ZYGMUNT BAUMAN A cura di Luigina CONCORDIA A.A. 2011-2012 Cenni biografici Zygmunt Bauman (Poznań, 19 novembre 1925) è un sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche. Possiede anche la cittadinanza inglese. Nato nel 1925 da genitori ebrei non praticanti, a Poznań, in Polonia, Bauman fuggì nella zona di occupazione sovietica dopo che la Polonia fu invasa dalle truppe tedesche nel 1939 all'inizio della seconda guerra mondiale, e successivamente si mise al servizio di una unità militare sovietica, per la precisione il KBW, con lo scopo di combattere l’anticomunismo. Dopo la guerra, iniziò a studiare sociologia all’Università di Varsavia, dove rimase almeno fino al 1968. Collaborò con diverse riviste specializzate, tra cui “Sociologia na co dzien” (“sociologia di tutti i giorni”; 1964), che raggiungeva un discreto pubblico. Inizialmente fu fedele al Marxismo ma successivamente si avvicinò al pensiero di Antonio Gramsci e Georg Simmel. Nel marzo 1968, una epurazione antisemita in Polonia spinse molti degli ebrei polacchi superstiti a cercare rifugio all’estero: tra questi, molti intellettuali che avevano perso la grazia del governo comunista. Il ministro populista Mieczyslaw Moczar scatenò una dura campagna antisemita, culminata in una purga, che non consentì a Bauman di candidarsi a leader del Partito polacco dei Lavoratori Uniti e fece perdere al contempo la sua cattedra all’Università di Varsavia. Colpito dall’epurazione emigrò in Israele dove fu per qualche tempo professore di Sociologia all'Università di Tel Aviv; successivamente, in Australia, accettò una cattedra sempre di sociologia all'Università di Leeds (dal 1971 al 1990), dove insegnò sino all’età della pensione e dove a tratti prestò anche servizio come Capo del Dipartimento. Da quel momento in poi, ha quasi sempre scritto in lingua inglese e la sua produzione intellettuale si fece ricchissima e si tradusse in quella mole di libri e articoli che hanno reso noto il suo nome bel oltre i ristretti confini della comunità accademica. Durante un temporaneo soggiorno in Gran Bretagna, presso la “London School of Economics”, pubblicò uno studio sul socialismo inglese, sotto la 1 supervisione di Robert McKenzie (1959). Questa fu la sua prima opera maggiore e venne tradotta in inglese nel 1972. Dal 1990 circa, il filosofo polacco esercitò una considerevole influenza sul movimento Anti-Globalizzazione e si guadagnò una certa fama grazie ai suoi studi riguardanti la connessione tra la cultura della modernità e il totalitarismo, in particolar modo sul nazionalsocialismo e l’olocausto. Bauman è attualmente sposato con la scrittrice Janina Bauman e ha tre figli, di cui una è la pittrice Lydia Bauman. Egli ha focalizzato le sue ricerche sui temi della stratificazione sociale e del movimento dei lavoratori, prima di elevarsi ad ambiti più generali come la natura della modernità. Voleva dedicarsi alla Fisica ma finì per cambiare programma, accorgendosi di quanto c’era da ricostruire nella sua terra distrutta e dunque scelse il campo della Sociologia: “per dare il mio piccolo contributo a cambiare il mondo” (Z.B.) L’interesse e il richiamo ai temi scientifici però è sempre rimasto, come mostra la metafora fisica che descrive il mondo attuale come un “mondo liquido”. I liquidi non hanno forma propria ma la acquisiscono dal contenitore: noi oggi viviamo come dei liquidi, senza valori, modelli di riferimento e strutture precise; è un mondo pieno di solitudine dove anche se in continua relazione con i suoi simili, oggi l’uomo è sempre più solo, dice Bauman, “solo… nella folla.” Acuto e impegnato analista della società, al centro del suo lavoro vi è sempre la dimensione etica e la dignità della persona umana. In particolar modo, egli concentra la sua riflessione sul tema della “globalizzazione”: scrive di un mondo divenuto oramai irrimediabilmente “liquido” e cioè basato su una vita sempre più frenetica e costretta ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusa. La perdita di senso del tempo -tipica della condizione umana nella ‘modernità liquida’- è uno degli aspetti fondamentali dello scenario nel quale Bauman vede persone e gruppi sociali muoversi in un dinamismo frenetico che travolge ogni dimensione della vita. Rifiuta il termine “post moderno” a favore di modernità liquida, proprio per indicare la labilità di qualsiasi costruzione in questa epoca. Alla prima fase della modernità, vale a dire quella solida, apparteneva il tentativo di circoscrivere la posizione dell’individuo all’interno di leggi definenti la razionalità umana e inglobarle conseguentemente nel corpo dello Stato. 