Le lettere di Bobbio

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LE LETTERE DI BOBBIO
Walter Magnoni
Le mie considerazioni circa le venticinque lettere inedite, pubblicata da
Danilo Zolo, vorrebbero semplicemente evidenziare come nel tempo
l'incipit e il saluto finale hanno subito delle modifiche. Infatti si passa
dall'informale uso del cognome (Caro Zolo), a quello più confidenziale
del nome (Caro Danilo); questo avviene solo nella lettere degli ultimi
anni (1997-1999). Allo stesso modo anche il finale subisce modifiche,
lasciando intravedere una progressiva confidenza: dal "cordialmente" si
giunge all'"affettuosamente", lo stesso dicasi per la firma, dall'uso del
nome e cognome al solo nome, come si addice tra amici.
Sono considerazioni marginali, ma svelano un rapporto che col tempo si
è approfondito e lasciano intravedere il lato affettivo di Bobbio.
Una lettura veloce dei suoi testi potrebbe infatti portare a credere che il
filosofo torinese sia stato un freddo razionalista, difensore delle idee
chiare e distinte. Invece, sia la testimonianza di chi l'ha conosciuto che
alcune sue pagine autobiografiche, rivelano il suo tratto di uomo
passionale. "La sua anima irascibile era fortissima e, nell'ombra, sempre
in agguato, a spese dell'anima razionale" (G. Zagrebelsky, "il rifiuto
dell'ingiustizia come fondamento minimo", in Lezioni Bobbio. Sette
interventi su etica e politica, Einaudi, Torino 2006, 81-109: 108), con queste
parole Zagrebelsky sottolinea un aspetto di Bobbio che non emerge dai
libri e che lo stesso filosofo ammette nel famoso scritto autobiografico
intitolato "a me stesso". "Il mio ritratto potrebbe cominciare proprio
dalla fragilità e dalla vulnerabilità dei miei nervi" (N. Bobbio, De senectute a
altri scritti autobiografici, Einaudi, Torino 2006, 4).
Sono considerazioni marginali, come quella che, un uomo che per tutta la
vita si è nutrito di conversazioni epistolari, decisamente preferite a quelle
telefoniche, citi uno scritto di Guido Ceronetti, in cui, quest'ultimo, dice:
"l'uomo che pensa davvero scrive lettere agli amici" (G. Ceronetti, "La
nostra libertà di sgrammaticare", in La Stampa 2 ottobre 1995, cit. in De
senectute, 4). Bobbio, nelle sue lettere, e quelle a Zolo ne sono un
bell'esempio, lascia trasparire tutta la sua umanità, fatta anche di umiltà e
sana curiosità, come nella lettera del 4 aprile 1986, in cui chiede
suggerimenti bibliografici su dei giuristi di cui Zolo si è occupato. In
un'epoca dove assistiamo all'aumento rapporti formali ed esclusivamente
funzionali, col rischio di venirne schiacciati, il ricordo degli amici che
Bobbio traccia (si pensi in particolare a quello che fu per lui Leone
Ginzburg e al suo "culto dell'amicizia" come viene tracciato nel bel testo
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maestri e compagni) e la sua stessa vita piena di relazioni profonde,
rendono Bobbio un maestro da ascoltare e imitare anche in questo.
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