Rapporto finale Progetto E

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ANALISI E STUDI
DI MODELLI
DI INTERVENTI
A FAVORE DELLE
IMPRESE ARTIGIANE
La collaborazione avviata con le parti sociali e con il sistema bilaterale lombardo a sostegno del
comparto artigiano rappresenta non solo un punto cardine delle nostre politiche regionali ma
anche una condizione imprescindibile per l’individuazione delle criticità del settore e dei conseguenti interventi migliorativi.
Nell’ambito della Convenzione attuativa del ‘’Protocollo d’Intesa per il sostegno dell’occupazione
nel sistema produttivo artigiano’’, ed in una logica sussidiaria e concertativa, Regione Lombardia ha innanzitutto favorito la crescita occupazionale nel settore attraverso azioni mirate di
grande efficacia, con particolare attenzione alle persone più svantaggiate.
Nello stesso tempo è stata avviata un’intensa e articolata attività di analisi conoscitiva su
opportunità, criticità e bisogni presenti nel contesto artigiano lombardo nell’attuale ciclo economico, attraversato da processi di grande trasformazione.
Le iniziative integrate con E.L.B.A., prezioso partner ed espressione del mondo imprenditoriale
e sindacale, proseguono oggi con azioni volte a stimolare la crescita diffusa della cultura e della
sensibilità in tema di sicurezza negli ambienti di lavoro.
La tutela della competitività del sistema artigiano lombardo nei nuovi mercati nell’economia
globale ci porta inevitabilmente ad individuare ulteriori ambiti di operatività ed importanti
strumenti di monitoraggio.
Per questo motivo, i cinque volumi che presentiamo vogliono dare spazio ai risultati dei recenti
progetti destinati all’analisi del comparto e delle sue complessità, alla sperimentazione di
nuove tecnologie nei rapporti fra aziende, lavoratori e sistema bilaterale, all'elaborazione di
proposte di politiche attive del lavoro adeguate alla specifica realtà delle imprese artigiane, ma
vogliono anche testimoniare l’attenzione dell’Assessorato all’Artigianato e Servizi nei confronti
del clima collaborativo instauratosi in logica del "fare" tra Regione Lombardia, E.L.B.A. e Parti
Sociali.
Un contesto che ci permette di individuare problemi, calibrare interventi di successo, guardare
al futuro con ottimismo.
Domenico Zambetti
Assessore regionale all’Artigianato e Servizi
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
STRUTTURA ORGANIZZATIVA DEL PROGETTO
COMITATO DI MONITORAGGIO
Coordinatori
Eugenio Feroldi (Presidente ELBA)
Vito Panzarella (Vicepresidente ELBA)
Confartigianato Lombardia
Marco Broggini
Sandro Corti
Claudio Sciuccati
CNA Lombardia
Giuseppe Vavassori
CLAAI Lombardia
Ivan Mussio
CASARTIGIANI Lombardia
Walter Simonetti
CGIL Lombardia
Ferdinando Di Lauro
Dino Raspelli
CISL Lombardia
Giovanna Muselli
Ermanno Cova
UIL Lombardia
Michela Rusciano
Serafino Appugliese
Referente tecnico ELBA
Dott. Andrea Merli
Coordinamento scientifico
e attività di ricerca:
Prof.ssa Silvia Cortellazzzi (Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano)
Dott.ssa Ivana Pais (Università Studi di
Brescia)
dott. Paolo Piazzolla (Università Cattolica del
Sacro Cuore di Milano)
dott.ssa Silvia Spreafico (Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano)
dott.ssa Michela Bolis (Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano)
dott.ssa Silvia Mazzucotelli Salice (Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano)
IAL CISL
Dott. Renato Cattaneo
Dott.ssa Elena Lechiancole
Dott.ssa Elisabetta Ferrari
ECIPA Lombardia
Dott. Erasmo Corbella
Dott.ssa Elisabetta Ghezzi
PREMESSA
Il progetto “ANALISI E STUDI DI MODELLI DI INTERVENTI A FAVORE DELLE IMPRESE ARTIGIANE”
ha previsto la realizzazione di un modello concordato tra le Parti Sociali e la Regione Lombardia
per la promozione di interventi di politica attiva del lavoro finalizzati all’occupabilità e all’adattabilità dei lavoratori delle PMI e delle aziende artigiane in particolare. L’intervento si è proposto
altresì la costruzione di un modello di buone prassi a sostegno dell’imprenditore artigiano e dei
suoi lavoratori.
Si è tratto di un intervento sperimentale funzionale al raggiungimento degli obiettivi del programma regionale di sviluppo che ha come riferimenti legislativi la L.R. 20 marzo 1990 n. 17 e
la L.R. 3 ottobre 2006 n. 22.
Al fine di favorire la diffusione dei risultati della ricerca è stato realizzato un corso di formazione
a distanza rivolto alle organizzazioni artigiane ed alle organizzazioni sindacali.
L’obiettivo del modello, sulla scorta anche delle indicazioni del progetto di legge 113/06 della
Regione Lombardia cap X art. 27 comma C e D, è stato di fornire alle risorse impiegate nel
settore dell’artigianato che si trovano in difficoltà occupazionale una risposta efficace alla riqualificazione delle competenze professionali del comparto artigiano nell’ottica di una maggior
competitività sul mercato del lavoro, attraverso gli strumenti necessari per effettuare in autonomia ed attivamente la ricerca di un nuovo lavoro in situazioni di crisi lavorativa.
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PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
INDICE
1. LE POLITICHE DEL LAVORO. IL QUADRO DI RIFERIMENTO
1.1. Le politiche del mercato del lavoro
1.1.1. La strategia europea per l’occupazione
1.2. Le politiche del lavoro in Italia
1.3. Il supporto agli individui in difficoltà occupazionale
1.3.1. Il sistema degli ammortizzatori sociali
1.4. I servizi e le misure per favorire l’inserimento lavorativo dei soggetti in
difficoltà occupazionale
1.4.1. I servizi per l’impiego
1.4.2. I servizi di orientamento e i tirocini
1.4.3. La formazione professionale e continua
1.5. Conclusioni
2. POLITICHE DEL LAVORO PER L’ARTIGIANATO: GLI INTERVENTI REGIONALI
2.1. Il ruolo della Regione Lombardia nelle politiche del lavoro
2.1.1. La legge 22
2.1.2. Il piano di azione regionale 2007-2010
2.1.3. Il programma operativo regionale 2007-2013 del Fondo Sociale
Europeo
2.1.4. La sperimentazione: gli ammortizzatori sociali in deroga
2.2. I progetti di politica del lavoro
2.2.1. Pari
2.2.2. LaborLab
2.2.3. Analisi delle provvidenze Elba 2004-2007
3. DALLA REGIONE ALLE PROVINCE. LE POLITICHE DEL LAVORO A LIVELLO LOCALE
3.1. Le esperienze provinciali
3.1.1. Bergamo
3.1.2. Brescia
3.1.3. Como
3.1.4. Cremona
3.1.5. Lecco
3.1.6. Lodi
3.1.7. Mantova
3.1.8. Milano
3.1.9. Pavia
3.1.10. Sondrio
3.1.11. Varese
3.2. ANALISI TRASVERSALE
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3.2.1. La situazione socio-economica
3.2.2. Gli ammortizzatori in deroga
3.2.3 Le politiche attive
LE OPINIONI DELLE PARTI SOCIALI
4.1. Il settore artigiano e i suoi problemi
4.2. Il ruolo delle singole parti
4.3. Gli ammortizzatori sociali.
4.3.1. Gli elementi positivi
4.3.2. Alcuni punti critici
4.3.3. La riforma degli ammortizzatori sociali
4.4. Le politiche attive del lavoro
4.4.1. L’integrazione tra le politiche passive e quelle attive
4.4.2 La programmazione delle politiche attive provinciali
4.4.3 Il sostegno all’auto-imprenditorialità artigiana
4.4.4 La formazione e i fondi interprofessionali
4.4.5 La costruzione della rete tra imprese
4.4.6 Pubblico e privato
GLI STUDI DI CASO
5.1. Il “Progetto Artigiani - Modelli di sviluppo per il sistema delle imprese
artigiane” in provincia di Bergamo
5.1.1. Il progetto artigiani in provincia di Bergamo
5.1.2. Conclusioni
5.1.3. Allegati
5.2. Buone prassi nella programmazione e nelle gestione delle politiche attive
del lavoro. Rilancialavoro- Provincia di Varese
5.2.1. Un confronto tra regioni europee
5.2.2. Rilancialavoro
5.2.3 Il punto di vista dei politici
5.2.4 Oltre Rilancialavoro. Le politiche attive del lavoro a Varese, in
continuità col passato
5.2.5. Buone pratiche a Varese. Formazione dei formatori e ripensamento
del welfare.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE E INDICAZIONI DI BUONE PRASSI
CORSO DI FORMAZIONE A DISTANZA
Politiche del lavoro nel settore artigiano
REALIZZAZIONE DI UN MODELLO CONCORDATO CON LE PARTI SOCIALI E LA
REGIONE LOMBARDIA PER LA PROMOZIONE DI INTERVENTI DI POLITICA ATTIVA
DEL LAVORO FINALIZZATI ALLA OCCUPABILITÀ E ALL’ADATTABILITÀ DEI LAVORATORI
DELLE PMI E DELLE AZIENDE ARTIGIANE IN PARTI
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PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
1. LE POLITICHE DEL LAVORO. IL QUADRO DI RIFERIMENTO
1.1. Le politiche del mercato del lavoro
Le politiche del lavoro cercano di favorire l’occupazione dei lavoratori agendo su aspetti legati
allo sviluppo e al mantenimento delle competenze, all’adattabilità rispetto ai cambiamenti che
intervengono nel mercato e nel sistema economico e, più in generale, alla capacità di attivazione del soggetto e di fronteggiamento delle criticità nei momenti di incertezza e disoccupazione. Questa tipologia di intervento pubblico agisce nei contesti dove esiste una domanda di
lavoro da parte delle imprese e un’offerta di manodopera che faticano a incontrarsi, intervenendo per esempio per avvicinare le competenze del lavoratore alle richieste dell’azienda o, in
alcuni casi, aiutando l’imprenditore a rilevare i propri fabbisogni per innovare e essere più
competitivo. Nei contesti locali dove i problemi occupazionali sono provocati principalmente da
una domanda di lavoro debole e da problemi di sviluppo economico-produttivo sono necessari
altri interventi che vadano oltre le politiche del mercato del lavoro e includano azioni sulle infrastrutture, sullo sviluppo di impresa e del territorio (Zucchetti 2005).
Nei primi anni novanta l’apertura dei mercati su scala globale ha prodotto un po’ ovunque
mutamenti delle strutture sociali, politiche ed economiche. Infatti, le dinamiche globali contemporanee hanno permesso la creazione di networks politici transnazionali in cui il libero mercato
è assunto come fulcro di qualsiasi attività politica e sociale e la cui governance sfugge al pieno
controllo del vecchio Stato-Nazione. A causa della crescente apertura dei mercati su scala
globale, anche il concetto di occupazione si è andato gradualmente ridefinendo e, con lui, sono
mutate anche le tradizionali misure di welfare.
Anche in Europa negli ultimi anni, in un quadro di crescente e sempre più complessa problematica occupazionale, si sono moltiplicate le proposte e le esperienze di politica dell’occupazione
e del lavoro. La trasformazione, iniziata nel 1997 col processo di Lussemburgo (e prima ancora
col Trattato di Amsterdam) e poi esplosa nel 2000 col Consiglio straordinario di Lisbona sull’occupazione, mira a trasformare il Vecchio Continente nell’«economia basata sulla conoscenza
più competitiva e dinamica del mondo in grado di realizzare una crescita economica sostenibile
con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale» (Gazzetta Ufficiale delle
Comunità europee 24 gennaio 2001, L. 22/18). Tale obiettivo se da una parte può essere raggiunto attraverso la penetrazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel
tessuto economico europeo, dall’altra non può prescindere da un rinnovamento delle politiche
del lavoro in tutti gli Stati membri che, come sottolineato a Lisbona, presentano comuni punti
deboli:
• eccessivo livello della disoccupazione e, in particolare, della disoccupazione di lunga durata
(la metà dei senza lavoro in Europa non ha un impiego da più di un anno);
• insufficiente partecipazione femminile al mercato del lavoro;
• cattivo funzionamento del mercato del lavoro ossia un rapporto inefficace tra domanda e
offerta di manodopera;
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• invecchiamento della popolazione;
• permanere di forti squilibri regionali.
Il bisogno di restare competitivi a livello globale, unito ad una altrettanto necessaria urgenza
di protezione sociale, impone di riorganizzare intorno al mercato i sistemi di welfare, per renderli
compatibili con le nuove dinamiche economiche. Pertanto nel Consiglio europeo di Lisbona,
l’Unione Europea ha suggerito agli Stati membri un percorso di rinnovamento dei sistemi di
welfare nazionali sottolineando, in particolare, l’esigenza di un modello che sappia coniugare
la flessibilità con la sicurezza sociale e l’adattabilità delle nuove forme di lavoro (le forme atipiche) con le tutele della rete sociale.
La Strategia europea per il lavoro adottata a Lisbona ha portato i governi europei a rivedere la
propria filosofia di intervento, fino a quel momento concentrata soprattutto sull’erogazione di
sostegni al reddito di tipo passivo e ha invitato gli Stati membri ad implementare azioni di
politiche attive del lavoro, ossia interventi e sostegni che aiutino le persone a trovare un’occupazione ma che non ricadano in forme di assistenza che, alla lunga, possono accrescere l’esclusione sociale.
La priorità attribuita alle azioni di politica attiva ha portato nell’ultimo periodo un cambiamento
anche nel lessico utilizzato per classificare e monitorare i diversi interventi. È stata eliminata
la parola “passive”, cui veniva solitamente attribuita una connotazione negativa, ed è stata
introdotta la distinzione fra servizi, misure e supporto1.
Per “servizi” si intendono tutte quelle attività di sostegno nella fase di ricerca di un impiego,
offerte sia dai centri per l’impiego pubblici sia dalle agenzie private: l’informazione e l’accoglienza, l’analisi delle competenze, l’orientamento sono esempi di servizi a cui il cittadino può
gratuitamente accedere per inserirsi più agevolmente nel mercato del lavoro. Le “misure” comprendono, invece, altri interventi di assistenza temporanea per gruppi svantaggiati nell’accesso
al mondo del lavoro: attività di formazione e di riqualificazione, stage, tutoraggio all’inserimento
lavorativo, incentivi all’assunzione. Il “supporto”, infine, rimanda agli interventi (di tipo passivo) che garantiscono, direttamente o indirettamente, assistenza finanziaria agli individui che
hanno perso il proprio impiego, per ragioni legate al mercato del lavoro come avviene in caso di
licenziamento dovuto a situazioni di crisi aziendale, di cessazione dell’attività produttiva, ecc.
Nelle pagine successive saranno presentate le trasformazioni intercorse nel sistema italiano
con particolare riferimento al processo di “attivazione” delle politiche del lavoro che è attualmente in corso nel nostro Paese. Considerato però che ogni intervento nazionale sulle politiche
del lavoro è mosso da un filo “comunitario” pare opportuno inserire le trasformazioni nazionali
all’interno del quadro europeo che, pertanto, viene anticipato nel prossimo paragrafo.
1 Nel giugno 2006 la metodologia Eurostat Labour market policies ha introdotto questa nuova classificazione rispetto alla tradizionale distinzione tra politiche passive e politiche attive del mercato del lavoro. Tale classificazione è stata ripresa dal Ministero
del lavoro e della previdenza italiano già con il Rapporto di monitoraggio delle politiche occupazionali e del lavoro, pubblicato nel
febbraio 2007. Per ulteriori informazioni si veda http://epp.eurostat.ec.europa.eu; http://www.lavoro.gov.it
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PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
1.1.1. La strategia europea per l’occupazione
Sin dalla costituzione della Comunità europea, la piena occupazione e la promozione di migliori
condizioni lavorative sono state oggetto di attenzione e di collaborazione fra gli Stati membri.
Fino agli anni novanta del secolo appena concluso, però, la cooperazione sui temi legati al
mercato del lavoro era per lo più realizzata in seno a organismi internazionali, come l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). I primi segnali concreti da parte della Comunità europea rispetto a questi temi
si hanno con la pubblicazione nel 1993 del Libro bianco Delors2 e con l’identificazione, al Consiglio di Essen del 1995, degli obiettivi chiave da perseguire in termini di promozione dell’occupazione a favore delle fasce più deboli del mercato del lavoro. Con la seconda metà degli anni
novanta, poi, le politiche del mercato del lavoro entrano a far parte delle priorità dell’Unione
europea e diventano ambito di confronto fra gli Stati e di “raccomandazioni” da parte della
Commissione europea stessa.
Tralasciando una lunga, seppur utile ricostruzione storica della definizione che l’Unione Europea
nel corso del tempo ha dato dell’organizzazione del lavoro, si può far risalire all’anno 1997 il
primo decisivo passo della Commissione verso un processo di rinnovamento del mercato del
lavoro su scala comunitaria e, partendo da lì, ci si può concentrare sulle trasformazioni che
hanno interessato la Strategia Europea per l’occupazione negli ultimi 10 anni.
A partire dal processo di Lussemburgo ad oggi l’evoluzione delle politiche comunitarie per il
lavoro hanno attraversato tre fasi:
• l’avvio della Strategia Europea per l’occupazione (1997-2000);
• la definizione degli obiettivi di medio e lungo periodo (2000-2005);
• la revisione degli obiettivi di Lisbona.
FASE 1 - L’avvio della Strategia Europea per l’occupazione (1997-2000)
Nel 1997 con il Consiglio di Amsterdam e la successiva Risoluzione di Lussemburgo prende il
via la cosiddetta Strategia Europea per l’occupazione, attraverso la quale l’Unione europea
definisce le priorità e le linee guida per tutti quegli interventi volti ad incidere sul funzionamento
del mercato del lavoro e a perseguire finalità di coesione sociale. Pur preservando la competenza
degli Stati membri nel settore della politica dell’occupazione, il Trattato di Amsterdam sottolinea
la necessità di una strategia coordinata per l’occupazione.
Il coordinamento delle politiche nazionali in materia di occupazione è volto essenzialmente ad
impegnare gli Stati membri in una serie di obiettivi comuni incentrati sui seguenti quattro pilastri:
• L’idoneità al lavoro o occupabilità: la lotta alla disoccupazione di lunga durata e la disoc2 Libro Bianco di Delors, Crescita, competitività ed occupazione – Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo, COM
(93)700 del 1993.
10
cupazione dei giovani, la modernizzazione dei sistemi di istruzione e formazione, un monitoraggio attivo dei disoccupati proponendo loro un’alternativa nel campo della formazione
o dell’occupazione, la riduzione del 50% dell’abbandono scolastico, nonché l’attuazione di
un accordo quadro fra i datori di lavoro e le parti sociali finalizzato all’apertura delle imprese
alla formazione e all’acquisizione di un’esperienza;
• L’imprenditorialità: l’applicazione di regole chiare, stabili e affidabili volte alla creazione e
alla gestione di imprese e la semplificazione degli obblighi amministrativi per le piccole e
medie imprese;
• L’adattabilità: la modernizzazione dell’organizzazione, la flessibilità del lavoro, la predisposizione di contratti adattabili ai diversi tipi di lavoro, il sostegno alla formazione in seno alle
imprese eliminando ostacoli fiscali e mobilitando aiuti statali per migliorare le competenze
della popolazione attiva, la creazione di posti di lavoro duraturi e il funzionamento efficiente
del mercato del lavoro;
• Le pari opportunità: la lotta alle disparità uomo-donna e un maggiore tasso di occupazione
femminile da raggiungere con l’attuazione di politiche in materia di interruzione della carriera, congedo parentale, lavoro part-time, servizi di qualità di custodia dei figli.
L’avvio della Strategia Europea per l’occupazione è segnato anche dall’introduzione di un nuovo
metodo di lavoro, chiamato “metodo aperto di cooperazione”, che prevede la definizione dei
diversi livelli di competenze, la collaborazione e il confronto fra gli Stati e l’individuazione di
obiettivi quantificati da perseguire.
FASE 2 - La definizione degli obiettivi di medio e lungo periodo (2000-2005)
Come già anticipato in apertura di capitolo, l’Unione europea mira a diventare «l’economia
basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una
crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione
sociale» (Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee 24 gennaio 2001, L. 22/18).
In questo contesto il Consiglio europeo di Lisbona del 2000 rappresenta un momento di svolta
per la politica comunitaria per il lavoro e l’occupazione. La Commissione Europea individua nello
sviluppo di un sistema di welfare dinamico e attivo la risposta alla diffusa insicurezza sociale
nella convinzione che più cospicui investimenti nel capitale umano e un generale ripensamento
delle forme di protezione esistenti possano essere la chiave di volta per migliorare la competitività del sistema Europa su scala mondiale.
Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, il Consiglio di Lisbona fissa dei traguardi misurabili
da raggiungere entro il 2010 per quanto concerne i tassi di occupazione dei lavoratori dei paesi
comunitari. Nel dettaglio si aspira a raggiungere:
• un tasso di occupazione medio pari al 70%;
• un tasso di occupazione femminile del 60%;
• un tasso di occupazione dei lavoratori con più di 50 anni pari al 50%.
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PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
FASE 3 - La revisione degli obiettivi di Lisbona (2005)
Nel 2005, complici la cattiva congiuntura internazionale seguita all’11 settembre 2001, la
guerra in Iraq e la questione mediorientale, l’implementazione delle riforme auspicate a Lisbona
risulta del tutto insufficiente, così come l’innalzamento dei tassi di occupazione da parte di
ciascuno Stato membro. Il mancato raggiungimento degli obiettivi intermedi fissati nella strategia di Lisbona impone all’Unione Europea di rivedere il precedente piano per l’occupazione e
di stabilire nuove linee di azione. Pertanto, la Commissione Europea, nel Consiglio europeo di
primavera (2006), direziona gli Stati membri verso il raggiungimento di 3 nuovi obiettivi:
• lo sviluppo di un approccio al lavoro basato sul ciclo di vita, in grado di facilitare le transizioni da un posto di lavoro all’altro;
• il miglioramento dell’efficienza degli investimenti nel capitale umano, con azioni maggiormente mirate a favore dei lavoratori ai margini del mercato del lavoro;
• la continua promozione di politiche attive e preventive, incoraggiando e aiutando le persone
a trovare un lavoro remunerato.
Questo rilancio della Strategia Europea per l’occupazione si è tradotto anche nella definizione
di “orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione” di durata triennale (2005-2008), base
di riferimento per il nuovo Programma comunitario di Lisbona e per l’elaborazione, da parte degli
Stati membri, dei Piani nazionali di riforma (Pnr). La ridefinizione della Strategia Europea per
l’occupazione passa, dunque, dalla consapevolezza che le problematiche connesse alla perdita
del lavoro e le difficoltà, anche di tipo sociale, che ne conseguono richiedono interventi mirati,
da realizzare mediante risorse, attori e azioni differenti in ciascuno degli Stati membri.
La consapevolezza che ogni realtà nazionale presenta condizioni, relazioni, problematiche e
ricchezze diverse, non è però una novità per le istituzioni comunitarie che, già a partire dalla
fine degli anni novanta, preferiscono parlare di “mercati del lavoro” piuttosto che di un unico
grande mercato e adottare un approccio alle politiche del lavoro che tenga conto di queste
differenziazioni e le utilizzi al meglio per intervenire in maniera efficace e concreta (Colasanto
1996). L’approccio adottato a livello comunitario è, infatti, quello fondato sull’environment e si
esplicita in interventi di politica del mercato del lavoro mirati, sviluppati a partire dai fabbisogni formativi e occupazionali di un territorio, concertati con le parti sociali e gli attori direttamente interessati e differenziati a seconda dei target di riferimento.
L’attenzione alla dimensione territoriale si traduce nello sviluppo di strumenti finanziari a supporto delle regioni in ritardo di sviluppo e nella riconversione economica e sociale delle zone in
difficoltà tanto nella programmazione 2000-2006 del Fse e degli altri Fondi strutturali quanto
in quella successiva (2007-2013) (vedi tabella 1). La strategia e le risorse della programmazione per i prossimi 7 anni mirano, infatti, allo sviluppo della convergenza degli Stati membri e
delle regioni in ritardo di sviluppo, della competitività regionale e occupazionale e, infine, della
cooperazione territoriale europea.
L’elaborazione di strumenti mirati a supporto della Strategia Europea per l’occupazione pare
12
sempre più necessario in seguito al recente allargamento dell’Unione Europea. Due i traguardi
da perseguire: allineare il tasso medio di occupazione nei 10 nuovi Stati membri a quello del
resto dell’UE e ridurre il divario di sviluppo economico all’interno degli Stati membri.
TABELLA 1. Obiettivi e fondi della programmazione europea 2000-2006 e 2007-2013
PROGRAMMAZIONE
2000-2006
Obiettivo 1.
PROGRAMMAZIONE
2007-2013
Paesi PIL/ab.
< 90% UE
Fondo Coesione
Fondo Coesione,
FESR, FSE
Regioni in ritardo
di sviluppo
(PIL/ab. < 75% media UE)
Fondi strutturali
Obiettivo 2 e 3
FESR, FSE
FSE
Obiettivo Convergenza
- Paesi PIL/ab. < 90% UE
➔
- Regioni con PIL/ab. < 75%
media UE
- Regioni ex ob.1 phasing out
statistico
➔
Obiettivo 2 Zone di riconversione
economica e sociale
Obiettivo Competitività regionale e occupazione
- Paesi PIL/ab. > 90% UE
FESR, FSE
Obiettivo 3 Risorse umane
- Regioni con PIL/ab. > 75%
media UE
- Regioni ex ob.1 phasing out
crescita
➔
Obiettivo Cooperazione territoriale
FESR
Tutti i territori UE
Fonte: nostra elaborazione.
Per il raggiungimento degli obiettivi sopra esposti la Commissione Europea mette a disposizione
degli Stati membri i seguenti strumenti finanziari:
• Il Fondo sociale europeo (Fse), per il finanziamento di interventi diretti a promuovere e
migliorare il capitale umano nelle sue diverse forme (occupazione, produttività del lavoro,
integrazione sociale);
• il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dedicato alla realizzazione di investimenti
materiali e immateriali volti alla riduzione degli squilibri regionali;
• il Fondo di coesione3, dedicato al finanziamento di infrastrutture nel settore dell’ambiente
e dei trasporti (a favore dei Paesi con un Prodotto interno lordo per abitante inferiore al 90%
delle media comunitaria).
Nel dettaglio il 78,54% della dotazione dei tre Fondi coinvolti (ovvero circa 264 miliardi di euro),
saranno utilizzati per il raggiungimento dell’obiettivo convergenza le cui priorità sono:
3 Il Fondo di coesione, da strumento finanziario nella programmazione 2000-2006, è divenuto formalmente parte del gruppo dei
Fondi strutturali (si veda Consiglio Europeo, Regolamento del Consiglio che istituisce un Fondo di coesione e abroga il Regolamento
(CE) n. 1164/1994, 2006, che regolava il Fondo di coesione definito come “strumento finanziario”).
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PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
• la creazione di condizioni più propizie alla crescita e all’occupazione, favorendo investimenti
nelle persone e nelle risorse fisiche;
• innovazione e sviluppo della società della conoscenza;
• adattabilità ai cambiamenti economici e sociali;
• tutela dell’ambiente;
• efficienza amministrativa.
Tra coloro che potranno beneficiare dei fondi destinati a questo obiettivo rientrano le regioni con
un prodotto interno lordo pro capite (PIL/abitante) inferiore al 75% della media dell’UE allargata, le regioni che superano tale soglia per il cosiddetto “effetto statistico”, gli Stati con un
reddito nazionale lordo per abitante inferiore al 90% della media comunitaria e le regioni ultra
periferiche.
Tutti i paesi che non rientrano nell’obiettivo convergenza potranno beneficiare delle risorse
stanziate per il raggiungimento dell’obiettivo competitività regionale e occupazione (57,9 miliardi di euro ovvero il 17,22% rispetto al totale delle risorse), chiamato ad evitare l’instaurarsi
di condizioni che possano determinare squilibri in regioni già penalizzate da fattori socioeconomici sfavorevoli e, nello specifico, pensato per sostenere:
• il rafforzamento, attraverso programmi regionali finanziati dal FESR, della competitività
delle regioni al fine di precorrere i cambiamenti economico-sociali, sostenere l’innovazione,
la società della conoscenza, l’imprenditorialità, la protezione dell’ambiente e la prevenzione
dei rischi tenendo conto dei divari economici esistenti;
• il potenziamento, attraverso programmi nazionali o territoriali finanziati dal FSE, dell’adattabilità di lavoratori e imprese e il sostegno dell’inclusione sociale in linea con la Strategia
Europea per l’occupazione per preparare le persone a far fronte ai mutamenti economici.
Infine, l’obiettivo cooperazione territoriale europea, interamente finanziato dal FESR per un ammontare di 13,2 miliardi di euro (ossia il 3,94 % dello stanziamento complessivo), consiste nel
promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile delle macroregioni dell’Unione, sostenendo la
cooperazione transfrontaliera e gli scambi delle buone pratiche su tre livelli:
• la cooperazione transfrontaliera mediante programmi congiunti;
• la cooperazione a livello delle zone transnazionali;
• la creazione di reti di cooperazione e scambio di esperienze sull’intero territorio dell’UE.
In funzione delle indicazioni comunitarie, ogni Stato membro ha elaborato un Quadro Strategico
Nazionale per i sette anni di programmazione nel quale sono state individuate le priorità ed è
stata definita l’allocazione delle risorse. In questa nuova programmazione, visto anche il considerevole ridimensionamento delle risorse destinate alle politiche formative e del lavoro di
paesi come l’Italia, gli Stati membri sono chiamati a valorizzare le sperimentazioni di successo
realizzate negli anni precedenti e a ottimizzare i servizi per l’impiego, soprattutto in un’ottica di
costruzione di reti pubblico-private funzionali a favorire l’erogazione dei servizi e il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Accanto ai Fondi strutturali, l’Unione europea sostiene la Strategia Europea per l’occupazione
14
e, di conseguenza, il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona, anche attraverso il Programma
comunitario per l’occupazione e la solidarietà 2007-2013 (Progress) (Decisione n. 1672/2006,
pubblicata in G.U. dell’Unione europea il 15.11.2006). Questo programma finanzia tipologie di
azioni diverse che perseguono la finalità di favorire l’inclusione sociale e lavorativa dei soggetti
più deboli, in un’ottica di intervento integrata. Le aree di intervento, infatti, sono cinque: occupazione, protezione e inserimento sociale, condizioni di lavoro, lotta contro le discriminazioni e
le diversità, uguaglianza fra donne e uomini.
Questo Programma si inserisce nel nuovo corso della Strategia Europea per l’occupazione, in cui
attraverso la creazione di reti e partenariati, si intende promuovere non solo l’aumento della
partecipazione al mercato del lavoro ma, anche, il miglioramento della qualità del lavoro e il
rafforzamento della coesione sociale e territoriale4. Tale priorità si intreccia con l’esigenza di
coniugare le nuove forme di lavoro flessibile con strumenti di sicurezza per i cittadini, in un’ottica, quindi, di ripensamento del sistema di protezione sociale dei lavoratori.
Si parla, a tal proposito di flexicurity ovvero della combinazione tra flessibilità e sicurezza.
Questa strategia politica adottata a livello comunitario indica la necessità di incrementare la
flessibilità in entrata e in uscita dal mercato del lavoro per favorire l’ingresso di nuova forza
lavoro nelle imprese che, altrimenti, in presenza di legislazioni sui licenziamenti molto rigide,
sono scarsamente spinte ad assumere nuovo personale; allo stesso tempo, però, si richiede lo
sviluppo di politiche sociali, formative e del lavoro integrate per sostenere il lavoratore nei
momenti di transizione tra un lavoro e un altro e favorirne la più rapida ricollocazione.
Gli approcci seguiti in Europa sul fronte delle politiche del lavoro possono essere ricondotti a
due tipi: da un lato, c’è il modello fondato sul workfare, di tipo individualistico di mercato, che
si realizza attraverso l’erogazione di incentivi, la spinta alla flessibilità nei rapporti di lavoro e
le sanzioni da rivolgere a coloro che non rispettano i doveri previsti in caso di percezione di un
sussidio al reddito; dall’altro lato, poi, c’è un modello costruito intorno all’interazione tra assistito e servizi, in cui l’obiettivo dell’inserimento lavorativo è perseguito attraverso programmi
integrati e condivisi tra i soggetti (Esping-Andersen 2000).
La tendenza in atto a livello europeo, nonché la via finora intrapresa nel nostro Paese, è quella
del workfare e della corresponsabilizzazione del beneficiario dei sussidi al reddito nelle azioni di
ricerca del lavoro. La direzione intrapresa ha introdotto una forte dose di flessibilità nel mercato
del lavoro ma non sempre ha saputo coniugare gli elevati livelli di flessibilità in entrata e in
uscita dal mondo del lavoro con sussidi al reddito e iniziative di politica del lavoro volte a garantire la sicurezza dell’occupazione e l’inclusione dei soggetti più deboli. È pertanto necessario
accompagnare le trasformazioni in atto nel mercato del lavoro con investimenti nella formazione
e nell’occupabilità dei lavoratori che rendano gli individui attivi ed li preparino ad affrontare un
mercato del lavoro sempre più dinamico e flessibile.
4 Si vedano gli orientamenti per l’occupazione 2005-2008 pubblicati sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 205/21 del
6.8.2005.
15
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Le politiche del lavoro così intese non perseguono solo obiettivi “quantificabili”, come l’aumento
del tasso di occupazione e o la riduzione del fenomeno della disoccupazione, ma mirano anche
al raggiungimento di finalità legate alla qualità del lavoro e della vita del lavoratore.
Cercano, ad esempio, di favorire l’inserimento lavorativo degli individui in posti di lavoro migliori e più appaganti e agiscono a salvaguardia della condizione di benessere di coloro che
oggi, per la natura spesso temporanea dei rapporti di lavoro, possono incorrere in un’alternanza
dei periodi di lavoro e di non lavoro.
Le politiche del lavoro di oggi, infatti, mirano all’innalzamento dell’occupabilità del lavoratore.
Il loro fuoco di attenzione è l’individuo che deve essere preso in carico a 360 gradi e accompagnato in un percorso di crescita sia personale che professionale che vede l’intervento di attori
diversi per natura, obiettivi e servizi e misure realizzabili.
Le riforme dell’ultimo decennio hanno portato molti esperti del settore e decisori politici a parlare dell’evoluzione delle politiche del mercato del lavoro europeo come del passaggio, quanto
meno auspicato, da un sistema meramente passivo a un modello di intervento più attivo, sintetizzato dalla formula-slogan dal welfare al workfare. Negli ultimi anni tutti i paesi europei
hanno dovuto ripensare e rivalutare i loro Sistemi di welfare, essendo spesso, quasi paradossalmente, proprio la loro “generosità” a costituire un freno al processo di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro. In particolare, considerato che un livello troppo elevato o una
durata eccessiva dei sussidi possono ridurre lo sforzo di ricerca di lavoro e disincentivare il
lavoratore dall’investire per migliorare il proprio capitale umano, la logica che ha guidato il
cambiamento mira a mantenere sottocontrollo gli effetti distorsivi degli interventi politica passiva attraverso l’inserimento di misure di politica attiva del lavoro che intervengono non in
sostituzione ma a completamento dei sussidi tipici delle politiche passive (Spreafico 2008).
In tale contesto la Strategia Europea per l’occupazione e i più recenti orientamenti comunitari
hanno introdotto e sostenuto la necessità di creare un legame più stretto tra le politiche passive
e quelle attive così da attribuire maggiore importanza alla complementarità tra i Servizi per
l’impiego e le misure di politica del lavoro (Isfol 2005).
Le linee guida fornite dall’Unione Europea mirano ad una progressiva “attivazione delle politiche
passive” (Isfol 2005) ovvero auspicano a creare un sistema virtuoso in cui le prestazioni di
sussidio siano accompagnata da una partecipazione del lavoratore a misure di politica attiva
come, ad esempio, corsi di formazione o partecipazione a programmi specifici di (re)inserimento
lavorativo. Emblematici, in tale contesto, sono il sistema di Job Centre Plus5 del Regno Unito, la
5 Jobcentre Plus è un ente governativo inglese che supporta le persone in età da lavoro a trovare impiego e a uscire dall’assistenzialismo concesso loro dal sistema di welfare. Tale ente è parte del Dipartimento per il lavoro e le pensioni (DWP, Department for
Work and Pensions) e mira a promuovere l’idea che il lavoro costituisca oggi la forma migliore di welfare. Nello specifico supporta
le persone economicamente inattive a trovare un’occupazione, fornisce servizi di alta adeguati alle richieste delle imprese in moda
da combinare efficacemente i posti vacanti e le professionalità in cerca di occupazione, aiuta le persone che faticano a entrare/
rientrare nel mondo del lavoro a migliorare le proprie competenze così da poter competere efficacemente nel mercato del lavoro e,
infine, si assicura che le persone che ricevono sussidi si assumano le proprie responsabilità e partecipino attivamente nella ricerca
di un nuovo impiego.
16
rete olandese dei Centres for Work and Income6 e, infine, l’esperienza tedesca che sta procedendo ad accorpare gli uffici di collocamento alle strutture di gestione delle forme di sicurezza
ed assistenza sociale.
1.2. Le politiche del lavoro in Italia
Il mercato del lavoro italiano è stato per anni caratterizzato da condizioni di strutturale difficoltà, soprattutto dopo la crisi subita nei primi anni novanta. L’Italia era, infatti, il Paese europeo con il più basso tasso di occupazione generale e femminile in particolare, il più alto livello
di disoccupazione di lungo periodo, il più marcato divario territoriale. Nell’ambito del processo
di Lussemburgo del 1997, l’Unione Europea ha rivolto una serie di raccomandazioni al nostro
Paese sottolineando l’insufficienza delle politiche fin lì attuate e la mancanza di interventi in
grado di migliorare sostanzialmente le caratteristiche del suo mercato del lavoro.
In tale contesto, si è assistito ad un’evoluzione dello scenario normativo ed istituzionale del
mercato del lavoro all’insegna della flessibilizzazione e mobilizzazione della forza lavoro, allo
scopo di rendere tale fattore produttivo maggiormente reattivo ed adattabile alle oscillazioni
cicliche del mercato. Le flessibilità introdotte a partire dal 1997 (pacchetto Treu) hanno consentito una prima inversione di tendenza. Tuttavia i mutamenti avvenuti nell’ultimo trentennio a
livello economico, culturale e sociale hanno progressivamente modificato il lavoro e il funzionamento del mercato ove questo “bene” è scambiato. Alla maggiore flessibilità in entrata non è
corrisposto un riequilibrio della regolamentazione del mercato del lavoro e il mancato passaggio
da una tutela centrata sul rapporto di lavoro in essere ad un regime di tutele garantite a tutti i
cittadini, indipendentemente dalla loro condizione occupazionale, ha determinato l’aggravarsi
di situazioni di vulnerabilità per alcune fasce di popolazione considerate meno appetibili dal
mercato stesso per età, genere, competenze possedute ecc.
Per favorire l’inclusione lavorativa di questi soggetti e supportare gli individui nei momenti di
difficoltà occupazionale, il sistema di welfare interviene attraverso misure, strumenti e servizi
definiti di politica del mercato del lavoro. Nel nostro Paese si parla comunemente di “politiche
del lavoro” per intendere tutte quelle misure e azioni finalizzate a sostenere i lavoratori in difficoltà occupazionale, ovvero quei soggetti che faticano a entrare o rientrare nel mercato del lavoro.
In questo ambito rientrano le seguenti misure:
• gli strumenti di sostegno al reddito che lo Stato garantisce in caso di impossibilità a lavorare (disoccupazione, infortunio, malattia, ecc.);
• i servizi e le misure volte a migliorare il funzionamento del mercato del lavoro in termini di
6 I CWI (Centre for Work and Income) olandesi, aiutano le persone in cerca di lavoro a trovare i lavoro loro più appropriato fornendo
consigli, informazioni e servizi di supporto volti a favorire la crescita personale e professionale del lavoratore. Attraverso una vasta
rete di partners e di uffici di collocamento (provvisori), schedano in un unico database ondine la maggior parte dei posti vacanti
così da rendere più agevole la ricerca di un posto di lavoro e da semplificare l’incontro tra domanda e offerta,
17
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
incontro tra domanda e offerta di lavoro;
• gli interventi finalizzati a migliorare le chance occupazionali della popolazione e, più in
particolare, delle fasce deboli del mercato del lavoro.
Tutte le misure volte a sostenere il reddito della persona che perde involontariamente il lavoro
per sostenerla economicamente nel periodo di disoccupazione e di ricerca di un nuovo impiego
rientrano, come già anticipato, tra gli strumenti di politica passiva. In questo ambito rientrano
i cosiddetti ammortizzatori sociali che comprendono, nell’attuale assetto normativo, l’indennità
di disoccupazione, la Cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, la mobilità e i
contratti di solidarietà (di seguito approfonditi).
Le misure volte ad incidere sul funzionamento del mercato del lavoro e che agiscono sull’occupabilità del lavoratore e sulla sua capacità di ricercare lavoro vengono, invece, chiamate politiche attive e comprendono (Cortellazzi, Spreafico 2004; Paci 2005):
• i servizi per l’impiego finalizzati a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro;
• l’orientamento;
• i tirocini formativi e di inserimento lavorativo;
• la riqualificazione professionale;
• la formazione continua;
• le misure di incentivazione del lavoro, come per esempio i crediti fiscali, gli sgravi contributivi, gli schemi di lavoro sovvenzionato (i cosiddetti in-work benefits), la riconversione dei
sussidi di disoccupazioni in sussidi all’occupazione;
• i programmi di inserimento lavorativo.
Fino alla seconda metà degli anni novanta il mercato del lavoro nel nostro Paese poggiava su
un sistema centralizzato, gestito a livello statale e le politiche del lavoro consistevano nell’erogazione di sussidi al reddito, nella definizione di regole per l’equa distribuzione delle opportunità
di lavoro e nell’introduzione di sgravi fiscali per le assunzioni di particolari categorie di soggetti.
Sul territorio, coordinati dal Ministero del lavoro, operavano gli uffici di collocamento con funzioni amministrative legate per lo più alla registrazione dei movimenti (assunzioni, cessazioni,
proroghe, trasformazioni) comunicati dalle imprese7. Nel caso di perdita dell’occupazione, il
lavoratore si iscriveva nelle liste di collocamento e percepiva, per un periodo di tempo limitato,
un sussidio monetario che andava a compensare la perdita economica dovuta alla disoccupazione.
Le riforme avviate negli anni novanta e che realizzano le indicazioni provenienti dall’Unione
7 La normativa sul collocamento trae le proprie origini nella Legge 264/1949 che prevedeva per i lavoratori l’obbligo di iscrizione
alle strutture pubbliche di collocamento e per i datori di lavoro in cerca di manodopera di rivolgere le richieste alle stesse strutture.
Il sistema prevedeva la chiamata numerica, con limitate possibilità per il datore di lavoro di scegliere la persona da assumere. Nel
corso degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta sono state introdotte le prime importanti modifiche al sistema del collocamento:
la legge 223/1991 ha previsto la possibilità di assunzione diretta da parte dell’impresa, con l’obbligo di comunicare l’avvenuta
assunzione nei giorni successivi alla struttura pubblica competente. Per approfondimenti sulla normativa vigente prima delle riforme degli anni novanta, si veda Tursi A., Varesi P., Lineamenti di diritto del lavoro, Kluwer Ipsoa, 2004.
18
Europea contemplano un insieme articolato di misure e strumenti volti a rendere più efficiente
il funzionamento del mercato del lavoro adeguando le caratteristiche dell’offerta alle richieste
della domanda, facilitandone in tal modo l’incontro, migliorando l’accesso all’occupazione per
le categorie più svantaggiate ed, infine, ottimizzando l’allocazione delle risorse e del capitale
umano (Isfol 2005). A partire dalle politiche adottate nel 1997 con il Joint Employment Report
della Commissione europea e i successivi round di Employment Guidelines adottate dal Consiglio, in tutti i Paesi europei si assiste ad un’evoluzione delle azioni finalizzate ad agevolare la
reintegrazione professionale dei disoccupati, che va nella direzione della promozione di interventi di politica attiva (Isfol 2005).
Quanto detto evidenzia il ruolo centrale dell’Unione Europea nella definizione e nel sostegno alle
politiche attive del lavoro che viene realizzato promuovendo la progressiva convergenza delle
politiche del lavoro nazionali verso gli orientamenti comunitari, secondo il metodo di “coordinamento aperto” che lascia una certa discrezionalità circa le modalità di attuazione degli interventi tesi a perseguire gli obiettivi prestabiliti nel proprio National Action Plan e coerenti con gli
indirizzi indicati nelle guidelines europee.
Parallelamente alla promozione delle politiche attive, l’Unione Europea spinge gli Satti membri
al decentramento del potere di definizione e di gestione degli interventi di politica del lavoro dal
livello statale a quello regionale e provinciale. Tale processo, in Italia, ha portato alla trasformazione dei vecchi centri di collocamento in centri per l’impiego, strutture gestite dalle Province
che, oltre alle consolidate competenze amministrative, offrono servizi di informazione, orientamento, ecc. per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Come è possibile evincere
dalla tabella 2, le principali innovazioni introdotte dalle riforme varate nel corso dell’ultimo
decennio (1997-2007) sulla base delle linee guida sancite a livello comunitario concernono la
ridefinizione dei ruoli e delle competenze dei soggetti che operano nell’ambito delle politiche
formative e del lavoro e comportano due conseguenze:
• il decentramento delle competenze dallo Stato alle Regioni e alle Province;
• l’apertura del mercato agli operatori privati.
TABELLA 2. Principali tappe della normativa che regola le politiche per il lavoro
D.lgs. 469/1997 e successivi
decreti attuativi:
• Conferisce alle Regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di politica del
lavoro;
• Supera il “monopolio pubblico” dei servizi all’impiego*: le Regioni sono investite di un ruolo
di programmazione, coordinamento, valutazione e controllo, mentre la parte più operativa
legata alle politiche attive del lavoro può essere delegata, su iniziativa regionale, alle
Province;
• Concede a soggetti privati autorizzati dal Ministero la possibilità di svolgere attività di
mediazione domanda-offerta, di ricerca e selezione di personale e di outplacement.
19
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Legge 196/1997 e successivi
decreti applicativi (Pacchetto
Treu)
Legge 68/1999
D.lgs. 181/2000, così
come modificato dal d.lgs.
297/2002
Legge costituzionale 3/2001
Legge 388/2000
Legge 30/2003 e D.lgs.
276/2003:
• Introduce il lavoro temporaneo (o interinale);
• Concede alle agenzie private di svolgere una speciale funzione di intermediazione di manodopera;
• Introduce novità sul fronte dell’apprendistato e della formazione professionale in generale
connotando la formazione come politica attiva del lavoro finalizzata a incrementare l’occupabilità dei lavoratori e, di conseguenza, la competitività delle imprese.
• Favorisce l’inserimento e l’integrazione lavorativa dei soggetti con disabilità;
• Rivede gli obblighi di assunzione da parte delle imprese, (un lavoratore per aziende con
15-35 dipendenti; due lavoratori per imprese con 36-50 dipendenti; il 7% dei lavoratori
occupati per imprese con più di 50 dipendenti).
• Stabilisce che i centri per l’impiego devono garantire alcuni servizi ai soggetti individuati
quali categorie di riferimento (adolescenti, giovani, inoccupati e disoccupati di lunga durata, donne in reinserimento lavorativo);
• Introduce l’obbligo per i lavoratori in stato di disoccupazione di dimostrare l’involontarietà
della loro condizione e ricercare attivamente un nuovo impiego.
• Ridefinisce le competenze tra Stato, Regioni e enti locali anche in materia di lavoro.
• Istituisce i Fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua, per il finanziamento di piani formativi aziendali, settoriali, territoriali o individuali.
• Introduce nuove tipologie contrattuali con livelli di flessibilità maggiore anche per rispondere alle trasformazioni avvenute nel corso dell’ultimo decennio;
• Amplia gli spazi e le opportunità per i soggetti pubblici (diversi dai centri per l’impiego
provinciali) e privati di offrire servizi in grado di favorire l’incrocio domanda-offerta.
* Il superamento del monopolio pubblico dei servizi per l’impiego, vigente in Italia fino al 1997, è stato “accelerato”, dopo la fase di concertazione che
ha portato al Patto per il lavoro del settembre 1996, dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che ha dichiarato l’incompatibilità
del monopolio pubblico del collocamento rispetto alla normativa comunitaria e ha prefigurato il pericolo di “abuso di posizione dominante” da parte
dello Stato italiano (si veda sentenza Corte di giustizia CE 11 dicembre 1997, causa C-55/96).
Fonte: nostra elaborazione
CONSEGUENZA 1 - Decentramento delle competenze dallo Stato alle Regioni e alle Province
La legge 59 del 1997 e il successivo decreto legislativo 469/1997 hanno attribuito alle Regioni
e agli enti locali le funzioni e i compiti in materia di politica del lavoro, facendo rientrare in
questa delega il collocamento e l’avviamento al lavoro, i servizi per l’impiego, le politiche attive
del lavoro e l’espressione di pareri in materia di esuberi temporanei e strutturali di personale.
In tal modo si assegnano alle Regioni le funzioni di programmazione, di coordinamento, di valutazione e di controllo, lasciando la possibilità, peraltro “suggerita” dal decreto, di attuare
questi nuovi compiti delegando alle Province il ruolo di gestione operativa. Con il decreto, poi,
nascono la Commissione regionale permanente tripartita e la Commissione tripartita provinciale
per le politiche del lavoro, in cui siedono i rappresentanti delle parti sociali e delle istituzioni (la
Regione nel primo caso e la Provincia nel secondo).
Con la riforma del Titolo V della Costituzione vengono, inoltre, ripartite le competenze legislative
di Stato e Regioni e, in riferimento alle politiche del lavoro, la riforma attribuisce alle Regioni la
competenza legislativa, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dalla legislazione nazionale, della “tutela e sicurezza del lavoro”, della “previdenza complementare ed integrativa” e
delle “professioni”.
20
Queste riforme, insieme al processo di costituzione e sviluppo della Comunità europea, hanno
determinato un quadro di riferimento istituzionale in materia di politiche del lavoro complesso
e al cui interno operano, a diverso titolo e con diverse competenze i seguenti attori (tabella 3).
• L’Unione Europea che, attraverso i suoi diversi organi, analizza le dinamiche dei diversi
Stati membri e individua gli obiettivi comuni e specifici da perseguire e le strategie macro
da adottare, promuovendo lo scambio di buone prassi e sostenendo finanziariamente i progetti, le azioni di sistema, ecc.
• Lo Stato Italiano e, in primis, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale che definiscono il quadro normativo, la programmazione generale e le linee d’azione per tradurre in
pratica gli obiettivi individuati a livello comunitario e che, stando all’attuale normativa,
intervengono in alcune azioni di politiche passive, autorizzando, ad esempio, la concessione
della Cassa integrazione guadagni straordinaria.
• Le Regioni che, a seguito delle riforme attuate, si occupano della definizione degli interventi
di politica del lavoro e che intervengono, accanto al Ministero del lavoro, dando il proprio
“parere” sulla Cassa integrazione guadagni straordinaria e approvando le liste di mobilità.
• Le Province cui, in base al decreto 469 del 1997, viene attribuita la gestione degli ex uffici
di collocamento ministeriali e a cui le Regioni possono delegare la gestione operativa delle
politiche del lavoro con l’obiettivo di promuovere sul territorio interventi di orientamento, di
riqualificazione, di accompagnamento al lavoro.
TABELLA 3. I livelli istituzionali di intervento in materia di politica del mercato del lavoro
LIVELLO DI
INTERVENTO
ATTIVITÀ E RUOLO
Comunitario
• Linee di indirizzo, coordinamento, buone prassi, definizione
obiettivi
• Distribuzione finanziamenti fondi strutturali, gestione risorse
programmi comunitari
Stati membri
Regioni
Statale/ministeriale
• Quadro normativo, linee guida, Piano nazionale di riforma,
gestione politiche passive
Regioni, Province
Regionale
• Quadro normativo regionale su collocamento, servizi all’impiego e politiche del lavoro, programmazione regionale
• Politiche passive
Province
Provinciale
• Programmazione provinciale, gestione servizi pubblici per
l’impiego, interventi di politica attiva del lavoro
Cittadini, imprese, associazioni di
categoria e organizzazioni
Sindacali
DESTINATARI/PARTNER
Fonte: nostra elaborazione.
21
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
CONSEGUENZA 2 - Apertura del mercato agli operatori privati
Le riforme dell’ultimo decennio hanno, inoltre, ampliato la gamma di soggetti che hanno la
possibilità di operare nel mercato del lavoro, includendo al contempo soggetti pubblici e privati.
Le principali innovazioni in questo ambito sono state introdotte nel 1997 con la legge Treu (legge
196/1997) che, al fine di favorire l’inserimento graduale dei lavoratori più deboli del mercato
del lavoro, istituisce il lavoro temporaneo (detto anche interinale) e stabilisce la possibilità per
le agenzie private, denominate agenzie interinali o di lavoro temporaneo, di svolgere la funzione
di intermediazione di manodopera, e successivamente con la riforma Biagi (Legge 30/2003 e
D.lgs. 276/2003) che allarga la rete dei servizi per l’impiego e disegna un sistema aperto in cui
sono autorizzate ad agire strutture pubbliche, private e del privato-sociale.
Le trasformazioni introdotte dalla leggi Biagi toccano:
• la trasformazione delle agenzie interinali o di lavoro temporaneo in agenzie per il lavoro
ovvero in soggetti privati che possono operare, previa autorizzazione ministeriale e/o accreditamento regionale, nella somministrazione, nell’intermediazione, nella ricerca e selezione
del personale e nel supporto alla ricollocazione professionale;
• la concessione della possibilità di svolgere attività di intermediazione a Università pubbliche e private, Fondazioni universitarie, Comuni, Camere di commercio, scuole secondarie di
secondo grado, associazioni dei datori di lavoro e i sindacati, enti bilaterali e consulenti del
lavoro;
• la concessione della possibilità di svolgere attività di intermediazione anche ad aziende
operanti nel settore nonprofit. Nello specifico la riforma Biagi (art. 14, d.lgs. 276/2003), in
questa direzione, ha previsto la possibilità per le aziende assoggettate agli obblighi della
legge 68/1999, in tema di collocamento mirato dei disabili, di adempiere a quanto prescritto
dalla normativa attraverso convenzioni con cooperative sociali di tipo B che prevedono l’inserimento lavorativo di disabili presso le loro strutture.
Le “nuove” politiche del mercato del lavoro, inoltre, sono giocate a livello territoriale, con la
partecipazione di una pluralità di attori e reti che, a vario titolo, concertano e condividono
obiettivi, metodologie, definizione dei destinatari e degli interventi.
TABELLA 4. Gli operatori delle politiche del lavoro in Italia
ATTORI
Centri
per l’impiego
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ATTIVITÀ
•
•
•
•
•
•
•
•
Certificazione stato di disoccupazione
Accoglienza e informazione
Orientamento
Promozione all’inserimento lavorativo
Mediazione incontro domanda e offerta di lavoro
Consulenza alle imprese
Diffusione delle informazioni sui servizi e le offerte di lavoro
Attività di sostegno all’obbligo formativo
DESTINATARI
Lavoratori (occupati, disoccupati, inoccupati)
Imprese
Agenzie private
per il lavoro
Previa autorizzazione:
• Somministrazione
• Intermediazione
• Ricerca e selezione di personale
• Supporto alla ricollocazione professionale
Cooperative sociali
(di tipo B)
• Attività produttive finalizzate all’inserimento nel mondo del
lavoro dei cosiddetti soggetti svantaggiati
Centri di formazione
professionale
Università,scuole
secondarie
Parti sociali
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Consulenti del lavoro
Comuni/Comunità
montane
Camere di commercio
•
•
•
•
Orientamento
Formazione professionale
Riqualificazione
Formazione continua
Promozione di tirocini e altre attività di placement
Previa autorizzazione a requisiti ridotti: intermediazione di manodopera
Dialogo imprese-lavoratori
Gestione trattative crisi aziendali
Concertazione con livelli politici per definire gli interventi di
politica attiva del lavoro
Previa autorizzazione a requisiti ridotti: intermediazione di manodopera
Informazioni alle imprese
Previa autorizzazione a requisiti ridotti: intermediazione di manodopera
Previa autorizzazione a requisiti ridotti: intermediazione di
manodopera
Previa autorizzazione a requisiti ridotti: intermediazione di
manodopera
Lavoratori (occupati, disoccupati, inoccupati)
Imprese
Lav. svantaggiati:
disabili fisici e psichici, ragazze
madri, ex detenuti, ex tossicodipendenti ecc.
Soggetti in DDIF, diplomati,
laureati, lavoratori occupati e
disoccupati, imprese
Lavoratori (inoccupati)
e imprese
Lavoratori e imprese
Lavoratori e imprese
Lavoratori e imprese
Lavoratori e imprese
Fonte: nostra elaborazione.
Per rispondere ai bisogni del territorio diventano cruciali i momenti di incontro tra i diversi attori
che operano sullo stesso (Spreafico 2008). Uno di questi tavoli di confronto è quello delle Commissioni regionali e provinciali per le politiche del lavoro il cui obiettivo è favorire il dialogo tra
le parti sociali e individuare linee di indirizzo comuni per definire gli interventi da attuare nel
mercato del lavoro locale. In questa sede Regione, Provincia, associazioni datoriali e organizzazioni sindacali le caratteristiche specifiche delle azioni talvolta coinvolgendo, soprattutto per i
casi di crisi settoriale, territoriale o aziendale tutti quei soggetti che intrattengo un rapporto
stretto con il territorio come le associazioni nonprofit, gli enti di formazione, i Comuni, le Comunità montane, gli Informagiovani, ecc., In seguito alle riforme varate nel decennio 1997-2007
nel nostro Paese si è delineato un modello di intervento in cui coesistono due anime opposte,
complementari ma non inconciliabili. Da una parte c’è l’assistenza economica ai soggetti in
difficoltà occupazionale e dall’altra ci sono i servizi e le misure utili al reinserimento lavorativo.
Nel nostro ordinamento si è, infatti, cercato di dare attuazione al diritto al lavoro, principio
23
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
sancito dall’art. 4 della Costituzione (art. 4: «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto
al lavoro promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto»), attraverso una duplice
tipologia di interventi: interventi volti alla conservazione dei livelli occupazionali e interventi
contro la disoccupazione.
Se, come già ricordato, nel primo tipo di interventi, detti anche di politica passiva, vanno collocate tutte le misure volte alla conservazione dei livelli occupazionali già esistenti, gli interventi
di interventi di politica attiva, comprendono quegli istituti e quelle misure rivolte a favorire o ad
aumentare l’occupazione, come la formazione professionale e continua; le forme contrattuali
che favoriscono la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, l’orientamento e le azioni di accompagnamento al lavoro/outplacement. In questa tipologia di interventi rientrano anche, collocati su un piano più generale, tutti quegli interventi di sgravio contributivo per le imprese che
assumono nuovi lavoratori ed interventi di cd. “fiscalizzazione degli oneri sociali”.
Nei prossimi paragrafi si approfondiranno i principali interventi, attivi e passivi, previsti all’interno del modello italiano di intervento e si cercherà di individuare pregi e difetti, potenzialità
e limiti, di ciascuno di essi. Per quanto concerne gli interventi di politica passiva saranno analizzati nel dettaglio gli ammortizzatori sociali mentre, tra le misure e i servizi di politica attiva,
ci si soffermerà sul ruolo centrale rivestito dalla formazione e dai servizi per l’impiego.
1.3. Il supporto agli individui in difficoltà occupazionale
L’insieme delle misure di sostegno al reddito, sia quando sono rivolte a lavoratori che perdono
involontariamente il posto di lavoro e hanno lo scopo di supportarlo economicamente nel periodo
di ricerca di un nuovo impiego sia quando, più semplicemente, si rivolgono ad individui che
versano in condizioni di estrema povertà, sono detti “ammortizzatori sociali”.
Nella maggioranza dei Paesi Europei il sistema degli ammortizzatori sociali per la protezione
della disoccupazione è organizzato su tre “pilastri”(Isfol 2005):
• un pilastro assicurativo che eroga prestazioni a fronte di versamenti contributivi e per durate massime prestabilite;
• un pilastro assistenziale “dedicato” che eroga prestazioni in base a requisiti di reddito e che
interviene nel caso in cui il lavoratore disoccupato non abbia accesso al primo pilastro oppure, pur perdurando lo stato di disoccupazione, abbia esaurito le spettanze contributive;
• un pilastro assistenziale “generale” che fornisce qualche forma di reddito minimo garantito
a chi si trova in condizioni di povertà, in base a stringenti requisiti di reddito e patrimonio.
L’erogazione di sussidi al reddito nel caso di perdita del posto di lavoro è correlata a precise
condizioni e doveri del lavoratore il mancato assolvimento delle quali comporta la perdita dei
trattamenti di integrazione al reddito o di disoccupazione. Così come stabilito dalla legge
291/2004, i soggetti percettori di misure si sostegno al reddito (indennità di disoccupazione,
mobilità o Cassa integrazione guadagni straordinaria) devono:
• aderire ad un’offerta formativa o di riqualificazione;
• accettare l’offerta di lavoro “congrua”, vale a dire con un inquadramento in un livello retri-
24
butivo non inferiore del 20% rispetto a quello di provenienza; in un luogo che non dista più
di 50 chilometri dalla residenza del lavoratore o, comunque, raggiungibile mediamente in
80 minuti con i mezzi di trasporto pubblici;
• essere avviato ad un percorso di reinserimento o inserimento nel mercato del lavoro, così
come previsto anche dall’art. 13 del d.lgs. 276/2003.
Perché il modello funzioni occorre, quindi, una stretta corrispondenza tra diritti e doveri dei
lavoratori che, se percepiscono un sussidio al reddito, devono ricercare attivamente una nuova
occupazione, anche attraverso il supporto dei servizi autorizzati per la formazione e l’impiego.
Infatti, come accennato in precedenza, le prestazioni erogate in caso di disoccupazione determinano effetti controversi sul mercato del lavoro conosciuti come “trappole della disoccupazione” (Isfol 2005). Tale termine descrive la situazione in cui «il lavoratore, percependo
un’indennità di disoccupazione prossima (o superiore) a quanto l’individuo si attende di poter
guadagnare da un impiego, è disincentivato (o non è incentivato) alla ricerca di nuova occupazione» (Isfol 2005: 21).
A determinare un effetto disincentivante, può contribuire sia l’entità della prestazione erogata
sia la durata dell’erogazione di tale prestazione. L’attesa inattiva, soprattutto se prolungata nel
tempo, rischia, di innescare una seconda trappola ovvero contribuisce alla progressiva riduzione
delle chance occupazionali del lavoratore le cui competenze, con il trascorrere del tempo, risultano sempre meno aggiornate e qualificate.
Poiché i beneficiari delle indennità di disoccupazione, potendo contare su tale erogazione, sono
disincentivati alla ricerca di un lavoro, l’aspetto che determina il successo delle politiche del
lavoro risiede nell’attivazione del soggetto alla ricerca di lavoro ovvero nella capacità delle
politiche stesse di ribaltare il potenziale atteggiamento passivo dell’individuo. In tal contesto
si evidenzia il ruolo dei Servizi per l’impiego nel predisporre programmi individualizzati e servizi
personalizzati che supportano il disoccupato, ne definiscono il profilo di lavoratore e lo aiutano
a pianificare il reinserimento al lavoro, cercando di individuare da un lato le offerte di impiego
a lui più adatte e dall’altro spingendolo anche ad una ricerca autonoma.
1.3.1. Il sistema degli ammortizzatori sociali
Il sistema degli ammortizzatori sociali in Italia prevede una serie di istituti volti a garantire un
reddito in caso di perdita involontaria del posto di lavoro o di riduzione parziale o temporanea
dell’attività lavorativa legata a condizioni particolari dell’impresa di appartenenza. Le indennità
si differenziano in termini di durata, generosità e condizioni a seconda del tipo di licenziamento
(individuale o collettivo), delle dimensioni dell’azienda, dell’età del lavoratore, ecc.
Le principali forme di ammortizzatore sociale sono: l’indennità di disoccupazione, la mobilità,
la cassa integrazione guadagni e i contratti di solidarietà. Nelle pagine successive saranno
delineate le caratteristiche distintive di ciascuna delle forme sopra elencate con particolare
riferimento alle trasformazioni introdotte dalle riforme più recenti. Lo scorso dicembre, infatti,
con l’emanazione della Legge Finanziaria (Legge 24 dicembre 2007 n. 247) e la conseguente
25
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
approvazione delle disposizioni che recepiscono i contenuti del Protocollo sul Welfare siglato il
23 luglio 2007 dal Governo e dalle parti sociali, sono stati fissati alcuni criteri per la riforma del
mercato del lavoro e della previdenza sociale e sono stati altresì delineati interventi immediati
in materia di ammortizzatori sociali.
In sintesi gli interventi introdotti con la finanziaria 2008 mirano ad aumentare il periodo ammortizzato durante il quale un lavoratore che ha perso il lavoro cerca un’ulteriore occupazione
e a fissare un aumento più consistente per i lavoratori con età più elevata perché, statisticamente, sono quelli che impiegano di più per trovare un’ulteriore occupazione; aumentare l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti con profilo che incentivi i contratti a termine più
lunghi; incrementare la copertura previdenziale mediante il riconoscimento di contributi figurativi correlati alla retribuzione di riferimento piena e non solo all’indennità percepita. Quanto agli
interventi in materia di connessione tra ammortizzatori sociali e politiche attive per il lavoro
finalizzate a costruire nuove modalità di occupazione si prevede di potenziare i Servizi per l’Impiego collegando l’erogazione delle prestazioni di disoccupazione a percorsi di formazione e di
inserimento lavorativo (Protocollo sul Welfare siglato il 23 luglio 2007)
L’INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE
L’indennità ordinaria di disoccupazione8 spetta ai lavoratori assicurati contro la disoccupazione
involontaria che sono stati licenziati o che si sono dimessi volontariamente per giusta causa.
Possono percepire questo sussidio i lavoratori con almeno due anni di assicurazione per la disoccupazione involontaria e almeno 52 contributi settimanali nel biennio precedente la data di
cessazione del rapporto di lavoro (requisiti pieni).
Nel corso del tempo questo ammortizzatore sociale è stato spesso oggetto di riforma con lo
scopo di migliorare si la durata della copertura previdenziale sia l’importo dell’indennità di
disoccupazione stessa9. Attualmente la durata dell’indennità di disoccupazione ordinaria, così
come fissata dalla legge finanziaria dello scorso dicembre (Legge 24 dicembre 2007 n. 247) è
pari a 8 mesi per i lavoratori al di sotto dei 50 anni di età e a 12 mesi per i lavoratori ultracinquantenni e l’importo relativo è pari al 60% dell’ultima retribuzione per i primi sei mesi, al 50%
8 Accanto all’indennità ordinaria di disoccupazione, la normativa prevede: l’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti, per
coloro che hanno lavorato nell’anno precedente la cessazione per almeno 78 giorni lavorativi e che hanno versato almeno un contributo settimanale prima del biennio precedente l’anno di richiesta di indennità; l’indennità ordinaria di disoccupazione per gli
operati agricoli, con un versamento di almeno 102 contributi giornalieri nel biennio precedente la domanda di indennità; il trattamento speciale per gli operai agricoli; il trattamento speciale a favore dei lavoratori delle imprese edili, con almeno 10 contributi
mensili o 43 settimanali. Per approfondimenti si veda http://www.inps.it
9 Negli anni novanta il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale ha elevato la durata dell’indennità a 7 mesi per i lavoratori
di età inferiore a 50 anni e a 10 mesi per gli ultra cinquantenni. Anche il valore dell’indennità è stato progressivamente incrementato: nel 1993 il tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra indennità di disoccupazione e retribuzione, era pari al 25%, nel 1995 è
stato ridefinito al 30%, per poi arrivare al 40% nel 2000. Nel 2007, invece, il disoccupato riceveva il 50% della retribuzione percepita nei tre mesi precedenti la cessazione per i primi sei mesi; per i lavoratori con meno di 50 anni, poi, l’indennità è ridotta al 40%
nel settimo e ultimo mese, mentre per gli over 50, dal 50% passa al 40% nel settimo e ottavo mese, per poi ridursi al 30% negli
altri mesi.
26
per il settimo e per l’ottavo mese, al 40% per gli altri mesi. Ciò vale per tutti i lavoratori ad
eccezione di coloro che risultano titolari di redditi medio- elevati. In questi casi restano validi i
tetti previsti dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale per l’anno 2007 che fissava
l’importo relativo dell’indennità di disoccupazione al 50% dell’ultima retribuzione per i primi sei
mesi, al 40% per il settimo e per l’ottavo mese e al 30% per gli altri mesi.
I lavoratori che non possono far valere 52 contributi settimanali negli ultimi due anni e hanno
lavorato per almeno 78 giornate nell’anno precedente, hanno diritto all’indennità ordinaria di
disoccupazione con i requisiti ridotti. In base alla legge 247/2007 «la percentuale di commisurazione alla retribuzione dell’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti ridotti passa
dal 30 al 35% per i primi 120 giorni ed al 40% per i successivi, fino a un massimo di 180
giorni». L’indennità spetta quando il lavoratore può far valere o un’anzianità assicurativa per
la disoccupazione da almeno due anni (deve possedere, cioè, almeno un contributo settimanale
versato prima del biennio precedente l’anno nel quale viene chiesta l’indennità) o almeno 78
giornate di lavoro, ivi comprese le festività e le giornate di assenza indennizzate per malattia,
maternità ecc., nell’anno precedente. Poiché tale indennità, solitamente, viene richiesta dai
lavoratori dipendenti precari, l’elevazione mira ad aiutare i lavoratori più giovani, che maggiormente faticano a trovare un impiego stabile, e certe categorie di lavoratori che restano precari
per molti anni della loro carriera.
Infine, la finanziaria 2008 riconosce ai lavoratori sospesi dal lavoro (es.: settore termale, alberghiero, ecc) la possibilità di vedere aumentate le giornate indennizzate con la disoccupazione
ordinaria, sia a requisiti ridotti che normali, da un precedente limite massimo di 65 giorni annui,
a un limite maggiore che sarà individuato in base ad intese stipulate in sede istituzionale territoriale tra le parti sociali.
L’INDENNITÀ DI MOBILITÀ
L’indennità di mobilità è una prestazione di disoccupazione che viene riconosciuta ai lavoratori
che abbiano perduto il posto di lavoro a seguito di licenziamento collettivo dovuto alla riduzione
del personale, alla trasformazione del lavoro o alla cessazione dell’attività da parte dell’azienda
e che risultino iscritti nelle liste di mobilità.
Questa prestazione, introdotta e disciplinata con la legge 223 del 1991, concerne i licenziamenti
che coinvolgono almeno 5 dipendenti in imprese con più di 15 lavoratori e si rivolge ai soggetti
con un’anzianità aziendale di almeno 12 mesi (di cui 6 mesi di lavoro effettivamente prestato),
per un periodo che varia, a seconda dell’età del lavoratore, da un minimo di un anno ad un
massimo di tre anni10. La medesima legge stabilisce che tale indennità, per i primi dodici mesi,
è pari al trattamento di integrazione salariale straordinario che hanno o avrebbero ottenuto
10 L’indennità di mobilità dura 12 mesi per i lavoratori fino a 39 anni; 24 mesi per coloro con un’età compresa tra i 40 e i 49 anni;
36 mesi per gli over 50. Nel Mezzogiorno, la durata è raddoppiata e varia da un minimo di 24 mesi a un massimo di 48 mesi.
L’indennità di mobilità non può comunque essere corrisposta per un periodo superiore all’anzianità maturata alle dipendenze dell’impresa che ha attivato la procedura stessa (art. 7, comma 4, legge 223/91).
27
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
(quindi l’80% della retribuzione percepita), mentre per i successivi ed eventuali due anni è pari
all’80% dell’integrazione salariale. È una prestazione che ha una durata più lunga delle altre
prestazioni di disoccupazione e che, prevedendo alcuni benefici (sgravi contributivi) in favore
delle aziende che intendono assumere dalle liste di mobilità i lavoratori iscritti, facilita la mobilità dei lavoratori da un’azienda ad un’altra.
La normativa non prevede, invece, l’indennità di mobilità a favore dei lavoratori licenziati per
giustificato motivo oggettivo per le imprese con meno di 15 dipendenti. Questi lavoratori hanno,
comunque, il diritto di essere inseriti in un’apposita lista (definita la “piccola mobilità”) che
sancisce convenienze contributive per le aziende in caso di assunzione ma sono destinatari di
misure che rientrano nella semplice disoccupazione ordinaria.
CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI
Una tutela senza eguali in Europa ma prevista dal nostro sistema di ammortizzatori sociali è
rappresentata dalla Cassa integrazione guadagni. Con questo termine, nell’esperienza legislativa italiana, ci si riferisce all’istituto delle integrazioni salariali a tutela del lavoratore per
perdita del guadagno in caso di sospensione o di riduzione dell’attività lavorative, per effetto di
impedimenti insorti nella sfera di esercizio dell’impresa. La Cassa Integrazione Guadagni, istituita col contratto collettivo del 13 giugno 1941 per esigenze di guerra, fu istituzionalizzata con
il d.lgs. C.p.S. 12/8/1947 n. 869, con la funzione di integrare la retribuzione degli operai dell’industria in caso di difficoltà di breve o brevissimo periodo imputabili all’impresa e comunque
non dovute ad esuberanza di personale. L’evoluzione successiva della sua disciplina, ad opera
di un‘imponente ma spesso caotica produzione legislativa che tuttora non sembra definitivamente assestata, ha risposto ad esigenze di volta in volta diverse. Ad esempio, a partire dagli
anni settanta il suo carattere di misura straordinaria e transitoria passò in secondo piano.
Un vero e proprio inizio di riforma dell’istituto è stato portato a compimento dalla legge n. 223
del 23 luglio 1991. L’obiettivo di tale intervento legislativo era duplice: da un lato voleva riportare le integrazioni salariali alla loro finalità originaria di sostegno del reddito dei lavoratori, per
i quali, dopo un periodo di sospensione o di contrazione dell’attività produttiva, si proponeva la
piena ripresa del lavoro, dall’altro suggeriva adeguate misure di tutela, in termini di garanzia
del reddito e di creazione di opportunità occupazionali, per i lavoratori da considerare in numero
definitivamente eccedente il fabbisogno dell’impresa (c.d. lavoratori eccedentali) e per i quali
l’unica alternativa era il licenziamento. Secondo la normativa che attualmente regola questa
forma di tutela del reddito gli istituti di Cassa previsti sono due: la Cassa integrazione guadagni ordinaria e la Cassa integrazione guadagni straordinaria, a seconda del carattere della situazione di difficoltà dell’impresa. Nei casi in cui l’attività produttiva è ridotta o sospesa per
eventi di natura transitoria, interviene la Cassa integrazione guadagni ordinaria (Cigo) (d.lgs.
788/1945; legge 165/1975; legge 223/1991). Il ricorso alla Cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs), invece, è possibile in caso di ristrutturazione, riorganizzazione, conversione
aziendale, crisi aziendale, procedure concorsuali.
28
TABELLA 5. Schema riassuntivo CIGO e CIGS
CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI
ORDINARIA
STRAORDINARIA
DESTINATARI
Spetta agli operai, impiegati e quadri delle imprese industriali
in genere e delle imprese industriali e artigiane del settore
edile e lapideo, esclusi gli apprendisti, in caso di sospensione
o contrazione dell’attività produttiva per situazioni aziendali
dovute a:
• eventi temporanei e non imputabili all’imprenditore o ai
lavoratori;
• situazioni temporanee di mercato.
Spetta agli operai, impiegati e quadri, in caso di ristrutturazione, di riorganizzazione, di conversione, di crisi aziendale e
nei casi di procedure concorsuali, delle:
• imprese industriali anche edili, imprese appaltatrici di
servizi di mensa o ristorazione e dei servizi di pulizia. Esse
devono avere occupato più di 15 dipendenti nel semestre
precedente la presentazione della domanda;
• imprese commerciali, di spedizione e trasporto e agenzie
di viaggio e turismo che occupano più di 50 dipendenti,
esclusi gli apprendisti e gli assunti con contratto di formazione e lavoro;
• imprese di vigilanza.
IMPORTO
L’importo corrisponde all’80% della retribuzione globale che
sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate.
L’importo del trattamento ordinario non può però superare un limite massimo mensile stabilito di anno in
anno (per il 2008 è di ` 858,58 ed è elevato 1.031,93
in caso di retribuzione mensile superiore a ` 1.857,48).
Nel settore edile e lapideo, quando la CIG è stata determinata
da eventi metereologici, il limite è incrementato del 20% (per
il 2008 è di 1.030,30 ed è elevato a ` 1.238,32 in caso di
retribuzione mensile superiore a ` 1.857,48).
L’importo corrisponde all’80% della retribuzione globale che
sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non svolte.
L’importo del trattamento straordinario non può però superare
un limite massimo mensile (per il 2008 tale importo è di `
858,58; il limite è elevato a ` 1.031,93 in caso di retribuzione
mensile superiore a ` 1.857,48).
Tali importi sono ridotti di un’aliquota pari al 5,84%.
I periodi di Cassa integrazione guadagni sono utili per il diritto
e per la misura della pensione.
I periodi di Cassa integrazione guadagni sono utili per il diritto
e per la misura della pensione.
DURATA
La cassa integrazione può essere concessa per un massimo di
13 settimane, più eventuali proroghe fino a 12 mesi. In determinate aree territoriali il limite è elevato a 24 mesi.
Per le imprese edili e per quelle del settore lapideo la durata
massima, in caso di sospensione del lavoro, è di 13 settimane;
è di 52 settimane quando deriva da una riduzione dell’orario
di lavoro.
La Cassa integrazione straordinaria dura al massimo 12
mesi per le crisi aziendali, 24 mesi per la riorganizzazione,
ristrutturazione e riconversione aziendale, 18 mesi per i casi
di procedure esecutive concorsuali. Gli interventi ordinari e
straordinari non possono nel complesso superare 36 mesi in
un quinquennio. Sono peraltro intervenute varie disposizioni
di legge, anche a carattere transitorio, che hanno modificato i
limiti temporali suddetti.
Fonte: nostra elaborazione.
CONTRATTO DI SOLIDARIETÀ
Nel sistema di tutela dei lavoratori rientrano anche i contratti di solidarietà. Tali contratti intervengono sia nelle situazioni di crisi aziendale sia ne casi in cui l’azienda stia affrontando una
fase espansiva e comportano, in sostanza, una riduzione dell’orario di lavoro dei dipendenti e
contestualmente il versamento a favore degli stessi di un contributo, come misura di sostegno
29
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
al reddito. Vengono denominati difensivi o espansivi, a seconda che la riduzione d’orario serva
ad evitare in tutto o in parte il licenziamento, ovvero ad assumere personale nuovo. Poiché in
seguito alla riduzione dell’orario di lavoro i lavoratori vedono contestualmente ridotto il loro
compenso, i contratti difensivi prevedono un’integrazione salariale che compensa la parte di
retribuzione persa e una riduzione dei contributi previdenziali ed assistenziali a favore dei datori
di lavoro. Con i contratti di solidarietà espansivi all’impresa vengono concesse agevolazioni
contributive (Spreafico 2008).
Possono fare ricorso al contratto di solidarietà tutte le aziende rientranti nel campo di applicazione della disciplina in materia di cassa integrazione guadagni straordinaria, comprese le
aziende appaltatrici di servizi di mense e di servizi di pulizia (art. 2, c. 1, D.M. 20 agosto 2002,
n. 31445). La durata massima prevista è pari a 24 mesi e, in tale periodo, vista la vigenza del
contratto di solidarietà è fatto divieto al datore di lavoro di procedere a licenziamenti per riduzione di personale.
TABELLA 6. Sintesi delle principali prestazioni previste dal sistema degli ammortizzatori sociali
vigente.
AMMORTIZZATORE
DESTINATARI
CONDIZIONI
INDENNITÀ
DURATA
Indennità di
disoccupazione
Soggetti in stato di disoccupazione involontaria
2 anni di assicurazione
contro la disoccupazione e 52 settimane
di contributi nei 2 anni
precedenti
Max 60% della retribuzione percepita nei
3 mesi precedenti la
cessazione
8 mesi per lavoratori con meno di 50
anni; 12 mesi per gli
ultra 50enni
Cigo
Lavoratori (operai, impiegati
e quadri) imprese ind. > 15
dipendenti
80% retribuzione
13 settimane (prorogabili fino a 52
settimane)
Cigs
Lavoratori (operai, impiegati
e quadri) imprese ind. > 15
dipendenti
90 gg. di anzianità
aziendale (no tempi
determinati)
80% della retribuzione
1-2 anni a seconda
della causa (fino a
un massimo di 36
mesi in 5 anni)
Mobilità
Lavoratori imprese ind. > 15
dipendenti
Licenziamento collettivo
di almeno 5 persone in
azienda con più di 15
dipendenti
Uguale alla Cigs per
il primo anno; poi
l’80% della Cigs
< 40 anni: 1 anno;
50% della retribuzione perduta
Max 24 mesi
Contratti di
solidarietà
Lavoratori imprese ind. > 15
dipendenti
40-49 anni: 2 anni;
> 50 anni: 3 anni
Fonte: nostra elaborazione.
Questa breve panoramica dei diversi istituti che intervengono a protezione del lavoratore in caso
di difficoltà occupazionale favorisce l’individuazione dei principali elementi caratterizzanti il
sistema di ammortizzatori sociali italiano e, di conseguenza, dei limiti che lo contrassegnano.
• Le tutele sono essenzialmente rivolte ai lavoratori occupati nelle imprese con più di 15 di-
30
pendenti e in possesso di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Sono, quindi, esclusi
i lavoratori a termine, gli apprendisti, i collaboratori, gli interinali, ecc., oltre che tutti i dipendenti delle imprese di piccole e piccolissime dimensioni, “anima” del tessuto economicoproduttivo nazionale.
• L’indice di copertura, inteso come la percentuale di soggetti disoccupati11 coperta da ammortizzatori sociali (esclusa la cassa integrazione guadagni e i prepensionamenti) è, secondo le elaborazioni del Ministero del Lavoro su dati INPS relativi all’anno 2005, piuttosto
basso. Infatti, solo 3 lavoratori su 10 sono supportati dal punto di vista finanziario in caso
di perdita del posto di lavoro.
Considerato che il sistema di tutela vigente esclude una fetta consistente di lavoratori che, in
caso di riduzione dell’attività lavorativa o di perdita dell’occupazione, sono scarsamente tutelati, spesso sia in termini di sussidi al reddito sia a livello di supporto nella ricerca di un nuovo
impiego (sono ancora poco diffuse le azioni di politica attiva del lavoro rivolte a collaboratori,
interinali, ecc.), dal 2004 il Ministero del lavoro ha avviato una serie di sperimentazioni, in
deroga alla normativa vigente, volte a favorire forme di sostegno al reddito anche per i lavoratori delle imprese con meno di 15 dipendenti in settori o territori gravemente colpiti dalla crisi
e dagli effetti della globalizzazione (processi di delocalizzazione, esternalizzazione di attività e
conseguenti riduzioni di personale).
La normativa vigente presenta, inoltre, un terzo limite: gli “ammortizzatori sociali” più che favorire l’occupazione, sono misure volte a garantire gli attuali livelli occupazionali. Ovvero il sistema degli ammortizzatori sociali non tutela coloro che sono sprovvisti di lavoro, ma attribuisce
una tutela (di carattere esclusivamente economico) a coloro che hanno prestato in precedenza
attività lavorativa e che si trovano, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, in una situazione
di rischio di perdita del posto di lavoro. Pertanto la tutela del reddito dei lavoratori può incorrere
in effetti distorsivi e rischia di disincentivare il lavoratore dall’investire per migliorare il proprio
capitale umano. Inoltre, gli aiuti per la disoccupazione erogati sottoforma di sussidi hanno
generato conseguenze sul piano distributivo poiché hanno contribuito ad accentuare la segmentazione fra “garantiti” e “non garantiti” che rimane una delle principali peculiarità negative del
mercato del lavoro italiano. Nei confronti internazionali, infatti, l’Italia si distingue sempre per
l’alta percentuale di disoccupati che non percepiscono prestazioni e che si trovano sotto la linea
di povertà (un fenomeno destinato ad accentuarsi sulla scia dell’aumento dei lavori cosiddetti
atipici).
Come vedremo meglio nei paragrafi seguenti dedicati agli interventi di politica attiva, negli
ultimi tempi, e in particolare con la legge 223/91, si è passati da un utilizzo prevalentemente
assistenziale ad una impostazione più attiva delle politiche del lavoro che, nel tempo si è po11 Per il numero di disoccupati si utilizzano i dati Istat (Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, Monitoraggio delle politiche
occupazionali e del lavoro, febbraio 2007).
31
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
tenziata con l’avvio e lo sviluppo di altre riforme come quella del sistema di formazione professionale e dei servizi all’impiego (vedi legge 196/1997 e Legge 30/2003 e D.lgs. 276/2003).
Gli interventi più recenti, come ad esempio le riforme introdotte con la legge 247/2007 pianificano degli interventi che ricompongono un sistema di ammortizzatori capace di tutelare equamente le diverse tipologie di lavoratori e che sanno da una parte affrontare i rischi economici
della disoccupazione e dall’altra incentivare il re-inserimento lavorativo, in stretto collegamento
con le politiche attive. La finanziaria 2008, infatti, prevede una delega al Governo per una
progressiva riforma degli ammortizzatori sociali con lo scopo di armonizzare gli attuali istituti
di disoccupazione ordinaria e di mobilità e creare uno strumento unico indirizzato al sostegno
del reddito e al reinserimento lavorativo delle persone disoccupate senza distinzione di qualifica,
appartenenza settoriale, dimensione di impresa e tipologia di contratti di lavoro.
1.4. I servizi e le misure per favorire l’inserimento lavorativo dei soggetti in
difficoltà occupazionale
La perdita del posto di lavoro è sicuramente uno dei momenti più critici nella vita di ogni individuo, sia per il venir meno di un reddito e, di conseguenza, per la mancanza di risorse economiche, sia per il processo di esclusione che rischia di innescarsi. Capita, infatti, che la perdita
dell’occupazione avvenga dopo un lungo periodo di lavoro presso la medesima realtà aziendale
e che il lavoratore si trovi impreparato ad affrontare autonomamente la ricerca di un nuovo
impiego. In alcuni casi, infatti, è difficile, per il lavoratore, definire ed esprimere le competenze,
acquisite per lo più attraverso il lavoro quotidiano, così come non è scontato conoscere i canali
attraverso cui trovare imprese disposte ad assumere manodopera. In altri casi poi, la domanda
nel mercato del lavoro richiede professionalità particolari, con conoscenze specifiche diverse
rispetto a quelle possedute dal lavoratore che è quindi costretto a “reinventarsi” e a ridefinire
completamente il proprio percorso professionale.
Questo vale sia per il lavoratore protetto dal sistema degli ammortizzatori sociali, che deve
comunque attivarsi per reinserirsi nel più breve tempo possibile in un’altra realtà aziendale, sia
per chi non beneficia di alcuna forma di sostegno al reddito. In tutte queste situazioni, infatti,
il sostegno al reddito non è sufficiente per tutelare l’individuo. Il lavoratore necessita anche di
servizi e strumenti atti a supportarlo nel processo di ricerca di un nuovo lavoro.
Le misure e gli strumenti di politica attiva del lavoro sono molteplici e si differenziano secondo
il target di riferimento, il territorio, il settore produttivo in questione, le risorse finanziarie disponibili. Gli interventi vanno dal supporto alla ricerca attiva del lavoro fino all’attività di ricollocazione, passando attraverso percorsi di formazione e riqualificazione. A loro volta, queste azioni
si possono tradurre in modalità operative diverse: bilanci di competenze, orientamento al lavoro,
formazione d’aula, voucher formativi, incentivi all’assunzione, tirocini, riqualificazione mirata,
ecc.
Tutti gli interventi di politica attiva del lavoro impattano sul mercato del lavoro in senso ampio
giacché esistono sia strumenti a favore dei lavoratori e della loro occupabilità - che si pongono
32
l’obiettivo di incentivare la partecipazione più attiva dei lavoratori in cerca di occupazione, di
facilitare l’accesso al lavoro dei “lavoratori svantaggiati” (giovani, donne, lavoratori con più di
40-45 anni, disabili, immigrati, persone prive di titolo di studio, ex detenuti etc) – sia misure
volte a migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro potenziando la conoscenza delle
esigenze delle imprese, in termini di competenze, richieste di manodopera, disponibilità.