2 Attualmente si assiste ad una progressiva crescita del processo di individualizzazione, punto cardine della fase liquida, che si pone in un rapporto dialettico con le strutture e la visione del mondo caratteristiche della fase solida: individualizzazione si ricollega al processo di globalizzazione. Il senso di insoddisfazione e di incertezza che consegue ad uno scenario di vita consumistico e competitivo, dove per occupare la scena bisogna cacciare via gli altri, ha indotto Bauman a ribadire in seguito che ‘siamo condannati a vivere in un’incertezza permanente’, che è causa ed effetto di precarietà emozionale e instabilità relazionale e valoriale. Se, però, la modernità è “liquida”, esiste comunque, per il filosofo, qualcosa che rimane stabile, vale a dire il socialismo, che non sarebbe un modello alternativo di società, bensì “un coltello affilato premuto contro le eclatanti ingiustizie della società, una voce della coscienza finalizzata a indebolire la presunzione e l’autoadorazione dei dominanti”, come Bauman dirà in un’intervista di Serena Zoli per il Corriere della Sera del 13 ottobre 2002. A proposito di “globalizzazione”, in particolare nell’opera “Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone” (2001), il filosofo muove da un’indagine del legame tra lo spazio-tempo e le organizzazioni sociali, per giungere all’analisi degli effetti che la compressione spazio-temporale produce sulla società contemporanea e sulle persone. Non esiste più lo spazio, bensì il luogo, che è lo spazio capace di dare significato all’esperienza, definendo in particolare ambiti e dimensioni locali; quando lo spazio cessa di essere significante cessa conseguentemente di essere luogo; quando lo spazio cessa conseguentemente di essere luogo. Come dice Bauman, la globalizzazione mina alla base la coesione sociale su scala locale, portando alla creazione di una “élite della mobilità” in grado di annullare lo spazio, di dare significati allo spazio, e capaci soprattutto di rendere lo spazio significante per sé stessi. Il binomio globalizzazione\localizzazione è l’idea base, la categoria più utile a rintracciare gli effetti significativi che il fenomeno produce nella vita delle persone, condizionandone le scelte e modificando radicalmente i valori di riferimento. L’essere globali o il dover essere globali si contrappone all’essere locali. Nel processo in atto infatti se l’economia, la finanza, il commercio e l’informazione per un verso uniformano il globo, per un altro verso promuovono la differenzazione delle condizioni di vita di intere popolazioni. La globalizzazione nel momento in cui unisce, divide, localizza ed annulla le possibilità di azione di larghi strati sociali. L'esclusione sociale elaborata da Bauman non si basa più sull'estraneità al sistema produttivo o sul non poter comprare l'essenziale, ma sul non poter comprare per sentirsi parte della modernità. Secondo Bauman il povero, nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente 3 frustrato se non riesce a sentirsi come gli altri. La critica alla mercificazione delle esistenze e all'omologazione planetaria si fa spietata soprattutto in Vite di scarto, Dentro la globalizzazione e Homo consumens, insieme ad altri saggi come Voglia di comunità, La società sotto assedio, Amore liquido, Vita liquida e Paura liquida. Secondo Bauman, l'“omogeneizzarsi” indica, relativamente ai rapporti tra i soggetti, un processo affine all'omologazione, all'assorbimento passivo dovuto ad usi e consuetudini, a modelli culturali e di condotta prevalenti in un dato contesto sociale. Nella modernità la morale è la regolazione dell’agire sociale attraverso la proposta di valori o leggi universali a cui nessun uomo ragionevole può sottrarsi, infatti la razionalità è caratteristica della modernità. Non si può invece parlare della morale post-moderna, perché la fine delle "grandi narrazioni" del Novecento, cioè le ideologie, ha reso impossibile la pretesa di verità assolute, e quindi ci possono essere tante morali. Bauman propone un tipo di morale: la morale nasce come il consegnarsi totalmente dell’io al tu. È un fatto assolutamente e totalmente individuale e libero. Poiché non può esistere un terzo che mi dice se la mia azione sia morale oppure no, non c’è più società, la quale necessita sempre di almeno tre persone. Bauman specifica che questa