Gli occhi di Danilo Il coraggio di "vivere"

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TEATRO
Gli occhi di Danilo
Il coraggio di "vivere"
Domenica 27 Aprile 2014 - 16:28
Articolo letto 885 volte
di Roberta Fuschi
In scena la prima dello spettacolo della compagnia Nèon Teatro con la regia di
Monica Felloni e la direzione artistica di Piero Ristagno. L'opera è tratta dal lavoro di
Danilo Ferrari, affetto dalla nascita da tetraparesi spastico-distonica.
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CATANIA. “Il coraggio è una cosa” debutta al Piccolo Teatro. La compagnia Nèon teatro
omaggia il poeta Roberto Roversi (il testo è liberamente tratto da “L’Italia sepolta sotto la
neve”) e mette in scena una pièce che celebra la vita. Il palcoscenico diventa così l’occasione per
sfidare lo sguardo degli altri, superare le proprie paure e sperimentare linguaggi nuovi non
necessariamente legati alla parola. Attori normodotati e disabili vivono insieme il palcoscenico con
tempi ora diversi ora uguali, gli spettatori diventano protagonisti attraverso un’empatia costruita
sapientemente e coronata dagli scatti rubati e portati in scena in un gioco di rimandi che sta alla
base della paura/risorsa che è il rapporto con l’altro e con il mondo esterno. "Mi verrebbe da dire
che senza un atto di coraggio non cominceremmo neanche a vivere, affacciarsi al mondo fa paura:
ce ne vuole di coraggio a convincerci a percorrere l’ignoto, da bambini tutto è sconosciuto e ogni
nuova scoperta è un rischio, poi crescendo ho avuto paura di addormentarmi perché pensavo che
non avrei avuto il coraggio di svegliarmi, che i miei occhi non si sarebbero più aperti; mi
addormentavo sempre accompagnato dalla paura, ma dovevo trovare il coraggio di farlo. Poi,
quando ho capito che mi sarei risvegliato, non ho avuto più questa paura, in compenso ho
cominciato ad avere paura della gente, non avevo il coraggio di affrontare i loro sguardi
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Gli occhi di Danilo Il coraggio di "vivere" - LiveSicilia Catania
indagatori, ho dovuto trovare la forza, il coraggio, di guardarli fissi negli occhi".
Sono pensieri di Danilo Ferrari, affetto dalla nascita da tetraparesi spastico-distonica (con
assenza di linguaggio e impossibilità di muovere le mani), recitati dalla voce fuori campo della
regista Monica Felloni. Parole che diventano sguardi d’intesa tra gli attori, abbracci, cenni e
movimenti e che racchiudono la poetica di Nèon. In scena le barriere si annullano e tutto diventa
possibile. Danilo, attraverso l’ausilio degli altri attori, si regge sulle sue gambe. O sdraiato a terra
li segue con gli occhi mentre gli scivolano intorno formando una catena che si scompone e
ricompone in un unico corpo. Un’acrobata in scena attorciglia il suo corpo attorno a una fune
disegnando movimenti nuovi nell’aria. E’ un ritorno all’infanzia, quella celebrata dai versi di
Roversi: gli attori diventano “usignoli con le penne calde” grazie all’incontro con l’altro, certo, ma
dopo un lungo girovagare solitario che passa da un tortuoso percorso di conoscenza individuale.
E’ lì, in quella terra di nessuno, che il rapporto con l’esterno e con la norma diventa una dura
battaglia. Un enorme telo di cellophane avvolge due attori sulla scena e c’è chi dipinge
dall’esterno i loro volti con pennellate decise, tratteggiando un cumulo di aspettative e pretese,
cucendo loro addosso una rigidità che non esiste.
Gli attori scalciano, non si fanno imbrigliare: cercheranno da soli la strada da seguire per
definire loro stessi e il modo in cui stare al mondo. Soprattutto supereranno i loro limiti. In una
parola si apriranno alla vita e alle numerosissime possibilità che questa offre. Un’idea che si
traduce con una presenza intensa dei corpi sulla scena, che si muovono liberamente, anche
l’imperfezione del movimento diventa armonica in un contesto dove è centrale l’interazione
continua con l’altro, la relazione. Un’ora di balli sfrenati, di dialoghi ironici e suggestioni poetiche
nate dal lavoro di confronto portato avanti dal drammaturgo Piero Ristagno che cuce insieme le
sue poesie, i versi di Roversi, i pensieri di Danilo e i testi di due attori della compagnia: Giuseppe
Calcagno e Stefania Licciardello. Il risultato è un successo suggellato dagli applausi scroscianti del
pubblico in sala che cattura e assapora gli ultimi secondi della pièce: Maria Stella Accolla, che nella
vita di tutti giorni traduce in parole gli sguardi di Danilo, lo stringe in un abbraccio mentre un velo
li avvolge e li fonde. Un’immagine che permette di sentire in sala quel calore femminile celebrato
nei versi di Danilo e testimonia la tenerezza e il valore di un incontro che cambia la vita. “Lo
sguardo indagatore degli altri” non esiste più. Resta il coraggio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Ultima modifica: 27 Aprile ore 17:26
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"Ulisse , chi e ra costui?" Al te atro Libe ro
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