Tra le tendenze individuabili nelle politiche del lavoro, analizzando le esperienze realizzate negli
ultimi anni, pur in presenza ancora di una forte differenziazione territoriale da relazionare anche
alla gestione locale di questi interventi, rientrano (Zucchetti 2002; Paci 2005):
• la promozionalità delle misure, che mirano a rendere attivo il soggetto rispetto al percorso
di ricerca del lavoro e all’investimento nella propria occupabilità;
• la personalizzazione degli interventi e il superamento della logica prevalente dell’offerta
di pacchetti preconfezionati: attraverso i voucher formativi o, come nel caso lombardo
(presentato nel prossimo capitolo) mediante l’offerta di doti individuali, si intende promuovere un sistema di intervento concretamente rispondente alle esigenze del soggetto in difficoltà occupazionale, con misure mirate e flessibili;
• l’integrazione con le misure di politica passiva: tra i destinatari principali dei servizi e
delle misure di politica attiva rientrano coloro che beneficiano di sussidi al reddito, sia in
termini di attivazione sia mediante la partecipazione ad azioni formative e di accompagnamento al lavoro finalizzate a favorire il rientro nel mercato nei primi mesi di disoccupazione;
• la crescente trasparenza e le migliori opportunità di accesso del mercato del lavoro,
attraverso il potenziamento dei servizi per l’impiego e del sistema informativo: i processi di
riforma e di trasformazione che hanno riguardato i centri pubblici per l’impiego e il ruolo
crescente riconosciuto ai servizi privati hanno promosso un mercato del lavoro più efficace,
dove domanda e offerta possono più facilmente incontrarsi. Questo obiettivo è stato perseguito anche mediante la creazione di spazi on-line dedicati all’incrocio tra le richieste delle
imprese e le disponibilità dei lavoratori: con la riforma Biagi è stata creata la Borsa continua
del lavoro a livello nazionale e, a partire dal 2004, sono stati gradualmente costruiti i nodi
regionali di questo sistema informativo, che a sua volta si alimenta delle informazioni
provenienti dai servizi pubblici e privati per l’impiego a livello territoriale, oltre che dalle
candidature spontanee di lavoratori e imprese.
La molteplicità di interventi possibili, in un’ottica di personalizzazione delle azioni e di garanzia
della loro efficacia, richiede la partecipazione di operatori, enti e istituzioni differenti. Da un
lato, è necessaria la collaborazione tra i diversi livelli di ‘regia’ delle politiche attive: Ministero
del lavoro, agenzie ministeriali, Regioni, Province, Comuni; dall’altro lato, c’è l’esigenza di “fare
rete” tra i centri per l’impiego pubblici, le agenzie di lavoro private, gli enti di formazione, le
organizzazioni sindacali, le associazioni di categoria, gli enti bilaterali, gli sportelli eventualmente presenti sul territorio per la creazione di impresa, gli Informagiovani ecc.
33
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Nei prossimi paragrafi saranno approfondite le principali politiche attive del mercato del lavoro:
i servizi per l’impiego, l’orientamento, la formazione professionale e continua. Accanto a queste
tipi di intervento nelle esperienze degli ultimi anni sotto la dicitura “politiche attive” sono state
ricomprese anche le forme di incentivazione al lavoro, con l’erogazione di bonus economici alle
imprese per assunzioni che riguardano particolari categorie di soggetti e/o secondo determinate
caratteristiche (es. a tempo indeterminato). Questa misura intende perseguire l’obiettivo dell’occupazione più che dell’occupabilità, attraverso un investimento in grado di restituire immediatamente risultati, soprattutto in termini quantitativi (il numero di persone ricollocate). Se da
un lato, l’incentivo può favorire l’assunzione di lavoratori deboli, difficilmente ricollocabili, in un
arco temporale limitato, dall’altro lato, invece, si rischia di pagare un’assunzione che avrebbe
comunque avuto luogo e che, in molti casi, genera nel medio periodo ulteriore debolezza e precarietà perché non supportata da adeguati investimenti sulla persona. L’Unione europea, a
questo proposito, ha evidenziato come non sia sufficiente creare occupazione senza curare
anche l’occupabilità della persona in cerca di lavoro (Zucchetti 2005, p. 212).
In questo quadro si inserisce la centralità delle misure di valorizzazione e investimento nel
capitale umano nell’ambito delle politiche del lavoro e, più in generale, di welfare. La formazione, e ancora prima l’istruzione, infatti, favoriscono la creazione e lo sviluppo di competenze
personali e professionali fondamentali per muoversi nella società contemporanea e nel mercato
del lavoro odierno. Attraverso interventi integrati tra i servizi per l’impiego e le politiche formative è possibile sostenere l’individuo nei passaggi che caratterizzano la sua esistenza, sviluppando la sua capacità di apprendere e di affrontare i cambiamenti e le difficoltà.
1.4.1. I servizi per l’impiego
Con il termine “servizi per l’impiego” si indica l’erogazione di servizi di informazione, preselezione, orientamento, formazione, consulenza e l’insieme dei possibili “interventi sul mercato”
realizzate dalle strutture pubbliche e private accreditate che si sono dislocate sul territorio e
che svolgono un compito di promozione e diffusione delle politiche del lavoro e di raccolta/filtro
delle opportunità di impiego e dei profili dei candidati.
In Italia la costituzione del sistema dei “servizi per l’impiego” può essere fatta risalire alla
seconda metà degli anni novanta, con l’avvio del processo riformatore innescato dal D.Lgs.
469/97 che ha, da un lato, decentrato le funzioni in materia a Regioni e Province e, dall’altro,
favorito il superamento del monopolio pubblico fino ad allora vigente, attraverso l’apertura e
l’ampliamento dei soggetti pubblici e privati autorizzati a mediare fra domanda e offerta di
lavoro.
In particolare, a seguito del processo di decentramento attuato con il D. Lgs. 469/97 e con
l’intento di favorire l’incrocio tra domanda ed offerta di lavoro, sono stati istituiti i Centri per
l’Impiego di competenza delle singole Province. Tali strutture, che sostituiscono i vecchi Uffici
di collocamento, si pongono sul mercato del lavoro, oltre che per la gestione amministrativa di
assunzioni e cessazioni, come facilitatori dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro e, attra-
34
verso l’erogazione di una serie di servizi orientati a favorire l’inserimento lavorativo dei disoccupati, rappresentano un punto nevralgico delle nuove politiche attive del lavoro gestite dalle
Regioni e dalle Province.
Per favorire l’incrocio tra domanda e offerta, i servizi per l’impiego mettono in contatto i profili
dei lavoratori con le esigenze delle imprese. Alle imprese, in particolare, si offre consulenza e
assistenza su tutte le problematiche relative al rapporto di lavoro e, per quanto concerne il lavoratore in cerca di impiego, lo si aiuta a definire il percorso da seguire per reinserirsi nel mondo
del lavoro12. Come già evidenziato, al lavoratore sono riconosciuti alcuni diritti, rappresentati
proprio dai servizi che la struttura pubblica deve offrirgli, oltre che dall’eventuale indennità
erogata a sostegno del reddito, e sono attribuiti alcuni doveri: in particolare la legge prevede
che il lavoratore si impegni a ricercare attivamente un’occupazione, anche attraverso la partecipazione a percorsi di orientamento e di formazione.
Il centro per l’impiego, d’altra parte, deve garantire una serie di interventi minimi: un colloquio
di orientamento entro tre mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione e una proposta di adesione ad iniziative di inserimento professionale o di formazione entro quattro mesi per adolescenti, giovani e donne in reinserimento lavorativo e entro sei mesi per i soggetti a rischio
disoccupazione di lunga durata. Il lavoratore, a sua volta, deve dimostrare l’involontarietà della
propria situazione occupazionale: deve accettare proposte di formazione o misure di inserimento
lavorativo, così come offerte di lavoro “congruo” a tempo indeterminato o a tempo determinato
superiore a otto mesi. In caso di rifiuto senza giustificato motivo di tali servizi o offerte la normativa prevede la perdita dello stato di disoccupazione e, in caso di percezione di un sussidio,
la cessazione di tale beneficio.
Ulteriori riforme sono state successivamente introdotte con la legge 30 del 2003 ed i successivi
decreti attuativi (decreto legislativo n. 276 del 2003). Tali riferimenti normativi apportano significative novità al sistema di gestione del mercato del lavoro del nostro Paese. Essi, infatti,
sanciscono l’istituzione della Borsa continua nazionale del lavoro ovvero del sistema informativo
on-line che mira a favorire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro e rende trasparenti e accessibili le informazioni sui posti di lavoro disponibili, sulle figure professionali ricercate e sui
lavoratori alla ricerca di un posto di lavoro. La riforma, inoltre, ribadisce la necessità di un sistema misto pubblico-provato che gestisca i servizi per l’impiego. L’ingresso di operatori privati
nel mercato del lavoro era già stato sancito dal pacchetto Treu ma, con la riforma Biagi, le
agenzie del lavoro, le scuole, le università, i comuni, le camere di commercio, le parti sociali e
i consulenti del lavoro diventano operatori potenzialmente attivi nei servizi per l’impiego e possono, previa autorizzazione ministeriale, svolgere attività di intermediazione di manodopera,
funzione in molti casi svolta già informalmente grazie al radicamento sul territorio e ai contatti
con il mondo delle imprese di università, scuole, ecc
12 Il d.lgs. 181/2000 e il d.lgs. 297/2002 prevedono la stipula di un “patto di servizio” tra il centro per l’impiego territorialmente
competente e il disoccupato al fine di definire le modalità di ricerca del lavoro.
35
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Considerata la numerosità operatori privati operanti nel mercato del lavoro italiano, la creazione
e la valorizzazione di reti tra centri per l’impiego e operatori pubblici e privati autorizzati costituisce, in un’ottica di sinergia ove sono compresenti competizione e collaborazione, una sfida
cruciale per il sistema delle politiche attive del lavoro italiano. Il pubblico potrebbe svolgere,
all’interno della rete, un ruolo di coordinamento e di regia degli interventi, affinché si possano
promuovere servizi integrati e, allo stesso tempo, azioni personalizzate e efficaci per l’individuo.
1.4.2. I servizi di orientamento e i tirocini
Fino a pochi anni fa i servizi di orientamento erano quasi esclusivamente destinatti alla popolazione giovanile e avevano lo scopo di facilitare la scelta del percorso scolastico degli studenti
nei passaggi tra i diversi livelli e iter di studio e l’ingresso nel mondo del lavoro. Oggi il ruolo
dell’orientamento non può però più essere limitato alle azioni destinate ai giovani alla ricerca
di un primo impiego o a quegli allievi che, terminato un ciclo di studi, sono alla ricerca del
proprio percorso formativo futuro. In una società dove l’incertezza e l’imprevedibilità del sistema
sociale nel suo complesso, ed in particolare delle componenti legate alla vita formativa e professionale delle persone, tende ad aumentare il ruolo dell’orientamento appare fondamentale
anche nel prosieguo della carriera formativa e professionale delle persone e, così come la formazione continua, rappresenta un investimento strategico per curare la propria occupabilità nel
mercato del lavoro (Spreafico 2008). Oggi l’orientamento può essere definito come l’insieme dei
«servizi e le attività destinate agli individui di ogni età, in qualsiasi momento della loro vita,
per aiutarli a prendere decisioni in materia di istruzione ed occupazione e a gestire i propri
percorsi professionali» (Ocse, Commissione europea 2005).
I soggetti che offrono servizi di orientamento al lavoro aiutano l’individuo a organizzare il proprio
percorso scolastico/formativo in modo personalizzato (individuale) o di gruppo (con la propria
classe) attraverso una variegata gamma di attività che comprende azioni informative per promuovere la conoscenza del mercato del lavoro e della normativa vigente, così come momenti di
analisi e valutazione delle competenze o periodi di stage in azienda per “esplorare” da vicino il
mondo del lavoro e le possibilità di scelta. Come si evince dalla tipologia di attività realizzate,
l’orientamento oggi ha una duplice finalità: da una parte mira a mappare i bisogni dell’individuo, le sue competenze e le sue potenzialità di crescita ai fini della predisposizione di un percorso di crescita professionale mirato e dall’altro svolge funzioni di informazione rispetto alle
opportunità formative e lavorative del territorio di riferimento e alle modalità di ricerca attiva
dell’occupazione, i contratti di lavoro, i diritti e doveri del lavoratore (Spreafico 2008).
Per quanto concerne il nostro Paese, nel decreto ministeriale 166 del 2001, che regola il sistema
di accreditamento attraverso il quale viene verificato il possesso di requisiti minimi da parte
degli enti che operano nella formazione e nell’orientamento, sono previste tre tipi di servizi:
• l’informazione orientativa, finalizzata a fornire informazioni all’utenza in materia di istruzione, formazione e lavoro, per esempio, in merito a corsi, percorsi di studio, servizi territoriali, normativa del lavoro, siti internet, ecc.;
36
• la formazione orientativa, realizzata in percorsi formativi o in moduli di orientamento specifici, rivolta a gruppi di persone con bisogni omogenei;
• la consulenza orientativa, un supporto individuale o di gruppo che mira a favorire la conoscenza di sé e a far emergere le proprie attitudini al fine di predisporre un progetto formativo
o occupazionale.
Oltre a questi servizi, comunemente nell’ambito delle attività di orientamento si ricomprendono
anche il supporto alla ricerca attiva del lavoro e l’esperienza di tirocinio. Nel primo caso si tratta
di un servizio, offerto dai centri per l’impiego, ma anche dalle università, dagli Informagiovani
e dalle agenzie del lavoro private, finalizzato a favorire l’inserimento lavorativo del soggetto
mediante l’ausilio nella stesura del curriculum vitae, nella ricerca di offerte di lavoro e nella
preparazione al colloquio. Il tirocinio (o stage)13, invece, è un’esperienza che l’individuo può
svolgere direttamente in azienda, durante o al termine degli studi, per conoscere il mondo del
lavoro ed essere, quindi, agevolato nelle scelte professionali.
Le attività di orientamento, così come i tirocini, vengono annoverate tra le politiche attive del
lavoro perché la loro finalità è quella di supportare l’individuo in un momento di transizione non
tanto dal punto di vista economico ma piuttosto offrendogli una “cassetta degli attrezzi” per
migliorare la propria occupabilità. I centro per l’impiego mettono a disposizione di tutti questi
soggetti svantaggiati un ampia gamma di servizi con lo scopo di aiutarli non solo nella ricerca
di un nuovo impiego ma anche nella valutazione delle proprie competenze, nella progettazione
di un percorso formativo di crescita professionale e, infine, nell’individuazione dello sbocco
professionale che meglio si adegua alle caratteristiche personali del lavoratore. L’obiettivo è il
perfezionamento dell’occupabilità del lavoratore ma la sua piena realizzazione è raggiungibile
solo se gli interventi messi in campo dai servizi per l’impiego sono l’esito di una valutazione
complessiva delle criticità/potenzialità del lavoratore e di una personalizzazione del percorso di
crescita.
Inoltre, l’efficacia degli interventi dipende anche dalla partecipazione agli stessi di operatori
qualificati. A tal proposito nella programmazione del Fondo Sociale Europeo, i cui obiettivi sono
fortemente correlati con le politiche di ammodernamento che l’Unione Europea ha individuato
per i sistemi e i servizi di istruzione, formazione iniziale e continua, di occupazione e di orientamento, appare strategico lo sviluppo delle risorse umane che operano nei servizi al lavoro e il
ricorso a figure professionali con competenze tecnico-specialistiche elevate. Nello specifico nei
centri per l’impiego, dove la presenza di esperti quali psicologi, consulenti orientativi e di analisti dei fabbisogni (Isfol 2007) è ancora molto ridotta, si auspica il coinvolgimento di professionalità esterne alla struttura con funzione di consulenza.
Gli interventi devono crescere non tanto dal punto di vista quantitativo ma qualitativo, ovvero
i servizi per l’impiego devono muoversi nella direzione del potenziamento della qualità dei
servizi. In tale contesto si rende, inoltre, necessaria un’opera di messa a regime delle com13 La normativa di riferimento per il tirocinio comprende la legge 196/1997 (art. 18) e il decreto ministeriale 142/1998.
37
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
petenze degli operatori e di investimento, finora residuale, rispetto ai momenti della valutazione e del monitoraggio dei servizi e di analisi dei fabbisogni (Spreafico 2008).
Il monitoraggio deve poi intervenire anche sul fronte dei tirocini per controllare che le aziende
non ne abusino e che, pertanto, tale strumento non si trasformi da politica attiva del lavoro
in precariato. Le aziende, come ricordato, ricorrono al tirocinio soprattutto per conoscere e
valutare i giovani in uscita dalla scuola; talvolta, però, tale obiettivo viene distorto per usufruire di manodopera in maniera gratuita: nel mercato del lavoro lo “stagista” è divenuto
oramai una tipologia di lavoratore che comprende giovani in uscita dal sistema scolastico o
formativo, costretti a “rimbalzare” da un tirocinio all’altro, a volte anche nella stessa azienda,
per cercare di farsi conoscere ed essere poi assunti con regolare contratto di lavoro. La presenza dell’istituzione che ha promosso lo stage (centro per l’impiego, scuola, università,
centro di formazione professionale, ufficio scolastico provinciale) e dei due tutor previsti dalla
legge (uno dell’ente promotore e uno dell’azienda ospitante), infatti, non sempre tutela lo
stagista, che rischia di non beneficiare dello strumento orientativo e formativo del tirocinio,
ma di cadere in un circolo di precarietà e insicurezza (Falcone 2001; Biagi, Serra, Tiraboschi
2002).
1.4.3. La formazione professionale e continua
L’investimento in capitale umano viene considerato sempre più un aspetto centrale delle politiche pubbliche. Le evidenze empiriche disponibili mostrano che un capitale umano adeguatamente formato determina un aumento del tasso di crescita potenziale dell’economia, con
evidenti effetti benefici sulle condizioni di vita dei cittadini e sulle finanze pubbliche. La formazione professionale, pertanto, riveste oggi un ruolo centrale nell’ambito delle politiche del mercato del lavoro e, in particolare, in riferimento alle misure volte ad accrescere l’occupabilità e
l’adattabilità dei lavoratori.
Il tema, benché piuttosto recente, è stato oggetto, soprattutto negli ultimi anni, di crescente
interesse da parte delle istituzioni, sempre più convinte delle opportunità che questo strumento
di intervento può offrire ai lavoratori nel mercato del lavoro di oggi, mobile, flessibile e insicuro.
In un contesto caratterizzato da rapidi cambiamenti e da probabili e frequenti passaggi tra
condizioni lavorative differenti, la formazione costituisce una risorsa fondamentale per l’individuo sia nella fase di ingresso nel mondo del lavoro, sia nel prosieguo della sua carriera professionale. La stessa società della conoscenza, inoltre, attribuisce al capitale umano e alle sue
competenze un valore cruciale: il lavoro ha sviluppato una dimensione cognitiva che richiede
una crescente qualità e qualificazione delle risorse umane e, di conseguenza, un costante investimento nei lavoratori (Lodigiani 1999). L’impresa per crescere ed essere competitiva sui mercati globali necessita, a sua volta, di una manodopera in grado di innovare, cambiare e
adattarsi, e la formazione permanente (lifelong learning) rappresenta in tal senso lo strumento
principe per perseguire tali obiettivi
I dati del Ministero dell’Istruzione - DG Studi e Programmazione degli ultimi anni, in linea con
38
le tendenze sopra riassunte, mostrano un trend crescente della spesa pubblica in formazione
(Isfol 2006).
TABELLA 7. Spesa pubblica per istruzione e formazione professionale in rapporto al PIL e per
tipologia. Valori in milioni di euro
ANNI
SCUOLA
FORMAZIONE
PROFESSIONALE
REGIONALE
UNIVERSITÀ E AFAM*
TOTALE
TOTALE DELLA SPESA PUBBLICA
IN RAPPORTO AL PIL (VAL. %)
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
36.827,9
38.901,7
37.189,5
38.041,4
38.757,4
39.687,0
46.528,7
46.043,1
50.374,1
50.708,9
1.969,72
2.037,47
1.980,82
2.247,99
2.987,26
2.110,82
2.720,17
2.881,37
3.358,25
3.528,60
6.169,59
6.725,43
7.347,67
8.129,32
8.746,86
9.556,01
10.293,55
11.268,17
10.602,82
10.877,00
44.967,24
47.664,61
46.517,98
48.418,75
50.491,50
51.353,86
59.542,45
60.192,67
64.335,20
64.748,64
4,75
4,75
4,44
4,44
4,48
4,31
4,77
4,65
4,82
4,66
* Le spese dei Conservatori musicali e delle Accademie nazionali sono comprese fino all'anno 2000 nelle spese dell'istruzione scolastica; dal 2001
sono riportate nell'istruzione superiore. Le spese delle Università includono anche la quota di spesa per R&S.
Fonte: Ministero dell’Istruzione - DG Studi e Programmazione
Un’analisi più attenta rivela però che tale crescita è determinata quasi esclusivamente dagli
investimenti realizzati dalle grandi imprese e che, accanto ad un certo dinamismo delle imprese
di maggiori dimensioni, il ruolo che le politiche formative hanno nelle piccole e medie imprese
italiane rimane marginale. Infatti, le rilevazioni condotte dall’Isfol (Isfol 2004; Isfol 2006) e da
Unioncamere (Exclsior 2007), registrano livelli di investimento in formazione ancora disomogenei e in molti casi del tutto insufficienti.
Nel corso del tempo lo scenario sembra però migliorare e, in base ai dati raccolti dal S. I. Excelsior (Excelsior 2007) e relativi all’anno 2006, si registra un interesse maggiore delle imprese
verso la formazione continua soprattutto in termini di soggetti formatori e risorse investite rispetto al 2005. In primo luogo, dopo un picco nel 2002, la percentuale di imprese formatrici è
diminuita costantemente e solo a partire dal 2006 si intravede una debole ripresa. In valore
assoluto, le imprese che formano oscillano fra le 203.570 del 2000 e le quasi 300.000 del 2002.
Il confronto fra 2005 e 2006 fa emergere l’incremento più rilevante, pari a un punto percentuale
(dal 18,8% al 19,8% del totale): in altri termini, circa un’impresa su cinque fa o acquista formazione per il proprio personale (Excelsior 2007). La percentuale di imprese formatrici è una
variabile fortemente correlata alla dimensione d’impresa. Più è grande l’azienda, maggiore è la
probabilità che quest’ultima metta in atto iniziative formative per i propri dipendenti (intese
come corsi interni o esterni): infatti la probabilità di ricevere formazione in un’impresa con più
39
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
di 500 dipendenti (79,2%) è quasi 5 volte superiore all’analoga probabilità in un’impresa con
meno di 10 dipendenti (16,6%). I dati disponibili, pertanto, segnalano il consolidamento del
consistente divario tra le grandi imprese, che mantengono una buona performance, e le mediopiccole realtà produttive.
TABELLA 3. Imprese Imprese che hanno organizzato attività di formazione continua per i propri
dipendenti per classe dimensionale. Anni 2000-2006 (in % sul totale)
Totale Italia
1-9 dipendenti
10-49 dipendenti
50-249 dipendenti
>= 250 dipendenti
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
18,9
13,8
39,1
38,0
57,8
17,5
12,6
38,5
41,5
55,2
24,7
19,8
45,3
54,6
63,6
22,4
17,3
37,8
55,2
72,2
20,0
17,1
26,4
37,1
71,3
18,8
15,6
26,6
43,1
74,2
19,8
16,6
27,5
42,6
74,5
Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior.
Uno degli aspetti più interessanti inerenti al tema della formazione svolta dalle imprese, soprattutto se si vuole descrivere l’entità degli sforzi compiuti dalle aziende nell’ottica dell’aggiornamento professionale dei propri lavoratori, riguarda gli investimenti sostenuti per svolgere
le attività formative. Secondo i dati Isfol (Isfol 2006), il trend della spesa in formazione risulta
complessivamente in crescita ed è passato da 895 milioni di euro nel 2000 a circa 1.600 milioni
di euro nel 2004 (Isfol 2006) e, secondo i dati del S.I. Excelsior, si è assestato intorno a un miliardo e mezzo di euro, incluse le risorse derivanti da fondi pubblici come i Fondi Interprofessionali e i Fondi Regionali, nel 2006 (Excelsior 2007). Tale dato però in entrambi i casi va ricondotto
quasi esclusivamente al segmento delle grandi
Considerato il tessuto produttivo del nostro Paese, fatto principalmente di PMI, appare sempre
più necessario che le istituzioni intervengano al fine di incrementare l’utilizzo dello strumento
della formazione continua favorendo l’accesso alla formazione, diversificando le opportunità,
attribuendo margini di autonomia ai singoli lavoratori e, infine, incentivando le imprese a investire in formazione per crescere in competitività e innovazione.
L’orientamento prevalente, assunto dalle nostre istituzioni, ritiene che le politiche formative
debbano agire prevalentemente dal lato della domanda di formazione espressa dai lavoratori e
dalle imprese, mediante misure e incentivi idonei a favorire quanto più possibile il finanziamento diretto e coordinato da parte degli stessi. Questo approccio dal lato della domanda fa
leva sul cofinanziamento e ribalta l’impostazione più tradizionale prevalentemente basata sull’offerta di formazione mediante finanziamento o erogazione diretta da parte degli organi pubblici. Un sistema basato sulla domanda si ritiene preferibile perché responsabilizza i soggetti
interessati, assicura la necessaria flessibilità operativa ed evita incongruenze tra la formazione
fornita e i fabbisogni formativi dell’economia.
Sebbene già nel 1978 la Legge quadro sulla formazione professionale (n. 845) individuava tra
40
le finalità degli interventi formativi la «diffusione delle conoscenze teoriche e pratiche necessarie per svolgere ruoli professionali e rivolti al primo inserimento, (al)la qualificazione, (al)la
riqualificazione, (al)la specializzazione, (al)l’aggiornamento ed il perfezionamento dei lavoratori, in un quadro di formazione permanente» (art. 2, legge 845/1978), le politiche italiane per
la formazione continua hanno assunto la forma attuale soltanto nel corso degli anni novanta
grazie al supporto finanziario dato dal Fondo sociale europeo e dalle risorse stanziate dalla legge
236 del 1993.
Per meglio comprendere i diversi interventi previsti nel nostro ordinamento occorre guardare:
• ai soggetti che erogano i finanziamenti;
• al soggetto che esprime la domanda di formazione.
Le domande di formazione continua possono essere rivolte a diversi soggetti, i Fondi interprofessionali, la pubblica amministrazione (Regioni e Province.). Entrambi questi soggetti, oltre
che ricevere le richieste di contributi espresse dalle imprese e dai lavoratori, stabiliscono i
criteri di selezione delle richieste, definiscono gli obiettivi e i destinatari degli interventi, ripartiscono le risorse. I Fondi interprofessionali, costituiti con la legge finanziaria del 2001 (art. 118,
comma 1, della legge 388/2000, così come modificato dall’art. 48 della legge 289/2002) sono
alimentati principalmente dal gettito derivante dal contributo integrativo dello 0,30% versato
dai datori di lavoro privati che facoltativamente aderiscono a un Fondo, possono finanziare piani
formativi aziendali, territoriali, settoriali o individuali e sono gestiti dalle parti sociali. L’intervento di Regioni e Province a favore delle imprese si avvale, invece, delle risorse del Fondo Sociale Europeo e della legge 236/93 che, con l’ultimo provvedimento di attuazione, adottato dopo
l’istituzione dei Fondi, sono state vincolate in larga parte alla formazione di soggetti “deboli”
attribuendo a questo intervento una funzione di tipo compensativo.
Rispetto al secondo punto, invece, si è soliti distinguere tra l’impresa che chiede un finanziamento attraverso un “piano” formativo che la normativa prevede sia definito d’intesa con i
sindacati e il singolo lavoratore che può fare richiesta di un contributo per la copertura delle
spese per la propria formazione. Ciò che è rilevante evidenziare in questa sede è il diverso significato che assumono gli interventi a seconda che vengano attivati dalla domanda espressa
dalle imprese o dalla domanda individuale dei lavoratori.
I primi possono essere caratterizzati come politiche su base collettiva, in quanto prevedono una
co-programmazione, e spesso la co-gestione, degli interventi formativi da parte delle parti sociali. Esse, infatti, hanno come strumento il “piano formativo” (sia esso territoriale, settoriale
o aziendale), cioè un documento di programmazione congiunta da parte di imprese e sindacati.
I secondi rappresentano, invece, politiche a domanda individuale. In questo caso, è il singolo
lavoratore, che è anche beneficiario finale dell’intervento, a esprimere la domanda di formazione. A tal proposito, la formazione professionale continua ha ricevuto un ulteriore impulso al
41
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
suo sviluppo con la legge 53 del 2000, che ha introdotto i congedi formativi e ha previsto lo
stanziamento di risorse per la formazione continua a domanda individuale mediante l’erogazione di voucher. Il lavoratore dipendente può, infatti, richiedere una sospensione del rapporto
di lavoro per partecipare ad attività formative scelte autonomamente14. La legge, all’articolo 6,
prevede che i lavoratori, occupati e non occupati, abbiano il diritto di proseguire i percorsi di
formazione per tutto l’arco della vita, per accrescere conoscenze e competenze professionali,
con la possibilità di accedere a percorsi personalizzati anche in funzione di una decisione individuale.
Questa modalità di finanziamento della formazione è da considerarsi in senso stretto una politica attiva del lavoro, che si situa nella visione oggi predominante dell’attivazione del lavoratore
e della risposta mirata e personalizzata ai fabbisogni da lui espressi.
1.5. Conclusioni
Le politiche del mercato del lavoro con la seconda metà degli anni novanta del secolo scorso
sono divenute protagoniste delle agende politiche di Unione europea, Stati membri, regioni ed
enti locali, nonché oggetto di attenzione e confronto fra parti sociali, governi, operatori pubblici
e privati, imprese e lavoratori.
Le politiche del mercato del lavoro, come illustrato in questo capiolo, intervengono attraverso
supporti di tipo passivo, riconducibili a sussidi sostegno al reddito, e mediante interventi e
servizi promozionali finalizzati a migliorare le chance occupazionali del soggetto. Queste due
tipologie di intervento, dette politiche passive e attive, non sono da intendersi come misure
alternativa ma piuttosto come servizi complementari che contribuiscono a tutelare il soggetto
a 360 gradi, sia come lavoratore che come individuo: il disoccupato percettore di un’indennità
deve cercare attivamente un nuovo lavoro e deve poterlo fare con il supporto dei servizi per
l’impiego, partecipando eventualmente, se necessario, a percorsi formativi e di accompagnamento al lavoro.
Come si è ampiamente mostrato nel capitolo l’espansione delle garanzie per i lavoratori può
essere letta sia in termine di incremento del valore assoluto di lavoratori tutelati sia in termine
di ampliamento della gamma dei servizi a supporto del lavoratore
Rispetto al primo punto occorre notare che, rispetto alle riforme varate in Italia agli inizi degli
anni Novanta, che miravano a tutelare soprattutto quei soggetti che rientravano a pieno titolo
nella categoria dei lavoratori, ovvero i lavoratori a tempo indeterminato, le riforme successive,
di fronte ad un mercato del lavoro sempre più flessibile e ad una conseguente trasformazione
14 All’art. 5 della legge 53/2000 è previsto che «i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, che abbiano almeno cinque anni
di anzianità di servizio presso la stessa azienda o amministrazione, possano richiedere una sospensione del rapporto di lavoro per
congedi per la formazione per un periodo non superiore a undici mesi, continuativo o frazionato, nell’arco dell’intera vita lavorativa».
Per “congedo per la formazione” si intende quello finalizzato al completamento della scuola dell’obbligo, al conseguimento del titolo
di studio di secondo grado, del diploma universitario o di laurea, alla partecipazione ad attività formative diverse da quelle poste
in essere o finanziate dal datore di lavoro.
42
delle caratteritìstiche classiche del “lavoratore”, mirano ad estendere le tutele anche a quelle
categorie di soggetti, come i giovani e le donne, che faticano ad entrare nel mercato del lavoro
a pieno titolo. Sebbene la distanza tra “lavoratori protetti” e “lavoratori esclusi” resti ancora
significativa, la consapevolezza della necessità di tutelare anche i soggetti deboli è maggiore:
le riforme introdotte dalla Finanziaria 2008 (legge 247/2007), infatti, ribadiscono la volontà di
estendere le tutele anche ai “lavoratori precari”.
Rispetto al secondo punto, invece, le riforme varate nell’ultimo decennio perseguono lo scopo di
creare un sistema virtuoso che tuteli non il lavoratore in quanto tale ma, in primis, l’individuo.
Ciò può essere realizzato se il sistema, oltre a fornire i classici servizi di supporto nella ricerca
dell’impiego, riesce a completare la gamma delle attività offerte all’individuo con servizi di
orientamento al lavoro, supporto nella fase di ricerca di nuovo impiego, attività di formazione
continua e strutture di gestione delle forme di sicurezza ed assistenza sociale.
In Italia la riforma delle politiche del lavoro e la loro “attivazione” ha determinato la trasformazione del sistema del collocamento pubblico ed è passata attraverso una serie di atti e provvedimenti normativi, nazionali e regionali, che hanno delineato il nuovo assetto del sistema dei
servizi per l’occupazione, inteso come una rete integrata di strutture, sia pubbliche che private,
con compiti nell’ambito del collocamento, ma anche in quello della formazione, dell’integrazione
sociale e del sostegno alle imprese.
Se, a livello nazionale, l’approvazione del D.Lgs 297/02 e della Legge 30/2003, con relativi decreti attuativi, hanno determinato una profonda riforma nel mercato del lavoro e del sistema del
collocamento, a livello regionale tali innovazioni hanno comportato un’intensa attività in ambito
normativo e di programmazione. Nelle Regioni il percorso di riforma e di modernizzazione dell’intero sistema delle politiche attive del lavoro, già avviato a seguito del D.Lgs 469/97 e nell’ambito delle nuove competenze definite nel riformato Titolo V della Costituzione, ha così
raggiunto il suo completamento in un quadro organico di interventi mirati a ridurre la disoccupazione attraverso l’azione preventiva delle politiche di formazione e attraverso un più efficace
e tempestivo sistema di incontro domanda/offerta. A tal proposito, nel capitolo successivo,
esploreremo la situazione della Regione Lombardia.
2. POLITICHE DEL LAVORO PER L’ARTIGIANATO: GLI INTERVENTI REGIONALI
2.1. Il ruolo della Regione Lombardia nelle politiche del lavoro
È convincimento diffuso tra i diversi attori economici e sociali della Lombardia che la disoccupazione in questa regione non rappresenti affatto un problema sociale tale da indurre a preoccupazione. La realtà del mercato del lavoro lombardo è spesso portata come esempio di
realizzazione della piena occupazione e il fenomeno della disoccupazione in Lombardia è spesso
descritto come un problema di carattere qualitativo piuttosto che quantitativo.
In effetti, se si confrontano i tassi di disoccupazione delle province lombarde con quelli medi
nazionali o con quelli di altre province italiane, non si può tralasciare di convenire che, almeno
43
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
dal punto di vista delle opportunità lavorative, la Lombardia mostra una quadro globale migliore
rispetto alla media nazionale.
Secondo i dati Istat relativi alla media annua 2006, le forze lavoro ammontano a quasi 4,5
milioni di persone: gli occupati sono 4.273.183, per un tasso di occupazione del 66,6%, un
valore che raggiunge il 76,4% tra gli uomini.
Il confronto sviluppato sia a livello europeo che nazionale mostra come la Lombardia sia fra le
regioni meglio posizionate: nel 2004 il tasso di disoccupazione medio è stato in Lombardia del
4%, superiore solo a quello dell’est e del sud-est dell’Inghilterra (3,6% e 3,7%); rispetto al
contesto nazionale, poi, a fronte di un tasso di occupazione medio nazionale pari al 58,4%, nel
2006 la Lombardia viene superata solo da Emilia Romagna (69,4%), Trentino Alto Adige (67,5%)
e Valle d’Aosta (67%).
GRAFICO 1. L’occupazione in Italia nel 2006 per genere: regioni a confronto. Valori %.
Fonte: Istat.
44
GRAFICO 2. La disoccupazione in Italia nel 2006 per genere: regioni a confronto. Valori %.
Fonte: Istat.
Ciononostante, anche nel mercato del lavoro lombardo, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro non è scontato. Il mercato del lavoro regionale, infatti, pur in presenza di una situazione
considerevolmente positiva, presenta alcune criticità di funzionamento soprattutto per quanto
concerne l’occupazione femminile, l’ingresso nel mondo del lavoro dei più giovani e la precarietà
di molte condizioni lavorative che rischiano di condurre a fenomeni di esclusione sociale.
L’analisi per genere della partecipazione al mercato del lavoro e dei tassi di occupazione mostra,
infatti, due lati della medaglia: da un lato, la Lombardia registra un’elevata partecipazione
maschile al mercato, con una situazione sostanzialmente di piena occupazione; dall’altro lato,
invece, le donne sono ancora scarsamente inserite nei mercati del lavoro locali, con tassi di
occupazione in linea con le altre regioni del nord Italia ma ancora distanti dagli obiettivi fissati
dall’Agenda di Lisbona per il 2010. Secondo i dati Istat relativi al 2006, infatti, il tasso di occupazione femminile è pari al 56,5%, al di sopra di oltre dieci punti percentuali della media
nazionale ma distante dal target di Lisbona di 3,5 punti.
Un’altra questione centrale concerne poi la partecipazione al mercato del lavoro dei cosiddetti
lavoratori anziani. Mentre l’Unione europea spinge gli Stati membri ad adottare politiche di
active ageing, anche mediante il sostegno al prolungamento della vita lavorativa, in Lombardia
i processi di ristrutturazione e le crisi registrate in questi ultimi anni in alcuni comparti del
manifatturiero hanno provocato l’espulsione di manodopera, soprattutto femminile, con più di
45 anni.
Da ultimo, lo sviluppo del territorio è disomogeneo e i confini regionali racchiudono aree territo-
45
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
riali che soffrono di scompensi e squilibri e nelle quali la “modernizzazione” del sistema produttivo stenta a mantenere il passo con i ritmi tipici delle realtà più avanzate, determinando,
di conseguenza, effetti negativi sul fronte dell’occupazione e del mercato del lavoro.
I tassi di attività e di occupazione più elevati si registrano nelle province di Milano, Varese e
Lodi, mentre rispetto al problema della disoccupazione i valori si attestano quasi tutti al di sotto
del quattro per cento, ad eccezione di Cremona e Pavia che fanno registrare rispettivamente il
4,5% e il 4,3% di tasso di disoccupazione.
TABELLA 1. Dati di sintesi del mercato del lavoro nelle province lombarde, 2006, valori assoluti
in migliaia e valori %.
FORZE
LAVORO
OCCUPATI
Varese
402,1
387,0
Como
255,7
246,0
IN CERCA DI
OCCUPAZ.
TASSO DI
ATTIVITÀ
TASSO DI
OCCUPAZ.
TASSO DI
DISOCC.
15,1
70,3
67,6
3,8
9,7
66,6
64,1
3,8
Sondrio
80,2
77,4
2,8
66,3
63,9
3,5
Milano
1.861,9
1.790,0
71,9
70,8
68,1
3,9
Bergamo
480,2
465,9
14,3
67,7
65,7
3,0
Brescia
539,6
519,4
20,2
67,1
64,6
3,7
Pavia
228,3
218,6
9,8
67,0
64,1
4,3
Cremona
155,6
148,7
7,0
67,1
64,1
4,5
Mantova
181,5
176,0
5,5
69,2
67,1
3,0
Lecco
151,3
146,5
4,8
68,8
66,6
3,2
Lodi
101,0
4.437,4
97,7
4.273,2
3,3
164,2
70,0
69,1
67,7
3,2
3,7
24.661,6
22.988,2
1.673,4
62,7
Lombardia
Italia
66,6
58,4
6,8
Fonte: Istat.
Per rispondere a queste problematiche e rendere il contesto regionale maggiormente competitivo
a livello comunitario, la Regione, già da diversi anni, ha avviato un sistema di politiche formative e del lavoro fondato sui principi della sussidiarietà, della promozionalità e della differenziazione a livello locale. A seguito del decentramento delle competenze in materia di lavoro alle
Regioni, infatti, la Lombardia ha promosso, a partire dal 1999, lo sviluppo e il rafforzamento del
sistema dei servizi per l’impiego e ha sviluppato, di concerto con i territori, un approccio alle
problematiche legate all’occupazione di tipo promozionale e mirato.
Il primo passo di questa nuova fase per la Regione, così come previsto dal decreto Bassanini di
decentramento delle funzioni in materia di lavoro (d.lgs. 469/1997), è stata la definizione di un
quadro normativo di riferimento per disciplinare i ruoli di governo e promuovere un sistema in
grado di migliorare il funzionamento del mercato del lavoro.
46
La legge 1/199915, pertanto, ha dato il via sul territorio lombardo al nuovo sistema decentrato
dei servizi per l’impiego e delle politiche del lavoro. In particolare, la legge ha mantenuto in capo
alla Regione le funzioni di indirizzo e coordinamento, di programmazione, di ripartizione delle
risorse e di valutazione, mentre alle Province sono stati attribuiti i seguenti compiti (legge
1/1999, art. 6):
• programmazione dei servizi e degli interventi di politica del lavoro su scala provinciale;
• costituzione della rete provinciale dei centri per l’impiego;
• attività di collocamento ordinario, agricolo, dello spettacolo, obbligatorio, dei lavoratori
extra-comunitari, dei lavoratori a domicilio, dei lavoratori frontalieri e stagionali, di avvio a
selezione negli enti pubblici;
• gestione ed erogazione dei servizi individuali e collettivi connessi alle attività di collocamento, quali l’informazione, l’orientamento, la preselezione e l’incontro domanda-offerta di
lavoro;
• gestione, erogazione e attuazione dei servizi connessi alle funzioni e ai compiti attribuiti
attraverso Piani Provinciali approvati dalla Giunta Regionale per la verifica del rispetto degli
indirizzi.
Con la medesima legge, inoltre, è stata istituita l’Agenzia regionale per il lavoro, un ente con
funzioni di assistenza tecnica e monitoraggio in materia di politica attiva del lavoro, nonché di
supporto alle Province nelle fasi di progettazione degli interventi e nella formazione degli operatori dei centri per l’impiego.
La volontà regionale di realizzare un modello di politiche del lavoro a gestione mista pubblicoprivato ha ripercussioni anche nell’ambito della formazione professionale. Nel Programma triennale della Formazione professionale del 2002, infatti, la Regione Lombardia indica come
obiettivo l’attuazione di un sistema integrato tra formazione, istruzione e mondo del lavoro e la
realizzazione di un sistema pubblico-privato di agenzie di formazione.
Le trasformazioni qui presentate, che, come detto, toccano ambiti diversi del mercato del lavoro,
ribadiscono, ancora una volta, l’obiettivo finale della Regione ovvero la creazione di un sistema
integrato di servizi, decentrato a livello territoriale e capace da una parte di cogliere i fabbisogni che emergono a livello locale e dall’altra di prendersi in carico i cittadini formulando risposte adeguate alle loro richieste. Il decentramento delle competenze in materia di servizi
all’impiego ha investito le Province di nuove sollecitazioni e opportunità in materia di politiche
attive del lavoro e, al contempo, ha imposto maggior coordinamento dialogo e condivisione delle
esperienze tra Regione, Province e parti sociali: il ruolo della Regione rimane quindi quello di
recettore delle istanze del territorio e quello di cercare insieme alle province, ai comuni e ai
soggetti interessati, le risposte più adatte ai diversi problemi che emergono su questo fronte.
15 Legge regionale n. 1 del 15 gennaio 1999, “Politiche regionali del lavoro e dei servizi per l’impiego”, pubblicato sul Bollettino
ufficiale della Regione Lombardia n. 3 del 18 gennaio 1999.
47
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
La creazione Dell’unità Provinciale per le Politiche Attive del Lavoro (Upal), oggi non più operativa, andava in questa direzione: il progetto UPAL rientrava nella logica del decentramento
territoriale dei servizi all’impiego avviato con il d.lgs. 469/1997, proseguito con la L.R. 1/99 e
conclusosi con il Protocollo d’Intesa in materia di organizzazione dei servizi all’impiego, sottoscritto il 19/07/2001 tra Regione e Province. Infatti, la rete di Unità Provinciali per le Politiche
Attive del Lavoro, sulla base di un Protocollo d’Intesa Regione- Province, raccordava e sviluppava iniziative in materia di Politiche Attive del Lavoro, favorendo lo scambio di know how tra
Regione e Upal, generando una ricaduta positiva per lo sviluppo del territorio, avendo come
orizzonte il bene sia della persona, che in questo contesto trova opportunità di realizzare la
propria vocazione, sia le aziende, che trovano nella rete un punto di riferimento per individuare
le migliori soluzioni a molti problemi.
Con la volontà di “mettere a sistema” le diverse esperienze l'operatore UPAL si occupava dell’animazione territoriale dei servizi regionali e provinciali, con particolare attenzione agli interventi di politica attiva del lavoro, sinergici e sussidiari a quelli regionali e coordinati con gli
interventi già presenti o programmati a livello locale, e delle attività di benchamarking, diffusione e scambio di buone prassi contribuendo così a semplificare e ottimizzare la relazione tra
la programmazione regionale e quella provinciale.
Nell’ottica di promuovere, inoltre, un mercato del lavoro facilmente accessibile e trasparente,
la Lombardia è stata la prima realtà regionale ad attivare, così come previsto dalla legge Biagi
(d.lgs. 276/2003, art. 15) il portale on-lin16e per favorire l’incontro tra domanda e offerta di
lavoro mediante uno spazio accessibile ai cittadini, alle imprese e ai servizi per il lavoro (Borsa
Lavoro Lombardia)17.
Sebbene la rete UPAL oggi non sia più operativa, le trasformazioni legislative intercorse in seguito hanno fatto tesoro di questa esperienza e in particolare della sua capacità di fare sistema.
Nelle pagine seguenti analizzeremo i passi legislativi che hanno segnato l’evolversi delle politiche del lavoro regionali, definiremo, attraverso l’analisi del piano d’azione regionale e del
programma operativo regionale, le linee operative per i progetti di politica attiva e, infine, presenteremo i principali programmi regionali attuati di recente.
2.1.1. La legge 22
Nel quadro delle direttive nazionali e comunitarie in materia di mercato del lavoro si inserisce
la Regionale n. 22/2006. Tale legge segna l’inizio di una profonda trasformazione del mercato
del lavoro e pone le basi per la realizzazione degli obiettivi definiti nella Strategia Europea per
l’Occupazione e nella strategia di Lisbona (2000) ovvero la promozione di un mercato del lavoro
16 La nascita del portale BorsaLavoroLombardia.net, nodo regionale della Borsa continua del lavoro prevista dalla Legge 30/93,
vedeva protagonista la rete UPAL, in particolare attraverso un’attività di promozione e diffusione sul territorio di questo importante
strumento a supporto della innovazione del mercato del lavoro.
17 Si veda il sito internet www.borsalavorolombardia.net
48
trasparente, accessibile a tutti, in cui operi una rete di servizi al lavoro efficiente e fondato sulla
centralità della persona e sull’investimento in capitale umano.
In questo contesto, così come descritto approfonditamente nelle prossime pagine, alle pubbliche
amministrazioni resta la titolarità delle funzioni amministrative e di programmazione in materia di politiche del lavoro, mentre la realizzazione delle azioni di politiche attive del lavoro viene
affidata a tutti gli operatori accreditati del mercato del lavoro.
La L.R. 22 del 28 settembre 2006 attua gli interventi finalizzati a promuovere lo sviluppo occupazionale e a favorire le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro così come previsto
dall’art. 4 della Costituzione. La legge 22 sul mercato del lavoro, nello specifico, per garantire
la centralità dell’individuo e sostenere la sua libertà di scelta, promuove la costituzione di un
sistema dei servizi per il lavoro a carattere misto, in cui competono e, allo stesso tempo, collaborano operatori pubblici e privati. Questo modello, in estrema sintesi, prevede la possibilità
per il lavoratore in difficoltà occupazionale di decidere in maniera autonoma a quale struttura
rivolgersi per essere supportato nelle fasi di ricerca di un nuovo impiego, così come per partecipare ad attività formative di riqualificazione o di aggiornamento professionale. I servizi per il
lavoro, anche quelli pubblici, per poter accedere ai finanziamenti regionali devono accreditarsi
presso un apposito albo istituito dalla Regione: l’accreditamento richiede che il soggetto sia in
grado, autonomamente o mediante raggruppamenti con altri operatori, di garantire l’intera filiera di servizi, che comprende l’intermediazione di manodopera (per la quale è necessaria
l’autorizzazione ministeriale o regionale), la formazione e i servizi al lavoro18.
La Legge in questione disciplina organicamente il mercato del lavoro ed è informata ai principi
di concertazione, sussidiarietà e leale collaborazione con le Province e gli altri Enti Locali, le
autonomie funzionali e le parti sociali, in particolare le organizzazioni dei lavoratori e dei datori
di lavoro e gli enti bilaterali da essi istituiti.
Sul piano formale prevede una profonda riorganizzazione del mercato del lavoro regionale intorno a 3 elementi chiave:
• la creazione di una rete di servizi;
• la gestione mista pubblico-privato del mercato del lavoro;
• l’intervento sostitutivo;
Tali elementi costituiscono anche le linee operative su cui si fondano il piano d’azione regionale
i progetti regionali di politica attiva descritti in seguito (PARI e LaborLab).
LA RETE DI SERVIZI
Lo snodo centrale delle politiche del mercato del lavoro regionali è rappresentato dalla volontà
18 La documentazione di riferimento per il sistema di accreditamento della Regione Lombardia comprende: la legge regionale
22/2006, art. 13; la Delibera n. 4562 del 18.04.2007; il D.D.G. n. 5193 del 21.05.2007. Si veda il sito internet della Regione Lombardia, alla pagina http://formalavoro.regione.lombardia.it
49
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
di costruire una rete dei servizi, ovvero una rete “virtuale” che metta e tenga in comunicazione
tutti gli operatori accreditati presenti sul territorio che offrono servizi per il lavoro al fine di
garantire ai cittadini tutti i servizi necessari per migliorare il proprio status occupazionale19.
LA GESTIONE MISTA PUBBLICO-PRIVATO
Con l’approvazione della legge 22, la Regione Lombardia ha promosso la costituzione di un
modello misto dei servizi per il lavoro, composto dalle Province e dai soggetti accreditati, in cui
accanto al servizio pubblico opera, in competizione ma anche in sinergia, il mondo del privato,
per garantire un efficace funzionamento del mercato del lavoro e la piena libertà di scelta all’individuo.
La nuova organizzazione del mercato del lavoro si è esplicitata nella ridefinizione delle competenze in capo alle Province nella gestione degli interventi di politica attiva del lavoro. In particolare, nella legge regionale 22 alle Province sono attribuite funzioni di programmazione
territoriale degli interventi di politica attiva del lavoro, mediante il confronto e la concertazione
con le parti sociali20, e in via esclusiva funzioni amministrative, quali: la gestione delle schede
anagrafico-professionali; l’attivazione delle procedure finalizzate all’erogazione dell’indennità
di disoccupazione; l’acquisizione delle comunicazioni da parte delle imprese relative ad assunzioni, trasformazioni dei contratti, proroghe, cessazioni dei rapporti di lavoro; la gestione del
collocamento mirato ai disabili; la gestione delle liste di mobilità.
Rispetto all’erogazione delle misure di politica attiva del lavoro, invece, la Regione ha stabilito
la possibilità per tutti gli operatori accreditati di:
• informare e orientare i lavoratori e le imprese in merito a opportunità lavorative, tipologie
contrattuali, azioni formative, incentivi, ecc.;
• favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro;
• prevenire e contrastare la disoccupazione di lunga durata;
• promuovere le pari opportunità;
• promuovere misure a favore dei lavoratori svantaggiati;
• sviluppare forme di accompagnamento al lavoro dei lavoratori disabili;
• sostenere la mobilità professionale o territoriale dei lavoratori;
• assicurare il monitoraggio dell’andamento del mercato.
L’INTERVENTO SOSTITUTIVO
Rispetto alle novità introdotte dalla legge 22 del 2006 si parla di “intervento sostitutivo” degli
operatori privati accreditati quando questi intervengono con le medesime funzioni e le mede19 In fase di accreditamento, qualora l’operatore non fosse in grado di garantire tutti i servizi della filiera (intermediazione, servizio per il lavoro, formazione) deve dichiarare il raggruppamento di cui fa parte, in modo da assicurare l’erogazione di tutti i servizi.
20 La legge 22/2006, all’articolo 9, prevede da parte delle Province l’istituzione delle Commissioni provinciali per il lavoro e la
formazione quali organismi di concertazione a livello territoriale.
50
sime finalità dei centri per l’impiego pubblici garantendo così, come previsto dal decreto
181/2000, l’erogazione dei servizi minimi prevista per gli operatori pubblici anche nel privato.
Questo significa che il lavoratore può rivolgersi direttamente a un’agenzia privata del lavoro, e
non più solo ai centri per l’impiego pubblici, per la dichiarazione dello stato di disoccupazione
e di immediata disponibilità (così come previsto dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. 181/200). Allo
stesso modo, potrà essere l’operatore privato a stipulare con il lavoratore il patto di servizio, un
documento recante i rispettivi impegni per favorire il reinserimento occupazionale del soggetto
disoccupato. L’agenzia privata, così come l’ufficio pubblico, potranno quindi effettuare il colloquio di orientamento, proporre l’adesione a misure di formazione e inserimento lavorativo e
verificare il rispetto del patto di servizio ai fini del permanere del soggetto nello stato di disoccupazione.
Il sistema disegnato dalla legge 22, sebbene in linea con un contesto nazionale e internazionale
di trasformazione del mercato del lavoro in cui l’organizzazione del lavoralo stesso va sempre
più nella direzione del coinvolgimento degli attori privati, la Regione Lombardia ha inteso realizzare, diversamente da quanto accaduto in altre Regioni, un sistema di collaborazione paritario ovvero caratterizzato da omogenea distribuzione delle funzioni tra centri per l’impiego
pubblici e agenzie private. Il modello lombardo differisce, per esempio, da quello realizzato in
Toscana e in Emilia Romagna dove la via prescelta è quella integrativa che lascia, comunque,
alle istituzioni provinciali e regionali un ruolo di presidio e dove l’intervento del privato è pensato
nell’ottica di completare la gamma, migliorare la qualità ed ampliare la diffusione sul territorio
delle funzioni dei servizi o di fornire interventi specializzati per determinate categorie di
utenti.
Allo scopo di tenere costantemente verificati i requisiti dei vari soggetti accreditati a svolgere i
servizi all’impiego, la correttezza delle procedure adottate e i risultati ottenuti ma anche al fine
di favorire una virtuosa competitività del sistema, legge 22 prevede l’introduzione di due nuove
figure di controllo e valutazione del funzionamento del mercato del lavoro: il valutatore indipendente e l’osservatorio regionale del mercato del lavoro.
Il valutatore indipendente è l’organismo che detiene il compito di verificare i requisiti dei soggetti accreditati, la correttezza delle procedure adottate per programmare e realizzare le iniziative finanziate e i risultati effettivamente ottenuti; l’Osservatorio regionale sul Mercato del
Lavoro svolge un’attività sistematica di rilevazione, elaborazione ed analisi dei dati afferenti al
mercato del lavoro della Regione Lombardia ai fini della valutazione dell’efficacia delle politiche
per il lavoro, del sistema educativo di istruzione e di formazione professionale e del sistema
universitario, nonché dell’andamento del mercato del lavoro regionale. I due soggetti lavorano
a stretto contatto: da una parte l’Osservatorio trasmette le relazioni annuali presentate dai
soggetti accreditati presso i suoi uffici al valutatore e dall’altra questo giudica l’operato degli
addetti, pubblici e privati ed, infine, elabora una relazione annuale sul funzionamento dei servizi
di istruzione, formazione e lavoro che viene trasmessa al Consiglio regionale, alla Giunta regio-
51
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
nale e all’Osservatorio, che provvede alla sua integrale pubblicazione sul proprio sito internet.
La forte spinta centrifuga che caratterizza il modello di servizi per l’impiego disegnato dalla
legge 22 si distingue, rispetto ai sistemi più accentrati, per la capacità di dialogo con il territorio che si declina nel sapere identificare i problemi, adeguare il fine delle azioni e, infine, nel
saper coinvolgere attivamente i soggetti sociali. Occorre però rilevarne anche gli aspetti controversi. I limiti di tale modello emergono paradossalmente quali effetti distorsivi delle opportunità
stesse offerte dal sistema reticolare. In particolare, se da un lato il decentramento amministrativo e il coinvolgimento “alla pari” di tutti gli attori pubblici e privati che operano sul territorio
ha permesso una progettazione mirata degli interventi di politica del lavoro e ha incentivato la
sperimentazione, dall’altra l’autonomia operativa lasciata ad ogni provincia ha prodotto iniziative singole e progetti isolati senza un’adeguata capacità di “fare sistema”che hanno reso più
difficoltosa la diffusione di “buone pratiche” e hanno impedito la realizzazione di economie di
scala nella fase di progettazione.
Esistono poi dei rischi cui il modello, in virtù dell’equitù cui aspira, è esposto: in particolare
l’omogenea assegnazione di compiti ai servizi pubblici e privati, potrebber dar adito alla stigmatizzazione dei servizi pubblici per l’impiego e dei lavoratori che a questi si rivolgono. Le diverse finalità perseguite dagli operatori pubblici e privati, di equità sociale nel primo caso e di
efficienza nel secondo, potrebbero, infatti, contribuire a segmentare gli users di questi servizi
in base al livello di competenze e professionalità possedute e hanno contribuito a isolare i lavoratori più deboli nei servizi pubblici per l’impiego.
Fino ad oggi il ruolo di “regia” assunto dalla Regione Lombardia ha tentato di mitigare tali effetti e ha in parte contribuito alla creazione di un mercato del lavoro più equo anche rispetto ai
destinatari finali di questi servizi.
La sperimentazione del nuovo modello di servizi per il lavoro disegnato dalla legge n. 22 è stato
operativizzato nel piano d’azione regionale 2007-2010, descritto nel dettaglio nelle pagine seguenti.
2.1.2. Il piano di azione regionale 2007-2010
Il piano d’azione regionale, così come previsto dall’articolo 3 della l.r. 22/2006, è il documento
di indirizzo di programmazione pluriennale degli interventi di politica del lavoro e costituisce, a
livello territoriale, il punto di riferimento per le indicazioni in merito agli obiettivi da perseguire,
agli ambiti di azione, nonché agli strumenti e alle risorse a disposizione.
La Regione Lombardia, attraverso l’approvazione del piano d’azione 2007-201021, ha quindi
definito le linee-guida per gli interventi di politica del lavoro dei prossimi tre anni, avviando una
sperimentazione del nuovo modello di servizi per il lavoro disegnato con la legge 22. L’obiettivo
generale individuato dal piano può essere ricondotto a un’idea di welfare centrato sul lavoro,
dove l’occupazione è vista in qualità di strumento di inclusione sociale. Se di primo acchito
21 Il Piano d’azione regionale 2007-2010 è stato approvato dal Consiglio regionale in data 27 giugno 2007.
52
l’occupabilità può sembrare il fine ultimo cui tende il piano d’azione regionale, una lettura più
attenta rivela che, di fatto, questo rappresenta il mezzo attraverso cui realizzare un mercato del
lavoro caratterizzato dalla piena occupazione, dove ci sono maggiori e migliori posti di lavoro e
dove convivono flessibilità e tutela del lavoro (in linea con il modello della flexicurity).
Per il perseguimento di queste finalità, il piano di azione regionale delinea alcuni punti nodali:
• la centralità dell’individuo e la promozione di interventi mirati, personalizzati ed efficaci;
• l’integrazione tra i sistemi dell’istruzione e della formazione con le politiche del lavoro;
• la creazione di un sistema pubblico e privato dei servizi per il lavoro in grado di favorire la
libertà di scelta dell’individuo;
• la valorizzazione del capitale umano;
• il potenziamento del sistema delle imprese, in termini di innovazione e competitività;
• il sostegno alle transizioni tra i mondi della scuola, della formazione e del lavoro.
L’attenzione all’individuo e alle sue specificità diviene l’elemento caratterizzante del nuovo modello regionale di intervento: i progetti di politica del lavoro, adeguatamente integrati con le
iniziative in ambito formativo, devono essere declinati a livello operativo insieme al soggetto
interessato e in funzione dei suoi bisogni. I servizi per il lavoro devono essere in grado di garantire un ampio ventaglio di opportunità al soggetto in difficoltà occupazionale, in modo da favorire la definizione di un percorso personalizzato di intervento, in cui sono combinate le misure
ritenute necessarie per supportare l’individuo nella ricollocazione nel mondo del lavoro.
Il piano d’azione, per favorire le condizioni di personalizzazione ed efficacia degli interventi,
prevede tre strumenti di riferimento:, il piano di intervento personalizzato, la dote e il patto di
servizio.
Il Piano di Intervento Personalizzato, sottoscritto tra operatore accreditato e beneficiario, costituisce lo strumento attraverso il quale si individua il percorso ottimale per il soggetto e si regola
l’accesso alla fruizione dei servizi; la Dote, invece, è un insieme di risorse finanziarie in capo
alla persona, utilizzabili presso servizi accreditati, finalizzate alla realizzazione di un percorso
di inserimento lavorativo e grazie alla quale il beneficiario degli interventi di politiche attive del
lavoro può accedere e fruire di tutti quei servizi che risultino essere funzionali al raggiungimento
della sua occupazione; il Patto di Servizio, infine, stipulato tra l’operatore accreditato e il beneficiario dell’intervento di politica attiva, rappresenta il primo passo verso la costruzione del
percorso personale di riqualificazione e reinserimento lavorativo. È lo strumento attraverso il
quale il beneficiario usufruisce dell’insieme dei servizi minimi quali: l’accettazione della dichiarazione sostitutiva dello stato di disoccupazione, l’accoglienza, la raccolta e l’inserimento dei
dati anagrafici e professionali sul sistema informativo provinciale denominato Sintesi22, l’orientamento, le proposte di adesione a iniziative e a misure personalizzate di inserimento lavorativo
e/o formazione. Infine,. Il Piano d’Azione Regionale completa con dote e pip la gamma degli
22 In futuro i medesimi dai potrebbero poi essere trasferiti sul sistema informativo di Borsa Lavoro Lombardia.
53
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
interventi a favore delle politiche attive del lavoro già previsti dalla legge 181 del 2000 e, così
facendo, tratteggia un percorso ideale di crescita professionale del lavoratore attraverso gli
strumenti sopra descritti. Nella pratica il lavoratore in difficoltà occupazionale può rivolgersi
agli operatori accreditati e stipulare con essi un patto di servizio finalizzato alla pianificazione
congiunta di un piano di intervento personalizzato che includa servizi di orientamento, formazione e inserimento nel mondo del lavoro, costruiti a misura del beneficiario e sulla base delle
sue esigenze, competenze e potenzialità: l’operatore accreditato, dopo aver prenotato la dote, in
accordo con il lavoratore, definisce nel Piano di Intervento Personalizzato un percorso di crescita
professionale dell’individuo e se il piano di intervento, successivamente sottoposto all’approvazione da parte dell’istituzione preposta (Regione o Provincia a seconda dei finanziamenti),
sarà accolto, le azioni previste e finanziate con la dote potranno avviarsi. (Spreafico 2008).
Il lavoratore portatore di una dote, pertanto, può recarsi presso una qualsiasi struttura accreditata per i servizi al lavoro e, durante tutto il percorso definito nel piano di intervento, sarà
seguito da un tutor individuato dall’ente accreditato. Sebbene la responsabilità del percorso del
lavoratore ricada solo sull’ente con cui questo ha stipulato il patto di servizio, il beneficiario di
dote può svolgere le azioni previste nel suo piano di intervento personalizzato anche presso gli
altri soggetti che operano sul territorio, così da garantire al titolare di dote di scegliere tra tutta
la gamma dei servizi offerti dagli operatori pubblici e privati accreditati e/o autorizzati. La logica di rete, che sottostà al modello di intervento qui descritto, risponde alla necessità di offrire
tutti i servizi finalizzati all’occupazione (accoglienza, orientamento, formazione, incontro domanda-offerta, accompagnamento all’inserimento lavorativo) attraverso la creazione di una
rete di operatori pubblici e privati specializzati nella fornitura di servizi diversi, talvolta complementari, cui il lavoratore può liberamente far riferimento per realizzare le differenti azioni
previste nel suo pip.
Riassumendo, all’interno del sistema di gestione delle politiche del lavoro così disegnato i
soggetti coinvolti, in sintesi, sono (Piano d’Azione Regionale 2007-2010):
• la Regione, con compiti di governo e di indirizzo del mercato del lavoro;
• le Province, con ruoli di programmazione territoriale delle politiche;
• gli operatori pubblici e privati accreditati e/o autorizzati;
• le Parti sociali, in qualità di attori propositivi nelle fasi di programmazione e, allo stesso
tempo, soggetti corresponsabili nell’attuazione degli interventi.
La prima sperimentazione di questo nuovo modello di intervento avverrà, come indicato nello
stesso piano d’azione regionale, con il programma “Linee di sviluppo per valorizzare il capitale
umano”, promosso di concerto con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale23. Il programma, denominato anche LaborLab, sarà oggetto di trattazione in seguito.
23 Protocollo d’intesa tra Ministero del lavoro e Regione Lombardia siglato in data 20 febbraio 2006, per un impegno finanziario
da parte del Ministero pari a 23 milioni di euro.
54
FIGURA 1 Il percorso del lavoratore in difficoltà occupazionale nel sistema delle doti
55
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
2.1.3. Il programma operativo regionale 2007-2013 del Fondo Sociale Europeo
Il Fondo sociale europeo è lo strumento cardine per la realizzazione della strategia europea per
l’occupazione e rappresenta, nell’ambito delle politiche regionali per il lavoro, la principale fonte
di finanziamento delle azioni volte ad accrescere l’occupazione, l’occupabilità e l’inclusione
sociale dei lavoratori. Il documento di programmazione regionale per la gestione degli aiuti
comunitari previsti dall’Unione Europea ovvero l’atto che stabilisce le linee strategiche per
l’impiego dei fondi strutturali dell’UE è il Programma Operativo Regionale (POR).
Per quanto concerne la Regione Lombardia e, nello specifico, gli interventi regionali di politiche
del mercato del lavoro, tale documento diviene di particolare interesse a partire dalla programmazione 2000-2006 quando l’Unione Europea decide di ampliare il raggio d’azione del Fondo
sociale europeo e, per la prima volta, i fondi strutturali messi a disposizione non sono dedicati
esclusivamente al finanziamento di attività formative come in passato, ma abbracciano anche
le politiche del lavoro nel loro complesso.
Attraverso la programmazione comunitaria per il periodo 2000-2006, la Regione Lombardia ha
investito sul fronte della prevenzione e della cura ai problemi della disoccupazione e dell’esclusione sociale e ha operato una profonda modernizzazione dei servizi per l’impiego24. Nello specifico la programmazione della Regione Lombardia per il periodo 2000-2006 era strutturata in
una serie di interventi indirizzati alla sviluppo delle risorse umane nell’ambito della crescita
delle dinamiche caratterizzanti il mercato del lavoro. Il piano programmatico mirava al raggiungimento dei seguenti obiettivi (vedi POR Lombardia 2000-2006):
• lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo;
• la riconversione economica e sociale delle zone con difficoltà strutturali;
• l’adeguamento e l’ammodernamento delle politiche e dei sistemi d’istruzione, di formazione
e dell’occupazione.
La programmazione più recente, invece, (vedi POR Lombardia 2007-2013) declina i suoi obiettivi
come segue:
• incremento dell’occupazione;
• sviluppo di una cultura imprenditoriale;
• creazione di un circuito sinergico tra imprese e lavoratori;
• politiche sulle pari opportunità.
A tal fine le risorse del POR dell’obiettivo 325 della Lombardia per il periodo 2000-2006 (circa
24 I dati e i commenti che qui vengono rielaborati sono tratti dal Rapporto di valutazione finale redatto dal valutatore indipendente
del Por Obiettivo 3 della Regione Lombardia, del dicembre 2005.
25 La Commissione europea definisce le attività finanziabili attraverso i fondi strutturali fissando sia gli stanziamenti per Stato
membro sia gli obiettivi prioritari. L’obiettivo 1 indica le regioni a sviluppo arretrato, l’Obiettivo 2 le regioni in fase di riconversione
socio-economica e, infine, l’obiettivo 3 l’istruzione, la formazione e l’occupazione.
56
1,5 miliardi di euro26 per un totale di circa 26mila progetti) sono state impiegate con lo scopo
di favorire l’inclusione socio-lavorativa delle fasce più deboli, con un’attenzione privilegiata
verso i target più difficili (detenuti, soggetti in esecuzione penale esterna, donne e uomini con
disabilità psichica) e le nuove forme di svantaggio.
Accanto alle fasce deboli, un altro ambito prioritario di intervento del POR 2000-2006 è stato
quello della formazione continua, finanziata anche attraverso i voucher formativi: in questa
area, in particolare, è emersa l’esigenza di coniugare gli interventi formativi alle esigenze aziendali e dei lavoratori, attraverso lo sviluppo di indagini sui fabbisogni e la definizione di un sistema di certificazione delle competenze.
TABELLA 2. Progetti, costi e destinatari raggiunti al 31/12/2004 e previsioni al 31.12.2006 del
POR ob. 3 della Regione
MISURA
PROGETTI
FINANZIATI
AL 31/12/2004
AsseA
2.858
AsseB
922
AsseC
3.459
AsseD
13.673
AsseE
842
AsseF
16
DMM
11
POR
21.781
COSTO
PUBBLICO
AL 31/12/2004
428.767
DESTINATARI
AL 31/12/2004
170.282
RISORSE
PUBBLICHE
RESIDUE
PROGETTI TOT.
FINANZIABILI
AL 31/12/2006
DESTINATARI
TOT.
AL 31/12/2006
27.628
3.042
181.254
10.570
1.037
69.625
58.420
3.936
398.902
75.667
17.684
392.647
31.303
1.057
33.173
21.619
24.025
34
11.000
-11.000
-11
216.612
26.802
84.430
423.436
257.913
122.401
1.349.567
61.878
350.539
303.582
26.417
907.198
1.075.601
Fonte: Regione Lombardia 2005.
Il POR, inoltre, ha favorito lo sviluppo dei servizi per l’impiego, mediante azioni di sistema volte
a riqualificare il personale impiegato e a migliorare le dotazioni tecnologiche e attraverso l’introduzione di sistemi informativi provinciali interconnessi con il livello regionale27.
26 Nel Por originario erano previste risorse pari a 1.474.258.499 euro; nella riprogrammazione del 2003, le risorse sono state incrementate e portate a 1.566.178.829,00 euro. Secondo i dati del Ministero dell’economia e delle finanze aggiornati al 30 giugno
2007, la Lombardia ha impegnato il 90,2% delle risorse e ha speso l’87,4% (tali percentuali sono calcolati sul contributo totale del
Por che ammonta a 1.566.178.829 più la quota privata pari a 16.684.002, per un totale di 1.582.862.831,00 euro). Per approfondimenti si veda il sito del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato: http://www.rgs.mef.gov.it/
27 A livello provinciale il portale di riferimento in materia di lavoro è rappresentato da Sintesi.
57
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
L’esperienza condotta in questi anni ha permesso anche l’osservazione e il monitoraggio delle
dinamiche in atto nel mercato del lavoro regionale e l’individuazione di ambiti di sviluppo delle
politiche. In particolare, la valutazione ha evidenziato «la necessità di rafforzare l’integrazione
delle politiche di intervento rivolte ai soggetti svantaggiati, favorendo il raccordo e il coordinamento fra politiche sociali e politiche della formazione e del lavoro, al fine di consentire l’implementazione di interventi integrati in grado supportare l’adeguato inserimento economico e
sociale dei soggetti interessati» (Regione Lombardia 2005, p. 10).
Con la nuova programmazione dei Fondi strutturali 2007-2013, ogni Stato membro è stato
chiamato28 a definire un Quadro strategico nazionale con l’indicazione degli indirizzi di politica
regionale da perseguire nel periodo di riferimento. Il Documento presentato dal governo italiano
(approvato il 13 luglio 2007 dalla Commissione europea) contiene la definizione di quattro
macro-obiettivi:
• lo sviluppo dei circuiti della conoscenza;
• l’accrescimento della qualità della vita, della sicurezza e dell’inclusione sociale nei territori;
• il potenziamento delle filiere produttive, dei servizi e della concorrenza;
• l’internazionalizzazione e la modernizzazione dell’economia, della società e dell’Amministrazioni.
TABELLA 3. La politica regionale italiana 2007-2013.
MACRO-OBIETTIVI
PRIORITÀ DI RIFERIMENTO
a) Sviluppare i circuiti della conoscenza
1. Miglioramento e valorizzazione delle risorse umane
2. Promozione, valorizzazione e diffusione della ricerca e dell’innovazione per la
competitività
b) Accrescere la qualità della vita, la
sicurezza e l’inclusione sociale nei
territori
3. Energia e ambiente: uso sostenibile e efficiente delle risorse per lo sviluppo
4. Inclusione sociale e servizi per la qualità della vita e l’attrattività territoriale
c) Potenziare le filiere produttive, i servizi
e la concorrenza
5.
6.
7.
8.
d) Internazionalizzare e modernizzare
9. Apertura internazionale e attrazione di investimenti, consumi e risorse
10. Governance, capacità istituzionali e mercati concorrenziali e efficaci
Valorizzazione delle risorse naturali e culturali per l’attrattività per lo sviluppo
Reti e collegamenti per la mobilità
Competitività dei sistemi produttivi e occupazione
Competitività e attrattività delle città e dei sistemi urbani
Fonte: Quadro strategico nazionale 2007-2013.
Per quanto riguarda la Regione Lombardia, lo scorso 6 novembre, la Commissione Europea ha
approvato il Programma Operativo che definisce le azioni che la Regione intende finanziare con
28 Così come previsto dall’art. 27 del Regolamento generale sui Fondi strutturali europei.
58
il Fondo Sociale Europeo per il raggiungimento dell’obiettivo “competitività e occupazione”.
Il Programma promuove interventi dedicati al rilancio occupazionale e a progetti formativi per
la ricollocazione del personale. In particolare, gli assi di riferimento, stabiliti e declinati a livello
comunitario, attorno ai quali si svilupperanno le politiche e gli interventi regionali nei prossimi
anni sono i seguenti:
• adattabilità, per sostenere la capacità di adattamento ai mutamenti da parte dei lavoratori
e delle imprese;
• occupabilità, per favorire la crescita occupazionale e la stabilità della condizione lavorativa;
• inclusione sociale, per migliorare l’integrazione sociale e lavorativa dei soggetti deboli;
• capitale umano, per rafforzare le competenze dei lavoratori e sostenere la crescita della
competitività del sistema socio-economico lombardo;
• transnazionalità e interregionalità, un ambito trasversale e complementare alle altre linee
di intervento.
• assistenza tecnica, un ambito con le cui risorse si potranno finanziare le attività di preparazione, gestione, sorveglianza, valutazione, informazione e controllo del Programma Operativo.
La proposta di Programma operativo regionale della Lombardia (ob. 2 Fse 2007-2013), in particolare, attribuisce la massima importanza agli investimenti nello sviluppo del capitale umano,
promuovendo in tal senso politiche formative strettamente connesse ai temi dell’occupabilità,
della riqualificazione e della competitività. Un ruolo sempre più importante sarà giocato dalla
formazione continua, con una particolare attenzione rispetto a coloro che sono normalmente
esclusi dai percorsi formativi organizzati dalle imprese: si tratta, per esempio, dei lavoratori
precari, per i quali le aziende non sono propense a investire e che necessitano, invece, di un
continuo miglioramento in termini di competenze di base, professionali e trasversali. Allo stesso
modo, sarà promossa la formazione anche nelle piccole e piccolissime imprese che caratterizzano il tessuto produttivo lombardo per favorirne la crescita, il passaggio generazionale e il
posizionamento sui mercati mondiali. In questo quadro, si prevede una diversificazione dell’offerta formativa attraverso indagini sul territorio in grado di rilevare i fabbisogni formativi e
occupazionali, affinché siano attivati percorsi rispondenti alle esigenze del contesto produttivo
locale.
Il POR lombardo, inoltre, promuove la realizzazione di interventi volti a sostenere le transizioni
tra scuola e lavoro e tra lavoro precario e lavoro stabile, assegnando la priorità ai soggetti più
deboli come, per esempio, gli adulti con bassi livelli di istruzione, le donne con carichi familiari,
i giovani e gli immigrati. A favore di queste fasce vulnerabili del mercato del lavoro si richiede
un’azione in stretta sinergia con le organizzazioni del privato sociale, andando anche ad agire
nei confronti delle imprese per favorire il loro inserimento lavorativo.
59
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Un altro tassello importante per le politiche formative e del lavoro dei prossimi anni è rappresentato dalle misure sull’imprenditorialità e sull’innovazione, da favorire anche mediante migliori e più efficaci reti tra le imprese (anche di piccole dimensioni) e le università.
L’asse relativo alla trasnazionalità e all’interregionalità, poi, sottolinea l’importanza legata ad
alcune questioni aperte, che si sono ulteriormente arricchite con l’allargamento dell’Unione
europea a est. Il riferimento è al riconoscimento delle competenze e alla certificazione dei crediti,
al coordinamento in materia di immigrazione, alle politiche di benchmarking e di diffusione
delle buone prassi e, a livello nazionale, il richiamo è alla messa in rete delle informazione
inerenti il mercato del lavoro attraverso la Borsa continua del lavoro.
Dal punto di vista dei mezzi e degli strumenti da utilizzare per il conseguimento degli obiettivi
fissati, la direzione intrapresa è quella dell’integrazione tra i servizi, gli attori e le risorse. La
Regione promuove e sostiene la costruzione di filiere integrate dell’istruzione, della formazione
e del lavoro, riprendendo le sperimentazioni avviate in questi anni, per esempio, con gli Ifts e i
poli formativi. Gli interventi saranno, quindi, da sviluppare attraverso la costituzione di partnership con le parti sociali e con i rappresentanti del tessuto socio-economico del territorio, oltre
che network di carattere interregionale e trasnazionale. Anche dal punto di vista dei finanziamenti, la strada proposta è quella dell’integrazione tra fonti di diversa provenienza (per esempio, per la formazione continua, si prevede l’affiancamento del Fse ai Fondi paritetici
interprofessionali).
Tra gli strumenti individuati per realizzare quanto programmato, rientrano: i voucher (buoni per
accedere, per esempio, alla formazione), le borse di studio, i servizi alle persone, i piccoli sussidi, gli incentivi, l’appalto di servizi e le azioni di sistema.
2.1.4. La sperimentazione: gli ammortizzatori sociali in deroga
Già nel precedente capitolo si è più volte sottolineato come il sistema italiano di ammortizzatori
sociali sia incapace di tutelare alcune categorie di lavoratori. In particolare, si è più volte messo
in luce come la normativa vigente nel nostro Paese sia fortemente orientata alla protezione dei
lavoratori della grande industria occupati secondo i canoni tradizionali di lavoro, con contratti,
cioè, a tempo indeterminato.
I lavoratori delle imprese artigiane e industriali con meno di 15 dipendenti, invece, sono scarsamente tutelati, soprattutto in caso di processi di ristrutturazione aziendale, di riconversione
o di crisi che determinano la sospensione anche parziale dell’attività lavorativa. Nello specifico,
non esiste, almeno per il momento, un istituto come la Cassa integrazione guadagni per i lavoratori di queste piccole aziende e, allo stesso modo, in caso di licenziamento per motivi oggettivi
legati alla situazione aziendale, il lavoratore non percepisce l’indennità di mobilità ma esclusivamente la disoccupazione, un sussidio quindi inferiore rispetto a quello percepito dai colleghi
della grande industria.
Di fronte alla crisi che, negli ultimi anni, a seguito del profondo processo di delocalizzazione
60
produttiva verso est, ha coinvolto alcuni settori tradizionali dell’economia lombarda, l’inefficacia degli ammortizzatori sociali è parsa sempre più evidente.
In particolare, in seguito alla chiusura di molte piccole realtà aziendali nel settore tessile e alla
conseguente esclusione di ampie sacche di manodopera dal mercato del lavoro, imprese, lavoratori e parti sociali hanno iniziato a confrontarsi con lo scopo di analizzare la situazione socioeconomica del settore ed elaborare adeguate ipotesi di intervento finalizzate a sostenere le
aziende e i lavoratori in queste fasi di profondo mutamento e difficoltà. Da una parte è emersa
l’inadeguatezza del sistema di ammortizzatori sociali previsto nell’ordinamento italiano e, dall’altra, è apparso necessario intervenire a livello territoriale per colmare le lacune insite del
sistema degli ammortizzatori sociali.
La prima realtà territoriale in Lombardia a muoversi su questo fronte è stata la Provincia di
Bergamo: le parti sociali, insieme all’Amministrazione provinciale, alla Prefettura, alla Regione
e alla Camera di Commercio, sono state promotrici di una fase di confronto e concertazione per
definire le strategie di intervento atte ad affrontare la delicata fase economica.
Il primo passo, in questo senso, è stata la richiesta avanzata al Ministero del lavoro da parte
della Provincia di Bergamo, di concerto con tutte le parti sociali e la Regione, di poter usufruire
di quanto previsto dalla legge finanziaria 2004 (art. 3, comma 137, L. 350/2003) in merito alla
concessione di ammortizzatori sociali alle imprese artigiane e industriali fino a 15 dipendenti,
in deroga, pertanto, alla normativa vigente. L’accordo tra Ministero del lavoro e Provincia di
Bergamo, siglato il 28 giugno 2004, prevedeva, nello specifico, l’estensione dei benefici della
Cassa integrazione guadagni straordinaria ai lavoratori delle aziende artigiane e industriali fino
a 15 dipendenti del settore tessile-abbigliamento-moda della provincia di Bergamo, con uno
stanziamento pari a 5,3 milioni di euro, a cui si sono aggiunti 680mila euro per alcune aziende
industriali con più di 15 dipendenti individuate per la loro particolare condizione di difficoltà.
Nel medesimo periodo, convinta della necessità di accompagnare gli interventi di politica passiva con azione di politica attiva, la Provincia di Bergamo ha, inoltre, promosso la costituzione
di un Osservatorio provinciale del settore tessile per analizzare e monitorare le dinamiche del
sistema produttivo e predisporre interventi di politica attiva mirati ed efficaci in grado di supportare i soggetti in difficoltà occupazionale.
La legge finanziaria 2005 ha confermato questa sperimentazione, prevedendo «[…] in deroga
alla vigente normativa, concessioni […] dei trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria, di mobilità e di disoccupazione speciale, nel caso di programmi finalizzati alla gestione
di crisi occupazionali, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree territoriali ovvero
miranti al reimpiego di lavoratori coinvolti in detti programmi definiti in specifici accordi in sede
governativa […]» (art. 1, comma 155, L. 311/2004).
Questa opportunità è stata utilizzata in quasi tutto il territorio regionale. Dopo la Provincia di
Bergamo, anche realtà come Como, Milano, Varese, Brescia, Pavia hanno progressivamente
promosso accordi territoriali al fine di garantire sostegno ai lavoratori e alle imprese del settore
61
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
tessile e, successivamente, anche di altri settori. Nel 2006, anche Lecco, Cremona, Lodi e Sondrio hanno sottoscritto accordi della stessa natura col Ministero del Lavoro.
In questa nuova tornata di accordi, oltre agli attori già previsti precedentemente nella sperimentazione di Bergamo, il Ministero ha introdotto due presenze di rilievo che hanno sostanzialmente riportato il controllo delle attività di gestione dei sussidi a livello centrale. Da un lato, ha
nominato Italia Lavoro quale organo di monitoraggio delle sperimentazioni in atto, promuovendo
la sua partecipazione ai tavoli territoriali; dall’altro lato, ha individuato quale soggetto deputato
ad autorizzare i pagamenti la Direzione provinciale del lavoro, ente diretto del Ministero del
lavoro che opera a livello territoriale.
Le risorse stanziate per gli ammoritzzatori in deroga sono servite per sovvenzionare, oltre alla
Cigs, altri due strumenti nel mercato del lavoro lombardo: da una parte gli accordi stipulati dopo
il 2005 hanno previsto l’introduzione di un secondo ammortizzatore sociale in deroga alla normativa vigente ovvero il trattamento di mobilità per i lavoratori licenziati dalle imprese con
meno di 15 dipendenti e dall’altra hanno previsto di destinare parte delle risorse per l’implementazione di strumenti di politica attiva del lavoro. La destinazione di parte delle risorse per
le politiche attive rappresenta, come già ricordato in precedenza, il punto nodale delle trasformazioni che hanno coinvolto il mercato del lavoro. Finanziando, al contempo, misure di politica
attiva e passiva, la Regione Lombardia sottolinea l’essenzialità delle une e delle altre nel suo
sistema di welfare ribadendo, come già anticipato nel capitolo precedente, la necessità di un
sistema dove le politiche attive non si sostituiscano ai sussidi ma vadano a completare la tutela
dell’individuo.
La Regione Lombardia, a partire dalla disponibilità di queste risorse, ha fornito alle Province
delle indicazioni tecnico-operative per la predisposizione dei piani di reimpiego29. Come previsto
dall’art. 1, comma 411, della L. 266/2005, i destinatari prioritari di questi piani sono i lavoratori
beneficiari degli ammortizzatori sociali in deroga, al fine di promuovere un’efficacia integrazione
tra strumenti passivi di sussidio al reddito e servizi di politica attiva del lavoro.
Il modello promosso dalla Regione per la realizzazione di questi piani di reimpiego riprende
sostanzialmente quanto previsto dalla legge regionale 22/2006 e dal Piano di azione regionale
2007-2010 (precedentemente approfonditi): mira, all’interno di un sistema a gestione mista
pubblico-privato, alla predisposizione di percorsi personalizzati in grado di favorire l’inclusione
socio-lavorativa delle fasce deboli, mediante l’utilizzo dello strumento della dote e del piano di
intervento personalizzato.
Le Province, quindi, sono state chiamate a definire i target di utenti a cui saranno riconosciute
le doti e le azioni da implementare per garantire il perseguimento dell’obiettivo “ricollocazione”.
29 La Regione Lombardia ha approvato le indicazioni tecnico-operative per la redazione dei programmi di reimpiego ex art. 1 comma
411 della L. 266/05, con il Decreto DG Istruzione Formazione e Lavoro n. 3625 del 11.04.2007.
62
Tra le misure finanziabili rientrano:
• azioni di orientamento informativo, finalizzate alla costruzione del profilo professionale e al
supporto alla ricerca attiva del lavoro;
• azioni di incrocio tra domanda e offerta;
• azioni di formazione e di riqualificazione professionale;
• accompagnamento all’inserimento lavorativo o alla creazione di impresa;
• incentivi economici alle imprese per inserimenti lavorativi di almeno dodici mesi;
• interventi di partecipazione al programma rivolti ai lavoratori che aderiscono al programma
di reimpiego.
La finanziaria del 2007 ha, infine, introdotto ulteriori novità rispetto alla sperimentazione degli
ammortizzatori sociali in deroga. Considerata la forte eterogeneità delle soluzione adottate a
livello locale per far fronte alle situazioni di crisi degli ultimi tempi, dopo anni di sperimentazione è parso necessario mettere mano alle disparità di trattamento che gli accordi provinciali
avevano creato. Pertanto l’art. 1, comma 1190, della legge 296/06 ha previsto un “ri-accentramento” della gestione delle procedure e delle risorse, attribuendone alla Regione le competenze
e destinando ulteriori 11,6 milioni di euro alla Lombardia. Le risorse stanziate dal Ministero a
favore della Lombardia potranno essere utilizzate sia per la Cassa integrazione guadagni straordinaria30 che per la mobilità in deroga31.
Il 14 dicembre 2007, presso la Regione Lombardia, è stata siglata un’intesa integrativa dell’accordo regionale del 29 giugno 2007 sulle risorse per gli ammortizzatori in deroga. Nell’accordo
si prorogano al 2008 e successivi anni, fino ad esaurimento, le risorse stanziate dalla finanziaria 2007 per la cassa integrazione e la mobilità in deroga, e vengono confermate le modalità
applicative e le procedure per accedere a tali indennità.
Seguono delle tabelle di sintesi relative alla Cigs e alla mobilità in deroga e, a conclusione di
paragrafo, una sintesi degli accordi stipulati in Lombardia per la concessione degli ammortizzatori sociali in deroga. Nel capitolo 3 verrà dedicato ampio spazio alle esperienze locali degli
ammortizzatori sociali in deroga qui presentati. In particolare la descrizione, l’analisi e il monitoraggio delle esperienze provinciali permetterà di approfondire in maniera sistematica le diverse sperimentazioni, individuarne i tratti comuni e coglierne le specificità rispetto al contesto
territoriale di riferimento.
30 Le imprese che possono beneficiare della Cassa sono le imprese anche artigiane e cooperative fino a 15 dipendenti; le imprese
anche artigiane e cooperative con più di 15 dipendenti non rientranti nella disciplina vigente in materia di ammortizzatori sociali;
le imprese anche artigiane e cooperative con più di 15 dipendenti, che presenteranno domande in deroga ai limiti di durata del
trattamento di CIGS o in assenza dei presupposti di cui alla legge 223/91.
31 L’indennità di mobilità in derog, sarà concessa ai lavoratori iscritti alle liste della legge 236/93 e non percettori di alcuna indennità per un periodo di 4 mesi (6 per gli ultra cinquantenni). La Regione Lombardia ha deciso, di concerto con le parti sociali e
le Province, di utilizzare queste risorse per la concessione della Cigs in deroga alle imprese con più di 15 dipendenti, facendo
pertanto proseguire le procedure già in atto a livello provinciale per la concessione della Cassa alle imprese fino a 15 dipendenti.