libertà di donarsi è sempre dentro a certi vincoli e costruzioni dati da una struttura che è, appunto, la società. L’impulso ad essere per l’altro, a donarsi all’altro, indipendentemente da come l’altro si atteggia nei suoi confronti non è razionale; per questo per Bauman la morale (originata da tale impulso) è del tutto irrazionale. L’origine della morale è sempre un atto individuale, implica necessariamente un io, mai un noi. Se non c’è l’io l’atto morale non c’è. La morale quindi è un atto del tutto individuale, ma crea la società. La società nasce da una scelta etica individuale, l’atto etico individuale va fatto da me e non da altri, e però crea un vincolo: viviamo in società, siamo in società, solo in virtù del nostro essere morali. Per Bauman solitamente si incontra l’altro "non come persona": usa il termine “persona” nel senso in cui viene usato dall’interazionismo simbolico, per cui il concetto di persona è inteso nel senso di una maschera che ricopre un ruolo. L’identità di ogni individuo è la somma di tutti i ruoli che copre, per questo si parla solo di persone, cioè di attori che ricoprono ruoli. L’atto morale ci permette di incontrare l’altro non come persona/maschera, ma come volto, cioè nella sua vera identità e non nel ruolo. Con l’atto morale mi consegno a una debolezza assoluta (l’atto morale è l’antitesi del potere o della sua logica, che è forza) perché riconosco all’altro la possibilità di comandarmi, accetto di consegnarmi a lui. Il paradosso della morale per Bauman è che da un lato crea disordine, dall'altro è necessario come atto fondante della società poiché senza l'impulso di aprirsi all'altro non ci sarebbero le relazioni sociali. Tuttavia, essendo 4 l'impulso della morale irrazionale e libero, è in antitesi all'ordine sociale, e pertanto la morale rischia di non avere molto spazio in una società sempre più complessa che ha bisogno di regole sempre più sofisticate. Bauman non risolve questo paradosso del ruolo della morale, pur essendo cruciale nella sua visione. Tutti questi nodi sono legati da un sottile filo rosso che individuerei nell’interazione tra il bisogno di ordine e la libertà dell’essere umano. Se da un lato c’è la razionalità, dall’altro c’è l’imprevedibilità, e l’interazione tra i due estremi scandisce la storia umana. Inutile dire da che parte "stia" Bauman: “La razionalità, -conclude Bauman,- è letale per l’umanità; sia dal punto di vista materiale, sia sotto il profilo morale (...) essere "umani", per Bauman, vuol dire essere irrazionali e badare a ciò che non è utilitaristico, nè gestibile, nè prevedibile. Ma Bauman forse si rivolge non ad un pubblico ristretto bensì aperto e vasto (1), auspicando che gli uomini e le donne del nostro tempo riescano a realizzare nei diversi momenti della loro esistenza una sintesi virtuosa tra individuo e persona, com’egli li intende, senza farsi schiacciare, anzi senza annullarsi, nello sciame inquieto dei consumatori. Lo studioso polacco sa che non è facile oggi assumere atteggiamenti e comportamenti ‘appropriati’, tra l’etica del lavoro e l’estetica del consumo. Lo si avverte chiaramente in alcune opere degli ultimi anni, come Homo consumens, nel cui sottotitolo troviamo l’efficace metafora dello sciame inquieto. Ancora meglio in L’arte della vita (2009) dove delinea la scommessa ardita –per gli uomini contemporanei– di dare prova di inventiva, creatività, riflessione e impegno personale tenace (per decidere e riuscire ad agire di conseguenza) e quindi anche di capacità di sofferenza, dolore e ricerca faticosa, continua e profonda. Negli ultimi scritti Bauman fa appello al soggetto-uomo/donna del nostro tempo visto nella intersezione individuo-persona, ovviamente senza maschera. Per quanto riguarda “La Società dell’incertezza”, Bauman esordisce: “il disagio della post modernità nasce da un genere di libertà nella ricerca del piacere che assegna uno spazio troppo limitato alla sicurezza individuale”, nell’introduzione al testo con il palese intento si farci comprendere sin dall’inizio che il sentimento principale che affligge l’uomo post moderno è un sentimento di disagio, che ha origine da diversi fattori, primo dei quali è dato dal problema dell’identità. Nel post moderno infatti, a differenza dell’epoca moderna, in cui la questione principale era quella di costruire un’identità e stabilizzarla, si rende necessario evitare qualsiasi tipo di fissazione: non a caso la parola d’ordine circa la questione dell’identità è “riciclare’’. Nello specifico, l’Autore utilizza figure come quella del PELLEGRINO, del TURISTA e del VAGABONDO. 