consiste delle istanze di governo e dominio
che, su un piano sempre più transnazionale, si esercitano sui
migranti ed i loro gruppi sociali. Tali istanze assumono sempre
più la forma di strategie di governance miranti ad articolare e
finalizzare le pratiche, le risorse e le iniziative dei migranti ri-
9
Vitale (2005: 25).
Vitale (2005: 16).
10
La sineddoche migratoria
27
spetto alla causa dello sviluppo economico, locale e globale11.
L’altra dimensione considerata nel testo in questione consta, invece, delle soggettività che i migranti ed i loro gruppi sociali
sono capaci di maturare ed esprimere all’interno delle reti, delle
condizioni e dei condizionamenti entro cui agiscono e si muovono, appropriandosi di quelle articolazioni, o creandone di
nuove, per finalizzarle secondo le loro proprie significazioni.
Il senso e, quindi, l’effetto precipuo di tale concezione
dell’analisi di studio è quello di riuscire a cogliere le due dimensioni del fenomeno nella loro concreta funzione di dinamiche che si incalzano e sviluppano nel rapporto di stretta corrispondenza ed antagonismo. I termini con cui descriviamo tale
dinamica – antagonismo e corrispondenza – costituiscono solo
un apparente ossimoro: assieme, essi rappresentano un procedere delle relazioni sociali e di potere in cui non c’è spazio né per
la dialettica storicista, né per la identità tra le parti o nelle parti.
Infatti, sul piano delle forze materiali e su quello epistemologico, le soggettività contemporanee – sempre prese nel reticolo
relazionale del potere – attraverso il continuo ribattersi, colpo su
colpo, delle strategie e delle tattiche, si corrispondono e coincidono (incidono insieme) nel processo di trasfigurazione dei
rapporti di potere, sociali e produttivi. Le identità che il gioco
delle relazioni di potere moderne alimentavano – in quanto
strumento adeguato ad esse, e loro risultato storico –, oggi si
sciolgono nell’antagonismo delle soggettività mobili, dinamiche
rispetto allo spazio, alle forme ed ai mezzi, sempre prese nel
corpo a corpo di cui sempre più consiste il potere contemporaneo ed il suo processo.
Dunque, tale rapporto – nel suo effettivo dispiegarsi – è carico di ambiguità: secondo l’approccio foucauldiano, le istanze di
dominio tendono a creare attitudini, reazioni, soggettività addirittura determinate, al contempo che i processi di soggettivazione rappresentano la linfa di cui si nutre l’esercizio dei poteri a
venire.
11
È la prospettiva del cosiddetto Migration-Development Nexus: vedi IOM (2005) e
Nyberg-Sørensen et Al. (2002).
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