63
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TABELLA 4. Schema riassuntivo della CIGS in deroga (Regione Lombardia)
LA CIGS IN DEROGA
BENEFICIARI
Il ricorso alla Cigs in deroga è previsto per le imprese aventi unità operative in Lombardia in possesso dei seguenti requisiti:
• Imprese anche artigiane e cooperative sino a 15 dipendenti;
• imprese anche artigiane e operative con più di 15 dipendenti non rientranti nella disciplina vigente in materia di ammortizzatori sociali;
• imprese, anche artigiane e cooperative con più di 15 dipendenti, che presenteranno domande in deroga ai limiti di durata dei
trattamenti di CIGS o in assenza dei presupposti di cui alla legge 223/91 e successive modifiche e integrazioni.
REQUISITI SOGGETTIVI
Sono ammessi gli operai, gli intermedi, gli impiegati e i quadri che abbiano un rapporto di lavoro presso la stessa impresa non
inferiore a 90 giorni.
CAUSALI
La Cigs in deroga può essere concessa in deroga ai limiti di durata del trattamento di Cigs o in assenza dei presupposti di cui
alla legge 223/91 e successive modifiche e integrazioni.
DURATA
Le imprese, di cui al punto Beneficiari 1 e 2, possono usufruire, della Cigs in deroga, sia come prima concessione che come
proroga, per un periodo, anche non continuativo, non inferiore ad una settimana e non superiore a 12 mesi. Per le imprese di cui
al punto beneficiari 3, la durata della Cigs in deroga potrà variare a seconda della causale della richiesta di Cigs.
RIDUZIONE DEI TRATTAMENTI ECONOMICI
L’art. 1 comma 1190 della L.296/96 prevede che la misura dei trattamenti di Cgis in deroga è ridotta del 10%
in caso di prima proroga, del 30% nel caso di seconda proroga e del 40% nel caso di proroghe successive.
In merito il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale con nota n. 1476054 del 17.11.06 ha disposto di applicare l’abbattimento dei suddetti trattamenti trascorsi 12 mesi continuativi di erogazione ad ogni singolo lavoratore.
TABELLA 5. Schema riassuntivo della mobilità in deroga (Regione Lombardia).
LA MOBILITÀ IN DEROGA
DESTINATARI
I lavoratori licenziati successivamente alla data di sottoscrizione dell’accordo quadro, iscritti alla lista prevista dalla legge
236/93 e non percettori né dell’indennità di mobilità né dell’indennità di disoccupazione ordinaria o provenienti da imprese
soggette alle norme della legge 223/91 e che non siano percettori di alcuna indennità
DURATA
L’indennità di mobilità in deroga potrà essere erogata, per un massimo di 4 mesi per lavoratori fino a 49 anni di età (al momento
del licenziamento) e di 6 mesi per i lavoratori di età superiore, al momento del licenziamento.
64
TABELLA 6. Sintesi degli accordi stipulati in Lombardia per la concessione degli ammortizzatori
sociali in deroga.
PROVINCIA
Varese
Como
Sondrio
Milano
Bergamo
DATA
ACCORDO
1 aprile 2005
18 aprile 2005
27 giugno 2006
13 luglio 2005
- 28 giugno 2004
- 21 marzo 2005
- 10 luglio 2007
AMMORTIZZATORE
SOCIALE
RISORSE `
DI CUI ` PER
POLITICHE
ATTIVE*
DESTINATARI
SETTORI
Cigs
Aziende artigiane; aziende
industriali fino a 15 dip.;
aziende industriali con più
di 15 dip. se non hanno i
requisiti per accedere alla
cigs di legge;
Tessile,
abbigliamento,
calzature moda,
meccanotessile
Cigs e mobilità
Aziende artigiane; aziende
industriali fino a 15 dip.;
aziende industriali con più
di 15 dip. se non hanno i
requisiti per accedere alla
cigs di legge;
lavoratori licenziati imprese fino a 15 dip.
Filiera produttiva
tessile,
abbigliamento,
calzature
Cigs e mobilità
cigs: imprese artigiane,
industriali fino a 15 e oltre
i 15. Mob: lavoratori licenziati da imprese artigiane
e industriali fino ai 15 dip.
e cooperative
Tessile,
metalmeccanico,
elettrotecnico,
chimico, cartario,
alimentare
Cigs e mobilità
Aziende artigiane; aziende Tessile,
industriali fino a 15 dip.; abbigliamento,
aziende industriali con più calzaturiero
di 15 dip. se non hanno i
requisiti per accedere alla
cigs di legge;
lavoratori licenziati imprese fino a 15 dip.
Cigs
Cigs e mobilità
- TessileAziende artigiane; az.
industriali fino a 15 dip.;
abbigliamentoaz. industriali con più di
moda
15 dip. se non hanno i
- Manifatturiero - 6.980.000
4.789.729,01
requisiti per accedere alla
- 15.000.000
cigs di legge; lavoratori
licenziati imprese fino a 15
dipendenti
15.000.000 7.726.497,16
15.000.000 6.747.574,44
1.500.000
375.000,00
12.000.000 ` 9.684.342,59
65
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
PROVINCIA
Brescia
Lecco
Pavia
Mantova
DATA
ACCORDO
- 13 luglio 2005
- 5 luglio 2006
27 giugno 2006
- 8 febbraio 2005
- 26 giugno 2006
- 13 luglio 2005
- 9 febbraio 2006
AMMORTIZZATORE
SOCIALE
DESTINATARI
SETTORI
RISORSE `
DI CUI ` PER
POLITICHE
ATTIVE*
Cigs e mobilità
- Tessile, abAziende artigiane; az.
industriali fino a 15 dip.;
bigliamento,
az. industriali con più di
calzaturiero;
15 dip. se non hanno i
- Manifatturiero
requisiti per accedere alla
cigs di legge; lavoratori
licenziati imprese fino a 15
dipendenti
8.000.000
874.038,14
Cigs e mobilità
Aziende artigiane; aziende Tessile, meindustriali fino a 15 dip.; talmeccanico
lavoratori licenziati da imprese fino a 15 dipendenti
1.500.000
375.000,00
Cigs e mobilità
- Tessile, abAziende artigiane; az.
industriali fino a 15 dip.;
bigliamento,
az. industriali con più di
calzaturiero;
15 dip. se non hanno i
- Filiera tessile,
requisiti per accedere alla
abb. calz.
cigs di legge
15.000.000 3.810.806,29
Cigs e mobilità
Imprese artigiane; indu- - Tessile, abstriali fino a 15 dipendenti; bigliamento,
cooperative; in subordine,
calzaturiero
imprese oltre i 15 che non - Tutti i settori
possono fare ricorso agli
produttivi
ammortizzatori sociali
15.000.000 1.200.346,37
Aziende artigiane; aziende
industriali fino a 15 dip.;
aziende industriali con più
di 15 dip. se non hanno i
requisiti per accedere alla
cigs di legge;
lavoratori licenziati imprese fino a 15 dipendenti
Lodi
27 giugno 2006
Cigs e mobilità
Cremona
Fonte
- 27 giugno 2006
- 29 aprile 2007
Cigs e mobilità
Tessile, metalmeccanico,
chimico, terziario
e servizi
- Tessile, mecigs: imprese artigiane,
commerciali, industriali e
talmeccanico,
cooperative fino a 15, in
cartotecnico e
via prioritaria, industriali e grafico
cooperative non oltre 25; - Manifatturiero
mob: lavoratori licenziati
e altri settori
da imprese artigiane,
industriali, commerciali e
cooperative non oltre i 15
1.500.000
375.000,00
1.500.000
375.000,00
* Le risorse indicate per le politiche attive corrispondono alle quote previste da ogni Provincia negli accordi territoriali, così come
modificate dall’accordo siglato con la Regione Lombardia, che ha destinato parte di ogni quota provinciale alle politiche attive delle
Province che non avevano previsto nei loro accordi col Ministero tale destinazione d’uso
66
2.2. I progetti di politica del lavoro
2.2.1. Pari
Il Programma d’Azione per il Reimpiego di lavoratori svantaggiati, di seguito definito PARI,
promosso e finanziato dal Ministero del Lavoro e realizzato in 18 regioni con l’assistenza di
Italia Lavoro SpA (Agenzia del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale), nasce proprio
con l’obiettivo di sperimentare politiche del lavoro centrate sul welfare attivo. In risposta agli
obiettivi definiti dalla Strategia di Lisbona e nell’ambito del confronto sulla riforma degli ammortizzatori sociali e sulla creazione di un modello funzionale alla loro gestione, il Programma
mira:
• alla creazione di luoghi di governance delle politiche del lavoro, in cui realizzare la complementarietà e la sussidiarietà fra i diversi livelli di governo del mercato del lavoro ed il
coinvolgimento attivo di tutti gli attori, ciascuno per il proprio ambito di competenza;
• alla costruzione di una rete efficace e decentrata di servizi per il lavoro, in grado di garantire
standard omogenei di servizi a tutti i cittadini: sull’intero territorio nazionale sono stati
creati 230 sportelli di ricollocazione presso altrettanti Centri per l’Impiego;
• all’affermazione della necessità, per chi deve programmare e chi deve erogare i servizi di
supporto al reinserimento, di accesso tempestivo alla conoscenza della condizione specifica
del lavoratore percettore di sussidio: (si è) realizzato il monitoraggio permanente e sistematico quali-quantitativo delle crisi aziendali e occupazionali, del bacino di soggetti percettori
di ammortizzatori sociali in deroga e dei soggetti percettori di sostegno al reddito assegnato
dal programma, trasferendo i dati relativi ai lavoratori e alla spesa ai soggetti competenti
(Ministero, Regioni, Province e CPI) per la realizzazione delle rispettive attività di programmazione e gestione delle politiche del lavoro;
• alla promozione e diffusione di metodologie e strumenti utili ad affermare i principi della
condizionalità nell’accesso ai sussidi, della promozionalità del welfare e della centralità
della persona: i percorsi metodologici nei quali i beneficiari del Programma sono stati inseriti hanno previsto la sottoscrizione di un Patto di servizio fra il lavoratore ed il CPI e la
erogazione di servizi personalizzati, che hanno potuto anche contare su doti formative, sotto
forma di voucher individuali messi a disposizione di ciascun partecipante, e di incentivi
all’inserimento;
• alla definizione di azioni di reimpiego che, attraverso il contatto diretto con i lavoratori in
difficoltà e la proposta di sottoscrizione del Patto di servizio fra lavoratore e CPI, hanno
consentito, sull’intero territorio italiano, di inserire in percorsi di reimpiego circa 18.000
lavoratori e, al tempo stesso, di rilevare la reale consistenza, qualitativa e quantitativa, dei
bacini di riferimento.
Le azioni di reimpiego promosse e attuate dal Programma si avvalgono del supporto di una rete
di partners (Regioni, Province, organizzazioni sindacali e parti sociali, attori privati del mercato
67
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
del lavoro) che contribuiscono, ciascuno nel rispetto del proprio livello di competenza, alla
realizzazione degli interventi e all’affermazione di un approccio volto alla condivisione e cooperazione fra tutti gli attori del mercato del lavoro, sia a livello nazionale che territoriale. Esse non
sono però le uniche misure promosse attraverso PARI che, tra i progetti finanziati nel periodo
2005-2007, ha previsto anche la realizzazione di interventi più mirati ovvero direttamente legati
ai bisogni emergenti nelle diverse realtà territoriali. Questo è il motivo per cui il programma
nazionale viene poi declinato in modo diverso in ciascuna regione italiana attraverso progetti a
carattere locale.
L’articolazione organizzativa di PARI è identica in tutte le regioni e vede la partecipazione di
Italia Lavoro con un ruolo di coordinamento centrale. In ciascuna Regione poi è stato allestito
un tavolo di indirizzo costituito dall’Amministrazione regionale insieme a Italia Lavoro, dal Ministero del Lavoro, dall’Inps nazionale e da altri soggetti a discrezione dell’Amministrazione
regionale con il compito di definire le linee strategiche del Programma a livello locale, di progettare gli interventi, di monitorare le azioni e i risultati. A questi due attori se ne aggiunge poi
un terzo, chiamato Gruppo Territoriale Operativo (GTO). Quest’ultimo, costituito dai rappresentanti dei Centri per l’Impiego, dagli operatori territoriali di Italia Lavoro e da altri soggetti a
discrezione delle Province o dell’Amministrazione regionale, è investito di funzioni di pianificazione operativa, gestione e coordinamento operativo del progetto, di raccordo tra i diversi soggetti della rete territoriale e di coordinamento operativo per la gestione dei contributi e dei
voucher formativi.
Pur rimandando la trattazione specifica relativa alle diverse sperimentazioni provinciali al capitolo 3, nelle prossime pagine si offre una panoramica dei progetti realizzati in Lombardia all’interno del Programma d’Azione per il Reimpiego di lavoratori svantaggiati.
Un primo progetto sono gli Interventi Integrati di Politiche attive nelle Regioni, ovvero iniziative
operative previste dal Programma PARI da attuare su uno specifico territorio regionale. L’obiettivo di tali azione è la realizzazione di un sistema articolato di azioni, finalizzate al reimpiego e
all’incremento della occupabilità dei lavoratori, costruendo una rete integrata di servizi dedicati, mediante l’attivazione di sportelli di welfare to work presso i Centri per l’Impiego.
Esso si propone, inoltre, di supportare la qualificazione dei servizi per il lavoro della Regione
Lombardia sostenendo la diretta partecipazione dell’ente locale nella realizzazione delle azioni
di reimpiego dei lavoratori interessati dal Programma e il trasferimento agli operatori dei servizi
per il lavoro di metodologie e strumenti per il reimpiego
Una seconda articolazione di PARI è il progetto Micogen. Questo è lo strumento di attuazione del
Protocollo di intesa tra il Ministero del Lavoro, il Ministero dell’Ambiente e Italia Lavoro. Mira,
coniugando l’attenzione per l’ambiente con la possibilità di creare nuovi posti di lavoro, alla
realizzazione di “azioni sperimentali in materia di microcogenerazione diffusa coerentemente
con i principi della sussidiarietà orizzontale e verticale”.
Il progetto Creazione d’impresa sui beni confiscati intende, invece, promuovere e supportare,
attraverso la formazione di partenariati attivi, l’utilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie,
68
intaccando il capitale proveniente dalle attività criminali ma ancora di più indebolendo la rete
di collusione e complicità attraverso la quale la mafia stabilisce il suo radicamento territoriale
e costituisce il suo patrimonio finanziario. Attraverso l’utilizzo degli strumenti normativi sulla
confisca dei beni e il loro riutilizzo a fini sociali, si intende infatti restituire alla collettività le
risorse sottratte in maniera illegale, favorendo la costruzione di una rete alternativa a quella
dei rapporti mafiosi e stimolando la creazione di nuove opportunità occupazionali.
Il progetto, Occupazione e Servizi alla Persona, promosso dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale si inserisce nell’ambito delle politiche di welfare intese sia, in senso stretto, come
politiche sociali, sia come misure di politica del lavoro volte a favorire l’incontro tra domanda e
offerta e l’inclusione lavorativa di soggetti particolarmente deboli. Da un lato, interviene per
rispondere ai crescenti bisogni di cura di persone anziane, disabili e bambini e alle esigenze
legate alla gestione della casa e delle faccende domestiche, dall’altro lato promuove una corretta gestione dei processi di intermediazione di manodopera e favorisce l’inserimento lavorativo di lavoratori svantaggiati puntando su una corretta gestione dei processi di intermediazione
di manodopera all’interno dei nuclei familiari, lo sviluppo di un mercato del lavoro regolare e la
creazione di Piani di assistenza individuali, attraverso l’apertura di sportelli, nell’ambito della
rete dei servizi per l’impiego territoriali, rivolti sia a coloro che cercano lavoro in questo settore
che alle persone che necessitano di assistenza o cura qualificata.
La ricca articolazione del programma PARI include anche interventi di collocazione e ricollocazione lavorativa mirati. Prevede, infatti, azioni per l’inserimento lavorativo di un target specifico
di lavoratori svantaggiati, come gli immigrati, e azioni per la riqualificazione e la ricollocazione
di lavoratori espulsi da uno specifico mercato locale. Nel primo caso interviene il progetto Azioni
per il reimpiego degli immigrati mentre nel secondo caso agisce il programma Vallecamonica,
Val Cavallina e Sebino finalizzato, come accennato sopra, a tarare il modello sulle caratteristiche specifiche del territorio e sui bisogni e le esigenze dei soggetti destinatari del progetto32.
I destinatari delle attività del Programma P.A.R.I. sono lavoratori disoccupati o inoccupati, percettori di ammortizzatori sociali (lavoratori in cassa integrazione straordinaria o in mobilità in
deroga), oppure non tutelati da alcuna forma di sostegno al reddito (come, ad esempio, le donne
in reinserimento lavorativo, i lavoratori iscritti alle liste di mobilità senza indennizzo, gli immigrati e gli inoccupati).
In generale gli interventi per il reimpiego previsti dal programma PARI sono due: la dote formativa e il sostegno al reddito. L’uso dell’ammortizzatore sociale non è da intendersi solo come
forma sostitutiva del reddito nei periodi di mancanza di lavoro, ma deve essere interpretato
come uno strumento virtuoso di sostegno alla riqualificazione e all’aggiornamento delle compe32 Accanto a questi progetti, il programma pari prevede anche un’azione, denominato Politiche di inserimento di LSU, non realizzate
nella Regione Lombardia. Tale intervento mira alla costruzione di percorsi di reinserimento lavorativo o di stabilizzazione per i lavoratori socialmente utili che ancora fanno parte del bacino residuo. L’obiettivo è lo sviluppo di intervento integrato tra politiche di
sostegno al reddito, politiche attive del lavoro e politiche di sviluppo locale, in grado di agire in maniera mirata e differenziata rispetto al target e al territorio di riferimento e di attuare una credibile alternativa all’utilizzo passivo del sostegno al reddito.
69
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
tenze prima di rientrare nel mercato. A tal fine anche qui è prevista la realizzazione di un percorso individuale e professionale mirato e finalizzato a definire i bisogni dell’utente e a valutare
il tipo di reinserimento lavorativo che può avvenire in azienda o può essere inteso come un
percorso di avvio all’autoimprenditorialità.
2.2.2. LaborLab
Come precedentemente accennato, nell’ambito del Programma d’azione regionale 2007-2010,
la prima sperimentazione del nuovo modello di gestione delle politiche del lavoro che vede il
coinvolgimento contemporaneo di Regione, Province, operatori pubblici e privati accreditati e/o
autorizzati e Parti sociali, avviene con il programma “Linee di sviluppo per valorizzare il capitale
umano”, di seguito denominato LaborLab, promosso di concerto con il Ministero del lavoro e
della previdenza sociale33.
Il programma regionale LaborLab - Linee di sviluppo per valorizzare il capitale umano, è un’iniziativa che sperimenta servizi innovativi di politiche attive per il lavoro a favore di disoccupati
e lavoratori atipici. Esso è un’iniziativa di politica attiva del lavoro che intende dare attuazione
a due dei principi fondamentali indicati nella Legge Regionale n. 22/2006 e regolati dal Piano
d’azione regionale: da una parte mira alla realizzazione di interventi basati sulla centralità della
persona e la valorizzazione del capitale umano nella convinzione che al centro del mercato del
lavoro vi siano le persone e che i servizi debbano adattarsi alle esigenze del singolo, modulandosi ai suoi fabbisogni; dall’altra mira alla realizzazione di una rete di operatori pubblici e
privati del mercato del lavoro, accreditati e registrati presso l’albo regionale, impegnati nell’erogazione di efficienti servizi al lavoro.
Il programma prevede che ogni operatore pubblico o privato, purché accreditato, possa offrire
supporto per l’inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro di disoccupati e lavoratori
atipici. In quest’ottica, ciascun beneficiario è libero di accedere alla rete da qualsiasi suo punto,
confidando nella possibilità di trovare sempre e comunque degli operatori accreditati in grado
di garantirgli il supporto nell’attuazione del proprio percorso personalizzato di riqualificazione
e reinserimento lavorativo. L’obiettivo finale è, pertanto, l’occupazione, che può essere identificata nella stipula di un contratto lavorativo a tempo indeterminato, o a tempo determinato della
durata minima di 12 mesi, o nell’avvio di un percorso di autoimprenditorialità.
Il Programma si avvale dei medesimi strumenti previsti dal Piano d’azione regionale per l’attuazione delle politiche attive per l’occupazione e per sostenere i passaggi da lavoro a lavoro:
patto di servizio, dote e piano di intervento personalizzato.
33 Protocollo d’intesa tra Ministero del lavoro e Regione Lombardia siglato in data 20 febbraio 2006, per un impegno finanziario
da parte del Ministero pari a 23 milioni di euro.
70
Il Programma LaborLab si articola in quattro percorsi a seconda dei destinatari delle sue azioni.
Il primo di questi è la LaborLab Academy ovvero La Scuola di alta formazione per gli operatori
delle politiche del lavoro che mira alla preparazione di personale qualificato e dotato di competenze adeguate alla riforma del mercato del lavoro.
Il secondo percorso è destinato ai lavoratori disoccupati - ovvero uomini over 50 o donne, disoccupati, espulsi o mai entrati nel mercato del lavoro, non percettori di alcuna indennità diversa
dalla disoccupazione ordinaria, residenti e/o domiciliati in Lombardia – e ha l’obiettivo di promuovere l’occupazione dei beneficiari. Tale scopo si traduce nella stipula di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata non inferiore ai 12 mesi, o l’avvio
di un percorso di autoimprenditorialità e prevede l’attuazione di interventi di riqualificazione
professionale, reinserimento lavorativo o l’avvio di un percorso di autoimprenditorialità.
A questi primi due ambiti di intervento se ne aggiunge un terzo dedicato ai lavoratori atipici.
Anche questo percorso, come già il precedente, mira alla stabilizzazione lavorativa del lavoratore attraverso la stipula di un contratto a tempo indeterminato o a tempo determinato della
durata minima di 12 mesi, nonché, eventualmente, attraverso l’avvio di un percorso di autoimprenditorialità. La novità sta nei destinatari dell’iniziativa tra cui rientrano:
• i lavoratori con contratto di somministrazione (interinali) che abbiano compiuto almeno 8
missioni di 24 mesi precedenti la data di prenotazione del servizio;
• i lavoratori con contratti a tempo determinato che abbino sottoscritto almeno 5 contratti a
tempo determinato nei 24 mesi precedenti la data di prenotazione del servizio;
• i lavoratori con contratti co.co.co e co.co.pro che abbiano percepito un reddito uguale o inferiore a ` 20.000 lordi nell’anno precedente oppure siano in prestazione d’opera, o non in
prestazione d’opera, con un contratto scaduto da non più di sei mesi dalla data di prenotazione del servizio.
Il quarto percorso è, invece, destinato alle donne laureate in materie umanistiche da almeno un
anno, residenti o domiciliate in Lombardia, inoccupate o disoccupate, e mira a promuovere e
raggiungere l’occupazione delle beneficiarie attraverso un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata non inferiore ai 12 mesi, come risultato di un’esperienza
professionale (stage/project work) retribuita della durata di 3/5 mesi.
A questi primi quattro ambiti se ne è recentemente aggiunto un quinto, denominato Ambito
Ricercatori e dedicato alla realizzazione di una politica volta a promuovere il trasferimento delle
competenze di neolaureati, di dottori di ricerca e di dottorandi al mondo dell’impresa. L’obiettivo
è promuovere il rafforzamento delle competenze e l’occupabilità dei destinatari attraverso la
realizzazione di stage/project work (PW) per lo sviluppo di progetti di ricerca in ambito tecnicoscientifico. Nello specifico l’ambito Ricercatori del programma Laborlab mira a:
71
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
• promuovere il trasferimento delle competenze tra mondo della ricerca e le imprese attraverso
la collocazione temporanea dei ricercatori presso le imprese, i centri di ricerca e gli Enti
pubblici localizzati in Lombardia, in Italia o all’estero;
• favorire lo sviluppo delle competenze e la crescita delle risorse umane nel settore della Ricerca, anche a livello individuale;
• promuovere la formazione per lo sviluppo delle imprese/centri di ricerca/Enti pubblici nel
segmento delle nuove tecnologie.
2.2.3. Analisi delle provvidenze Elba 2004-2007
L’ente bilaterale dell’artigianato (Elba) ha sviluppato un’interessante tradizione nell’erogazione
di provvidenze a favore delle imprese artigiane e dei lavoratori delle stesse, per molti aspetti
anticipatoria, oltre che complementare, all’introduzione degli ammortizzatori in deroga.
Sono previste provvidenze
• per le imprese: per l’incremento dell’occupazione, per la formazione degli apprendisti, per
la formazione delle imprese, per la promozione dei sistemi di qualità, per eventi eccezionali
e per la provenienza di bacino;
• per i lavoratori: contratti di solidarietà, sospensione dell’attività lavorativa, intervento per
la disoccupazione, borse di studio e anzianità professionale aziendale.
L’analisi che viene condotta nelle pagine seguenti prende in considerazione le provvidenze erogate da Elba tra il 2004 e il 2007 relativamente a due tipi di interventi: SAL (Sospensione attività lavorativa) e IDM/E/E (Intervento per la disoccupazione).
In totale, sono stati realizzati 13.752 interventi, che non sono equamente suddivisi fra le quattro annualità: col passare degli anni, infatti, si è registrato un progressivo calo del numero degli
interventi realizzati: nel 2004 si concentra il 44% del totale degli interventi, nel 2005 il 35%,
nel 2006 il 15% e nel 2007 il 7%.
TABELLA 1. Distribuzione delle provvidenze per numero di interventi e anno
NUMERO DI INTERVENTI
ANNO
V.A.
%
2004
5.989
43,6
2005
4.872
35,4
2006
2.003
14,6
2007
888
6,5
13.752
100,0
Totale
72
FIGURA 1. Distribuzione delle provvidenze per numero di interventi e anno
Nell’ambito di questi interventi sono state coinvolte in totale 10.837 persone (per il 25% maschi
e per il 75% femmine), appartenenti a 2.178 aziende.
Il totale degli interventi è suddiviso tra SAL e IDM/E, come mostra la tabella seguente: l’83% è
costituito da interventi di SAL e il 17% da interventi di IDM/E. Lo scarto tra i due tipi di interventi
è più marcato nelle prime annualità analizzate (nel 2004, gli interventi di SAL sono stati il 90%
del totale) e meno nelle ultime (nel 2007, gli interventi di SAL sono stati il 74% del totale).
TABELLA 2. Distribuzione delle provvidenze per tipo di intervento, numero di interventi e anno
N° DI INTERVENTI
SAL
ANNO
V.A.
IDM/E
% SUL TOTALE
INTERVENTI
V.A.
TOTALE
% SUL TOTALE
INTERVENTI
V.A.
% SUL TOT.
INTERVENTI
2004
5.371
89,7
618
10,3
5.989
100,0
2005
3.984
81,8
888
18,2
4.872
100,0
2006
1.435
71,6
568
28,4
2.003
100,0
2007
655
73,8
233
26,2
888
100,0
11.445
83,2
2.307
16,8
13.752
100,0
Totale
73
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
FIGURA 2. Distribuzione delle provvidenze per tipo di intervento, numero di interventi e anno
L’analisi degli importi erogati dall’Elba per queste provvidenze evidenzia una spesa totale di
9.847.672 euro che, coerentemente con quanto osservato relativamente al numero di interventi,
ha riguardato in modo particolare l’anno 2004 (41% del totale della spesa) e il 2005 (37%), ed
è poi diminuita negli anni successivi. La tabella seguente mostra gli importi erogati in ciascuna
annualità presa in considerazione.
TABELLA 3. Distribuzione delle provvidenze per importo erogato e anno
IMPORTO EROGATO
ANNO
V.A.
%
2004
` 4.003.213,06
40,7
2005
` 3.608.865,51
36,6
2006
` 1.543.853,00
15,7
2007
` 691.740,42
7,0
`9.847.671,99
100,0
Totale
74
FIGURA 3. Distribuzione delle provvidenze per importo erogato e anno
Rispetto al totale degli importi erogati, il 69% del totale (6.822.872 euro) è stato dedicato a
interventi di SAL, mentre il 31% (3.024.800 euro) è stato utilizzato per interventi di IDM/E.
Dunque, in media, sono stati erogati 716 euro per ogni intervento; in particolare, 596 euro per
ogni intervento di SAL e 1.311 euro per ogni intervento di IDM/E.
Le tabelle e i grafici seguenti mostrano come le provvidenze Elba SAL e IDM/E (e i relativi importi) sono state distribuite nel corso degli anni.
TABELLA 4. Distribuzione delle provvidenze per tipo di intervento, importo erogato e anno
IMPORTO EROGATO
SAL
ANNO
V.A.
IDM/E
%
V.A.
TOTALE
%
V.A.
%
2004
` 3.200.277,06
79,9
` 802.936,00
20,1
` 4.003.213,06
100,0
2005
` 2.391.161,51
66,3
` 1.217.704,00
33,7
` 3.608.865,51
100,0
2006
` 824.253,80
53,4
` 719.599,20
46,6
` 1.543.853,00
100,0
2007
` 407.179,42
58,9
` 284.561,00
41,1
` 691.740,42
100,0
Totale
` 6.822.871,79
69,3
` 3.024.800,20
30,7
` 9.847.671,99
100,0
75
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
FIGURA 4. Distribuzione delle provvidenze per tipo di intervento, importo erogato e anno
Per quanto concerne i settori, la maggior parte delle provvidenze Elba (considerando insieme
SAL e IDM/E) ha riguardato, tra il 2004 e il 2007, i settori tessile, abbigliamento, calzaturiero,
per il quale è stato realizzato il 58% del totale degli interventi, e il settore metalmeccanico
(29%). Seguono, con un numero di interventi dedicati decisamente inferiore, il settore legno,
arredamento (4,3%), il settore chimica, gomma, plastica, vetro (3,8%), il settore grafici, cartotecnici (1,9%) e, via via, come mostrano la tabella e il grafico seguenti, tutti gli altri settori.
TABELLA 5. Distribuzione delle provvidenze per numero di interventi e settore
SETTORE
N° DI INTERVENTI
V.A.
% SUL TOT. INTERVENTI
Acconciatura, estetica
101
0,7
Alimentazione
139
1,0
Autotrasporti
31
0,2
Ceramica
23
0,2
522
3,8
10
0,1
259
1,9
Chimica, gomma, plastica,
vetro
Edili
Grafici, cartotecnici
76
Imprese di pulizia
26
0,2
Lapidei
48
0,3
598
4,3
3.924
28,5
2
0,0
Odontotecnici
21
0,2
Orafi, argentieri
74
0,5
Panificatori
27
0,2
7.697
56,0
166
1,2
84
0,6
13.752
100,0
Legno, arredamento
Metalmeccanico
Occhialeria
Tessile, abbigliamento,
calzaturiero
Tintolavanderie
Non definito
Totale
FIGURA 5. Distribuzione delle provvidenze per numero di interventi e settore
La tabella e il grafico seguenti mostrano, per ciascun settore, il numero di interventi realizzati,
con la suddivisione tra SAL e IDM/E. In tutti i settori, la percentuale di interventi di SAL supera
quella relativa agli interventi di IDM/E; segnaliamo che lo scarto maggiore riguarda i settori
autotrasporti, acconciatura-estetica, tintolavanderie, lapidei, chimica-gomma-plastica-vetro.
77
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TABELLA 6. Distribuzione delle provvidenze per tipo di intervento, numero di interventi e settore
N° DI INTERVENTI
SAL
SETTORE
IDM/E
TOTALE
V.A.
% SUL TOT.
INTERVENTI
V.A.
% SUL TOT.
INTERVENTI
V.A.
% SUL TOT.
INTERVENTI
91
90,1
10
9,9
101
100,0
Alimentazione
119
85,6
20
14,4
139
100,0
Autotrasporti
30
96,8
1
3,2
31
100,0
Ceramica
14
60,9
9
39,1
23
100,0
450
86,2
72
13,8
522
100,0
7
70,0
3
30,0
10
100,0
Grafici, cartotecnici
192
74,1
67
25,9
259
100,0
Imprese di pulizia
14
53,8
12
46,2
26
100,0
Lapidei
42
87,5
6
12,5
48
100,0
498
83,3
100
16,7
598
100,0
3.298
84,0
626
16,0
3924
100,0
1
50,0
1
50,0
2
100,0
Odontotecnici
16
76,2
5
23,8
21
100,0
Orafi, argentieri
49
66,2
25
33,8
74
100,0
Panificatori
18
66,7
9
33,3
27
100,0
6.391
83,0
1.306
17,0
7697
100,0
149
89,8
17
10,2
166
100,0
66
78,6
18
21,4
84
100,0
11.445
83,2
2.307
16,8
13752
100,0
Acconciatura, estetica
Chimica, gomma, plastica, vetro
Edili
Legno, arredamento
Metalmeccanico
Occhialeria
Tessile, abbigliamento, calzaturiero
Tintolavanderie
Non definito
Totale
78
FIGURA 6. Distribuzione delle provvidenze per tipo di intervento, numero di interventi e settore
(valori %)
Come mostra la tabella seguente, le Provvidenze Elba (SAL e IDM/E) hanno riguardato tutte le
province lombarde e, in particolare, quelle di Brescia (26% del totale degli interventi), Bergamo
(16%), Mantova (15%) e Cremona (12%) che, insieme, coprono il 69% del totale degli interventi. Seguono le province di Como (8%), Pavia (7%), Lecco (7%) e Varese (5%). Un numero
inferiore di interventi è infine stato realizzato nelle province di Milano (3%), Sondrio (2%) e Lodi
(0,4%).
79
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TABELLA 7. Distribuzione delle provvidenze per numero di interventi e provincia
PROVINCIA
N° DI INTERVENTI
V.A.
%
Bergamo
2.180
15,9
Brescia
3.589
26,1
Como
1.107
8,0
Cremona
1.652
12,0
Lecco
891
6,5
Lodi
59
0,4
381
2,8
1.995
14,5
Pavia
993
7,2
Sondrio
264
1,9
Varese
641
4,7
Totale
13.752
100,0
Milano
Mantova
FIGURA 7. Distribuzione delle provvidenze per numero di interventi e provincia (valori %)
80
Se, per ogni provincia, si confronta il numero di interventi SAL con quello degli interventi IDM/E,
si nota l’esistenza di tre tipi di province. Come mostrano la tabella e il grafico seguenti, si
possono individuare:
• province in cui la percentuale di interventi SAL è decisamente superiore a quella di interventi
IDM/E: Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Mantova, Pavia, Sondrio;
• province in cui le due percentuali sono molto simili: Lodi, Varese;
• province in cui a prevalere sono gli interventi di IDM/E: Milano.
TABELLA 8. Distribuzione delle provvidenze per tipo di intervento, numero di interventi e provincia
N° DI INTERVENTI
SAL
PROVINCIA
IDM/E
TOTALE
V.A.
% SUL TOT.
INTERVENTI
V.A.
% SUL TOT.
INTERVENTI
V.A.
% SUL TOT.
INTERVENTI
Bergamo
1.937
88,9
243
11,1
2.180
100,0
Brescia
3.029
84,4
560
15,6
3.589
100,0
Como
944
85,3
163
14,7
1.107
100,0
1.460
88,4
192
11,6
1.652
100,0
Lecco
787
88,3
104
11,7
891
100,0
Lodi
34
57,6
25
42,4
59
100,0
158
41,5
223
58,5
381
100,0
1.673
83,9
322
16,1
1.995
100,0
Pavia
883
88,9
110
11,1
993
100,0
Sondrio
191
72,3
73
27,7
264
100,0
Varese
349
54,4
292
45,6
641
100,0
Totale
11.445
83,2
2.307
16,8
13.752
100,0
Cremona
Milano
Mantova
81
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
FIGURA 8. Distribuzione delle provvidenze per tipo di intervento, numero di interventi e provincia
(valori %)
Provvidenze per interventi Sal
Per gli 11.445 interventi di SAL (Sospensione Attività Lavorativa) realizzati tra il 2004 e il 2007,
Elba ha erogato 6.822.872 euro. Come mostrano la tabella e il grafico seguenti, il numero degli
interventi e l’entità delle provvidenze erogate sono andati progressivamente diminuendo nel
corso degli anni. In particolare, gli importi erogati sono passati dai circa 3.200.000 euro del
2004 ai 407.000 euro del 2007.
TABELLA 9. Distribuzione delle provvidenze SAL per numero di interventi e importo erogato per
anno
N° INTERVENTI
IMPORTO EROGATO
ANNO
V.A.
%
V.A.
%
2004
5.371
46,9
` 3.200.277,06
46,9
2005
3.984
34,8
` 2.391.161,51
35,0
2006
1.435
12,5
` 824.253,80
12,1
2007
Totale
82
655
5,7
` 407.179,42
6,0
11.445
100,0
` 6.822.871,79
100,0
FIGURA 9. Distribuzione delle importi erogati per SAL per anno
Negli interventi di SAL sono state coinvolte 1.635 aziende e 8.687 persone, per il 26% maschi e
per il 74% femmine.
Per quanto riguarda il settore, l’85% degli interventi è rappresentato da due soli settori: tessile,
abbigliamento e calzature (56% del totale) e metalmeccanico (29%).
TABELLA 10. Distribuzione delle provvidenze SAL per numero di interventi e settore
SETTORE
Acconciatura, estetica
Alimentazione
Ceramica
Chimica, gomma, plastica, vetro
Edili
N° DI INTERVENTI
V.A.
%
91
0,8
119
1,0
14
0,1
450
3,9
7
0,1
Grafici, cartotecnici
192
1,7
Imprese di pulizia
14
0,1
Lapidei
42
0,4
Legno, arredamento
Metalmeccanico
Occhialeria
Odontotecnici
498
4,4
3.298
28,8
1
0,0
16
0,1
83
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Orafi, argentieri
Panificatori
Tessile, abbigliamento, calzaturiero
Tintolavanderie
Non definito
Totale
49
0,4
18
0,2
6.391
55,8
149
1,3
96
0,8
11.445
100,0
FIGURA 10. Distribuzione delle provvidenze SAL per numero di interventi e settore
L’analisi della distribuzione delle provvidenze SAL per settore e per anno mostra andamenti
molto diversificati.
Citiamo, a titolo esemplificativo:
• settori per i quali è stato realizzato un numero pressoché costante di interventi nel 2004,
2005 e 2006, a cui è seguita una forte diminuzione del 2007 (per esempio, acconciatura,
estetica o alimentazione);
• settori i cui interventi si concentrano nelle prime due annualità (per esempio, chimica,
gomma, plastica, vetro oppure tessile, abbigliamento, calzaturiero);
• settori che invece registrano nel 2007 il più alto numero di interventi realizzati (per esempio,
orafi, argentieri)
Per una descrizione di dettaglio, rimandiamo alla tabella e al grafico seguenti.
84
TABELLA 11. Distribuzione delle provvidenze SAL per numero di interventi, settore e anno
SETTORE
Acconciatura, estetica
Alimentazione
Ceramica
Chimica, gomma, plastica, vetro
Edili
Grafici, cartotecnici
Imprese di pulizia
Lapidei
Legno, arredamento
Metalmeccanico
Occhialeria
Odontotecnici
Orafi, argentieri
Panificatori
Tessile, abbigliamento,
calzaturiero
Tintolavanderie
Non definito
2004
2005
2006
2007
TOTALE
v.a.
27
31
31
2
91
%
29,7
34,1
34,1
2,2
100,0
v.a.
34
43
30
12
119
%
28,6
36,1
25,2
10,1
100,0
v.a.
12
-
2
-
14
%
85,7
0,0
14,3
0,0
100,0
v.a.
167
217
38
28
450
%
37,1
48,2
8,4
6,2
100,0
v.a.
-
5
2
-
7
%
0,0
71,4
28,6
0,0
100,0
v.a.
57
108
26
1
192
%
29,7
56,3
13,5
0,5
100,0
v.a.
10
2
2
-
14
%
71,4
14,3
14,3
0,0
100,0
v.a.
16
18
1
7
42
%
38,1
42,9
2,4
16,7
100,0
v.a.
223
164
77
34
498
%
44,8
32,9
15,5
6,8
100,0
v.a.
1373
1141
589
195
3298
%
41,6
34,6
17,9
5,9
100,0
v.a.
-
1
-
-
1
%
0,0
100,0
0,0
0,0
100,0
v.a.
9
4
2
1
16
%
56,3
25,0
12,5
6,3
100,0
v.a.
5
15
5
24
49
%
10,2
30,6
10,2
49,0
100,0
v.a.
-
8
5
5
18
%
0,0
44,4
27,8
27,8
100,0
v.a.
3328
2122
604
337
6391
%
52,1
33,2
9,5
5,3
100,0
v.a.
64
69
7
9
149
%
43,0
46,3
4,7
6,0
100,0
v.a.
46
36
14
-
96
%
47,9
37,5
14,6
0,0
100,0
85
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
FIGURA 11. Distribuzione delle provvidenze SAL per numero di interventi, settore e anno (valori %)
Analizzando la distribuzione degli interventi di SAL nelle diverse province lombarde, emerge che
ad essere maggiormente interessate da questi tipi di interventi sono Brescia (27%), Bergamo
(17%), Mantova (15%) e Cremona (13%). Nelle altre province, si concentra una percentuale di
interventi che va dall’8% di Como e Pavia allo 0,3% di Lodi.
TABELLA 12. Distribuzione delle provvidenze SAL per numero di interventi e provincia
PROVINCIA
N° DI INTERVENTI
V.A.
%
Bergamo
1.937
16,9
Brescia
3.029
26,5
Como
944
8,2
1.460
12,8
Lecco
787
6,9
Lodi
34
0,3
Cremona
Milano
158
1,4
1.673
14,6
Pavia
883
7,7
Sondrio
191
1,7
Varese
349
3,0
Totale
11.445
100,0
Mantova
86
FIGURA 12. Distribuzione delle provvidenze SAL per numero di interventi e provincia
Se si analizzano i dati precedenti in base all’anno di realizzazione degli interventi emergono tre
tipi di province:
• province che, in linea con l’andamento medio totale, passando dal 2004 al 2007, fanno
registrare una progressiva diminuzione del numero degli interventi di SAL realizzati: Bergamo, Brescia, Cremona, e Pavia;
• province che hanno mantenuto pressoché stabile il numero di interventi nelle prime due
annualità, per poi diminuirlo nelle due successive: Lecco e Lodi;
• province che dal 2004 al 2005 hanno aumentato il numero di interventi realizzati, diminuendolo poi drasticamente nel 2006 e nel 2007: Lodi, Milano, Mantova, Sondrio, Varese.
TABELLA 13. Distribuzione delle provvidenze SAL per numero di interventi, provincia e anno
PROVINCIA
Bergamo
Brescia
Como
Cremona
v.a.
2004
2005
2006
2007
TOTALE
1093
603
205
36
1937
%
56,4
31,1
10,6
1,9
100
v.a.
1429
1124
258
218
3029
%
47,2
37,1
8,5
7,2
100
v.a.
386
365
150
43
944
%
40,9
38,7
15,9
4,6
100
v.a.
742
401
239
78
1460
%
50,8
27,5
16,4
5,3
100
87
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Lecco
Lodi
Milano
Mantova
Pavia
Sondrio
Varese
v.a.
299
264
170
54
787
%
38,0
33,5
21,6
6,9
100
v.a.
12
16
6
0
34
%
35,3
47,1
17,6
0,0
100
v.a.
54
72
21
11
158
%
34,2
45,6
13,3
7,0
100
v.a.
648
714
228
83
1673
%
38,7
42,7
13,6
5,0
100
v.a.
520
203
61
99
883
%
58,9
23,0
6,9
11,2
100
v.a.
49
63
52
27
191
%
25,7
33,0
27,2
14,1
100
v.a.
139
159
45
6
349
%
39,8
45,6
12,9
1,7
100
FIGURA 13. Distribuzione delle provvidenze SAL per numero di interventi, provincia e anno
(valori %)
88
Provvidenze per interventi IDM/E
Per quanto riguarda gli IDM/E/E (Interventi per la Disoccupazione), tra il 2004 e il 2007 sono
stati realizzati 2.307 interventi, per un importo erogato pari a 3.024.800 euro.
L’erogazione delle provvidenze ha fatto segnare un picco nel 2005 (in cui sono stati realizzati
888 interventi, con un importo erogato pari al 40% del totale), seguito da una diminuzione
dell’entità delle provvidenze nel 2006 e nel 2007.
TABELLA 14. Distribuzione delle provvidenze IDM/E per numero di interventi e importo erogato,
per anno
N° INTERVENTI
IMPORTO EROGATO
ANNO
V.A.
%
V.A.
%
2004
618
26,8
` 802.936,00
26,5
2005
888
38,5
` 1.217.704,00
40,3
2006
568
24,6
` 719.599,20
23,8
2007
233
10,1
` 284.561,00
9,4
Totale
2.307
100,0
` 3.024.800,20
100,0
FIGURA 14. Distribuzione degli importi erogati per IDM/E per anno
89
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Negli interventi di IDM/E sono state coinvolte 2.150 persone (per il 22% maschi e per il 78%
femmine), appartenenti a 914 aziende.
Come gli interventi di SAL, anche quelli di IDM/E si concentrano prevalentemente in due settori:
tessile, abbigliamento e calzature (57%) e metalmeccanico (27%%) che, insieme, rappresentano l’84% del totale del numero degli interventi.
TABELLA 15. Distribuzione delle provvidenze IDM/E per numero di interventi e settore
N° DI INTERVENTI
SETTORE
V.A.
%
Acconciatura, estetica
10
0,4
Alimentazione
20
0,9
Autotrasporti
1
0,0
Ceramica
9
0,4
72
3,1
3
0,1
Grafici, cartotecnici
67
2,9
Imprese di pulizia
12
0,5
6
0,3
Legno, arredamento
100
4,3
Metalmeccanico
626
27,1
Occhialeria
1
0,0
Odontotecnici
5
0,2
25
1,1
9
0,4
1.306
56,6
Tintolavanderie
17
0,7
Non definito
18
0,8
2.307
100,0
Chimica, gomma, plastica, vetro
Edili
Lapidei
Orafi, argentieri
Panificatori
Tessile, abbigliamento, calzaturiero
Totale
90
FIGURA 15. Distribuzione delle provvidenze IDM/E per numero di interventi e settore
Le provvidenze erogate per interventi IDM/E seguono negli anni andamenti molto diversi a seconda del settore.
Per esempio, si notano:
• settori che, in linea con l’andamento generale, fanno registrare una forte concentrazione di
interventi nell’annualità 2005 (per esempio, autotrasporti o alimentazione o ceramica);
• settori per i quali gli interventi IDM/E/E sono suddivisi nelle quattro annualità, anche se con
percentuali più alte nel 2005 e nel 2006 (per esempio, legno, arredamento o metalmeccanico);
• settori per i quali sono stati realizzati interventi soltanto tra il 2004 e il 2006 e che non
hanno visto attivare alcun intervento nel 2007 (per esempio, acconciatura, estetica o panificatori o tessile, abbigliamento, calzaturiero).
Per una descrizione di dettaglio, rimandiamo alla tabella e al grafico seguenti.
91
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TABELLA 16. Distribuzione delle provvidenze IDM/E/E per numero di interventi, settore e anno
SETTORE
Acconciatura,
estetica
Alimentazione
Autotrasporti
Ceramica
Chimica, gomma,
plastica, vetro
Edili
Grafici, cartotecnici
Imprese di pulizia
Lapidei
Legno, arredamento
Metalmeccanico
Occhialeria
Odontotecnici
Orafi, argentieri
Panificatori
Tessile, abbigliamento, calzaturiero
Tintolavanderie
Non definito
92
2004
2005
2006
2007
TOTALE
v.a.
4
4
2
-
10
%
40,0
40,0
20,0
0,0
100,0
v.a.
2
16
1
1
20
%
10,0
80,0
5,0
5,0
100,0
v.a.
-
1
-
-
1
%
0,0
100,0
0,0
0,0
100,0
v.a.
2
7
-
-
9
%
22,2
77,8
0,0
0,0
100,0
v.a.
18
22
23
9
72
%
25,0
30,6
31,9
12,5
100,0
v.a.
-
1
1
1
3
%
0,0
33,3
33,3
33,3
100,0
v.a.
15
18
30
4
67
%
22,4
26,9
44,8
6,0
100,0
v.a.
4
2
3
3
12
%
33,3
16,7
25,0
25,0
100,0
v.a.
-
2
2
2
6
%
0,0
33,3
33,3
33,3
100,0
v.a.
21
44
24
11
100
%
21,0
44,0
24,0
11,0
100,0
v.a.
133
245
158
90
626
%
21,2
39,1
25,2
14,4
100,0
v.a.
8
5
4
1
18
%
44,4
27,8
22,2
5,6
100,0
v.a.
-
-
-
1
1
%
0,0
0,0
0,0
100,0
100,0
v.a.
2
2
-
1
5
%
40,0
40,0
0,0
20,0
100,0
v.a.
3
12
10
-
25
%
12,0
48,0
40,0
0,0
100,0
v.a.
4
2
3
-
9
%
44,4
22,2
33,3
0,0
100,0
v.a.
%
v.a.
%
399
30,6
3
17,6
501
38,4
4
23,5
299
22,9
8
47,1
107
8,2
2
11,8
1306
100,0
17
100,0
FIGURA 16. Distribuzione delle provvidenze IDM/E/E per numero di interventi, settore e anno (valori %)
Gli interventi di IDM/E/E si concentrano nelle province di Brescia (24%), Mantova (14%) e Varese (13%), seguite da Bergamo (11%) e Milano (10%).
Percentuali più basse si registrano nelle province di Cremona (8%), Como (7%), Lecco e Pavia
(5%), Sondrio (3%) e Lodi (1%).
TABELLA 17. Distribuzione delle provvidenze IDM/E/E per numero di interventi e provincia
N° DI INTERVENTI
PROVINCIA
V.A.
%
Bergamo
243
10,5
Brescia
560
24,3
Como
163
7,1
Cremona
192
8,3
Lecco
104
4,5
Lodi
25
1,1
Milano
223
9,7
Mantova
322
14,0
Pavia
110
4,8
Sondrio
73
3,2
Varese
292
12,7
Totale
2.307
100,0
93
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
FIGURA 17. Distribuzione delle provvidenze IDM/E/E per numero di interventi e provincia
Anche in questo caso, l’analisi dei dati relativi alle province in base all’anno di realizzazione
degli interventi permette di creare una tipologia:
• province che, dal 2004 al 2005, hanno aumentato il numero di interventi realizzati per poi
diminuirli nel 2006 e nel 2007: Bergamo, Brescia, Milano e Mantova;
• province che hanno mantenuto abbastanza stabile il numero di interventi nelle prime tre
annualità, per poi diminuirlo nell’ultima: Como e Sondrio;
• province che dal 2004 al 2005 hanno aumentato il numero di interventi realizzati, diminuendolo poi drasticamente nel 2006 e nel 2007: Lodi, Milano, Mantova, Sondrio, Varese.
TABELLA 18. Distribuzione delle provvidenze IDM/E per numero di interventi, provincia e anno
PROVINCIA
Bergamo
Brescia
Como
Cremona
94
2004
2005
2006
2007
TOTALE
v.a.
75
137
27
4
243
%
30,9
56,4
11,1
1,6
100,0
v.a.
169
225
91
75
560
%
30,2
40,2
16,3
13,4
100,0
v.a.
43
52
46
22
163
%
26,4
31,9
28,2
13,5
100,0
v.a.
48
80
60
4
192
%
25,0
41,7
31,3
2,1
100,0
Lecco
Lodi
Milano
Mantova
Pavia
Sondrio
Varese
v.a.
31
29
41
3
104
%
29,8
27,9
39,4
2,9
100,0
v.a.
6
17
2
0,0
25
%
24,0
68,0
8,0
0,0
100,0
v.a.
30
69
74
50
223
%
13,5
30,9
33,2
22,4
100,0
v.a.
83
120
86
33
322
%
25,8
37,3
26,7
10,2
100,0
v.a.
45
24
31
10
110
%
40,9
21,8
28,2
9,1
100,0
v.a.
21
22
23
7
73
%
28,8
30,1
31,5
9,6
100,0
v.a.
67
113
87
25
292
%
22,9
38,7
29,8
8,6
100,0
FIGURA 18. Distribuzione delle provvidenze IDM/E per numero di interventi, provincia e anno
(valori %)
95
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
3. DALLA REGIONE ALLE PROVINCE. LE POLITICHE DEL LAVORO A LIVELLO LOCALE
3.1. Le esperienze provinciali
Dopo aver preso in esame le riforme delle politiche del lavoro a livello nazionale e regionale, in
questo capitolo vengono analizzati i piani e i programmi attuati a livello provinciale. L’importanza del livello provinciale nelle politiche del lavoro è stata ulteriormente rafforzata nell’ambito
del nuovo sistema di ruoli e funzioni che la Legge Regionale 22/06 ha stabilito in tema di mercato del lavoro: la funzione di programmazione territoriale e realizzazione degli interventi di
politica attiva è stata attribuita alle Province, nel rispetto degli indirizzi definiti nel Piano
d’azione regionale.
Nel primo paragrafo viene presentata la mappatura e l’analisi degli interventi promossi nelle
province lombarde, realizzata a partire da un’analisi documentale (materiali e documenti pubblicati in internet e forniti dalle amministrazioni pubbliche) e da interviste a funzionari provinciali.
Per ogni provincia si segue lo stesso schema per la presentazione dei risultati:
a) un’analisi della situazione socio-economica della provincia (dinamica demografica, andamento economico, mercato del lavoro e, laddove disponibile, un approfondimento sul settore
tessile, particolarmente interessante per l’analisi dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali
in deroga), con un’attenzione particolare al settore artigiano;
b) le politiche passive: gli accordi per l’applicazione degli ammortizzatori sociali in deroga, il
ruolo delle parti sociali e istituzionali, le procedure per la concessione degli asd e i dati di
monitoraggio disponibili;
c) le politiche attive: i progetti realizzati (con il monitoraggio dei risultati, laddove disponibile)
e i progetti in avvio, con particolare attenzione ai Piani provinciali per l’attuazione di programmi di reimpiego per disoccupate e disoccupati (L. 266/06 art. 1 comma 411)
d) osservazioni conclusive: caratteristiche peculiari delle politiche del lavoro nella provincia in
esame, punti di forza e di debolezza delle esperienze presentate.
Nel paragrafo successivo (3.2.) viene proposta un’analisi comparativa delle politiche del lavoro,
attive e passive, programmate e realizzate nelle province lombarde, con particolare attenzione
al comparto artigiano.
3.1.1. Bergamo
a) La situazione socio-economica
L’economia provinciale ha visto in questi ultimi anni un bilanciamento complessivo tra ristrutturazione dell’industria, forte crescita del settore dell’edilizia e sviluppo dei servizi e dell’occupazione nel terziario.
96
Dopo una fase negativa attraversata nel corso dei primi anni di questo nuovo secolo (20002005), il sistema economico bergamasco ha ripreso la sua crescita: nel 2006 la produzione
industriale media è aumentata del +4,3%, recuperando in un anno più dell’intera perdita
accumulata nel quinquennio precedente; le esportazioni sono cresciute dell’11,6% rispetto
al 2005; il sistema delle imprese ha visto un saldo positivo tra iscrizioni (7.100 nel 2006) e
cessazioni (5.800) e il superamento di quota 93mila delle imprese registrate a settembre
2007.
Questo sviluppo si caratterizza per una certa disomogeneità a livello territoriale: da un lato, c’è
il Comune di Bergamo, il suo hinterland e la pianura che vedono il terziario, anche avanzato,
favorire una certa dose di crescita economica e occupazionale; dall’altro lato, ci sono le aree
montane, in particolare le Valli Seriana e Brembana che hanno visto ridursi in misura significativa la base imprenditoriale attiva a seguito di processi di crisi e delocalizzazione di alcuni
comparti tradizionali del manifatturiero.
TABELLA 1. Imprese registrate al 31.12.2006 per settore di attività economica e variazioni %
2006-2004 in provincia di Bergamo
IMPRESE REGISTRATE
AL 31.12.2006
VARIAZ. % 2006/2004
Agricoltura
5.664
-0,7
Industria
14.765
-0,5
Edilizia
19.748
5,7
Commercio
20.444
-0,1
4.332
2,7
18.020
7,8
Servizi collettivi
673
12,7
Servizi personali
4.082
2,5
N.C.
4.638
4,0
Totale
92.366
3,0
Pubblici esercizi
Servizi alle imprese
Fonte: dati Infocamere.
Secondo i dati di ASIA unità locali (Archivio Statistico delle Imprese Attive – Istat) riferiti al
2004, gli addetti presenti sul territorio nelle 90.973 unità locali di impresa sono 380.888 (dipendenti o indipendenti con l’esclusione del settore pubblico e del non profit). Oltre la metà delle
unità locali (il 54,6%) occupa un solo dipendente (si tratta, quindi, in linea di massima di
singoli lavoratori autonomi), il 38,4% da 2 a 9 dipendenti, mentre solo 861 unità locali contano
più di 50 addetti.
97
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TABELLA 2. Unità locali e addetti per classe dimensionale, 2004, valori assoluti.
UNITÀ LOCALI
ADDETTI
1 addetto
49.657
49.149
2-9 addetti
34.933
119.812
10-19 addetti
3.854
50.899
20-49 addetti
1.667
49.988
oltre 50 addetti
861
11.041
90.972
380.888
Totale
Fonte: Asia unità locali – Istat.
Un altro aspetto rilevante per la comprensione delle dinamiche del territorio e del mercato del
lavoro locale concerne la dinamica demografica e la composizione per età della popolazione.
In provincia di Bergamo risiedono al 31 dicembre 2006 poco più di un milione di abitanti
(1.044.820, di cui 518.268 maschi e 526.552 femmine), un dato in costante crescita sia nella
componente del saldo natuarale (nati – morti) sia in quella migratoria (trasferimenti di residenza all’interno della provincia al netto delle uscite).
L’evoluzione demografica presenta caratteristiche diverse negli ambiti territoriali della provincia; le aree montane e delle Valli sono caratterizzate da una dinamica molto più contenuta rispetto alle zone pedecollinari e della pianura.
La popolazione della provincia di Bergamo, in linea con le tendenze in atto a livello nazionale e
regionale, vede una riduzione marcata delle classi giovanili cruciali nella fascia d’ingresso sul
mercato del lavoro: tra il 2002 e il 2006 i giovani tra i 15 e i 29 anni sono diminuiti di oltre 8.500
unità e la loro quota sul totale della popolazione è passata dal 18,6% al 16,7%.
L’indice di vecchiaia, che rapporta la popolazione ultrasessantacinquenne ai minori di 15 anni,
è aumentato complessivamente dal 2002 al 2006 di 5,3 punti percentuali (da 108 a 113,3);
l’indice di dipendenza, che rapporta minori e anziani alla popolazione in età di lavoro, è cresciuto dal 44,2 del 2002 al 47,2 del 2006; l’indice di ricambio della forza lavoro, che rapporta
la popolazione in uscita dal mercato del lavoro (60-64 anni) con quella in entrata (15-19 anni),
dopo essere cresciuto fino a 121,7 nel 2003 è sceso a 109,6 nel 2006.
Il mercato del lavoro
Il mercato del lavoro bergamasco si presenta come un mercato dinamico caratterizzato da ridotti problemi di disoccupazione e da livelli di partecipazione elevati, in particolare tra gli uomini.
Nel periodo 2004-2006 le forze lavoro sono cresciute in maniera significativa, passando da
462mila a 480mila unità, con una variazione media annua del 2%, favorita quasi esclusivamente dalla crescita della componente maschile (+4%).
98
Il divario tra i generi nella partecipazione al mercato del lavoro e la ridotta presenza delle donne
tra la popolazione attiva costituiscono le principali criticità di questo mercato caratterizzato
peraltro da alti tassi di attività e di occupazione. Il tasso di attività maschile in provincia è
all’80,5%, mentre quello femminile oscilla intorno al 54,2%: i 26,3 punti di scarto vanno confrontati con un differenziale di 19,3 punti in Lombardia e di 23,8 in Italia.
Gli occupati medi nel 2006 a Bergamo sono stati 466mila (459mila nel 2005, 445mila nel
2004). La crescita dell’occupazione è sostenuta (+ 20mila unità nel biennio 2004-2006) anche
se determinata esclusivamente dalla componente maschile (290mila nel 2006, 284mila nel
2005, 270mila nel 2004). Le donne occupate restano tra il 2004 e il 2006 circa 176mila: questa
stazionarietà segnala un ritardo rilevante di Bergamo rispetto al dato medio nazionale e regionale che vede invece, soprattutto nel 2006, un forte aumento dell’occupazione femminile, superiore ai due punti e mezzo percentuali.
Le persone in cerca di occupazione in provincia di Bergamo oscillano intorno alle 14mila unità,
con un tasso di disoccupazione in costante diminuzione, attestandosi nel 2006 al 3%.
A livello settoriale, i 466mila occupati bergamaschi del 2006 si distribuiscono tra agricoltura
(6mila), industria (218mila, di cui 162mila nell’industria in senso stretto, la parte residua pari
a circa 56mila occupati è quasi totalmente attribuibile all’edilizia) e servizi (241mila). Per la
prima volta, anche a Bergamo, come già in tutte le altre province della Lombardia, l’occupazione
nei servizi supera la soglia del 50 per cento; la crescita occupazionale avviene tutta nei servizi:
si può stimare nel biennio 2004-2006 un aumento di circa 24mila occupati nel terziario e una
riduzione di circa 3mila occupati nell’industria in senso lato.
TABELLA 3. Tasso di attività e di occupazione per genere, anno e territorio, valori percentuali.
TASSO DI ATTIVITÀ 15-64 ANNI
TASSO DI OCCUPAZIONE
MASCHI
FEMMINE
TOTALE
MASCHI
FEMMINE
TOTALE
Anno 2006
Bergamo
80,5
54,2
67,7
79,1
51,5
65,7
Lombardia
78,7
59,4
69,1
76,4
56,5
66,6
Italia
74,6
50,8
62,7
70,5
46,3
58,4
Anno 2005
Bergamo
80,3
54,3
67,7
78,9
51,4
65,5
Lombardia
78,1
58,3
68,3
75,6
55,1
65,5
Italia
74,4
50,4
62,4
69,7
45,3
57,5
Anno 2004
Bergamo
78
54,7
66,6
75,9
51,9
64,2
Lombardia
77,9
58,5
68,3
75,6
55,1
65,5
Italia
74,5
50,6
62,5
69,7
45,2
57,4
Fonte: elaborazioni da dati Istat
99
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
GRAFICO 1. Il tasso di occupazione nel 2006 in provincia di Bergamo, in Lombardia e in Italia
a confronto, per genere. Valori %.
Fonte: dati Istat
Il settore tessile
Nell’ambito dell’economia provinciale, a partire dalla seconda metà degli anni novanta, il settore tessile è stato protagonista di un profondo processo di crisi e di riorganizzazione che ha
portato alcuni grandi gruppi industriali a delocalizzare la propria produzione verso est, alla
chiusura di piccole e piccolissime realtà artigiane e alla conseguente espulsione di manodopera
dal mercato del lavoro.
Nei primi anni del nuovo secolo tali difficoltà hanno determinato pesanti conseguenze sul mercato del lavoro locale, soprattutto in aree tradizionalmente legate alle produzioni tessili come
la Valle Seriana.
Nelle tabelle che seguono alcuni dati relativi alla Cassa integrazione guadagni ordinaria e
straordinaria autorizzata dal 2004 al 2006, dall’Inps di Bergamo, mostrano le problematiche
occupazionali derivanti dalle cessazioni o dalle riorganizzazioni di alcune attività del comparto
tessile.
100
TABELLA 4. Le ore di CIGO autorizzate negli anni 2004-2006 per settore produttivo. Valori assoluti.
CLASSE DI ATTIVITÀ
2004
2005
2006
32.317
31.527
28.611
1.660
37.556
10.963
Meccaniche
467.224
971.691
381.720
Tessili
799.373
1.560.405
517.278
Vest.abb.arredamento
176.441
186.782
130.191
Chimiche
Legno
Metallurgiche
146.889
190.542
64.333
Pelli e cuoio
12.405
28.793
15.776
Trasf.minerali
25.489
68.428
10.870
Carta e poligrafici
6.551
5.247
40.785
(3N) edilizia
7.963
33.120
42.825
343.362
519.328
411.357
8.333
1.981
57.036
2.028.007
3.635.400
1.711.745
Edilizia in senso stretto
Altri settori
Totale
Fonte: Inps, da Provincia di Bergamo, Il mercato del lavoro in provincia di Bergamo, 2007.
TABELLA 5. Le ore di CIGS autorizzate negli anni 2004-2006 per settore produttivo. Valori assoluti.
CLASSE DI ATTIVITÀ
2004
2005
2006
Meccaniche
142.043
449.510
173.875
Tessili
255.880
835.162
1.193.362
Vest.abb.arredamento
238.228
319.794
269.076
Chimiche
30.204
67.908
88.908
Pelli e cuoio
67.412
68.512
27.200
Carta e poligrafici
143.362
25.060
44.556
(3N) edilizia
127.577
71.691
61.540
Trasf.minerali
0
14.410
0
Trasp.comunicaz.
12.748
8.616
4.232
Industria edile
34.312
17.804
192
Commercio
4.454
27.204
21.157
Altri settori
0
0
9.272
1.056.220
1.905.671
1.893.370
Totale
Fonte: Provincia di Bergamo, Il mercato del lavoro in provincia di Bergamo, 2007.
101
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Le aziende artigiane
Di seguito si presentano i dati relativi alle imprese artigiane presenti in provincia di Bergamo.
TABELLA 6. Dati di sintesi relativi alle imprese registrate al Registro delle Imprese al 31.12.
Lombardia e Provincia di Bergamo. Anno 2007 (valori assoluti e percentuali).
BERGAMO
LOMBARDIA
PESO %
BERGAMO/LOMBARDIA
84.598
809.144
10,46
34.297
271.016
12,65
40,54
33,49
Totale imprese
Di cui artigiane
Peso artigiane/totale
Fonte: Infocamere
TABELLA 7. Principali sezioni di attività economica delle imprese artigiane al 31.12. Provincia
di Bergamo. Anno 2007 (Valori assoluti; ordine decrescente).
IMPRESE ATTIVE
Costruzioni
IMPRESE NATE
IMPRESE
CESSATE
V.A.
%
V.A.
V.A.
16.456
48
1.808
1.301
Attivita’ manifatturiere
9.239
27
690
618
Altri servizi pubblici,sociali e personali
2.961
9
192
0
Comm.ingr.e dett.;rip.beni pers.e per la casa
2.039
6
77
177
Trasporti,magazzinaggio e comunicaz.
1.837
5
52
140
Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca
1.208
4
122
128
339
1
43
30
Istruzione
54
0
4
1
Imprese non classificate
36
0
101
140
Estrazione di minerali
13
0
0
1
Alberghi e ristoranti
9
0
1
8
Intermediaz.monetaria e finanziaria
4
0
0
0
Sanita’ e altri servizi sociali
3
0
0
0
Prod.e distrib.energ.elettr.,gas e acqua
1
0
0
0
Pesca,piscicoltura e servizi connessi
0
0
0
0
Agricoltura,caccia e silvicoltura
Serv.domestici presso famiglie e conv.
Totale
Fonte: Infocamere
102
0
0
0
107
34.199
100
3.090
2.651
b) Le politiche passive
Gli accordi
La Provincia di Bergamo, di concerto con le parti sociali e in stretto raccordo con la Regione
Lombardia, è stata la prima provincia lombarda a sottoscrivere un accordo con il Ministero del
lavoro per la concessione di ammortizzatori sociali in deroga alle imprese artigiane e industriali
con meno di 15 dipendenti.
A seguito della situazione di difficoltà attraversata dal settore tessile del territorio già a partire
dai primi anni di questo nuovo secolo, infatti, le organizzazioni sindacali e le associazioni imprenditoriali hanno favorito l’attivazione di una serie di tavoli istituzionali volti a individuare
strategie e possibili interventi per supportare le imprese in difficoltà e i lavoratori a rischio
esclusione sociale.
Il 28 giugno 2004, in virtù dell’opportunità offerta dalla legge finanziaria 2004, è stato siglato
il primo accordo tra Ministero del lavoro, Regione Lombardia, Agenzia Regionale per il lavoro,
Provincia di Bergamo, Cciaa di Bergamo, Unione industriali della provincia di Bergamo, Apindustria Bergamo, Unione Artigiani, Associazione Artigiani, Cna, Cgil, Cisl, Uil, Femca Cisl, Filtea
Cgil, Uilta Uil. L’accordo prevedeva la concessione del trattamento di integrazione salariale
straordinaria a favore dei dipendenti delle imprese artigiane o delle imprese industriali fino a
15 dipendenti del comparto tessile, ubicate nella Provincia di Bergamo, per un periodo medio
anche non continuativo pari a tre mesi nell’arco del 2004 e per un numero di lavoratori pari a
1.200 unità. A tal fine il Ministero ha stanziato 5.300.000 di euro, a cui si sono aggiunti 680.000
euro per i dipendenti delle imprese industriali con più di 15 dipendenti.
Per la gestione e il monitoraggio di questo accordo è stato costituito (il 20 luglio 2004), presso
il Settore Istruzione, Formazione, Lavoro e Attività produttive della Provincia di Bergamo, l’Osservatorio provinciale del settore tessile, composto da tutti i soggetti firmatari dell’accordo.
Il perdurare della situazione di difficoltà del settore tessile ha portato, il 21 marzo 2005, alla
sottoscrizione di un ulteriore accordo con il Ministero del lavoro che ha previsto lo stanziamento
di ulteriori 15 milioni di euro per la concessione della Cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga e, in aggiunta rispetto al primo accordo, dell’indennità di mobilità per i lavoratori
licenziati a seguito di cessazione di attività o di riduzione di personale delle aziende artigiane
e delle aziende industriali fino a 15 dipendenti.
Nell’accordo del 21 marzo 2005, reso operativo con decreto dell’8 giugno 2005, è stata inoltre
prevista la proroga della mobilità ai lavoratori licenziati dalle imprese industriali con più di 15
dipendenti nel caso di scadenza della mobilità ai sensi della Legge 223/1991 tra il 1° maggio
2005 al 31 dicembre 2005.
Il 10 luglio 2006, infine, è stato siglato un accordo, convalidato dal Ministero del lavoro così
103
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
come previsto dalla legge finanziaria 2006, per estendere a tutto il comparto manifatturiero la
possibilità di usufruire degli ammortizzatori sociali in deroga (Cigs e mobilità). Inoltre, al fine
di favorire un reale supporto al lavoratore in difficoltà occupazionale attraverso una stretta
connessione tra strumenti di politica passiva e servizi e interventi di politica attiva del lavoro,
si è deciso di destinare parte delle risorse (5milioni di euro) stanziate per gli ammortizzatori in
deroga al finanziamento di azioni finalizzate al reimpiego dei soggetti espulsi dal mercato del
lavoro.
A seguito dell’estensione a tutti i settori del manifatturiero della sperimentazione degli ammortizzatori sociali in deroga, l’Osservatorio provinciale del settore tessile è stato trasformato in
Osservatorio provinciale degli ammortizzatori in deroga composto da:
• Provincia di Bergamo;
• Agenzia regionale per l’istruzione, la formazione e il lavoro;
• Organizzazioni sindacali;
• Associazioni imprenditoriali;
• Cciaa di Bergamo;
• Inps di Bergamo;
• Direzione provinciale del lavoro di Bergamo;
• Italia Lavoro (agenzia del Ministero del lavoro incaricata di monitorare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali in deroga).
Inoltre, al fine di garantire maggiore efficacia agli interventi di politica attiva del lavoro e promuovere un reale legame tra politiche passive e attive del lavoro, è stato costituito l’Osservatorio provinciale delle politiche attive del lavoro, di cui fanno parte, oltre alla Provincia, i
rappresentanti delle parti sociali presenti sul territorio.
Nella tabella che segue si propone una sintesi degli accordi siglati per gli ammortizzatori sociali
in deroga.
TABELLA 8. Gli accordi degli ammortizzatori sociali in deroga in Provincia di Bergamo
DATA ACCORDI
28 giugno 2004
104
SOGGETTI
COINVOLTI
Provincia di Bergamo,
oo.ss., associazioni
imprenditoriali, Inps,
Agenzia regionale
per il lavoro, Cciaa di
Bergamo
‡ riuniti nell’Osservatorio provinciale del
settore tessile
AMMORTIZZATORI
SOCIALI
Cigs in deroga
SETTORI
DESTINATARI
Tessile,
a) Lavoratori imprese
abbigliamento
artigiane e industriali
e moda
con meno di 15 dip.;
b) alcune imprese industriali sopra i 15 dip.
che hanno terminato la
Cigs di legge
RISORSE
5.300.000 `
per destinatari a)
680.000 `
per destinatari b)
21 marzo 2005
Come accordo del 28
giugno 2004 + Direzione
provinciale del lavoro +
Italia lavoro
10 luglio 2006
Come accordo 21 marzo Cigs in deroga
‡ riuniti nell’OsserMobilità 236 in
vatorio provinciale
deroga
degli ammortizzatori in
deroga
Cigs in deroga
Mobilità 236 in
deroga
Mobilità 223 in
deroga
Tessile,
Cigs: lavoratori imprese
abbigliamento artigiane e industriali con
e moda
meno di 15 dip. e lavoratori industriali sopra i 15
dip. che hanno terminato
la Cigs di legge;
Mobilità:
- 236: lavoratori
licenziati da imprese
artigiane e industriali
fino a 15 dip.;
- 223: lavoratori licenziati da imprese ind.
con più di 15 dip. se
indennità 223 scaduta
tra 1/5/05 e 31/12/05.
Comparto
Lavoratori imprese
manifatturiero artigiane e industriali con
meno di 15 dip.; mobilità
in deroga
Tessile- affini
Lavoratori imprese
industriali con più di 15
dipendenti che non possono accedere alla Cigs
di legge
15.000.000 `
‡ 5.000.000
` dei 15 milioni
precedentemente
stanziati sono
stati destinati a
iniziative di politica
attiva del lavoro
Fonte: elaborazione da accordi e documenti della Provincia di Bergamo.
Le procedure
Cigs in deroga
Soggetti coinvolti nelle procedure di concessione:
• Azienda
• Provincia di Bergamo
• Direzione provinciale del lavoro
• Parti sociali
• Inps
Documenti:
• Accordo sindacale: tra azienda e rappresentanti dei lavoratori, da allegare alla “richiesta di
Cigs in deroga”;
• Richiesta di Cigs in deroga da inviare, su carta intestata dell’azienda, alla Provincia di
Bergamo e alla Direzione provinciale del lavoro;
• Domanda di trattamento di integrazione salariale in deroga, da portare compilata all’esame
di consultazione durante il quale verrà vidimata dalla Provincia e consegnata al referente
della Direzione provinciale del lavoro presente all’esame;
105
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
• Verbale di consultazione, siglato al termine dell’esame di consultazione da azienda, Provincia, referenti delle parti sociali presenti; sarà cura dell’azienda consegnarlo all’Inps;
• Decreti di autorizzazione della Cigs in deroga, emessi dalla Direzione provinciale del lavoro
che autorizzano l’Inps al pagamento del trattamento di integrazione salariale.
Mobilita’ 236/93 in deroga
Soggetti coinvolti nelle procedure di concessione:
• Lavoratore licenziato da azienda artigiana e industriale con meno di 15 dipendenti
• Inps
• Centro per l’impiego
• Provincia di Bergamo
• Direzione provinciale del lavoro
• Sottocommissione regionale per la mobilità
106
Documenti:
• Modello DS21 (Domanda di prestazione di disoccupazione) da consegnare all’Inps di competenza territoriale e, in copia, al Centro per l’impiego
• Lista di mobilità emanata dalla Sottocommissione regionale
• Decreti di autorizzazione della mobilità in deroga emanati dalla Direzione provinciale del
lavoro
I dati di monitoraggio
Secondo i dati aggiornati al 30 aprile 2007, elaborati e pubblicati dall’Osservatorio provinciale
del mercato del lavoro della Provincia di Bergamo, le imprese artigiane e industriali con meno
di 15 dipendenti coinvolte nei processi di Cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga,
a valere sull’accordo del 21 marzo 2005, sono state 164.
Dal punto di vista territoriale si riscontra una forte concentrazione nei territori di Albino (42
imprese), Grumello (26) e Bergamo (24). Le imprese che hanno richiesto la Cigs in deroga sono
di piccole e piccolissime dimensioni: quasi la metà, infatti, ha meno di 5 dipendenti (il 44%) e
il 33,5% hanno tra i 6 e i 10 dipendenti. Dal punto di vista settoriale, le aziende che hanno
usufruito in misura maggiore della possibilità offerta dagli accordi ministeriali appartengono
al settore tessile: 117 delle aziende coinvolte da Cassa integrazione in deroga rientrano nelle
codifiche Ateco 17 e 18, rispettivamente “Industrie tessili” e “Confezioni articoli vestiario, preparazione e tintura pellicce”. Questa concentrazione è da porre in relazione ai contenuti dell’ac-
107
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
cordo del 21 marzo 2005 che ha previsto lo stanziamento da parte del Ministero del Lavoro di
risorse per la concessione degli ammortizzatori in deroga solo ed esclusivamente per il settore
tessile. Con l’accordo siglato il 10 luglio 2006, poi, è stata prevista l’estensione di questa sperimentazione a tutto il comparto manifatturiero del territorio provinciale.
La richiesta di Cigs in deroga ha interessato 969 lavoratori, di cui 803 donne, appartenenti alle
imprese artigiane e industriali con meno di 15 dipendenti. Le aziende hanno richiesto, in totale,
4.830 settimane di Cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga, con una media per
azienda pari a 29,45 settimane. In realtà, la metà delle aziende (82) hanno richiesto più di un
periodo di Cigs in deroga.
L’accordo del 21 marzo 2005 ha previsto anche la possibilità di usufruire della Cigs in deroga
alle imprese industriali con più di 15 dipendenti del settore tessile, qualora avessero terminato
il diritto a richiedere la Cassa integrazione guadagni straordinaria prevista dalla normativa (L.
223/1991). In virtù di tale possibilità, sono state 13 le imprese industriali che hanno richiesto
la Cigs in deroga, per 772 lavoratori coinvolti in Cigs (di cui 466 donne).
Per quanto concerne la mobilità in deroga, invece, i lavoratori coinvolti (al 30 aprile 2007), in
quanto licenziati da imprese artigiane e industriali fino a 15 dipendenti, sono stati 653 (di cui
538 sono donne). Questi lavoratori hanno beneficiato dell’indennità di mobilità per sette o dieci
mesi, a seconda dell’età al momento del licenziamento (10 mesi solo per gli ultra cinquantenni).
Tra i beneficiari prevale la fascia d’età intermedia, compresa tra i 26 e i 44 anni (444). Gli
stranieri coinvolti sono stati 42. Dal punto di vista territoriale, le aree maggiormente coinvolte
sono quelle di Albino (121 lavoratori), Ponte San Pietro (92) e Trescore Balneario (87).
TABELLA 9. L’utilizzo degli ammortizzatori sociali in deroga in Provincia di Bergamo (accordo
21 marzo 2005) per tipo di strumento.
AMMORTIZZATORE SOCIALE
Periodo di riferimento
CIGS IN DEROGA
MOBILITÀ IN DEROGA
(L. 236)
MOBILITÀ IN DEROGA
(L. 223
Al 30.04.2007
Al 30.04.2007
Dato definitivo
Imprese artigiane e industriali con meno di 15 dip
969
n.d.
n.d.
Lavoratori beneficiari imprese industriali con più
di 15 dipendenti
772
n.d.
n.d.
1741
653
93
Imprese artigiane e industriali con meno di 15
dipendenti coinvolte
164
n.d.
n.d.
Imprese industriali con più di 15 dipendenti
coinvolte
13
n.d.
n.d.
177
n.d.
n.d.
Totale lavoratori beneficiari
Totale imprese beneficiarie
Fonte: Elaborazione nostra da Provincia di Bergamo, Il mercato del lavoro in provincia di Bergamo, 2007.
108
c) Le politiche attive
I progetti realizzati
Nell’ambito degli interventi di politica attiva del lavoro, la Provincia di Bergamo ha promosso e
sostenuto in questi ultimi anni una serie di iniziative volte principalmente a favorire l’inclusione
socio-lavorativa dei lavoratori in difficoltà occupazionale. Rientrano in questo quadro tre tipologie di misure (Provincia di Bergamo 2007):
a) progetti volti a prevenire esuberi di personale e finalizzati a supportare l’adeguamento delle
competenze dei lavoratori nei processi di innovazione aziendale;
b) progetti di riqualificazione e accompagnamento al lavoro, in particolare dei beneficiari di
ammortizzatori sociali (Cassa integrazione guadagni straordinarie e indennità di mobilità)
a seguito di ristrutturazioni, riconversioni e/o crisi aziendali;
c) azioni di studio, ricerca e monitoraggio volte a rilevare e analizzare le dinamiche socioeconomiche del territorio e a monitorare l’andamento del mercato del lavoro.
Nella tabella che segue si propone una sintesi di alcuni degli interventi realizzati a favore dei
lavoratori in difficoltà occupazionale nel periodo 2004-2007.
TABELLA 10. Le politiche attive del lavoro in Provincia di Bergamo: sintesi di alcuni progetti
realizzati nel periodo 2004-2007.
PROGETTO
Intervento di
ricollocazione
PARI
Progetto Valcamonica,
Valcavallina e Sebino
FONTE DI
FINANZIAMENTO
Fondo nazionale
per l’occupazione
Ministero del lavoro
e della previdenza
sociale
PARI REI “Re-Impiego
dei lavoratori immigrati”
Ministero del lavoro
e della previdenza
sociale
PARI
Occupazione e servizi
alla persona (Sportello
OSP)
Ministero del lavoro
e della previdenza
sociale
PARI
Ministero del lavoro
Programma d’Azione per e della previdenza
il Reimpiego di lavoratori sociale
svantaggiati
DESTINATARI
OBIETTIVI
ESITI
150 lavoratori in Cigs e
mobilità del settore tessile
Lavoratori dip. di aziende
in crisi e altri lavoratori
svantaggiati non percettori
di amm. sociali
Immigrati regolari con
contratto di soggiorno
in scadenza; immigrati
disoccupati.
- anziani, disabili, malati
o bambini;
- famiglie con presenza di
anziani, disabili, malati
o bambini;
- lavoratori italiani o
stranieri.
Lavoratori percettori di
Cigs in deroga; lavoratori
non percettori di indennità
o sussidio legato alla
disoccupazione.
Ricollocazione
91 ricollocati
Ricollocazione
30 posti di lavoro scaturiti
Adeguamento delle competenze e
ricollocazione
75 ricollocati
Gestione dei processi di
intermediazione di manodopera,
sviluppo di un mercato del lavoro
regolare, creazione di Piani di
assistenza individuali e presa
incarico della persona nella sua
globalità.
Incentivi finalizzati all’assunzione
di lavoratori provenienti da
aziende in crisi e disoccupati
iscritti ai Cpi non percettori di
indennità.
223 inserimenti lavorativi
131 inserimenti lavorativi
109
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
1° 908
Riqualificazione e
ricollocazione lavoratori
in Cigs e in mobilità
nel settore tessile della
Provincia di Bergamo
2° 908
Bergamo - Settore
tessile: azione di
sostegno per lavoratori a
rischio occupazionale
L’ISOLA
“Liberati per
l’indulto: sostegno al
reinserimento lavorativo”
Regione Lombardia
e Fondo nazionale
per l’occupazione
45 lavoratori in Cigs o in
mobilità provenienti dal
settore tessile
Riqualificazione e
accompagnamento al lavoro
18 ricollocati
Regione Lombardia
e Fondo nazionale
per l’occupazione
60 lavoratori in Cigs o in
mobilità provenienti dal
settore tessile
Riqualificazione e
accompagnamento al lavoro
25 ricollocati
Ministero della
giustizia
Accompagnamento e inserimento
lavorativo di persone ex detenute
?
Incentivi all’assunzione
Fondo nazionale
per l’occupazione
Soggetti destinatari
del provvedimento di
indulto, liberi o in fase di
dimissione dagli istituti
penitenziari
Lavoratori inoccupati e
disoccupati a rischio di
esclusione sociale
Inserimento lavorativo e
incentivazione del part-time
64 incentivi assegnati alle
imprese per:
- 8 assunzioni a tempo
determinato;
- 44 assunzioni a tempo
indeterminato;
- 6 trasformaz. da full-time
a part-time;
- 6 trasformaz. da tempo
det. a tempo indet.
Fonte: Provincia di Bergamo, Le politiche attive del lavoro in Provincia di Bergamo nel triennio 2004-2007.
I progetti in avvio
In funzione delle sperimentazioni e delle progettualità realizzate in questi anni, la Provincia di
Bergamo, a partire dalle indicazioni e dalle novità introdotte con la legge regionale 22/2006, sta
definendo gli interventi di politica attiva del lavoro che saranno promossi sul territorio nel
prossimo biennio per favorire, da un lato, l’inclusione socio-lavorativa dei soggetti più deboli e,
dall’altro lato, l’innalzamento dei tassi di attività e occupazione delle donne.
Accanto ai programmi promossi dal Ministero del Lavoro attraverso il supporto di Italia Lavoro
(come nel caso di LaborLab, un programma finalizzato al reimpiego attualmente in corso anche
a Bergamo), è possibile individuare due grandi ambiti di intervento che caratterizzeranno le
politiche attive del lavoro provinciali nei prossimi mesi e anni. Da un lato, ci sono le risorse
provenienti dagli accordi per gli ammortizzatori in deroga che, come sottolineato, sono state in
parte destinate ad iniziative di politica attiva del lavoro34; dall’altro lato, ci sono le risorse a
valere sulla legge 236/1993 che sono state destinate al finanziamento di attività formative finalizzate a supportare i lavoratori più deboli nel percorso di inclusione socio-lavorativa.
34 La Provincia di Bergamo aveva destinato alle politiche attive del lavoro, con l’accordo del 10 luglio 2006, 5 milioni di euro. A
seguito di accordi siglati in sede regionale (10 ottobre 2006) al fine di garantire a tutte le Province lombarde la disponibilità di
risorse per interventi promozionali e attivi, la quota di risorse a valere sull’art.1, comma 411, della legge 266/2005 che attualmente
la Provincia di Bergamo ha a disposizione è pari a ` 4.789.729,01.
110
Per quanto concerne la prima fonte di finanziamento (art.1, comma 411, L. 266/05), la Provincia
di Bergamo ha predisposto un Programma di reimpiego, condiviso e approvato dalla Regione
Lombardia, per la realizzazione di interventi di politica attiva volti a perseguire le seguenti finalità:
• innalzamento delle competenze dei lavoratori svantaggiati del mercato del lavoro per aumentare le loro chances occupazionali;
• prevenzione della disoccupazione di lunga durata;
• sostegno all’occupazione femminile, anche mediante la diffusione di strumenti di conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa;
• attenzione ai settori produttivi in difficoltà congiunturale e ai territori maggiormente esposti
a situazioni di declino;
• miglioramento della qualità del lavoro nel tessuto economico-produttivo bergamasco, anche
nell’ottica della prevenzione di situazioni di crisi occupazionali e del mantenimento della
competitività delle imprese del territorio.
Tale Programma di reimpiego si rivolge a lavoratori e lavoratrici inoccupati o disoccupati; lavoratori e lavoratrici in mobilità (anche in deroga); lavoratori e lavoratrici collocati in Cassa Integrazione Guadagni straordinaria (anche in deroga).
Le azioni previste e che saranno finanziate attraverso il meccanismo della dote e della centralità
dell’individuo sono le seguenti:
a) orientamento informativo;
b) incrocio tra domanda e offerta di lavoro;
c) formazione professionale;
d) accompagnamento all’inserimento lavorativo;
e) accompagnamento alla creazione di impresa;
f) attribuzione di incentivi.
La rete degli operatori che ha titolo ad operare nell’ambito del Programma di reimpiego potrà
essere composta da operatori accreditati per l’erogazione dei servizi essenziali all’impiego,
operatori autorizzati a livello regionale a svolgere servizi di intermediazione, ricerca e selezione
del personale e supporto alla ricollocazione professionale e operatori autorizzati a livello nazionale in base agli articoli 4, 5, e 6 del d.lgs. 276/2003.
È attualmente (marzo 2008) in fase di definizione la progettazione esecutiva del Programma.
Per quanto riguarda le risorse provenienti dalla legge 236/1993 (art. 9 comma 3 e 7), la Regione
Lombardia ha assegnato alla Provincia di Bergamo 821.806,32 euro per la realizzazione di
progetti formativi, anche attraverso interventi di formazione individuale, finalizzati all’accompagnamento dei percorsi di reimpiego o all’adeguamento delle competenze dai lavoratori al fine
di renderle funzionali alle esigenze del mercato del lavoro.
111
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
La Provincia di Bergamo, in condivisione con la Commissione provinciale per le politiche del
lavoro, ha predisposto un piano di intervento articolato in diversi sportelli:
• Sportello “Obiettivo training to the job – formazione per l’inserimento lavorativo”, per finanziarie attività formative volte a adeguare le competenze di determinate categorie di lavoratori alle esigenze delle imprese che manifestano la loro disponibilità all’inserimento
lavorativo. Le aziende interessate ad assumere personale potranno richiedere un finanziamento delle attività formative da implementare per adeguare alle esigenze aziendali le
competenze dei lavoratori da assumere. I progetti potranno coinvolgere i lavoratori in Cassa
integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, i lavoratori in mobilità e i lavoratori in stato
di disoccupazione a seguito di processi di ristrutturazione aziendale o crisi.