5 Quella del pellegrino, figura simbolo dell’età moderna, è il ritratto dell’uomo che sta costruendo la sua vita, il suo futuro, la sua identità, conscio e sicuro che domani ci sarà un futuro. Tuttavia ora non c’è più posto per il pellegrino: troppo flessibile è divenuta la realtà perché si possa costruire un qualcosa di stabile e duraturo nel tempo; ed ecco apparire altre figure di rimpiazzo come quella del vagabondo. Nel post moderno questa figura è rivalutata proprio grazie alla sua mancanza di radici e di stabilità, esattamente come si presenta il mondo in cui ora si trova a vivere. Altra figura interessante è quella del turista, che a differenza del vagabondo ha una casa ma si sposta temporaneamente alla continua ricerca di sensazioni e piaceri però sempre cosciente e sistematico. Altra questione importante è quella dello “straniero”: sottoposto a restrizioni nell’età moderna, nel postmoderno, lo “straniero” rimane tra noi come una presenza costante, condividendo l’incertezza di questa nostra era. Sappiamo bene che genera altresì un senso di paura, un senso di insicurezza e di vulnerabilità; questo perché il mondo è pieno di pericoli che possono colpire in qualsiasi momento senza preavviso. I pericoli che si temono e le paure derivate che suscitano possono essere di tre tipi: - Alcuni minacciano il corpo e gli averi - Altri sono di natura più generale e minacciano la stabilità e l’affidabilità dell’ordine sociale da cui dipendono la sicurezza del proprio sostentamento o la propria sopravvivenza in caso di invalidità o vecchiaia. - Esistono infine pericoli che insidiano la propria collocazione nel mondo: la posizione nella gerarchia sociale, l’identità e più in generale, espongono alla possibilità di essere umiliati ed esclusi a livello sociale. E’ proprio la diretta esperienza dell’esilio, che provoca la riflessione su tutti i problemi e le opportunità della condizione umana contemporanea. Se è vero che l’essenza dell’esilio sta nell’essere “fuori posto”, se ne può trarre la conclusione –afferma Bauman- che siamo tutti in qualche modo “fuori posto”: “Tutti noi, quale che sia il contesto o la situazione in cui ci troviamo, quali che siano le persone che abbiamo intorno, a ciascuno dei gruppi a cui partecipiamo o dei ruoli che svolgiamo, non offriamo che una parte di noi stessi (…) il resto lo lasciamo fuori”. Per dirla in breve, nell’esperienza comune della vita di oggi avviene che un po’ tutti siamo in una certa misura degli “esuli” da noi stessi, dalle stesse situazioni che viviamo. 6 Di conseguenza, tutti gli uomini e le donne di oggi possono fare esperienza dell’esilio, nella misura in cui devono fare i conti con i problemi e le opportunità che derivano dall’essere “fuori posto”. Ciò che Bauman suggerisce è che l’essere fuori luogo dell’esule, per quanto subìto, e non certo ricercato, non andrebbe vissuto come condizione naturale e inevitabile ma andrebbe, semmai, affrontato in modo attivo, come opportunità per sperimentare un modo di essere al mondo diverso da quello di prima. In questa prospettiva, i limiti del mondo sono conosciuti nella sola misura in cui gli essere umani ne fanno la diretta esperienza , e si sforzano di superarli; è proprio in questa iniziativa , per quanto di esito incerto, che risiede la nostra piena umanità. 7 L’Autore, quindi non fa altro che un’analisi sociologica sulla politica e la società contemporanea. Bauman resta uno dei migliori sociologi viventi che, con la sua solita chiarezza, analizza i disagi degli uomini di oggi ponendo dinanzi al lettore uno specchio al fine di leggersi e leggere nel migliore dei modi la realtà in cui vive. Credo che per queste ed altre considerazioni, il pensiero e le opere di Bauman da alcuni anni sono oggetto di studio da parte di pedagogisti e uomini di scuola alla ricerca non certo di ‘ricette’ ma di possibili orizzonti di senso e di ancoraggi non superficiali al meglio della riflessione sociologico-filosofica sul tempo presente, al fine di fondare e impostare l’azione educativa su basi non illusorie e non arrendevoli ma realistiche, progettuali, per un’azione –quella di educare e orientare i comportamenti delle nuove generazioni– sempre più difficoltosa e sempre a rischio; oggi più che mai . Sitografia 1- www.wikipedia.com 2- www.FILOSOFO.NET/Bauman.HTM 3- www.politicamagazine.info 4- www.gaggioli.it/ZYGMUNT-BAUMAN-E-IL-PENSIERO-LIQUIDO 8