• Sportello “Obiettivo employability - Formazione orientativa in situazioni di crisi aziendale”,
per finanziare progetti formativi volti a rafforzare le competenze dei lavoratori in Cigs e in
mobilità, con priorità ai beneficiari degli ammortizzatori in deroga. Le aziende che hanno
posto i propri lavoratori in Cassa integrazione guadagni straordinaria o in mobilità possono
richiedere un finanziamento per promuovere percorsi formativi di tipo orientativo della durata compresa tra le 16 e le 60 ore. L’obiettivo è quello di migliorare l’occupabilità del lavoratore, dotandolo di quegli strumenti necessari per riposizionarsi nel mercato del lavoro e
ricercare attivamente un nuovo impiego.
• Sportello “Obiettivo employability – Formazione per occupati”, per finanziare progetti di formazione finalizzati all’innalzamento delle competenze dei lavoratori occupati nell’ottica di prevenire situazioni di crisi e migliorare la competitività aziendale. Le azioni formative potranno
coinvolgere i lavoratori in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti: appartenenza a imprese private fino a 15 dipendenti; superamento del 45esimo anno di età; assenza del titolo di
studio di scuola secondaria superiore di 2° grado. Non è previsto un numero minimo di partecipanti e sono, quindi, ammissibili anche percorsi ad accesso individuale. Le attività formative
potranno avere una durata minima di 16 ore e una durata massima di 60 ore.
• Sportello “Obiettivo flexicurity – sicurezza nella flessibilità”, per finanziare o cofinanziare
corsi di formazione volti a migliorare il posizionamento nel mercato del lavoro dei lavoratori
atipici indicati dal Titolo V, dal Titolo VI e dal Titolo VII - Capo I – del D.lgs. 276/2003. L’accesso a tale Sportello avverrà su base individuale e prevede l’erogazione di un contributo
economico ad esclusiva copertura dei costi dell’attività formativa. La coerenza dell’attività
formativa rispetto al percorso professionale del lavoratore richiedente sarà requisito fondamentale per il riconoscimento del bonus economico.
d) Osservazioni conclusive
La Provincia di Bergamo ha sperimentato in questi anni una modalità di intervento sul mercato
del lavoro fondata sulla combinazione tra strumenti passivi e misure attive di politica del lavoro
che è fondamentalmente riuscita a perseguire i risultati prefissati grazie all’intreccio di svariati
fattori.
112
L’elemento che appare centrale in questo modello è rappresentato dal clima di concertazione e
collaborazione presente sul territorio tra istituzioni, parti sociali e attori che a vario titolo operano nell’ambito delle politiche formative e del lavoro.
«La concertazione con le parti sociali del territorio e la condivisione delle progettualità con i soggetti
pubblici e privati attivi sul territorio nelle politiche del lavoro, nelle politiche sociali e della famiglia
hanno, infatti, permesso la creazione, lo sviluppo e il monitoraggio di un modello di intervento altamente funzionale, che ha favorito il raggiungimento di risultati significativi anche in situazioni di
estrema difficoltà per la tipologia di lavoratori coinvolti.
[…] la peculiarità degli interventi di politica del lavoro promossi e realizzati in questi ultimi anni
dalla Provincia di Bergamo è riconducibile, al di là della specificità dei singoli progetti e dei risultati
raggiunti, al modello di governance del me cato del lavoro sperimentato, un modello che richiama fra
i suoi principi chiave la cooperazione sinergica tra tutti gli attori che si occupano di queste tematiche
e la stretta connessione tra strumenti di sostegno al reddito e misure promozionali di inserimento
lavorativo». (Provincia di Bergamo, Le politiche attive del lavoro in Provincia di Bergamo nel triennio
2005-2007, pp. 21, 25).
Il ruolo della Provincia, come emerge dall’analisi dell’esperienza degli ammortizzatori sociali in
deroga, è essenzialmente di coordinamento e, rispetto alle progettualità realizzate, di studio,
analisi, sviluppo e monitoraggio. In questo ambito si collocano i diversi tavoli che vengono organizzati per la presa in carico delle situazioni di crisi aziendali, così come gli “osservatori” che
sono stati costituiti (degli ammortizzatori in deroga, delle politiche attive del lavoro e del mercato del lavoro) e che vedono, accanto alla Provincia, la partecipazione attiva di organizzazioni
sindacali, associazioni di categoria, enti bilaterali, camera di commercio, fino a comprendere
in alcune situazioni Comuni, Comunità montane, nonprofit, ecc.
Un altro elemento ritenuto centrale per la realizzazione degli interventi è rappresentato dal ruolo
dei Centri per l’impiego della Provincia che, grazie alle sperimentazioni realizzate e alla collaborazione con altri enti e attori, sono, in molti casi, divenuti il punto di riferimento non solo dei
lavoratori in difficoltà occupazionale ma anche delle imprese del territorio. Si legga, in proposito, la testimonianza del funzionario provinciale intervistato35.
«Il Centro per l’Impiego copre un ruolo essenziale nell’accompagnamento dei lavoratori: non si entra
in gioco quando ormai il lavoratore è in mobilità, ma li si sollecita da subito. Ci sono due squadre di
operatori specializzati: una si dedica all’orientamento, l’altra di marketing e scouting in senso stretto
per andare a reperire posti di lavori sul territorio»
I Centri per l’impiego, infatti, oltre a promuovere azioni di informazione, orientamento e accom35 Le citazioni seguenti fanno riferimento all’intervista realizzata con Giannina Montaruli, responsabile del Servizio lavoro della
Provincia di Bergamo, in data 23 ottobre 2007.
113
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
pagnamento al lavoro dei disoccupati, si sono attivati attraverso azioni di marketing e visite
aziendali per conoscere le realtà presenti sul territorio e promuovere, al tempo stesso, le professionalità disponibili all’inserimento lavorativo.
In questo quadro, la Provincia, in collaborazione con consulenti esperti nelle attività di marketing e account resi disponibili da Italia Lavoro nell’ambito del Programma Pari, ha avviato un
percorso di crescita degli operatori dei Centri per l’impiego mediante la costituzione di gruppi
di lavoro trasversali territorialmente e “a tema” sugli specifici argomenti da sviluppare (comunicazione, marketing, pre-selezione, account, ecc.). «Questa modalità operativa ha favorito, in
prima istanza, lo scambio di informazioni, buone prassi, metodologie tra gli operatori e, quindi
tra i Centri; ha migliorato le professionalità degli operatori in un’ottica anche di omogeneizzazione dello standard dei servizi offerti; ha favorito la responsabilizzazione degli operatori, anche
in termini motivazionali di riconversione professionale, mediante lo sviluppo di attività maggiormente integrate col territorio» (Provincia di Bergamo, Le politiche attive del lavoro in Provincia di Bergamo nel triennio 2004-2007).
La Provincia ha agito, quindi, attraverso i Centri per l’impiego e la collaborazione con gli altri
attori del mercato del lavoro, per favorire lo sviluppo di interventi mirati ed efficaci in grado, in
primo luogo, di attivare e responsabilizzare il lavoratore nel percorso di reimpiego:
«Si è cercato di far passare il messaggio dell’importanza di partecipare alle iniziative per rientrare
rapidamente nel circuito del mercato del lavoro, cercando di far capire ai lavoratori che una bassa
scolarità e un periodo prolungato di inattività avrebbero reso la ricollocazione in tempi ragionevoli
più difficile» (Giannina Montaruli, responsabile del Servizio lavoro della Provincia di Bergamo).
In questa logica, anche l’impresa è divenuta protagonista attiva delle politiche provinciali,
venendo coinvolta nelle situazioni di crisi per l’individuazione concertata degli strumenti da
utilizzare e nei processi di espansione per la promozione di inserimenti lavorativi di soggetti
particolarmente deboli:
«non era sufficiente operare una pressione “culturale” solo sul lavoratore. Secondo noi, era arrivato
il momento di cominciare a coinvolgere anche le imprese. […] Il fatto che la Provincia sia diventata
la “casa” in cui si negozia e si prendono in carico le crisi aziendali è molto significativo. Dal nascere
della crisi in poi la Provincia è il punto di riferimento cui rivolgersi per la soluzione del problema.
Inoltre, la Provincia promuove anche incontri con gli imprenditori del territorio per facilitare il passaggio al reinserimento lavorativo diretto» (Giannina Montaruli, responsabile del Servizio lavoro della
Provincia di Bergamo).
Nella figura che segue la Provincia propone una “sintesi” del governo del mercato del lavoro
locale promosso e realizzato in questi anni.
114
FIGURA 2. Il governo del mercato del lavoro in provincia di Bergamo
Fonte: Provincia di Bergamo, Le politiche attive del lavoro in Provincia di Bergamo nel triennio 2004-2007.
115
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
e) Allegati
Situazione socio-economica
1. Il mercato del lavoro in provincia di Bergamo (luglio 2007)
Politiche passive
2. Accordo Bg 28.06.04
3. Accordo Bg 21.03.05
4. Accordo Bg 10.07.06
5. Accordo Bg 06.09.06
6. Codici Ateco Manifatturiero Bg
Politiche attive
7. Progetto 908
8. Rapporto Pal 2005-2007
9. Piano 411 Bg
10. Pari Bg avviso lavoratori
11. Pari Bg avviso imprese
12. Rei Bg
13. Valcamonica avviso imprese
14. Avviso incentivi assunzione
Intervista
15. Report intervista a dott.ssa Giannina Montaruli, responsabile del Servizio Lavoro della Provincia di Bergamo, realizzata in data 23/10/2007
3.1.2. Brescia
a) La situazione socio-economica
In questo paragrafo, prendiamo in esame alcuni dati della provincia di Brescia, orientati per lo
più al discorso degli ammortizzatori sociali e, dunque, all’andamento delle forze di lavoro e alla
congiuntura economica. La provincia di Brescia è vasta e complessa, la seconda della Lombardia rispetto a tutti gli indicatori economici e sociali. Meno di altre, quindi, si presta a un esame
sintetico di quanto vi accade. Ai fini della ricerca in oggetto, tuttavia, è necessario dare alcune
linee di tendenza dell’economia bresciana, al fine di comprendere al meglio gli interventi legati
agli ammortizzatori sociali in deroga.
Vediamo le principali notizie economiche che supportano le azioni della Provincia e delle parti.
I dati si riferiscono al terzo trimestre 2007.
116
Le imprese industriali
Alla fine del terzo trimestre 200736 risultano iscritte al Registro Imprese complessivamente n.
121.307 imprese, con un aumento dell’1,18% sullo stesso periodo del 2006, pari a 1.413 unità.
Nel trimestre considerato, gli incrementi più consistenti in valore assoluto hanno riguardato il
settore delle costruzioni (+206 unità) e quello delle attività immobiliari (+174 unità).
La produzione
La produzione industriale nel terzo trimestre del 2007 è aumentata del 2,20%. Il risultato tendenziale corretto per i giorni lavorativi è il terzo a livello regionale, dopo Lodi e Lecco, ed è superiore alla media regionale (+2,08%). Tutte le classi dimensionali di impresa evidenziano
variazioni positive. Negativo il dato congiunturale grezzo (-5,63%).
Tutte le imprese evidenziano variazioni positive: +5,23% le grandi, +0,27% le medie, +2,30%
le piccole. Per quanto riguarda la distinzione per attività economica, risultano positivi: i mezzi
di trasporto (+7,33%), la meccanica (+4,02%), la carta-editoria (+3,89%), la gomma-plastica
(+2,39%), gli alimentari (+1,56%). Negativi tutti gli altri. La variazione congiunturale si è
attestata a -5,63%. Aumenta il tasso di utilizzo degli impianti: 76,19% contro il 75,84% del
trimestre precedente. Un settore in crescita è quello delle armi, che ha registrato un aumento
del 22,3% rispetto al terzo trimestre 2006. Il fatturato complessivo presenta valori in diminuzione in termini congiunturali (-4,57%), anche se appare invece positivo il dato tendenziale
(+5,15%).
Le prospettive degli imprenditori per il quarto trimestre dell’anno sono positive, soprattutto per
quanto riguarda la produzione e la domanda estera. Relativamente alla produzione, il saldo fra
ottimisti e pessimisti è pari al 28,9%, mentre per la domanda estera è del 21,5% e per quella
interna del 18,3%. Le previsioni più ottimistiche rispetto alla produzione provengono dalle
aziende di grandi dimensioni e dai settori dei mezzi di trasporto e della meccanica. Gli imprenditori sono ottimisti anche sul versante occupazionale: l’aumento degli addetti è previsto nell’ordine del 6,8%.
I dati occupazionali
Nel terzo trimestre 2007, si registra una variazione positiva degli occupati nell’industria manifatturiera (+0,17%). Addetti in crescita nelle grandi imprese (+0,19%) e nelle piccole (+0,76%);
in diminuzione nelle medie (-0,14%). Si registrano occupati in diminuzione in cinque settori su
dodici. Il tasso di ingresso è stato dell’1,97%, quello di uscita dell’1,80%. Dai dati su base
trimestrale diffusi dall’Inps si evidenzia nel settore industriale una diminuzione del 40%, rispetto allo stesso trimestre del 2006, delle ore di integrazione salariale autorizzate relativamente alla Cig ordinaria. In aumento del 19%, invece, la Cig straordinaria. Complessivamente,
36 I dati che seguono sono pubblicati a cura dell’Ufficio Studi ed Informazione Statistica della Camera di Commercio di Brescia,
novembre 2007.
117
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
la Cig ordinaria ha rappresentato lo 0,44% del monte ore trimestrale e ha interessato il 5,02%
delle imprese, con una punta nelle aziende dell’abbigliamento, del tessile e del legno-mobilio.
A conclusione di queste brevi note, al fine di rendere più chiaro il percorso che ha portato Brescia
all’utilizzo degli ammortizzatori sociali in deroga, si allega l’indagine che la Provincia, con altri
partner, ha condotto nel territorio sul problema delle delocalizzazione delle attività produttive.
Già in questo documento emergono elementi di preoccupazione e di pessimismo intorno al
problema occupazionale, in special modo per aree quali Sarezzo, Leno e Orzinuovi, i cui Centri
per l’impiego denunciano problemi seri sul fronte dell’occupazione e del mantenimento dei livelli
produttivi. Il quadro che emerge dal documento fa pensare che l’accordo sugli ammortizzatori
in deroga trovi motivo di impiego a Brescia in modo congruo.
Il settore artigiano
Di seguito si presentano i dati relativi alle imprese artigiane presenti in provincia di Brescia.
TABELLA 11. Dati di sintesi relativi alle imprese registrate al Registro delle Imprese al 31.12.
Lombardia e Provincia di Brescia. Anno 2007 (valori assoluti e percentuali).
Totale imprese
Di cui artigiane
Peso artigiane/totale
BRESCIA
LOMBARDIA
PESO %
BRESCIA/LOMBARDIA
109.183
809.144
13,49
38.583
271.016
14,24
35,34
33,49
Fonte: Infocamere
TABELLA 12. Principali sezioni di attività economica delle imprese artigiane al 31.12. Provincia
di Brescia. Anno 2007 (Valori assoluti; ordine decrescente).
IMPRESE REGISTRATE
IMPRESE ISCRITTE
IMPRESE
CESSATE
V.A.
%
V.A.
V.A.
Costruzioni
15.226
39
2.334
1.283
Attivita’ manifatturiere
12.626
33
1.212
849
Altri servizi pubblici,sociali e personali
3.480
9
270
0
Comm.ingr.e dett.;rip.beni pers.e per la casa
2.807
7
140
188
Trasporti, magazzinaggio e comunicaz.
2.473
6
122
181
Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca
1.269
3
210
153
490
1
66
40
57
0
54
211
Agricoltura,caccia e silvicoltura
Imprese non classificate
118
Estrazione di minerali
55
0
2
3
Istruzione
45
0
5
3
Alberghi e ristoranti
42
0
0
13
Sanita’ e altri servizi sociali
7
0
0
1
Intermediaz.monetaria e finanziaria
4
0
0
0
Prod.e distrib.energ.elettr.,gas e acqua
1
0
0
0
Pesca,piscicoltura e servizi connessi
1
0
0
0
Serv.domestici presso famiglie e conv.
0
0
0
7
38.583
100
4.415
2.932
Totale
Fonte: Infocamere
b) Le politiche passive
Gli accordi
In provincia di Brescia il tema degli accordi non nasce con quelli sugli ammortizzatori sociali in
deroga. Già nel 2000 la Provincia di Brescia aveva proposto un Patto sociale per lo sviluppo
dell’economia e del lavoro in cui dava ampio spazio al ruolo della concertazione.
Poi, nel 2005, la Provincia, con le Parti sociali e con la Camera di Commercio, ha preso in carico
la situazione di crisi che stava emergendo nel settore tessile, abbigliamento e calzature. Si è
così costituito un tavolo di valutazione delle problematiche risultanti, che lasciavano intendere
una crisi strutturale dell’intero settore, soprattutto in alcune aree della provincia, la Valle Camonica e il basso Sebino, dove sono collocate una serie di aziende medio-grandi in situazione
di criticità. Da questo tavolo emergeva la necessità di richiedere l’intervento del Ministero a
favore delle aziende sotto i 15 dipendenti. La discussione è stata lunga, poiché si è introdotto
anche il dibattito sulla necessità di intervento per le aziende con più di 15 dipendenti che non
potevano accedere alla Cigs.
L’accordo è stato firmato il 13 luglio 2005: lo stanziamento per gli ammortizzatori sociali in
deroga è stato di 20.000.000 di euro. Alla Provincia di Brescia sono arrivati i primi 8 milioni di
euro a fine 2005, mentre i restanti 12 non arriveranno mai, a causa dei cambiamenti politici ai
vertici del Ministero (l’accordo è firmato dall’allora ministro Maroni).
Il governo successivo cambia strategia, per cui dagli accordi territoriali ci si indirizza verso
accordi su base regionale, probabilmente perché gli ammortizzatori sociali stanno dimostrando
un utilizzo disomogeneo a livello territoriale: la provincia di Brescia è tra quelle che denunciano
un forte bisogno di queste risorse, senza trovare una quantità di denaro sufficiente a far fronte
alle esigenze del territorio, mentre altre province hanno il problema di come riuscire a spendere
questi stessi fondi.
119
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
In provincia di Brescia si è partiti dal settore tessile e abbigliamento, chiedendo poi con l’accordo del 5 luglio 2006 di estendere i benefici all’intero sistema manifatturiero e, successivamente, secondo l’accordo fatto dalla Regione con il Ministero, a tutti i settori, compreso il
commercio.
Il ruolo delle parti sociali e istituzionali
Un primo aspetto riguarda37 il ruolo della Provincia nel monitoraggio dei dati sugli ammortizzatori
in deroga: esiste un Osservatorio per il mercato del lavoro oltre a un tavolo appositamente costituito e mantenuto in vita per gli ammortizzatori in deroga, dove si discute anche dei piani delle
politiche attive del lavoro. Vi è poi una Commissione dell’esame congiunto composta dalle parti.
La Provincia ha coordinato il lavoro di messa in azione degli accordi ed è sempre stata presente
con le altre parti sociali ai tavoli delle trattative. Alcuni aspetti controversi degli accordi hanno
avuto bisogno di mediazioni anche faticose.
Si è discusso molto fra le parti, soprattutto all’inizio, per definire chi potessero essere i beneficiari di
questi interventi. Si è poi convenuto di riservare solo una quota del 20% delle risorse per le aziende
con più di 15 dipendenti, sebbene le rappresentanze datoriali spingessero per incrementare questa
quota.
La Provincia si mostra soddisfatta dell’andamento delle trattative con le parti sociali, anche se
non è ancora stato costruito un rapporto stabile con gli enti bilaterali.
Vi è stato un utilizzo molto mirato degli strumenti di politica passiva e non sono mai giunte richieste
astruse e che non potessero essere soddisfatte, sebbene la richiesta da parte delle aziende in un
momento di crisi congiunturale sia stata piuttosto elevata. […] Questo strumento si affianca a quello
messo in campo degli enti bilaterali: non abbiamo ancora un rapporto organico con l’ente bilaterale,
più che altro per problemi tecnici, ma i soggetti che partecipano alla nostra commissione sono in
parte gli stessi che appartengono all’ente bilaterale. Lavorando di comune accordo è possibile utilizzare varie fonti finanziare secondo i diversi interventi in modo complementare.
Sono positivi anche i rapporti con le altre istituzioni locali.
I rapporti fra le parti sociali e con INPS e DPL è stato sempre costruttivo e le imprese hanno recepito
molto bene questo strumento e la risposta è stata decisamente positiva. I Centri per l’impiego hanno
avuto un ruolo importante nel fornire informazioni relative ai numeri della crisi e si sono anche attivati in direzione dell’applicazione delle politiche attive del lavoro.
37 Report Intervista Dott. Dario Pironi, Responsabile settore crisi e negoziazione della Provincia di Brescia, realizzata in data
20/11/2007.
120
Le procedure
Ogni domanda proveniente dalle aziende deve essere preceduta da un accordo sindacale. La
domanda viene valutata dal punto di vista formale dall’amministrazione provinciale e poi inoltrata all’esame congiunto della Commissione apposita, composta da Provincia, organizzazioni
sindacali, organizzazioni di categoria, più, generalmente, rappresentanti dell’Inps e della Direzione provinciale del lavoro, così da accelerare i tempi e risolvere contestualmente eventuali
criticità tecniche. Il funzionario provinciale intervistato ribadisce l’importanza del coinvolgimento di tutte le parti istituzionali, perché permette di abbreviare i tempi dell’intervento, aspetto
cruciale per aziende di piccole dimensioni.
I dati di monitoraggio
I dati di monitoraggio disponibili sono relativi al periodo dicembre 2005-novembre 2006:
• Cigs: 674 lavoratori, 63 aziende e 2.181.000 ore autorizzate;
• Mobilità: 271 lavoratori, 48 aziende e 4.896.000 ore autorizzate.
Complessivamente, nell’anno preso in esame, gli ammortizzatori sociali in deroga hanno riguardato 945 lavoratori, 813 aziende e le ore autorizzate sono state 7.077.000.
Dati più aggiornati si possono trarre dall’intervista al funzionario provinciale, che sottolinea
l’esiguità delle risorse a disposizione in provincia.
In realtà, le risorse a Brescia sono pressoché esaurite, avendo in pratica destinato tutti i fondi alle
piccole aziende sotto i 15 dipendenti. Tra il dicembre 2005 e la fine 2006, la Provincia ha impegnato
7 degli 8 milioni di euro disponibili, perché nel frattempo la Regione Lombardia chiede di destinare
una quota delle risorse alle politiche attive. Sono previsti fondi aggiuntivi provenienti da un accordo
fra Regione Lombardia e Ministero, ma per una quota di 10 milioni di euro per tutta la regione. La
provincia di Brescia è l’unica provincia che sta già impegnando questi fondi regionali, pari circa
1.000.000 di euro. Le domande che ci sono pervenute sono giunte da piccole aziende, e non siamo
mai intervenuti su aziende con più di 15 dipendenti. Le richieste riguardano comunque soprattutto i
comparti del tessile e metalmeccanico. Dai dati che abbiamo, risulta che diverse piccole aziende
purtroppo hanno chiuso definitivamente nonostante gli interventi e questo è un elemento problematico. Nel 2006 le richieste di mobilità a seguito di chiusura erano di gran lunga superiori alla richiesta di sussidi per crisi temporanee.
c) Le politiche attive
Abbiamo già ricordato come, in Provincia di Brescia, esista un Osservatorio per il mercato del
lavoro e un tavolo permanente per la concertazione sugli ammortizzatori sociali. In questo tavolo, si discute anche dei piani delle politiche attive del lavoro.
121
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
I progetti realizzati
Per le politiche attive del lavoro in Provincia di Brescia, rileviamo la presenza, già nel passato,
di progetti molto significativi, a testimonianza di un’attenzione verso il problema che risale
indietro nel tempo.
Nel 2005, è stato attivato un Piano delle politiche del lavoro per il settore tessile in Provincia di
Brescia, che riprende e sviluppa il lavoro già iniziato dal tavolo permanente dedicato alle crisi
aziendali, in particolare dedicato al settore tessile. Il Piano ipotizzava un potenziale coinvolgimento di circa 2.000 lavoratori delle aziende fino a 15 dipendenti, nonché circa 300 dipendenti
di aziende industriali con oltre 15 dipendenti.
Le azioni e le modalità di intervento sono interessanti, in quanto postulano una stretta integrazione tra politiche passive e attive. Si cita testualmente da piano.
In caso di difficoltà aziendali non gravi, l’Osservatorio valuta, se sono necessari, interventi di sostegno. In caso negativo – di transitoria difficoltà – l’erogazione degli eventuali ammortizzatori sociali
da parte dell’INPS, estesi anche a realtà produttive dell’indotto, può anche essere affiancata con:
attivazione di contratti di solidarietà; inserimento dei lavoratori coinvolti in azioni formative presenti
nel catalogo provinciale di offerta di formazione professionale.
In caso di difficoltà aziendali che necessitino interventi di sostegno, l’Osservatorio, congiuntamente
alla Commissione Provinciale, promuove politiche di supporto in particolare nell’ambito dell’innovazione, favorendo specifici investimenti da parte delle aziende interessate.
La specifica situazione di difficoltà aziendale non grave, in conclusione, viene sostenuta dalle politiche integrate in un arco di tempo limitato che si prevede possa concludersi con la ripresa del processo
produttivo e il rientro in azienda del personale.
In caso di aziende, con difficoltà gravi, che precludono l’ipotesi di ripresa produttiva nel breve/medio
termine: la scheda professionale di ciascun lavoratore viene arricchita di informazioni raccolte in
seguito ad azioni orientative/formative. Il risultato atteso è la messa in rete, anche mediante l’utilizzo
di idonei strumenti informatici, continua ed aggiornata, delle caratteristiche dei lavoratori in prospettive di matching occupazionale. La specifica situazione di grave difficoltà aziendale vede quindi il
sostegno delle politiche integrate per il settore tessile, nella prospettiva della tenuta complessiva
dell’occupazione nel mercato del lavoro bresciano.
Per questo Piano, sono stati richieste al MLPS risorse pari a ` 20.286.000. Non si dispone di
dati di monitoraggio dei risultati.
Un altro progetto interessante, svolto in collaborazione con la provincia di Bergamo, è il progetto
Valcamonica, Valcavallina e Sebino, concluso il 15 febbraio 2007. Il progetto prevedeva dei
contributi per
122
• lavoratori svantaggiati in cigs/mobilita’ provenienti dalle aziende in crisi del settore tessile:
dote formativa assegnata al lavoratore (di cui può usufruire l’azienda che assume) pari ad
Euro 3.000,00 da utilizzare per azioni di adattamento al lavoro (adattamento on the job delle
competenze)
• soggetti svantaggiati non percettori di sussidi o indennità derivanti dallo stato di disoccupazione o in occupazione: dote formativa assegnata al lavoratore (di cui può usufruire
l’azienda che assume) pari ad Euro 4.500,00 da utilizzare per azioni di adattamento al lavoro (adattamento on the job delle competenze)
Di seguito, si riportano le interessanti considerazioni del funzionario provinciale intervistato
rispetto a questo progetto.
I risultati di questa “sperimentazione” sono stati utili per vedere quali sono le difficoltà a gestire
situazioni di questo tipo. In particolare, ci si riferisce alla difficoltà a far accettare a lavoratori in Cigs
una nuova collocazione in tempi rapidi. Il lavoratore vuole essere certo di trovare le stesse tutele e
coperture extra-retributive avute in precedenza.
I punti di forza di questa sperimentazione sono stati la creazione di un reale coinvolgimento di tutti
gli attori, visto che le imprese si sono rese conto delle evidenti difficoltà occupazionali di un buon
numero di donne sopra i 50 anni.
Una seconda conseguenza positiva è l’aver compreso che occorrono politiche quasi personalizzate e
ciò comporta costi superiori.
Un terzo elemento positivo è stato comprendere, da parte di tutti gli attori coinvolti, che il problema
della ricollocazione professionale è sempre di aggiornamento delle competenze possedute in precedenza e non solo quello dei sussidi.
I risultati numerici sono stati modesti: è stato infatti ricollocato il 10% dei lavoratori coinvolti, a
fronte di un’offerta di lavoro dal territorio pari a tre volte tanto. Sostanzialmente, non si è riusciti a
far coincidere la richiesta di manodopera avanzata dalle aziende con la disponibilità di coloro che
cercavano lavoro. Questo gap è difficilmente colmabile anche con interventi formativi mirati: la richiesta di manodopera maschile da inserire nel settore metalmeccanico si scontra con una realtà
composta da una maggioranza di donne in uscita dal settore tessile.
Ciò non può definirsi come limite degli strumenti utilizzati che hanno prodotto buoni risultati, laddove
sono stati applicati correttamente, quanto piuttosto da una situazione strutturale del mercato del
lavoro, che richiede evidentemente azioni di lungo periodo e non di pronto intervento come gli ammortizzatori.
Infine, il programma Pari ha previsto:
a) un numero complessivo di 179 incentivi all’assunzione così ripartiti:
123
Destinatari:
Soggetti iscritti alle liste di mobilità non
indennizzata ai sensi dell’art. 4 della
legge 236/93, privi di qualsiasi indennità
o sussidio legato allo stato di disoccupazione o inoccupazione, che abbiano reso
la dichiarazione di disponibilità al lavoro
in un Centro per l’Impiego della Provincia
di Brescia così suddivisi per sesso ed età:
Incentivo (al lordo)
una tantum per
ciascuna assunzione
tempo indeterminato
per almeno 30 ore
settimanali che verrà
effettuata dalla data
di emissione del
presente avviso
N. quote disponibili
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Donne
Età superiore a 45 anni
Euro 2.000,00
50
Euro 1.000,00
Uomini
Età superiore a 45 anni
Euro 1.800,00
60
Euro 1.000,00
Uomini
Donne
Età tra i 35 e i 45 anni
Euro 1.500,00
69
Euro 1.000,00
In aggiunta: dote Formativa per ogni
assunzione per ciascun/a lavoratore/trice
assunto/a, in possesso dei requisiti descritti,
l’azienda potrà inoltre usufruire, in aggiunta
all’incentivo “una tantum”, di un ulteriore
contributo sotto forma di dote formativa del
valore massimo di `1.000,00 lorde finalizzato all’adeguamento delle competenze
del/la lavoratore/trice
Destinatari:
Soggetti in Cigs o mobilità ex legge 223/91 o con accordi in deroga alla normativa ai
sensi della L. 311/2004 art.1, comma 155 e della L. 266/2005 art. 1 comma 410 e 411
Soggetti in mobilità ex legge 236/93
Soggetti disoccupati da almeno 12 mesi che abbiano reso la dichiarazione di disponibilità al lavoro in un Centro per l’Impiego della Provincia di Brescia
N. quote disponibili
b) dote formativa del valore massimo di ` 1.000,00 per un numero complessivo di 117 doti
formative finalizzate all’adattamento delle competenze dei lavoratori per ogni assunzione di
almeno 12 mesi con i requisiti di seguito specificati:
Dote Formativa per
ogni assunzione di
almeno 12 mesi al
lordo
117
Euro 1.000,00
Non sono disponibili dati di monitoraggio dei risultati.
I progetti in avvio
Tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 sono in avvio due nuovi progetti (uno legato agli ammortizzatori sociali in deroga, l’altro con le risorse non utilizzate relative alla Valle Camonica), destinati ai lavoratori di aziende in difficoltà. Si uniscono, dunque, a Brescia, questi due filoni di
risorse, mantenendo ovviamente quelle destinate alla Valle Camonica legate al territorio di
competenza. Nello stesso tempo, è partito in Regione LaborLab, ripartito su base provinciale. A
Brescia si sta facendo un lavoro di integrazione, per fare in modo che queste risorse si sommino,
puntando allo stesso obiettivo finale, cioè la riqualificazione dei lavoratori e il reinserimento
lavorativo di coloro che si trovano in difficoltà occupazionale.
Non si dispone di informazioni circa il piano 411 per le politiche attive del lavoro.
124
d) Osservazioni conclusive
La Provincia di Brescia si caratterizza per una situazione peculiare rispetto alla maggior parte
delle altre province lombarde: mentre altrove le risorse per gli ammortizzatori in deroga sono
superiori rispetto alle necessità, le aziende bresciane hanno usufruito di tutti i finanziamenti
disponibili e i funzionari provinciali si fanno ora portavoce dell’esigenza di ulteriori stanziamenti.
A Brescia, per questo, gli ammortizzatori in deroga sono stati utilizzati esclusivamente per
aziende artigiane o industriali fino a 15 dipendenti.
Nonostante la mancanza di dati di monitoraggio sia sul versante delle politiche passive che su
quello delle politiche attive, il funzionario provinciale intervistato si dichiara soddisfatto delle
esperienze realizzate a livello provinciale e del livello di collaborazione con le altre istituzioni
locali e con le parti sociali. Maggiori criticità vengono rilevate a livello di riforma complessiva
del sistema degli ammortizzatori sociali.
Di riforma degli ammortizzatori sociali si parla da anni. Ciò che è un po’ mancato è che sia le politiche attive del lavoro, sia gli ammortizzatori in deroga dovrebbero essere propedeutici alla riforma
degli ammortizzatori sociali. Noi abbiamo visto che spesso c’erano dei fattori economici e di tutela
dei lavoratori che li spingevano a rifiutare un nuovo posto di lavoro, soprattutto perché i nuovi posti
sarebbero stati presso aziende di piccole dimensioni, senza ammortizzatori. È evidente, che il passaggio da un’azienda che può utilizzare gli ammortizzatori in deroga ad una che non può utilizzarli
mette in difficoltà il lavoratore. Sarà necessario pensare, nell’ambito di un’eventuale riforma, anche
a questi aspetti, ad esempio pensare ad un’estensione degli ammortizzatori a tutte le realtà produttive, sia a livello di settore che di consistenza numerica dei lavoratori. Ciò faciliterebbe il passaggio
da una realtà produttiva all’altra. È necessario, inoltre, che vengano destinate maggiori risorse alle
politiche attive del lavoro: se funzionano le politiche attive del lavoro è ipotizzabile anche una riduzione delle politiche passive: quando funzionano le politiche attive del lavoro si possono ridurre gli
interventi degli ammortizzatori sociali in deroga, perché i tempi di passaggio da una situazione lavorativa all’altra sono rapidi, la crisi si risolve in modo fluido e veloce.
e) Allegati
Situazione socio-economica
1. Camera di Commercio di Brescia, Congiuntura III trimestre 2007
Politiche passive
2. Patto sociale per lo sviluppo, Bs, 2000
3. Accordo Bs 28.04.05
4. Accordo Bs 13.07.05
125
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
5. Accordo Bs 05.07.06
6. Codici Ateco Bs
Politiche attive
7. Piano Pdl Bs 26-04-05 (Piano delle politiche del lavoro per il settore tessile in Provincia di
Brescia)
8. Avviso imprese Valcamonica 2006
9. Avviso lavoratori svantaggiati
10. Pari avviso imprese 2007
Intervista
11. Report intervista dott. Dario Pironi, Responsabile settore crisi e negoziazione della Provincia
di Brescia, 20/11/2007.
3.1.3. Como
a) La situazione socio-economica
Il mercato del lavoro
Como emerge come provincia caratterizzata dalla presenza importante di alcuni settori produttivi, storicamente derivanti dagli insediamenti che in epoca industriale hanno denotato e tratteggiato il territorio, in senso stretto e in via simbolica, tanto che parlare di Como ha spesso
significato raccontare la storia del settore tessile, della seta in primis, ma anche delle filiere
secondarie a questa dedicate e all’indotto produttivo che la seta si porta dietro.
Chiuse (o, più raramente, trasformate) le fabbriche storiche della seta e del cotone, resta in
provincia un insieme di lavorazioni che si rifanno in parte al tessile, insieme ad altre che spesso
condividono con questo la situazione di crisi ingenerata in buona sostanza dalla globalizzazione
e quindi dalla concorrenza di altri mondi produttivi. Analizzando brevemente la condizione della
produzione e dell’occupazione in provincia38, notiamo innanzitutto la dimensione aziendale, che,
com’è noto, va a indicare un primo insieme di problematiche per chi voglia intervenire in materia di governo dell’occupazione e del welfare.
La dimensione prevalente delle aziende è quella medio piccola: da indagini specifiche e dai dati
della Cciaa sappiamo che la struttura produttiva della Provincia di Como è costituita da 49.000
aziende, il 35% di esse (17.000) piccole e piccolissime. Questo condiziona la modalità di inserimento del nuovo personale: generalmente, i nuovi assunti passano per un periodo più o meno
lungo di prova, che può trasformarsi successivamente in un rapporto di lavoro a tempo determinato e, in misura più ridotta, a tempo indeterminato.
38 I dati e i commenti qui riportati fanno riferimento al “Piano provinciale per lo sviluppo delle politiche attive del lavoro- Provincia
di Como. Anno 2007-2009 (Legge 266/05 art. 1 comma 411 e altri interventi)”.
126
Il mercato del lavoro si presenta secondo le linee seguenti (il dato deriva dagli avviamenti del
2006 e da quelli relativi al primo trimestre 2007).
I settori in cui si sono avuti più avviamenti sono quelli relativi alle attività immobiliari e all’informatica, agli alberghi e ristoranti e ai servizi pubblici e sociali in genere. Il tipo rapporto
di lavoro vede prevalere come tipo di contratto il tempo determinato, a seguire il tempo indeterminato e la somministrazione di lavoro. In merito alla domanda, i settori maggiormente
richiesti sono: commercio e terziario, tessile, metalmeccanico, servizi di pulizie-logisticaservizi sanitari e costruzioni. Le qualifiche più richieste sono: operaio tessile, operaio metalmeccanico, magazziniere, impiegato, addetto alle pulizie, saldatore-fabbro e addetto alla
ristorazione.
Come accade anche in altre province, a Como esistono problemi di miss-macht tra domanda e
offerta, e questo risulta evidente dall’analisi delle richieste del servizio di preselezione dell’anno
2006. Le figure professionali domandate e non reperite sono relative a servizi di pulizia e facchinaggio e assistenza al pubblico e alle famiglie. In particolare, poi, le qualifiche di difficile
reperimento sono quelle di: tecnico intermedio, saldatore, fabbro, manovale metalmeccanico,
tappezziere, operatore del legno, addetto al magazzino e alla logistica, addetto al confezionamento.
Per quanto concerne le azioni evidentemente necessarie in provincia, si rileva una situazione
del mercato del lavoro che vuole un innalzamento del tasso di occupazione. «Gli occupati (15-64
anni) in Provincia di Como risultano essere 246.000, di cui 144.000 uomini (73,6%) e 102.000
donne (54,4%). Il tasso di occupazione totale è dunque pari al 64,7%. L’obbiettivo indicato dalla
comunità europea e dalla regione è di raggiungere entro il 2010 un tasso di occupazione del
70% per gli uomini e del 60% per le donne. L’innalzamento del tasso di occupazione generale/
totale e in particolare quello femminile rimane uno degli obbiettivi da perseguire nel medio e
lungo termine tramite politiche innovative occupazionali ma soprattutto di sviluppo economicosociale» (Piano provinciale, cit.).
Rispetto all’occupazione femminile, dato sempre molto significativo e importante per spiegare
l’andamento socio-economico di un territorio, rileviamo come il tasso di occupazione femminile
in provincia di Como nel 2006 era pari al 54,4% (n. 102.000), inferiore a quello regionale
(55,1%).
Peraltro, il tasso di disoccupazione sarebbe diminuito in provincia nel corso del 2006 (le fonti
non sono d’accordo in modo univoco sull’interpretazione del dato, che pure riportiamo, anche se
dubbio): dal 4,1% al 3,8%. Le caratteristiche della disoccupazione in provincia risultano essere
abbastanza in linea con quelle solitamente riscontrabili anche in altri contesti industrializzati
e terziarizzati. Sostanzialmente, risultano maggiormente presenti tra le forze di lavoro senza
occupazione i cosiddetti soggetti svantaggiati (ex art 2 reg. CE 2204/2002): persone in mobilità,
giovani disoccupati con lavori precari, donne in reinserimento lavorativo, persone in situazione
personale e sociale di difficoltà.
127
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TABELLA 13. Obiettivi provinciali per il 2010
REGIONE LOMBARDIA
ANNO 2005
INDICATORI OBIETTIVO
Tasso di occupazione
Tasso di occupazione femminile
Differenza tra tasso di occupazione maschile e
femminile
Tasso di disoccupazione
Tasso di disoccupazione giovanile
Tasso di disoccupazione femminile
PROVINCIA DI COMO
ANNO 2005
OBIETTIVO ENTRO
ANNO 2010
65,6%
55,1%
64,7%
54,5%
70,0%
60,0%
20,5%
4,1%
13,1%
5,4%
20,3%
4,1%
14,1%
4,3%
10,0%
3,0%
7,0%
3,0%
Fonte: “Piano provinciale per lo sviluppo delle politiche attive del lavoro- Provincia di Como. Anno 2007-2009 (Legge 266/05 art. 1 comma 411 e altri
interventi)”.
I lavoratori iscritti nella lista di mobilità al 30 marzo 2007 sono complessivamente 2.527, in
crescita rispetto al 2006 (1.161 in tutto l’anno). Si tratta prevalentemente di over 40 (80%),
molti dei quali con livelli di scolarizzazione bassi e qualifiche generiche, equamente distribuiti
tra maschi (51%) e femmine (49%). I processi di riduzione del personale hanno riguardato per
il 53% aziende medio grandi e per il 44% aziende con meno di 15 dipendenti.
Il settore artigiano
Di seguito si presentano i dati relativi alle imprese artigiane presenti in provincia di Como.
TABELLA 14. Dati di sintesi relativi alle imprese registrate al Registro delle Imprese al 31.12.
Lombardia e Provincia di Como. Anno 2007 (valori assoluti e percentuali).
Totale imprese
Di cui artigiane
Peso artigiane/totale
COMO
LOMBARDIA
PESO % COMO/LOMBARDIA
44.440
809.144
5,49
18.119
271.016
6,69
40,77
33,49
Fonte: Infocamere
TABELLA 15. Principali sezioni di attività economica delle imprese artigiane al 31.12. Provincia
di Como. Anno 2007 (Valori assoluti; ordine decrescente).
IMPRESE
REGISTRATE
Costruzioni
Attivita’ manifatturiere
128
IMPRESE ISCRITTE
IMPRESE CESSATE
V.A.
%
V.A.
V.A.
7.624
5.549
42
31
1.038
362
656
414
Altri servizi pubblici, sociali e personali
Comm. ingr. e dett.; rip. beni pers.e per la casa
Trasporti, magazzinaggio e comunicaz.
Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca
Agricoltura,caccia e silvicoltura
Istruzione
Alberghi e ristoranti
Imprese non classificate
Sanita’ e altri servizi sociali
Intermediaz.monetaria e finanziaria
Prod. e distrib. energ. elettr., gas e acqua
Estrazione di minerali
Pesca,piscicoltura e servizi connessi
Serv.domestici presso famiglie e conv.
Totale
1.495
1.114
1.008
962
298
22
20
13
7
3
3
1
0
0
18.119
8
6
6
5
2
0
0
0
0
0
0
0
0
0
100
103
33
58
95
46
0
0
5
0
0
0
0
0
0
1.740
0
71
85
117
23
2
7
84
3
2
1
0
0
3
1.468
Fonte: Infocamere
b) Le politiche passive
L’analisi delle politiche del lavoro realizzate e programmate in provincia di Como è stata realizzata, oltre che tramite l’analisi documentale, attraverso l’intervista al dott. Marco Forni, del
Settore Politiche del Lavoro della Provincia di Como, realizzata in data 18 gennaio 2008, cui si
riferiscono le citazioni tra virgolette.
Gli accordi CIGS/Mobilità in deroga
La cronologia dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali in provincia di Como può essere datata a
partire dal 24 marzo 2005, quando il Ministro del lavoro ha sottoscritto un accordo con le parti
sociali allo scopo di contenere lo stato di crisi della filiera produttiva tessile, abbigliamento,
moda e calzature.
Il 18 aprile 2005 lo stesso Ministro del lavoro, a integrazione e conferma di quanto indicato
nell’accordo precedente, assicura la somma complessiva di 15 milioni per la Cigs alle aziende
artigiane del territorio e, in data 1 luglio 2005 emana il relativo decreto (n. 36452). Il 12 dicembre 2005 oltre alla Cigs viene prevista anche la mobilità in deroga in favore di operai, impiegati,
intermedi e quadri dipendenti da aziende artigiane non rientranti nella disciplina di cui all’art.
12 L. 223/91, da imprese industriali fino a 15 lavoratori nonché da imprese industriali con più
di 15 lavoratori che non possono accedere al suddetto trattamento in base alla normativa attuale. Nel dicembre del 2005 vengono svolti i primi esami di consultazione.
Un secondo momento importante nella storia degli accordi sugli ammortizzatori in deroga a
Como è rappresentato dalle modifiche apportate con il successivo accordo del 20 febbraio 2006,
che estende l’accordo del 18 aprile 2005 anche ad altri settori produttivi del territorio comasco
e precisa che l’importo finanziario necessario per la realizzazione delle azioni di reimpiego è pari
129
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
a 5 milioni di euro. Il nuovo verbale di accordo del 26 settembre 2006 evidenzia porta questa
somma a 7 milioni di euro.
«Con il primo accordo abbiamo coinvolto il settore abbigliamento calzaturiero, poiché erano i settori
i cui segnali di crisi erano maggiori, mentre nell’accordo successivo si è realizzata un’integrazione
estendendo i benefici in deroga anche ad altri settori produttivi, anche in considerazione che, dal
2005, la Provincia ha cominciato a sviluppare l’Osservatorio del Mercato del Lavoro provinciale in
grado di cogliere le tendenze settore per settore. I nuovi settori coinvolti maggiormente, a partire dal
secondo accordo, sono stati il metalmeccanico e il chimico»
La circolare Inps n. 57 del 13 marzo 2007 informa che in base al comma 1190 dell’art. 1 della
legge 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007) la misura dei trattamenti di Cigs, mobilità e
trattamenti speciali in deroga è ridotta del 10% in caso di prima proroga, del 30% nel caso di
seconda proroga e del 40% nel caso di proroghe successive.
Infine, la circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 13 settembre 2007 precisa
che le risorse finanziarie già attribuite agli esercizi finanziari 2004, 2005, 2006, 2007 con decreti interministeriali intervenuti entro il 31 dicembre 2007 per la parte ancora disponibile
possono essere utilizzate entro tale termine e fino a completo esaurimento
Il ruolo delle parti sociali e istituzionali
La Provincia è stata presente nella sottoscrizione degli accordi e ha poi gestito il processo di
erogazione degli ammortizzatori sociali attraverso l’esame di consultazione.
«La Provincia riveste un ruolo di primo piano nel redarre l’esame di consultazione con il quale può
conoscere ed approfondire le situazioni di crisi territoriali. Una volta concluso l’accordo sindacale,
l’azienda inoltra richiesta di CIGS in deroga alla Provincia. Segue una valutazione e vengono convocate sia le parti sociali, sia l’azienda per discutere insieme della crisi aziendale in atto. È questo il
ruolo importante della Provincia: cercare di capire che tipo di crisi si profila, quali sono le prospettive
(delocalizzazione, crisi momentanea del mercato, ecc…) […] Il fatto che le parti si riuniscano qui
per individuare e capire le problematiche, aiuta la Provincia ad individuare le migliori strategie per
le politiche attive future»
La Provincia sottolinea altresì di volere assumere un ruolo di concertazione tra le parti in questione, approntando strategie diverse per affrontare la crisi. Gli accordi, dunque, fanno parte di
una strategia più allargata e più approfondita in direzione della soluzione dei problemi di ristrutturazione a cui il settore tessile (e similari) sta andando incontro. Nel piano provinciale è
espressamente dichiarato che «con questo Accordo naturalmente non si esauriscono gli interventi che la Provincia ha posto in essere per arginare le crisi aziendali, ma proseguono parallelamente tutti gli impegni assunti quali: la costituzione di un tavolo permanente dedicato alle
130
crisi aziendali (composto dalle Parti sociali e dalla Provincia) che si riunisce periodicamente per
valutare gli interventi di politica del lavoro da implementare; messa a disposizione dei fondi del
piano FNO (Fondo Nazionale Occupazione), del progetto “Programma servizi per casi di crisi
aziendali” e del progetto “Azioni per casi di crisi aziendali” a supporto dei lavoratori interessati
in casi di crisi; attivazione all’interno dell’Osservatorio Provinciale del Lavoro di un monitoraggio sul tessile al fine di registrare l’andamento complessivo del settore e di creare una rete
continua ed aggiornata delle caratteristiche dei lavoratori in prospettive di matching occupazionale».
Rileviamo poi la presenza di numerose associazioni che hanno partecipato alla sigla degli accordi.
TAB 16. Date degli Accordi e presenza delle parti sociali e istituzionali
18 APRILE 2005
20 FEBBRAIO 2006
(INCONTRO)
Il Ministro del lavoro e
delle politiche sociali
Il presidente della CCIAA
Il presidente della provincia di
Como
Regione Lombardia Agenzia regionale per il lavoro
Il Ministro del lavoro e delle
politiche sociali
Il Presidente della CCIAA
Il presidente della Provincia
di Como:
Regione Lombardia Agenzia regionale per il lavoro
ACAI-CASA
API
CNA
Confartigianato imprese
Unione industriali
CGIL
CISL
UIL
FEMCA CISL
FILTEA CGIL
UILTA UIL
20 FEBBRAIO 2006
26 SETTEMBRE 2006
CCIAA
CCIAA
Provincia di Como:
Regione Lombardia Agenzia regionale per il lavoro
Provincia di Como:
ACAI-CASA
API
C.N.A
Confartigianato imprese
ACAI-CASA
API
C.N.A
Confartigianato imprese Como:
ACAI-CASA
API
C.N.A
Confartigianato
imprese Como:
Unione industriali
CGIL
CISL
UIL
Unione industriali
CGIL
CISL
UIL
Unione industriali
CGIL
CISL
UIL
Fonte: elaborazione nostra
Le procedure
La Provincia ha deliberato riassumersi la regia delle operazioni necessarie alla messa in opera
degli accordi. Dopo la firma dell’accordo sindacale, l’esame di consultazione viene realizzato in
Provincia, alla presenza di un rappresentante permanente delle OO.SS., delle Associazioni di
Categoria, dei lavoratori e dell’azienda. La Provincia al termine dell’esame di consultazione
131
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
produce e consegna alle parti il “verbale di consultazione” necessario per la successiva richiesta alla DPL/INPS. Dopo il decreto autorizzativo emesso dalla Dpl, l’Inps procede all’erogazione
dei finanziamenti, al monitoraggio delle spese, e provvede ad informare la Commissione per le
politiche attive del lavoro.
Di seguito, si riporta l’iter per la concessione della Cigs e della mobilità in deroga.
TABELLA 17. Iter concessione Cigs in deroga
ITER DI CONCESSIONE
Aziende interessate
- Imprese artigiane non associate all’EBA
- imprese industriali fino a 15 e più di 15 dip
- imprese artigiane iscritte all’EBA
Adempimento
Provincia di Como
Riceve le domande delle aziende per l’esame congiunto e Verbale di Consultazione
redige verbale di consultazione
Adempimento
aziendale
Istruttoria della DPL
Presentazione domanda unitamente al verbale di esame Alla DPL, senza obbligo di rispetto di termini
congiunto o consultazione sindacale
di presentazione
- verifica dell’appartenenza dell’azienda al settore economico
- verifica della sussistenza del requisito dell’anzianità lavorativa
Decreto della DPL (con rispetto dello stretto ordine cronologico della presentazione domande nell’ambito
del rispettivo impegno di spesa)
Concessione
Richiesta di esame congiunto alla Provincia
di Como
ADEMPIMENTI
Della DPL
Trasmissione del decreto
- All’impresa
- all’INPS
- alla Provincia di Como
Delle imprese
Comunicazione mensile (entro il 10 del mese successivo) all’INPS dell’effettivo utilizzo, ai fini del monitoraggio della spesa
dell’INPS
Comunicazione alla DPL delle settimane e delle ore effettivamente utilizzate ed il correlato onere finanziario, consuntivo mensile e comunque non oltre 15 giorni dopo la liquidazione
Fonte: Provincia di Como (www.provincia.como.it)
TABELLA 18. Iter concessione e adempimenti mobilità in deroga
ITER DI CONCESSIONE
Presentazione
domanda
(CPI)
Istruttoria della DPL
Concessione
132
Il lavoratore si rivolge al CPI e dopo l’inserimento formale Conseguentemente il lavoratore si rivolge
in lista di mobilità, compila l’apposito modulo e lo inoltra alla DPL (con l’apposito modulo compilato
alla DPL unitamente alla certificazione di avvenuto inse- e con l’allegata certificazione di avvenuto
rimento in lista di mobilità.(da questo ultimo documento inserimento in lista di mobilità rilasciata dal
deve comparire il CPI che lo emette)
Centro per l’Impiego competente)
- Verifica dell’appartenenza dell’azienda al settore economico
- verifica della sussistenza del requisito dell’anzianità lavorativa
Decreto della DPL (con rispetto dello stretto ordine cronologico della presentazione domande nell’ambito
del rispettivo impegno di spesa)
ADEMPIMENTI
Della DPL
dell’INPS
Trasmissione del decreto:
- Al lavoratore
- all’INPS
- alla Provincia di Como
Comunicazione alla DPL del periodo di mobilità effettivamente utilizzato ed il correlato onere finanziario,
consuntivo mensile e comunque non oltre 15 giorni dopo la liquidazione
Fonte: Provincia di Como e DPL(www.provincia.como.it)
I dati di monitoraggio
Le procedure sono state avviate alla fine del 2005, con l’avvio dei primi esami di consultazione.
Il referente provinciale intervistato lamenta una certa difficoltà nell’ottenere i dati in tempo
reale sulle risorse erogate da parte dell’Inps. Questo determina inevitabili difficoltà nei rapporti
con le imprese e nella gestione del processo di assegnazione degli ammortizzatori sociali in
deroga.
«Capita che le aziende facciano richiesta per x ore di cassa integrazione in deroga e poi effettivamente ne utilizzino meno di quanto richiesto. Questo può accadere nei casi di cali temporanei di lavoro a cui poi fa seguito, dopo qualche mese, una ripresa produttiva. L’emergenza originaria viene
quindi ridimensionata. […] Da ciò deriva l’oggettiva difficoltà da parte dell’INPS di calcolare in tempi
reali i dati di utilizzo effettivo delle ore di CIGS e conseguentemente di fornirci le cifre di rendiconto.
Per logica conseguenza si crea, a cascata, una oggettiva difficoltà per la Provincia ad essere informata, in tempi brevi, circa l’erogazione economica effettuata, utile per consigliare le aziende se avviare la procedura di CIGS in deroga in base ai fondi ancora disponibili. La vera criticità su cui le parti
sono concordi è proprio l’esigenza di trovare soluzioni a questo problema»
I dati ufficiali disponibili relativi all’applicazione degli accordi sono aggiornati alla fine del
2007. A quella data, si registra una prevalenza nell’utilizzo degli ammortizzatori sociali in deroga da parte delle aziende con più di 15 dipendenti.
«Per la CIGS noi trattiamo solo quella della grande impresa (L. 223/91)»
133
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TABELLA 19. Cigs e mobilità in deroga (al 31/12/2007, finanziaria 2005 art. 1 comma 155 e
succ. modifiche)
STANZIAMENTO
MLPS
` 15.000.000
(di cui ` 7.000.000
per politiche attive)
IMPORTO
N.
N.
N.
N.
FINANZIARIO
DATA AVVIO N. AZIENDE N. AZIENDE
LAVORATORI LAVORATORI LAVORATORI LAVORATORI
EROGATO DA
PROCEDURE
< 15
> 15
CIGS < 15 CIGS > 15 MOB. 236 MOB. 223
INPS
10/11/05
69
23
335
592
371
Non
Prevista
` Nd
Fonte: Osservatorio Provinciale del Lavoro
Un dato interessante reso disponibile dalla provincia di Como riguarda il numero di lavoratori
per cui viene aperta la procedura di Cigs rispetto al totale dei dipendenti dell’azienda: dalla
tabella risulta evidente come le aziende preferiscano aprire la procedura di Cigs per una percentuale rilevante di dipendenti (complessivamente, quasi la metà), sebbene poi non venga
utilizzata per tutti i lavoratori per cui è stata richiesta.
TABELLA 20. Riepilogo aziende che hanno richiesto la Cigs, ai sensi dell’accordo 18.04.2005 e
succ modifiche con il Ministero del lavoro
ESAME DI CONSULTAZIONE
12 dicembre 2005
18 gennaio 2006
27 febbraio 2006
20 marzo 2006
3 aprile 2006
3 maggio 2006
24 maggio 2006
5 luglio 2006
17 luglio 2006
134
N. DIPENDENTI CIGS
2
5
8
10
3
7
2
3
3
1
8
2
5
6
3
8
2
4
1
3
8
7
N. DIPENDENTI AZIENDA
3
5
10
10
3
8
15
7
3
3
10
2
8
11
5
10
3
4
1
3
9
8
26 luglio 2006
6 settembre 2006
25 settembre 2006
9 ottobre 2006
23 ottobre 2006
5 dicembre 2006
20 dicembre 2006
28 febbraio 2007
7 marzo 2007
28 marzo 2007
18 aprile 2007
16 maggio 2007
25 luglio 2007
3 ottobre 2007
9
9
4
4
3
1
1
3
13
6
8
3
3
8
4
1
3
3
10
9
1
1
1
4
7
9
7
3
4
4
2
9
3
7
4
3
6
8
7
2
5
6
5
6
4
9
9
5
4
7
14
5
5
13
11
8
3
5
10
5
5
3
3
10
10
7
14
1
5
8
9
7
3
4
5
3
14
3
13
6
3
7
11
7
10
5
10
7
7
6
135
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
29 ottobre 2007
Totale aziende con meno di 15 dipendenti
12 dicembre 2005
18 gennaio 2006
20 marzo 2006
24 maggio 2006
30 giugno 2006
2 agosto 2006
11 settembre 2006
25 settembre 2006
23 ottobre 2006
13 novembre 2006
28 febbraio 2007
7 marzo 2007
18 aprile 2007
16 maggio 2007
25 luglio 2007
19 novembre 2007
Totale aziende con più di 15 dipendenti
Totale
2
5
335
20
21
10
26
45
43
218
35
30
55
10
40
19
20
30
8
18
27
19
35
15
23
13
20
800
1135
2
8
470
78
21
29
26
50
204
223
39
140
82
18
55
19
67
140
50
23
204
19
39
16
84
301
132
2059
2529
Fonte: dati amministrativi, provincia di Como
c) Le politiche attive
I progetti realizzati
I progetti di politica attiva del lavoro realizzati in provincia di Como in collaborazione con l’Agenzia Regionale sono stati:
• 2003 Progetto crisi aziendali 1
• 2004 Progetto Fondo Nazionale per l’occupazione
• 2004 Progetto crisi aziendali 2
• 2005 Progetto realizzazione interventi idonei per contrastare le crisi aziendali
La tabella seguente illustra gli strumenti utilizzati in questi anni a favore di disoccupati, delle
fasce deboli e in occasioni di crisi aziendali.
136
TABELLA 21. Strumenti di politica attiva del lavoro attivati in provincia di Como. Tipologia di
intervento e contenuto dei progetti
TIPO DI INTERVENTO
CONTENUTO
SOGGETTI E MODALITÀ DI AFFIDAMENTO
Screening dei
disoccupati
Servizi di Accoglienza
per la definizione dei
bisogni e del patto di
servizio
Contattare le persone per verificare la disponibilità ad
usufruire di servizi
Incontri di gruppo per informare sui servizi disponibili
nell’ambito del progetto e raccogliere disponibilità;
Incontro per definire il bisogno e i possibili interventi nonché
sottoscrivere un patto di servizio
-
Servizi di Consulenza
per dare attuazione al
progetto individuale
Incontri per definire le risorse personali, le competenze, le
carenze formative e per definire il progetto individuale:
- colloqui di orientamento
- bilanci attitudinali e di competenze
- accompagnamento alla ricerca attiva del lavoro
Le azioni realizzate sono state:
- tirocinio di orientamento
- tirocinio di inserimento indennizzato
- tutor d’ente
- tutor aziendale
Concordare con l’azienda e l’utente un periodo limitato di
esperienza in azienda prima di un eventuale assunzione.
Per favorire questa esperienza ad ogni disoccupato è stata
riconosciuta una indennità di ` 955,00 per un periodo
complessivo di circa due mesi.
Per i disoccupati disabili borsa lavoro di 5 euro fino 6 mesi
Al fine di favorire l’inserimento di disoccupati in situazione
di svantaggio è stata riconosciuta alle aziende che
assumevano un incentivo commisurato alla tipologia di
utenza e alla durata dell’assunzione.
- over 40 uomini ` 2000
- donne ` 2500
- svantaggiati ` 2500
Progetto PARI
- uomini over 45 ` 1.500,00
- donne over 45 ` 1.800,00
- uomini e donne 35 – 45 ` 1.500,00
Gestione banca dati per l’incrocio domanda e offerta
Attività di preselezione
Contatti preliminari con aziende e disoccupati
Verifica esito preselezione
Sono stati finanziati:
- corsi ASA
- corsi per badanti
- corsi di riqualificazioni brevi
- attività di formazione in azienda per CIGS
- progetto PARI: 1000 ` per buono formativo
-
Accompagnamento
all’inserimento
lavorativo
Incentivi alle aziende
alle aziende che
assumono a tempo
determinato (più di 6
mesi, 12 mesi)
Azioni di incrocio
domanda e offerta
Formazione collettiva e
individuale
-
Affidamento diretto ai CPI
Affidamento tramite bando a Enti esterni
Affidamento diretto ai CPI
Affidamento tramite bando a Enti esterni
Affidamento a sportello a Enti esterni
sulla base della proposta di un progetto
personalizzato articolato in diversi interventi
Affidamento diretto ai CPI
Affidamento tramite bando a Enti esterni
Affidamento a sportello a Enti esterni
sulla base della proposta di un progetto
personalizzato articolato in diversi interventi
Affidamento diretto ai CPI
Affidamento tramite bando a Enti esterni
Affidamento a Enti esterni su proposta di
interventi articolati e individualizzati
Indennità liquidate direttamente da settore
lavoro
- Indennità liquidate direttamente da settore
lavoro e da Italia Lavoro per Progetto PARI
- Gestione diretta CPI
- Enti accreditati
- Sportelli Lavoro
- Contributi su richiesta di enti locali
- Bando di assegnazione corsi
- Contributo in base a richiesta dell’azienda e
dei sindacati
Fonte: “Piano provinciale per lo sviluppo delle politiche attive del lavoro- Provincia di Como. Anno 2007-2009 (Legge 266/05 art. 1 comma 411 e altri
interventi)”
137
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
I progetti in avvio
La provincia di Como è stata la prima a presentare sia il piano che il progetto esecutivo per lo
sviluppo delle politiche attive del lavoro e ha già attivato un tavolo tecnico, formato dalle parti
(associazioni, sindacati, provincia) per assumere decisioni in merito all’articolazione della
dote.
Com’è noto, attraverso lo strumento della dote, la Regione Lombardia chiede di porre al centro
di ogni azione il singolo individuo, oltre che di prendersene cura nella sua totalità e singolarità.
Inoltre, chiede di responsabilizzare ciascun operatore della rete che prende in carico un utente,
cosicché questi sia seguito in tutto il percorso di attuazione del progetto individuale, anche se
alla sua realizzazione dovranno partecipare altri soggetti con specifiche competenze.
Il referente provinciale intervistato sottolinea le principali difficoltà legate all’applicazione dello
strumento della dote.
«La Legge Regionale 22/06 consente al lavoratore disoccupato di andare al Centro per l’Impiego o in
qualsiasi altro ente accreditato. Per questo pensiamo attraverso il nostro sito internet e con gli altri
strumenti a disposizione (campagne informative) di pubblicizzare tutte le iniziative in favore dell’utente. Essendo il concetto di “dote” una novità nel campo delle politiche attive ci aspettiamo un
iniziale disorientamento da parte dell’utenza ed è per questo che la pubblicizzazione rivestirà un ruolo
importante. In questo senso abbiamo già iniziato, nei vari incontri con i lavoratori, a dare informazioni
ed a raccogliere le varie perplessità che dovessero nascere dall’utilizzo della dote. È chiaro che nei
processi di crisi aziendale, il lavoratore, più che in altre categorie di utenza ha bisogno di essere
orientato e di capire tutti i possibili sbocchi formativi e di lavoro messi a sua disposizione.»
Gli obiettivi prioritari dell’azione provinciale sono:
• migliorare il raccordo tra servizi per l’impiego e il sistema delle imprese;
• mantenere e sostenere il sistema di preselezione;
• integrare nei percorsi di ricollocamento l’orientamento e la formazione;
• sperimentare nuove modalità di progettazione e attuazione dei servizi.
La Provincia di Como, in accordo a questi obiettivi e considerando la situazione del territorio dia
sua competenza, prevede di prendersi in carico i seguenti soggetti (in via prioritaria):
• lavoratori destinatari degli accordi relativi agli ammortizzatori in deroga previsti dalla L
266/05 art. 1 commi 410-411;
• disoccupati;
• persone in mobilità;
• lavoratori in Cassa integrazione guadagni straordinaria;
• persone individuate sulla scorta di intese fra Amministrazioni Provinciali e parti sociali,
nell’ambito del progetto attuativo territoriale ed in base alle priorità e necessità locali;
• i soggetti disabili.
138
Sulla base dell’esperienza degli ultimi anni, la Provincia ha stimato che solo il 30% delle persone che usufruiscono di ammortizzatori sociali sono disponibili a iniziare un percorso di ricollocamento.
Di seguito, riassumiamo le azioni previste per destinatario. Poiché si tratta di ipotesi ancora da
realizzare e verificare, ne diamo una sommaria elencazione, che ne mette in luce il pregio e i
limiti, ma che non può essere presa se non in senso lato come indicatore di quanto la Provincia
di Como potrà fare in futuro.
TABELLA 22. Soggetti target: lavoratori in mobilità e cassintegrati
SOGGETTI TARGET
AZIONI
ATTUATORI
Lavoratori
in mobilità
- screening telefonico e contatto
con lettera
- accoglienza definizione bisogni
e patto
- definizione del progetto individuale
e bilancio di competenze
- Accompagnamento al reinserimento
- Incentivi per over 40; donne
- Promozione e incentivazione
all’autoimprenditorialità
- Formazione riqualificazione
- Screening accoglienza
- definizione progetto e bilancio
- riqualificazione mirata
- formazione individuale e aziendale
- Cpi
Gestione diretta da parte dei CPI di
- Enti accreditati
una parte delle azioni. Affidamento
- Soggetti autorizzati mediante bando con incentivo
alla ricollocazione a raggruppamenti (per la gestione dell’intero
percorso). Bandi specifici per la
formazione delle persone. Bandi
specifici per finanziare la formazione individuale in azienda
Totale lista 2527
< 41= 546
> 41= 799
> 51= 1.182
Cassa integrati
PROCEDURE
- Cpi
Bando con presentazione progetto
- Enti accreditati
da parte di azienda e enti attuatori
- Soggetti autorizzati
Fonte: “Piano provinciale per lo sviluppo delle politiche attive del lavoro- Provincia di Como. Anno 2007-2009 (Legge 266/05 art. 1 comma 411 e altri
interventi)”
TABELLA 23. Soggetti target: giovani 18-29 anni e disoccupati
SOGGETTI TARGET
AZIONI
Giovani 18-29 anni = - accoglienza
n. 2.998
- definizione progetto e bilancio
di cui 1.782 donne e - accompagnamento supporto all’in1.216 uomini
serimento
- tirocinio indennizzato
- incintivi alle aziende per inserimento
- formazione settoriale per rispondere
a domanda
- promozione all’autoimprenditorialità
- incentivi per l’avvio di impresa
ATTUATORI
PROCEDURE
- Cpi
Gestione diretta da parte dei CPI di
- Enti accreditati
una parte delle azioni. Affidamento
- Soggetti autorizzati mediante bando con incentivo
alla ricollocazione a raggruppamenti (per la gestione dell’intero
percorso). Bandi specifici per la
formazione delle persone. Bandi
specifici per finanziare la formazione individuale in azienda
139
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Disoccupati 30-39
anni = N. 3.253
di cui 1928 donne
di cui 1.325 uomini
- accoglienza
- Cpi
Come sopra
- definizione progetto e bilancio
- Enti accreditati
- accompagnamento supporto all’in- Soggetti autorizzati
serimento
- tirocinio indennizzato
- incentivi alle aziende per inserimento
- formazione settoriale per rispondere
a domanda
Fonte: “Piano provinciale per lo sviluppo delle politiche attive del lavoro- Provincia di Como. Anno 2007-2009 (Legge 266/05 art. 1 comma 411 e altri
interventi)”
TABELLA 24. Soggetti target: disoccupati 40-55 anni e over 55
SOGGETTI TARGET
AZIONI
- accoglienza
- definizione progetto e bilancio
- accompagnamento supporto all’inserimento
- incintivi alle aziende per inserimento
- formazione settoriale mirata per
rispondere a domanda di gruppo
- formazione individuale mirata in
azienda
Disoccupati over 55= - accoglienza
- definizione progetto
N. 575
- riqualificazione
di cui donne 264
di cui uomini 311
- incentivi inserimento lavorativo
anche p.t.
Disoccupati 40 – 55
= N. 2.991
di cui donne 1.659
di cui uomini 1.332
ATTUATORI
PROCEDURE
- Cpi
Gestione diretta da parte dei CPI di
- Enti accreditati
una parte delle azioni. Affidamento
- Soggetti autorizzati mediante bando con incentivo
alla ricollocazione a raggruppamenti (per la gestione dell’intero
percorso). Bandi specifici per la
formazione delle persone. Bandi
specifici per finanziare la formazione individuale in azienda
- Cpi
Come sopra
- Enti accreditati
- Soggetti autorizzati
Fonte: “Piano provinciale per lo sviluppo delle politiche attive del lavoro- Provincia di Como. Anno 2007-2009 (Legge 266/05 art. 1 comma 411 e altri
interventi)”
140
TABELLA 25. Soggetti target: disagio
PROGETTI
INCLUSIONE
Immigrati =
N. 2.297 di
cui 1.134 donne;
di cui 1.163 uomini
Progetto carcere,
continuazione
Progetto disoccupati
svantaggiati
Piano iniziative di
sostegno inserimento
lavorativo persone
disabili=3125
AZIONI
SOGGETTI
PROCEDURE
- Screening
- Accoglienza
- Incontri di gruppo per percorsi di
integrazione
- corsi per Badanti
- corsi di qualificazione
- tirocini indennizzati
- Accoglienza
- Definizione progetto
- Accompagnamento
- Borsa lavoro indennizzato
- Incentivi alle aziende
- Formazione specifica
- Accoglienza
- Definizione progetto
- Accompagnamento
- Borsa lavoro i
- Incentivi alle aziende
- Formazione specifica
- Progetti individuali di inserimento
- Azioni di formazione collettiva ed
individuale
- Tirocini/borse lavoro
- Sussidi per superamento barriere
architettoniche ecc.
- Enti accreditati
- Comuni
- Enti di formazione
Affidamento medianti bandi (formazione + inserimento)
- CPI
- Enti accreditati
- Società somministrazione
- Cooperative
Convenzioni con carcere e associazioni.
Bandi specifici
-
CPI
Comuni
Enti accreditati
Cooperative
CPI. Convenzioni con Comuni.
Affidamento mediante Bandi
-
CPI
Comuni
Enti accreditati
Cooperative
Servizio provinciale disabili.
Comuni. Associazioni disabili. Imprese private. Cooperative tipo B
Terzo settore
Fonte: “Piano provinciale per lo sviluppo delle politiche attive del lavoro- Provincia di Como. Anno 2007-2009 (Legge 266/05 art. 1 comma 411 e altri
interventi)”
Sono inoltre previste le seguenti azioni:
• formazione in azienda per periodi di specializzazione;
• percorsi formativi da utilizzare in azienda per azioni di adattamento al lavoro finalizzati
all’assunzione del lavoratore;
• contributi integrativi assegnati ai singoli individui per sostenere spese accessorie (rimborso
spese viaggio, pranzi ecc.) inerenti la partecipazione a percorsi formativi e/o accompagnamenti al lavoro già iniziati o da cominciare ex novo già finanziati con risorse regionali e/o
provinciali;
• analisi del contesto organizzativo e del ruolo professionale;
• incentivi alle imprese per l’inserimento lavorativo di particolari tipologie d’utenza individuate dalle Commissioni provinciali. Gli incentivi dovranno essere diversificati a seconda se
i contratti sono a tempo indeterminato o a tempo determinato e in quest’ultimo caso in relazione alla durata;
141
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
• incentivi in caso di trasformazione di contratti da tempo determinato a tempo indeterminato;
• interventi di partecipazione al programma rivolti a lavoratori che abbiano formalmente aderito al percorso di inserimento lavorativo e/o di riqualificazione professionale e che necessitino di aiuti per sostenere eventuali spese utili al suo proseguimento.
Come si è visto, la Provincia di Como, negli ultimi due anni, ha potuto disporre di ` 15.000.000
da destinare alle politiche passive (Cigs e mobilità) grazie agli accordi locali stipulati con il
Ministero del Lavoro per intervenire sulle situazione di crisi settoriali del tessile e di altri settori
al servizio delle imprese. Queste risorse hanno permesso di offrire alle imprese e ai lavoratori
delle imprese con meno di 15 dipendenti i benefici della Cigs e della mobilità in deroga. Con
l’accordo del 18 aprile 2005 e del 20 febbraio 2006 parte di queste risorse (` 7.000.000) sono
state stornate dalle politiche passive per destinarle a interventi di politica attiva. Queste risorse, unitamente a quelle di altre Province, sono state oggetto di un accordo tra Ministero del
lavoro e Regione Lombardia. Ogni Provincia titolare di queste risorse ha messo a disposizione
della Regione una parte delle risorse destinate alle politiche attive allo scopo di costituire un
fondo destinato a finanziare le azioni di politica attiva di quattro province che in passato non
avevano stipulato accordi locali con il Ministero.
Oltre alle risorse citate sopra (ex art 1 comma 411) la Provincia ha a disposizione altri finanziamenti, che di seguito si elencano:
a valere sul comma 411 L 266/05
` 6.747.574,44
a valere sul fondo nazionale l. 236
`
518.000,00
a valere sul Fse
`
111.000,00
a valere sul fondo disabili
` 1.268.074,20
fondi provinciali 2007
`
147.000,00
progetto pari
`
231.646,57
Oltre alle risorse indicate sopra la Regione, nei prossimi mesi, darà attuazione al Programma
Regionale “Linee di sviluppo per valorizzare il capitale umano” gestito a livello regionale e rivolto a soggetti a rischio di esclusione dal mercato del lavoro(donne e uomini over 40) e lavoratori con contratti a tempo determinato (somministrazione e tempo determinato brevi) o CO.
CO.PRO.
L’entità di queste risorse permetterà alla Provincia di Como, in collaborazione con le parti sociali, di programmare e attuare un insieme di azioni ed interventi di politica attiva che dovranno
rispondere ai fabbisogni locali, consolidando modalità di intervento già realizzate negli anni
passati e sperimentandone di nuove.
142
TABELLA 26. Distribuzione della risorse tra i diversi target di utenza
TIPOLOGIA DI RISORSA
TARGET
TIPOLOGIA INTERVENTI
L 266/05 art 1 comma
411
-
Lavoratori in Mobilità e cassa integrazione
disoccupati over 40
donne disoccupate in reinserimento
disoccupati svantaggiati (ax art 2 reg. CEE e
Legge 381/91):fasce deboli; extracomunitari;
persone seguite dai servizi sociali in fase di inserimento lavorativo;
- detenuti e ex detenuti
Legge 236
- Lavoratori in mobilità
- Disoccupati di lunga durata
- Disoccupati in situazione di svantaggio
Disoccupati in genere fascia 18 39 anni
-
FSE ob 3
Fondi provinciali
Fondi progetto Pari
Fondi disabili
Disoccupati in particolare minori
Interventi di sistema: coordinamento formazione
progettazione
Persone in mobilità e fasce svantaggiate
Disoccupati iscritti nelle liste del collocamento
mirato
accoglienza
consulenza
accompagnamento
incontro domanda e offerta
ricerca attiva
formazione individuale e in piccoli gruppi
mediazione culturale
inserimento lavorativo
indennità
accompagnamento
formazione finalizzata alla acquisizione di
una qualifica e percorsi di riqualificazione
Servizi di accoglienza, consulenza, accompagnamento, autoimprenditorialità
Servizi di accoglienza, consulenza, accompagnamento, formazione
- accoglienza
- formazione
- inserimento
- indennità
Servizi di accoglienza accompagnamento,
consulenza, inserimento, indennità
Fonte: “Piano provinciale per lo sviluppo delle politiche attive del lavoro- Provincia di Como. Anno 2007-2009 (Legge 266/05 art. 1 comma 411 e altri
interventi)”
d) Osservazioni conclusive
Il referente provinciale intervistato rileva due buone prassi caratterizzanti la provincia di Como.
In primo luogo, la concertazione con le parti sociali, che ha una forte tradizione in provincia.
«C’è poi una prassi di buona collaborazione tra gli attori del territorio che si concretizza nel dibattito
costruttivo in Commissione Tripartita per le politiche del lavoro[…] »
Viene poi rilevata l’importanza dell’informazione verso i cittadini, di cui si è fatta carico anche
la Provincia, attraverso il proprio sito internet.
«Da un punto di vista operativo, abbiamo creato sul nostro sito una serie di informazioni che guidano
l’utente e l’azienda sulle novità legate agli ammortizzatori sociali in deroga Sono risultate utili sia le
schede riassuntive sui procedimenti da mettere in atto sia l’aver messo a disposizione degli utenti la
modulistica online. Abbiamo anche pubblicato la corrispondenza fra codici ATECO e codice ATECO
INPS (CNC), in modo che le aziende possano facilmente capire se rientrano nelle categorie che pos-
143
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
sono beneficiare degli ammortizzatori. La procedura ha funzionato bene, perché per noi è stato essenziale creare passaggi chiari che hanno consentito all’ufficio di tenere sotto controllo l’intero
processo»
e) Allegati
Situazione socio-economica
1. Osservatorio Provinciale del Lavoro, Como, maggio 2007
Politiche passive
2. Accordo Co 18.04.05
3. Applicazione protocollo Co 18.04.05
4. Accordo Co 20.02.06
5. Accordo Co 26.09.06
6. Codici Ateco Como
7. Schema mobilità in deroga Como
8. Schema Cigs in deroga Como
9. Trattamento di Cigs e mobilità in deroga alla vigente normativa. Cronologia (in cartaceo)
Politiche attive
10. Piano Provinciale per lo sviluppo delle politiche attive del lavoro (Legge 266/05 art. 1 comma
411 e altri interventi)
11. Progetto Pari Como
Intervista
12. Report intervista a dott. Marco Forni, Settore Politiche del Lavoro, Provincia di Como, realizzata in data 18 gennaio 2008
3.1.4. Cremona
a) La situazione socio-economica
Il mercato del lavoro
La situazione della provincia di Cremona la deduciamo in primis dal periodico “Sies”, che pubblica una doviziosa analisi su popolazione, forze di lavoro e dati in genere della provincia39.
Rispetto al documento originale, abbiamo preferito riportare in nota i dati di confronto con re-
39 Sies, Servizio informativo economico sociale dell’Università cattolica del Sacro Cuore, Provincia di Cremona, Settore Economia,
Istruzione, Formazione Professionale e Lavoro, Periodico in formativo sul mercato del lavoro in provincia di Cremona, n. 6. I dati
provengono dall’Istat, Rilevazione continua sulle forze di lavoro.
144
gione Lombardia e Italia, visto che i provvedimenti oggetto di queste note riguardano espressamente le realtà provinciali e un confronto tra le province appare qui più proficuo dei confronti
relativi regionali e nazionali.
Vediamo dunque i dati dell’occupazione in provincia di Cremona.
La popolazione di 15 anni ed oltre residente nella provincia di Cremona, tra il 2005 ed il 2006,
è passata da 299.000 a 301.000 unità (+0,6%), continuando, sia pure in leggera decelerazione,
un processo di crescita già delineatosi nel corso dell’anno precedente40.
Le forze di lavoro nella provincia di Cremona (date dalla somma degli occupati con le persone
in cerca di occupazione), ovvero l’offerta di lavoro effettiva, tra il 2005 ed il 2006, mostrano un
incremento del 2% (+3.000 unità), dopo che nell’anno precedente erano invece diminuite
dell’1,5% (-2.000 unità). Questa crescita delle forze di lavoro si è accompagnata ad un aumento
del numero sia degli occupati sia dei disoccupati41. Dopo il calo registrato nel 2005, il numero
degli occupati in provincia di Cremona, nel 2006, è cresciuto dell’1,9%, attestandosi a 149.000
unità (64,1%)42. Il tasso di attività degli uomini è stato pari al 76,9%, mentre quello femminile
si è fermato al 56,8%43. Tuttavia, rispetto al 2005, mentre il tasso di attività degli uomini è diminuito, sia pure di due decimi di punto percentuale, la partecipazione delle donne al mercato
del lavoro in provincia di Cremona è leggermente cresciuta (dal 54,3% del 2005 al 56,8% del
2006)44.
Il numero dei disoccupati nella provincia di Cremona, nel corso del 2006, si è attestato intorno
alle 7.000 unità (4,5%) non mostrando variazioni significative in valore assoluto rispetto all’anno precedente (+0,1%)45. Il tasso di disoccupazione è cresciuto marcatamente per la componente maschile (passando dal 2,8% al 3%), mentre si è ridotto per la componente femminile
(6,6% in confronto al 6,9% del 2005)46.
In relazione ai settori di attività economica, gli occupati sono impiegati prevalentemente nel
settore terziario (55,4%, +6,9% rispetto all’anno precedente), il 6,9% degli occupati lavora in
40 Anche in Lombardia, nel confronto tra i due anni, emerge che la popolazione di 15 anni ed oltre è cresciuta (+ 0,8%), attestandosi a 8.134.000 unità.
41 Anche in Lombardia, nel 2006, le forze di lavoro sono cresciute rispetto all’anno precedente, con un incremento dello 0,8%,
passando da 8.071.000 a 8.134.000 unità (+ 63.000).
42 Con un incremento in termini percentuali simile a quello registrato in Lombardia, dove il numero degli occupati è passato da
4.194.000 a 4.273.000 unità (+ 79.000 rispetto all’anno precedente).
43 Analogamente con quanto rilevato sia a livello regionale (78,7% e 59,4%) sia a livello nazionale (74,6% e 50,8%).
44 Continuando a rimanere inferiore a quella regionale (59,4%) ma superiore a quella nazionale (50,8%).
45 In Lombardia, invece, nel 006, i disoccupati sono diminuiti rispetto al 2005, passando da 179.000 a 164.000 unità (- 15.000
unità).
46 In Lombardia, nel 2006, il tasso di disoccupazione è diminuito, attestandosi al 3,7% (in confronto al 4,1% dell’anno precedente).
Nel 2006, il tasso di disoccupazione nella provincia di Cremona risulta, dunque, essere superiore a quello regionale, ma inferiore a
quello nazionale (6,8%).
145
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
agricoltura (+8%)47.; nell’industria, infine, opera il 37,7% degli occupati (-5,6% rispetto all’anno precedente)48.
Nel 2006, l’incidenza percentuale dei lavoratori autonomi sul totale degli occupati è diminuita,
rispetto all’anno precedente, attestandosi al 25,8%, dunque su un livello inferiore a quello registrato nel 2005 (26,5%)49..
Le linee critiche di sviluppo territoriale
A questo punto, inseriamo una serie di considerazioni provenienti da diversi attori economici
produttivi e sociali, che hanno contribuito a stendere un patto territoriale per lo sviluppo di
Cremona, individuando di conseguenza una serie di criticità, che bene si inseriscono nel quadro
della ricostruzione della situazione sociale ed economica della provincia50.
Il settore agro-alimentare
Un primo asse strategico di intervento (asse 1) prende in esame il settore agro-alimentare. Il
sistema si presenta pervaso da molte problematiche differenti, dalla creazione dei distretti
all’integrazione delle filiere, dal tema della sicurezza alimentare a quello della valorizzazione e
promozione sui mercati nazionali e internazionali. In particolare, emergono alcune costanti, a
carattere sia positivo che critico:
• la presenza di una forte specializzazione del territorio cremonese nel settore della nella
trasformazione delle carni e nell’industria lattiero casearia;
• l’andamento positivo del settore agro-alimentare nelle sue diverse componenti;
• la presenza di alcune aziende leader di fama nazionale (Auricchio, Negroni, Leaf Italia);
• l’esistenza di produzioni tipiche di rilevo;
• la specializzazione tecnico-scientifica;
• il problema del ricambio generazionale, accentuato nel settore primario, fattore di indebolimento del sistema agro-alimentare, soprattutto in un’ottica di integrazione delle filiere;
• la presenza di un indotto significativo;
• la creazione di una rete di servizi per il settore: (associazioni, sindacati, contoterzisti, sistema fieristico, associazioni di razza e del sistema allevatoriale)
• la presenza di istituti di ricerca i centri di ricerca biotecnologia - Università Cattolica -, il
Cra di Porcellasco, il sistema delle Fondazioni e delle scuole agrarie)
47 Un dato mediamente superiore a quello nazionale (4,3%) e regionale (1,6%).
48 Una percentuale dunque leggermente più elevata di quella rilevata a livello regionale (37%), ma marcatamente superiore a
quella nazionale (30,1%).
49 Anche in Lombardia, nel 2006, il peso percentuale dei lavoratori autonomi sul totale degli occupati si è (moderatamente) ridotto,
posizionandosi al 24,1%, rispetto al 24,7% dell’anno precedente. L’incidenza dei lavoratori autonomi sul totale degli occupati, in
provincia di Cremona, quindi, si conferma superiore (in media) a quella regionale, ma inferiore a quella nazionale (26,4%).
50 Un accordo per il futuro Il patto per lo sviluppo in provincia di Cremona, Luglio 2007 Per favorire la diffusione e la riflessione
collettiva sulle scelte del Patto è attivo il sito web www.pattoperlosviluppo.cr.it
146
• le iniziative fieristiche di alto livello fieristiche (Fiera internazionale del bovino da latte), di
ricerca e studio (confronti tecnico-scientifici internazionali, confronto europeo della razza
frisona nel 2008
• la promozione dei marchi e delle produzioni.
Il settore Innovazione, ricerca e formazione (Asse strategico 2) e Rafforzamento e valorizzazione
del sistema produttivo Asse strategico 6
Accorpati gli assi 2 e 6, che coinvolgono rapporti divenuti reciprocamente indispensabili per la
tenuta e lo sviluppo della “filiera della conoscenza” e del “sistema produttivo” del territorio, ne
risulta un quadro generale e strategico, che indica in questi assi momenti di assoluta primazia
per il territorio cremonese, pena la perdita delle possibilità di crescita dei pochi settori altamente specializzati, e anche la sopravvivenza di alcuni settori (maturi) già protagonisti della
storia economica locale e nazionale, sempre più minacciati dalla comparsa di nuovi competitor.
Le azioni previste sono:
• incentivazione di azioni sistemiche per il sostegno all’ internazionalizzazione delle imprese,
in un’ottica di apertura del sistema e di individuazione di nuove traiettorie di sviluppo settoriale,
• favorire lo sviluppo di forme di aggregazione imprenditoriale in relazione a specifici progetti
e di incrementare, anche in termini qualitativi, i servizi alle imprese,
• il migliorare le strutture locali, quali l’Agenzia territoriale di sviluppo e la Fiera, chiamate a
ricoprire una ruolo più attivo nel sistema economico cremonese.
I punti di forza individuati risiedono sostanzialmente in un sistema economico produttivo basato
su un’ imprenditorialità diffusa, oltre che su una spiccata vocazione all’attività artigiana che,
al contempo, non preclude od ostacola la presenza di alcune importanti aziende di medie dimensioni.
I punti di debolezza sono invece rintracciabili in una debole intraprendenza e in una scarsa
apertura all’innovazione e ai mercati internazionali, insieme all’assenza di un tessuto produttivo
caratterizzato dalla prevalenza di imprese strutturate.
Il settore Sviluppo energia rinnovabile (Asse strategico 3)
L’uso razionale dell’energia appare uno degli obiettivi di maggior rilievo per una provincia come
quella di Cremona, a vocazione agricola e con importanti obiettivi e priorità verso l’ambiente.
Se è vero che l’agricoltura ha un ruolo prevalente nell’economia provinciale, a essa va affiancato, senza alcun dubbio, un piano che ne mantenga l’efficienza da un lato e l’efficacia dall’altro: negli obiettivi di efficacia quelli ambientali sono tra i più rilevanti. Un uso razionale
147
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
dell’energia rientra quindi negli obiettivi di sviluppo del territorio e si configura come un asse
su cui giocare buona parte del futuro produttivo della provincia. I principali punti di questo
obiettivo sono:
• nuove politiche energetiche e l’importanza di fattori quali il risparmio energetico
• ricorso a fonti energetiche locali rinnovabili ed ecocompatibili
• il perseguimento di uno sviluppo economico sostenibile in un’ ottica di attrazione di risorse
dai fondi di finanziamento nazionali e internazionali,
• incentivare progetti integrati sia per lo sviluppo di tecnologie innovative che consentano un
risparmio energetico sia per l’incremento della capacità di autoapprovvigionamento.
Tra i punti di forza di questo obiettivo rileviamo la specializzazione del settore primario e un
buon indice di intensità energetica, mentre tra quelli di debolezza la contenuta diffusione di
pratiche volte al risparmio energetico nonché l’elevato deficit elettrico di cui soffre il territorio.
Il settore Welfare e integrazione sociale (Asse strategico 4)
Dal “Patto” citato ricaviamo una serie di informazioni relative al settore del welfare e dell’integrazione sociale.
«L’asse “Welfare e integrazione sociale” concerne una pluralità di azioni volte al sostegno delle
fasce deboli della popolazione in un’ottica di coesione territoriale e superamento della “tripolarità” che tradizionalmente accompagna la provincia di Cremona, in cui è ancora molto sentita
la divisione nelle tre aree di Cremona, Crema e Casalmaggiore. L’asse pone l’accento sul ruolo
del “privato sociale” nella costruzione di politiche sociali, sull’integrazione socio-sanitaria e
socio-assistenziale, sulla gestione delle strutture socioassistenziali, aspetti particolarmente
rilevanti per un territorio che si connota per un tasso di crescita molto contenuto e un tasso di
vecchiaia molto elevato. Anche l’attenzione a nuove forme di inserimento lavorativo per categorie deboli e in difficoltà, allo sviluppo di azioni per il contenimento del precariato e a nuove
politiche abitative rivestono uno spazio importante all’interno dell’asse strategico. La scelta di
tale linea si lega a specifici punti di forza e debolezza, quali, fra i primi, il buon livello della
qualità della vita, la consistente presenza di associazioni di volontariato e promozione sociale,
un buon livello di copertura dei fabbisogni socio-sanitari locali. Mentre emergono debolezze in
termini di elevato tasso di vecchiaia e dinamica demografica stagnante, soprattutto in assenza
di flussi migratori. È possibile evincere un legame anche con le opportunità offerte dai progetti
volti all’immigrazione, da un incremento e razionalizzazione dei flussi migratori, dai servizi di
incentivazione dell’occupazione femminile e da politiche di integrazione degli immigrati nel
mondo del lavoro».
Le idee emergenti da queste analisi sono rivolte al potenziamento di quanto la zona offre in
termini di assistenza e copertura dei più evidenti bisogni sociali: la zona è peraltro ricca e le
associazioni di volontariato sono attive. Da questo, può discendere un orientamento sostanzialmente ottimistico in direzione della risoluzione di questi problemi emergenti.
148
Il settore cultura, turismo e creatività (Asse strategico 5)
La vocazione della provincia non è certamente caratterizzata da questo asse, che pure assume
una sua rilevanza nell’insieme delle iniziative volte a sostenere lo sviluppo di un territorio ricco
come quello cremonese. Dal “Patto” citato ricaviamo una disamina della situazione che bene
riassume i punti di forza e di debolezza di questo asse in provincia di Cremona, come le opportune indicazioni di possibile superamento delle difficoltà e la possibilità di far emergere quanto
di ancora inespresso la provincia contiene.
«Nella scelta di questo asse, gli stakeholders locali hanno dimostrato di riconoscere alla
cultura e al settore turistico il ruolo di risorsa “strategica” per lo sviluppo del territorio.
Obiettivo prioritario è la promozione del patrimonio artistico, storico, paesaggistico e culturale in una prospettiva di potenziamento dei sistemi di promozione e costruzione dell’”offerta”
turistica. Diversi gli elementi di forza del sistema, tra cui si individuano un contenuto fenomeno di abusivismo edilizio, che non ha intaccato le caratteristiche paesaggistiche tipiche
dell’area cremonese, la presenza di monumenti e di “emergenze” di carattere storico-artistico
(es. Villa Obizza, Podere Molino, Ex Convento Santa Monica, Villa Zanetti di San Lorenzo
Aroldo, etc.) e una buona dotazione di strutture culturali e ricreative affiancate da una fitta
programmazione di eventi e manifestazioni culturali. Pur in presenza di risorse paesaggistico-culturali di una certa rilevanza, appaiono ancora faticosi i percorsi di integrazione e
messa in rete delle stesse, il che ne può limitare le potenzialità e portare ad un indebolimento
della immagine complessiva del territorio. Attualmente, infatti, l’offerta turistica e culturale
cremonese si compone di iniziative non sempre integrate tra loro e, sostanzialmente, rivolte
ad un pubblico locale. Tra i punti di debolezza si segnala anche la ridotta percentuale di aree
protette a fronte, invece, di una buona disponibilità di aree verdi. Pur non disponendo di una
vocazione turistica immediatamente percepibile, il contesto provinciale cremonese è inserito,
con altre province lombarde, nel più grande sistema turistico nazionale - “Po di Lombardia”
e, come detto, può contare su un patrimonio paesaggistico, storico, artistico e culturale di
pregio».
Infrastrutture materiali e immateriali (Asse strategico 7)
In questo asse ritroviamo una specie di sintesi delle dotazioni complessive che un territorio
dovrebbe avere in merito alla sua struttura viaria e di comunicazione, determinandone al contempo, come ovvio, il livello di competitività rispetto ad altre zone o territori, regionali e nazionali. Sempre dal documento citato, riportiamo alcune considerazioni generali su questo asse:
«La determinazione del livello di competitività e di attrattività di un’area, per i sistemi delle
famiglie e delle imprese, richiede un’adeguata dotazione di infrastrutture fisiche, economiche
e sociali. L’asse si propone pertanto di migliorare la connessione sul territorio, sia in termini di
fattori fisici-infrastrutturali sia in termini di reti per la comunicazione immateriale a servizio
delle imprese e dei cittadini. Gli attori locali hanno avvertito la necessità di superare un certo
isolamento che ha connotato il territorio cremonese nei decenni scorsi e contestualmente di
149
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
salvaguardare la qualità ambientale dello stesso eliminando quelle “strozzature” che oggi rendono disagevole vivere e operare in provincia. Si reputa necessario agire favorendo le iniziative
per l’intermodalità, incentivando le alleanze fra territori e fra enti per la costruzione delle “grandi
opere”, seguendo criteri di mobilità sostenibile nella progettazione e incentivando la realizzazione di reti per la comunicazione immateriale (banda larga). A questo asse strategico sono
connessi diversi punti di debolezza, in particolare una dotazione infrastrutturale ritenuta dagli
attori locali inadeguata al sostegno e alla crescita dello sviluppo provinciale, un ridotto utilizzo
del trasposto pubblico, che può contare su mezzi a minor impatto ambientale, una posizione
geografica isolata rispetto alle grandi direttrici della viabilità e diversi fenomeni di inquinamento atmosferico da particolato fine e da ozono troposferico».
«Un intervento di questa portata consentirebbe una maggiore efficacia del sistema idroviario
padano veneto, aumenterebbe l’appetibilità transportistica delle navigazione interna italiana e
rafforzerebbe il ruolo del porto di Cremona che risulta già essere il più attrezzato porto interno
italiano, nonché il porto lombardo che movimenta la maggior quantità di merci. La sistemazione
a corrente libera sarebbe realizzata costruendo nell’alveo di magra del fiume un canale regolato,
senza ostacolare lo stesso fiume nelle sue tendenze fisiche naturali. L’intervento descritto potrebbe rappresentare, qualora vi siano i necessari accordi, il primo step di un percorso concertato che, mediante un adeguata regimazione del fiume, permetterebbe uno sviluppo del trasporto
intermodale, con una sensibile riduzione del trasporto su strada, ormai a livelli di saturazione,
con importanti vantaggi ambientali dettati dalla rilevante riduzione di emissioni a parità di
merce trasportata».
Nuovi rapporti fra pubblica amministrazione, cittadini e imprese (Asse strategico 8)
Nessuna azione tra quelle descritte può avvenire se non vi è collaborazione tra tutte le parti
potenzialmente interessate.
«L’ultimo asse strategico riguarda i “nuovi rapporti tra P.A., cittadini e imprese” e si pone
l’obiettivo di rafforzare la governance locale nella gestione dei processi complessi e dei progetti
territoriali integrati, favorire sinergie fra enti, progettare forme più efficaci nell’erogazione dei
servizi da parte della Pubblica Amministrazione, ottimizzare l’accesso all’informazione pubblica, garantire la trasparenza del processo amministrativo e migliorare la qualità delle prestazioni della P.A. anche attraverso una maggiore diffusione dell’e-government. L’asse ha una
natura trasversale rispetto a quelli individuati in precedenza ed è legato soprattutto alle opportunità relative ad un maggior ricorso ai fondi europei, alla creazione di servizi che facilitino
l’occupazione femminile e al rilancio e valorizzazione dell’Agenzia territoriale di sviluppo».
Il settore artigiano
Di seguito si presentano i dati relativi alle imprese artigiane presenti in provincia di Cremona.
150
TABELLA 27. Dati di sintesi relativi alle imprese registrate al Registro delle Imprese al 31.12.
Lombardia e Provincia di Cremona. Anno 2007 (valori assoluti e percentuali).
CREMONA
LOMBARDIA
PESO % CREMONA/
LOMBARDIA
28.427
809.144
3,51
10.208
271.016
3,77
35,91
33,49
Totale imprese
Di cui artigiane
Peso artigiane/totale
Fonte: Infocamere
TABELLA 28. Principali sezioni di attività economica delle imprese artigiane al 31.12. Provincia
di Cremona. Anno 2007 (Valori assoluti; ordine decrescente).
IMPRESE REGISTRATE
Costruzioni
Attivita’ manifatturiere
Altri servizi pubblici,sociali e personali
Trasporti,magazzinaggio e comunicaz.
Comm.ingr.e dett.;rip.beni pers.e per la casa
Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca
Agricoltura,caccia e silvicoltura
Istruzione
Alberghi e ristoranti
Imprese non classificate
Estrazione di minerali
Intermediaz.monetaria e finanziaria
Sanita’ e altri servizi sociali
Prod.e distrib.energ.elettr.,gas e acqua
Pesca,piscicoltura e servizi connessi
Serv.domestici presso famiglie e conv.
Totale
IMPRESE ISCRITTE
IMPRESE
CESSATE
V.A.
%
V.A.
V.A.
4.475
2.785
1.034
757
601
328
184
19
10
7
6
2
0
0
0
0
10.208
44
27
10
7
6
3
2
0
0
0
0
0
0
0
0
0
100
790
199
59
36
21
52
15
1
0
10
0
0
0
0
0
0
1.183
379
186
0
51
52
37
21
1
2
58
0
2
0
0
1
0
790
Fonte: Infocamere
b) Le politiche passive
Gli accordi
In generale, la provincia di Cremona può contare su risorse limitate, essendo stata fra le ultime
province ad aderire agli ammortizzatori sociali in deroga (insieme a Lodi, Lecco e Sondrio):
l’accordo è stato firmato il 27 giugno 2006 e ha trovato poi attuazione il 25 ottobre dello stesso
151
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
anno e prevedeva la destinazione di un milione e mezzo di euro per cassa integrazione guadagni
e mobilità a favore dei dipendenti delle imprese artigiane, industriali e cooperative fino a 15
dipendenti, e delle imprese industriali e cooperative con un numero di dipendenti compreso tra
i 15 e i 25 addetti rientranti nei settori tessile, metalmeccanico, cartotecnico e grafico51.
«Abbiamo ricevuto i disavanzi che hanno tolto dalle altre province e la Regione ha distribuito alle
ultime […] Abbiamo previsto nell’ammortizzatore in deroga 6 mesi per la CIGS, 7 mesi sulla mobilità
per gli under 50, e 10 mesi per gli over 50. La prassi precedente era quella di rivolgersi ai fondi
dell’ente bilaterale. La mia idea è che avendo a disposizione queste risorse, si possa utilizzarle in
modo da rendere un vantaggio al lavoratore in difficoltà: 1.500.000 di euro non sono pochi per una
provincia come quella di Cremona»
Alcune riflessioni provenienti dagli esperti intervistati in Provincia in merito agli accordi mostrano una certa fatica nel mettere a punto tutte le strategie necessarie a loro buon funzionamento.
«Per quanto riguarda la gestione degli ammortizzatori sociali in deroga, è stato davvero faticoso
mettere in piedi tutta l’impalcatura. Ci sono stati diversi incontri preliminari con le Parti Sociali, si è
predisposto un vademecum operativo pubblicato online, e l’ufficio della Provincia è sempre stato a
disposizione per ogni informazione. Lo strumento ha avuto grande difficoltà in fase di start up a causa
di una mancanza di adeguata e corretta comunicazione»
È anche da sottolineare come, osservando la provincia, non vi sia una vera emergenza di tipo
occupazionale e quindi come non vi sia stato un interesse elevato per gli accordi stessi.
«Se osserviamo il tessuto economico e produttivo della provincia di Cremona, emerge una serie di
riflessioni che chiarificano il motivo, pur senza giustificarlo, di questa situazione. Nella provincia di
Cremona attualmente non esiste e non è mai esistita una vera e propria crisi economica e strutturale
che coinvolgesse interi comparti produttivi»
Per superare le difficoltà evidenziate, il successivo accordo del 19 aprile 2007 ha esteso l’utilizzo
degli ammortizzatori sociali in deroga a tutto il comparto manifatturiero, del commercio e ad
altri settori economici e in data 26 luglio 2007, al fine di consentire l’ottimale utilizzo delle risorse residue, è stato sottoscritto un ulteriore accordo territoriale con il quale si è disposto di
definire un unico fondo utile ad ammettere alternativamente e fino all’esaurimento dello stesso
istanze di mobilità e Cigs in deroga, secondo un criterio cronologico di presentazione.
51 Le parole tra virgolette si riferiscono alle risposte date dalla dott. ssa Tenca, del Servizio Lavoro della Provincia di Cremona,
intervistata in data 8 novembre 2007.
152
«Con lo strumento degli ammortizzatori sociali in deroga sono state incluse le imprese artigiane a
prescindere dal limite numerico di lavoratori, abbiamo introdotto le imprese industriali da 15 dipendenti fino a 25 e abbiamo esteso al comparto del commercio e al manifatturiero. Questo perché con
l’iniziale estensione al solo comparto tessile e metalmeccanico le risorse a disposizione sarebbero
state usate solo in minima parte»
Il ruolo delle parti sociali e istituzionali
Le Parti sociali e istituzionali firmatarie l’accordo del 25 ottobre 2006 sono le seguenti:
• Il presidente della Provincia di Cremona,
• L’assessore al lavoro e occupazione-orientamento e formazione professionale
• L’assessore alle attività produttive e alle crisi aziendali della provincia di Cremona
• La direzione provinciale del lavoro di Cremona
• La sede provinciale Inps
• Italia lavoro s.p.a
• L’associazione industriali della provincia di Cremona
• L’associazione piccole e medie imprese della provincia di Cremona (Api)
• L’associazione artigiani della provincia di Cremona
• La confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa della provincia
di Cremona (Cna)
• La libera associazione artigiani di Crema
• L’associazione autonoma artigiani cremaschi
• Per la libera associazione agricoltori cremonesi
• Per la Federazione provinciale coltivatori diretti
• La Confcooperative – Unione provinciale di Cremona
• La Lega cooperative e mutue – comitato territoriale di Cremona
• L’associazione costruttori ance Cremona
• Organizzazioni sindacali territoriali dei lavoratori:
• Cgil
• Cisl
• Uil
• Agenzia regionale per il lavoro della Lombardia (supporto tecnico)
Sono dunque presenti e interessate all’accordo Parti sociali eterogenee, da quelle istituzionali
a quelle imprenditoriali, insieme a quelle dei rappresentanti dei lavoratori.
Il rischio, in una provincia con un mercato del lavoro vivace, come quella di Cremona, è che il
coinvolgimento delle Parti si risolva nella firma dell’accordo, senza proseguire poi con l’informazione, il coinvolgimento e il supporto alle aziende e ai lavoratori interessati.
«Dal punto di vista teorico, la concertazione è un metodo importante e che può creare valore aggiunto.
Se concertazione significa l’apposizione di una firma fine a se stessa su un documento, allora la
153
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
concertazione non ha alcun valore. La concertazione deve essere un continuo scambio, anche di criticità. Manca in questo caso particolare il confronto vero con le Parti sociali, tant’è che nel momento
in cui si propone da parte della Provincia qualche iniziativa, non c’è mai stato un gesto di opposizione, di critica, di esigenza migliorativa. Certo non può essere che l’ufficio della Provincia produca
sempre iniziative assolutamente condivisibili da tutti. Nelle ultime due esperienze progettuali (metalmeccanico e tessile), un elemento di punteggio in sede di gara erano le dichiarazioni di disponibilità da parte delle Parti sociali a collaborare con il soggetto terzo nella realizzazione del progetto
stesso. Nell’occasione degli incontri di monitoraggio, si è presentata una sola parte sociale, mentre
totale disinteresse è stato manifestato da tutte le altre. […] Le parti sociali sono abituate a gestire
situazioni molto ristrette e diversificate tra loro senza ragionare in un’ottica di sistema: lo stesso
concetto di CIGS è quasi estraneo alla cultura locale, ed è stata utilizzata pochissimo. La Provincia è
giusto che svolga un lavoro di sollecitazione nei confronti delle Parti sociali, ma dall’altra parte non
c’è mai un’eguale partecipazione e interesse nei confronti delle nostre iniziative. A parte qualche
rappresentante che si è impegnato a diffondere l’idea di questo nuovo strumento, in generale il clima
è di “apatia”. Da circa un anno però stiamo procedendo, tanto che ci stanno arrivando delle richieste.
Abbiamo cercato di far capire alle Parti e ai lavoratori che questa è un’ottima opportunità offerta»
Questa difficoltà nei rapporti tra le istituzioni e le parti sociali ha determinato il fallimento di
progetti che, nelle intenzioni, avrebbero potuto favorire la prevenzione di situazioni di crisi
aziendali.
«Circa tre anni fa è stato sottoscritto un protocollo di intesa finalizzato alla prevenzione ed eventuale
gestione delle crisi aziendali, sottoscritto da tutte le Parti sociali ad esclusione dell’Associazione
Industriali. Lo scopo era quello di ottenere in anticipo dalle Parti sociali segnalazioni di eventuali
situazioni critiche in determinati comparti produttivi, in modo che anche la Provincia potesse intervenire con gli strumenti di cui dispone. Non è mai stata ricevuta alcuna comunicazione dalle Parti
sociali stesse: spesso la Provincia viene ad apprendere di notizie di crisi aziendali dai giornali locali»
Le procedure
Un buon rapporto tra la Provincia e le altre istituzioni permette di espletare in tempi rapidi le
procedure necessarie per l’erogazione degli ammortizzatori.
«Negli esami congiunti per gli ammortizzatori sociali, il progetto operativo (Vademecum) prevede il
coinvolgimento diretto di Inps e Dpl, in modo che vi sia un passaggio immediato di informazioni finalizzato a rendere più fluido il passaggio di informazioni e quindi una maggiore velocizzazione
dell’approvazione delle delibere. C’è stato un “taglio” della burocrazia, in una settimana, massimo
10 giorni la Dpl decreta»
154
I dati i monitoraggio
La situazione relativa alle richieste di Cigs e mobilità in deroga rilevata al 31/08/2007 è la
seguente:
• Cigs: 12 aziende richiedenti di cui 7 appartenenti al settore metalmeccanico e 5 al settore
tessile, per un totale di 52 lavoratori, di cui 35 donne e 17 uomini. La somma impegnata è
di ` 317.103,73 a fronte di `1.200.000 disponibili
• Mobilità: 28 richieste di cui 5 dal settore tessile, 22 dal settore metalmeccanico, 1 dal
cartotecnico, per un totale di 20 donne e 8 uomini. La somma impegnata è di `254.585,74
a fronte di `300.000 disponibili.
La referente provinciale intervistata conferma le difficoltà nell’utilizzo delle risorse a disposizione:
«Ora abbiamo circa 30 istanze tra CIGS e mobilità per un impegno di spesa di 800.000 euro. Avanzano 700.000 euro, non poco quindi»
c) Le politiche attive
La Provincia di Cremona si presenta come un’istituzione attenta alle politiche del lavoro in senso
proprio, attenendosi alle normative e proponendo quindi una serie di iniziative che si accordino
con queste.
«Il ruolo della Provincia nelle politiche del lavoro discende dalla normativa, è un ruolo istituzionale e
ha assunto una forma più concreta e operativa da quando il vecchio collocamento si è trasformato
in Centro per l’Impiego, con un’attività finalizzata alla ricollocazione dei lavoratori. La Provincia è
destinataria di diverse risorse economiche, mirate alla realizzazione di progetti di placement, ricollocazione e orientamento. La sede in cui si progetta è la Provincia, e a seconda delle varie forme normative, viene emesso un bando o un dispositivo. Nelle nostre progettazioni abbiamo sempre previsto
che il Centro per l’Impiego assumesse un ruolo di affiancamento all’ente terzo. La Provincia fornisce
agli enti erogatori l’elenco dei lavoratori che riteniamo potenzialmente interessati ad interventi di
politica attiva. Nei nostri progetti indichiamo sempre che tutte le attività del soggetto terzo aggiudicatario si svolgeranno presso i nostri centri (accoglienza, orientamento, incontro domanda offerta) e
viene sempre nominato un referente della Provincia per i progetti, in modo che ci sia coordinamento
con l’operatore della società aggiudicataria»
I progetti realizzati
Dal 2004 al 2006 la provincia di Cremona ha acquisito risorse per quasi cinque milioni di euro
per realizzare una serie di interventi a favore sia delle fasce deboli del mercato del lavoro che
dei soggetti disabili.
Il Piano Provinciale per le Politiche del lavoro 2004/2006 ha programmato l’attivazione di quattro progetti, per un finanziamento totale di ` 319.000, con risorse a valere sul Fondo Nazionale
per l’Occupazione.
155
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TABELLA 29. Piano Provinciale Pal 2004/2006
DESCRIZIONE PROGETTI
DURATA
TIPOLOGIA AZIONI
N. TOTALE
SOGGETTI
TIPOLOGIA SOGGETTI
COINVOLTI
COSTO
INTERVENTI
A.LA.MO. 40 Accompagnamento al lavoro di lavoratori/
lavoratrici in mobilità
9 mesi
Orientamento, accompagnamento e
inserimento lavorativo assistito
110
Lavoratori/lavoratrici
ultraquarantenni iscritti/e
in lista di mobilità ex lege
n. 223/91 e n.2 36/93
` 192.600
OR.S.A. 3
Orientamento e formazione,
sostegno e accompagnamento per la realizzazione di
tirocini formativi finalizzati
all’inserimento lavorativo di
persone disabili
10 mesi
Accoglienza e definizione di un percorso individuale di sostegno all’inserimento lavorativo
Accompagnamento e svolgimento di
tirocini formativi finalizzati al successivo impiego
30
Persone disabili iscritte
nell’elenco di cui all’art.8
della legge 68/99 con
priorità per disoccupati/
inoccupati da oltre 12/24
mesi
` 100.000
Sicurezza sui luoghi di lavoro
2/3 mesi
Organizzazione di un corso (articolato
in 4 moduli) rivolto a personale avente
già una base di conoscenza delle tematiche della sicurezza nei luoghi di
lavoro
40
Rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza
(RLS) delle aziende
appartenenti ai settori
metalmeccanico, edilizio e
agro-alimentare
` 10.000
5 mesi
Individuazione, accompagnamento
e inserimento in aziende del bacino
cremonese di lavoratori di nazionalità
ungherese autorizzati a soggiornare in
Italia per motivi di formazione
10
Lavoratori di nazionalità
ungherese
` 16.400
Progetto Ungheria
Fonte: Piano Provinciale Pal 2004/2006
Inoltre, sono stati realizzati i seguenti progetti, finanziati con risorse a valere sul capitolo 908
del bilancio regionale:
• Progetto Ricolloca, per il reimpiego di lavoratori/lavoratrici provenienti dal settore metalmeccanico in Cigs o in mobilità ai sensi della L.223/91; azioni previste: informazione
orientativa, bilancio di competenze, inserimento e accompagnamento lavorativo (n. minimo
50 lavoratori/lavoratrici);
• Progetto FILO, finalizzato al reinserimento di lavoratori collocati in lista di mobilità ai sensi
della legge 236/93 e legge 223/91 o in Cigs, provenienti da aziende tessili in crisi e/o
aziende che hanno cessato l’attività; azioni previste: accoglienza e informazione orientativa,
bilancio di competenze, tirocinio formativo finalizzato al successivo inserimento lavorativo
(finanziamento pari a ` 138.900; n. minimo destinatari 60).
• Progetto “Fai centro” per il reinserimento lavorativo di persone che hanno terminato il periodi di permanenza in lista di mobilità ex lege 223/91 e 236/93 provenienti prioritariamente
dai settori tessile, metalmeccanico, grafico e cartotecnico. Adesione su base volontaria, con
modalità a sportello. È stato previsto il coinvolgimento minimo di 65 persone. Azioni previ-
156
ste: supporto alla ricerca attiva del lavoro, bilancio di competenze professionale, accompagnamento all’inserimento lavorativo, tutoraggio all’inserimento lavorativo (finanziamento
pari a ` 150.000)
Tra i programmi di politica attiva realizzati in Provincia di Cremona, si segnala poi il Programma
d’Azione per il Re-Impiego di lavoratori svantaggiati (P.A.R.I.), approvato in data 17 ottobre
2005, finanziato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e promosso d’intesa con la
Regione Lombardia e con l’assistenza tecnica di Italia Lavoro S.p.A.
L’obiettivo del Programma P.A.R.I. è quello di favorire il reimpiego di lavoratori svantaggiati
attraverso la realizzazione di azioni in grado di integrare le politiche attive del lavoro, politiche
di sostegno al reddito e politiche di sviluppo locale.
Il Programma si rivolge direttamente alle imprese con interventi ed incentivi finalizzati all’assunzione di lavoratori destinatari dell’intervento. Sono stati previsti contributi ed incentivi per
un importo complessivo di 226.753,81 Euro, così ripartiti:
• 77.753,81 euro per i contributi all’inserimento lavorativo
• 149.000 euro per le doti formative.
I destinatari previsti sono:
• 47 lavoratori provenienti da aziende in Cigs e mobilità in deroga
• n. 30 lavoratori ultraquarantenni iscritti alle liste di mobilità non indennizzata, ai sensi della
legge 236/93, privi di indennità o sussidi legati allo stato di disoccupazione
• n. 72 persone disoccupate iscritte ai CPI da almeno 12 mesi.
Il programma riconosce alle imprese che procedono all’assunzione il seguente sistema di convenienze:
a) 30 incentivi una tantum del valore di ` 2.591,79 (lorde) per l’assunzione con contratto a
tempo indeterminato pari o superiore a 30 ore settimanali di lavoratori/trici over 40 iscritti
alle liste di mobilità non indennizzata (ex lege 236/93), e non percettori di indennità o sussidio legato allo stato di disoccupazione o in occupazione.
b) attribuzione di 149 doti formative del valore massimo di ` 1.000 (lordi) per tutti i lavoratori
in Cigs e mobilità in deroga.
Le aziende possono identificare direttamente i lavoratori da assumere usufruendo dei vantaggi
previsti dal programma P.A.R.I., o usufruire del servizio di preselezione offerto dai Centri per
l’Impiego del territorio.
Di seguito, vengono riassunti i principali risultati dei progetti. Si segnala la difficoltà di coinvolgimento dei lavoratori, dovuta a:
• difficoltà da parte del lavoratore nell’elaborazione del “lutto” (perdita del posto di lavoro)
• paura del cambiamento
• ritrosia a spostamenti superiori a 20 km
• difficoltà a lavorare su turni
• assenza di patente di guida e mezzo disponibile, conoscenze informatiche scarse o assenti,
poca specializzazione e professionalità non al passo con i tempi
157
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
• assistenza ai genitori anziani, ai figli in età scolare, problemi di salute che di fatto vincolano
l’accettazione di alcuni lavori
• rapporti di lavoro in essere
Su questa problematica ci soffermeremo nelle osservazioni conclusive.
TABELLA 30. Risultati dei progetti di politica attiva del lavoro
PROGETTO
DATA DI
CONCLUSIONE
INTERVENTI REALIZZATI
ESITI
A.LA.MO. 40 Accompagna31 ottobre 2006
mento al lavoro di lavoratori/
lavoratrici in mobilità
690 aziende contattate, 130 lavo- 83 lavoratori collocati (pari al 64%): 65 a t det.,
ratori aderenti al progetto (di cui 13 a t indet., 3 contratti a progetto, 2 attività
69% donne e 31% uomini)
autonoma.
40 colloqui rifiutati
36 opportunità di lavoro rifiutate
OR.S.A. 3
Orientamento e formazione,
sostegno e accompagnamento per la realizzazione di
tirocini formativi finalizzati
all’inserimento lavorativo di
persone disabili
31 ottobre 2006
30 (su 30 previsti)
2005: 12 tirocini effettuati e 6assunzioni a TD max
1 anno.
2006: 18 tirocini effettuati e 10 assunzioni a TD
max 1 anno.
Ricolloca
30 aprile 2006
94 lavoratori/lavoratrici coinvolti:
35 donne e 59 uomini, di cui il
70% in mobilità e 30% in Cigs.
350 aziende contattate, invio di
320 cv e realizzazione di 85 colloqui di lavoro presso le aziende e
130 presso società interinali.
Sono stati ricollocati 63 lavoratori (1 in più del
previsto): 44 uomini e 19 donne; 45 in mobilità e 18
in cigs; 44 contratto a t det. inferiore a 6 mesi, 17
superiore a 6 mesi, 2 contratti a t indet.
FILO
Stato avanzamento al
31/08/2007 (iniziato il 1 ottobre
2006)
Numero di ricollocati: 14
Contattate 208 persone. 145
rifiuti e 63 adesioni
Avviati: 6 attività di gruppo (7
ritiri), 47 bilanci di competenze
(45 conclusi), 10 tirocini.
Aziende contattate: 41 (18 hanno
aderito al progetto).
Fai Centro
Non ancora
attivato al
31/08/2007
Pari
Avanzamento al
31/08/2007
Contattate 379 aziende. Lavoratori che hanno aderito al
programma: 17 in mobilità, 61
disoccupati da oltre 12 mesi, 17
Cigs in deroga
10 aziende hanno aderito all’iniziativa, sono state
concretizzate 7 assunzioni.
Fonte: Progetto n. 3.06: Elaborazione piano provinciale dei servizi all’impiego e per l’attuazione di politiche attive e passive del lavoro (L.R. 22/2006)
– Obiettivi di progetto e risultati attesi
158
I progetti in avvio
Sulle politiche attive in senso stretto, la provincia dispone di un progetto di piano per il biennio
2007-2009. Per la realizzazione del programma sono state assegnate alla Provincia di Cremona
risorse pari a `375.000. Il piano è stato strutturato in due macro-interventi.
Il primo, volto a favorire l’inserimento e/o il reinserimento in azienda di lavoratori/lavoratrici
disoccupati/e e inoccupati/e attraverso il riconoscimento alle aziende stesse di un incentivo
economico. Il programma coinvolgerà prioritariamente i seguenti target:
• lavoratori/lavoratrici destinatari/destinatarie degli accordi relativi agli ammortizzatori in
deroga previsti dalla legge n.266/2005 art. 1 commi 410 e 411;
• lavoratori/lavoratrici ultracinquantenni privi/e di occupazione;
• donne che desiderano riprendere un’attività lavorativa dopo un’assenza dal lavoro di almeno
24 mesi determinata dalla difficoltà di conciliare vita lavorativa e familiare;
• qualsiasi persona adulta, in stato di disoccupazione, che viva da sola con uno o più figli a
carico.
Il secondo macro-intervento è finalizzato a contenere e prevenire situazioni di esubero di personale occupato presso enti e strutture appartenenti al comparto socio-assistenziale in conclamato stato di crisi e non destinatari di alcun ammortizzatore sociale, attraverso il finanziamento
di specifici percorsi di riqualificazione rivolti ai lavoratori a forte rischio di disoccupazione.
Tutte le iniziative previste daranno strutturate tenendo conto dello strumento della dote, che
verrà assegnata all’utente solo successivamente alla predisposizione da parte del soggetto
accreditato (pubblico o privato) del Piano di Intervento Personalizzato (PIP).
Inoltre, la Provincia ha a disposizione altri 312.321,37 euro destinati alla formazione continua
(L.236)
«e anche su questo non abbiamo ricevuto linee guida da parte della Regione: non sappiamo se anche
queste risorse vanno pensate come “doti”».
La Provincia non ha attivato se non in misura minima gli aspetti comunicazionali relativi a
questa partita, poiché appare in costruzione il sito dedicato, all’interno del portale provinciale,
proprio alle politiche attive.
d) Osservazioni conclusive
Dall’analisi delle politiche del lavoro attivate in provincia di Cremona, emergono alcune osservazioni di interesse generale. In primo luogo, si rileva una difficoltà nel coinvolgimento dei lavoratori alle proposte finalizzate al ricollocamento occupazionale.
«Si è visto che nei progetti di ricollocazione, il lavoratore fa fatica ad aderire alle iniziative di politica
attiva, perché attende la fine del sussidio: c’è un supporto economico che consente anche al lavoratore di svolgere un’attività in nero, con il risultato che ad un mese dalla scadenza della mobilità, il
lavoratore è alla ricerca disperata di una ricollocazione»
159
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Per superare queste difficoltà, il referente provinciale intervistato ipotizza l’introduzione di meccanismi sanzionatori che permettano di vincolare l’erogazione degli ammortizzatori sociali alla
partecipazione ai percorsi di politica attiva.
«Occorre introdurre la leva della sanzione: io l’avrei già applicata in modo serio ed incisivo. Le risorse
messe a disposizione sono risorse pubbliche e in quanto tali, sono di tutti. Come ente locale, dobbiamo fare i conti con certe situazioni politiche. Abbiamo recentemente avuto un report su un progetto
legato al tessile (Progetto FILO): per avere 60 adesioni, sono state contattati quasi 300 lavoratori.
Occorre introdurre l’obbligatorietà di: decreto, sanzione, cause giustificative, raggruppate in un
elenco specifico, al di fuori del quale non ci sono deroghe. Nel caso del progetto FILO la parte predominate dei lavoratori coinvolti era composta da donne, e pur potendo intuire le motivazioni che
spingono a non accettare percorsi di riqualificazione per dedicare tempo ai figli o alla famiglia percependo un sussidio, è tuttavia da notare che una situazione analoga si è verificata in progetti dedicati ai metalmeccanici (progetto RICOLLOCA), dove il rapporto fra i sessi è del tutto invertito.
Quest’ultimo ha prodotto una ricollazione pari al 100%, però per reclutare 61 lavoratori ne sono stati
sentiti 500. Le cifre parlano da sé»
Inoltre, viene segnalata l’esigenza di una regia regionale, affiancata da analisi del mercato del
lavoro locale, che permettano di intervenire in modo mirato rispetto alle esigenze del territorio.
«Anche gli ammortizzatori sociali in deroga, che pur hanno una funzione eccellente, devono essere
letti nella maniera giusta. L’impressione che queste risorse arrivino a pioggia, senza un vero e proprio
approfondimento della necessità concreta espressa dai tessuti economici locali. Occorre mettere in
campo degli osservatori seri, in modo che le risorse siano proporzionate all’effettivo fabbisogno territoriale»
Per far fronte a queste necessità si avanza un’ipotesi di riforma complessiva del sistema delle
politiche del lavoro.
«Ritengo che gli ammortizzatori debbano essere completamente rinnovati e non più visti in chiave
assistenziale. Sono anni che si parla di riforma […] Immagino un ammortizzatore sociale uguale per
tutti a stipendio pieno della durata massima di 6 mesi. In questi mesi il lavoratore è obbligato ad
aderire a tutte le iniziative di politiche attive e trovarsi un lavoro, che rispetti le prerogative presenti
nella norma. Se si fanno trascorre tre anni (quella della mobilità), ci si accorge che il mercato del
lavoro cambia e fatica a riassorbire lavoratore fuoriuscito, il quale nel frattempo perde la forma
mentis e le competenze importanti per la sua occupabilità»
160
e) Allegati
Situazione socio-economica
1. Sies News numero 6 (Periodico informativo sul mercato del lavoro in Provincia di Cremona)
2. Un accordo per il futuro (Il patto per lo sviluppo in Provincia di Cremona)
Politiche passive
3. Accordo Cr 27.06.06
4. Accordo Cr 25.10.06 di attuazione del protocollo del 27.06.06
5. Accordo Cr 19.04.07
6. Codici Ateco Cr
Politiche attive
7. Programma Pari Avviso alle imprese
8. Piano Provinciale per le Politiche Attive del Lavoro 2004/2006 (in formato cartaceo)
9. Verbale di riunione della Commissione Unica Provinciale per le Politiche del lavoro, 24 gennaio 2007 (in formato cartaceo)
10. Verbale di riunione della Commissione Unica Provinciale per le Politiche del lavoro, 24 maggio 2007 (in formato cartaceo)
11. Rilevazione PEG al 31 ottobre 2006 (in formato cartaceo)
12. Rilevazione PEG al 29 giugno 2007 (in formato cartaceo)
13. Progetto n. 3.06: Elaborazione piano provinciale dei servizi all’impiego e per l’attuazione di
politiche attive e passive del lavoro (L.R. 22/2006) – Obiettivi di progetto e risultati attesi
(in formato cartaceo)
Intervista
14. Report intervista dott.ssa Tenca, Servizio Lavoro della Provincia di Cremona, 8 novembre
2007.
3.1.5. Lecco
a) La situazione socio-economica
Come per altre realtà territoriali provinciali, prendiamo spunto dal Rapporto Unioncamere52, presentato nell’ambito della giornata dell’economia lecchese del 10 maggio 2007, per analizzare alcuni dati
che danno di Lecco la situazione economica e sociale negli ultimi anni.
La provincia di Lecco, dopo una fase di difficoltà economica, presenta alcuni segnali di ripresa legati
ad una nuova crescita del sistema manifatturiero locale, che ha compensato l’andamento incerto del
terziario e delle costruzioni, dopo anni in cui tali settori hanno registrato performance positive.
52 Osservatorio economico provinciale - Rapporto 2006 sull’economia lecchese.
161
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Lecco è la provincia italiana a più alta vocazione manifatturiera in termini di percentuale del
valore aggiunto prodotto, grazie al distretto della meccanica di Lecco e alle numerose concentrazioni di imprese, in particolar modo nell’area meridionale della provincia, più vicino, quindi,
alle principali realtà industriali e terziarie della regione e alle arterie autostradali.
Relativamente però alla produzione di ricchezza, si registra una crescita del Pil (+ 4,3% tra il
2003 e il 2005 in termini correnti) inferiore alla media nazionale, caratterizzata da una più alta
riduzione del valore aggiunto prodotto dall’agricoltura (-7,7% a fronte del -5,6% in Italia) e, in
particolare, da una crescita contenuta del terziario (+5,4% rispetto a +6,5% in Italia).
Contrariamente a quanto si registra in Italia, nella provincia di Lecco è, come detto, l’industria
a trainare nell’ultimo anno la ripresa economica, grazie alle numerose imprese orientate all’innovazione e alla specializzazione produttiva, con un aumento del valore aggiunto prodotto tra il
2003 e il 2005 del 6,1% (a fronte del +2,7% nazionale).
Per quanto riguarda il tessuto produttivo, invece, Lecco presenta nel 2006 un tasso di crescita
imprenditoriale (+1,4%) superiore alla media nazionale (+0,9%), seguendo un andamento di
maggiore crescita in atto da diversi anni.
L’economia lecchese
L’interscambio commerciale in provincia dà segni positivi, e l’intera economia conosce una fase
positiva, con il processo di graduale ristrutturazione del sistema produttivo provinciale in atto
da alcuni anni. Un ulteriore indicatore del miglioramento della situazione economica è rappresentato anche dalla riduzione delle sofferenze bancarie (-22,3%), espressione di una crescente
solvibilità del sistema.
Alcune criticità si rilevano, invece, nel settore turistico, che nel 2005 ha registrato una riduzione
delle presenze particolarmente sostenuta (-9,3%), evidenziando una certa difficoltà del sistema
locale nel trattenere i suoi visitatori. In ritardo, rispetto alla media nazionale, è la dotazione
infrastrutturale della provincia, in particolare in relazione alla rete stradale e alle strutture per
l’istruzione, notoriamente aspetti di prima rilevanza.
Nonostante la fase di ripresa economica, la presenza di una buona vitalità del sistema imprenditoriale e la elevata partecipazione della popolazione ai processi produttivi, il territorio presenta
un lieve ritardo nella produzione di ricchezza rispetto alla media regionale. Gli indicatori relativi
al reddito pro-capite evidenziano, infatti, nella provincia di Lecco la presenza di valori più
contenuti (25 mila euro a Lecco a fronte dei 30 mila in Lombardia), a dimostrazione di una
minore capacità del sistema locale di produrre valore aggiunto rispetto ad altre realtà regionali.
La struttura industriale
La struttura industriale di Lecco è basata sui distretti: tra questi, il distretto della meccanica,
che interessa 28 comuni della provincia lecchese e 12 delle province circostanti, specializzato
nella lavorazione del filo, dei laminati piatti e della billetta. All’interno del distretto sono presenti
162
anche le industrie che costruiscono le macchine, gli impianti, i componenti e le automazioni
funzionali al processo produttivo, un fattore che determina una costante diffusione delle conoscenze tecnologiche tra le imprese. La fabbricazione e la lavorazione di prodotti in metallo è
concentrata in attività produttive che vanno dalla fucinatura e trattamento del metallo alla
fabbricazione di strutture metalliche e di altri prodotti, quali utensileria, serrature, viti e bulloni.
Va ricordato, infine, il distretto tessile di Lecco che si estende su sette comuni della provincia
lecchese e due di quella comasca, specializzato nella produzione di tessuti d’arredamento (nell’area viene prodotta oltre la metà del totale italiano) e di stoffe e materiali per interni d’auto.
La produzione va dal velluto al jacquard, con una specializzazione sull’alta gamma attestata
anche dall’elevato tasso di esportazioni verso mercati “esigenti” quali U.S.A., Germania e Gran
Bretagna, e le imprese sono spesso integrate fra loro grazie a contratti di subfornitura e comakership. I due distretti presentano, in linea con l’intera provincia, una elevata propensione
all’export, evidenziando una capacità di competitività non solo sul mercato nazionale ma anche
estero.
Più contenuto è il peso dell’altro comparto industriale, le costruzioni, che contribuisce per il
4,9% alla produzione di ricchezza dell’intera provincia, ma riveste in alcune aree un ruolo molto
importante in particolar modo per l’indotto ad esso collegato.
Nonostante l’elevata vocazione industriale e manifatturiera del territorio, sono i servizi a rappresentare il principale settore economico per produzione di ricchezza, un aspetto tipico delle
realtà ad economia avanzata. I servizi, infatti, contribuiscono per il 57,6% alla produzione di
ricchezza dell’intero sistema economico, un dato comunque contenuto rispetto alla media regionale (64,9%) e soprattutto nazionale (70,9%). All’interno del terziario vanno annoverate
diverse tipologie di servizi rivolti alla persona e alle imprese, di tipo sia tradizionale che innovativo, necessari per supportare il sistema economico-produttivo locale.
L’agricoltura, infine, presenta un peso decisamente contenuto, contribuendo solo per lo 0,5%
alla produzione di ricchezza del territorio, uno dei valori più bassi d’Italia, a conferma della limitata vocazione agricola dell’area.
La Provincia di Lecco presenta una struttura produttiva composta da un fitto tessuto di piccole
e medie imprese, diffuse su larga parte del territorio provinciale, ma con alcune concentrazioni
geografiche e settoriali; in termini complessivi, sono presenti quasi 24 mila imprese attive, pari
a 7,3 ogni 100 abitanti, un dato inferiore alla media regionale (8,5) e nazionale (8,8), e riconducibile alla più grande dimensione media delle aziende (4,6 addetti per unità locale a fronte
dei 4,1 in Italia).
Nel complesso l’industria lecchese è costituita da circa 10 mila imprese attive, con quasi 5 mila
aziende manifatturiere (pari al 20,3% dell’intero tessuto economico) e oltre 4 mila di costruzioni
(17,8%); all’interno del manifatturiero, circa la metà delle imprese è impegnata nella produzione e lavorazione del metallo, confermando il ruolo centrale di questo comparto per l’economia
provinciale. Sono presenti, inoltre, numerose imprese attive nella produzione di macchinari e
163
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
apparecchiature elettriche, elettroniche e ottiche, a riprova dell’elevata diffusione di know how
nel settore manifatturiero, e quasi 400 imprese tessili e di confezionamento localizzate a Lecco
e in Brianza.
Relativamente al terziario, si rileva la presenza di circa 14 mila imprese, delle quali quasi 6 mila
impegnate nel commercio (24,7%), divenuto ormai in Italia il principale comparto per numerosità imprenditoriale. Molto elevato è anche il numero di imprese nel settore delle attività immobiliari, noleggio, informatica e ricerca (oltre 3600, pari al 15,1% del tessuto economico
provinciale), un fattore molto importante per il ruolo che queste possono avere nel supportare il
sistema economico nel processo di crescita. Si contano, inoltre, 1.219 strutture ricettive tra
alberghi e ristoranti, oltre 1000 attività nei servizi pubblici, sociali e personali, e 851 aziende di
trasporto, magazzinaggio e comunicazione.
Infine, l’agricoltura è rappresentata da poco più di 1.200 imprese, in prevalenza di piccole e
piccolissime dimensioni.
Import-export
Il settore della meccanica, con il 76,7% delle esportazioni, è quello che in maggior misura
contribuisce all’export del territorio lecchese; in particolare sono i metalli e i prodotti in metallo
(41,1%) a costituire la principale voce delle esportazioni provinciali, seguiti dalle macchine e
dagli apparecchi meccanici (20,1%), valori riconducibili principalmente al forte peso della
meccanica. Seguono le macchine elettriche, elettroniche e ottiche (8,9%) e i prodotti dell’industria tessile (8,6%), tra i quali spiccano le produzioni realizzate nel distretto lecchese specializzato nei tessuti d’arredamento, stoffe e materiali per interni d’auto.
Rispetto al 2005 aumentano le esportazioni nei due principali comparti del manifatturiero, la
meccanica e il tessile, evidenziando il buono stato di salute che attraversano questi due settori;
positivo è anche l’andamento dell’export in altri comparti dell’industria, come in quello alimentare.
Il mercato del lavoro
Come a livello nazionale, anche a Lecco la situazione occupazionale ha registrato nel corso del
2006 un miglioramento, con un aumento dei lavoratori impegnati pari al 2%. Il settore manifatturiero ha trainato nell’ultimo anno la crescita dell’occupazione che, nella provincia, è risultata particolarmente sostenuta, con il relativo tasso passato tra il 2004 e il 2006 dal 64,7% al
66,6%, una variazione che le ha consentito di recuperare il ritardo precedentemente accumulato
rispetto al resto della regione. Il terziario, invece, assorbe a Lecco solo il 50,2% degli occupati,
un dato decisamente inferiore alla media regionale (61,3%) e soprattutto nazionale (65,6%).
Marginale è, come più volte ribadito, il peso dell’agricoltura nella provincia (1,4% degli occupati), come sull’intero territorio regionale (1,6%), a conferma della limitata vocazione per il
settore primario rispetto ad altre aree del Paese.
All’interno del territorio permangono, però, forti differenze di genere, con la componente femmi-
164
nile che risulta particolarmente penalizzata: il tasso di occupazione maschile (77,7%) supera,
infatti, quello femminile (55%) di oltre 22 punti percentuali e l’indice di disoccupazione relativo
delle donne (5%) è due volte e mezzo quello degli uomini (2%). Inoltre, nell’ultimo anno si è
registrata una riduzione degli occupati nel terziario, evidenziando la fase di difficoltà che attraversa il settore dopo aver presentato per anni un andamento favorevole.
La situazione economica del lecchese sopra presentata descrive una realtà non tanto problematica in termini di occupazione, quanto piuttosto piena di possibilità di aggiustamenti interni
all’occupazione stessa. Si pensi alle potenzialità insite nella componente femminile delle forze
di lavoro, che ancora non esprime tutto il suo potenziale, o alle nuove ipotesi di sviluppo in
agricoltura o nei settori che man mano occupano un numero di addetti sempre minore, ma che
mantengono significato e pregnanza per il territorio in cui sono nate. La vocazione industriale
di Lecco non deve far dimenticare come siano ormai ovunque i servizi a trainare maggiore occupazione e quindi come vadano sostenute sia le attività che si avviano al tramonto – magari
predisponendo nicchie di conservazione del patrimonio culturale che le aveva generate – sia le
attività nuove, in termini di innovazione e di nuovi mercati.
Il settore artigiano
Di seguito si presentano i dati relativi alle imprese artigiane presenti in provincia di Lecco.
TABELLA 31. Dati di sintesi relativi alle imprese registrate al Registro delle Imprese al 31.12.
Lombardia e Provincia di Lecco. Anno 2007 (valori assoluti e percentuali).
LECCO
LOMBARDIA
PESO % LECCO/LOMBARDIA
24.042
809.144
2,97
Di cui artigiane
9.644
271.016
3,56
Peso artigiane/totale
40,11
33,49
Totale imprese
Fonte: Infocamere
TABELLA 32. Principali sezioni di attività economica delle imprese artigiane al 31.12. Provincia
di Lecco. Anno 2007 (Valori assoluti; ordine decrescente).
IMPRESE REGISTRATE
Costruzioni
Attivita’ manifatturiere
Altri servizi pubblici,sociali e personali
Comm.ingr.e dett.;rip.beni pers.e per la casa
Trasporti,magazzinaggio e comunicaz.
IMPRESE ISCRITTE
IMPRESE
CESSATE
V.A.
%
V.A.
V.A.
3.769
3.202
806
640
574
39
33
8
7
6
398
192
50
13
29
274
222
0
38
48
165
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca
Agricoltura,caccia e silvicoltura
Alberghi e ristoranti
Imprese non classificate
Sanita’ e altri servizi sociali
Istruzione
Intermediaz.monetaria e finanziaria
Prod.e distrib.energ.elettr.,gas e acqua
Estrazione di minerali
Pesca,piscicoltura e servizi connessi
Serv.domestici presso famiglie e conv.
Totale
506
116
12
5
5
3
3
2
1
0
0
9.644
5
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
100
56
21
0
3
0
0
0
0
0
0
0
762
50
7
2
51
1
0
2
0
0
0
0
695
Fonte: Infocamere
b) Le politiche passive
Gli accordi
La Provincia ha sottoscritto l’accordo sugli ammortizzatori sociali in deroga il 27 giugno 2006
a Roma, alla presenza del sottosegretario Rosa Rinaldi e delle altre seguenti componenti:
• Agenzia regionale per il lavoro della Lombardia
• Provincia di Lecco
• Api Lecco
• Confartigianato Upal Lecco
• Cisl Lecco
• Cgil Lecco
• Uil Lecco
• Inps nazionale
• Italia Lavoro
I settori di presa in carico sono quelli tessile e metalmeccanico, che costituiscono, come detto,
i principali distretti del territorio. Le risorse dedicate sono state pari a 1.500.000 euro.
Il ruolo delle parti sociali e istituzionali
Il funzionario provinciale intervistato53 rileva una scarsa partecipazione delle parti sociali nella
promozione e nella gestione delle politiche del lavoro.
I dati di monitoraggio
La Provincia di Lecco ha fornito il seguente monitoraggio degli ammortizzatori in deroga, riferito
53 Dott. Giuseppe Scaccabarozzi, dirigente Settore Politiche per l’impiego, intervista telefonica realizzata in data 11 ottobre
2007.
166
al periodo agosto 2006-dicembre 2007 e aggiornato al 5/10/2007.
TABELLA 33. Monitoraggio ammortizzatori in deroga (al 5 ottobre 2007)
Impegno di spesa
Lavoratori
Aziende coinvolte
Residuo ancora disponibile
MOBILITÀ IN DEROGA
CIGS IN DEROGA
Euro 945.119,55
117
103
euro 469.417,45
76
18
Euro 85.463,00
Fonte: Provincia di Lecco
c) Le politiche attive
I progetti realizzati
Il finanziamento a favore della Provincia di Lecco attraverso il Fondo Nazionale per l’occupazione
è stato di ` 282.600. Gran parte delle azioni sono state affidate alla Società Lecco Lavoro s.r.l.,
società a totale partecipazione provinciale e soggetta ad attività di vigilanza e controllo da parte
della Provincia. Il Progetto ha permesso di conseguire rilevanti risultati sulle seguenti azioni.
Reinserimento al lavoro di soggetti in difficoltà occupazionale over 40 (con contributi alle
aziende per l’assunzione di lavoratori over 40)
• L’inclusione al lavoro delle fasce deboli/disagiate
• Inclusione femminile e pari opportunità (azione sperimentale per la conciliazione dei tempi
della vita lavorativa e professionale + azioni di informazione e consulenza orientativa e
tutoraggio all’inserimento/reinserimento lavorativo)
• Azioni promozionali per una migliore cultura del lavoro (azioni informative)
• Mobilità geografica (preselezione e supporto alle aziende nella definizione delle modalità di
gestione degli aspetti amministrativi connessi all’assunzione dei lavoratori provenienti da
altri Paesi; supporto ai lavoratori nella ricerca attiva del lavoro)
• Potenziamento attività di incontro domanda/offerta di lavoro.
I progetti in avvio
Di seguito si sintetizzano i principali progetti di politica attiva in avvio in provincia di Lecco.
1. La provincia di Lecco ha presentato il Piano Provinciale Esecutivo per le politiche attive del
lavoro (Programma di reimpiego ex. Art. 1 comma 411 della legge n.266/2005).
L’obiettivo è quello di promuovere e raggiungere l’occupazione dei soggetti beneficiari attraverso
un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata non inferiore ai
12 mesi.
Alla Provincia di Lecco spetta un finanziamento di euro 375.000 per interventi di politiche attive
del lavoro e programmi di reimpiego dei lavoratori interessati. Tale somma verrà ripartita tra
167
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
politiche attive del lavoro (` 350.000,00) e attività di assistenza tecnica, monitoraggio e valutazione (` 25.000,00).
Il Programma Provinciale si rivolge ad almeno 100 soggetti espulsi dal mercato del lavoro con
le seguenti caratteristiche:
lavoratori ai sensi della L. 266/2005 (percettori ammortizzatori in deroga)
lavoratori in Cigs e Mobilità ordinaria
disoccupati ai sensi del D. Lgs. 297/2003 (disoccupati di lunga durata e donne in reinserimento lavoro over 40) non percettori di alcun tipo di indennità.
I beneficiari dovranno essere almeno per il 50% donne. Il Programma si rivolge per il 50% ad
utenti coinvolti in crisi aziendali (Cigs e mobilità in deroga o ordinaria) e per il restante 50% ai
disoccupati ai sensi del D. Lgs. 297/2003.
2. Programma P.A.R.I.:
La Provincia di Lecco, in collaborazione con la Regione Lombardia e con l’assistenza tecnica di
Italia Lavoro, promuove sul territorio il Programma PARI – Programma d’Azione per il Re-Impiego
di lavoratori svantaggiati - promosso e finanziato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza
Sociale e finalizzato all’inserimento occupazionale di lavoratori iscritti alle liste della mobilità
non indennizzata ai sensi della Legge 236/93, privi di indennità o sussidi legati allo stato di
disoccupazione e che non stiano svolgendo alcuna attività lavorativa. A tal fine, sono previsti a
favore delle imprese incentivi finalizzati all’assunzione a tempo indeterminato delle suddette
categorie di lavoratori.
Il Programma prevede, inoltre, a cura dei Centri per l’Impiego una serie di servizi alle imprese
consistenti in:
• ricerca, preselezione e selezione del personale
• consulenza alle imprese sul sistema di convenienze
Sono destinate all’azione complessivamente ` 56.905,54 per l’erogazione degli incentivi all’assunzione: ` 3.500 lorde per ogni persona assunta a tempo indeterminato (pari o superiore a 30
ore settimanali) con età superiore a 50 anni, iscritta alle liste di mobilità non indennizzata ai
sensi dell’art.4 della legge 236/93, priva di qualsiasi indennità o sussidio legato allo stato di
disoccupazione e che non stia svolgendo alcuna attività lavorativa; `2.500 lorde per ogni
persona assunta a tempo indeterminato (pari o superiore a 30 ore settimanali) con età compresa tra i 40 e i 50 anni iscritta alle liste di mobilità non indennizzata ai sensi dell’art.4 della
Legge 236/93, priva di qualsiasi indennità o sussidio legato allo stato di disoccupazione e che
non stia svolgendo alcuna attività lavorativa. Nel caso di contratto di assunzione indeterminato
inferiore alle 30 ore settimanali, il contributo sarà corrisposto in misura proporzionalmente ridotto al numero di ore.
3. Piani formativi ex lege 236/93
La realizzazione del Programma Provinciale della L. 236/93 prevede due linee di azione: percorsi
168
formativi individuali nella modalità dell’offerta a catalogo e percorsi formativi di gruppo all’interno di progetti aziendali o settoriali o territoriali concordati con le parti Sociali presentati a
sportello.
La Regione Lombardia ha assegnato alla Provincia di Lecco 288.170,00 euro. La Commissione
Provinciale Unica ha stabilito di ripartire il finanziamento tra le due azioni nella misura di ¼ e
¾: ` 72.000,00 per i percorsi individuali; ` 216.170,00 per i percorsi di gruppo.
I Percorsi formativi individuali verranno assegnati nella modalità a voucher ai lavoratori che
avranno formalmente aderito presso i Centri per l’Impiego ad un percorso di reimpiego ed
avranno la funzione di consentire un percorso flessibile e modularizzato di adeguamento delle
competenze, in raccordo con lo specifico progetto individuale di reinserimento lavorativo.
Il voucher formativo, del valore massimo di 1.000 euro lorde, potrà essere utilizzato dal lavoratore per percorsi formativi presenti nel Catalogo Provinciale dell’Offerta Formativa L. 236/93,
organizzati da Enti accreditati aventi sedi operative in provincia di Lecco.
La Provincia pubblicherà un avviso rivolto agli Enti accreditati SF3 presso la Regione Lombardia, con sede/i operativa/e nel territorio provinciale, per la presentazione di proposte concernenti
attività di formazione rivolte a destinatari del presente Programma. Le proposte formative dovranno fare riferimento alle seguenti aree e settori professionali:
• Amministrazione e Contabilità
• Informatica
• Servizi alla persona e socio-sanitari
• Competenze linguistiche
• Processi aziendali di settore
Le proposte considerate ammissibili andranno a costituire il Catalogo Provinciale e saranno a
disposizione dei lavoratori che ne faranno richiesta presso i Centri per l’Impiego provinciali.
I Percorsi formativi di gruppo aziendali o settoriali potranno rientrare in Piani Aziendali e/o
Settoriali e/o Territoriali concordati con le Parti Sociali e presentati da Enti accreditati SF3
presso la Regione Lombardia, con sede/i operativa/e nel territorio della provincia di Lecco. La
Provincia pubblicherà un avviso rivolto agli Enti accreditati SF3 per la presentazione di candidature finalizzate alla realizzazione di percorsi formativi di questa tipologia. Gli Enti che intendono candidarsi dovranno possedere oltre all’accreditamento SF3 i seguenti requisiti:
• significative esperienze nella gestione di percorsi di reinserimento lavorativo di per-
sone
• coinvolte in processi di crisi aziendale;
• significative esperienze nella gestione di percorsi formativi aziendali, realizzati
anche in accordo con le parti Sociali;
d) Osservazioni conclusive
Lecco si caratterizza per la dinamicità del mercato del lavoro locale, che permette di ridurre
l’impatto occupazionale delle crisi aziendali. D’altro canto, le risorse a messe a disposizione
169
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
della provincia, soprattutto per gli ammortizzatori in deroga, sono poco significative e, si ritiene,
congruenti rispetto alle esigenze del territorio. Sul versante delle politiche attive, la provincia di
Lecco ha esternalizzato larga parte delle politiche attive del lavoro alla Società Lecco Lavoro
s.r.l.
e) Allegati
Situazione socio-economica
1. Camera di Commercio di Lecco, 5° giornata dell’economia, 10 maggio 2007.
Politiche passive
2. Accordo lc 27.06.06
3. Codici Ateco Lc
4. Prospetto ammortizzatori in deroga (al 25.10.07)
Politiche attive
5. Relazione finale Fno
6. Piano esecutivo 411
7. Piano esecutivo 236
8. Pari avviso alle imprese
Intervista
9. Report intervista telefonica dott. Giuseppe Scaccabarozzi, dirigente Settore Politiche per
l’impiego, 11 ottobre 2007.
3.1.6. Lodi
a) La situazione socio-economica
L’Istituto Taglicarne ha recentemente pubblicato le stime riferite agli indicatori di ricchezza con
dettaglio provinciale, in particolare il Pil (totale e procapite) aggiornato al 2007 e il Valore Aggiunto (totale e per settore di attività economica) aggiornato al 2006, nel contempo l’Istituto ha
effettuato una revisione delle stime pubblicate lo scorso anno per il 2004 e 2005, come è consuetudine fare con questo tipo di dati. Prendiamo spunto da questo rapporto per le stime che
qui proponiamo.
Nel 2007 il Pil totale in provincia di Lodi si è attestato intorno ai 6 mila milioni di euro (5.978
milioni), facendo rilevare un incremento del 5,5% sul dato del 2006 Si tratta una variazione
importante, anche se inferiore a quella registrata l’anno precedente (+6,6%). Va comunque
considerato che dal 2004 il Pil lodigiano è aumentato del 12,9%, una delle variazioni più elevate
della regione: Lodi è preceduta solo da Bergamo (16,8%), Cremona (13,1%) e Sondrio (13,0%).
Il Pil provinciale contribuisce alla creazione della ricchezza della regione nella misura del 1,9%:
170
si tratta di una delle incidenze più basse (che si colloca tra l’1,6% di Sondrio e il 2,8% di Lecco)
sulla quale influisce la vicinanza all’area milanese che, da sola, apporta quasi il 50% della
ricchezza lombarda (e che a sua volta contribuisce per un buon 21% alla creazione della ricchezza nazionale).
La stima del Pil pro-capite, risultante pari a 27.631 euro, posiziona la provincia lodigiana in 36a
posizione nella graduatoria nazionale e all’ottavo posto nella classifica regionale. Lodi ha quindi
guadagnato ben 7 posizioni rispetto al 2006, dimostrando, insieme a Cremona (+7) e Sondrio
(+6), di reagire e recuperare rispetto a una situazione meno favorevole. Le variazioni temporali
tra un anno e l’altro dimostrano infatti una crescita del 4,22% dal 2006 al 2007, a cui si aggiunge un +5,08% tra il 2005 ed il 2006.
Ciò conferma, quindi, il riscatto rispetto al periodo tra 2004 e 2005, quando si era registrata
una perdita dell’1,25%. Il Pil pro-capite di Lodi, pur rimanendo «lontano» dai valori stimati per
Milano (39.442 euro) e per la Lombardia (33.635 euro), rimane comunque superiore al dato
nazionale (25.921).
L’andamento dell’economia lodigiana e i settori produttivi
Oltre il 60% del valore aggiunto del Lodigiano è prodotto dal settore dei servizi, una percentuale
in progressiva crescita rispetto al 59,0% del 2004. Di notevole importanza il settore dell’industria che contribuisce per il 35,6% alla creazione del valore aggiunto provinciale, una percentuale che diminuisce il suo peso rispetto al 2005 e al 2004. In parte, il valore è attribuibile al
comparto manifatturiero (il 27,5%) per una fetta meno consistente alle costruzioni (8,1%, incidenza in calo rispetto al 2005, ma in aumento rispetto al 2004).
Nonostante, come ovunque in regione, l’industria perda di peso relativo, si rileva un incremento
negli ultimi due anni considerati del +4,9%, in entrambe le componenti (manifattura e costruzioni), in contrasto con la variazione in negativo rilevabile tra 2005 e 2004, sulla quale aveva
inciso in misura negativa il settore manifatturiero. L’agricoltura ha un peso relativo del 3,6%
(nel 2004 l’incidenza era pari al 4,5%).
Per quanto riguarda la ricchezza prodotta dalla singola impresa, per il 2006 questo valore risulta essere pari a 329,31 migliaia di euro. Le aziende lodigiane sono quinte nella graduatoria
lombarda, che vede Milano capolista con 383,87 mila di euro e Pavia in coda con 265,58 mila
euro. Il dato medio regionale, pari a 342,14, risulta superiore alla media nazionale di 255,64
mila euro. Il dato di Lodi è aumentato nell’ultimo anno considerato del 3,3%, recuperando la
perdita rilevata tra il 2004 ed il 2005. Tale variazione è superiore alla media regionale (2,1%)
e nazionale (2,2%).
Dalle parole di Enrico Perotti, presidente della Camera di commercio di Lodi, sappiamo che:
«In un momento in cui sembrerebbe prospettarsi al Paese un allarmante mix di inflazione, bassi
consumi e bassa crescita, le stime elaborate sul Prodotto interno lordo del Lodigiano traducono
l’immagine di un manifatturiero locale che ha riacquistato slancio e di un tendenziale ampliamento
171
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
territoriale del mercato delle nostre imprese, segnalato dall’andamento del commercio con l’estero.
Il quadro dei risultati complessivi costituisce un antidoto alle manifestazioni di pessimismo e di
rassegnazione […] senza tuttavia escludere gli elementi di preoccupazione per un 2008 che si affaccia nuovamente problematico a seguito dell’evoluzione sfavorevole e dalle incertezze sulla durata
e sull’entità della ripresa […] Nell’attuale contesto, la strada per la competitività parte dalla capacità di creare, con l’intervento anche delle istituzioni pubbliche, un circolo virtuoso tra sistema delle
imprese, sistema della ricerca, sistema finanziario e politiche di sostegno, in una coesistenza di
approcci diversi rispetto a quelli tradizionali […] Lo stesso auspicato adeguamento dei salari e delle
pensioni, ridando vigore ai consumi, può favorire il superamento degli attuali ritmi imposti dal mercato»
La performance54 del sistema economico lodigiano appaiono dunque in grande misura rassicuranti e i dati più recenti dimostrano che l’economia locale lodigiana è stata capace di difendersi
bene, anche nei momenti di congiuntura più sfavorevoli. Sembra chiuso un periodo di recessione
che ha colpito in modo piuttosto pesante l’economia nazionale. Sembra infatti che la crisi che
ha colpito il Paese negli ultimi anni sia stata meno sentita a Lodi, circoscritta a un periodo più
breve, tra il 2004 e il 2005: solo in questo periodo i dati congiunturali della produzione lodigiana
hanno dato indicazione di una vera e propria fase recessiva, mentre prima e in particolare nel
periodo 2003-2004, proprio quando l’economia nazionale (e regionale) mostravano maggiore
sofferenza, Lodi ha mantenuto un trend di crescita più costante e livelli dell’indice congiunturale di oltre un punto più elevati rispetto a quelli lombardi. L’inversione di tendenza nei ritmi
produttivi è avvenuta già nel quarto trimestre 2005, con un rapido allineamento ai livelli medi
regionali, e con un andamento di continua e significativa crescita che è proseguito sino ad oggi
(l’indice della produzione industriale con base 100=2000 si attesta a 102 nel 4° trimestre 2005
e arriva quasi a 106,5 nel 3° trimestre 2007)55.
Andamento delle imprese ed esportazioni
Il grado di propensione all’esportazione (esportazioni su valore aggiunto prodotto) è passato dal
12,7% del 1998 al 22,3% attuale (fine 2007) e il grado di apertura ai mercati esteri è quasi
raddoppiato, passando dal 28 al 53%.
Nel frattempo, si sono intensificati gli scambi proprio con i Paesi più competitivi. Negli ultimi
cinque anni, il peso dell’Asia sul totale dell’export lodigiano è passato dal 5 all’8% e quello
54 Dal documento di presentazione della XIV edizione del premio “Fedeltà al Lavoro e al Progresso Economico”, Lodi, 2.12.2007. Il
Premio costituisce una vetrina di valore dei protagonisti del sistema economico provinciale e delle sue risorse aziendali e umane,
acquisite e tramandate nel tempo.
55 È opportuno sottolineare questo fattore dell’allineamento rapido ai livelli regionali, perché nel passato il lodigiano si qualificava
per subire con significativo ritardo i momenti di rallentamento congiunturale, tendendo a beneficiare con altrettanto ritardo delle
fasi di ripresa: questi dati sembrano invece smentire questo comportamento, per cui si poterebbe leggervi un rafforzamento del
sistema produttivo locale, più allineato alle dinamiche regionali.
172
dell’Est Europa dal 2 al 5%, mentre i tradizionali partner dell’Unione Europea hanno subito una
perdita di incidenza di dieci punti, dall’80 al 70%.
Nel breve periodo, si sono registrate variazioni tendenziali dei valori esportati di riguardo, sia
nel 2005 che nel 2006 (rispettivamente +14% e + 15,5% nel 2006), promettendo bene anche
per il 2007 (+8% sul primo semestre dell’anno).
Si è rafforzato il tessuto imprenditoriale, sia perché i numeri sono in crescita costante, sia
perché al suo interno si intensifica la presenza delle società di capitali, indicative di una maggiore solidità patrimoniale e organizzativa, sia infine perché si sono sviluppati processi di articolazione settoriale che segnano una decisa tendenza alla terziarizzazione.
Il lodigiano ha sempre vantato una posizione di primo piano nelle classifiche generali per tassi
di natalità delle imprese (vicini o superiori all’8% in tutto il periodo 2000-2006), e grazie a
questo ha conosciuto momenti di forte espansione con tassi di crescita record (in particolare
negli anni 1999 con 2,55% e nel biennio 2004-2005 con quasi il 2,4%). Nel 2006 la variazione
tendenziale del numero di imprese attive è stata del 2,6% (con l’aggiunta di 396 unità rispetto
al 2005) e anche nel 2007 la dinamica promette bene con il +2,2% messo a segno già nei primi
tre trimestri dell’anno. Il settore dei servizi (noleggio, informatica, ricerca, attività immobiliare,
intermediazione finanziaria, trasporti, magazzinaggio, comunicazioni, servizi pubblici, sanitari
e sociali) è tra i principali protagonisti di questa dinamica. Dopo una variazione del 20% registrata negli ultimi sei anni in termini di imprese attive, esso raggiunge un peso sulla compagine
imprenditoriale del 27%, ormai paragonabile a quello del commercio (28%). Queste attività
confermano il loro dinamismo anche nel periodo post-recessione, con un +14% nei dodici mesi
intercorsi fra settembre 2006 e settembre 2007.
Le società di capitali attive sono aumentate del 38% in sei anni (con un picco notevole nel
2001-2002) e oggi hanno un peso nel sistema imprenditoriale pari quasi al 15%, superiore di
circa 4 punti rispetto a quello detenuto nel 2000. Da fine 2006 a oggi questo sottoinsieme si è
ulteriormente arricchito di 92 unità (+4%), raggiungendo quota 2.392.
Problemi aperti e criticità
Problemi tuttavia non mancano: la quota dell’export sul fatturato delle imprese, seppur cresciuta in modo rilevante, rimane molto inferiore a quella registrata a livello regionale (36%
contro il 28% della provincia).
Altri dati di confronto con il contesto regionale mostrano che il ruolo del territorio su alcuni
grandi assets di crescita economica non è affatto proporzionato al peso che il sistema imprenditoriale lodigiano ha sulla Lombardia (1,9%), né a quello detenuto semplicemente dalla popolazione (2,3%). Le stime sul Pil nazionale vengono continuamente rimesse in discussione: si
prevede di passare da un valore assestato sull’1,7-1,8% per fine 2007 ad un 1,3-1,5% per il
2008.
Sono da prevedere dunque alcune correzioni di rotta, nonostante la ripresa possa considerarsi
un dato certo. Le azioni possono essere individuate nelle seguenti:
173
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
• Aumentare la capacità dell’imprenditoria locale di mediare con i grandi movimenti e gli
attori del mercato globale.
• Fare emergere nuove specializzazioni produttive.
• Attivazione di reti di relazioni e alleanze tra operatori di piccole dimensioni, in modo da
aumentarne la capacità di penetrazione dei mercati.
• Sviluppo di reti di acquisto e vendita sempre più allargate.
• Integrazione delle filiere di subfornitura attivate dai big player internazionali.
• Ampliamento dei processi di terziarizzazione, con l’affiancamento di consistenti servizi ai
prodotti, sia nel settore primario che nell’industria.
• Implementazione del ruolo della Camera di Commercio e delle altre istituzioni locali, a supporto delle piccole e medie imprese, per la creazione di aggregazioni e alleanze.
• Sviluppo generale della cultura d’impresa e manageriale.
• Realizzazione del Centro Polivalente di S. Grato, in fase di costruzione, che dovrà essere un
punto di riferimento in grado di facilitare il lavoro degli imprenditori e di creare nuove opportunità economiche e stimolo per la crescita del territorio.
Il mercato del lavoro
Buone performance provengono dal mercato del lavoro lodigiano. Anche su questo fronte, le
esperienze peggiori sono quelle del 2004-2005, quando il tasso di occupazione è calato di quasi
2 punti (dal 64,9 del 2003 al 63% del 2005), dopo un periodo di costante miglioramento, che
durava dal 1998, anno in cui il tasso di occupazione era del 58%.
Anche in questo caso, comunque, il recupero è stato rapido e intenso con un balzo al 67,7%
nell’anno 2006 che, oltre ad essere di quasi 5 punti superiore rispetto a quello dell’anno precedente, si rivela anche di un punto percentuale più elevato di quello medio regionale ed è al secondo posto (preceduto solo da Milano) fra quelli registrati nelle undici province lombarde.
Considerando l’evoluzione della sua composizione interna, si vede come il tasso di occupazione
femminile sia aumentato dal 1998 a oggi di quasi 11 punti (da 44,1% a 54,9%), a testimonianza dell’avvenuta evoluzione sociale e culturale, oltre che economica, del periodo.
Dal 1998 si è inoltre dimezzato il tasso di disoccupazione, che era al 6,3 e ora (2006) è a 3,25
(2,84% uomini contro 4,26% donne).. Con questa performance, la provincia di Lodi passa a
terza provincia nella graduatoria regionale (preceduta di poco solo da Mantova e Lecco: si ricordi
che il tasso regionale è 3,7%).
La discreta vivacità del mercato del lavoro è riscontrabile anche dai 32.407 avviamenti nel 2006
(aumentati rispetto ai 22.447 del 2005) e dalle 16.778 cessazioni nel 2006 (leggermente aumentate rispetto alle 16.596 del 2005). Gli iscritti ai Centri per l’Impiego che hanno dichiarato
l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa ai sensi del d. lgs. 297/02 sono
al 31/12/2006 n° 6.402.
A ciò si aggiungono i segnali positivi emersi dall’indagine previsionale Excelsior, che per il 2007
174
prospettano un aumento delle previsioni di assunzione da parte delle imprese: 2.060 unità
contro una media del triennio precedente di 1.930.
Gli ammortizzatori sociali
In questa sezione viene analizzata la situazione occupazionale in Provincia di Lodi utilizzando i
dati relativi al ricorso alla mobilità.
TABELLA 34. Richieste di mobilità 2005 nella Provincia di Lodi
MESE
CPI LODI
M
F
Gennaio
258
187
Febbraio
277
Marzo
CPI CODOGNO
M
F
M
F
445
168
119
287
426
306
732
197
474
191
127
318
468
324
792
284
199
483
190
126
316
474
325
799
Aprile
275
194
469
187
120
307
462
314
776
Maggio
283
201
484
198
123
321
481
324
805
Giugno
289
205
494
199
125
324
488
330
818
Luglio
283
196
479
199
131
330
482
327
809
Agosto
284
193
477
198
125
323
482
318
800
Settembre
337
211
548
204
130
334
541
341
882
Ottobre
349
228
577
206
132
338
555
360
915
Novembre
346
228
574
203
137
340
549
365
914
Dicembre
345
230
575
196
136
332
541
366
907
300,83
205,75
506,58
194,92
127,58
322,50
495,75
333,33
829,08
Media annuale
TOT
TOTALE
TOT
TOT
Fonte: http://lavoro.provincia.lodi.it/
TABELLA 35. Numero lavoratori iscritti alla mobilità 223/91 e alla 236/93 a dicembre 2005
TIPO MOBILITÀ
M
F
TOT
Mobilità 223/91
425
217
642
Mobilità 236/93
116
149
265
Totale
541
366
907
Fonte: http://lavoro.provincia.lodi.it/
Come per l’analisi precedente è possibile verificare l’impatto delle problematiche predette in
termini di lavoratori coinvolti, analizzando le pratiche di cassa integrazioni guadagni straordinaria attivate in Provincia di Lodi.
175
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TABELLA 36. Aperture Cigs nel 2005
N. AZIENDE COINVOLTE
N. LAVORATORI COINVOLTI
CIGS a pagamento diretto
3
80
CIGS a conguaglio azienda
2
115
TOTALE CIGS
5
195
Fonte: http://lavoro.provincia.lodi.it/
Dal 30/1/2003 il D.Lgs. 297/02 ha abrogato le liste di collocamento. Tutti i lavoratori ricompresi
nella banca dati hanno dovuto quindi rendere l’immediata disponibilità allo svolgimento di
attività lavorativa.
TABELLA 37. Totale iscritti ai Cpi che hanno dichiarato l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa ai sensi del d. lgs n. 181/2000
ANNO
M
F
T
2005
2004
2003
2.510
2.122
2.390
3.696
3.348
3.993
6.206
5.470
6.383
Fonte: http://lavoro.provincia.lodi.it/
Il settore artigiano
A integrazione dell’analisi della situazione socio-economica del Lodigiano, aggiungiamo alcune
considerazioni sull’artigianato, in relazione soprattutto ai servizi che la provincia eroga per il
settore stesso.
Di seguito si presentano i dati relativi alle imprese artigiane presenti in provincia di Lodi.
TABELLA 38. Dati di sintesi relativi alle imprese registrate al Registro delle Imprese al 31.12.
Lombardia e Provincia di Lodi. Anno 2007 (valori assoluti e percentuali).
Totale imprese
Fonte: Infocamere
176
LODI
LOMBARDIA
PESO % LODI/LOMBARDIA
16.125
809.144
1,99
Di cui artigiane
6.262
271.016
2,31
Peso artigiane/totale
38,83
33,49
TABELLA 39. Principali sezioni di attività economica delle imprese artigiane al 31.12. Provincia
di Lodi. Anno 2007 (Valori assoluti; ordine decrescente).
IMPRESE REGISTRATE
IMPRESE ISCRITTE
IMPRESE
CESSATE
V.A.
%
V.A.
V.A.
Costruzioni
3.125
50
529
268
Attività manifatturiere
1.355
22
120
96
Altri servizi pubblici,sociali e personali
578
9
38
0
Trasporti,magazzinaggio e comunicaz.
489
8
35
37
Comm.ingr.e dett.;rip.beni pers.e per la casa
350
6
9
17
Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca
235
4
34
31
Agricoltura,caccia e silvicoltura
114
2
13
7
Imprese non classificate
6
0
1
27
Istruzione
5
0
1
0
Alberghi e ristoranti
2
0
0
2
Sanita’ e altri servizi sociali
1
0
0
0
Intermediaz.monetaria e finanziaria
1
0
0
0
Prod.e distrib.energ.elettr.,gas e acqua
1
0
0
0
Estrazione di minerali
0
0
0
1
Pesca,piscicoltura e servizi connessi
0
0
0
0
Serv.domestici presso famiglie e conv.
0
0
0
1
6.262
100
780
487
Totale
Fonte: Infocamere
I dati56 mostrano come la maggior parte delle aziende del Lodigiano operi al di sotto dei 15 dipendenti e, di queste, la maggioranza è composta da attività artigianali a conduzione familiare.
È dunque un tessuto produttivo in cui gli ammortizzatori sociali in deroga trovano un ampio
campo di applicazione. Rispetto a due o tre anni fa, quando ogni settimana, sfogliando un
qualsiasi quotidiano locale, si poteva leggere di qualche crisi aziendale, in questo momento la
situazione è diversa e la recessione sembra superata anche in questo settore come nell’industria in generale. Nel 2007, per esempio, la provincia ha ricevuto una sola richiesta di cassa
integrazione.
L’artigianato della provincia di Lodi è molto diversificato, quindi non soffre di crisi di comparto.
56 Dott. Francesco Respighi, dott.ssa Elga Zuccotti, Servizio Politiche del Lavoro in Provincia di Lodi, intervistati in data
07/11/2007
177
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
È un tessuto artigianale composto da piccole e piccolissime aziende, come si è detto, che, anche
in momenti di difficoltà, rischiano di espellere dal mercato del lavoro poche persone. Nelle liste
di mobilità della provincia, quindi, ci sono lavoratori che provengono da piccole aziende, ma
derivano principalmente da chiusure in qualche modo fisiologiche, che nel campo dell’artigianato avvengono per motivi vari, come ad esempio la scelta di un figlio che non intende proseguire l’attività del padre. Tutto ciò non denota dunque una situazione di crisi strutturale.
b) Le politiche passive
Il Lodigiano, come si è visto, esce in questi mesi da una crisi di durata biennale che ha visto
l’intervento degli ammortizzatori in deroga come un aiuto alla soluzione dei casi più gravi. I
settori cui destinare gli ammortizzatori non sono stati scelti attraverso procedure particolari,
che restringessero i confini e le aree di intervento. Le criticità del mercato del lavoro erano chiare
a tutti, il territorio è piccolo e la situazione socio-economica e del mercato del lavoro ben conosciuta.
Questo approccio è stato d’altra parte espressamente richiesto dalle parti sociali. Il Lodigiano
presentava una sofferenza generalizzata, difficilmente riconducibile a un settore specifico. In
questo caso, l’accordo è stato unanime sia da parte sindacale sia da parte datoriale. In fase di
progetto esecutivo, si sarebbero di volta in volta individuati i settori che necessitano di interventi. Occorre poi dire che la Provincia di Lodi non si è ancora dotata di un Osservatorio per il
mercato del lavoro, anche se la legge regionale appena approvata lo prevede. Le dimensioni
della provincia di Lodi sono tali che difficilmente si giustificherebbe una struttura ad hoc. Al
momento, operano due uffici decentrati dei Centri per l’Impiego e una sede centrale, dove si
svolge attività di programmazione, coordinamento, monitoraggio, elaborazione delle statistiche.
Dunque, le politiche passive vedono il coinvolgimento contestuale e pronto delle Parti in causa,
anche se la Provincia non ha una propria sede istituzionale di programmazione degli interventi
sulle crisi.
Perché tutto funzioni è però necessario, in un contesto siffatto, che vi sia una buona intesa fra
le parti sociali, un modo comune di leggere il territorio per predisporre gli strumenti migliori per
risolvere le criticità.
Gli accordi
A seguito dell’introduzione degli Accordi per il sostegno alle aziende sotto i 15 dipendenti e ai
lavoratori in difficoltà, la Provincia di Lodi si è mossa per concordare il tipo di azioni da sottoporre ad accordo. Si è così tenuta una riunione in data 31 gennaio 2006, poi, il 27 giugno 2006
è stato sottoscritto l’Accordo vero e proprio in sede ministeriale, alla presenza delle Parti che
già avevano sottoscritto il precedente, più Italia lavoro e Inps nazionale. I settori interessati
sono, oltre il tessile, il metalmeccanico, chimico, terziario e servizi.
Questo a conferma di quanto detto, e cioè della presenza in provincia di realtà molto piccole a
livello di dimensione aziendale e di crisi che non sono mai ristrette a un settore, laddove il
178
tessuto produttivo è composto da una miriade di situazioni e laddove tutto costituisce rete,
indotto, integrazione57.
Il limite di spesa concesso è di 1.500.000,00 `, così ripartito: alla Cigs il 60% (` 900.000),
alla Mobilità il 40% (` 600.000).
I soggetti che possono beneficiare del trattamento di integrazione salariale e del trattamento di
mobilità sono i seguenti.
Per la Cigs, sono interessati i lavoratori (operai, impiegati, intermedi e quadri) con un’anzianità
lavorativa di almeno 90 giorni in imprese artigiane (che non rientrano nella disciplina di cui
l’art. 12, commi 1 e 2, della Legge 223/91) o in imprese fino a 15 dipendenti dei settori tessile,
metalmeccanico, chimico, terziario e servizi ubicate nella Provincia di Lodi e che versino i contributi o abbiano ricevuto l’autorizzazione per l’accentramento contributivo nella sede Inps lodigiana. All’atto della richiesta l’azienda è tenuta a dimostrare la regolarità contributiva o
comunque di aver avviato le procedure di regolarizzazione della propria posizione presso l’Inps
e di poter far valere almeno 12 mesi di effettiva attività nel settore. La durata della Cigs in
deroga, la cui concessione è subordinata alla dimostrazione di una reale prospettiva di ripresa
dell’attività lavorativa non potrà essere superiore ai 6 mesi. Nel caso di grave crisi aziendale,
alla scadenza di 6 mesi dalla prima concessione, su richiesta dell’azienda - corredata da una
relazione che dovrà essere sottoposta all’approvazione del Tavolo di consultazione e di monitoraggio - sarà possibile prorogare la CIGS in deroga per un periodo massimo di 6 mesi, comunque
solo nel caso vengano confermate fondate prospettive di continuazione o ripresa dell’attività.
Per la mobilità, sono interessati al trattamento i lavoratori (operai, impiegati, intermedi e quadri) che hanno diritto all’inserimento nella lista di mobilità disciplinata dall’art. 6 della Legge
223/91, in possesso dei requisiti previsti dall’art. 4 della Legge 236/93 e dall’art. 16 comma 1
della Legge 223/91 provenienti da imprese con più di 15 dipendenti che non rientrano nella
disciplina di cui l’art. 12, commi 1 e 2, della Legge 223/91 o imprese fino a 15 dipendenti dei
settori tessile, metalmeccanico, chimico, terziario e servizi ubicate nella Provincia di Lodi. La
durata della mobilità in deroga è di 9 mesi per le persone con età inferiore ai 50 anni e di 12
mesi per quelli di età superiore ai 50 anni.
Il ruolo delle parti sociali e istituzionali
Secondo gli intervistati (funzionari della Provincia), i punti di forza emersi in questa esperienza,
ancora peraltro in fase iniziale, sono legati alla capacità di rendere un servizio al lavoratore in
difficoltà.
57 L’accordo è stato sottoscritto dall’assessore provinciale alle Politiche Attive del Lavoro, Luisangela Salamina, il Segretario Generale della Cisl, Bruno Bersani, il Segretario Generale della Uil, Massimiliano Castellone, il Direttore Generale di ASSOLODI, Maurizio Galli, il Presidente di Confartigianato, Massimo Forlani, il Segretario dell’Unione Artigiani, Simona Piolini, il Segretario Generale
dell’Unione CTS Confcommercio, Marco Barbieri, il Segretario Generale dell’Associazione Commercianti del Lodigiano, Isacco Galuzzi
e il vice Presidente dell’Ente Bilaterale del Terziario, Riccardo Maietta. Era assente, ma firmerà l’accordo, anche il Segretario Generale della CGIL del Lodigiano, Giuseppe Foroni.
179
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
«Perché tutto funzioni è necessario che vi sia una buona intesa fra le parti sociali, un modo comune
di leggere il territorio per predisporre gli strumenti migliori per risolvere le criticità. Avere punti di
vista differenti è sicuramente un aspetto positivo, che costituisce in sé un valore aggiunto. Al contrario, se il confronto fra le parti producesse immobilismo, dovuto per esempio alla necessità di
ciascuno di tutelare solo gli interessi di chi difende, senza allargare l’orizzonte, allora la così detta
concertazione sarebbe un ostacolo e non un valore»
Il ruolo della provincia nelle politiche del lavoro è quello determinato in seguito alla riforma dei
Servizi all’impiego: i Centri per l’impiego provinciali (ex uffici di collocamento del ministero) non
si limitano più ad adempiere a compiti prettamente amministrativi e certificatori, ma possono
mettere in campo iniziative e progetti che vanno a intercettare problematiche relative al mercato
del lavoro. Ad esempio, la Provincia è presente dove si manifestano situazioni di criticità, con
interventi sui lavoratori che rischiano l’espulsione dal mondo del lavoro, con monitoraggio delle
aziende in crisi ecc. In questi anni si sono messi in campo diverse iniziative, la maggior parte
delle quali sono state realizzate con finanziamenti di fondi comunitari, fondi nazionali o regionali.
L’approccio della provincia di Lodi, esito di una scelta di tipo politico, prevede di non esternalizzare nessuna delle attività, come invece è stato fatto da altre province. Si sono potenziati
servizi, uffici e personale per poter adeguatamente assolvere ai nuovi compiti in capo alla
Provincia. Fin dai primi tempi, la Provincia ha aperto presso il Centro per l’impiego sportelli
specifici, uno dedicato alle donne e uno per gli stage, rivolti il primo ad affrontare le criticità di
un alto tasso di disoccupazione femminile, il secondo pensato per i giovani e il loro approccio
al mondo del lavoro.
Fin dal 2001 si è istituita la Commissione Provinciale Unica che è andata e sostituire tutte le
vecchie commissioni precedenti. Nella Commissione Provinciale sono presenti tutte le parti
sociali, sia datoriali sia di rappresentanza dei lavoratori. Tutti i progetti hanno avuto un iter di
concertazione, con approvazioni sia da parte dell’organo politico della Provincia, sia attraverso
un passaggio di condivisione con le parti sociali.
«Da questo punto di vista, tutto è reso più facile dalle ridotte dimensioni della provincia di Lodi: i
rapporti con le Parti sociali sono incentrati sulla collaborazione, sulla condivisione, che sicuramente
è maggiore rispetto a province più grandi, come ad esempio quella di Milano. Questo tipo di rapporto
positivo ha certamente facilitato il raggiungimento e la stesura degli accordi. L’accordo relativo alla
concessione degli ammortizzatori in deroga, l’ultimo in ordine temporale, è stato un classico esempio
di condivisione di obiettivi e attività. A fronte del finanziamento che il Ministero ha concesso, abbiamo
fin dall’inizio aperto un tavolo con le parti sociali, nel quale le modalità di utilizzo di tali risorse, sia
a livello assistenziale come Cigs, sia a livello di politiche attive, sono state costruite insieme alle parti
sociali»
180
Le parti sociali a Lodi sono sottoscrittrici degli accordi in modo lineare e non emergono problemi
evidenti di incomprensioni e di attriti. L’accordo sugli ammortizzatori sociali in deroga arriva a
Lodi piuttosto tardi rispetto ad altre realtà e questo è probabilmente un punto a favore della
buona concertazione che sembra emergere in quella sede. Le esperienze di altre province hanno
sicuramente offerto esempi e confronti, così da indicare a Lodi la strada migliore da seguire.
Come si è visto, qui non vi è stato bisogno di destinare altrimenti le risorse prima in capo al
settore tessile, visto che si è arrivati preparati all’accordo di giugno 2006, tanto che le risorse
erano già previste in quella sede anche per altri settori, che presentavano segni di crisi nel
territorio provinciale.
Le procedure
Le procedure rappresentano l’unico nodo critico rilevato dai funzionari provinciali intervistati.
«La normativa vigente prevede alcuni passaggi burocratici: la Provincia ha istituito un tavolo tecnico
di analisi ed esame delle domande pervenute dalle aziende per la Cigs o dal singolo lavoratore che
si iscrive alle liste di mobilità. Successivamente, occorre la validazione, espressa da un decreto della
Direzione Provinciale del Lavoro. Tale decreto è inviato all’Inps che provvede ad erogare ai lavoratori
il sussidio. Il flusso finanziario non passa in nessun modo dalla Provincia, ma passa dal Ministero
all’Inps attraverso la Dpl. Questi soggetti (Inps e Dpl) svolgono regolarmente le loro funzioni, ma i
tempi e i modi degli uffici non sono spesso compatibili con l’urgenza dell’intervento. Al fine di accelerare i tempi, la Provincia ha chiesto e ottenuto che un rappresentante della Direzione Provinciale
del Lavoro fosse presente al tavolo, in forma non ufficiale, in modo che il passaggio successivo fosse
solo la validazione e l’emanazione del decreto, senza ulteriori passaggi valutativi. Alcuni tempi lunghi
sono stati causati anche da situazioni particolari e contingenti, come l’avvicendarsi di responsabili
dell’Inps, oltre che a dubbi interpretativi della norma stessa, che in attesa di chiarimenti, ha rallentato il processo»
I dati di monitoraggio
Il Tavolo di approvazione e modifica previsto dal documento di applicazione del 12 ottobre 2006
si è riunito il 07 maggio 2007. A quella data, lo stato delle richieste di utilizzo delle risorse assegnate, in base agli accertamenti eseguiti, era così indicativamente ripartito:
• Cigs 22.000 ` (1 richiesta, azienda MAD COSMETICS, attività ripresa il 24/01/2007, n°
lavoratori coinvolti 23, per 2170 ore)
• Mobilità ` 700.000 (46 lavoratori aventi diritto di cui 7 over 50 e 39 under 50: totale mensilità da corrispondere 7x12+39x9=435)
181
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
c) Le politiche attive
I progetti realizzati
Affrontiamo di seguito le azioni di politica attiva del lavoro realizzate in provincia di Lodi.
1. Orientamento al lavoro 2005
La Provincia di Lodi destina euro 233.500,00 a valere sulle misure del POR Ob.3 FSE della Regione Lombardia per:
A2 - Inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro
E1 - Promozione della partecipazione femminile al mercato del lavoro
Di seguito si riportano i principali risultati.
1. Progetto integrato “la rete per l’orientamento”
TIPOLOGIA AZIONE
A1: incontri di informazione orientativa
A2: incontri di accoglienza e informazione orientativa
B1: orientamento alla formazione
DURATA (*)
N° EDIZIONI
SVOLTE
5g
93
1i
250
20 g
11
35 g
32
100 g
3
5g
171
C2: bilancio attitudinale personale
20 g
23
D1: accompagnamento supporto ricerca attiva del lavoro
17 g
4
D2: tutoraggio inserimento lavorativo disabili
40 i
20
D2: tutoraggio inserimento lavorativo donne
12 i
1
D4: tutoraggio tirocini di orientamento giovani in obbligo formativo
30 i
15
D4: tutoraggio tirocini di orientamento per disabili
50 i
5
C1: colloqui individuali di orientamento
(*) In ore (i=individuale; g=in gruppo)
Fonte: Piano provinciale di orientamento al lavoro 2005/2006
182
2. Progetto integrato “Orientamento e transizione al lavoro per soggetti extracomunitari sul
territorio di Lodi”
TIPOLOGIA AZIONE
DURATA (*)
A2: accoglienza e informazione orientativa
Progetto gestito dalla provincia
N° EDIZIONI
SVOLTE
2i
100
1i
2578
4i
30 i
75
46
TIPOLOGIA AZIONE: VOUCHERS BASE
A2: accoglienza e informazione orientativa
TIPOLOGIA AZIONE: VOUCHERS SPECIALISTICI
C1: colloqui individuali di orientamento
D4: tutoraggio, work experience, tirocini di orientamento
TIPOLOGIA AZIONE
A1: incontri di informazione orientativa
B1: percorsi di sviluppo di abilità sociali/orientamento alla formazione ed al lavoro
B2: percorsi di integrazione sociale
C2: bilancio attitudinale e di Esperienze
D1: accompagnamento e supporto ricerca attiva del lavoro di gruppo
D1: accompagnamento e supporto ricerca attiva del lavoro individuale
D2: tutoraggio inserimento lavorativo
D3: tutoraggio alla creazione d’impresa
D4: tutoraggio work-experience e tirocini di orientamento
7
13
3
24
3
25
35
9
32
TIPOLOGIA AZIONE
A2: accoglienza e informazione orientativa
C1: colloqui individuali di orientamento
D4: tutoraggio, work experience, tirocini di orientamento
1i
30 i
2502
50
48
(*) In ore (i=individuale; g=in gruppo)
TIPOLOGIA AZIONE
DURATA
MODALITÀ DI EROGAZIONE
A2: colloqui di accoglienza
B1: percorsi di sviluppo di abilita’ sociali/orientamento alla
formazione ed al lavoro
B2: percorsi di integrazione sociale
Max 1 ora
10-50 ore
Individuale
Gruppo da 8-15 partecipanti
10-50 ore
C1: colloqui individuali di orientamento
C2: bilancio attitudinale e di
Esperienze
+
C3: bilancio di competenze professionale
D1: accompagnamento e supporto ricerca attiva del lavoro
Max 4 ore
Max 10 ore
Max 30 ore
Gruppo da 5-15 partecipanti
(immigrati, nomadi, soggetti in condizione di restrizione della liberta’)
Individuale
Individuale
Gruppo da 8-15 partecipanti
Max 8 ore
Max 20 ore
Max 40 ore
Max 20 ore
Individuale
Gruppo da 8-15 partecipanti
Individuale
Individuale
D2: tutoraggio inserimento lavorativo
D4: tutoraggio work-experience e tirocini di orientamento
183
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TIPOLOGIA AZIONE
DURATA
A2: colloqui di accoglienza
C1: colloqui individuali di orientamento
D1: accompagnamento e supporto nella ricerca attiva del
lavoro - individuale
D4: tutoraggio work-experience e tirocini di orientamento
NUMERO EDIZIONI
COSTO COMPLESSIVO
1 ora
4 ore
2500
25
75.000,00
5.000,00
5 ore
40
10.000,00
20 ore
50
50.000,00
TIPOLOGIA AZIONE
BUDGET PREVISTO
B: azioni di orientamento/Riorientamento formativo
C: azioni di consulenza orientativa
D: azioni di accompagnamento all’inserimento/Reinserimento lavorativo
` 40.000
` 70.000
` 123.500
%
17,13%
29,98%
52,89%
Fonte: Piano provinciale di orientamento al lavoro 2005/2006
2. Il fondo nazionale per l’occupazione
Negli anni 2004-2005, la Provincia di Lodi ha realizzato attraverso l’utilizzo del Fondo Nazionale
per l’Occupazione di cui alla legge n. 236/93, assegnate con Decreto Direttoriale n. 17646 del
22.10.2003 per un importo di ` 210.621,00, azione collocate nell’ambito delle aree di attenzione individuate dalla Regione Lombardia con Decreto Dirigenziale n. 19699 del 19.11.2003.
Il Piano ha previsto azioni e costi che sono riepilogati nella tabella sotto riportata, seguita da
tabelle relative ai risultati ottenuti.
IMPEGNO
FINANZIARIO
PREVISTO
TOTALE
IMPEGNATO
TOTALE
SPESO
TOTALE
RESIDUO
Promuovere il tirocinio
come strumento per
guidare l’integrazione
` 8.800,00
socio lavorativa delle
fasce deboli nel modo del
lavoro.
` 5.770,00
finanziamento
tirocini
` 3.030,00
di organizzazione
e tutoraggio
` 5.770,00
finanziamento
tirocini
` 3.030,00
di organizzazione
e tutoraggio
0
2.0
Outplacement
L’azione, partita dai nominativi
contenuti nelle liste di Mobilità,
ha subito variazioni di target sulla
base di segnalazioni pervenute
dalle Parti sociali, in specie in seguito a crisi aziendali.
Sviluppare un intervento
di accompagnamento al
lavoro per favorire il reinserimento nel mercato
` 180.820,60
del lavoro degli iscritti
alle liste di Mobilità e
dei lavoratori coinvolti in
gravi crisi aziendali.
` 180.820,60
` 180.820,60
0
3.0
Liste di Mobilità
L’inserimento dei dati all’interno
del software Job Channel è stato
effettuato a cura della società di
outplacement affidataria del bando
ad evidenza pubblica.
Valorizzare e promuovere
le liste di Mobilità attraverso la diffusione su n.a
ampia scala dei curricula
dei lavoratori interessati.
n.a
n.a
n.a
COD
AZIONI E MODALITÀ
SCOPO E DESTINATARI
1.0
Tirocini
Il tirocinio ha utilizzato la mediazione di personale specializzato
del servizio Collocamento Mirato
Disabili che si è occupato dell’identificazione dei soggetti da coinvolgere, dell’accompagnamento, del
tutoraggio, del monitoraggio.
184
4.0
Incentivo all’assunzione di disoccupati/e di età superiore ai 45 anni
Per accedere all’incentivo l’impresa
ha avviato un contratto a tempo
indeterminato o determinato con
durata non inferiore a 12 mesi. Gli
incentivi sono stati diversificati in
base alla tipologia del contratto di
assunzione del lavoratore.
L’azione è stata mirata a
favorire, attraverso l’erogazione di un incentivo
economico all’azienda, ` 20.000,40
il rientro nel mercato del
lavoro di disoccupati/e
over 45.
5.0
Sicurezza sul posto di lavoro
Sono state avviate iniziative rivolte
a sensibilizzare il territorio sul tema
attraverso la divulgazione di materiale informativo e di sensibilizzazione della cultura della sicurezza.
Avviare iniziative finalizzate a sensibilizzare alla
sicurezza negli ambienti
` 1.000,00
di lavoro in particolare
nelle ultime classi delle
scuole superiori.
TOTALI
` 210.621,00
` 18.125,00
erogazione incentivi
` 1.875,40
assistenza alle
aziende
` 18.125,00
erogazione incentivi
` 1.875,40
assistenza alle
aziende
` 1.000,00
` 1.000,00
` 210.621,00
` 210.621,00
0
0
`0
Fonte: Piano provinciale 411
Per quanto riguarda il primo punto, sono stati attivati 4 tirocini.
Il Progetto di attuazione di politiche attive del lavoro - Attività di Outplacement è stato progettato per la ricollocazione di un numero iniziale di 70 persone (poi diventate 82 a seguito dell’estensione del progetto avvenuta nel mese di giugno 2005). È stato avviato dalla Società
incaricata, la Career Counseling di Milano, il 3 settembre 2004 con l’attività di convocazione
delle persone i cui nominativi erano contenuti nella Lista di Mobilità fornita dalla Provincia (276
persone). Viste le iniziali difficoltà a reperire candidati, le attività di reclutamento hanno visto
un progressivo ampliarsi dell’utenza di riferimento. Di seguito si riporta una sintesi delle tecniche adottate per il reclutamento.
LETTERE INVIATE
ADERENTI A SEGUITO
DELLA LETTERA
NON INTERESSATI
NESSUNA RISPOSTA
314
30
43
241
100%
9,56%
13,69%
76,75%
DOPO LE PRIME AZIONI DI
RECLUTAMENTO
A SEGUITO D
ELLA LETTERA
PROVENIENTI DA CRISI
AZIENDALE
SEGNALATI DAI CPI O PER
PASSAPAROLA
34
30
21
108
Fonte: Piano Fno 2004-2006
I lavoratori coinvolti hanno partecipato a incontri di gruppo della durata di 16 ore e a colloqui
individuali finalizzati all’outplacement.
185
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
I risultati sono riportati nelle tavole seguenti.
Aziende contattate
Aziende che hanno accettato i profili
Aziende visitate
Curricula inviati
Colloqui richiesti dalle aziende
Colloqui sostenuti
Colloqui rifiutati dai candidati
728
580
42
893
332
541 (di cui 345 proposti da noi)
67
RICOLLOCAZIONI
Totale candidati
Candidati <30 anni
Candidati <40anni
Candidati <50anni
Candidati =>50 anni
Candidati italiani
Candidati stranieri
Cand. Con laurea
Cand. Con diploma
Cand. Con attestato
Cand. Con lic. Media
Cand. Con lic. Elem.
Operai
Impiegati
Quadri
Cand. In mob. 223/91
Cand. In mob. 236/93
Cand. Disoccupati
Cand. In Cigs
PERSONE ADERENTI AL PROGETTO
RICOLLOCAZIONI
AL 15 FEBBRAIO
193 (100 m e 93 f)
20
51
72
50
167
26
9
69
38
65
12
104
85
4
91
46
52
4
94 (45 m e 49 f)
9
30
38
17
81
13
6
36
23
27
2
51
42
1
48
21
23
2
(persone che stanno lavorando o
hanno lavorato durante il corso dell’intero progetto)
117 (60 m e 57 f)
11
34
50
22
102
15
7
43
29
35
3
64
52
1
58
30
29
2
Fonte: Piano Fno 2004-2006
Alcune considerazioni derivanti dal progetto in esame sono emerse dall’analisi dei dati. Le riportiamo per completezza.
«Ci pare innanzitutto importante segnalare come una grande percentuale delle ricollocazioni sia
avvenuta nel corso dei primi 4 mesi d’intervento (il 63,58% del totale) e come il tempo medio complessivo (4,18 mesi) risulti essere particolarmente contenuto: questo appare essere il segno evidente
186
e tangibile della positività di azioni di ricerca attiva sul mercato del lavoro sostenute da un supporto
logistico/consulenziale continuativo quale quello consentito dall’Outplacement. Al di fuori e al di là
del ragionamento in merito alle ricollocazioni, una sottolineatura importante riteniamo debba però
essere quella riguardante il numero di persone interessate dall’intervento (193 in totale), ampiamente superiore a quello dei candidati previsti inizialmente dal Piano Provinciale come soggetti di
ricollocazione: questo fatto - che riteniamo in sé stesso positivo in termini di partecipazione e di
crescita e assistenza personale e professionale per le persone - sottolinea l’importanza assunta
dall’attività svolta verso le persone, verso il territorio ed il tessuto socio-economico lodigiano e dimostra una volta di più il significato di “sostegno” nell’ottica di ammortizzatore sociale attivo attribuito
dalle persone allo strumento utilizzato».
Infine, gli incentivi all’assunzione con contratto a tempo indeterminato o determinato con durata
non inferiore ai 12 mesi di disoccupati e disoccupate over 45 sono stati richiesti per 11 lavoratori: 7 uomini (di cui 3 a tempo indeterminato) e 6 donne (di cui 3 a tempo indeterminato).
I progetti in avvio
Le risorse destinate alla provincia di Lodi la realizzazione di programmi di reimpiego (ex art 1
– comma 411- della L. 266 del 2005) sono pari a 375.000 euro.
Attraverso il piano 411, la Provincia intende avviare le seguenti azioni:
azioni di orientamento informativo;
azioni di formazione;
accompagnamento all’inserimento lavorativo;
incentivi economici alle imprese;
interventi di partecipazione al programma.
I destinatari prioritari individuati dalla provincia di Lodi sono:
i lavoratori destinatari degli accordi relativi agli ammortizzatori in deroga previsti dalla L.
266/05 art. 1 comma 410;
• i lavoratori in mobilità;
• i lavoratori in cassaintegrazione;
• i lavoratori disoccupati (NO inoccupati);
• soggetti svantaggiati non percettori di nessun tipo di indennità
d) Osservazioni conclusive
La Provincia di Lodi si afferma come istituzione direttamente coinvolta nella gestione, oltre che
nella programmazione, delle politiche del lavoro.
«Occorre anche sottolineare come la Provincia si sia dotata di una struttura presso il Centro per
l’Impiego che è in grado di progettare e erogare servizi di politica attiva destinata ai lavoratori svan-
187
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
taggiati o in difficoltà. La Provincia si fa promotrice di iniziative, e, attraverso i vari canali finanziari,
emette bandi ai quali possono partecipare enti accreditati. Esiste, dunque, una parte di attività
(orientamento e di ricerca attiva del lavoro) che viene direttamente erogati dalla Provincia, altre che
vengono assegnate a enti esterni. Anche in questi ultimi casi però la Provincia collabora strettamente
con questi anche attraverso attività di monitoraggio oltre che di indicazione dei soggetti potenzialmente interessati alle iniziative messe in campo. Non esiste dunque un problema di terzietà, perché
ancora oggi la questione del ruolo della Provincia non è del tutto chiaro. Al momento, alla Provincia
è consentito erogare servizi, almeno fino a quando qualche normativa renderà queste attività non più
in capo alla Provincia stessa»
Anche in questa provincia, uno dei principali problemi emersi è quello della sanzione nei confronti dei lavoratori che si rifiutano di aderire ai progetti di politica attiva. Secondo le interviste
ai funzionari:
«Accade spesso che in questo periodo possa lavorare “in nero” o trovi anche comodo avere questo
reddito disponibile. In questo caso può non essere interessato ad una ricollocazione in tempi rapidi.
Questo è stato uno dei problemi che la provincia ha dovuto affrontare 3 anni fa, quando è partito il
“piano occupazione”, con le risorse del ministero di circa 100.000 euro. Alla società cui vennero assegnate le risorse, tramite bando, venivano segnalate dalla Provincia le persone che erano iscritte
alle liste di mobilità. Un lavoratore in mobilità che rifiuta più di due volte un lavoro adeguato, in linea
teorica andrebbe cancellato dalle liste, e quindi perdere l’indennità. Storicamente, tutte le province
e i Centri per l’impiego non si sono mai presi la responsabilità di privare il lavoratore di quel pur
minimo sostegno derivante dall’indennità di mobilità. Nell’ambito dei progetti realizzati, le persone
in mobilità venivano contattate, facendo leva sul fatto che l’occasione e l’opportunità offerta era
importante ai fini di un rientro nel mondo del lavoro. È stata fatta un’opera di convincimento nei
confronti dei lavoratori in mobilità. Da questo punto di vista, i risultati sono stati positivi, anche se
inizialmente si sono presentate molte resistenze dovute alla non conoscenza degli strumenti di politica attiva. Possiamo parlare di risultati positivi, quando almeno la metà delle persone contattate
aderisca alle iniziative di politica attiva. Non si può pretendere che in situazioni del genere tutte le
persone contattate aderiscano convinte ed entusiaste».
e) Allegati
Situazione socio-economica
1. Comunicato stampa n. 1 del 10 Gennaio 2007, “Un approfondimento dell’Ufficio Studi della
Camera di Commercio. In diminuzione il Pil del lodigiano”
Politiche passive
2. Accordo lo 27.06.06
188
Politiche attive
3. Piano Fno lo 2004-2006
4. Orientamento 2005
5. Piano provinciale orientamento 2005-2006
6. Piano Lodi 411
Intervista
7. Report intervista dott. Francesco Respighi, dott.ssa Elga Zuccotti, Servizio Politiche
del Lavoro in Provincia di Lodi, 07/11/2007
3.1.7. Mantova
a) La situazione socio-economica
La provincia di Mantova presenta alcuni elementi di competitività, quali quelli di seguito presentati58. Oltre alla strategica collocazione geografica, Mantova si caratterizza per un’elevata
ricchezza di risorse ambientali, culturali e produttive, tale da innalzare la competitività del
territorio sopra i livelli espressi dalle altre province lombarde, collocandola altresì ai primi posti
della graduatoria nazionale delle province italiane. Tale risultato, oltre che mettere in risalto il
vantaggio dell’area in termini di offerta di fattori localizzativi, evidenzia come l’economia locale
riesca a conseguire buoni risultati di crescita associando a un settore agro-alimentare che
valorizza al meglio le risorse tipiche, un tessuto di piccole e medie imprese ben strutturato, che
beneficia della prossimità alle aree a più forte industrializzazione.
Ulteriori punti di forza dell’economia mantovana derivano dalle potenzialità di sviluppo del turismo culturale, favorito dal vasto e prezioso patrimonio artistico provinciale, al quale si aggiunge il turismo gastronomico, vista la presenza di numerosi ristoranti che hanno ricevuto
importanti riconoscimenti per l’alta qualità della cucina proposta.
Al fine di valorizzare il territorio mantovano nei suoi molteplici aspetti – economici, culturali,
ambientali – la Camera di Commercio, l’Amministrazione Provinciale e i comuni delle aree interessate hanno avviato due importanti progetti di marketing territoriale strategico: uno nell’area nord della provincia, che interessa la zona collinare morenica mantovana e uno nell’area
dell’Oltrepo mantovano.
La competitività della provincia di Mantova può contare anche sulla notevole apertura verso i
mercati esteri delle imprese ivi collocate, che garantiscono alla provincia una posizione di
spicco sia a livello lombardo sia nazionale, grazie all’elevata propensione all’esportazione dei
propri prodotti.
Alla felice posizione geografica della provincia non corrisponde, tuttavia, una soddisfacente
58 Si veda per queste osservazioni iniziali l’intervista effettuata al Dott. Bellini del Servizio Lavoro della Provincia di Mantova in
data 4 dicembre 2007.
189
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
dotazione infrastrutturale di collegamenti stradali e ferroviari; in questo comparto, infatti, Mantova si attesta su livelli inferiori al dato medio italiano.
Il Rapporto Unioncamere 2007 classifica in tre gruppi l’elasticità delle economie provinciali agli
andamenti ciclici economici. Mantova appartiene al gruppo di province che risultano neutrali o
“a-cicliche” rispetto all’andamento del ciclo congiunturale nazionale nella determinazione della
crescita economica provinciale59. L’andamento del Pil, nel periodo 2003-2005, rivela una minor
crescita complessiva dell’economia mantovana (+5,3%) rispetto a quella lombarda (+5,6%) e
nazionale (+5,7%). In calo in particolare è l’agricoltura, che registra una fase di difficoltà, per
la minore capacità del settore di produrre valore aggiunto, con il conseguente dirottamento di
risorse umane e finanziarie in attività più remunerative. Il terziario, invece, registra una crescita
(+6,5%) superiore a quella regionale (+5,3%) e in linea con quanto rilevato nella media nazionale (+6,5%). Inoltre, a Mantova è il settore delle costruzioni a trainare la ripresa del Pil, con
un aumento prodotto tra il 2003 e il 2005 del 19,8% (a fronte del 13,2% nazionale).
L’economia mantovana si presenta strutturalmente in grado di basare la propria crescita e
sviluppo su alcuni parametri positivi fondamentali. Tra questi, consideriamo la crescita della
produttività del lavoro. Mantova rispetto al parametro della produttività del lavoro (misurato dal
rapporto del Pil rispetto al numero di occupati totali) mantiene una capacità di crescita relativamente elevata sia rispetto al 2005 sia rispetto alle stime previste per il 2010. Si tratta di un
dato molto importante, che permette di sostenere la capacità competitiva nel medio periodo.
Le tipologie d’impresa
Il tessuto imprenditoriale mantovano continua ad aumentare in termini di estensione (Var. imprese 2006/2001: +5,3%), con aumenti dei livelli occupazionali. La dinamica delle imprese per
settore economico conferma nel 2006 l’espansione del “terziario avanzato” (+4,9%) e delle
costruzioni (+4,3%). In aumento anche il settore del credito (+3,7%) e degli alberghi e ristoranti (+2,1%) e dei servizi alla persona (+2,5%). Da registrare il calo di imprese nell’agricoltura (-2,7%).
Va osservato che molte sono le imprese individuali (queste rappresentano il 65,9% del totale
delle imprese attive della provincia). La consistenza delle imprese artigiane aumenta nel 2006
di 192 unità (indice di natalità 8,56% e di sviluppo 1,33%), giungendo al totale di 14.602
imprese operanti in provincia di Mantova. Le imprese artigiane con titolari extracomunitari sono
quasi il 30% delle nuove iscritte, di nazionalità in prevalenza cinese, albanese, marocchina,
tunisina e rumena.
A livello settoriale l’export con 4,5 miliardi di euro, registra buoni risultati nei comparti produttivi di specializzazione dell’economia mantovana: metallurgia (+23,5%), produzione di autovei-
59 Le notizie qui riportate sono tratte dal volume “Valore e dinamiche evolutive del sistema produttivo mantovano. Rapporto economico provinciale 2006” a cura del Servizio Studi e Informazione Statistica Economica – SIE, con la collaborazione dell’Istituto
“Guglielmo Tagliacarne”.
190
coli, rimorchi e semirimorchi (+22%), prodotti in metallo – escluse macchine. L’export
agro-alimentare nel 2006 ha segnato un +3,7% contro un valore di crescita più elevato registrato nel 2005 (+12,9%).
Il settore manifatturiero
Per la manifattura, il 2006 è stato positivo in termini di crescita media della produzione. Si
tratta di un segnale importante, dopo un lustro in cui si sono registrate contrazione e stagnazione. Crescono i beni di investimento (+4,11% in media d’anno), segnale che conforta le attese
di ripresa economica, mentre si è registrata una stagnazione dei beni intermedi. Positiva e
costante è stata la crescita dei beni finali. Il fatturato delle imprese mantovane è cresciuto nel
2006 del 2,6%, valore che si pone in linea con il dato lombardo. A livello di comparti economici,
si segnala un 2006 positivo per il legno, dopo un 2005 particolarmente sofferto. Anche il tessile,
dopo un 2005 negativo, è tornato a crescere, con un risultato medio in linea con quello registrato
dal manifatturiero in generale (+2,88%). Buono il risultato della meccanica, sottotono, invece,
la performance della chimica, crescita solo dell’0,83%. In lieve contrazione (-0,14%) l’alimentare. Il settore del commercio ha registrato nel 2006, a fronte di un ridimensionamento della
struttura imprenditoriale, una lieve ripresa nelle vendite, già emersa peraltro nel corso del 2005.
La graduale distribuzione organizzata è cresciuta in tutte le sue forme e le nuove aperture di
esercizi commerciali hanno riguardato in prevalenza esercizi di vicinato; in lieve aumento anche
le medie strutture di vendita, mentre non si sono registrate nuove aperture di grandi superfici
di vendita dopo quelle dello scorso anno.
Il settore terziario, al netto del commercio, è aumentato dell’1% rispetto al 2005. La crescita ha
riguardato in particolare il settore dei servizi alle imprese (+4,9%), i servizi alla persona
(+2,5%) e gli alberghi e ristoranti (+2,1%). In calo, invece, il settore dei trasporti (-1,4%). Il
suo apporto al Pil nel 2005 ha raggiunto quota 56,8% che si attesta perciò ancora molto al di
sotto delle medie regionale e provinciale.
Particolarmente interessanti sono i dati relativi al valore del patrimonio delle famiglie, che
consentono di rilevare la ricchezza effettiva della popolazione; differenze significative si registrano tra l’Italia (341 mila euro per famiglia) e la provincia di Mantova dove la ricchezza media
familiare è pari a 397 mila euro, ossia circa 60 mila euro in più, tra attività reali e finanziarie,
rispetto alla media nazionale.
Il mercato del lavoro
Nel corso del 2006, grazie ad una ripresa del sistema economico nazionale, si è registrato un
ulteriore miglioramento della situazione occupazionale, con un sensibile aumento dei lavoratori
impegnati (+333 mila unità tra il quarto trimestre 2005 e lo stesso periodo del 2006) e una
riduzione dei disoccupati (-272 mila unità). La crescita dell’occupazione è legata ancora una
volta principalmente al lavoro a termine (+191 mila unità), anche se è opportuno precisare che
il buon andamento ha portato a un incremento anche dei contratti a tempo indeterminato (+90
191
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
mila). Il miglioramento della situazione occupazionale è stato trasversale, interessando la componente maschile (+117 mila) e in maggior misura quella femminile (+216 mila), la forza lavoro italiana (+175 mila) e quella straniera (+158 mila).
Nel corso del 2006 vi è stato un miglioramento della situazione occupazionale (+1,8%), grazie
al buon andamento dei servizi che, con 91 mila circa occupati, rappresentano il principale
settore di occupazione nella provincia (crescita rispetto al 2005 del 6,5%).
Il tasso di occupazione della provincia mantovana è pari a 67,1% nel 2006 (superiore al dato
medio lombardo, 66,6%, e a quello nazionale, 58,4%), un dato che avvicina la provincia ai Paesi
del Nord Europa e agli obiettivi di Lisbona, che si prefiggono il raggiungimento di un indice
occupazionale pari al 70% nel 2010. Allo stesso tempo il tasso di disoccupazione è del 3%, il
più basso della regione assieme a quello di Bergamo.
Particolarmente interessanti sono i dati sulle differenze di genere dai quali appare evidente la
presenza a Mantova di un maggiore squilibrio, rispetto media regionale, tra le opportunità lavorative riservate alla componente maschile e femminile del mercato del lavoro. L’indice di
occupazione maschile supera, infatti, di 24,3 punti percentuali il corrispettivo femminile, a
fronte di un divario Lombardia di circa 20 punti. Allo stesso tempo, l’indice di disoccupazione
provinciale è pari all’1,7% tra gli uomini e al 5% tra le donne, a fronte di indici regionali pari
rispettivamente al 2,9% e al 4,8%.
Dalla distribuzione degli occupati per settore di attività, è possibile rilevare l’elevata vocazione
industriale della provincia mantovana, con il 42,6% dei lavoratori impegnati nel settore secondario, a fronte del 37% della Lombardia e del 30,1% nazionale. È però il terziario la principale
fonte di lavoro, che assorbe a Mantova il 51,5% degli occupati, un dato però ancora molto inferiore alla media regionale (61,3%) e soprattutto nazionale (65,6%). Importante è, infine, il
peso dell’agricoltura nella provincia (6%), lontana dalla media regionale (1,6%), che conferma,
da un lato, la limitata vocazione per il settore primario di questa regione rispetto ad altre aree
del Paese e, dall’altro, segnala ancora una volta la vocazione agricola della provincia mantovana e del cremonese.
Il settore artigiano
L’artigianato mantovano si è arricchito, nel corso del 2006, di 1.233 nuove imprese iscritte;
quelle che hanno cessato l’attività, invece, sono state 1.041. Il saldo tra neo-iscritte e cessate
è positivo e conta 192 unità in più, che portano la consistenza del comparto manifatturiero a
quota 14.602, confermando, ancora una volta, la tendenza alla crescita che ha portato l’indice
di sviluppo annuo delle imprese artigiane a 1,33; un valore lievemente più elevato di quello
registrato nel 2005 (1,15). Tra i nuovi iscritti 2006, gli imprenditori individuali artigiani sono
l’87,5%; il rimanente 12,5% è costituito da società di persone e di capitali. Questo trend rispecchia la struttura generale del comparto artigiano, distinto per forme giuridiche, che si compone per il 78,6% di imprese individuali, per il 17,9% di società in nome collettivo, per l’1,6%
di società in accomandita semplice e per l’1,9% di società a responsabilità limitata. Per quanto
192
riguarda le attività economiche delle imprese artigiane neo-iscritte, le manifatturiere, rispetto
al 2005, registrano un sensibile aumento (22,5%) e le costruzioni edili crescono del 4,9%; diminuiscono, invece, del 45% le nuove imprese di trasporto e si mantengono pressoché stabili
le nuove iscrizioni di aziende di servizi alle persone e alle imprese +1,4%.
Spostando l’attenzione al mutamento strutturale per settori dell’artigianato, vediamo che, rispetto allo scorso anno, nel 2006 il saldo più consistente ha interessato, ancora una volta, le
imprese di costruzioni (+237 unità), mentre sono risultati leggermente negativi i valori per
trasporti (-24), riparazioni (-19) e manifatturiero (-10 imprese).
Entrando nel dettaglio dell’artigianato di trasformazione, vediamo che saldi negativi tra iscritte
e cessate hanno interessato principalmente le imprese della metalmeccanica, chimica e gomma,
carta ed editoria; positivi, invece, i risultati per l’alimentare e gli apparecchi elettrici. Complessivamente la struttura del comparto artigiano per settori economici si basa fortemente sulle
costruzioni (che sono il 45,5% di tutte le imprese artigiane) e sul manifatturiero (27,9%); i
servizi alle imprese e alla persona “pesano” per l’11,3%, i trasporto per il 6,7%, le riparazioni
per il 6,3% e le attività connesse all’agricoltura per il 2,2%.
Alcuni indicatori fanno pensare che il comparto artigiano manifatturiero stia andando nella
direzione di un recupero produttivo, favorito dalla ripresa delle imprese industriali di maggiori
dimensioni, che hanno registrato un 2006 in crescita e hanno, altresì, manifestato attese positive per il 2007.
Di seguito si presentano i dati relativi alle imprese artigiane presenti in provincia di.
TABELLA 40. Dati di sintesi relativi alle imprese registrate al Registro delle Imprese al 31.12.
Lombardia e Provincia di Mantova. Anno 2007 (valori assoluti e percentuali).
Totale imprese
Di cui artigiane
Peso artigiane/totale
MANTOVA
LOMBARDIA
PESO % MANTOVA/
LOMBARDIA
39.558
809.144
4,89
14.202
271.016
5,24
35,90
33,49
Fonte: Infocamere
TABELLA 41. Principali sezioni di attività economica delle imprese artigiane al 31.12. Provincia
di Mantova. Anno 2007 (Valori assoluti; ordine decrescente).
IMPRESE REGISTRATE
IMPRESE ISCRITTE
IMPRESE
CESSATE
V.A.
%
V.A.
V.A.
Costruzioni
6.514
46
817
715
Attivita’ manifatturiere
3.927
28
403
397
193
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Altri servizi pubblici,sociali e personali
1.295
9
71
0
Comm.ingr.e dett.;rip.beni pers.e per la casa
924
7
36
69
Trasporti,magazzinaggio e comunicaz.
883
6
27
85
Agricoltura,caccia e silvicoltura
315
2
16
15
Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca
308
2
33
38
Imprese non classificate
13
0
12
75
Alberghi e ristoranti
6
0
1
4
Estrazione di minerali
6
0
1
0
Sanita’ e altri servizi sociali
5
0
0
0
Istruzione
3
0
1
2
Intermediaz.monetaria e finanziaria
3
0
0
0
Prod.e distrib.energ.elettr.,gas e acqua
0
0
0
0
Pesca,piscicoltura e servizi connessi
0
0
0
0
Serv.domestici presso famiglie e conv.
0
0
0
0
14.202
100
1.418
1.400
Totale
Fonte: Infocamere
b) Le politiche passive
Gli accordi
In questo capitolo prendiamo in esame gli accordi firmati a Mantova sugli ammortizzatori in
deroga. Dall’analisi dei materiali raccolti, emerge come la crisi, sostanzialmente relativa al
settore tessile e della calzetteria, sia stata stimata di grado superiore al reale.
L’accordo del 13 luglio 2005 prende in effetti in esame il solo settore tessile abbigliamento e
calzaturiero. Il successivo accordo del 9 febbraio 2006 estende i benefici ad altre aziende in
difficoltà. Infine, l’accordo del 21 settembre 2006 stabilisce l’estensione a tutti i settori produttivi.
«La Provincia ha chiesto, dopo aver sentito le parti, un finanziamento di 15.000.000 di euro, poiché
sembrava che le richieste sarebbero state relativamente elevate. L’accordo è stato firmato per un
primo acconto di 4.000.000 e una seconda tranche di 11.000.000 euro. Questa seconda parte però
non è ancora stata erogata e non si sa se mai lo sarà»
I lavoratori destinatari dei benefici previsti dagli accordi sono quelli in Cigs e non quelli
iscritti alle liste di mobilità. Non si è trattato tuttavia di una scelta stringente e coercitiva:
la Provincia, in accordo con le parti, ha deciso di puntare più sulla Cigs che sulla mobilità,
con l’intenzione di aiutare l’azienda a reintegrare il lavoratore, dopo aver superato il periodo
di difficoltà, con interventi di politica attiva o semplicemente intercettando una ripresa del
settore.
194
Il ruolo delle parti sociali e istituzionali
Gli operatori e gli esperti provinciali danno dell’esperienza degli a.s.d. una valutazione positiva,
suggerendo al contempo la riforma dell’istituto.
Viene sottolineato come in realtà come quella della provincia mantovana, che per l’80-85% è
composta da piccole e piccolissime imprese, un istituto di questo genere potrebbe avere una
duplice positiva valenza: oltre al sostegno economico dei lavoratori in difficoltà (e delle aziende),
si creerebbero le condizioni per un tavolo di dialogo permanente, ciò che costituirebbe per la
provincia di Mantova un elemento di politica del lavoro molto importante.
Il ruolo della provincia nelle politiche del lavoro è, a Mantova, soprattutto basato sul portare a
conoscenza del territorio l’esistenza di strumenti di politica del lavoro, in questo caso gli ammortizzatori sociali in deroga.
La Provincia presiede il tavolo tecnico, dopo aver convocato le parti sociali. In questo tavolo si
dà una prima visione alle richieste pervenute e si valuta che rispettino tutti i criteri per essere
approvate. Qualora queste fossero incomplete, vengono rimandate in azienda perché si provveda all’integrazione di ciò che manca o alla correzione. Al tavolo tecnico siedono anche la Dpl
e l’Inps: questa scelta è stata fatta per snellire e velocizzare il processo di erogazione. Nella
pratica, in circa una settimana dall’analisi del tavolo tecnico, viene emesso il decreto e l’Inps
è già in grado di erogare le risorse dopo circa 20 giorni.
«Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali in deroga, fra la Provincia e parti sociali c’è grande
collaborazione e non si sono mai verificati particolari problemi sulla scelta dei destinatari. La legge
prevede l’eventualità che anche le aziende con più di 15 dipendenti possano accedere a queste risorse, oltre alle aziende che non hanno diritto alla Cigs o hanno esaurito già le risorse ordinarie. C’è
una sorta di “patto d’onore” con il quale ci si è accordati che le aziende con più di 15 dipendenti non
facciano ricorso agli ammortizzatori sociali in deroga, salvo successivi accordi legati a situazioni di
necessità reale. Anche l’associazione industriali non ha mai pressato per accedere a questo tipo di
fondi. La Provincia si è fatta promotrice di questo nuovo strumento, mentre la parte sindacale si offre
di fare da tramite tra l’istituzione e il territorio. La Provincia, attraverso comunicati stampa e incontri cerca di fare pubblicità all’iniziativa»
Anche tra le istituzioni viene rilevato un clima di collaborazione.
«Con l’agenzia regionale era più facile lavorare quando c’era attiva la rete Upal, presente sul territorio come avamposto della Regione. Quando è caduta la rete Upal, il contatto con la Regione si è
ridotto. Ora il contatto è relativo agli ammortizzatori regionali, che per il 2008 saranno gestiti direttamente dalla Regione e non dalle singole province. Alla provincia rimane la gestione di tutte le risorse residue, fino ad esaurimento fondi. Successivamente, le aziende sotto i 15 dipendenti saranno
ancora in carico alle Province, il tavolo tecnico a livello provinciale rimarrà aperto, mentre l’erogazione delle risorse passerà dall’Inps provinciale a quella regionale. ItaliaLavoro segue la parte relativa
al monitoraggio ed è sempre presente ai tavoli delle trattative. C’è scambio di informazioni costante
195
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
e il rapporto è sempre stato buono. In questo quadro, merita sottolineare il ruolo del Centro per l’impiego, che si è limitato all’accoglienza dei lavoratori e ai colloqui di accoglienza. I centri per l’Impiego
sono serviti come perimetri esterni di diffusione dell’iniziativa, mentre tutto il resto è seguito dal
Servizio Lavoro della Provincia. Il tavolo tecnico funge da osservatorio: composto da circa 15 persone,
non presenta alcuna difficoltà nella convocazione, è uno strumento snello e consente di individuare
le buone prassi da seguire in materia di politiche attive in tempi rapidi »
Le procedure
Di seguito si riassumono i principali passi per l’erogazione della Cigs in deroga nelle aziende
con meno di 15 dipendenti:
• accordo sindacale tra sindacato e azienda o tra lavoratori coinvolti e azienda
• le aziende artigiane aderenti all’Eba siglano l’accordo presso l’Eba stesso
• il Tavolo tecnico (gruppo ristretto i cui membri sono indicati dalle Parti sociali coinvolte
nell’iniziativa) presso la Provincia provvede a convocare mensilmente le aziende richiedenti
per esaminare le domande avanzate (Esame di consultazione); al termine dell’esame viene
stilato e sottoscritto un verbale
• in sede di esame di consultazione è presente la Dpl che, dopo aver verificato la sussistenza
dei requisiti necessari, provvede a rilasciare l’autorizzazione
• i lavoratori coinvolti nella procedura devono avere un’anzianità aziendale di almeno 90
giornie la durata del provvedimento non può superare i 6 mesi effettivi, anche in maniera
non continuativa
• sarà cura dell’azienda consegnare, in allegato alle domande successive alla prima, un
consuntivo per ogni lavoratore dei periodi di Cigs in deroga effettivamente utilizzati.
Per la mobilità, la procedura è la seguente:
• l’azienda invia la domanda della mobilità in deroga corredata di accordo sindacale e di lista
dei lavoratori (da allegare eventualmente entro 30 gg dall’approvazione) al tavolo tecnico e
all’Inps di Mantova
• con la comunicazione di licenziamento con mobilità in deroga, il lavoratore si va a iscrivere
presso il Cpi di domicilio dichiarando l’immediata disponibilità al lavoro; contestualmente
procederà a inviare allo stesso Cpi domanda di inserimento nelle liste di mobilità ai sensi
della legge 236/93 (entro 68 gg dal licenziamento)
• il tavolo tecnico provvede a valutare la domanda ricevuta e, se ci sono le condizioni, ad
accettarla
• con atto specifico, la provincia di Mantova inoltra l’autorizzazione alla mobilità in deroga
della ditta all’Inps e all’azienda stessa
• attraverso tale atto l’Inps può attivarsi per l’erogazione dell’indennità di mobilità in deroga
ai lavoratori
• per i lavoratori sotto i 50 anni sono previsti 7 mesi di mobilità; sopra i 50 anni 10 mesi.
196
I dati di monitoraggio
Il budget previsto è pari a 4 milioni di euro, di cui 2,7 milioni per le politiche attive e 1,3 per le
passive. Al 30/10/2007 è stato speso circa 1 milione di euro.
Per la Cigs, le domande pervenute da gennaio 2006 a novembre 2007 sono state 165: le aziende
coinvolte 95 e i lavoratori 521. Sono state realizzate 15 sedute del Tavolo Tecnico da dicembre
2005 a settembre 2007 (1 nel 2005, 7 nel 2006 e 7 nel 2007) e 7 sedute del Tavolo Politico da
gennaio 2006 a ottobre 2007.
Le domande di mobilità, secondo il funzionario provinciale intervistato, sono state solo due o
tre.
c) Le politiche attive
I progetti realizzati
Il piano cui possiamo fare riferimento per le politiche attive in provincia di Mantova è quello del
2004-2005. Gli interventi lì previsti sono i seguenti:
• Interventi della Provincia
• Ricollocazione di 55 lavoratori del settore tessile
• 20 lavoratori del settore legno
• azioni di sostegno a cittadini extracomunitari
• attuazione dell’ob. 3 del Fse rivolto a fasce deboli della popolazione
• Interventi da avviare col Fondo nazionale per l’occupazione
• azioni mirate all’inserimento di persone disabili
• monitoraggio di questo inserimento
• attivazione di borse lavoro per disoccupati over 40
• attivazione di moduli professionalizzanti per donne in difficoltà occupazionale
• Liste di mobilità
• Attivazione della lista di mobilità della Provincia, al fine di rendere possibili azioni di supporto e ricollocazione
La provincia di Mantova ha prodotto delle schede di sintesi, che riportiamo di seguito, dei risultati ottenuti nell’ambito delle azioni promosse attraverso il Piano Provinciale Fno 2004-2007 e
attraverso il capitolo regionale 908.
197
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TABELLA 42. Riepilogo sintetico azioni Piano Provinciale 2004-2007 Fno
COD.
AZIONI E MODALITÀ
SCOPO E DESTINATARI
RISULTATI OTTENUTI
1.0
Corsi di scuola guida per soggetti disabili
Azione finalizzata al conseguimento, totalmente gratuito, della patente di guida in
favore di soggetti disabili iscritti al collocamento mirato provinciale. Sottoscrizione
di una convenzione con l’associazione delle
Autoscuole Locali per usufruire di agevolazioni e sconti sull’iniziativa
Contributo trasporto per il raggiungimento
del posto di lavoro per soggetti disabili.
Concessione di un contributo prestabilito
mediante avviso pubblico a lavoratori iscritti
al collocamento mirato provinciale per il
raggiungimento del posto di lavoro
Osservatorio provinciale disabili.
Coordinamento e gestione fornita da un operatore. La durata dell’attività è di 10 mesi.
Borse Lavoro disabili
Attivati, tramite bando, 16 tirocini di 500 ore
ciascuno in favore di soggetti disabili iscritti
al collocamento mirato provinciale
Azione finalizzata ad aumentare
le possibilità d’inserimento
lavorativo per i soggetti disabili
iscritti al collocamento mirato
provinciale
Circa 100 utenti contattati.
44 interessati all’iniziativa.
28 hanno concluso il percorso,
di cui 21 hanno conseguito la
patente. 14 stanno attualmente
lavorando
Azione finalizzata a aumentare
le possibilità d’inserimento
lavorativo di soggetti disabili
mediante la concessione di un
contributo di trasporto di massimo 300 euro
Implementazione dell’Osservatorio disabili
Avviso pubblico per un massimo
di 20 contributi da 300 euro ciascuno. 8 soggetti hanno aderito
all’iniziativa e hanno conseguito
il contributo
Sostegno all’inserimento lavorativo rivolto a soggetti disabili
Dei 16 partecipanti 1 è stato
assunto e 8 hanno ottenuto una
proroga del tirocinio. A inizio
2008 si verificherà quanti sono
ancora occupati
3 hanno conseguito il patentino
Ecdl
2.0
3.0
4.0
5.0
6.0
7.0
7.0 bis
198
Attivazione di moduli professionalizzanti per
donne in difficoltà occupazionale.
Corso patente Ecdl per 15 donne disoccupate iscritte presso i Cpi della Provincia.
L’iniziativa, messa a bando, ha visto
l’attivazione del suddetto corso della durata
di 100 ore
Lista di mobilità.
Interventi di promozione per lavoratori
inseriti nella lista di mobilità del CPI di
Castiglione d/S
Corso per donne in difficoltà
occupazionale, finalizzato a
facilitarne il reinserimento
lavorativo
L’obiettivo prioritario di questa
azione è stato quello di favorire
ulteriori possibilità di match
domanda-offerta per i lavoratori
iscritti alla lista di mobilità
Borse lavoro per disoccupati over 40 anni.
Attivate n. 20 borse lavoro per
soggetti disoccupati over 40
I edizione.
Iniziativa, messa a bando, finalizzata a rein- iscritti presso Cpi della Provincia
serire nel mondo del lavoro n. 20 soggetti
disoccupati over 40 iscritti presso il Cpi
della Provincia
Borse lavoro per disoccupati over 40 anni.
Attivate n. 10 borse lavoro per
II edizione
soggetti disoccupati over 40
Iniziativa, messa a bando, finalizzata a rein- iscritti presso Cpi della Provincia
serire nel mondo del lavoro n. 10 soggetti
disoccupati over 40 iscritti presso il Cpi
della Provincia
Presi in carico 25 soggetti di
difficile ricollocazione (donne,
over 40, bassa scolarità, senza
particolari specializzazioni). 2
ricollocazioni.
45 contattati; 32 interessati; 20
selezionati; 19 hanno concluso
lo stage.
12 assunti + 6 proposte rifiutate,
per un totale di 18 potenziali
ricollocazioni su 20.
In fase di conclusione
8.0
9.0
Progetti di riqualificazione e outplacement
per lavoratori in mobilità e per disoccupati
di lunga durata. Attivato un corso OSS, tramite bando, in favore di disoccupati, lavoratori in mobilità e cigs dell’alto mantovano
Sicurezza e salute sul luogo di lavoro
10.0
Pubblicizzazione del piano provinciale
Attivato per le varie crisi che il
territorio sta affrontando soprattutto nell’ambito del settore
tessile
25 partecipanti. 16 hanno
conseguito il titolo di OSS. 12
ricollocati
Attivazione di un corso di formazione sulla sicurezza sul luogo
di lavoro
Interventi di sensibilizzazione e
informazione sul territorio per le
attività del piano
Fonte: Provincia di Mantova
TABELLA 43. Riepilogo progetti capitolo regionale 908
PROGETTO
PARTECIPANTI AL CORSO OSS
Alfieri
Goal II – primo corso
Goal II – secondo
corso
27
28
25 (25F)
PARTECIPANTI CHE
HANNO CONSEGUITO
IL TITOLO
20 (1 M e 19 F)
22 (2M e 20 F)
Il corso è partito a
novembre 2007
RICOLLOCATI
10
15
Fonte: Provincia di Mantova
I progetti in avvio
Il referente provinciale intervistato, contattato telefonicamente nel febbraio 2008, ha dichiarato
di non avere ancora presentato il piano 411. (è possibile?)
d) Osservazioni conclusive
La Provincia di Mantova si caratterizza per le scelte selettive che ha compiuto nell’identificazione dei destinatari degli accordi sugli ammortizzatori sociali in deroga: non è stata prevista
la mobilità in deroga e, nonostante sia stato previsto nell’accordo, gli ammortizzatori in deroga
non vengono di fatto utilizzati nelle aziende sopra i 15 dipendenti.
e) Allegati
Situazione socio-economica
1. “Valore e dinamiche evolutive del sistema produttivo mantovano. Rapporto economico provinciale 2006” a cura del Servizio Studi e Informazione Statistica Economica – SIE, con la
collaborazione dell’Istituto “Guglielmo Tagliacarne”.
Politiche passive
2. Accordo Mn 13.07.05
199
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
3.
4.
5.
6.
7.
Accordo Mn 09.02.06
Accordo Mn 21.09.06
Codici Ateco Mn
Procedura Cigs
Procedura Mobilità
Politiche attive
8. Piano politiche del lavoro 2004-2005
9. Riepilogo sintetico azioni piano provinciale 2004/2007 Fno, progetti capitolo regionale 908
e monitoraggio amm. in deroga al 30/novembre 2007 (in cartaceo)
Intervista
10. Report intervista dott. Bellini del Servizio Lavoro della Provincia di Mantova, 4 dicembre
2007
3.1.8. Milano
a) La situazione socio-economica
Le osservazioni riportate in questo capitolo sono da riferirsi integralmente al Rapporto prodotto
dalla camera di Commercio di Milano nel 2007. Crediamo sia importante evidenziare di questo
alcuni indicatori, direttamente citati dal rapporto stesso, che non richiedono alcuna interpolazione da parte nostra. Per il Rapporto nella sua interezza, si rimanda l’allegato.
Tutti gli indicatori volgono al bello. La produzione manifatturiera, trainata dalla domanda estera,
mette a segno un’ottima performance in termini tendenziali (+3%, ben superiore al +1,6% del
primo trimestre del 2005, quando il ciclo ha iniziato a svoltare).
La crescita riguarda indistintamente tutti i settori monitorati e si estende all’artigianato di
produzione, invertendo la parabola discendente che aveva caratterizzato questo comparto negli
ultimi anni.
Luci e ombre caratterizzano invece la dinamica del settore del commercio al dettaglio: l’aumento
delle vendite (+1,3% contro il +0,6% del 2005) è infatti sostenuto esclusivamente dal fatturato
della grande distribuzione (con i piccoli e medi esercizi in evidente affanno) e dalla crescita dei
consumi alimentari (mentre diminuiscono, seppure di poco, quelli non alimentari).
Una nota particolarmente positiva per un’economia terziaria come quella milanese proviene
infine dalla sostenuta ripresa del volume di affari del settore dei servizi (+2,8%), che giunge
dopo un triennio decisamente negativo.
Nel 2006 prosegue la crescita del sistema imprenditoriale milanese, seppure con un ritmo
(+1,4% delle imprese attive) che risulta inferiore, anche se di poco, a quello dell’anno precedente (+1,6%), ma pur sempre superiore alla media lombarda (+1,3%) e soprattutto nazionale
200
(+0,8%). Un contributo di crescente importanza alla dinamica imprenditoriale proviene da
soggetti sino a non molto tempo addietro scarsamente considerati o del tutto assenti: le donne
imprenditrici e gli immigrati imprenditori.
Le imprese femminili (20% del totale e fortemente concentrate nelle attività terziarie) registrano
un tasso di sviluppo (2,4%) quasi doppio rispetto a quello dell’intero sistema economico. Ancora
più elevata è la crescita (11%) delle microimprese gestite da immigrati provenienti dai paesi
poveri o in via di sviluppo, che rappresentano quasi il 13% di tutte le imprese individuali attive
nell’area milanese (contro la media nazionale del 7% circa). Si accentuano così quelle caratteristiche di apertura, pluralismo e capacità di integrazione, che costituiscono storicamente un
tratto peculiare della realtà milanese.
Anche il mercato del lavoro, analogamente alla demografia delle imprese, presenta nel 2006
una dinamica positiva (+1,9% degli occupati), ma in decelerazione rispetto a quella degli anni
precedenti (+2,5% nel 2005 e +3,8% nel 2004) caratterizzati dalla stagnazione.
Crescita economica e crescita dell’occupazione tornano a combinarsi positivamente tra loro, il
che potrebbe costituire un fattore di maggiore stabilità per il proseguimento della stessa ripresa
produttiva. Le principali componenti del mercato del lavoro milanese registrano andamenti
piuttosto differenziati: l’occupazione femminile (+3,7%) cresce più nettamente di quella maschile (+0,6%), mentre all’aumento degli occupati dipendenti (+3,2%) si accompagna la contrazione di quelli indipendenti (-2,1%). La crisi del lavoro autonomo, che perdura da due anni,
sembra riguardare soprattutto le attività di tipo tradizionale (come il piccolo commercio al
dettaglio), per le quali si riscontra anche una più elevata mortalità imprenditoriale. In termini
settoriali, sono ancora una volta i servizi (+3,1%) a trainare la crescita dell’occupazione.
Si avvertono inoltre segnali, seppure assai contenuti, di un minor ricorso ai contratti lavorativi
a tempo determinato, che continuano comunque a rappresentare la modalità di ingresso nel
mercato del lavoro maggiormente diffusa (costituendo il 65% degli avviamenti). Il mercato del
lavoro milanese è già da oggi sostanzialmente allineato gli obiettivi occupazionali previsti dalla
strategia di Lisbona per 2010 (tasso di occupazione totale del 70%, tasso di occupazione femminile del 60%, tasso di disoccupazione del 4%). Anzi, Milano si posiziona leggermente oltre
per quanto riguarda il tasso di occupazione femminile (60,5%) e quello di disoccupazione
(3,9%), ormai assestato su un valore fisiologico, mentre è ancora di poco sotto (68,1%) come
tasso di occupazione complessivo.
Secondo i dati dell’indagine annuale Excelsior realizzata dalle Camere di Commercio, nel 2006 aumenta la propensione delle imprese milanesi a richiedere lavoro dipendente qualificato. Cresce infatti, sul totale delle assunzioni previste, l’incidenza delle professioni a maggiore contenuto di
conoscenza (dal 30,7% del 2005 al 31,1% del 2006), dei laureati (dal 19,1% al 19,6%) e dei diplomati (dal 37% al 41%). Sotto il profilo della qualità della domanda di risorse umane espresse dal
mondo delle imprese, Milano è nettamene all’avanguardia nel confronto con il Paese. Il peso che
l’area milanese occupa sul totale delle assunzioni previste a livello nazione (poco più dell’8%) è in-
201
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
fatti di gran lunga inferiore a quello detenuto in termini di professioni high skill (16%), un peso che
aumenta ulteriormente se si considerano le sole professioni relative alla ricerca e progettazione (21%
circa) o quelle addette all’innovazione produttiva e organizzativa (19%). 4.756 e portano il totale a
quota 342.766 unità. In termini percentuali questo si traduce in una variazione dell’1,4%, in leggera
diminuzione rispetto a quella fatta registrare lo scorso anno (1,6%), ma comunque superiore al dato
regionale (1,3%) e quasi doppia rispetto a quello nazionale (0,8%).
L’andamento descritto viene in parte confermato dai dati sulle imprese attive del primo trimestre del
2007, che indicano una variazione tendenziale, calcolata sul primo trimestre dello scorso anno, del
+0,1% e una congiunturale, calcolata sull’ultimo del 2006, del –1,5%. L’analisi dei flussi di imprese
iscritte e cessate e dei relativi tassi demografici evidenzia nel 2006 una ridotta vivacità della dinamica
imprenditoriale. La stessa si esplicita nella contrazione del saldo tra iscritte e cessate (da 6.030 a
4.855 unità), determinato in parte dall’aumento del 3,4% delle imprese cessate rispetto alle 24.218
del 2005 (pari a 25.179 unità nel 2005) e dalla lieve diminuzione di quelle che si sono iscritte nell’anno
(30.034 unità rispetto alle 30.248 del 2005). Questo ha determinato la leggera contrazione del tasso
di natalità ed un analogo incremento di quello di mortalità, i quali nel complesso hanno inciso sulla
riduzione del tasso di crescita (da 1,4% a 1,1%). Tali andamenti si riscontrano in maniera simile nei
diversi comparti produttivi e risultano più accentuati in quello manifatturiero (circa –2,2%) rispetto a
quello dei servizi (-1%). Partendo da quello che ha il peso maggiore nel sistema delle imprese milanesi
(35,7%), quello dei cosiddetti servizi professionali alle imprese in senso lato, composto nel complesso
da 83.832 imprese, molto buona risulta la performance delle imprese che svolgono attività immobiliare
(5%); stabile su ritmi in moderata crescita rimane il settore dei servizi professionali alle imprese in
senso stretto (2,3%), e inverte in positivo la tendenza il settore dell’Informatica e delle sue attività
connesse (da –0,4% a 0,9%), sebbene cresca a ritmi ben lontani da quelli degli anni del boom della
net economy. Degno di nota è nel comparto anche il rafforzamento delle imprese che operano nella
Ricerca e sviluppo (4,9%). L’unica altra divisione che con l’informatica incrementa la sua crescita (da
0,3% a 1,1%) è quello degli Altri servizi pubblici, sociali e personali, mentre si ridimensiona considerevolmente (da 3,3% a –1,3%) quello dei Trasporti e della logistica.
Rallenta anche la crescita del settore delle imprese che operano nella ristorazione e nella ricezione
(da 3,5% a 2,7%) mentre al contrario crescono su livelli stabili quelle che svolgono Attività di Intermediazione monetaria e finanziaria (2,1%). Frena infine il Commercio (da 0,4% a –0,2%), senza
distinzione per le attività al dettaglio e quelle all’ingrosso. Per quanto riguarda il comparto manifatturiero, che è il settore storico del capoluogo lombardo in cui sono presenti quasi 49.000 imprese, è
importante sottolineare una diminuzione della contrazione fatta registrare lo scorso anno che, in una
situazione che non è certo brillante, appare come un segnale positivo. In particolare, sempre rispetto
allo scorso anno dove l’effetto della concorrenza internazionale era visibile proprio nella marcata riduzione registrata nell’ambito dei settori peculiari del tessuto produttivo milanese – come il sistema
moda, dell’arredamento e della meccanica - quest’anno sono proprio questi che contengono l’urto
della decrescita, facendo registrare segnali incoraggianti, seppur non forti abbastanza da invertire
la rotta.
202
Dall’Industria del legno (-3,3%) a quella dell’Abbigliamento (-0,8%) e del Tessile in generale (2,2%), così come a quella dei Prodotti di cuoio e della fabbricazione di articoli da viaggio (-1,5%), è
riscontrabile il dimezzamento dei valori ampiamente negativi dello scorso anno.
Secondo i dati ISTAT sulle forze di lavoro in provincia di Milano, gli occupati complessivi nel 2006 sono
risultati pari a 1.790.000 unità di cui 1.000.003 maschi e 787.000 femmine. Il confronto con il 2005
mostra un aumento occupazionale di 34 mila unità pari all’1,9% (inferiore al 2,5% realizzato nel
2005 rispetto all’anno precedente), tale crescita è stata trainata in modo meno significativo dalla
componente maschile (+6.000) rispetto a quella femminile (+28.000. Rispetto alla media del 2005,
infatti, il tasso di occupazione della popolazione in età lavorativa (15–64 anni) è cresciuto nel corso
del 2006 dell’1,4% (rispetto allo 0,7% del 2005 sul 2004) portandosi a 68,1%; tale crescita è stata
molto più robusta per la componente femminile (+2,3%) nei confronti di quella maschile (+0,5%) e
ha consolidato i due tassi che si sono portati rispettivamente al 60,5% e al 75,6%.
Secondo l’ultima rilevazione delle forze di lavoro, le persone che hanno cercato lavoro in provincia di
Milano nel corso del 2006 sono state 72 mila (5 mila in meno rispetto all’anno precedente, diminuzione quasi tutta a carico delle donne), con assoluta parità tra maschi e femmine. Dalla diminuzione
del numero dei lavoratori in cerca di occupazione discende la significativa riduzione del tasso di disoccupazione che è passato dal 4,2% del 2005 al 3,9% del 2006. In particolare, il tasso di disoccupazione della componente femminile ha subito una riduzione dello 0,6% mentre quello maschile solo
dello 0,2% riducendo ulteriormente la “forbice” esistente tra i tassi dei due sessi (da 1,4 a un punto
percentuale)».
Nel Piano di reimpiego della Provincia vengono presi in esame anche i dati relativi all’utilizzo
degli ammortizzatori sociali.
La stima dei lavoratori equivalenti in Cig nel 2006 risulta pari a 7.027 unità, di cui 2689 in Cig
ordinaria e 4.388 in gestione straordinaria. Rispetto all’anno precedente, viene rilevato un calo
generalizzato nel ricorso alla Cigs: -11,9%, con una diminuzione più significativa della Cig ordinaria (-20,8%) e una diminuzione più contenuta della gestione straordinaria (-5,4%). Il calo
riguarda più le figure impiegatizie (-20,5%) che non quelle operaie (-8,3%) e tocca soprattutto
il settore dei servizi (-40,3%); il settore dell’industria copre il 76,1% delle ore autorizzate.
Il lavoratori iscritti alle liste di mobilità al 31/12/2006 erano 18.929, dei quali 7.150 non destinatari di indennità. Rispetto alla stessa data del 2005, si evidenzia un calo dello 0,4%. L’eterogeneità delle caratteristiche personali dei lavoratori in mobilità fa escludere una correlazione
tra queste e la situazione di mobilità, da attribuire invece prevalentemente a scelte aziendali
(riduzione personale in esubero strutturale, cessazione di ramo d’azienda, processi di delocalizzazione ecc.). La metà circa di questi lavoratori si rivolge al Centro per l’impiego.
Il settore artigiano
Sempre dal rapporto citato, è possibile trarre informazioni interessanti circa l’andamento del
comparto artigiano in provincia di Milano.
203
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
L’artigianato milanese, dopo la performance negativa registrata nel 2005 (-0,1%), manifesta una
timida inversione di tendenza, con il numero delle imprese che è tornato a crescere, anche se in
maniera esigua (+0,3%). Certamente, il confronto con l’andamento complessivo del sistema imprenditoriale (+1,4%) evidenzia la maggiore difficoltà che gli artigiani e le microimprese affrontano in un
quadro congiunturale che, seppure in ripresa, presenta ancora alcune aree di problematicità. Il settore continua a occupare un ruolo importante all’interno dello scenario economico locale, contando
circa 93mila imprese, il 27% del totale delle operanti nella provincia e oltre un terzo di quelle artigiane lombarde. Tuttavia, la rilevanza dell’artigianato a Milano è la più bassa se confrontata con altre
aree della regione, dove la quota di tali imprese supera il 40%, come nel caso di Como, di Bergamo
e di Lecco.
Rispetto a quanto registrato nell’anno precedente, bisogna evidenziare il buon andamento del settore
edile che, per le sue caratteristiche - poche barriere d’ingresso, forte polverizzazione - e gli importanti
progetti infrastrutturali in corso, si conferma in crescita (+3,2%), contribuendo al complessivo risultato positivo del sistema artigianale milanese.
Diverso l’andamento delle attività manifatturiere che, in linea con il dato negativo del manifatturiero
totale, registrano una contrazione dell’1,8%, che tuttavia riduce le perdite registrate nel 2005 (2,7%). In lieve crisi, infine, anche i servizi, con un calo del numero delle imprese dello 0,9%.
Secondo i dati desunti dalla consueta indagine trimestrale relativa alla produzione industriale, il
quarto trimestre dello scorso anno si è chiuso con un incremento della produzione del 4,2% rispetto
all’analogo periodo dell’anno precedente e dell’1,7% rispetto al terzo trimestre, realizzando così una
crescita media annua per il 2006 pari al 3,6%.
Anche l’artigianato manifatturiero lombardo ha continuato nel processo di ripresa produttiva, sia
pure su ritmi inferiori a quelli delle imprese industriali. In presenza di questa dinamica complessiva
sostanzialmente positiva, le variabili relative al mercato del lavoro per il 2006 si sono palesate tutte
improntate alla crescita.
Di seguito si presentano i dati relativi alle imprese artigiane presenti in provincia di Milano.
TABELLA 44. Dati di sintesi relativi alle imprese registrate al Registro delle Imprese al 31.12.
Lombardia e Provincia di Milano (esclusa Monza e Brianza). Anno 2007 (valori assoluti e percentuali).
Totale imprese
Di cui artigiane
Peso artigiane/totale
Fonte: Infocamere
204
MILANO
LOMBARDIA
PESO % MILANO/
LOMBARDIA
280.067
809.144
34,61
70.984
271.016
26,19
25,35
33,49
TABELLA 45. Principali sezioni di attività economica delle imprese artigiane al 31.12. Provincia
di Milano (esclusa Monza e Brianza). Anno 2007 (Valori assoluti; ordine decrescente).
IMPRESE REGISTRATE
Costruzioni
Attivita’ manifatturiere
Trasporti,magazzinaggio e comunicaz.
Altri servizi pubblici,sociali e personali
Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca
Comm.ingr.e dett.;rip.beni pers.e per la casa
Agricoltura,caccia e silvicoltura
Imprese non classificate
Alberghi e ristoranti
Sanita’ e altri servizi sociali
Prod.e distrib.energ.elettr.,gas e acqua
Istruzione
Estrazione di minerali
Intermediaz.monetaria e finanziaria
Pesca,piscicoltura e servizi connessi
Serv.domestici presso famiglie e conv.
Totale
IMPRESE ISCRITTE
IMPRESE
CESSATE
V.A.
%
V.A.
V.A.
25.686
17.005
9.351
7.534
5.338
4.664
605
530
158
90
10
6
5
1
1
0
70.984
36
24
13
11
8
7
1
1
0
0
0
0
0
0
0
0
100
5.200
1.769
617
684
811
264
116
349
1
2
0
0
1
0
0
0
9.814
3.948
2.382
1.211
0
852
576
73
745
38
5
1
1
3
1
0
63
9.899
Fonte: Infocamere
b) Le politiche passive
Gli accordi
Il primo passo verso l’attivazione degli ammortizzatori in deroga in provincia di Milano è stato
compiuto il 2 aprile 2005, quando la Commissione Provinciale per le Politiche per il Lavoro ha
approvato la richiesta al Ministero del Lavoro di trattamenti di Cigs e mobilità in deroga a favore
di lavoratori operanti nel territorio provinciale e appartenenti alla filiera del tessile, abbigliamento e calzature, pellettieri e comparti affini. Il 20 aprile 2005 la Giunta Provinciale, con deliberazione n. 268/2005, ha autorizzato gli enti competenti a trasmettere al Ministero tale
richiesta. L’accordo governativo, richiesto dalla Legge finanziaria 2005, è poi stato sottoscritto
dalle parti interessati in data 13 luglio 2005 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed è stato successivamente reso attuativo dall’emanazione del Decreto interministeriale n.
37234 del 3 novembre 2005. Il 20 aprile 2006 si è insediato il gruppo di lavoro, emanazione
della Commissione Provinciale per le Politiche per il Lavoro e il 5 giugno 2006 ha svolto il primo
esame delle domande di Cigs pervenute.
Le politiche passive sono state a Milano particolarmente interessanti, soprattutto per l’entità
205
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
dello stanziamento derivato dagli accordi firmati, pari complessivamente a 48.750.000 euro (di
cui erogati 12 milioni). E, situazione che contraddistingue la Provincia di Milano dalle altre della
Regione, per non avere allargato al settore manifatturiero nel suo insieme i benefici derivati60.
Le aziende del settore tessile hanno assorbito tutte le risorse a disposizione. Nei dati non figura,
perché viene gestita a livello regionale, ma una parte significativa delle risorse è stata assorbita dalla
Manifattura di Legnano, che è una grande industria del settore tessile. È stata una scelta largamente
condivisa con le parti sociali.
Sia per la Cigs che per la mobilità, sono richiesti almeno 12 mesi di effettiva attività nel settore
e un’anzianità lavorativa nell’azienda non inferiore a 90 gg. La durata del trattamento di Cigs
non può essere inferiore a una settimana e può raggiungere i 6 mesi, prorogabili per altri 6. La
durata della mobilità, per lavoratori under 50 è pari a 12 mesi, per lavoratori over 50 raggiunge
i 24 mesi.
Il ruolo delle parti sociali e istituzionali
I funzionari provinciali intervistati sottolineano l’importanza della partecipazione delle parti
sociali alla programmazione delle politiche del lavoro.
Le parti sociali vivono quotidianamente e operativamente la realtà territoriale, svolgono il ruolo di
collante tra le istituzioni e il mondo del lavoro. Le istituzioni devono rappresentare il momento di
sintesi delle esigenze che arrivano dai rappresentanti dei lavoratori e degli imprenditori. Il ruolo delle
parti sociali deve essere un ruolo di cerniera, un ruolo propositivo, che lega la pubblica amministrazione al mondo del lavoro. È importante perché è un mix equilibrato, necessario per costruire politiche
del lavoro. Progettare in modo unilaterale da parte della pubblica amministrazione senza tenere in
considerazione le esigenze che arrivano dal mondo del lavoro significherebbe impostare un sistema
che non ha alcuna congruenza con la realtà. Questo tipo di confronto è positivo, soprattutto se le parti
poi rispettano i ruoli, non bisogna prevaricare né da una parte né dall’altra. La pubblica amministrazione deve essere capace di rappresentare un momento di sintesi rispetto a queste diverse esigenze.
Le procedure
Di seguito si illustra l’iter di concessione e le procedure per la Cigs in deroga:
• l’azienda deve consegnare in Provincia:
• la richiesta di esame congiunto, con eventuale accordo sindacale (da inviare anche all’associazione di categoria, se l’azienda è iscritta, alle organizzazioni sindacali dei lavoratori
60 Le citazioni si riferiscono alle interviste al dott. Zingale, Servizio Crisi Aziendali, realizzata il 4 ottobre 2007 e alla dott.ssa Pinoschi, Direttore Settore Politiche del Lavoro, realizzata in data 11 dicembre 2007.
206
territorialmente competenti e all’Agenzia regionale per il lavoro della Lombardia)
• la domanda di trattamento di integrazione salariale straordinaria in deroga (con allegato
eventuale accordo sindacale tra le parti, in assenza di accordo sindacale la Commissione
tecnica di valutazione sarà sede di accordo tra le parti)
• la domanda di trattamento Cigs in deroga
• la Provincia di Milano riceve le domande delle aziende per l’esame congiunto e convoca la
Commissione tecnica di valutazione che valuta l’ammissibilità delle richieste, redige e firma
il Verbale di consultazione (di cui invia copia alla Dpl)
• la Dpl esamina la regolarità delle domande, emette il provvedimento di ammissione ai beneficiari e autorizza l’Inps al pagamento; informa tempestivamente la Commissione tecnica
di valutazione e invia copia della pratica all’Inps
• il pagamento dell’indennità è a cura dell’Inps o direttamente dell’azienda
• le imprese devono comunicare all’Inps entro il 10 del mese successivo l’effettivo utilizzo, ai
fini del monitoraggio della spesa
• l’Inps deve fornire rendicontazione del finanziamento erogato alla presidenza della Commissione tecnica di valutazione
Per quanto riguarda la mobilità:
• la domanda viene presentata direttamente alla Dpl e all’Inps di residenza
• il lavoratore si rivolge al Cpi e dopo l’inserimento formale in lista di mobilità, compila l’apposito modulo da inoltrare alla DPL unitamente alla certificazione di avvenuto inserimento
in lista di mobilità.
• il lavoratore inoltra la domanda alla sede INPS di residenza, con l’allegata certificazione di
avvenuto inserimento in lista di mobilità rilasciata dal Centro per l’Impiego competente e
per conoscenza alla DPL
• l’Inps eroga l’indennità
• il Cpi si occupa del monitoraggio delle istanze
I dati di monitoraggio
Le tabelle seguenti sintetizzano i dati disponibili relativi all’utilizzo degli ammortizzatori sociali
in deroga nel biennio 2006-2007. Il dato interessante riguarda la disaggregazione dei dati tra
imprese artigiane e industriali.
Nonostante la campagna pubblicitaria attraverso televisione, stampa e siti web, le domande
pervenute nei primi mesi dell’avvio sono state estremamente esigue, al punto che il 13 luglio
2006 si è svolto un tavolo provinciale tematico tra Parti sociali provinciali e Provincia, nell’ambito del quale, così come concesso dalla Legge Finanziaria 2006, la Commissione Provinciale
per le Politiche per il Lavoro ha deliberato di destinare larga parte delle risorse stanziate nel
2005 (10 milioni di euro su 12) per programmi di reimpiego relativi alle politiche attive. Il ridotto
utilizzo delle azioni attivate viene attribuito dalla Provincia ai ritardi nell’emanazione dei decreti
207
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
ministeriali attuativi e conseguentemente nell’attivazione delle procedure attuative, nonché al
ridimensionamento della crisi che aveva colpito il settore tessile.
TABELLA 46. Mobilità in deroga 2006-2007
Imprese artigiane
Piccole industrie
Industrie
Totale
N. IMPRESE
LAVORATORI COINVOLTI
16
51
7
26
49
17
98
SETTORE
Abbigliamento
6
Confezioni
2
Maglieria
1
Tessile
7
Abbigliamento
1
Conceria
1
Tessile
4
Legno e arredamento
1
Abbigliamento
2
Confezioni
1
Cuoio e pelle
2
Maglieria
1
Tessile
20
166
Fonte: dati amministrativi provincia di Milano
TABELLA 47. Cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga
Imprese artigiane
Industrie
Totale
N. IMPRESE
LAVORATORI COINVOLTI
5
36
2
7
Fonte: dati amministrativi provincia di Milano
208
36
72
SETTORE
Confezioni
2
Stireria
2
Ricamificio
1
Confezioni abbigliamento
1
Produzione filati elastici
1
c) Le politiche attive
I progetti realizzati
La provincia ha iniziato la propria attività nel campo delle politiche del lavoro il 1 marzo 2004
con il Fondo nazionale per l’occupazione.
Le azioni previste sono state tre, per un finanziamento complessivo di 3.718.421 euro.
• Azione A. Supporto alla gestione delle crisi aziendali, attraverso azioni di outplacement. A
questa azione sono stati destinati complessivamente 2 milioni di euro, di cui 1 milione e
200mila a aziende che abbiano attivato le procedure di cui agli artt. 4 e 24 Legge 223/91 e
800mila ad aziende che facciano ricorso all’art. 4 comma 1 Legge 236/93. I massimali di
spesa sono fissati a 2.200 euro pro capite e 380mila euro a progetto
• Azione B. Incentivi all’assunzione, con contratto a tempo indeterminato o determinato della
durata non inferiore a 9 mesi, di disoccupati e disoccupate di età superiore a 45 anni. Sono
destinati all’azione complessivamente 1.560.000 euro. La tabella successiva riepiloga l’ammontare degli incentivi per tipologia di assunzione.
TABELLA 48. Incentivi per tipologia di assunzione
TEMPO INDETERMINATO
FULL TIME
Over 45
Over 50
TEMPO INDETERMINATO
PART TIME
TEMPO DETERMINATO
FULL TIME (9 MESI)
TEMPO DETERMINATO
PART TIME (9 MESI)
Donne
2.250,00 euro
In % sulla base del
monte ore definito
2.050,00 euro
In % sulla base del
monte ore definito
Uomini
2.100,00 euro
In % sulla base del
monte ore definito
1.900,00 euro
In % sulla base del
monte ore definito
Donne
4.000,00 euro
In % sulla base del
monte ore definito
2.050,00 euro
In % sulla base del
monte ore definito
Uomini
3.500,00 euro
In % sulla base del
monte ore definito
1.900,00 euro
In % sulla base del
monte ore definito
Fonte: Avviso per la realizzazione di interventi a valere sul Fondo Nazionale per l’Occupazione
• Azione C. Promozione dell’occupazione per soggetti ristretti nella libertà, per incentivare
l’occupabilità di soggetti ammessi a regime esterno ed ex detenuti. Sono stati destinati
all’azione complessivamente 158mila euro. L’azione ha previsto stage della durata di 3-6
mesi, con borsa lavoro al tirocinante di massimo 300 euro al mese e massimo 150 euro al
mese al soggetto promotore per il tutoraggio (più 50 euro al massimo al mese per organizzazione e spese amministrative); in caso di assunzione alla fine del tirocinio, è stato previsto
un incentivo all’azienda di 500 euro.
Di seguito, si riportano delle tabelle di sintesi dei risultati ottenuti nell’ambito di questo progetto.
209
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TABELLA 49. Riepilogo assunzioni nell’ambito del Fno
N. LAVORATORI PRESI IN CARICO
AZIONE A
N. DISOCCUPATI ASSUNTI AZIONE B
N. TIROCINANTI AZIONE C
Azione A – supporto alle
crisi aziendali
Azione B – incentivi
assunzione disoccupati
over 45
Azione 5 – promozione
occupazione persone
ristrette nella libertà
Totale
CONTRATTI A TEMPO
INDETERMINATO (INCLUSE
TRASFORMAZIONI DA
TEMPO DETERMINATO)
CONTRATTI A TEMPO
DETERMINATO (AZIONE A 6-12
MESI, AZIONE B 9-18 MESI,
AZIONE C 3-12 MESI)
1006
162
408
742
604
138
59
3
10
1807
769 (42,5%)
556 (30,8%)
Oltre al Fno, anche in provincia di Milano è stato attivato il programma Pari, destinato a persone
iscritte alla lista di mobilità non indennizzata ai sensi della legge 236/93, con età superiore ai
45 anni, non percettori di alcuna indennità di natura pubblica e non impegnati in alcuna attività
lavorativa, residenti in provincia di Milano e tutti i datori di lavoro privati con sede legale o unità
produttiva ubicate in provincia di Milano. Lo stanziamento complessivo è di 969.934,67 euro.
Le azioni previste per i lavoratori:
• iscrizione nel sistema provinciale Sintesi (scheda anagrafico professionale)
• colloquio info-orientativo finalizzato all’analisi delle esperienze professionali pregresse e
delle propensioni occupazionali
• servizio di incrocio domanda-offerta
Per i datori di lavoro:
• iscrizione nel sistema provinciale Sintesi
• servizio di preselezione per la ricerca di profili professionali indicati dai datori di lavoro interessati (non vincolante, le assunzioni possono essere anche nominative)
• erogazione di incentivo per ogni assunzione (vd tabella seguente), comprensivo di una quota
pro capite pari a 1.000 euro da utilizzarsi per dote formativa finalizzata all’adeguamento
professionale dei lavoratori/lavoratrici assunti.
• consulenza in materia di assunzioni agevolate
TABELLA 50. Incentivi per tipologia di assunzione
TEMPO INDETERMINATO
FULL TIME
TEMPO INDETERMINATO
PART TIME
Over 45
Donne
Uomini
2.250,00 euro
2.100,00 euro
In % sulla base del monte ore definito
In % sulla base del monte ore definito
Over 50
Donne
Uomini
4.000,00 euro
3.500,00 euro
In % sulla base del monte ore definito
In % sulla base del monte ore definito
Fonte: Avviso per la realizzazione di interventi a valere sul Fondo Nazionale per l’Occupazione
210
Il programma si è concluso il 30 settembre 2007; non sono ancora disponibili i risultati del
monitoraggio.
I progetti in avvio
Come si è detto, la Provincia di Milano ha presentato un Piano provinciale per l’attuazione di
programmi di reimpiego per disoccupati e disoccupate (L. 266/06 – art. 1 comma 411). Il piano
è destinato a lavoratori e lavoratrici, in Cigs, in mobilità senza indennità, con una priorità di
intervento rivolta ai destinatari degli accordi sugli ammortizzatori sociali in deroga (progetti di
emergenza), nonché agli over 45 e alle donne in reinserimento (progetti individuali).
A differenza di altre province, a Milano le politiche del lavoro sono state oggetto di una vera e
propria contrattazione circa l’ampliamento anche a lavoratori a tempo determinato.
Sono state ascoltate lungamente le parti sociali, sia sindacali che datoriali, c’è stata una posizione difficilmente conciliabile sul fronte delle tipologie contrattuali: da parte datoriale si
chiedeva che questi incentivi venissero dati anche per i contratti a tempo determinato, da parte
sindacale è stato chiesto che fossero premiate solo le aziende che avevano contratti a tempo
indeterminato. Penso sia stata la prima volta che si è arrivati a una vera e propria spaccatura.
In questa fase c’è una sensibilità molto più forte, ora tra finanziaria, welfare ecc. l’attenzione
della politica sulla questione del lavoro incide moltissimo. Da un lato, il sindacato compattamente che riteneva che il 411 fosse uno strumento per favorire una buona occupazione a tempo
indeterminato, dall’altro, le parti datoriali che sostenevano politiche che tenessero in conto la
diversificazione del mercato del lavoro nella Provincia di Milano. In prospettiva, questo non sarà
un problema, perché su tante altre questioni c’è pieno accordo. Sulla questione l’assessore
Provinciale ha deciso di aderire all’ipotesi proposta dai sindacati.
In merito a questa decisione, viene però ora sollevato qualche dubbio, viste le caratteristiche
del mercato del lavoro in provincia di Milano.
Personalmente, ritengo che in provincia avrei considerato anche i tempi determinati, perché è numericamente il dato più interessante. Mi è sembrato un errore in una Provincia come quella di Milano
(servizi, terziario, telecomunicazione, moda, turismo ecc.) non tenere conto della peculiarità contrattuale. Per esempio, esiste un fenomeno di grande diffusione di assunzioni a giornata nella zona nord
di Milano (Cologno Monzese), dove c’è Mediaset, oppure nella grande distribuzione (Corsico, Rozzano,
Carugate) e in questi casi la Provincia non può intervenire con politiche di sostegno. Abbiamo potuto
intervenire dove c’è una consolidata realtà industriale e produttiva, per esempio nel Cassanese.
Milano ha diversi mercati del lavoro e ha diversi decisori.
Le risorse disponibili, complessivamente pari a 9.684.342,59 euro, sono state così distribuite: il
30% per incentivi alle assunzioni e il 70% sostegno al reinserimento; di queste ultime, il 60% a
lavoratori di aziende con ammortizzatori e il 40% a lavoratori di aziende senza ammortizzatori.
211
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Sono altresì stanziati 860.000 euro a valere su fondi finanziari residui della Legge 236/93, finalizzati alla realizzazione di programmi di formazione e aggiornamento professionale nell’ambito
dei suddetti percorsi di ricollocazione.
Il Piano provincia adotta le indicazioni tecnico-operative regionali e introduce la gestione di un
nuovo sistema di regole di cui il Patto di servizio (con l’individuazione di un Tutor di percorso),
il Piano di intervento personalizzato e la Dote di servizio (del valore massimo di 2.500 euro, da
spendere entro 12 mesi) sono le componenti fondanti.
FIGURA 1. Diagramma di flusso programmi di reimpiego per disoccupati e disoccupate
Fonte: Piano provinciale per l’attuazione di programmi di reimpiego per disoccupate e disoccupati (L. 266/06 art. 1 comma 411), p. 17
212
Ai disoccupati che parteciperanno ai servizi di reimpiego verrà offerta la possibilità di partecipare ad attività riassumibili in tre macroaree: azioni di carattere orientativo, azioni formative,
azioni di reinserimento nel mercato del lavoro. Di seguito vengono riportate dettagliatamente le
azioni previste nel Piano.
FIGURA 2. Azioni previste nel piano di reimpiego
213
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
214
Fonte: Piano provinciale per l’attuazione di programmi di reimpiego per disoccupate e disoccupati (L. 266/06 art. 1 comma 411), p. 17
d) Osservazioni conclusive
Il problema più interessante sollevato dall’analisi delle politiche del lavoro in provincia di Milano riguarda l’inadeguatezza delle risorse dedicate agli ammortizzatori sociali e alle politiche
di reimpiego rispetto al più ampio problema della disoccupazione.
La Provincia di Milano ragiona su numeri imponenti: ci sono forti fenomeni espulsivi, per cui le risorse
degli ammortizzatori sociali sono una goccia nell’oceano. C’è poi la questione delle piccole imprese
che sfuggono ad ogni controllo: gli osservatori producono delle linee di tendenza ma non intercettano
le dinamiche reali. Dei 9.000.000 di euro che la Provincia di Milano ha a disposizione noi abbiamo
stimato che – così come è confezionato il tutto (dote ecc..) - in due anni possiamo coinvolgere
3.000/4.000 lavoratori nella migliore delle ipotesi. Nella Provincia di Milano c’è un flusso annuo di
44.000 disoccupati, che giungono ai nostri sportelli. Le cifre dicono quanto queste risorse siano del
tutto inadeguate. […] Il fatto è che le risorse sembrano tante, ma in realtà per la provincia di Milano
sono poche.
215
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Rispetto alla riforma degli ammortizzatori sociali e alla recente legge regionale sul mercato del
lavoro, viene apprezzata la sperimentazione, pur rilevando delle difficoltà legate alla scarsa
maturità degli enti accreditati e del sistema più in generale.
Un discorso intelligente che sta portando avanti la Regione è quello di spostare l’asse dalle politiche
per l’occupabilità a quelle per l’occupazione. Posizione un po’ forte, perché il mondo non è pronto
ancora per questa prospettiva: da una lato per il discorso che la rete non è ancora adeguata, dall’altro occorre un sistema di investimenti sui centri per l’impiego, sui quali si investe pochissimo. In
Emilia Romagna, per esempio, le imprese che hanno bisogno di monodopera si rivolgono al pubblico,
qui non è così. Chi entra nei centri per l’impiego viene “parcheggiato”. […] Senza entrare nel merito
dei giudizi occorre però dire che il mercato degli enti accreditati sul lavoro è molto meno maturo di
quello degli enti accreditati per la formazione. C’è il problema di creare un mercato che abbia una
storia: la rete degli operatori sul mercato del lavoro è in realtà una derivazione degli enti di formazione. Non siamo nella condizione di creare il sistema, le grandi imprese di ricollocazione non sono
interessate a partecipare, poiché c’è troppa burocrazia.
Viene poi sottolineata la necessità di una più ampia operazione culturale di sensibilizzazione
dei lavoratori alla riqualificazione professionale.
Le difficoltà derivano dal fatto che conciliare le esigenze dei lavoratori con quelle degli imprenditori
non è mai semplice. Poi il lavoratore spesso non capisce che la sua esperienza non è più congruente
con il reale e bisogna mettersi in gioco con nuove professionalità perché il mercato cambia. Noi apprezziamo con grande entusiasmo le risorse finanziarie della legge 236 perché permette di fare formazione in azienda. I problemi sono soprattutto con lavoratori prossimi alla pensione. La pubblica
amministrazione e parti sociali devono fare non solo una politica di concertazione, ma anche di
sensibilizzazione nei confronti dei loro associati. Oggi il lavoratore deve essere parte attiva, altrimenti
perde lo stato di disoccupazione.
Questo problema è particolarmente sentito nelle imprese artigiane.
Il mondo dell’artigianato ha molte difficoltà perché stiamo parlando di pmi. La grande impresa ha
delle sponde significative anche nelle parti sociali. Ad esempio, quando c’è stato il passaggio di
competenze dei centri per l’impiego, quando proponevo un tirocinio formativo non sapevano che cosa
fosse. L’azienda artigiana è spesso composta da marito moglie e figlio, magari un commercialista,
ma senza una visione strategica, una visione complessiva, che porta anche delle agevolazioni. Loro
non sanno nemmeno che hanno le agevolazioni per assumere la gente in cigs e in mobilità. L’ente
bilaterale deve fare un’azione forte di informazione, perché molti artigiani non conoscono le norme e
in questo modo si blocca lo sviluppo potenziale dell’artigianato. Le imprese artigiane non sono adeguatamente assistite nei processi giuridico amministrativi. Questo blocca lo sviluppo del settore,
anche perché il 95% delle aziende del territorio sono pmi.
216
Infine, un aspetto interessante della provincia di Milano riguarda, anche per le caratteristiche
territoriali del bacino di riferimento, l’attenzione alla dimensione locale delle politiche del lavoro.
Quello che si sta cercando di fare, è quello di portare la questione del lavoro la più vicino possibile ai
cittadini e questo è un fatto positivo. Le politiche attive devono analogamente adeguarsi alle esigenze
dei territori, ascoltando la rete delle imprese, per questo abbiamo collocato sul territorio delle nostre
agenzie. Abbiamo creato delle sub-aree da 400.000 abitanti.
e) Allegati
Situazione socio-economica
1. Camera di Commercio, 17° Rapporto Milano Produttiva 2007
Politiche passive
2. Accordo mi 13.07.05
3. Decreto mi 03.11.05
4. Accordo mi 12.12.05
5. Codici Ateco Mi
6. Procedura Cigs
7. Procedura Mobilità
8. Ammortizzatori sociali in deroga settore tessile (in cartaceo)
Politiche attive
9. Bando Pari
10. Bando Peg 2006
11. Progetti ammessi 2005 conclusi
12. Progetti ammessi 2005 in atto
13. Progetti ammessi 2006 in atto
14. Tabella riepilogativa delle diverse Tipologie di assunzione nell’ambito del Fno (in cartaceo)
15. Piano provinciale per l’attuazione di programmi di reimpiego per disoccupate e disoccupati
(L. 266/06 art. 1 comma 411)
Interviste
16. Report intervista dott. Zingale, Servizio Crisi Aziendali, 4 ottobre 2007
17. Report intervista dott.ssa Pinoschi, Direttore Settore Politiche del Lavoro, 11 dicembre
2007
217
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
3.1.9. Pavia
a) La situazione socio-economica
La congiuntura del settore manifatturiero
I dati che riportiamo fanno riferimento alle rilevazioni condotte dalla Camera di Commercio di
Pavia61 e ai dati amministrativi relativi ai Cpi presentati nel Piano di reimpiego del maggio
2007.. Da questi emerge un 2006 all’insegna dell’incremento produttivo generalizzato: in provincia di Pavia la produzione industriale sale per tutto l’anno 2006. Il 4° trimestre fa registrare
una variazione del +5,2% su base annua (dato corretto per i giorni lavorativi). Nella stessa
direzione va la crescita anche a livello congiunturale: la produzione cresce, nell’ultimo trimestre
del 2006, rispetto al terzo trimestre, dell’1,3% (dato destagionalizzato). L’indice della produzione industriale per la prima volta supera il livello medio del 2000, raggiungendo nel 4° trimestre 2006 quota 101. Anche la media annua dell’indice (98,5) corretto a parità di giorni
lavorativi mostra decisi segnali di ripresa, con un aumento del +3,8% rispetto al 2005.
Il mercato del lavoro
La struttura della domanda di lavoro non sembra subire particolari modifiche nel corso del 2006
rispetto a quanto evidenziato nel 2005. Si rileva un marcato incremento del numero di avviamenti (+17%), ed un più contenuto aumento del numero di cessazioni (+11,3%) registrati nei
due anni a confronto. Si conferma il trend positivo, già evidenziato in precedenza, relativamente
al saldo avviamenti / cessazioni sul territorio provinciale: 11211 unità registrate nel 2006 contro le 8093 unità del 2005. In relazione alla dinamica delle assunzioni per genere, permane un
forte divario a favore dei soggetti maschi, con il 58,5% degli avviamenti, contro il 41,5% a
favore delle femmine.
La struttura contrattuale rileva un’elevata applicazione dei contratti a tempo determinato
(63,9%), seguita dai contratti a tempo indeterminato (30,1%) e dai contratti di apprendistato
e formazione/inserimento (6%). La riforma del mercato del lavoro con l’introduzione di specifiche normative volte a rendere sempre più flessibile tale mercato, ha senza dubbio contribuito
ad innalzare la percentuale di utilizzo dei contratti a termine, con un incremento pari a circa il
21% rispetto al dato del precedente anno. Rilevante pure il peso dei contratti a tempo parziale
con una percentuale pari al 20,6% sul totale delle assunzioni, mentre molto bassa risulta la
percentuale di utilizzo dei lavoratori provenienti dalle liste di mobilità (1,2%).
La struttura della domanda di lavoro per comparto economico registra, nei periodi considerati,
61 Analisi congiunturale sull’industria e l’artigianato manifatturiero della Lombardia, condotta trimestralmente da Regione Lombardia, Unioncamere Lombardia e Confindustria Lombardia con la collaborazione delle Associazioni regionali dell’Artigianato (Confartigianato Lombardia, CNA Lombardia, Casartigiani Lombardia, CLAAI Lombardia), intervistando 1.621 aziende industriali e 1.472
aziende artigiane.
218
un certo incremento nel settore industriale. Il terziario si conferma comunque il settore trainante
dell’economia pavese, assorbendo da solo il 59,6% degli avviamenti, contro il 28,1% dell’industria ed il 12,3% dell’agricoltura. Permangono tuttavia fattori di criticità legati a specifici
settori produttivi quali il settore tessile e delle calzature nel suo complesso, attività dislocate
soprattutto nell’area del Distretto Vigevanese.
Sul versante dei lavoratori in stato di disoccupazione si riscontra, al 31/12/2006, un incremento
pari al 9,4% rispetto al dato del precedente anno. Tra i lavoratori iscritti si rileva una forte
presenza di genere femminile con età superiore ai 25 anni ed anzianità di iscrizione superiore
ai 12 mesi (40,9% sul totale iscritti).
Il basso tasso di scolarizzazione, associato ad una relativa dequalificazione del campione in
esame ed ai problemi tipici connessi all’attività extralavorativa di carattere famigliare sono le
principali cause che ostacolano il reingresso delle donne nel mercato del lavoro.
Elevato il numero dei lavoratori presenti nella lista di mobilità (9,7% sul totale iscritti), distribuiti per oltre il 50% nell’ambito territoriale della lomellina.
Il settore artigiano
Anche gli artigiani pavesi consolidano la ripresa produttiva, nel confronto anno su anno, guadagnando il +2,3% rispetto al 4° trimestre 2005. La media del numero indice (91) per il 2006
esprime una ripresa, sebbene ancora lontana dai valori del 2002 assunti come base (100),
migliorando la performance rispetto agli ultimi anni in cui il comparto è stato fortemente penalizzato.
Di seguito si presentano i dati relativi alle imprese artigiane presenti in provincia di Pavia.
TABELLA 51. Dati di sintesi relativi alle imprese registrate al Registro delle Imprese al 31.12.
Lombardia e Provincia di Pavia. Anno 2007 (valori assoluti e percentuali).
Totale imprese
Di cui artigiane
Peso artigiane/totale
PAVIA
LOMBARDIA
PESO % PAVIA/LOMBARDIA
44.635
809.144
5,52
15.738
271.016
5,81
35,26
33,49
Fonte: Infocamere
219
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TABELLA 52. Principali sezioni di attività economica delle imprese artigiane al 31.12. Provincia
di Pavia. Anno 2007 (Valori assoluti; ordine decrescente).
IMPRESE REGISTRATE
IMPRESE ISCRITTE
IMPRESE
CESSATE
V.A.
%
V.A.
V.A.
Costruzioni
7.284
46
1.214
615
Attivita’ manifatturiere
4.019
26
347
338
Altri servizi pubblici,sociali e personali
1.610
10
113
0
Trasporti,magazzinaggio e comunicaz.
1.049
7
62
88
Comm.ingr.e dett.;rip.beni pers.e per la casa
920
6
49
93
Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca
543
3
83
55
Agricoltura,caccia e silvicoltura
278
2
30
31
Imprese non classificate
15
0
44
108
Estrazione di minerali
9
0
0
2
Istruzione
5
0
0
0
Alberghi e ristoranti
3
0
0
2
Sanita’ e altri servizi sociali
3
0
0
0
Prod.e distrib.energ.elettr.,gas e acqua
0
0
0
0
Intermediaz.monetaria e finanziaria
0
0
0
0
Pesca,piscicoltura e servizi connessi
0
0
0
0
Serv.domestici presso famiglie e conv.
0
0
0
2
15.738
100
1.942
1.334
Totale
Fonte: Infocamere
b) Le politiche passive
Gli accordi
Nel primo accordo (8 febbraio 2005,che garantisce la copertura finanziaria all’accordo del 10
dicembre 2004), è stato scelto come ambito di riferimento per l’applicazione degli ammortizzatori sociali in deroga la filiera produttiva tessile, abbigliamento, calzature. La scelta è legata
alla crisi, in atto già da alcuni anni, del distretto della Lomellina. Proprio per il ruolo rilevante
del distretto vigevanese e lomellino, una singolarità di questa Provincia è rappresentata dalla
firma dell’accordo da parte del sindaco di Vigevano, che ha giocato un ruolo istituzionale particolarmente rilevante nella stipula e poi nel monitoraggio dell’accordo.
L’accordo riguarda l’erogazione della cassa integrazione straordinaria in deroga alle aziende
artigiane e alle imprese industriali fino a 15 dipendenti e alle imprese industriali con più di 15
dipendenti che non possono ricorrere alla legge 223/91 e/o ai contratti di solidarietà e della
220
mobilità in deroga ai lavoratori licenziati dopo il 1 gennaio 2005.
Il limite di spesa è pari a 15 milioni di euro, a valere sul Fondo nazionale per l’occupazione.
Nel successivo accordo del 26 giugno 2006, pur mantenendo la limitazione nell’applicazione
dell’accordo alla filiera produttiva tessile, abbigliamento e calzature (TAC), si conviene che ai
medesimi provvedimenti possano avere accesso anche le imprese industriali e artigiane che
svolgono attività produttiva di fornitura o sub-fornitura di componenti, di supporto o di servizio,
a favore di imprese operanti nei suddetti settori il cui fatturato relativo agli stessi sia almeno
pari al 10%. Si richiede poi una proroga degli interventi fino al 31/12/2007, per un ammontare
complessivo dei trattamenti prevedibilmente compreso nel limite di 10 milioni di euro.
Infine, con l’accordo territoriale del 5 ottobre 2006 si richiede la destinazione della somma di
euro 4 milioni per l’attuazione dei programmi di reimpiego.
Il ruolo delle parti sociali e istituzionali
A fronte di una situazione imprenditoriale sostanzialmente dinamica, si registra a livello istituzionale una sorta di iato tra le possibili aree di intervento che la Provincia come ente potrebbe
intraprendere e quanto viene di fatto messo in opera (anche a livello di struttura). La Provincia
di Pavia è esclusa dalla gestione diretta delle politiche passive del lavoro, pur partecipando al
tavolo territoriale riunito nel Comune di Vigevano.
La scelta che ha portato a questa situazione è stata dettata dal desiderio di snellire tutto il
processo. Il funzionario provinciale intervistato62 sottolinea come l’intento della procedura implementata è stato quello di ridurre quanto più possibile i tempi di erogazione dei finanziamenti.
Nonostante le intenzioni, vengono però rilevate alcune difficoltà: la comunicazione diretta delle
richieste da parte delle aziende all’Inps permette di saltare alcuni passaggi burocratici, ma poi
l’Inps procede più lentamente rispetto ad altre province, perché non dispone della valutazione
preliminare delle richieste realizzata dal tavolo di concertazione.
Le procedure
Come si è visto, c’è un rapporto diretto per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali in deroga
tra l’azienda che fa domanda, rappresentata da un’ associazione di categoria, e l’INPS che è
l’erogatore dei contributi. Le domande e i flussi finanziari non passano dalla Provincia.
La domanda viene presentata dalle aziende, successivamente viene convocato un incontro
presso l’associazione di categoria. Durante questo incontro intervengono i sindacati e viene
sottoscritto l’accordo. Questo accordo viene mandato all’Inps e all’Agenzia Regionale del Lavoro;
alcune volte, a discrezione, vengono inviati in copia conoscenza alla Provincia. L’Inps ha il
compito di istruire la pratica e una volta validata può emettere il decreto e l’erogazione del finanziamento.
62 Dott.ssa Terulla, Servizio Politiche del Lavoro, 28 novembre 2007
221
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
I dati di monitoraggio
La mancanza di un osservatorio sulle crisi rende difficile la raccolta di dati sulla gestione degli
ammortizzatori sociali.
Gli unici dati disponibili sono quelli pubblicati nel Piano Provinciale di attuazione dei Programmi
di Reimpiego ex art.1 comma 411 della Legge 266/95, del maggio 2007 (nel documento non è
precisato il periodo di riferimento dei dati pubblicati).
TABELLA 53. Totale aziende beneficiarie degli ammortizzatori in deroga e numero dei dipendenti
AZIENDE
N. AZIENDE
TOTALE
DIPENDENTI
AZIENDE CESSATE
N. DIPENDENTI AZIENDE
CESSATE
Artigiane
Industriali
Totale
87
47
134
468
785
1253
6
6
12
35
48
83
Fonte: Piano Provinciale di attuazione dei Programmi di Reimpiego ex art.1 comma 411 della Legge 266/95, p. 10.
TABELLA 54. Distribuzione dei dipendenti per qualifica professionale
QUALIFICHE
DIPENDENTI
Dirigenti
Impiegati
Impiegati part-time
Operai
Operai part-time
Apprendisti
Totale
AZIENDE ARTIGIANE
AZIENDE
INDUSTRIALI
TOTALE
29
11
382
24
22
468
9
186
24
554
9
3
785
9
215
35
936
33
25
1253
Fonte: Piano Provinciale di attuazione dei Programmi di Reimpiego ex art.1 comma 411 della Legge 266/95, p. 10.
Come in altre Province, il funzionario provinciale intervistato rileva la sproporzione tra le richieste e l’effettivo utilizzo degli ammortizzatori: si stima che solo il 40% delle ore richieste vengano
poi utilizzate.
c) Le politiche attive
I progetti realizzati
La tabella seguente, tratta dal Piano Provinciale di attuazione dei Programmi di Reimpiego ex
art.1 comma 411 della Legge 266/95, presenta una sintesi dei progetti in corso al momento
della stesura del documento, nel maggio 2007. Come si può notare osservando la colonna relativa al periodo di svolgimento, quasi tutti i progetti, ad eccezione del Progetto Over 40 sul Fno,
sono oggi conclusi. Non sono ad oggi disponibili dati di monitoraggio sugli esiti dei progetti.
222
TABELLA 55. I progetti realizzati a livello territoriale
Fonte: Piano Provinciale di attuazione dei Programmi di Reimpiego ex art.1 comma 411 della Legge 266/95, p. 10.
I progetti in avvio
I progetti in avvio in Provincia di Pavia sono quelli presentati nel Piano Provinciale di attuazione
dei Programmi di Reimpiego ex art.1 comma 411 della Legge 266/95, la cui progettazione esecutiva è stata approvata nell’ottobre 2007 con delibera regionale.
In particolare l’impianto metodologico adottato per la gestione dei programmi di reimpiego
223
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
traduce, a livello operativo, i principi e le finalità contenute nella Legge Regionale n. 22/06.
Obiettivo dell’intervento di politica del lavoro è quello di promuovere e raggiungere l’occupazione
attraverso un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata non
inferiore a 12 mesi, o l’avvio di un percorso di autoimprenditorialità.
Ogni progetto individuale di reimpiego deve prevedere l’insieme di azioni che sviluppano la
condizione di “occupazione” (e, quindi, non solo di occupabilità) del singolo lavoratore.
I beneficiari sono individuati in via prioritaria nei destinatari delle concessioni previste dagli Accordi sugli ammortizzatori in deroga (40% del totale). Vengono altresì identificati come prioritari
degli interventi le seguenti tipologie di utenza: disoccupati ai sensi del D. Lgs. 297/02 e lavoratori
in trattamento previdenziale (30%); lavoratori coinvolti in particolari situazioni di crisi occupazionale ovvero in CIGS a zero ore o in mobilità individuati sulla base di accordi territoriali (30%).
La serie di servizi disponibili per il beneficiario è raggruppata all’interno di tre macrotipologie.
1. Elaborazione del Piano di Intervento Personalizzato (PIP): counselling orientativo o counselling psicologico per l’orientamento, bilancio di competenze professionale, bilancio attitudinale e di esperienze. Valore massimo del PIP: 500 euro.
2. Formazione: formazione individuale, formazione collettiva, formazione alla creazione di impresa, tirocini formativi/stage, ricerca attiva del lavoro, scouting aziendale. Valori massimi:
4.000 euro.
3. Inserimento lavorativo: assunzioni con contratto a tempo determinato (2mila euro), assunzioni a tempo determinato di durata non inferiore ai 12 mesi (1.500 euro), trasformazione
della tipologia contrattuale (500 euro), lavoro autonomo (2mila euro).
Data la composizione della dote lavoro, per ciascun beneficiario è stato previsto un valore massimo pari a ` 6.500.
Nel caso in cui il beneficiario sia disoccupato e non percettore di altre indennità è riconosciuta
una indennità economica pari a ` 1.500 per tutta la durata di partecipazione al programma
(300 euro omnicomprensive per un massimo di 5 mesi). I voucher di servizio per le spese di
viaggio, vitto e alloggio (pari a 1.500 euro) sono rivolti a beneficiari non disoccupati e percettori
di altre indennità che all’interno del proprio nucleo familiare abbiano figli di età inferiore ai 14
anni, anziani a carico non autosufficienti e/o con problemi di salute certificati dal medico curante o da servizi pubblici competenti, componenti in situazione di disabilità certificata.
Oltre alla Dote di cui è titolare il lavoratore, sono previsti finanziamenti a favore delle aziende
che assumono beneficiari rientranti nel target oggetto del Piano. L’incentivo è determinato in
base alla tipologia contrattuale ed è variabile in riferimento alle caratteristiche del lavoratore:
1.500 euro per assunzione a tempo indeterminato, 1.000 euro per assunzione a tempo determinato. Questi valori economici sono integrati da ulteriori importi nel caso di: persone di età superiore a 40 anni fuoriusciti dal mercato del lavoro (` 500), persone di genere femminile (`
500,00). Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, sarà riconosciuto anche l’importo di ` 500.
Il diagramma di flusso seguente declina insieme i servizi e gli strumenti di attuazione.
224
FIGURA 3. Diagramma di flusso
Fonte: Piano Provinciale di attuazione dei Programmi di Reimpiego ex art.1 comma 411 della Legge 266/95, progetto esecutivo, p. 7.
225
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
La Regione Lombardia ha assegnato alla Provincia di Pavia un finanziamento complessivo pari
a ` 3.810.806,29. Tale somma è ripartita nella seguente misura: ` 152.432, 25 per l’attività
di monitoraggio e valutazione del programma nella sua articolazione complessiva; `
3.658.374,04 per le politiche del lavoro.
Per gli incentivi a favore delle aziende che assumono lavoratori rientranti nel target dei beneficiari, si riserva una quota percentuale pari al 10% della somma complessiva destinata alle
politiche del lavoro, pari a ` 365.837,40. La quota restante, pari a ` 3.292.536,64, è destinata
al finanziamento delle doti lavoro integrate dalle indennità di partecipazione al programma.
Rapportando a tale valore l’importo massimo previsto per ciascuna dote lavoro, integrato dall’indennità di partecipazione al programma, è possibile stimare il coinvolgimento di 411 destinatari.
d) Osservazioni conclusive
Pavia si distingue dalle altre realtà provinciali soprattutto per l’assetto istituzionale nella gestione politiche passive. Il ruolo dell’istituzione Provincia è qui marginale: la Provincia si è in
fatti ritenuta non tanto ente privo di competenza, quanto piuttosto ente mediatore tra le parti.
Fin dal primo accordo, non è stato previsto alcun ruolo né per la Provincia, né per la Dpl. D’altro
canto, il Comune di Vigevano si è fatto parte attiva nella promozione dell’accordo sugli ammortizzatori sociali in deroga, pur non essendo destinatario istituzionale di politiche del lavoro;
questo ruolo dipende dal forte peso del distretto vigevanese e della lomellina nel mercato del
lavoro locale.
Questa situazione organizzativa è però oggi destinata a cambiare, alla luce del nuovo accordo
regionale sugli ammortizzatori in deroga.
e) Allegati
Politiche passive
1. Accordo pv 08.02.05
2. Accordo pv 26.06.06 (estratto)
3. Codici ateco pv
Politiche attive
4. Piano Provinciale di attuazione dei Programmi di Reimpiego ex art.1 comma 411 della Legge
266/95, maggio 2007
5. Piano Provinciale di attuazione dei Programmi di Reimpiego ex art.1 comma 411 della Legge
266/95, progetto esecutivo, ottobre 2007
Intervista
6. Report intervista telefonica dott.ssa Terulla, Servizio Politiche del Lavoro, 28 novembre
2007.
226
3.1.10. Sondrio
a) La situazione socio-economica
La situazione socio-economica della provincia di Sondrio risente innanzitutto della composizione
del tessuto produttivo, composto per lo più da piccole e piccolissime imprese, spesso a conduzione familiare. I comparti presenti sono principalmente quello del turismo e i settori quelli a
prevalenza artigiana, anche se non mancano aziende di altro tipo. Per ricavare le informazioni
sulla situazione economica della Valtellina e della Valchiavenna ricorriamo quindi alla presentazione dell’andamento congiunturale del terzo trimestre del 2007 e al rapporto presentato dalla
Camera di Commercio in occasione della quinta edizione della Giornata dell’economia, del 10
maggio 2007.
L’invecchiamento complessivo della popolazione appare a Sondrio leggermente inferiore a quello
regionale, anche se gli ultra-sessantacinquenni sono il 19,5% (5% gli ultraottantenni), mentre
la quota di popolazione giovanile (fino a 19 anni) rappresenta solo il 19,3 %. Il tasso riproduttivo
degli immigrati fa registrare un 2,6 % di incidenza sulla popolazione totale, contro la media
regionale del 7%.
Riguardo alla presenza di investimenti in ricerca-sviluppo e innovazione, si osserva una bassa
presenza di marchi, invenzioni, brevetti europei.
Natalità e mortalità delle imprese
Secondo la rilevazione periodica sulla nati-mortalità delle imprese italiane realizzata da Infocamere, nel terzo trimestre del 2007 lo stock delle imprese iscritte al Registro Imprese (17.121)
registra una lievissima flessione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (- 0,06%),
mentre le imprese effettivamente attive, che sono il 92,6% del totale, sono due unità in più rispetto al terzo trimestre 2006 (15.862). La stazionarietà complessiva del sistema imprenditoriale nasconde al suo interno una variazione negativa delle imprese individuali che, su base
annua, si riducono dello 0,37%, pur continuando a rappresentare la forma giuridica prevalente
(64,34%), compensata dal leggero incremento delle forme societarie, che, crescendo dello
0,64%, arrivano a rappresentare il 35,66 del totale. Il numero delle imprese iscritte nel trimestre
(172), pari a quello delle cessate, origina una saldo pari a 0.
Il saldo tra imprese iscritte e cessate è negativo nell’agricoltura (-16 unità), nell’industria
manifatturiera (-9 unità) e nelle attività terziarie (-4 unità), mentre è in pratica stabile il settore
del commercio (+1 unità); il più vivace si rivela quello delle attività turistiche (+6 unità).
Il settore delle costruzioni, nonostante la crisi estiva, cresce, su base annua, dell’1,86%, arrivando a contare, al 30 settembre 2007, 2.782 imprese, il 17,54% delle imprese attive. Anche le
attività terziarie, che con 3.027 imprese attive costituiscono il 19,8% dell’universo imprenditoriale provinciale, registrano un tasso di crescita tendenziale del 2,06%. Sono lo 0,6% in più
rispetto al terzo trimestre del 2006 le 1.499 imprese attive nel turismo, che costituiscono il
9,45% delle imprese attive.
227
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
In lieve calo (dello 0,45%) le imprese attive nell’industria manifatturiera, che conta, al 30
settembre 2007, 1.789 unità, pari al 11,28% del totale. Continua, anche questo trimestre, il
calo (-3,47%) delle imprese agricole, che arrivano a pesare, sul totale delle imprese, il 21,06%,
lo stesso peso fatto registrare dalle imprese attive nel settore commercio.
Le aziende non artigiane
I dati dell’analisi congiunturale sul settore manifatturiero, realizzata da Regione Lombardia,
Unioncamere Lombardia e Confindustria Lombardia con la collaborazione delle Associazioni
regionali dell’Artigianato, mostrano, rispetto al trimestre precedente, un leggero calo della produzione industriale (-0,13%), che rimane comunque in crescita rispetto allo stesso periodo
dell’anno precedente (+0,3%). Il ritmo di crescita di questo fattore, che dal 2002 è aumentato
di più del 10%, sta rallentando e la variazione annua, seppur positiva, è tra le più basse in
Lombardia.
Il tasso di variazione della produzione calcolato su base annua (+0,3%), si colloca infatti per
la provincia di Sondrio al di sotto della media regionale (+2,08%), mentre gran parte delle
province lombarde registrano un tasso di crescita tra l’1,70% e il 2,30%.
In leggero calo il fatturato, sia rispetto al trimestre precedente (-0,63%) che rispetto al terzo
trimestre 2006 (-1,52%).
Seppure i dati su fatturato e produzione mostrino un rallentamento del trend di crescita, l’indagine rileva segnali positivi con riferimento ad altri fattori. Crescono infatti la quota di fatturato
estero sul totale, si passa infatti dall’11,9% del secondo trimestre 2007 al 14,8% del terzo
trimestre, e gli addetti, +0,26% rispetto al trimestre precedente. Da segnalare anche la crescita
dello 0,98% dei prezzi delle materie prime, che non si ripercuote proporzionalmente sui prezzi
dei prodotti finiti, in aumento dello 0,22%.
Leggermente negativi i dati relativi agli addetti: la crescita del tasso di ingresso (2,60%), più
contenuta rispetto a quella del trimestre precedente, e l’incremento più accentuato del tasso di
uscita (3,47%), determinano un saldo negativo dello 0,87%. Rimangono tuttavia positive le
aspettative occupazionali per il prossimo trimestre, per il quale il saldo tra coloro che prevedono
una diminuzione e coloro che, al contrario, si aspettano una crescita, è a favore di questi ultimi.
Sono molti gli imprenditori che prevedono un aumento per domanda estera e produzione. Per
quanto riguarda l’andamento della domanda interna e degli ordini, la percentuale di imprenditori che guarda al prossimo trimestre con ottimismo è minore, ma comunque positiva. Se si
passa ad analizzare i flussi di commercio estero per paese di provenienza e destinazione, si nota
che l’80% dei paesi con cui la provincia di Sondrio ha rapporti commerciali si trovano in Europa,
mentre la restante quota si divide tra America (6,31% di export e 8,92% di import) e Asia
(5,66% di export e 6,83% di import), lasciando Africa, Oceania e altri territori tra i continenti
con la più bassa percentuale di valore di merci scambiate.
Tra le tipologie di prodotti trasformati e manufatti esportati, grande importanza è rivestita dal
228
settore meccanico, che rappresenta il 59,45% del totale. Nel dettaglio i manufatti principalmente esportati sono i prodotti in metallo (38,84%); si registra altresì una quota rilevante per
l’export di mezzi di trasporto (19,6%) e di macchine e apparecchi meccanici (13,49%). La rimanente quota risulta frammentata tra prodotti chimici, tessili, alimentari e altri.
I dati trasmessi dal Settore Turismo della Provincia sul secondo trimestre 2007, ancora provvisori, mostrano, per le località turistiche della provincia di Sondrio, un calo di presenze e arrivi
rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il calo più pronunciato si rileva nel mese di
maggio in cui gli arrivi, che si attestano a 10.875, calano del 31,5% rispetto allo stesso mese
del 2006 e le presenze, 21.500, del 28,9%. A causare la diminuzione partecipano in egual modo
italiani e stranieri, in calo, sia per gli arrivi che per le presenze, di circa il 30%.
Dati più confortanti sono invece quelli del mese di giugno; l’inizio della stagione estiva pare
essere andato meglio rispetto al mese di maggio. Il calo è, infatti, in questo caso meno pronunciato e gli arrivi, 26.154, diminuiscono solo dell’8% rispetto all’anno precedente. Se si analizzano invece i dati relativi alla località di Livigno, non viziati come nel resto della provincia dalla
mancata trasmissione dei dati da parte di alcuni esercizi ricettivi, la congiuntura turistica è
migliore. Dopo un primo trimestre con segnali positivi rispetto allo stesso periodo dell’anno
precedente, si passa ad un mese di aprile con un calo piuttosto pronunciato degli arrivi (19,5%) ed una sostanziale tenuta delle presenze (-1,2%). Nel mese di maggio riprende però a
crescere il flusso turistico (+1,6% per gli arrivi e +4,1% per le presenze), trend che prosegue
nel mese di giugno (+34,9% per gli arrivi e + 22,9% per le presenze). Questo andamento è
trainato dal forte aumento di arrivi e presenze straniere che crescono, nei mesi di maggio e
giugno, di più del 50% rispetto all’anno precedente.
Il settore artigiano
Mentre a livello regionale gli indicatori analizzati mostrano un rallentamento del comparto, i
dati, rielaborati dalla Camera di Commercio di Sondrio mettono in luce una crescita per l’artigianato manifatturiero locale, sia in termini congiunturali, sia rispetto all’anno precedente. In
controtendenza rispetto al dato negativo del periodo precedente, la produzione artigiana cresce
su base trimestrale dell’1,21%, crescita confermata anche su base annuale (+1,91%). L’indice
di produzione, che misura le variazioni della produzione rispetto ai dati 2002, considerati pari
a 100, ritorna leggermente al di sopra dei valori base dopo un trimestre in cui era sceso a 98,68.
Anche il fatturato aumenta, sia nella componente interna, che registra un aumento (+1,05%)
dopo sei mesi negativi, che in quella estera (+0,29%). Praticamente stazionari la quota di
fatturato estero sul totale del fatturato e gli addetti a fine trimestre, mentre si registra un aumento dei prezzi delle materie prime (+2,49%), che non si ripercuote proporzionalmente sui
prezzi dei prodotti finiti, che aumentano dello 0,79%.
Anche i dati tendenziali mostrano uno scenario positivo; ai valori della produzione già menzionati vanno a sommarsi gli aumenti degli ordini, sia nella componente interna (+8,02%) che in
quella estera (+8,14%) e dei giorni di produzione assicurata, che passano dai 33,37 del se-
229
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
condo trimestre ai 34,24 del terzo. In leggero calo il fatturato interno (-0,67%), mentre cresce
quello estero (+1,87%).
L’occupazione, che mostrava risultati sempre positivi a partire dal primo trimestre 2006, rivela
invece un aumento dei tassi di uscita e un calo di quelli d’ingresso, determinando così un saldo
negativo dell’1,1%.
Le aspettative per il prossimo trimestre rimangono tuttavia positive per l’occupazione: il saldo
tra chi prevede un aumento degli addetti e chi, invece, si aspetta una diminuzione, è positivo
(+9%). Rimangono positive anche le aspettative che riguardano la produzione: il saldo tra le
due posizioni è infatti in questo caso pari a 7,3%. Dopo trimestri in cui anche la domanda era
soggetta ad aspettative ottimistiche per il terzo trimestre 2007, si registra però una maggioranza di imprenditori che prevedono un calo sia della domanda interna che di quella estera, con
scenari più pessimistici per questa seconda variabile.
Di seguito si presentano i dati relativi alle imprese artigiane presenti in provincia di Sondrio.
TABELLA 56. Dati di sintesi relativi alle imprese registrate al Registro delle Imprese al 31.12.
Lombardia e Provincia di Sondrio. Anno 2007 (valori assoluti e percentuali).
Totale imprese
SONDRIO
LOMBARDIA
PESO % SONDRIO/
LOMBARDIA
15.658
809.144
1,94
Di cui artigiane
5.304
271.016
1,96
Peso artigiane/totale
33,87
33,49
Fonte: Infocamere
TABELLA 57. Principali sezioni di attività economica delle imprese artigiane al 31.12. Provincia
di Sondrio. Anno 2007 (Valori assoluti; ordine decrescente).
IMPRESE REGISTRATE
IMPRESE
ISCRITTE
IMPRESE
CESSATE
V.A.
%
V.A.
V.A.
Costruzioni
2.420
46
208
190
Attivita’ manifatturiere
1.349
25
66
76
Altri servizi pubblici,sociali e personali
490
9
39
0
Comm.ingr.e dett.;rip.beni pers.e per la casa
416
8
13
37
Trasporti,magazzinaggio e comunicaz.
410
8
13
33
Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca
139
3
11
17
Agricoltura,caccia e silvicoltura
51
1
3
10
Estrazione di minerali
15
0
0
1
4
0
6
24
Imprese non classificate
230
Istruzione
4
0
0
0
Alberghi e ristoranti
4
0
0
3
Sanita’ e altri servizi sociali
1
0
0
0
Intermediaz.monetaria e finanziaria
1
0
0
0
Prod.e distrib.energ.elettr.,gas e acqua
0
0
0
0
Pesca,piscicoltura e servizi connessi
0
0
0
0
Serv.domestici presso famiglie e conv.
Totale
0
0
0
0
5.304
100
359
391
Fonte: Infocamere
b) Le politiche passive
Gli accordi
Gli accordi che hanno permesso l’attivazione degli ammortizzatori sociali in deroga in provincia
di Sondrio sono stati due.
a) l’accordo del 6 febbraio 2006
In vista dell’accordo del giugno successivo, la Commissione provinciale unica per le politiche
del lavoro si è riunita per esaminare la situazione dei settori produttivi della provincia di Sondrio. Già in questo accordo si rileva la presenza di difficoltà in settori quali il tessile, il metalmeccanico ed elettrotecnico e l’insieme delle attività che afferiscono al settore
cooperativistico.
b) l’accordo del 27 giugno 2006
A Sondrio, l’accordo con il Ministero del lavoro è stato sottoscritto il 27 giugno 2006. I settori di
interesse per l’applicazione degli ammortizzatori sociali in deroga sono stati più numerosi dei
tradizionali tessile e meccano-tessile. Si tratta infatti di estendere questi benefici a settori (oltre
il tessile) quali metalmeccanici, elettrotecnico, chimico, cartario e alimentare.
Il ruolo delle parti sociali e istituzionali
Le Parti sociali e istituzionali che hanno sottoscritto l’accordo del 27 giugno 2006 sono le seguenti:
• L’agenzia del lavoro della regione Lombardia
• La Provincia di Sondrio, anche in rappresentanza dell’Unione industriali e dell’Unione artigiani
• Confcooperative
• La Cisl, a nome anche di Cgil e Uil
• Inps nazionale
• Italia lavoro.
231
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Ben più numerose le parti presenti all’accordo precedente quello siglato al Ministero (si veda il
documento).
Sottolineiamo qui solo la singolarità della presenza delle Parti sociali e istituzionali a Roma, che
agiscono in delega, mentre nelle altre situazioni le sigle sono sempre rappresentate singolarmente. È evidente la fiducia che reciprocamente queste parti condividono: la provincia è d’altra
parte territorialmente estesa ma poco popolata e quindi le situazioni sono ben conosciute da
tutti gli operatori economici, sociali e istituzionali.
Le procedure
Di seguito, viene presentata la procedura per accedere alla Cigs in deroga in provincia di Sondrio.
1. Richiesta di Cigs da parte dell’azienda. La richiesta deve essere presentata entro una settimana dalla firma dell’accordo sindacale effettuato presso l’Associazione di Categoria, con
comunicazione scritta su carta intestata dell’azienda, inviata mediante raccomandata con
ricevuta di ritorno. Allegati alla richiesta l’azienda dovrà inviare copia dell’accordo sindacale e elenco dei lavoratori per i quali si fa richiesta di Cigs in deroga. Tale comunicazione
deve essere indirizzata alla Provincia di Sondrio e per conoscenza all’Agenzia Regionale per
il Lavoro, alla Regione Lombardia, alle Organizzazioni sindacali e alle Associazioni di Categoria.
2. Convocazione dell’esame di consultazione da parte della Provincia. In occasione della convocazione mensile del Tavolo Tecnico vengono valutate le domande pervenute almeno 7 gg
prima della data di convocazione del tavolo tecnico. L’esame congiunto della richiesta dà
luogo a un verbale di consultazione che viene sottoscritto dai partecipanti e immediatamente inoltrato all’azienda da parte dell’amministrazione provinciale.
3. Presentazione domanda integrazione salariale a Dpl e per conoscenza Regione Lombardia e
Provincia. Dopo la ricezione del verbale di consultazione, qualora recante l’approvazione
della richiesta, l’impresa beneficiaria deve presentare alla Dpl di Sondrio domanda di trattamento di integrazione salariale straordinaria in deroga con relativi allegati al fine di ottenere il decreto di autorizzazione per la concessione al trattamento.
4. Presentazione domanda di erogazione trattamento Cigs in deroga all’Inps. Dopo la ricezione
del decreto di autorizzazione della Dpl, l’impresa beneficiaria deve presentare all’Inps la
seguente documentazione: domanda di trattamento straordinario Cigs in deroga, prospetto
pagamento diretto, elenco lavoratori beneficiari.
Procedura per accedere alla mobilità in deroga.
1. Richiesta di mobilità da parte del lavoratore. Il lavoratore interessato si deve recare al Cpi
di competenza entro 60 gg dal licenziamento e procedere all’iscrizione ordinaria. Deve consegnare copia della lettera di messa in mobilità ricevuta dall’azienda più modulo apposito
sempre compilato dall’azienda, con indicazione del codice Ateco.
232
2. Compilazione moduli Inps da parte del lavoratore. Il lavoratore deve compilare un modulo
apposito, da consegnare all’Inps e, in copia, al Cpi di competenza.
3. Il Cpi trasmette copia dei documenti ricevuti al Tavolo tecnico e invia l’iscrizione alla lista
236 in Regione Lombardia. Quando riceve dalla Regione Lombardia l’elenco aggiornato delle
iscrizioni alla lista di mobilità, lo trasmette al Tavolo tecnico.
4. Il Tavolo tecnico valuta le domande inserite nella lista almeno 7 giorni prima della data di
convocazione e trasmette gli esiti dell’istruttoria ai Cpi, alla Dpl e all’Inps.
I dati di monitoraggio
Non sono disponibili dati di monitoraggio. Dall’intervista telefonica alla dott.ssa Giugni, realizzata in data 11 ottobre 2007, è stato possibile ricavare il dato di spesa: pari a 22 mila euro sui
375 mila disponibili. Il dato evidenzia una difficoltà di spesa, legata alla scarsità delle richieste
da parte delle aziende, nonostante una buona pubblicizzazione degli interventi.
c) Le politiche attive
I progetti realizzati
L’unico progetto di Pal rispetto al quale sono disponibili informazioni è Pari, approvato dal Ministero in data 17 ottobre 2005. Il progetto ha coinvolto:
A. in maniera prioritaria, lavoratori iscritti alle liste della mobilità non indennizzata ai sensi
dell’art 4 della L. 236/93;
B. nel caso di risorse economiche residue, altri soggetti in difficoltà occupazionale (es. disoccupati di lunga durata; donne in reinserimento lavorativo)
Il Programma si è proposto di coinvolgere direttamente il sistema delle imprese, attivando una
serie di misure e di incentivi finalizzati all’assunzione di lavoratori percettori e/o non percettori
di altra indennità o sussidio legati allo stato di disoccupazione. Il programma prevedeva, inoltre, a cura dei Centri per l’Impiego, una serie di servizi alle imprese consistenti in: ricerca,
preselezione e selezione del personale; consulenza sul sistema di convenienze.
Per il presente avviso sono stati destinati a copertura degli oneri ` 77.183,89 a valere sulle
risorse assegnate dal Ministero del Lavoro per il Programma PARI, ripartiti nel modo seguente:
• ` 41.183,89 per gli incentivi all’assunzione, come indicato nel punto 2 lettera a)
• ` 36.000,00 per le doti formative, finalizzate ad azioni di adattamento delle competenze.
Non si hanno al momento dati di monitoraggio.
I progetti in avvio
Il referente provinciale intervistato, contattato telefonicamente nel febbraio 2008 per avere
aggiornamenti in merito alla predisposizione del piano provinciale 411 ci ha indirizzati al sito
internet della Provincia. A oggi (marzo 2008) non è ancora stato pubblicato il piano per le politiche attive.
233
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
d) Osservazioni conclusive
La richiesta di interventi sul territorio di Sondrio da parte di aziende in crisi è stata minima.
Dunque, la questione relativa agli ammortizzatori sociali lascia piuttosto indifferente gli operatori della Provincia, che la ritengono uno strumento le cui finalità sono, in linea teorica, molto
utili, ma che nella fattispecie del mercato del lavoro della Valtellina non trova grande richiesta.
e) Allegati
Situazione socio-economica
1. Camera di Commercio, Relazione sull’andamento economico della provincia di Sondrio
2006
2. Camera di Commercio, L’economia in provincia di Sondrio, nota congiunturale relativa al III
trimestre 2007
Politiche passive
3. Accordo so 06.02.06
4. Accordo so 27.06.06
5. Codici ateco so
6. Procedure so cigs
7. Procedure so mobilità
Politiche attive
8. Pari so avviso
9. Pari so progetto esecutivo
Intervista
10. Report intervista telefonica alla dott.ssa Giugni, Responsabile Servizio Formazione Professionale e Mercato del Lavoro della Provincia di Sondrio, realizzata in data 11 ottobre 2007.
3.1.11. Varese
a) La situazione socio-economica
La provincia di Varese, dal punto di vista economico e occupazionale, si presenta caratterizzata
da alcuni elementi, che emergono con sufficiente chiarezza dai documenti presentati nelle sedi
ufficiali. Facciamo soprattutto riferimento al Report presentato in settembre 2007, che illustra
l’andamento del mercato del lavoro63.
63
Provincia di Varese - Assessorato Lavoro e Politiche Giovanili – Settore Lavoro e Sociale – Osservatorio del Mercato del
Lavoro, Il mercato del lavoro in Provincia di Varese, Report 2006, settembre 2007.
234
I temi di maggior rilievo, ai fini soprattutto della presente indagine, e comunque riferiti all’andamento dell’economia in generale della provincia, sono riportati in nota. Qui ne prendiamo in
esame solo alcuni, che ci sembrano particolarmente interessanti per l’analisi degli ammortizzatori sociali in deroga e delle politiche attive del lavoro. In pratica, si tratta di comprendere
l’andamento dei diversi settori per capire in che direzione la Provincia si è mossa nell’andare a
individuare i settori di maggior bisogno e di maggior sostegno.
L’andamento demografico
In provincia di Varese, la popolazione si presenta, da punto di vista dei residenti, come segue:
al 31 dicembre 2005 sono residenti in provincia 848.606 abitanti. Nel 2005 la popolazione residente in provincia di Varese è cresciuta dello 0,64% rispetto al dato del 2004 (843.250). Si
registra dunque un salto da 818.940 residenti a fine 2002 a 848.606 a fine 2005 (+3,6%): tale
incremento è in parte dovuto alle iscrizioni anagrafiche successive alla regolarizzazione degli
stranieri presenti in Italia.
In complesso, a Varese abbiamo questa situazione:
• la prevalenza delle donne sugli uomini (51.36% dei residenti);
• la presenza di una popolazione straniera che ammonta a 46.103 unità, rappresentando il
5,4% della popolazione residente, al di sotto della percentuale regionale (7%), ma superiore
alla percentuale nazionale (4,5%) e in aumento nel tempo: era il 2,8% nel 2000 ed il 4,9%
nel 2004.
• nel 2005 il numero dei nati è superiore a quello dei morti, infatti, il saldo naturale è positivo
+140.
In termini qualitativi, gli stranieri in provincia di Varese mostrano:
• una prevalenza maschile, che raggiunge nel 2005 la quota del 53%;
• una composizione per età che vede negli anni un leggero invecchiamento;
• l’età mediana è più bassa per le donne;
• il titolo di studio mostra una prevalenza di licenze di scuola media superiore, anche se nel
2005 i diplomi di scuola dell’obbligo rappresentano la frazione più consistente, mentre la
quota di laureati si mantiene al di sopra del 10 per cento;
• per quanto riguarda la provenienza, a metà del 2000 i nordafricani erano il macrogruppo
numericamente più numeroso in provincia, con 6,7 mila unità sul territorio, pari quasi ad
un terzo della presenza complessiva. Cinque anni dopo, il collettivo est-europeo supera in
quantità l’intero gruppo africano. Infine, vi sono 7,5 mila asiatici e 6,4 mila latinoamericani.
La struttura per età della popolazione residente in provincia di Varese evidenzia come, anche
negli ultimi anni (confronto 2000 e 2005), non rallenti il fenomeno di crescita del peso percentuale delle fasce d’età anziane (nel 2005 rappresentano quasi il 20% della popolazione totale).
Significativa è anche la quota dei 35-44enni, ovvero della generazione dell’esplosione demografica.
235
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
L’aumento della speranza di vita e la diminuzione della fecondità sono le ovvie cause di questo
fenomeno. Nel 2003, per esempio, la speranza di vita è stata leggermente maggiore a Varese
rispetto al resto della Lombardia: 77 anni per gli uomini a Varese contro i 76.6 anni nel resto
della Regione, 83.3 anni per le donne contro gli 82.9 del resto della Lombardia. Così, se già nel
Censimento del 1991 l’indice di vecchiaia superava il valore 100, nel 2001 ogni 100 giovanissimi erano censiti 137 anziani (139 nel 2002 e ben 145,5 nel 2005). All’interno della popolazione
attiva, il peso dei lavoratori anziani è dunque maggiore dei lavoratori più giovani. Tale processo
raggiungerà il suo massimo nel 2020, quand, i lavoratori più anziani supereranno del 40%
quelli più giovani; dopo questa data il rapporto tenderà verso un nuovo equilibrio. Contrastano
questo fenomeno i flussi migratori, come ovunque in Italia. Il tema del ricambio generazionale
è dunque un argomento cruciale nella dinamica del mercato del lavoro anche in provincia di
Varese
Occupazione e disoccupazione
La dinamica occupazionale registrata in provincia di Varese nell’ultimo anno, dopo un 2005
negativo, evidenzia una ripresa e gli occupati tornano a crescere passando da 374mila a
387mila, con un incremento del 3,4%. Dopo un biennio negativo per l’occupazione maschile in
provincia, l’apporto maggiore alla crescita occupazionale registrata viene proprio dalla componente maschile (da 216mila a 226mila; +4,6%). Anche l’occupazione femminile cresce, ma in
maniera meno accentuata.
L’aumento del numero di occupati si riflette positivamente sul tasso di occupazione, che nell’ultimo anno sale da 65,3% a 67,6%, ritornando ai livelli del 2004 e superando la media lombarda
(66,6). Il tasso di occupazione maschile cresce di quasi 4 punti percentuali arrivando al 78,1%;
anche il tasso di occupazione femminile aumenta (da 56,1% a 57%) avvicinandosi all’obiettivo
di Lisbona del 60% entro il 2010, ma rimanendo inferiore al picco positivo registrato nel 2004
(59%).
La disoccupazione diminuisce, scendendo dal 5,1% al 3,8% e tornando in linea con la media
lombarda (3,7%). Nello specifico, la disoccupazione maschile adulta si attesta su livelli considerati frizionali (1,8%) mentre si evidenziano difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro per
i giovani (14,6% tasso di disoccupazione per la fascia 15-24 anni), soprattutto ragazze
(18,8%).
In conclusione, sembra che il mercato del lavoro varesino abbia riassorbito le difficoltà occupazionali evidenziate, e probabilmente sovrastimate per effetti statistici, nel corso del 2005. Restano alcune aree di miglioramento:
• si registrano difficoltà per le donne over 45 (il tasso di occupazione femminile crolla dall’85%
delle giovani donne dai 25 ai 34 anni al 60% per le 45-54enni);
• i livelli di partecipazione e occupazione dei “lavoratori anziani” (55-64 anni) sono particolarmente bassi, come tipicamente accade nel nostro Paese (Italia 31,4%).
236
I settori produttivi prevalenti e i cambiamenti in atto
La struttura produttiva della provincia di Varese si caratterizza per una quota significativa di
addetti nel settore manifatturiero, nonostante il processo di terziarizzazione dell’economia che
ha coinvolto la provincia, così come la Lombardia e le altre economie avanzate.
A fine 2005 gli addetti nell’industria in senso stretto risultano 117.253, ovvero oltre il 43% del
totale (esclusa la Pubblica Amministrazione) e, insieme al settore delle costruzioni (che occupa
25.742 addetti, il 10% circa) il totale addetti nell’industria in senso ampio supera la metà
(53,5%).
Il settore dei servizi occupa 122.316 addetti, arrivando a quota 45% del totale mentre in agricoltura e pesca risultano occupate 3.816 persone (1,4%).
L’industria principale è la metalmeccanica che, incluse le industrie dei mezzi di trasporto, occupa quasi 45mila addetti (38% degli addetti nel manifatturiero); segue il settore tessile abbigliamento che, nonostante il ridimensionamento subito nel corso degli anni, registra oltre
21mila addetti (18%), l’industria chimica e della gomma e materie plastiche con quasi 19mila
addetti (16%) e l’industria elettrica e elettronica con quasi 12mila addetti (10%) (grafico
2.2).
Nel terziario (tenendo presente che è esclusa la pubblica amministrazione), la maggioranza
degli addetti si concentra nelle attività commerciali (quasi 48mila, ovvero il 40%), seguono i
servizi alle imprese con quasi 20mila addetti (16%), i trasporti e le comunicazioni con oltre
18mila addetti (15%) e i servizi alle persone (sanità, istruzione e altri servizi alle persone) con
quasi 17mila addetti.
Struttura occupazionale, quindi, diversificata.
Dal 2003 al 2005 il settore dei servizi è in espansione e registra una variazione positiva del
+6,3% con un incremento di oltre 7mila addetti; tale crescita è determinata in particolare
dall’aumento degli addetti nei servizi alle imprese (+1.649), dei trasporti e comunicazioni
(+1.635), della sanità e altri servizi sociali (+1.614) e dal commercio (+1.184).
Anche il settore delle costruzioni registra un incremento consistente (+9%) con un aumento di
oltre 2mila addetti. Il settore industriale (escluse le costruzioni), invece, registra un ridimensionamento (- 3.541 addetti) con una variazione percentuale del -2,9%, in larga parte determinata
dal calo degli addetti del tessile–abbigliamento (- 2.427 addetti) che registra un tasso di variazione negativo del -10%. Variazioni positive significative si registrano, invece, per il settore
dei mezzi di trasporto (+4,2%) e del settore alimentare (+3,8%).
Il tasso di decrescita del settore industriale sta tuttavia rallentando, segno che il fenomeno fisiologico di ridimensionamento dell’industria si sta esaurendo: nel decennio 1991-2001 il tasso
medio di decrescita annuo era pari a -1,8% mentre dal 2003 al 2005 il tasso scende a -1%
circa9.
Le dimensioni d’impresa
Il tessuto imprenditoriale della provincia, come della Lombardia e dell’Italia, è fatto di piccole
237
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
imprese. Sul totale delle imprese presenti nel territorio (circa 61mila), le microimprese (fino a 9
dipendenti) costituiscono il 93% (56.681); le piccole imprese (da 10 a 49 addetti) coprono una
quota pari a 6,2% (3.763) mentre le medie e le grandi imprese non arrivano all’1% (500 imprese medie, da 50 a 249 addetti, e 71 grandi imprese con almeno 250 addetti).
Oltre 2/3 degli addetti della provincia sono occupati in microimprese o in imprese di piccole
dimensioni (oltre 179mila addetti sul totale di 269mila); le imprese di dimensioni medie occupano 47,5mila addetti (17,7%) e quelle di maggiori dimensioni oltre 42mila (15,7%).
Le medie e grandi imprese si concentrano nel settore industriale. Il 62% delle imprese tra i 50
e i 249 addetti sono imprese manifatturiere, così come il 52% delle grandi aziende. Le microimprese, invece, sono sovrarappresentate nel terziario (17.665 imprese) e nel commercio (15.944
imprese).
L’incremento occupazionale registrato in provincia tra il 2003 e il 2005 (+2,3%) è stato determinato in prevalenza dall’aumento degli addetti nelle microimprese (+3,2%); le piccole imprese
registrano una performance inferiore alla media (0,9%), mentre le grandi imprese registrano
un incremento dal punto di vista della numerosità di imprese superiore alla media (+2,9%) e
una crescita occupazionale in linea con il dato medio (+2,2%) (tabella 2.3).
I frontalieri
Complessivamente, il numero di lavoratori frontalieri risulta in crescita da diversi anni, da
26,5mila del 1999 si è arrivati nel 2005 ad oltre 35mila, complice l’approvazione degli accordi
bilaterali Svizzera e Unione Europea entrati in vigore nel 2002 e la ripresa dell’economia ticinese.
Anche i frontalieri residenti in provincia di Varese seguono un trend di crescita e sono passati
da 13mila del 1999 a quasi 15mila nel 2001 ad oltre 16,6mila nel 2005.
Oltre alla crescita del fenomeno, negli ultimi anni si registra anche un cambiamento di tipologia
di lavoratore frontaliero. Se l’immagine “classica” del lavoratore frontaliero è quella di un lavoratore del settore manifatturiero, dell’edilizia e della ristorazione, di un lavoratore dipendente
con qualifiche madio-basse, negli ultimi anni sta crescendo la presenza di lavoratori frontalieri
in settori che richiedono maggiori competenze e qualifiche più elevate, quali l’industria chimica
e in comparti del cosiddetto terziario avanzato, quali informatica e servizi all’impresa.
La crescita non è distribuita in maniera uniforme tra tutti i settori, anzi le differenti dinamiche
settoriali sono evidenti. Praticamente tutti i settori del terziario mostrano una variazione positiva del numero di unità locali, con l’eccezione dell’istruzione (-1,4%), con performance superiori alla media nei seguenti settori:
• attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca (+3,8%);
• sanità e altri servizi sociali (+2,5%);
• intermediazione monetaria e finanziaria (+2,3%);
• alberghi e ristoranti (2,1%).
238
Gli ammortizzatori sociali
In provincia di Varese la situazione, in termini di ricorso agli ammortizzatori sociali, ha conosciuto un peggioramento tra il 2003 ed il 2005 per poi migliorare, tornando sui valori di partenza, nel corso del 2006, che può essere definito un anno positivo, o meno negativo, rispetto al
precedente. Di questa situazione sono espressione i dati della Cassa Integrazione Guadagni
ordinaria e straordinaria e degli ingressi in lista di mobilità. La prima, infatti, dopo aver abbondantemente superato i 7 milioni di ore autorizzate sia nel 2004 che nel 2005, registra 4,4 milioni
di ore nel 2006, un milione in meno rispetto ai 5 del 2003. Tale miglioramento, netto e visibile,
ha interessato indistintamente tutti i comparti economici, a cominciare dai due più significativi
nel territorio: tessile e meccanico. Ciononostante, in termini relativi, questi due settori continuano a soffrire comunque più degli altri.
Il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni straordinaria nel corso del quadriennio è crescente
in modo costante e lo è, in modo notevole, a partire dal 2005. Se nel 2005 questa crescita era
da attribuire principalmente al settore trasporti, nel 2006, pur considerando la conferma di
valori molti alti per lo stesso settore trasporti, è quello tessile a determinare il notevole incremento registrato.
Gli inserimenti in lista di mobilità cresciuti leggermente tra 2003 e 2004 e consistentemente
tra 2004 e 2005, si riducono nel 2006 a valori superiori, ma non di molto, a quelli da cui erano
partiti ad inizio quadriennio. Anche in questo caso, a risentire del miglioramento complessivo
sono più o meno tutti i settori, fatta eccezione per l’edilizia, a conferma del fatto che il 2006 per
questo settore potrebbe rappresentare un rallentamento dell’espansione registrata negli ultimi
anni. Analizzando le caratteristiche dei lavoratori coinvolti nei processi di ristrutturazione, nel
quadriennio preso in considerazione, emergono tre possibili considerazioni.
• La discriminazione di genere: gli uomini sono collocati in mobilità prevalentemente secondo
la Legge 223/91 (imprese con più di 15 dipendenti) e hanno, nella stragrande maggioranza
dei casi, diritto all’indennità. Le donne collocate in mobilità in base a questa legge, invece,
prevalgono su quelle messe in mobilità in base alla Legge 236/93 (provenienti dalle piccole
imprese e senza diritto all’indennità) solo nel 2003, mentre nel 2004 e nel 2006 le due quote
si equivalgono e nel 2005 si ha una netta prevalenza della 236. Quindi, come confermato
dal dato di stock al 31 dicembre 2006, la variabile legata al diritto all’indennità discrimina
chiaramente rispetto al sesso, con le donne in minoranza fra coloro che accedono all’ammortizzatore sociale e in maggioranza tra coloro che non hanno diritto a percepirlo.
• La mascolinizzazione delle liste di mobilità: nel 2005 e nel 2006 gli uomini sono più numerosi (rispetto ai due anni precedenti) delle donne.
• La discriminazione per età: il peso relativo delle fasce di età più giovani cresce in generale
e visibilmente tra i non percettori di indennità, il contrario avviene per le fasce d’età superiori (gli ultracinquantenni), che risultano essere particolarmente concentrati tra i percettori.
239
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Il settore artigiano
Di seguito si presentano i dati relativi alle imprese artigiane presenti in provincia di Varese.
TABELLA 58. Dati di sintesi relativi alle imprese registrate al Registro delle Imprese al 31.12.
Lombardia e Provincia di Varese. Anno 2007 (valori assoluti e percentuali).
Totale imprese
Di cui artigiane
Peso artigiane/totale
VARESE
LOMBARDIA
PESO % VARESE/
LOMBARDIA
63.819
809.144
7,89
24.467
271.016
9,03
38,34
33,49
Fonte: Infocamere
TABELLA 59. Principali sezioni di attività economica delle imprese artigiane al 31.12. Provincia
di Varese. Anno 2007 (Valori assoluti; ordine decrescente).
IMPRESE REGISTRATE
Costruzioni
IMPRESE
ISCRITTE
IMPRESE
CESSATE
V.A.
%
V.A.
V.A.
10.399
43
1.425
939
Attivita’ manifatturiere
7.175
29
486
612
Altri servizi pubblici,sociali e personali
2.547
10
156
0
Comm.ingr.e dett.;rip.beni pers.e per la casa
1.519
6
74
108
Trasporti,magazzinaggio e comunicaz.
1.358
6
67
121
Attiv.immob.,noleggio,informat.,ricerca
939
4
137
125
Agricoltura,caccia e silvicoltura
454
2
61
35
Istruzione
28
0
3
1
Alberghi e ristoranti
20
0
0
8
Imprese non classificate
18
0
24
151
Intermediaz.monetaria e finanziaria
4
0
0
1
Sanita’ e altri servizi sociali
3
0
0
0
Estrazione di minerali
2
0
0
0
Pesca,piscicoltura e servizi connessi
1
0
0
0
Prod.e distrib.energ.elettr.,gas e acqua
0
0
0
0
Serv.domestici presso famiglie e conv.
0
0
0
3
24.467
100
2.433
2.104
Totale
Fonte: Infocamere
240
b) Le politiche passive
Gli accordi
L’accordo del 1 aprile 2005 sugli ammortizzatori in deroga ha visto il coinvolgimento dei settori
tessile, abbigliamento, meccano-tessile, calzature e moda. Sul territorio di Varese sono stati
stanziati 15.000.000 di euro, di cui gli accordi del 17 febbraio 2006 e del 19 settembre 2006
hanno previsto che vengano dedicate alle Politiche attive del lavoro una quota di 8.000.000 di
euro.
Il successivo accordo del 25 marzo 2007 ha approvato il documento “Ammortizzatori sociali in
deroga – Prime Linee Programmatiche per le Azioni di reimpiego”, che verrà presentato nel
paragrafo successivo, dedicato alle politiche attive del lavoro.
Alleghiamo gli accordi alla presente nota e dunque rimandiamo a quel documento per la visione
completa di quanto sottoscritto. Qui importa rilevare i principali risultati della sperimentazione,
anche se, come rilevano i funzionari provinciali intervistati64
«siamo ancora in una fase di avvio, quindi dal punto di vista dell’utilizzo vero e proprio è difficile
raccogliere al momento particolari elementi che indichino l’efficacia o meno di ciò che si è fatto»
Pur con queste cautele, i referenti intervistati sottolineano la necessità di iniziare a riflettere, in primo
luogo rispetto alla regia degli interventi.
«Ai fini di una riforma efficace, è di fondamentale importanza una chiarificazione dei ruoli e degli
interlocutori che devono prendere parte a questa partita: esistono ammortizzatori in capo alla provincia, altri alla regione, come quelli riguardanti l’industria»
Il ruolo delle parti sociali e istituzionali
I rapporti tra istituzioni e parti sociali nella gestione delle politiche del lavoro si sviluppano su
diversi piani. Il ruolo di indirizzo politico (definizione degli indirizzi politico-strategiche su lavoro
e formazione) è in capo alla Commissione Provinciale. Le Parti sociali svolgono principalmente
un ruolo di monitoraggio di singoli progetti e di singole iniziative. Rispetto al tema degli ammortizzatori sociali è stato istituito un organismo denominato Unità Permanente, all’interno del
quale compaiono sia le parti sociali, sia altre istituzioni come INPS e Direzione Provinciale per
il lavoro, quest’ultima con una funzione di monitoraggio dell’andamento degli ammortizzatori.
I referenti provinciali intervistati hanno sottolineato l’importanza di buone relazioni preesistenti
l’attribuzione alla provincia di competenze in materia di politiche del lavoro.
«L’accordo per l’utilizzo degli ammortizzatori sociali in deroga è sicuramente innovativo e significativo dal punto di vista della dimensione, ma dal punto di vista dello strumento e della metodologia
64 Dirigente Settore Lavoro e Sociale, Dott. Pietro La Placa e Responsabile Sezione Politiche del Lavoro, dott.ssa Monica Tega. Le
citazioni tra virgolette fanno riferimento all’intervista realizzata in data 9 ottobre 2007.
241
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
si è trattato di una naturale conseguenza di una prassi consolidata: sul territorio della provincia di
Varese c’è una storia di partnernariato e di concertazione che non è nato solo con il trasferimento di
competenze avvenuto dal 1997, ma è nata già nel 1992, perché la Provincia di Varese, proprio su
spinta delle parti sociali locali, ha avviato una prima esperienza, denominata “progetto sperimentale”, nell’ambito della ricollocazione di lavoratori in esubero da una grossa azienda varesina. Da
quel momento si è sviluppata una solida esperienza in tema di politiche attive. Ciò che oggi è la
Commissione Provinciale, sperimentalmente si chiamava Commissione Mista. Il raggiungimento
dell’accordo sugli ammortizzatori sociali è stato difficile come lo sono tutti gli accordi, poiché numerosi sono gli interessi in gioco. L’obiettivo comune è stato dotare il territorio di risorse qualificate […]
Non esiste, infatti, una “regola d’oro” per affrontare i tavoli di concertazione. Ciò che conta è, da un
lato, il credito che l’istituzione gode presso le Parti sociali (valorizzazione delle competenze e delle
professionalità presenti), dall’altro, la possibilità di mettere in campo servizi di grande interesse,
come l’Osservatorio per il Mercato del Lavoro, che è una base strategica sia di avvicinamento alle
Parti sociali, sia di avvicinamento a tutti gli altri attori del mercato del lavoro. L’accordo si raggiunge
formalmente in sede di tavolo, sebbene nella realtà informalmente ci siano molti contatti che giocano
a favore del raggiungimento dell’accordo stesso. A volte, poi, gli accordi sono il riflesso di procedure
e dinamiche nazionali »
I dati di monitoraggio
Dal Monitoraggio della Cigs in deroga in provincia di Varese, per il Settore Tessile – Abbigliamento – Calzature e Meccanotessile, è possibile ricavare le seguenti informazioni aggiornate al
30 giugno 2007.
Le aziende interessate sono 52:
• 38 imprese artigiane, 9 aziende industriali fino a 15 dipendenti e 5 imprese industriali con
più di 15 dipendenti
• 28 aziende del settore tessile, 18 abbigliamento, 3 calzature, 3 meccanotessile
• 6 aziende afferenti al Cpi di Busto Arsizio, 39 a quello di Gallarate, 1 a Saronno, 2 a Sesto
Calende, 1 a Tradate e 3 a Varese.
I lavoratori coinvolti sono 613 (lavoratori per cui è stata effettuata la richiesta, si presume che
gli effettivi beneficiari siano in numero inferiore).
• 212 dipendenti di imprese artigiane, 98 di imprese industriali fino a 15 dipendenti e 303 di
imprese industriali con più di 15 dipendenti
• 414 lavoratori del settore tessile, 123 abbigliamento, 23 calzature, 53 meccanotessile
• 88 lavoratori afferenti al Cpi di Busto Arsizio, 367 a quello di Gallarate, 39 a Saronno, 7 a
Sesto Calende, 92 a Tradate e 20 a Varese.
Le richieste pervenute in provincia sono state 75:
• 36 aziende hanno presentato 1 domanda, 12 aziende ne hanno presentate 2, 2 aziende ne
hanno presentate 3, 1 azienda ha presentato 4 domande e un’altra ne ha presentate 5
• le 38 imprese artigiane hanno presentato 53 domande, le 9 imprese industriali fino a 15
242
dipendenti ne hanno presentate 14, le 5 imprese industriali con più di 15 dipendenti hanno
presentato 8 domande
Il numero di ore richieste è complessivamente pari a 803.237, di cui 203.438 ore richieste da
imprese artigiane, 115.935 ore richieste da imprese industriali sotto i 15 dipendenti e 483.865
ore richieste da imprese industriali sopra i 15 dipendenti.
Le sessioni di esame congiunto sono state 23. La DpL ha autorizzato 64 domande (su 75), corrispondenti a 596.895 ore (su 803.237).
L’Inps ha pagato 51 concessioni, corrispondenti a 157.475 ore (pari al 28,6% di quelle autorizzate). L’importo erogato dall’Inps è pari a 716.197 euro a cui si somma la copertura figurativa
stimata in 372.422,5 euro, per una spesa totale di 1.088.619,5 euro, di cui:
• 315.409,7 euro per le imprese artigiane
• 328.047,8 euro per le imprese industriali fino a 15 dipendenti
• 445.162 euro per le imprese industriali con più di 15 dipendenti
c) Le politiche attive
La Provincia di Varese, in quanto Ente locale con funzione preposta, si caratterizza nel quadro
delle politiche del lavoro per un ruolo particolarmente attivo e presente. Avendo istituzionalmente anche una funzione di gestione delle attività e degli interventi, in modo particolare la
gestione dei Centri per l’impiego e il Collocamento Mirato Disabili, la Provincia si trova a coprire
la maggior parte delle attività che riguardano l’incentivazione e il sostegno al lavoro per i cittadini ivi residenti. Programmazione, dunque, e governo delle politiche attive del lavoro: il luogo
elettivo dove queste funzioni sono svolte è la Commissione Provinciale per il Lavoro, che è altresì
il punto di concertazione con le Parti sociali e nel quale vengono definiti gli indirizzi rispetto ai
piani concreti di attuazione delle politiche attive del lavoro.
In diversi casi, la Provincia collabora con le parti sociali (associazioni datoriali e associazioni
sindacali) alla co-gestione di iniziative. Ad esempio, nell’ambito dell’attività di orientamento
scolastico la Provincia gestisce attraverso la struttura di InformaLavoro, l’attività di orientamento scolastico realizzato presso le scuole medie inferiori e istituti tecnici. Questo progetto è
stato realizzato con una partecipazione attiva della associazioni sindacali e datoriali, sia nell’ambito dell’attività di progettazione degli interventi, sia nell’ambito della realizzazione.
Esiste poi un Osservatorio del Mercato del Lavoro, unità operativa in cui gli esperti di analisi del
mercato del lavoro raccolgono e analizzano i dati forniti dai Centri per l’Impiego, in modo da
poter rendere evidenti le tendenze e le dinamiche del mercato del lavoro. L’Osservatorio opera in
stretta collaborazione con la Camera di Commercio, confrontando così una serie di fonti statistiche, come Excelsior, Istat ecc. Ogni anno viene redatto un report dall’Unità dell’Osservatorio
del lavoro, che prende in esame tutti gli elementi caratterizzanti il territorio della provincia. Tale
report è presentato prima alla Commissione provinciale per il Lavoro (e quindi alle Parti sociali
che vi fanno riferimento), poi agli altri attori del territorio interessati alla materia (Centro per
l’Impiego e Centri di Formazione Professionale in primo luogo).
243
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
I progetti realizzati
La provincia di Varese ha messo in campo una serie di progetti e iniziative in materia di politiche attive del lavoro.
Il progetto più importante per quanto riguarda l’area degli ammortizzatori è quello denominato
Rilancia Lavoro, che è stato finanziato per due annualità dal Fondo Nazionale per Occupazione.
Questo progetto non viene presentato in questa sede dal momento che, per il suo interesse, è
stato selezionato come studio di caso e verrà analizzato in profondità nel capitolo 5.
Anche in provincia di Varese è stato promosso il programma Pari, destinato a:
• lavoratori/lavoratrici in Cigs e mobilità provenienti da aziende in crisi, anche con accordi in
deroga alla normativa (ai sensi della L. 311/2004 art.1, comma 155 e della L.266/2005 art.1
comma 410 e 411);
• soggetti iscritti alle liste della mobilità non indennizzata ai sensi della Legge 236/93;
• nel caso di risorse residue, altre tipologie di lavoratori/trici svantaggiati/e individuati/e dal
Tavolo di Indirizzo istituito presso la Provincia di Varese, in base alle peculiari caratteristiche
del mercato del lavoro locale.
Il Programma prevede, inoltre, una serie di servizi alle imprese, a cura dei Centri per l’Impiego
(CPI), consistenti in preselezione del personale e consulenza alle imprese sul sistema di convenienze.
Per tale avviso sono stati destinati a copertura degli oneri ` 392.305,47 a valere sulle risorse
assegnate dal Ministero del Lavoro, ripartiti nel modo seguente: ` 201.305,47 per gli incentivi
all’assunzione e ` 191.000,00 per le doti formative.
Gli incentivi e i contributi previsti per i datori di lavoro che assumono i destinatari del Programma P.A.R.I. in possesso dei requisiti previsti sono i seguenti:
• incentivo straordinario (una tantum) per ogni assunzione a tempo indeterminato pari o
superiore a 30 ore settimanali di soggetti privi di qualsiasi indennità o sussidio legato allo
stato di disoccupazione iscritti alle liste di mobilità non indennizzata (ex lege 236/93) e che
non stiano svolgendo alcuna attività lavorativa. Viene messo a disposizione un numero
complessivo di 93 incentivi all’assunzione così ripartiti: n. 58 incentivi del valore pari a `
2.500 lordi, per ogni persona assunta con età superiore a 45 anni, iscritta alle liste di mobilità non indennizzata ai sensi dell’art. 4 della legge 236/93, priva di qualsiasi indennità
o sussidio legato allo stato di disoccupazione e che non stia svolgendo alcuna attività lavorativa; n. 35 incentivi del valore pari a ` 1.600 lordi, per ogni persona assunta con età
compresa tra 40 e 45 anni iscritta alle liste di mobilità non indennizzata ai sensi dell’art. 4
della legge 236/93, priva di qualsiasi indennità o sussidio legato allo stato di disoccupazione e che non stia svolgendo alcuna attività lavorativa. Nel caso di contratto di assunzione
a tempo indeterminato parziale inferiore alle 30 ore settimanali, il contributo sarà corrisposto in misura proporzionalmente ridotta al numero di ore.
• dote formativa fino a un massimo di ` 1.000 lordi, finalizzata all’adattamento delle competenze per ciascun lavoratore/trice che rientra nel Programma PARI (percettore e non per-
244
cettore di ammortizzatori sociali o altra indennità o sussidio legato allo stato di
disoccupazione) assunto/a a tempo indeterminato o determinato per periodo non inferiore
ai 12 mesi, qualora lo/a stesso/a non ne abbia già usufruito nell’ambito del proprio piano
di azione individuale.
Non sono disponibili dati di monitoraggio del progetto.
I progetti in avvio
La provincia di Varese ha presentato il Piano di azione provinciale per il reimpiego 2007-2009
nel maggio 2007. Il Piano rielabora il documento, cui si è già fatto cenno nel paragrafo precedente “Ammortizzatori sociali in deroga – Prime Linee Programmatiche per le Azioni di Reimpiego”, approvato con l’accordo del 15 marzo 2007, che individua una prima definizione delle
linee politico-strategiche di azione nonché una prima distribuzione delle risorse da destinare
alle azioni previste. Le risorse coinvolte sono complessivamente pari a 7.726.497,16 euro.
I primi destinatari del Piano sono i/le lavoratrici coinvolti/e dall’accordo relativo agli ammortizzatori sociali in deroga e quindi provenienti dal settore tessile-abbigliamento-calzature. In subordine, il Tavolo di concertazione “Ammortizzatori Sociali in deroga” ha individuato ulteriori
eventuali destinatari nei lavoratori/trici in mobilità, disoccupati/e e in Cigs. Tra questi, il Piano
individua due target prioritari: donne e over 45.
Il Piano traduce le scelte politiche strategiche definite dal Tavolo di Concertazione coniugandole
con le linee di indirizzo regionali. Per questo, vengono adottati i principi di riferimento e gli
strumenti indicati dal Piano d’Azione Regionale e dalle Indicazioni tecnico-operative regionali,
ma vengono adattati alle necessità dei territori di riferimento. In particolare, si segnala la
suddivisione territoriale in tre aree, quali ambiti idonei a concentrare e integrare le azioni intervento, in una logica di “modello-rete”.
Le azioni previste sono 8:
• Assistenza tecnica: attività di coordinamento e amministrative. 200 mila euro.
• Osservazione, monitoraggio e valutazione: attività coordinate da un’apposita Cabina di
regia istituita presso la Provincia di Varese e costituita dalla stessa Provincia, dalla Camera
di Commercio e dalle parti sociali firmatarie degli accordi. 300 mila euro.
• Servizi di base erogati dai Cpi provinciali: informazione, orientamento, preselezione e tirocini. 800 mila euro.
• Servizi per il reimpiego specialistici, in linea con quanto sperimentato nel progetto Rilancia
Lavoro: servizi di orientamento, servizi di formazione/riqualificazione, servizi di accompagnamento al lavoro a cui si possono affiancare in via sperimentale azioni a favore dell’autoimprenditorialità e servizi di outplacement. 3 milioni di euro.
• Interventi su casi aziendali, previa sottoscrizione di accordo sindacale. 800 mila euro.
• Incentivi alla stabilizzazione per imprese che assumono a tempo indeterminato. 800 mila
euro.
• Coinvolgimento e valorizzazione degli Enti bilaterali costituiti a livello provinciale nelle ini-
245
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
ziative di informazione, orientamento e promozione di interventi volti al reimpiego. 200 mila
euro.
• Fondo di riserva per la sperimentazione di azioni innovative o per interventi di riallineamento
delle risorse attribuite alle singole azioni. 1.626.497,16 euro.
Il Piano riporta un dato utile alla valutazione dell’impatto potenziale di questi interventi: le
persone (in mobilità, disoccupate e in Cigs) ricollocate dai Cpi nel periodo gennaio-aprile 2007
sono state 317. Applicando il concetto di dote, considerando l’insieme dei servizi ricevuti, risulta
che ciascun lavoratore/lavoratrice ricollocato/a ha beneficiato di una quota individuale di 2.524
euro (risultato della divisione degli 800 mila euro allocati per i 317 utenti ricollocati).
d) Osservazioni conclusive
In provincia di Varese, come in altre realtà prese in esame, uno dei principali problemi nell’attuazione delle politiche del lavoro riguarda il collegamento tra ammortizzatori sociali e politiche
attive del lavoro. In quest’ottica, vengono proposte alcune riflessioni sull’utilizzo dei meccanismi
sanzionatori già previsti dalla legge per coloro che non partecipano ai programmi proposti, con
una valutazione delle possibili ricadute positive in termini di coinvolgimento dei lavoratori, ma
con una forte attenzione anche verso gli eventuali rischi a questi connessi.
Al lavoratore vanno garantite tutte le opportunità e tutele di cui ha diritto, ma a queste devono corrispondere una serie di doveri. Il tema della “cancellazione” o della “sanzione” è del tutto inesplorato,
nel senso che spesso ci si trova di fronte a situazioni che richiamano atteggiamenti palesemente
opportunistici, sia da parte delle aziende che da parte dei lavoratori, così come ci si trova innanzi a
situazioni che apparentemente possono sembrare di opportunismo, ma nascondono situazioni di
disagio forte. […] La Provincia deve porsi allora delle domande rispetto a tutta una serie di comportamenti che i lavoratori mettono in atto. Esistono lavoratori i quali, sebbene sollecitati, non rispondono alle attività loro proposte. La maggioranza di coloro che non rispondono a queste sollecitazioni
sono donne, investite del problema della cura dei familiari (bambini piccoli e anziani), specialmente
nella fascia di età intorno ai 35/45 anni. La lettura di questo fenomeno è complessa: da un lato le
donne sono la categoria maggiormente colpita a livello statistico dal fenomeno dell’espulsione dal
mercato, dall’altro è la categoria che fatica maggiormente a utilizzarne i servizi, sebbene laddove tali
servizi vengano utilizzati, sono coloro che più facilmente riescono a rimettersi in gioco. Dai progetti
attuati sul territorio lombardo in questi anni, possono essere trovati spunti interessanti di riflessione
per la riforma degli ammortizzatori. Una famiglia, piuttosto di spendere parte del reddito per assumere una baby-sitter, per consentire alla donna di partecipare a corsi di formazione, è decisamente
orientata a far rinunciare alla lavoratrice la frequenza di quel determinato percorso. Probabilmente,
vanno studiate delle formule che garantiscano davvero tutele per consentire una reale possibilità di
accesso ai servizi. Si può ipotizzare anche un innalzamento delle indennità, ma i percorsi vanno
blindati. Ora l’indennità è vissuta in molti casi come un ulteriore periodo di ferie o che consente la
possibilità di svolgere un secondo lavoro. […] Occorre utilizzare contemporaneamente la leva dei
246
servizi e la leva della sanzione. Sul territorio della provincia di Varese c’è una forte attenzione all’emersione del lavoro nero. Quindi, di fondamentale importanza è l’attività ispettiva, senza utilizzare
tuttavia questi strumenti in modo indiscriminato: occorre accompagnare tutto ciò con una capillare
attività di informazione e di orientamento sull’utilizzo delle risorse e in generale sulle opportunità per
risolvere determinate problematiche. Utilizzare solo una leva è una strategia perdente. L’obiettivo è
quello di giungere a responsabilizzare il lavoratore all’utilizzo di tali risorse. Il sistema della “dote” è
un sistema interessante, anche se già sperimentato a livello regionale in diverse esperienze (es.
voucher). Occorre valutare se effettivamente porta a dei risultati positivi. Proprio per valutare al
meglio l’impatto di tale sistema, la Provincia ha suddiviso su due anni la sperimentazione, così da
poter valutare ciò che avviene per poi eventualmente apportare le relative correzioni.
Un altro tema di interesse generale sollevato dai funzionari provinciali intervistati riguarda la
“terzietà” della Provincia.
Esiste un “neo-centralismo” regionale riguardo al settore del lavoro e della formazione. Il fatto di
avere così tante risorse sulle politiche attive, dovrebbe portare ad un’altra riflessione che in realtà
non è ancora stata aperta a livello di provincia e a livello regionale, ovvero la considerazione che si
opera in un mercato libero: le politiche attive non le mette in campo solo la Provincia, che al massimo
da sola le programma. In futuro, con la questione dell’accreditamento, la platea degli attori sarà
sicuramente più ampia. Da una parte, c’è in capo alla Provincia la leva della programmazione e della
gestione in una posizione di terzietà obbligatoria prevista per legge, dall’altra è la provincia stessa
che con i suoi servizi accede a queste risorse. Nella legge sulla formazione e l’istruzione, la Regione
ha risolto questo problema, affermando che i soggetti che accedono alle risorse devono essere esterni
a quelli che fanno la programmazione. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, questo passo non è
ancora stato fatto. La Legge 22 non fa riferimento a questo “conflitto” se non con riferimento al fatto
che i soggetti si devono accreditare, includendo i Centri per l’Impiego che ora gestiscono in prima
linea la questione delle politiche attive. Manca su questo punto una riflessione approfondita che a
livello di Provincia non è stata fatta.
e) Allegati
Situazione socio-economica
1. Provincia di Varese - Osservatorio del Mercato del Lavoro, Il mercato del lavoro in Provincia
di Varese, Report 2006, settembre 2007.
2. Provincia di Varese, Il settore tessile abbigliamento in Provincia di Varese, giugno 2005 (in
cartaceo)
3. Provincia di Varese, Il settore tessile-abbigliamento in Provincia di Varese: un aggiornamento del quadro occupazionale, ottobre 2006 (in cartaceo)
247
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Politiche passive
4. Accordo va 01.04.05
5. Interventi a sostegno del settore tessile-abbigliamento-calzature e del meccanotessile della
provincia di Varese, 1 aprile 2005 (in cartaceo)
6. Accordo va 17 febbraio 2006 (in cartaceo)
7. Preaccordo provincia varese 18 settembre 2006 (in cartaceo)
8. Verbale di accordo 15 marzo 2007 (in cartaceo)
9. Codici ateco va
10. La Cigs in deroga a Varese. Monitoraggio al 30 giugno 2007 (in cartaceo)
Politiche attive
11. Piano provinciale per le politiche attive del lavoro. Fondo nazionale per l’occupazione 20032004 (in cartaceo)
12. Piano di azione provinciale per il reimpiego 2007-2009, maggio 2007 (in cartaceo)
13. Pari va avviso alle imprese
Intervista
14. Report intervista dott. La Placa, Dirigente Settore Lavoro e Sociale e dott.ssa Tega, Responsabile Sezione Politiche del Lavoro, realizzata in data 9 ottobre 2007.
3.2. ANALISI TRASVERSALE
Dopo aver analizzato le politiche del lavoro progettate e realizzate in ogni provincia lombarda,
in questo paragrafo si propone un’analisi trasversale degli esiti della ricerca.
La presentazione segue lo stesso schema dell’analisi provinciale:
• per la situazione socio-economica si propone un approfondimento sul settore artigiano
• per le politiche passive: gli accordi, il ruolo delle parti sociali e istituzionali, le procedure per
la concessione degli ammortizzatori sociali in deroga e i dati di monitoraggio
• per le politiche attive: un confronto tra province rispetto ai progetti realizzati e a quelli in
avvio.
3.2.1. La situazione socio-economica
A differenza delle analisi provinciali, che hanno preso in esame l’andamento socio-economico
di tutti i settori produttivi, in sede di analisi comparativa si preferisce concentrare la nostra
attenzione sul settore artigiano, oggetto specifico della nostra ricerca.
Sono diverse le fonti disponibili per una fotografia dell’artigianato lombardo, con attenzione sia
agli stock che ai flussi, alle imprese come alle unità locali, agli addetti, siano essi dipendenti o
indipendenti: Commissioni Provinciali Artigianato - Albi delle Imprese Artigiane, Movimprese
(Infocamere), ISTAT - Censimento 2001, Excelsior (Unioncamere), Indagine congiunturale artigianato (Unioncamere Lombardia). Ogni fonte ha tempi di aggiornamento, natura e metodologie
248
diverse, legate alle differenti finalità (statistiche per alcune fonti, amministrative per altre); i
dati possono dunque essere discordanti da fonte a fonte, vuoi per la differente metodologia di
raccolta, vuoi per la cadenza temporale.
Nel maggio 2006 è stato presentato da UnionCamere un dossier sull’artigianato che presenta
un’analisi integrata delle fonti statistiche di riferimento per il comparto. In questa sede, adottiamo il dossier come documento principale di riferimento, con un aggiornamento dei dati,
laddove disponibili.
a) La consistenza delle imprese artigiane
A fine 2007 sono 271.016 le imprese artigiane lombarde registrate secondo le elaborazioni di
Infocamere (Movimprese). Le imprese artigiane lombarde pesano per il 28% sull’insieme delle
imprese attive lombarde e in Lombardia ha sede il 18% delle imprese artigiane nazionali.
Le imprese artigiane registrano una crescita costante negli ultimi anni: dal 2000 al 2007 l’incremento assoluto è di più di 17.000 imprese.
TABELLA 60. Totale imprese artigiane registrate in Lombardia per anno (dal 2000 al 2007)
ANNO
N. IMPRESE
2000
253.531
2001
256.695
2002
258.712
2003
261.383
2004
264.016
2005
265.694
2006
267.486
2007
271.016
Fonte: elaborazione nostra su dati Infocamere Movimprese
Dai dati Movimprese si possono cogliere anche le caratteristiche societarie delle imprese artigiane lombarde. L’impresa individuale è la più diffusa, con oltre il 75% delle imprese, mentre
solo un quarto del totale (il 24,4%) è costituito da una qualche forma societaria (Snc, Sas, Soc.
di fatto e Soc. cooperative), sia pure con significative variazioni da settore a settore. Le società
di capitale sono passate da un migliaio nel 2001 a 7.523 nel 2007, una crescita costante negli
ultimi anni.
Il 26,4% delle imprese artigiane lombarde è concentrato nella provincia di Milano (in ulteriore
calo rispetto agli anni precedenti), dove però risiede il 41% della popolazione; Brescia e Bergamo concentrano rispettivamente il 14,3% ed il 12,6%, sensibilmente al di sopra del loro peso
demografico; Varese è in quarta posizione con il 9% del totale regionale; attorno al 2% si fermano invece sia la provincia di Lodi che quella di Sondrio, sostanzialmente in linea con il peso
249
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
demografico, come del resto avviene nelle altre province.
La distribuzione per province, a parte Milano per il minor peso e Bergamo e Brescia per una
quota sensibilmente superiore al peso demografico, è dunque sostanzialmente proporzionata
alla distribuzione della popolazione.
Una delle caratteristiche distintive delle imprese artigiane sono i consistenti flussi di nati-mortalità: flussi che sono diretto indicatore della vivacità e flessibilità degli artigiani, ma anche
della debolezza di molte imprese artigiane e delle basse barriere d’entrata che, in alcuni settori
e in alcuni momenti congiunturali, portano alla nascita di tentativi d’impresa destinati a breve
durata. Adeguate politiche di sostegno, soprattutto nella fase di nascita, avvio e consolidamento dell’impresa possono evidentemente ridurre alcune debolezze e favorire più consistenti
processi di sviluppo.
Nel solo 2007 (sulla base dei dati elaborati da Movimprese e parzialmente dissimili da quelli
forniti dalle Commissioni Provinciali Artigianato, a causa sia di sfasamenti temporali, sia della
diversa considerazione delle imprese non attive e delle non classificate) in Lombardia sono nate
28.715 imprese (il 10,6% dello stock di fine periodo) e ne sono cessate 25.187 (il 9,3%). Vi sono
elevate quote di imprese dalla breve vita media che generano indubbia turbolenza nel sistema,
accanto ad imprese ormai consolidate e che costituiscono una specie di zoccolo duro. Parte dei
flussi di natimortalità è comunque determinata da sostanziali trasformazioni di aziende già
esistenti e che modificano, ad esempio, la natura sociale o la composizione dei titolari. Rilevanti
saldi positivi fra nate e morte non sempre indicano un solido processo di sviluppo del settore;
solo una più attenta analisi settoriale e locale, correlata alla congiuntura complessiva, ai tassi
di disoccupazione, ai processi di espulsione di manodopera e di decentramento consentono di
dare maggiore o minor qualità ai numeri della crescita.
TABELLA 61. Imprese attive, nate e cessate al Registro delle Imprese al 31.12. Italia, Lombardia
e province lombarde. Anno 2007 (Valori assoluti e percentuali; ordine decrescente).
IMPRESE ATTIVE
Bergamo
Lecco
Como
Lodi
Varese
Mantova
Cremona
Sondrio
Brescia
250
IMPRESE NATE
IMPRESE CESSATE
TOTALE
ARTIGIANE
PESO %
ARTIGIANE/
TOT
TOTALE
ARTIGIANE
TOTALE
ARTIGIANE
84.598
24.042
44.440
16.125
63.819
39.558
28.427
15.658
109.183
34.199
9.644
18.119
6.262
24.467
14.202
10.208
5.304
38.583
40,43
40,11
40,77
38,83
38,34
35,90
35,91
33,87
35,34
7.255
1.828
3.831
1.633
5.553
3.016
2.445
989
9.565
3.090
762
1.740
780
2.433
1.418
1.183
359
4.415
6.710
1.757
3.380
1.257
4.887
3.253
2.260
1.199
9.086
2.651
695
1.468
487
2.104
1.400
790
391
2.932
Pavia
Milano
Monza e Brianza
Lombardia
Italia
44.635
280.017
58.592
809.144
5.174.921
15.738
70.984
21.689
269.399
1.482.452
35,26
25,35
37,02
33,29
28,65
4.293
30.336
1.887
72.631
436.025
1.942
9.814
779
28.715
137.304
3.675
39.082
1.996
78.542
409.479
1.334
9.899
1.036
25.187
126.745
Fonte: Infocamere
TABELLA 62. Principali sezioni di attività economica delle imprese artigiane attive al 31.12.
Italia, Lombardia e province lombarde. Anno 2007 (Valori assoluti; ordine decrescente).
VARESE COMO SONDRIO MILANO BERGAMO BRESCIA PAVIA CREMONA MANTOVA LECCO LODI
LOMBARDIA
ITALIA
10.399 7.624
2.420 25.686
16.456 15.226 7.284
4.475
6.514 3.769 3.125 111.697
578.633 10.399
Attività manifatturiere
7.175 5.549
1.349 17.005
9.239 12.626 4.019
2.785
3.927 3.202 1.355 75.026
427.443
7.175
Altri servizi
pubblici,sociali e
personali
2.547 1.495
490 7.534
2.961
3.480 1.610
1.034
1.295
806
578 25.628
155.894
2.547
Comm.ingr.e dett.; rip.
beni pers. e per la casa
1.519 1.114
416 4.664
2.039
2.807
920
601
924
640
350 17.291
116.455
1.519
Trasporti, magazzinaggio e comunicaz.
1.358 1.008
410 9.351
1.837
2.473 1.049
757
883
574
489 21.651
112.041
1.358
139 5.338
1.208
1.269
543
328
308
506
235 12.945
63.867
939
Costruzioni
Attiv. immob., noleggio,
informat., ricerca
939
962
Agricoltura,caccia e
silvicoltura
454
298
51
605
339
490
278
184
315
116
114
3.456
18.387
454
Alberghi e ristoranti
20
20
4
158
9
42
3
10
6
12
2
347
2.835
20
Imprese non classificate
18
13
4
530
36
57
15
7
13
5
6
841
2.555
18
Istruzione
28
22
4
6
54
45
5
19
3
3
5
196
2.082
28
Estrazione di minerali
2
1
15
5
13
55
9
6
6
1
0
115
1.001
2
Sanita’ e altri servizi
sociali
3
7
1
90
3
7
3
0
5
5
1
151
734
3
Pesca,piscicoltura e
servizi connessi
1
0
0
1
0
1
0
0
0
0
0
3
240
1
Intermediaz.monetaria
e finanziaria
4
3
1
1
4
4
0
2
3
3
1
28
167
4
Prod. e distrib. energ.
elettr.,gas e acqua
0
3
0
10
1
1
0
0
0
2
1
24
118
0
Serv.domestici presso
famiglie e conv.
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
34.199 38.583 15.738
10.208
TOTALE
24.467 18.119
5.304 70.984
14.202 9.644 6.262 269.399
1.482.452 24.467
Fonte: Infocamere
b) L’occupazione artigiana
Per i dati sull’occupazione le fonti del Registro Imprese non consentono quantificazioni puntuali
ed aggiornate. Vengono allora utilizzati i dati relativi al Censimento 2001, presentati nel Dossier
Artigianato di Unioncamere del 2006.
Erano 641.024 gli addetti complessivi dell’artigianato lombardo nel 2001: in media 2,6 per ogni
251
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
unità locale. Un dato medio dal quale non si discostano significativamente le varie realtà provinciali: si distinguono Milano con il valore più basso (2,2), e Brescia, con il valore più elevato
(3,1). La frammentazione in molti servizi, per Milano, e il forte peso delle manifatturiere di non
piccolissima dimensione per Brescia sembrano spiegare i divari dalla media.
Sono 1.462 le unità locali con più di 19 addetti che danno lavoro a circa 47.000 addetti (il 5,8%
del totale, concentrati però per quasi il 60% nelle province di Bergamo, Brescia e Milano).
Manifatturiero e costruzioni fanno ovviamente la parte del leone in termini di quota di addetti
sul totale, seguiti a distanza dai vari settori dei servizi: manifatturiero 47,6%, costruzioni
25,9%, riparazione auto/moto 7,7%, servizi diversi 7,2%, trasporti e magazzinaggio 5,9%,
terziario di servizio imprese 4,7%, altri 1,3%.
In termini occupazionali l’artigianato di produzione (edilizia compresa) rappresenta ancora
quasi i tre quarti dell’intero universo artigiano. Ancora molto ridotta è la presenza di aziende
legate all’informatica alle quali va solo lo 0,5% dell’occupazione, mentre le attività di servizi
alle imprese rappresentano il 4,7%.
La distribuzione territoriale degli addetti per provincia conferma lo scarso peso, in proporzione,
rispetto al numero di imprese, il peso di Milano (29,0% del totale regionale) ed enfatizza ulteriormente quello di Brescia (17,1%) e Bergamo (14,5%).
I dati del censimento 2001 confermano il peso rilevante dell’occupazione indipendente e del
tasso d’imprenditorialità presente nel mondo artigiano: degli oltre 640.000 addetti censiti il
52,3% è costituito da indipendenti, contro il 47,7% di dipendenti. In pratica in ogni impresa
artigiana vi sono in media 1,19 dipendenti e 1,31 indipendenti. Le differenze provinciali non
sono marginali: il peso degli indipendenti passa infatti dal valore minimo di Brescia (46,3%) e
da quelli prossimi di Bergamo (47,6%), all’estremo opposto, di Milano (59,6%) e Lodi (56,3%).
Ancora una volta è il forte carattere produttivo dell’artigianato di Brescia, Bergamo, con il
conseguente diverso dimensionamento medio di occupati dipendenti per impresa, a spiegare il
divario (mentre a Milano pare prevalere la piccola impresa artigiana di servizio).
Per quanto riguarda gli artigiani iscritti all’INPS i titolari sono 333.796 di cui l’83,0% sono
maschi, mentre i collaboratori familiari sono 34.176 di cui maschi il 53,7%. Più di un terzo dei
titolari sta nella provincia di Milano (34,3%), un altro terzo si divide tra Bergamo e Brescia
(28%) e i restanti si dividono nelle altre province.
TABELLA 63. Unità locali e addetti alle unità locali, imprese a carattere artigiano e totale imprese per provincia. Censimento 2001
A CARATTERE ARTIGIANO
Provincia
% SU TOTALE IMPRESE
TOTALE IMPRESE
Unità locali
Addetti U.L.
Unità locali
Addetti U.L.
Unità locali
Addetti U.L.
Varese
22.265
63.212
33,05%
22,30%
67.377
283.443
Como
16.443
44.585
35,71%
24,26%
46.051
183.751
Sondrio
4.916
14.175
35,19%
29,25%
13.969
48.463
252
Milano
83.987
186.031
23,46%
11,83%
358.075
1.571.877
Bergamo
32.777
92.971
38,90%
25,64%
84.261
362.621
Brescia
35.344
109.832
35,08%
26,95%
100.745
407.611
Pavia
13.178
32.421
32,61%
24,57%
40.411
131.964
Cremona
9.205
25.745
35,79%
26,60%
25.722
96.777
Mantova
12.740
35.348
38,49%
26,94%
33.102
131.219
8.980
25.155
34,86%
22,68%
25.757
110.892
4.878
11.549
33,84%
21,47%
14.415
53.794
244.713
641.024
30,22%
18,95%
809.885
3.382.412
Lecco
Lodi
LOMBARDIA
Fonte: Censimento Industria e Servizi 2001
3.2.2. Gli ammortizzatori in deroga
Gli accordi
Il primo accordo tra parti sociali e istituzioni per la gestione degli ammortizzatori in deroga è
stato firmato in provincia di Bergamo, il 28 giugno del 2004. Nel 2005 hanno seguito la stessa
strada prima la provincia di Pavia nel mese di febbraio, poi Varese e Como ad aprile e Brescia,
Mantova e Milano a luglio. Sondrio (che aveva già firmato un accordo territoriale nel febbraio
2006), Cremona, Lecco e Lodi hanno poi completato il quadro regionale nel giugno 2006, esattamente due anni dopo il primo accordo di Bergamo.
Dall’analisi testuale degli accordi risulta evidente il fatto che l’accordo di Bergamo abbia fatto
scuola: tutti gli altri accordi lo prendono come modello, modificando solo qualche parola per
adattarlo alle esigenze locali. Questa uniformità è da imputare al ruolo di regia svolto dalla
Regione, attraverso l’Agenzia Regionale per l’istruzione, la formazione e il lavoro, che ha fornito
supporto tecnico per la stesura dell’accordo prima alla provincia di Bergamo e poi alle altre
province lombarde.
TABELLA 64. Data in cui è stato siglato il primo accordo per gli asd nelle province lombarde
PROVINCIA
DATA PRIMO ACCORDO
Bergamo
28 giugno 2004
Pavia
8 febbraio 2005
Varese
1 aprile 2005
Como
18 aprile 2005
Brescia, Mantova e Milano
13 luglio 2005
Sondrio
6 febbraio 2006
Cremona, Lecco e Lodi
27 giugno 2006
Fonte: elaborazione nostra
253
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
GRAFICO 1. Cronologia della firma del primo accordo per gli asd nelle province lombarde
Fonte: elaborazione nostra
La principale variabile provinciale riguarda le risorse assegnate. Le Province possono essere
distinte in quattro gruppi:
• Milano, che da sola ha ottenuto 48 milioni di euro
• Bergamo e Brescia, con uno stanziamento pari a circa 20 milioni di euro
• Como, Mantova, Pavia e Varese, il cui accordo implica uno stanziamento di 15 milioni di
euro
• Cremona, Lecco, Lodi e Sondrio che hanno ottenuto 1,5 milioni di euro ciascuna
Di queste, alcune risorse non sono mai state assegnate: Milano ha ottenuto 12 dei 48 milioni di
euro previsti nell’accordo, Brescia 8 su 20 milioni e Mantova 4 su 15 milioni di euro.
Bergamo è l’unica provincia ad aver ottenuto due stanziamenti: 5.980.000 euro con il primo
accordo del 28 giugno 2004 e 15 milioni con il secondo accordo, del 21 marzo 2005.
La copertura finanziaria, laddove indicata, è assicurata dal Fondo Nazionale per l’Occupazione.
TABELLA 65. Le risorse assegnate per gli asd
PROVINCIA
LIMITE DI SPESA
Bergamo
Brescia
Como
Cremona
Lecco
Lodi
Mantova
Milano
Pavia
Sondrio
Varese
20.980.000 euro (5.980.000 euro del primo accordo e 15 milioni del secondo)
20 milioni di euro (erogati 8 milioni)
15 milioni di euro
1,5 milioni di euro
1,5 milioni di euro
1,5 milioni di euro
15 milioni di euro (erogati 4 milioni)
48 milioni di euro (erogati 12 milioni)
15 milioni di euro
1,5 milioni di euro
15 milioni di euro
Fonte: elaborazione nostra
254
GRAFICO 2. Risorse per gli asd: rapporto tra assegnazione e erogazione – distribuzione provinciale
Fonte: elaborazione nostra
Parte di queste risorse, in seguito ad accordi provinciali, sono state destinate alle politiche
attive del lavoro. La provincia per cui questo trasferimento è più significativo è Milano, che ha
destinato alle politiche attive la quasi totalità delle risorse stanziate attraverso gli accordi sugli
ammortizzatori in deroga (10 milioni di euro su 12). Al contrario, la provincia di Brescia ha
preferito mantenere quasi tutte le risorse per gli ammortizzatori in deroga, destinando solo una
parte residuale alle politiche attive (1 milione di euro su 8). Per le province di Cremona, Lecco,
Lodi e Sondrio è stato costituito un Fondo di solidarietà con le risorse delle altre province, che
ha consentito di promuovere politiche attive del lavoro anche nelle realtà più piccole.
TABELLA 66. Risorse destinate alle politiche attive del lavoro – distribuzione provinciale
PROVINCIA
FONDI PER ASD
RISORSE DESTINATE ALLE POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO
Bergamo
Como
Varese
Pavia
Milano
Brescia
Mantova
Cremona
Lecco
Lodi
Sondrio
20.980.000 euro
15 milioni di euro
15 milioni di euro
15 milioni di euro
12 milioni di euro
8 milioni di euro
4 milioni di euro
1,5 milioni di euro
1,5 milioni di euro
1,5 milioni di euro
1,5 milioni di euro
5 milioni di euro
7 milioni di euro
8 milioni di euro
4 milioni di euro
10 milioni di euro
1 milione di euro
2,7 milioni di euro
375mila euro (Fondo di solidarietà)
375mila euro (Fondo di solidarietà)
375mila euro (Fondo di solidarietà)
375mila euro (Fondo di solidarietà)
Fonte: elaborazione nostra
255
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
GRAFICO 3. Risorse destinate alle politiche attive del lavoro: proporzione tra ammortizzatori in
deroga e politiche attive del lavoro – distribuzione provinciale
Fonte: elaborazione nostra
Tutti gli accordi sono motivati dal “perdurare (o dall’aggravarsi, per Bg, Co, Pv e Va) dello stato
di crisi del settore, con pesanti ricadute sull’occupazione”. Poche province indicano le cause di
questa situazione: nell’accordo di Mantova si fa riferimento alla necessità di supportare le
trasformazioni aziendali, nell’accordo di Lodi si citano i processi di ristrutturazione aziendale e
la concorrenza derivante dai paesi in via di sviluppo e in quello di Sondrio si fa cenno a difficoltà
economico-congiunturali.
Un’altra importante specificità provinciale riguarda il settore di riferimento per l’applicazione
degli accordi. In tutte le province, l’accordo nasce per il settore tessile, a cui si aggiungono
abbigliamento e calzature in provincia di Brescia, Como, Mantova, Milano, Pavia; a Varese, oltre
a questi settori, sono previsti anche moda e meccanotessile; a Bergamo, oltre a tessile e abbigliamento, l’accordo si applica anche alla moda (ma non alle calzature). L’altro settore privilegiato di destinazione degli ammortizzatori in deroga è il metalmeccanico: è previsto nell’accordo
di Lecco, Cremona (con cartotecnico e grafico), Lodi (con chimico, terziario e servizi) e Sondrio
(con settore manifatturiero, agricolo-alimentare ed elettrotecnico).
TABELLA 67. Settore di applicazione del primo accordo per gli asd nelle province lombarde
PROVINCIA
SETTORE PRIMO ACCORDO
Bergamo
Brescia
Como
Cremona
Lecco
Lodi
Tessile, abbigliamento e moda
Tessile, abbigliamento e calzature
Tessile, abbigliamento e calzature
Tessile, metalmeccanico, cartotecnico e grafico
Tessile e metalmeccanico
Tessile, metalmeccanico, chimico, terziario e servizi
256
Mantova
Milano
Pavia
Sondrio
Varese
Tessile, abbigliamento e calzature
Tessile, abbigliamento e calzature
Tessile, abbigliamento e calzature
Manifatturiero e agricolo-alimentare, tessile, metalmeccanico ed elettrotecnico
Tessile, abbigliamento, calzature, moda, meccanotessile
Fonte: elaborazione nostra
Molte province hanno poi siglato un secondo accordo, in cui hanno ampliato i criteri settoriali
di applicazione degli ammortizzatori in deroga: all’intera filiera del tessile abbigliamento e
calzature (Pavia), ad altri settori (chimico e cartario a Sondrio), a tutto il manifatturiero (Como,
Brescia e Cremona) o a tutti i settori produttivi (Mantova). Bergamo, che aveva già firmato due
accordi precedenti, ha previsto l’applicazione degli ammortizzatori in deroga a tutto il settore
manifatturiero con il terzo accordo, siglato nel luglio 2006.
TABELLA 68. Secondo accordo: ampliamento dei settori di applicazione dell’accordo
PROVINCIA
AMPLIAMENTO SETTORI DI APPLICAZIONE ACCORDO
DATA ACCORDO
Lecco
Milano
Lodi
Varese
Mantova
Como
Pavia
Sondrio
Brescia
Bergamo
Cremona
No
No
No
No
Tutti i settori produttivi
Manifatturiero
Filiera produttiva Tac
Chimico e cartario
Manifatturiero
Manifatturiero
Manifatturiero più altri settori
9 febbraio 2006
20 febbraio 2006
26 giugno 2006
27 giugno 2006
5 luglio 2006
10 luglio 2006
19 aprile 2007
Fonte: elaborazione nostra
GRAFICO 4. Cronologia della firma del primo e secondo accordo per gli asd nelle province
lombarde
Fonte: elaborazione nostra
257
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
In tutte le province, l’accordo riguarda sia la Cigs che la mobilità in deroga, con l’unica eccezione di Varese, il cui accordo è relativo alla sola cassa integrazione.
I destinatari sono individuati nelle imprese artigiane, industriali fino a 15 e oltre i 15 che non
possono fare ricorso agli ammortizzatori sociali.
Alcune province hanno posto dei limiti più stringenti rispetto alle dimensioni di impresa:
• a partire dal secondo accordo, in provincia di Cremona è stato posto il limite di 15 dipendenti per la mobilità e 25 dipendenti per la Cigs;
• a Lecco e Lodi l’accordo viene applicato solo alle aziende fino ai 15 dipendenti, sia per la
Cigs che per la mobilità.
• a Mantova, le imprese sotto i 15 dipendenti vengono considerate le destinatarie privilegiate,
la possibilità di allargamento è prevista solo in subordine.
Alcune province hanno poi previsto un ampliamento alle aziende cooperative: Cremona (che ha
allargato anche alle imprese commerciali), Mantova, Sondrio (ma solo nel primo accordo e solo
per la mobilità).
L’unico prerequisito richiesto ai lavoratori in tutti gli accordi è un’anzianità lavorativa presso
l’impresa non inferiore a 90 giorni. Viene, inoltre, precisata l’incompatibilità della Cigs in deroga
con trattamenti previdenziali o assistenziali connessi alla sospensione dell’attività lavorativa,
anche se con oneri a carico della Regione.
Il numero di lavoratori coinvolti non viene indicato, ad eccezione del primo accordo di Bergamo,
in cui era stato previsto il coinvolgimento di 1200 lavoratori.
La durata dei trattamenti viene predefinita solo in alcuni accordi, con una differenziazione tra
Cigs e mobilità e una maggiore tutela per gli over 50:
• a Bergamo il primo accordo pone un limite di 3 mesi
• a Brescia viene posto un limite massimo di 12 mesi
• a Cremona 6 mesi per la Cigs e 7 per la mobilità (10 mesi per gli over 50)
• a Lodi 6 mesi per la Cigs (con la possibilità di ottenere una proroga di ulteriori 6 mesi) e 9
mesi per la mobilità (12 mesi per gli over 50)
• a Milano si pone una durata minima di una settimana e un massimo di 6 mesi per la Cigs
(più 6 mesi di proroga) e 12 mesi per la mobilità (24 per gli over 50).
In ogni caso, rispetto a quanto definito nell’accordo, spesso le Province hanno poi previsto delle
proroghe e, nei fatti, la durata dei trattamenti è risultata più lunga.
Le parti istituzionali e sociali
I firmatari degli accordi sono numerosi e variabili, in relazione sia alla provincia sia all’accordo.
La Provincia di riferimento è l’unica firma presente in tutti gli accordi, accompagnata dal Ministero del lavoro e dalla Regione solo nel primo accordo, di assegnazione delle risorse. L’Agenzia
Regionale per l’istruzione, la formazione e il lavoro si occupa del supporto tecnico in quasi tutti
258
gli accordi siglati. È poi spesso presente la Camera di Commercio provinciale. L’Inps regionale
è firmataria di quasi la metà degli accordi, così come Italia Lavoro, che è l’agenzia individuata
dal Ministero per il monitoraggio degli ammortizzatori sociali in deroga; meno frequente la
presenza dell’Inps provinciale. La Direzione provinciale del lavoro ha siglato solo un terzo degli
accordi, ancora più rara la presenza della Direzione regionale del lavoro. Solo nell’accordo di
Pavia, che presenta caratteri peculiari, legati alla presenza del distretto calzaturiero, c’è la
firma di un sindaco, quello di Vigevano.
Per quanto riguarda le parti sociali, per parte imprenditoriale, Confartigianato è l’unica che
abbia siglato la totalità degli accordi, seguono Confindustria, Api Industria e Cna, tutte con una
presenza superiore al 75%. Claai e Casa hanno firmato un terzo degli accordi. Si segnala poi la
presenza di associazioni del settore cooperativo, del commercio e dell’agricoltura che, come si
è detto, sono coinvolti in alcuni accordi.
Da parte sindacale, Cgil e Cisl hanno firmato la totalità degli accordi provinciali, seguiti da Uil.
In alcuni accordi, si segnala la presenza delle associazioni di categoria del settore tessile.
TABELLA 69. Firmatari degli accordi: parti istituzionali e sociali
PRESENZE (IN %)
Istituzioni
Parti sociali
Provincia
Agenzia Regionale
Ministero del lavoro e delle politiche sociali
Camera di Commercio, industria e artigianato
Inps regionale
Italia Lavoro
Regione
Direzione Provinciale del Lavoro
Inps provinciale
Direzione Regionale del Lavoro
Comune
Confartigianato
Cgil
Cisl
Confindustria
Uil
Api Industria
Cna
Filtea
Claai
Casa
Femca
Confcooperative
100
86
64
59
41
41
36
27
18
14
5
100
100
100
95
91
82
77
41
32
32
32
27
259
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Lega cooperative
Uilta
Ente bilaterale artigianato
Assopadana
Unione Provinciale Cooperative
Libera associazione agricoltori cremonesi
Federazione provinciale coltivatori diretti
Associazione costruttori ance
Unione del commercio dei servizi del turismo e delle professioni
Comitato provinciale unitario dell’artigianato
Ebt
Assomac
Apam
Unione Cts-Confcommercio
Associazione commercianti
A.svi.com
Confesercenti
27
23
14
9
9
9
9
9
9
5
5
5
5
5
5
5
5
Fonte: elaborazione nostra
Quasi tutte le province hanno costituito organismi congiunti tra parti istituzionali e sociali per
il governo e la gestione degli ammortizzatori sociali in deroga. Questi tavoli possono avere una
funzione puramente formale, di ratifica delle decisioni prese dalle istituzioni locali, come nel
caso di Cremona e Lecco, oppure essere pro-attive, come nel caso di Bergamo, Como e Lodi.
Diverso è anche il ruolo dell’ente bilaterale dell’artigianato (Eba), il cui ruolo di gestione della
consultazione sindacale è esplicitamente richiamato in tutti gli accordi, a eccezione di Bergamo,
dove, in assenza di precedenti esperienze e procedure cui fare riferimento, è stato lasciato un
ruolo primario di governo del sistema alla Provincia, in accordo con le singole sigle imprenditoriali e sindacali.
Le procedure
Le procedure di assegnazione degli ammortizzatori sociali in deroga, pur seguendo uno standard
in tutte le province, presentano specificità locali, che sono determinate principalmente dal sedimentarsi di diverse prassi nella divisione del lavoro tra le parti istituzionali e sociali.
Per la Cigs in deroga, in tutte le province è previsto come primo passo la consultazione sindacale, secondo la procedura prevista dall’art. 5 L. 164/75 (a eccezione delle aziende aderenti
all’Eba, rientranti nelle previsioni di cui all’art. 12 L. 223/91).
L’esame congiunto viene poi realizzato in Provincia, con l’assistenza tecnica dell’Agenzia Regionale per l’istruzione, la formazione e il lavoro.
Negli accordi di Milano e Cremona viene fatto esplicito riferimento a un tavolo (o commissione)
tecnico/a di valutazione composto da rappresentanti della Provincia e delle parti sociali. Le
260
Province di Como, Pavia e Varese non dettagliano questi aspetti in sede di accordo.
Le domande approvate vengono poi inviate alla Direzione Provinciale per il Lavoro. L’unica eccezione di rilievo è rappresentata dalla Provincia di Pavia dove le domande vengono inviate
senza passaggi intermedi all’Inps. In molte province (Bergamo, Cremona, Lecco, Sondrio, Lodi
e Varese), si richiede di spedire copia per conoscenza anche alla Regione e alla Provincia; Pavia
solo alla Regione.
L’erogazione dei trattamenti viene effettuata dall’Inps, su autorizzazione della Direzione Provinciale del Lavoro.
L’Inps è poi tenuta a comunicazioni mensili in merito all’utilizzo della Cigs.
Per il trattamento di mobilità, il lavoratore presenta domanda all’Inps e si iscrive nelle liste di
mobilità al Cpi di riferimento; la Provincia verifica la lista dei lavoratori in mobilità approvata
dalla Sottocommissione regionale e li passa alla Dpl che fa il decreto di autorizzazione al pagamento, che permette all’Inps di erogare il trattamento. L’Inps è tenuta ad inviare prospetti
mensili di monitoraggio alla Provincia e alla Direzione Provinciale per il Lavoro. Fanno eccezione
Como, Lecco e Sondrio, dove le domande vengono presentate direttamente alla Dpl.
I dati di monitoraggio
Come si è detto, Italia Lavoro, in quanto agenzia del Ministero del Lavoro e della Previdenza
Sociale, del Ministero della Solidarietà Sociale e delle altre Amministrazioni centrali dello Stato
per la promozione e per la gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell’occupazione e dell’inclusione sociale, è il soggetto individuato dal Ministero per il monitoraggio degli
ammortizzatori sociali in deroga, realizzato nell’ambito del progetto Pari Mas. I dati più recenti
sono aggiornati alla fine di dicembre 2007.
Complessivamente, su più di 53 milioni di euro stanziati, ne sono stati impegnati poco più di
43 milioni (80% del totale) e ne sono stati erogati poco più di 29 milioni (54% del totale).
TABELLA 70. Aggiornamento dato stima di spesa al 31 dicembre 2007 in Lombardia, Cigs/mobilita’ in deroga 2005/06 /07
PROVINCIA
IMPORTO
STANZIAMENTO
IMPORTO DESTINATO
AD AZIONI DI
REIMPIEGO
IMPORTO
IMPEGNATO CIGS/
MOBILITÀ
IMPORTO RESIDUO
DA IMPEGNARE
CIGS/MOBILITÀ
IMPORTO EROGATO
PER CIGS/MOBILITÀ
Bergamo
15.000.000,00
5.000.000,00
8.809.718,69
1.190.281,31
7.813.688,00
Brescia
8.000.000,00
1.000.000,00
7.000.000,00
0
6.000.000,00
Como
15.000.000,00
7.000.000,00
6.900.000,00
1.100.000,00
6.369.274,12
264.694,00
382.000,00
Cremona
1.500.000,00
1.235.306,00
Lecco
1.500.000,00
1.414.537,00
85.463,00
399.825,00
Lodi
1.500.000,00
721.597,00
778.403,00
150.000
261
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Mantova
4.000.000,00
1.334.000,00
2.114961,00
1.200.000,00
783.358,65
Milano
12.000.000,00
10.000.000,00
2.000.000,00
0
928.000,00
Pavia
15.000.000,00
4.000.000,00
8.525.000,00
2.475.000,00
4.740.000,00
135.000.00
1.365.000,00
33.500,00
Sondrio
1.500.000,00
Varese
15.000.000,00
8.000.000,00
4.478.851,36
2.521.148,64
1.689.000,00
Totale
90.000.000,00
36.334.000,00
43.199.971,05
10.979.989,95
29.288.645,77
Fonte dati: INPS Regionale – INPS Provinciali – DRL - DPL Territoriali – Tavolo Tecnico presso singole Province Lombarde.
GRAFICO 5. Risorse destinate agli ammortizzatori sociali: rapporto tra stanziato, impegnato ed
erogato (valori assoluti)
Fonte: Elaborazione nostra da dati Sistema di Monitoraggio AA.SS. - Italia Lavoro - UT Lombardia
In base alla capacità di spesa (risorse erogate), le province possono essere suddivise in tre
gruppi:
• province ad alta capacità di spesa: Brescia (ha erogato l’86% delle risorse e ha impegnato
il 100%), Como (erogato l’80% e impegnato l’86%) e Bergamo (erogato il 78% e impegnato
l’88%);
• province a media capacità di spesa: Milano (ha erogato il 46% ma ha già impegnato il
100%), Pavia (erogato il 43%, impegnato il 78%), seguite da province che, pur avendo
erogato percentuali inferiori al un terzo del totale, hanno impegnato cifre significative, come
Mantova (erogato il 29% e impegnato il 79%), Lecco (erogato 27%, impegnato 94%), Cre-
262
mona (erogato 25% impegnato 82%) e Varese (erogato 24% impegnato 64%);
• province con bassa capacità di spesa: Lodi (erogato 10% e impegnato 48%) e, soprattutto,
Sondrio (erogato 2%, impegnato 9%)
GRAFICO 6. Risorse destinate agli ammortizzatori sociali: rapporto tra stanziato, impegnato ed
erogato (valori percentuali)
Fonte: Elaborazione nostra da dati Sistema di Monitoraggio AA.SS. - Italia Lavoro - UT Lombardia
Il monitoraggio di Italia Lavoro riguarda anche il numero delle aziende e dei lavoratori beneficiari degli ammortizzatori in deroga per provincia. Prima di prendere in esame questi dati, è
opportuno fare alcune riflessioni metodologiche.
La modalità di registrazione delle pratiche in uso non permette di capire come le diverse Province valutino le ricorrenze; ossia, nel caso in cui la stessa azienda apra più pratiche, e magari
per gli stessi lavoratori, non è chiaro se l’azienda e i lavoratori vengano conteggiati una o più
volte. Inoltre, i dati di Italia Lavoro si riferiscono alle richieste di Cigs e mobilità in deroga ma
dalle interviste ai testimoni privilegiati è emerso chiaramente il fatto che le aziende tendono ad
aprire la procedura per un numero di lavoratori e per una durata superiori alle effettive necessità
(il funzionario della provincia di Pavia stima che vengano utilizzate solo il 40% delle ore richieste).
Tenendo presente questi limiti nella costruzione del dato, è possibile fare qualche riflessione sui
risultati del monitoraggio di Italia Lavoro.
I dati sono, ovviamente, congruenti con il dato di spesa: la provincia che ha erogato più trattamenti è Bergamo, seguita da Pavia, Brescia, Como, Varese e Mantova. Cremona, Lecco, Lodi e
Sondrio si attestano su cifre poco significative.
263
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
TABELLA 71. Riepilogo Totale Aziende/Lavoratori che hanno richiesto la Cigs/Mobilità in Deroga a valere sugli Accordi di Settore con stanziamento del Mlps 2005-06 -07 al 31/12/07 in
Lombardia.
PROVINCE
Bergamo
Brescia
Como
Cremona
Lecco
Lodi
Mantova
Milano
Sondrio
Varese
Vigevano-Pavia
Totale
N. AZIENDE
N. LAVORATORI
181
124
47
5
7
1
105
9
0
54
153
673
1.405
1.015
850
24
59
55
420
82
9
650
1.200
5.659
Fonte: Elaborazione nostra da dati Sistema di Monitoraggio AA.SS. - Italia Lavoro - UT Lombardia
GRAFICO 7. Numero di aziende e di lavoratori beneficiari di asd per provincia
Fonte: Elaborazione nostra da dati Sistema di Monitoraggio AA.SS. - Italia Lavoro - UT Lombardia
Se paragonati con i dati amministrativi resi disponibili dalle Province, si rilevano numerose
incongruenze: nonostante i dati forniti da Italia Lavoro siano spesso più aggiornati, in molte
province il sistema di monitoraggio rileva una quantità inferiore di aziende e lavoratori coinvolti
rispetto ai dati amministrativi.
264
Questo dipende dai problemi metodologici sopra evidenziati, ma denuncia anche forti difficoltà
nel coordinamento del sistema informativo, che determinano disfunzionalità nella programmazione e nella gestione delle politiche del lavoro.
TABELLA 72. Confronto tra dati Sistema di monitoraggio (Italia Lavoro) e fonti amministrative
PROVINCE
DATA
N. AZIENDE
N. LAVORATORI
Dati di monitoraggio
31/12/2007
181
1.405
Dati amministrativi
30/04/2007
177
2.487
Brescia
Dati di monitoraggio
31/12/2007
124
1.015
Dati amministrativi
n.d.
n.d.
n.d.
Como
Dati di monitoraggio
31/12/2007
47
850
Dati amministrativi
31/12/2007
92
1298
Bergamo
Cremona
Dati di monitoraggio
31/12/2007
5
24
Dati amministrativi
31/08/2007
12 (solo Cigs)
80
Dati di monitoraggio
31/12/2007
7
59
Dati amministrativi
5/10/2007
121
193
Dati di monitoraggio
31/12/2007
1
55
Dati amministrativi
7/05/2007
1 (solo Cigs)
69
Dati di monitoraggio
31/12/2007
105
420
Dati amministrativi
30/11/2007
95
521
Dati di monitoraggio
31/12/2007
9
82
Dati amministrativi
31/12/2007
56
238
Dati di monitoraggio
31/12/2007
153
1.200
Dati amministrativi
31/05/2007
134
1253
Dati di monitoraggio
31/12/2007
0
9
Dati amministrativi
n.d.
n.d.
n.d.
Varese
Dati di monitoraggio
31/12/2007
54
650
Dati amministrativi
30/06/2007
52
613
Totale
Dati di monitoraggio
31/12/2007
673
5.659
Lecco
Lodi
Mantova
Milano
Pavia
Sondrio
Fonte: elaborazione nostra
Nonostante questi limiti, i dati statistici disponibili, integrati con le interviste ai testimoni
privilegiati, denunciano un diverso utilizzo degli ammortizzatori sociali in deroga nelle province
lombarde.
In sintesi, si rileva un ricorso prevalente alla Cigs a Bergamo, Cremona e Mantova e alla mobilità a Brescia, Lecco, Lodi, Milano. Gli ammortizzatori in deroga vengono erogati in larga misura
a dipendenti di piccole aziende a Bergamo, Brescia, Mantova e a dipendenti di grandi aziende
a Como e Varese. Si segnalano poi province che necessitano di ulteriori risorse (Brescia in primis) e altre in difficoltà di spesa (Cremona e Sondrio).
265
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Punti di forza e di debolezza dell’esperienza
Dalle interviste ai referenti provinciali emergono interessanti spunti di valutazione delle esperienze finora condotte in materia di ammortizzatori sociali in deroga.
In primo luogo, l’importanza di una buona rete di relazioni, pre-esistente la stesura degli accordi, tra le istituzioni e con le parti sociali.
Per quanto riguarda i rapporti tra le istituzioni, la Provincia rappresenta ovunque l’istituzione
centrale nella promozione e nella gestione degli ammortizzatori in deroga. L’unica eccezione è
rappresentata dalla Provincia di Pavia, che ha invece delegato tutta la procedura a un rapporto
diretto tra l’azienda, spesso rappresentata da un’associazione di categoria, e l’Inps, che eroga
i contributi. D’altro canto, Pavia è da segnalare come eccezione anche perché il relativo accordo
per gli ammortizzatori in deroga è l’unico che porti la firma di un sindaco, quello di Vigevano,
coinvolto per la crisi del distretto calzaturiero.
Nei rapporti tra le istituzioni, si segnala come buona prassi la partecipazione della Direzione provinciale del lavoro e dell’Inps provinciale ai tavoli aperti presso la Provincia per la gestione degli ammortizzatori in deroga, poiché ha permesso di offrire risposte più rapide ad aziende che si trovano in
situazione di difficoltà e per le quali il fattore tempo era determinante (si vedano in proposito le testimonianze dei funzionari provinciali delle province di Bergamo, Como, Cremona, Lodi e Varese).
Rispetto alle parti sociali, invece, c’è da rilevare una forte disomogeneità territoriale: vi sono
province, come Bergamo, Como o Varese, dove le parti sociali sono state propositive e sono state
da stimolo per le istituzioni per la promozione degli ammortizzatori in deroga ed altre province,
come Cremona, dove le parti sociali si sono limitate a ratificare le decisioni prese in sede istituzionale. Il ruolo delle parti sociali verrà approfondito nel quarto capitolo, qui importa però
rilevare il peso della concertazione per il successo delle politiche del lavoro.
Un secondo elemento di analisi riguarda il rapporto tra Province e Regione. Come si è detto, molti
intervistati lamentano una distribuzione sbilanciata delle risorse: a fronte di province che hanno ricevuto pochi finanziamenti rispetto alle esigenze del territorio (Brescia), ce ne sono altre in forte difficoltà
nello spendere le risorse loro attribuite (Cremona e Sondrio). I referenti provinciali sono concordi nel
richiedere una regia regionale, pur nel rispetto delle specificità provinciali; un equilibrio necessario,
seppur difficile da raggiungere. Questo ridurrebbe le distorsioni presenti nel sistema attuale (i cosiddetti “finanziamenti a pioggia”) e porterebbe a una razionalizzazione degli investimenti. Nella prima
fase di applicazione degli ammortizzatori in deroga, c’è stata una forte autonomia di iniziativa delle
province nella stipula degli accordi, seppur con il supporto tecnico dell’Agenzia regionale per l’istruzione, la formazione e il lavoro, che ha contribuito al confronto e, in parte, all’omologazione delle
pratiche. Come si è già detto, la Finanziaria 2007 (art. 1, comma 1190, legge 296/06), seguita dall’accordo del 5 giugno 2007 tra Ministero del lavoro e della previdenza sociale e Regione Lombardia e
dall’accordo quadro del 29 giugno 2007 tra Regione Lombardia e organizzazioni imprenditoriali e dei
lavoratori, ha promosso una sorta di “riaccentramento” della gestione delle procedure e delle risorse,
attribuendone alla Regione le competenze e destinando ulteriori 11,6 milioni di euro alla Lombardia.
266
Inoltre, molti referenti intervistati mettono in discussione l’intero sistema degli ammortizzatori
sociali. La sperimentazione degli ammortizzatori in deroga avrebbe potuto rappresentare il preludio a un’armonizzazione e innovazione degli ammortizzatori sociali per rendere più adeguato
il sistema di tutele al nuovo mercato del lavoro e al sistema eco-produttivo italiano. Il protocollo
e la legge sul welfare, come si è visto, sono un passo in questa direzione, ma di certo non hanno
introdotto una riforma complessiva degli istituti previsti. In particolare, gli intervistati auspicano una riforma che preveda dei diritti uniformi per tutti i lavoratori, indipendentemente dal
settore e dalle dimensioni dell’azienda per cui lavorano. Questo renderebbe più semplice la
diffusione delle informazioni, facilitando la fruizione dei benefici da parte dei lavoratori; inoltre,
come si vedrà nel paragrafo successivo, eliminerebbe alcuni ostacoli al processo di reimpiego
dei lavoratori disoccupati. Gli stessi intervistati individuano i principali ostacoli a una riforma
complessiva del sistema degli ammortizzatori: in primis, i costi elevati e, in secondo luogo,
l’eventuale opposizione di coloro che perderebbero diritti consolidati.
Infine, le politiche passive non possono essere esclusive: per facilitare il reimpiego, tutti i referenti intervistati reputano indispensabile l’integrazione con le politiche attive. Di queste ci occuperemo nel prossimo paragrafo.
3.2.3 Le politiche attive
Per quanto riguarda le politiche attive del lavoro, non è possibile procedere a un confronto
puntuale delle esperienze provinciali, a causa della loro eterogeneità. La tabella seguente sintetizza i documenti forniti da ogni provincia: è evidente sia la varietà dei progetti realizzati sia
le specificità locali nelle tempistiche per la progettazione.
TABELLA 73. Documenti relativi alle politiche del lavoro messi a disposizione dalle province
BG
Progetto 908
Relazione conclusiva progetti 908
Rapporto Pal 2005-08
Avvisi Pari
Rei
Progetto Valcamonica
Incentivi assunzione
Progetto lavoratori svantaggiati
Piano Fno
Relazione Fno
Bando Peg 2006
Piano provinciale orientamento 2005-2006
Piano 236
Piano 411
Progetto esecutivo 411
BS
CO
CR
LC
LO
MN
MI
PV
SO
VA
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Fonte: elaborazione nostra
267
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Nonostante questo, è possibile individuare alcuni aspetti comuni alle diverse esperienze provinciali.
Innanzitutto, prenderemo in esame le fonti di finanziamento. Nel periodo 2004/2007, le province
hanno utilizzato risorse a valere su: Fondo nazionale per l’occupazione (Fno), capitolo 908 del
bilancio regionale, risorse provenienti dal Ministero del lavoro gestite da Italia Lavoro, legge
236/1993, Fondo Sociale Europeo e su Fondi provinciali.
A queste fonti, nei progetti in avvio si aggiungono nuovi canali di finanziamento:
• il programma LaborLab del Ministero del Lavoro, gestito da Italia Lavoro (illustrato nel
cap. 1);
• le risorse provenienti dagli accordi per gli ammortizzatori in deroga (vd par. 3.2.2).
Per quanto riguarda queste ultime, le province hanno predisposto un Programma di reimpiego,
condiviso e approvato dalla Regione Lombardia di cui, con qualche eccezione, è ora in fase di
definizione la progettazione esecutiva.
Le azioni proposte nei piani provinciali possono essere ricondotte alla seguente tipologia:
• azioni di accoglienza e presa in carico (colloqui di accoglienza, colloqui di orientamento,
bilanci attitudinali e di competenze)
• accompagnamento alla ricerca attiva del lavoro (tirocini di orientamento e tirocini di inserimento)
• azioni di incontro tra domanda e offerta di lavoro
• incentivi alle aziende (per l’assunzione, per la trasformazione da tempo determinato a tempo
indeterminato, per la trasformazione da full-time a part-time)
• formazione individuale e collettiva
• servizi di outplacement
Tra queste, è interessante riflettere sull’utilizzo degli incentivi alle aziende. Questo strumento si
è diffuso come misura di politica attiva con il programma Pari ed è oggi sempre più utilizzato
nei programmi di reimpiego. Nel programma Pari, che prevedeva sia incentivi all’assunzione
che una dote formativa di 1.000 euro, molte province hanno convertito anche la dote in incentivo
per l’assunzione a tempo determinato. Il rischio nel ricorso a questo tipo di strumenti è il cosiddetto effetto di deadweight loss, ossia che il finanziamento pubblico si sostituisca a finanziamenti privati che sarebbero stati effettuati anche in sua assenza. Un altro aspetto da rilevare
riguarda l’introduzione di finanziamenti a sostegno dell’auto-imprenditorialità, intesa come
politica attiva del lavoro.
Le differenze principali tra le province riguardano l’assetto istituzionale e, in particolare, il ruolo
della Provincia. Si tratta di quello che da molti intervistati è stato definito il problema della
“terzietà” della Provincia. La legge regionale non definisce in maniera restrittiva il ruolo della
Provincia nelle politiche del lavoro, per cui, a differenza delle politiche dell’istruzione e della
formazione, non è prevista alcuna distinzione tra i soggetti che programmano e quelli che ero-
268
gano i servizi. Una riflessione più approfondita in questa direzione in questa direzione viene
richiesta dalla provincia di Varese. In altre province, invece, come Lodi (che eroga direttamente
servizi per il lavoro attraverso una struttura dedicata presso il Centro per l’Impiego) o Cremona
(dove tutte le attività dei soggetti aggiudicatari si svolgono presso i centri della provincia), il
coinvolgimento della Provincia nella gestione delle politiche del lavoro viene considerato un
valore aggiunto, finalizzato a garantire la qualità dei servizi ai cittadini.
Un problema comune a tutte le province, indipendentemente dall’assetto istituzionale e organizzativo di cui si sono dotate, è il coinvolgimento dei lavoratori nei progetti di politica attiva
del lavoro.
Questo dipende, in primo luogo, da una debolezza nella promozione delle politiche attivate: i
lavoratori e le aziende spesso non vengono nemmeno a conoscenza delle possibilità offerte attraverso finanziamenti pubblici. Gli intervistati auspicano un maggiore investimento delle associazioni di rappresentanza degli interessi, e degli enti bilaterali in particolare, nell’informazione
e nella sensibilizzazione dei propri iscritti.
Ma anche laddove il flusso informativo raggiunge i destinatari previsti, spesso non c’è interesse
a partecipare alle iniziative proposte. Il referente della provincia di Como stima che solo il 30%
delle persone che usufruiscono di ammortizzatori sociali siano disponibili a iniziare un percorso
di ricollocamento; quello della provincia di Lodi parla di risultati positivi quando almeno la metà
delle persone contattate aderisce alle iniziative di politica attiva.
In un documento della provincia di Cremona sono elencati i principali fattori di ostacolo alle
politiche attive del lavoro:
• difficoltà da parte del lavoratore nell’elaborazione del “lutto” (perdita del posto di lavoro)
• paura del cambiamento
• ritrosia a spostamenti superiori a 20 km
• difficoltà a lavorare su turni
• assenza di patente di guida e mezzo disponibile, conoscenze informatiche scarse o assenti,
poca specializzazione e professionalità non al passo con i tempi
• assistenza ai genitori anziani, ai figli in età scolare, problemi di salute che di fatto vincolano
l’accettazione di alcuni lavori
• rapporti di lavoro in essere
Alcuni intervistati (Bergamo, Brescia, Varese) rilevano come il problema principale riguardi,
oltre gli over 50 (ora over 45 e, in alcune realtà, over 40), le donne: l’assenza di offerta di lavoro
part-time, più funzionale alla conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, accompagnata
dall’accesso a sussidi al reddito (cassa integrazione guadagni e mobilità) rendono difficile il
coinvolgimento di questo target, che preferisce risolvere i problemi contingenti, dedicando il
proprio tempo alla cura della famiglia, piuttosto che fare un investimento in un percorso di riqualificazione dagli esiti a lungo termine. Questo nonostante il fatto che, come sostiene il
funzionario provinciale di Varese, pur essendo la categoria di lavoratori più difficile da coinvol-
269
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
gere in progetti di politica attiva, le donne sono anche quelle che ne traggono maggiori vantaggi
in termini di reinserimento occupazionale.
Per superare queste difficoltà, alcuni referenti provinciali (Cremona, Varese) suggeriscono l’applicazione dei meccanismi sanzionatori previsti dalla legge vigente (d.lgs.181/2000, d.lgs.
297/2002, legge 291/2004) per i lavoratori percettori di indennità di disoccupazione, mobilità
o cassa integrazione guadagni che non aderiscono a un’offerta formativa o di riqualificazione,
non accettano un’offerta di lavoro “congrua” o rifiutano l’avviamento in un percorso di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro. In caso di mancato assolvimento di tali obblighi,
la normativa prevede la perdita dei trattamenti di integrazione al reddito o di disoccupazione
ma, nei fatti, per accordo tacito tra istituzione e parti sociali, è prassi diffusa la mancata applicazione del sistema sanzionatorio. Recentemente anche il Ministero del lavoro, in una circolare del febbraio 2006 (n. 5), ha parlato di «possibili danni erariali» derivanti dalla mancata
applicazione del sistema sanzionatorio, richiedendo pertanto la collaborazione tra Province,
servizi pubblici e privati per l’impiego e Inps.
Alcuni intervistati dichiarano di aver utilizzato in più occasioni questa argomentazione, ma solo
come strumento di pressione verso il lavoratore, con la consapevolezza che non si sarebbe mai
arrivati all’applicazione delle sanzioni. D’altro canto, gli stessi intervistati non nascondono i
rischi di un’applicazione rigida di sistemi punitivi. Si rileva la difficoltà di distinguere le situazioni di opportunismo da quello di reale disagio, dal momento che lo svantaggio lavorativo si
accompagna a situazioni personali e familiari già difficili.
Inoltre, nel momento in cui si ipotizza l’applicazione di meccanismi coercitivi, bisogna valutare
l’efficacia delle politiche proposte. Purtroppo non è stato possibile fare un’analisi trasversale
degli esiti dei percorsi proposti ai lavoratori, perché questo dato non è stato messo a disposizione da tutte le province. È possibile prendere in esame solo dati qualitativi: tra questi, il più
interessante è il dato sintetico fornito dal funzionario provinciale di Brescia, secondo cui è stato
ricollocato solo il 10% dei lavoratori coinvolti in percorsi di politica attiva. Questo dipende da
un gap strutturale tra domanda e offerta di lavoro, che gli interventi formativi non riescono a
colmare: nel caso di Brescia, la richiesta di manodopera maschile da inserire nel settore metalmeccanico si scontrava con una realtà composta da una maggioranza di donne in uscita dal
settore tessile.
Dalle interviste sono poi emersi interessanti spunti di riflessione sul modello sperimentato dalla
Regione Lombardia con la legge 22/2006, in particolare sullo strumento della “dote”. Alcuni
intervistati (Como, Cremona) rilevano come la richiesta di attivazione e di scelta autonoma rivolta dalle istituzioni al lavoratore in difficoltà possa aggravare la sua situazione di disorientamento, dovuta alla perdita del lavoro, piuttosto che aiutarlo ad uscirne. È come se il modello in
sperimentazione presupponesse la razionalità assoluta di soggetti che, avendo a disposizione
tutte le informazioni necessarie e disponendo delle competenze utili a effettuare un’analisi
270
comparativa, compiono la propria scelta in ottica ottimizzante. I lavoratori che usufruiscono
degli ammortizzatori sociali in deroga agiscono, invece, come tutti gli attori sociali e con l’aggravante della situazione di difficoltà in cui versano, secondo un principio di razionalità limitata, avendo a disposizione poche informazioni e spesso in assenza delle competenze
necessarie per raggiungere persino una soluzione soddisfacente.
Sempre a proposito della legge 22, un altro punto debole rilevato dagli intervistati riguarda
l’accreditamento degli enti e il rapporto tra pubblico e privato: il rischio è che i soggetti con
maggiori risorse si rivolgano al privato e quelli più deboli al pubblico, generando un circuito
vizioso per cui al pubblico, che ottiene minori risultati perché gestisce soggetti con maggiori
difficoltà, vengono erogati minori finanziamenti, indebolendo l’offerta di servizi. Questo processo
metterebbe in discussione i progressi avvenuti negli ultimi anni: gli intervistati rilevano il forte
cambiamento avvenuto con la riforma dei servizi per l’impiego e il passaggio dagli ex-uffici di
collocamento ministeriali ai Centri per l’Impiego provinciali, che hanno assunto un ruolo attivo
nel (ri)collocamento dei lavoratori.
Inoltre, si rileva una scarsa maturità del sistema, dovuta anche al fatto che gli operatori sul
mercato del lavoro in Lombardia sono spesso una derivazione degli enti di formazione professionale, che in Lombardia hanno una tradizione ben più solida. Ritornano poi, anche a proposito
di politiche attive, alcuni nodi problematici emersi nell’analisi delle politiche passive. Innanzitutto, la necessità di una revisione complessiva degli ammortizzatori sociali, in direzione di un
sistema che riguardi indistintamente tutte le aziende e tutti i lavoratori, porterebbe vantaggi
anche sul fronte delle politiche attive: l’applicazione di sistemi generalizzati di tutela renderebbe più semplice il reimpiego di lavoratori che, avendo perso posti di lavoro più tutelati, sono
reticenti all’assunzione in aziende che possono offrire meno garanzie (es. aziende sotto i 15
dipendenti).
È invece più controversa la questione dell’applicazione degli incentivi a tutti i lavoratori, indipendentemente dal contratto di lavoro applicato: in provincia di Milano, per esempio, nel dibattito sul piano di reimpiego 411, le associazioni datoriali ne hanno richiesto l’applicazione anche
ai lavoratori a tempo determinato ma i sindacati si sono opposti e hanno ottenuto il sostegno
dell’Assessore provinciale.
Inoltre, viene sollevata anche in questo caso la questione del ruolo di regia della Regione, che
non porti ad annullare le specificità locali, ma le governi secondo principi e procedure comuni.
La presenza di un nodo forte della rete faciliterebbe la costruzione di legami stabili anche tra
gli altri partner istituzionali, oggi lasciati all’iniziativa spontanea delle parti. Si è visto, infatti,
che la collaborazione tra partner istituzionali nelle politiche del lavoro (anche quelle passive)
permette di fornire risposte più efficaci e, soprattutto, più rapide, in un contesto in cui il tempo
rappresenta un fattore fondamentale. D’altro canto, le politiche attive sono più efficaci proprio
nelle province in cui esistevano buone relazioni tra le parti (sociali e istituzionali) pre-esistenti
l’avvio dei progetti.
271
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
La Regione, oltre al ruolo di indirizzo politico, dovrebbe poi farsi garante dell’implementazione
di processi di monitoraggio, valutazione delle politiche attivate. Per questo, è indispensabile il
rafforzamento dei flussi informativi, sia tra istituzioni che verso i cittadini, che permetta un
buon monitoraggio dello stato di avanzamento delle politiche attivate, per poi procedere alla
loro valutazione. La legge regionale 22 prevede l’istituzione di un sistema di osservatori ma, ad
oggi, l’osservatorio regionale non è ancora stato costituito e lo stesso vale per alcune province
(ad esempio, Lodi e Pavia).
In conclusione, si ritiene debbano essere rafforzati tutti i meccanismi di gestione e gli strumenti
che permettono un’anticipazione delle ristrutturazioni. Oltre all’intervento per ridurre l’impatto
delle crisi aziendali, andrebbe potenziata la prevenzione, in particolare attraverso:
• la formazione continua (attualmente vista soprattutto dalle Pmi come un costo e non come
un investimento),
• la promozione della logica di filiera,
• gli investimenti in ricerca e sviluppo (quindi relazioni più strette tra università, scuole e
imprese)
• l’integrazione tra misure, soggetti e risorse (Fse, Fesr, 236, 411, 908 e altro).
4. LE OPINIONI DELLE PARTI SOCIALI
In questo capitolo, prendiamo in esame le opinioni delle Parti sociali interessate al tema degli
ammortizzatori sociali, soprattutto alle misure in deroga alle norme vigenti, scaturite in buona
misura dagli Accordi stipulati dall’allora ministro del welfare Roberto Maroni.
Al fine di comprendere in che modo gli accordi abbiano coinvolto e interessato le diverse Parti,
sono state effettuate sei interviste65, che hanno prodotto una serie materiali su cui riflettere. Per
meglio comprendere le risposte, queste sono state ordinate all’interno di un indice, che risponde
allo schema seguente.
1. Il settore artigiano e i suoi problemi
2. Il ruolo delle parti
3. Gli ammortizzatori sociali. Gli elementi positivi
4. Gli ammortizzatori sociali. Alcuni aspetti critici
5. La riforma degli ammortizzatori
65 Hanno risposto alle nostre domande: Bevilacqua della Uil (4 febbraio 2008), Pasquale Maiocco di Claai (22 febbraio 2008),
Giuseppe Saronni della Cisl (24 gennaio 2008), Eugenio Valoroso di Confartigianato (11 marzo 2008), Bruno Veronelli della Cna (29
novembre 2007), Valerio Zanolla della Cgil (3 dicembre 2007), Mauro Sangalli di Casartigiani Lombardia (marzo 2008).
272
4.1. Il settore artigiano e i suoi problemi
Uno degli argomenti principali delle interviste è stato, come ovvio, l’analisi del settore dell’artigianato, in tutte le sue specificità e problematicità. Settore di grande importanza per l’intera
economia del Paese (pochi altri luoghi al mondo possono essere confrontati con la situazione
italiana su questo punto), l’artigianato non emerge tuttavia come settore rilevante e degno di
attenzione se non in momenti di crisi particolarmente gravi.
Le questioni legate al settore sono molte, dalla concorrenza di altri Paesi, al costo del lavoro, al
poco sostegno nel marketing e nelle esportazioni. L’artigiano è spesso oberato da incombenze
gravose e da un sistema burocratico complesso.
«Secondo la mia opinione, l’artigiano come tale ha tali e tante capacità creative, inventive che reputo
sia secondo a pochi in tutto il mondo. La competitività rispetto ai prodotti che provengono da altre
parti del mondo, è legata a due elementi cardine: a) la farraginosità degli adempimenti burocratici.
[…]; b) il prodotto dell’artigianato che esca o non esca dal nostro territorio nazionale, possa essere
oggetto e codificato con dei valori di costo complessivo il più ridotto possibile. […] Noi ragioniamo
su prodotti di altissima qualità, purtroppo i costi non sono competitivi. Porto un esempio che mi è
capitato recentemente durante una riunione con i nostri pellicciai. In quell’occasione mi è stato fatto
tastare un prodotto di pellicceria italiana e uno di Taiwan. Io non sono un esperto del settore, anzi
sono ignorante in materia, e mi sono basato solo sul mio tatto. Ebbene, non sono riuscito a distinguere la provenienza dei due prodotti e non ho trovato grandi differenze. Il problema è questo: il
pellicciaio italiano non può portare sul mercato il suo prodotto a meno di 2.500/3.000 euro, quello di
importazione cinese può uscire sul mercato a 1.500 euro. Si capisce che molti pellicciai hanno dovuto
cessare l’attività. Sono i costi e gli oneri diretti e indiretti ad incidere pesantemente sul costo del
prodotto finito. Quando organizziamo mostre e missioni all’estero (dalla Russia all’America ecc.) il
prodotto italiano è molto appetito, ma c’è un problema di costo». (Unione Artigiani)
L’intervista che segue porta poi alla luce un problema di particolarità del settore e cioè alcuni
elementi di criticità nella gestione degli ammortizzatori sociali nel loro insieme. Il settore artigiano presenta specificità tali da dover essere gestito con provvidenze proprie e dedicate?
«Noi da tempo portiamo il nostro modello: noi insistiamo perché gli ammortizzatori sociali si facciano
nella bilateralità. È chiaro che quando si mette in piedi un canale parallelo, come le Cigs in deroga
rivolte alle imprese artigiane, con accesso del tutto gratuito, e questo canale viene utilizzato con forza
dalle imprese è la fine del nostro modello. Quando il modello della Cgis in deroga diventerà il modello
normale, le aziende pagheranno il 2%. È fonte di confusione dal punto di vista politico, anche se le
risorse vanno bene sempre, ovviamente». (Cna)
L’imprenditore artigiano, secondo queste altre interviste, che di seguito riportiamo, non può
comunque esimersi dal mettersi in relazione con altri che lavorano nello stesso settore o in
273
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
settori interdipendenti: la costruzione delle filiere di produzione è un’altra sfida che l’artigianato
pone al sistema produttivo.
«Gli strumenti sono quelli dell’associazionismo, l’integrazione per competenze e quantità produttive,
l’interscambio di segmenti vicini. Se io faccio una parte del cruscotto per auto e mi associo con quelli
che fanno la riloga superiore, forse posso acquisire una competenza in più che poi posso applicare.
Importante è anche una sensibilizzazione di categoria: il piccolo imprenditore che aderisca al sindacato non lo vedo così contraddittorio». (Uil)
«Gli strumenti a sostegno delle filiere produttive integrate sono, oltre a quelli ora indicati, da ricercarsi nelle proposte istituzionali, come quella della costituzione di un Osservatorio sull’artigianato,
che aiuti a comprenderne le dinamiche interne, le prospettive dei mercati dei prodotti, l’andamento
del mercato del lavoro».
«C’è un Osservatorio che dovrebbe funzionare attraverso delle specifiche convenzioni fatte con la
Regione Lombardia a mezzo di azioni specifiche, raccogliendo dati che poi ne farà uno studio. L’osservatorio è previsto dagli accordi regionali, ma al momento non è attivo del tutto». (Unione Artigiani)
«In ordine alla buone prassi si rende necessario provvedere ad un censimento e ad una catalogazione
informatizzata offrendo al sistema delle imprese artigiane l’opportunità di accedere ad esemplificazioni concrete in risposta a problemi differenziati». (Casartigiani)
Da questo primo punto, possiamo evincere alcune riflessioni in vista dell’avvio di azioni di buone
pratiche, quali:
• Il settore artigiano presenta notevoli nodi critici, legati alla sua conformazione e al suo
posizionamento nell’economia italiana: piccole imprese, a volte individuali, disseminate sul
territorio della Regione, spesso non riescono a costruire circuiti virtuosi tali da strutturare
una filiera produttiva integrata, che sia di stimolo all’innovazione da un lato e costituisca
baluardo di fronte alle crisi dall’altro.
• L’imprenditore artigiano desidera essere assistito nelle sue necessità in modo individuale,
punto peraltro che conferma il precedente, e quindi sono opportune figure di riferimento e
sostegno formate ad hoc.
• Le istituzioni non hanno ancora provveduto in maniera adeguata alla visibilità sociale ed
economica del settore, se è vero che strutture quali l’Osservatorio non sono, di fatto, ancora
decollate. La ricerca fatta all’interno di un simile organismo andrebbe a sostenere l’innovazione del prodotto e la visibilità del settore, senza dimenticare la scarsa capacità dell’artigianato ad attirare forze di lavoro nuove: quest’ultimo punto, molto discusso e mai risolto,
potrebbe trovare una sua sistemazione proprio qui. Se è vero che i giovani sembrano poco
inclini ad avviarsi verso le professioni artigiane e, quindi, il ricambio generazionale diventa
difficile, è anche vero che il settore è potenzialmente in grado di assorbire manodopera, che,
opportunamente formata, può trovarvi un luogo di sviluppo di professionalità e di carriera.
274
4.2. Il ruolo delle singole parti
Uno dei problemi che riguardano le Parti sociali è il ruolo che ciascuna di loro gioca nella concertazione. Per questo, è stato chiesto a ciascun intervistato di illustrare in che misura la propria organizzazione di appartenenza ha agito nella gestione degli ammortizzatori sociali a favore
dell’artigianato e attraverso quali azioni e convinzioni.
L’intervistato della Cgil sottolinea il ruolo della commissione regionale del lavoro e della formazione nella partita (ruolo prima in capo alle province), fornendo al contempo un insieme di
procedure adottate nell’erogazione degli ammortizzatori sociali e illustrando il lavoro delle diverse Parti presenti al tavolo delle trattative:
«La discussione maggiore l’ha svolta Crplf (Commissione Regionale Politiche del Lavoro e della
Formazione). La Commissione è formata da sindacato, Parti padronali, Assessorato, Agenzia del lavoro. Esiste poi una sottocommissione che ha il compito di elaborare gli aspetti tecnici. In questa
sottocommissione abbiamo deciso di suddividere le risorse regionale (11.600.000 euro) in tre tronconi: 1/3 all’industria, 1/3 artigianato, 1/3 commercio. L’industria ha già utilizzato la sua quota. Per
l’artigianato, la situazione è particolare: se non c’è crisi i soldi non sono sufficienti. Inoltre, c’è l’ente
bilaterale che eroga fondi: 40% che spetta al lavoratore, il rimanente lo dà la disoccupazione. L’ente
bilaterale dà più soldi della cassa integrazione in deroga». (Cgil)
Dunque, le Parti sono presenti al tavolo regionale in diversi ruoli, sia politici che tecnici, se si
esamina il lavoro della sottocommissione formata per la messa punto dei criteri di erogazione
delle provvidenze. Da questa prima intervista non si evince un ruolo particolare delle rappresentanze dei lavoratori, visto che il quadro descritto appare composto all’insegna della partecipazione per il raggiungimento di un fine comune, dove tutte le Parti concordano sull’importanza
dello stesso.
Anche il rappresentante della Cisl pone l’accento sul rilievo della concertazione nel trattare gli
ammortizzatori sociali, soprattutto laddove, come per l’artigianato, non vi siano provvedimenti
a sostegno del settore, se non quelli derivati proprio da questi interventi. Il ruolo del sindacato
sembra essere – anche qui – duplice, sia di tipo gestionale e amministrativo nell’erogazione dei
provvedimenti, sia di tipo politico più stretto, nella misura in cui si rileva come vi sia stato un
lavoro di sensibilizzazione delle istituzioni a favore di categorie escluse fino a quel momento dai
benefici. Sullo stesso registro, il rappresentante della Cna, che evidenzia il poco peso che rivestono oggi le piccole imprese disseminate sul territorio della Regione, in contrasto con quanto
avviene per le grandi aziende, che sembrano immediatamente coagulare consenso e attenzione
da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica quando si affacciano momenti di crisi. Eppure,
sembrano sottolineare gli interventi che riportiamo, il numero dei lavoratori coinvolti potrebbe
non essere distante per i due settori, quello artigiano e delle piccole imprese e quello della
grande industria. Il ruolo delle associazioni di categoria e del sindacato, dunque, è di evitare
275
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
che problemi non immediatamente manifesti siano lasciati nell’ombra per la pigrizia e il disinteresse delle istituzioni.
«La peculiarità dell’artigianato è quella di non aver mai goduto di politiche di sostegno. Per questo,
abbiamo fatto un lavoro a tutti i livelli dell’organizzazione, in modo da allargare il quadro dell’utilizzo
degli ammortizzatori in deroga per quei settori che non hanno copertura. Negli ultimi 5/6 anni qualche
passo in questo senso è stato fatto, a partire dall’ultima finanziaria, che ha esteso ad alcuni settori
l’uso degli ammortizzatori e delle coperture: agricoltura, terziario e servizi, artigiano. Sulla partita
artigiani, il dibattito si è vivacizzato con il precedente governo (e il Ministro Maroni), che ha di fatto
stanziato risorse affidando al territorio, a livello regionale, la possibilità di stipulare intese e accordi
che ne permettessero l’uso. Su questo la Cisl ha sempre spinto perché questo percorso fosse il più
veloce e strutturato possibile. Avendo presente le condizioni delle risorse date e disponibilità ad accordi, abbiamo lavorato a livello regionale e provinciale per rendere possibile l’uso di queste risorse».
(Cisl)
«Stiamo affrontando da tempo il problema delle politiche del lavoro e il problema delle piccole imprese, che sembrano appartenere a mondi completamente separati, perché le piccole imprese sono
disseminate sul territorio: se 200 dipendenti di un’impresa tessile di Como rischiano il posto di lavoro
perché l’impresa è in crisi, si costruiscono percorsi, si prevedono risorse ecc, finché si trova una soluzione di ricollocamento. Se sempre a Como 200 imprenditori di piccole imprese artigiane perdono
il lavoro a causa della stessa crisi, è facile che tutto il problema venga ignorato. La questione è: le
politiche attive del lavoro vengono messe in piedi quando ci sono casi emblematici, perché sono significativi dal punto di vista dell’opinione pubblica o perché le parti in causa sono sufficientemente
forti per richiamare l’attenzione». (Cna)
L’opinione del rappresentante Uil riprende ancora lo stesso tema, del ruolo che le rappresentanze
sindacali o datoriali rivestono nel sostenere il settore artigiano e delle piccole imprese L’intervista sembra anche voler rilevare come le piccole aziende spesso non siano in grado di cogliere
le opportunità presenti, per una sorta di “cultura del fai da te” che caratterizza il sistema industriale e artigiano del Paese.
«Le piccole aziende sanno ben poco degli ammortizzatori sociali o, meglio, non ne considerano l’esistenza, forse per scelta ideologica o congiunturale ne fanno a meno. Ciò che applicano sono le nuove
forme di lavoro: dall’interinale al contratto a progetto. Ciò che va perdendosi nella cultura non solo
dell’imprenditore, ma anche del “prenditore” di lavoro è il contratto a tempo indeterminato. Anche gli
stessi sindacati stentano a controllare e a digerire questo fenomeno. Gli ammortizzatori sociali sulle
piccole e medie aziende sono pressoché inesistenti, per un fatto di mentalità e di cultura». (Uil)
Anche da parte del rappresentante intervistato del Claai della Lombardia si sottolinea la peculiarità del settore artigiano e del ruolo che una rappresentanza deve assumere quando vuole
276
farsi carico di problematiche tanto complesse e per tanto tempo ignorate o sottostimate: come
ben riportato, lo strumento offerto dalla bilateralità fino a due anni fa era uno dei pochi strumenti di sostegno alle aziende artigiane, che non godono di alcun beneficio a sostegno dei dipendenti e dello stesso artigiano che presenta segni di difficoltà a stare sul mercato. La
bilateralità è vista da questo intervistato come un elemento di insostituibile valore per l’artigiano, che si trova a fare i conti con procedure e situazioni difficili da sostenere e governare.
Anche al solo livello informativo, il ruolo delle Parti sociali per il sostegno del settore è molto
significativo.
«Io sono responsabile delle relazioni sindacali esterne a livello regionale per conto della Claai-Lombardia. Partecipo alle riunioni e agli incontri che si fanno a livello regionale con le Parti sociali. Sono
un po’ una memoria storica: bisogna andare a ritroso dall’82 quando sono stati fatti i primi accordi
interconfederali da cui poi si è avviata un’attività a livello regionale per sviluppare ogni iniziativa
attraverso la bilateralità, in questo caso gestita appunto da Elba. Occorre partire dal presupposto
che quando si parla di imprese artigiane, riferendoci al dato della Lombardia che è la regione con
maggior consistenza numerica, abbiamo una media occupazionale che non va al di là delle 3 unità
per impresa. Parliamo di piccolissime aziende. Nel nostro settore, escluso il settore dell’edilizia e
dell’autotrasporto, che hanno contrattazioni differenti, ci siamo preoccupati di dare un sostegno al
reddito sia per i lavoratori dipendenti che delle imprese a fronte di situazioni di crisi. Sono stati stipulati specifici accordi, all’interno dei quali sono previste delle provvidenze specifiche. Fra queste ci
sono degli ammortizzatori sociali specifici, quali i contratti di solidarietà (regolamentati attraverso
la bilateralità) e la sospensione dell’attività lavorativa. Si utilizza l’ammortizzatore passivo a fronte
di una crisi produttiva, a fronte di difficoltà a stare sul mercato, oppure per cause naturali (nevicate,
terremoti ecc.). Tenuto conto che nell’artigianato non opera la Cigs, lo strumento offerto dalla bilateralità fino a due anni fa era uno dei pochi strumenti di sostegno alle aziende artigiane. Ora, con la
Regione Lombardia, sono stati attivati i cosiddetti ammortizzatori sociali in deroga. In Lombardia,
salvo alcune aree del bresciano e dell’alto pavese, lo strumento non è stato molto utilizzato. Per tre
elementi specifici sono stati preferiti i sostegni offerti dalla bilateralità: a) l’artigiano paga di meno,
b) c’è una procedura molto più snella e pratica: fatto un accordo in sede sindacale si predispone la
modulistica, il consiglio approva la domanda e poi si passa alla liquidazione; c) un esempio: il contratto di solidarietà che prevede una riduzione non superiore all’80% dell’orario normale, può avere
una durata nell’arco della vita aziendale fino a 3 anni, mentre la cassa integrazione in deroga non
può andare al di là delle 13 settimane». (Unione Artigiani)
Il rappresentante di Confartigianato propone altre riflessioni.
«Innanzitutto gli ammortizzatori sociali in deroga sono stati offerti dal ministro Maroni in un momento di congiuntura estremamente negativa e l’ente bilaterale con le proprie risorse non era in grado
di far fronte alle numerose richieste delle aziende. Abbiamo accettato volentieri l’intervento dello
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PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Stato e della Regione in materia di ammortizzatori sociali. Li abbiamo accettati come fatto eccezionale, dovuta ad una congiuntura estremamente negativa. Noi preferiamo utilizzare gli strumenti del
nostro sistema bilaterale perché è più funzionale rispetto alle esigenze delle nostre imprese artigiane.
Una cassa integrazione come quella dell’industria è altro rispetto a quanto serve al nostro settore. Il
sistema bilaterale, in situazione di normale congiuntura, è da solo perfettamente in grado di far
fronte alle esigenze delle aziende artigiane.[…] Un’impresa artigiana con circa 50 euro all’anno per
dipendente ha la garanzia di un ammortizzatore sociale dell’ente bilaterale, quando invece, l’impresa
che usufruisce della cassa integrazione ordinaria, pagata dall’Inps, deve pagare molto di più. Noi
offriamo più o meno le stesse cose che vengono offerte all’impresa industriale con un tipo di costo
molto contenuto. Questo è il motivo per cui noi siamo molto orgogliosi del nostro sistema». (Confartigianato)
Il rappresentante di Casartigiani propone un ruolo significativo per le parti sociali dell’artigianato, che si collegano alle politiche del lavoro sia passive sia attive:
«Le Parti sociali nell’ambito delle politiche del lavoro a favore del sistema delle imprese artigiane
svolgono un ruolo particolarmente significativo e attivo. In particolare, per le specifiche caratteristiche delle imprese artigiane quali realtà poco strutturate e di ridotte dimensioni, le Parti sociali devono
svolgere funzioni di supporto e di acculturamento più impegnative rispetto all’universo delle imprese.
Si tratta in sostanza, almeno per le Parti datoriali, di offrire servizi di affiancamento e di integrazione
delle funzioni tipiche che nelle grandi aziende viene sono svolte dal datore di lavoro o dal dirigente
delegato». (Casartigiani)
In conclusione, su questo punto possiamo rilevare un insieme di indicazioni che vanno, secondo
gli intervistati, a costituire una raccolta di buone pratiche nel gioco di ruolo che le Parti si assumono:
• Le Parti sociali sono necessarie a far emergere le problematiche che il settore dell’artigianato difficilmente esprimerebbe senza un intermediario adeguato.
• Il settore dell’artigianato si presenta come poco leggibile dalle istituzioni proprio per le sue
caratteristiche di struttura, che ne fanno un ambito che necessita di osservazione continua
per comprenderne i bisogni e tradurli in interventi concreti.
• Il settore dell’artigianato deve vedere l’intervento a favore dei dipendenti e allo stesso tempo
dei datori di lavoro, coinvolti nello stesso destino quando il settore subisce momenti di
crisi.
• Il ruolo delle Parti sociali è quello di fluidificare i rapporti tra le istituzioni e le Parti stesse,
visto che sono sul tavolo problemi che interessano tutti i “contendenti”.
• Il ruolo delle parti è anche di carattere culturale e di crescita del settore da tutti i punti di
vista.
278
4.3. Gli ammortizzatori sociali.
4.3.1. Gli elementi positivi
Lo strumento ammortizzatori sociali è adeguato a fronteggiare le situazioni di crisi occupazionale nel settore dell’artigianato? Le risposte sono sostanzialmente di segno positivo, ma la
questione è molto articolata, proprio per la struttura del settore stesso. Considerazioni sull’avvio dello strumento sono quelle descritte nell’intervista che segue.
«Ci sono due cose che difettano. Una prima è che non è ancora sufficientemente consolidato il livello
della bilateralità: attraverso la bilateralità si possono usare e gestire risorse. Il livello della bilateralità nell’artigianato ha ancora delle difficoltà ad essere ben operativo, sia a livello delle imprese che
dei lavoratori. Non si usa nel modo migliore possibile questo tipo di strumento: sottovalutato e usato
male. Molta parte degli ammortizzatori sociali passano attraverso gli enti bilaterali a livello provinciale, dove si fa la prima istruttoria. Esiste una fattualità operativa, ma a livello di progettualità e di
sviluppo di azioni positive all’interno del mercato del lavoro rivolta all’artigianato, si fa molto poco.
Faccio un esempio: nell’idea di sostegno nei casi di crisi e di difficoltà c’è la copertura (solidarietà,
provvidenze ecc.), però non c’è una vera politica attiva, ovvero non si fa formazione. C’è un’incompletezza nella funzione che la bilateralità svolge per fare politiche attive. Oggi siamo ancora nella
fase in cui facciamo da pronto soccorso: non si mettono a disposizione delle imprese artigiane vere
e proprie politiche attive, così come invece già avviene nell’ambito del settore industriale». (Cisl)
Mancano le politiche attive del lavoro per l’artigianato, di formazione, soprattutto, ma anche la
consapevolezza di poter usare strumenti efficaci: si sconta qui una serie di ritardi dovuti alla
poca sensibilità delle forze politiche e istituzionali, mentre le stesse forze produttive artigiane
sembrano maggiormente volte a risolversi i problemi contingenti, piuttosto che ad aprire un
ampio dibattito sullo sviluppo del settore.
A livello, poi, di istituzioni preposte alla distribuzione delle provvidenze, si registra un ritardo
nella riscossione di quanto dovuto da parte dello Stato e un ricorso diverso nelle province della
Lombardia, con diverse capacità e necessità di spesa.
«Gli ammortizzatori in deroga risalgono come idea al 1993. Negli anni, nelle varie finanziarie si sono
destinate delle risorse per alcuni settori, come cassa integrazione in deroga, successivamente è stata
concessa sia per la disoccupazione e infine sulla mobilità. Solo negli ultimi anni, dal 2004, con la
disponibilità del ministro Maroni a distribuire risorse si è cominciato a porre l’attenzione sulla questione. Tutto è cominciato a Bergamo, in seguito alla crisi della filiera tessile, fino ad estendersi a
tutte le altre province. L’Elba, finanziato da risorse dei lavoratori, ha un bilancio intorno ai 6.000.000
di euro: con gli ammortizzatori sociali in deroga questa cifra viene stanziata per una singola provincia, in alcuni casi anche quasi il doppio. Con la legge 411, parte delle risorse vengono dedicate alle
279
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
politiche attive. Nella finanziaria 2007 e in quella 2008 sono stanziati 460 mln ogni anno. Allo stato
sono stati finanziati per la Regione Lombardia 11.600.000 euro nel 2007 dopo un accordo fra l’assessore regionale e ministro del lavoro, ma occorre tenere presente che oltre a questi ci sono una serie
di arretrati che le province non hanno ancora incassato. Milano, Bergamo e Brescia sono le province
che hanno speso tutte le risorse loro destinate. Le risorse regionali sono destinate anche alla mobilità
dei lavoratori di aziende artigiane con meno di 15 dipendenti e con più di 15 per il commercio».
(Cgil)
Un discorso legato strettamente a questi è quello del territorio di riferimento: parlare di politiche
del lavoro, passive o attive, significa innanzi tutto analizzare da vicino le situazioni di difficoltà.
Gli ammortizzatori sociali sono da valutare sul piano dei singoli territori, come bene mette in
rilievo l’intervistato seguente.
«Questi sono accordi fatti a livello regionale. A livello territoriale, viene fatta una gestione rispetto
alle pratiche e alla verifica a monte della validità o meno della domanda. L’applicazione degli accordi
è sempre a livello regionale. Territorialmente possono essere fatti degli accordi specifici. Per la provincia di Como, per esempio, dove la nostra organizzazione non è presente, mi risulta che sono stati
fatti degli accordi specifici nel settore dei metalmeccanici e dell’abbigliamento, dove le aziende
pagano un contributo superiore per avere provvidenze di natura diversa rispetto alle provvidenze
minime». (Unione Artigiani)
Parlare di ammortizzatori sociali per le piccole imprese e per l’artigianato significa, inoltre, poter
contare su una serie di figure di riferimento che possano dare all’artigiano le informazioni che
gli servono per accedere alle provvidenze, guidarlo nel cammino burocratico, sostenerlo nelle
pratiche che man mano vengono a lui richieste. Forse qui l’esperienza di Bergamo è particolarmente valorizzata (il temporary manager non si occupa di aspetti burocratici) ma certo la direzione indicata è abbastanza nitida.
«Qualche esperienza c’è. L’esperienza fatta a Bergamo con ItaliaLavoro (progetto sull’artigianato)
partiva da questo punto: si sono messi a disposizione dei manager per le imprese che vogliono.
Quando si colgono segnali di crisi, occorre attivare i tavoli dove affrontare e studiare i problemi».
(Cna)
Inoltre, gli ammortizzatori sociali rispondono a esigenze che difficilmente troverebbero spazio
altrove: l’estensione delle tutele a lavoratori finora esclusi dai benefici è un traguardo importantissimo. La bilateralità, come afferma la seconda intervista qui riportata, sembra sostenere
il sistema stesso dell’artigianato, non solo i singoli lavoratori o imprenditori in difficoltà
«Sicuramente è l’estensione delle tutele a lavoratori che tutele non hanno. Se si guarda bene, i
280
lavoratori in Lombardia che vanno in disoccupazione e che hanno quindi una copertura solo
della disoccupazione, sono circa 1.500 al mese, non sono pochi. Sulla mobilità troviamo, invece,
circa 1.000 unità ogni mese. Si capisce che nell’opinione fa scalpore il dato dei licenziamenti
della grande industria, che, tuttavia, presi complessivamente, sono meno di quelli della piccola
impresa. C’è da aggiungere, che ogni mese, oltre ai numeri sopra citati, si devono aggiungere
una schiera di lavoratori che non hanno diritto nemmeno alla disoccupazione perché hanno una
situazione contrattuale in azienda che non gli dà diritto a nulla, e questi sono circa 1.300 al
mese. La cassa integrazione in deroga certamente non risolve il problema, ma riesce in qualche
modo a tamponare parte delle crisi che sono presenti nel mercato del lavoro. Tuttavia, non è uno
strumento che può dirsi risolutivo, perché molti ancora non hanno accesso a questo tipo di tutele». (Cgil)
«Gli esempi dell’artigianato sono confortanti, negli ultimi anni si sono visti dei passi in avanti. Con
la bilateralità si tolgono alcune remore e resistenze reciproche e si comincia a capire che in qualche
modo l’obiettivo da raggiungere è comune, pur mantenendo le proprie specificità. Se un’azienda va
a produrre in Romania, ci perde tutto il sistema e in qualche modo anche l’imprenditore. Avviene per
le produzioni di basso livello, ma sta cominciando a succedere anche per le professionalità medio
alte. È interesse dell’impresa stare dove c’è un buon livello di conoscenza e dove esiste, per esempio,
un buon rapporto fra impresa e università. Se devo sapere quali sono le sostanze meno inquinanti e
più economiche per un determinato prodotto, l’università mi deve dare velocemente questa risposta.
E se la trovo, l’imprenditore ha interesse a stare qui». (Cisl)
4.3.2. Alcuni punti critici
Gli ammortizzatori sociali non conoscono soltanto aspetti positivi. Dalle interviste si possono
ricavare anche alcune considerazioni di criticità, che puntualizzano come sia sempre necessario vigilare per evitare brogli e cattivo uso dello strumento.
«È successo che una grossa azienda ha cominciato a mettere fuori dalla fabbrica 300 o 400 persone,
non come licenziamento collettivo ma lasciando a casa 5 o 6 lavoratori per volta. In questo caso, non
è stata aperta la procedura di mobilità. Si sono accorti dopo 30 o 40 licenziamenti, cioè 6 mesi. I
lavoratori si presentavano come disoccupati e prendevano la mobilità in deroga, violando la legge.
L’azienda avrebbe dovuto aprire la procedura di mobilità e versare i contributi. Questo significa che
c’è un buco nella rete, mancano controlli capillari». (Cgil)
Oppure, si sottolinea come gli ammortizzatori sociali, se non coniugati alle politiche attive del
lavoro, rischiano di essere una goccia nel mare, senza che si intravedano soluzioni alle crisi
stesse.
«C’è una dinamica per cui se non si associa all’ammortizzatore la leva della politica attiva, questa
cosa rischia di diventare un semplice sostegno non finalizzato, che non dà struttura […]Noi sosteniamo che non debbano essere così tanti gli istituti per il sostegno al reddito: una disoccupazione
281
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
che serve quando il lavoratore non ha più un lavoro e uno strumento di sostegno al lavoro. Oggi ci
sono forme diverse per il sostegno al lavoro». (Cisl)
Troppi strumenti disperdono le risorse in rivoli poco controllabili: l’esortazione che proviene dalle
interviste che seguono è di razionalizzare gli interventi a sostegno dei lavoratori, in un’ottica di
concertazione da un lato e di obiettivi di efficacia e di efficienza dall’altro. Non solo: a volte,
sembrano dire altri intervistati, non si riesce nemmeno a utilizzare le provvidenze, per molti
motivi, tra i quali la mancanza di una cultura che sostenga l’intera procedura oppure, ancora,
la difficoltà nell’individuazione del livello territoriale di competenza, problema già accennato.
«Diciamo che le risorse di oggi non sono utilizzate: dei 3 milioni di euro disponibili ne sono state usati
900.000 in Lombardia. L’impresa e anche i consulenti trovano complicato l’accesso a questi strumenti. In teoria, dovrebbe essere una cosa veloce, ma a volte le cose non vanno poi così spedite. Ho
visto che su questo canale vanno le imprese con meno di 15 dipendenti non artigiane, oppure le
imprese artigiane che non hanno i requisiti per l’intervento dell’ente bilaterale. Gli ammortizzatori per
noi si fanno con la bilateralità, ora c’è poca cultura». (Cna)
«Le criticità sono legate ai tempi ancora troppo lunghi per i quali sia il lavoratore che l’azienda riescono ad acquisire l’intervento pratico in termini economici. In particolare, la parte di competenze del
Ministero del Lavoro che eroga tramite l’Inps. Sto sollecitando l’erogazione di contributi di periodi di
solidarietà fatti a cavallo fra il 2005 e 2006. Elba nel giro di 4 mesi è in grado di erogare le somme
ai soggetti interessati». (Unione Artigiani)
«Non c’è uniformità: le regole sono diverse territorio per territorio e il mercato del lavoro non è territoriale. Pensiamo un’impresa che ha stabilimenti in 3 o 4 province: è possibile affrontare a livello
regionale gli interventi, mentre è più complesso affrontare un percorso a livello territoriale. Questo è
un esempio estremo che fa capire, ma non cambia nulla se ragioniamo su diverse imprese». (Cna)
«Punti di debolezza sono rappresentati dalla insufficiente capacità del mondo associativo artigiano
di competere con strumenti consolidati nell’ambito delle politiche passive e nel frazionamento della
rappresentanza artigiana su quattro associazioni. «Un altro punto di debolezza è rappresentato dalla
difficoltà nel coordinamento delle diverse azioni portate avanti da soggetti plurimi che non sempre si
relazionano nella prospettiva dell’unità d’intenti sulle problematiche ma che, spesso realizzazioni
interventi singolarmente lodevoli ma complessivamente poco efficaci». (Casartigiani)
Da questo punto possono essere ricavate alcune osservazioni per la costruzione di buone pratiche:
• Gli enti bilaterali possono essere un buon punto di riferimento per l’artigiano, soprattutto
per quelle situazioni dove è necessario il supporto di una struttura di riferimento per poter
anche solo conoscere quello che c’è in gioco: l’ente bilaterale funge quindi da supporto
tecnico e può indirizzare gli imprenditori artigiani verso le migliori situazioni per la crisi che
possono interessarli.
282
• Occorre che gli ammortizzatori sociali siano rapportati al territorio di riferimento, (almeno
quando sono chiari i confini di distribuzione delle provvidenze), territorio che può presentare
caratteristiche anche molto diverse da zone limitrofe. Sembra che il mondo dell’artigianato
sia talmente variegato da non poter indicare vie preferenziali per gli interventi a sostegno
dell’occupazione, se non quella dell’intervento puntuale e sempre specifico per quell’azienda,
in quella zona, in quel settore produttivo, in quel momento.
• Gli ammortizzatori devono diventare un sostegno normale e continuo per tutti i lavoratori, a
qualunque settore produttivo appartengano.
• Le procedure devono essere rese più fluide.
• L’intero settore dell’artigianato deve essere sensibilizzato al ricorso alle provvidenze quando
se ne presenti la necessità.
• Occorrono organi di controllo perché non avvengano situazioni di cattivo uso dello strumento
ammortizzatori sociali.
• Le politiche passive del lavoro sono più efficaci quando si ipotizzano sinergie con le politiche
attive, in primis la formazione.
4.3.3. La riforma degli ammortizzatori sociali
Gli ammortizzatori sociali in deroga potrebbero subire modificazioni che ne migliorino l’applicabilità. In questo senso, le risposte degli intervistati contemplano alcuni temi di fondo, quali la
territorializzazione delle provvidenze e la gestione degli interventi formativi, come emerge dalle
testimonianze che seguono.
«Il dibattito è aperto e ci sono diverse scuole di pensiero. Noi pensiamo che questa esperienza possa
apportare un significativo contributo. C’è un rischio che nel dibattito è emerso, ovvero che un’azione
eccessivamente territorializzata porti ad un’eccessiva diversificazione della strumentazione fra area
e area. Tuttavia, è anche vero che parlare di mercato del lavoro a Milano è ben diverso che parlare di
mercato del lavoro a Mantova. […]Se il sindacato, le associazioni imprenditoriali e la Regione, si
siedono intorno a un tavolo e si decide che una certa quantità di risorse viene destinata per la formazione professionale nell’artigianato, il meccanismo di decisione rispetto a quale forma di gestione
deve essere uniforme e condiviso, quindi derivante da linee generali. Se si deve decidere verso quali
settori e i dettagli della distribuzione delle risorse, allora questo deve essere a livello territoriale».
(Cisl)
«Intanto occorre capire di quante risorse si dispone. Le risorse che attualmente vengono spese sono
molto di più di quelle che immaginiamo, perché l’Inps dà molto denaro, 460.000.000 euro che vengono erogati annualmente, accanto alla partita relativa alla bilateralità. Se un lavoratore è licenziato
in un’azienda artigiana, fa domanda per la disoccupazione e nello stesso tempo fa domanda alla
bilateralità se l’impresa è associata. Poi c’è la questione degli apprendisti: in Lombardia sono circa
120.000. Se perdono il posto, non hanno alcuna tutela, anche se s’è stata un’interpellanza della Cisl
al Ministero per estendere la deroga anche a questa categoria di lavoratori: Il Ministero ha dato parere
283
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
negativo, ovviamente riguardo alla Cigs ordinaria. Vorremmo vedere se è possibile estendere almeno
la Cigs in deroga. Anche perché su 120.000 apprendisti, chi fa effettivamente formazione sono circa
8.000». (Cgil)
Le problematiche qui sollevate sono molteplici. Oltre quanto rilevato sopra, merita un cenno la
questione dell’apprendistato, che stenta a trovare una soluzione rispetto ai numerosi nodi che
la caratterizza. L’estensione degli ammortizzatori a questa categoria di lavoratori significa, per
la sola Lombardia, riposizionare entro una fascia protetta, come dice l’intervistato, 120 mila
giovani (poiché parlare di apprendistato significa parlare di loro). L’apprendistato artigiano,
inoltre, rappresenta una larga fascia dell’apprendistato in generale ed è noto come proprio
nell’artigianato l’apprendista trovi la sua posizione elettiva. Gli ammortizzatori sociali estesi
agli apprendisti darebbero un segnale molto forte verso la riconsiderazione del welfare, a quel
punto non più attivato soltanto per lavoratori “tradizionali” e, soprattutto, una maggiore visibilità a questo istituto, il principale canale di avvio al lavoro oggi in Italia, insieme allo stage e
al tirocinio. Senza aprire un dibattito in questa sede sull’intreccio tra questi percorsi, è evidente
tuttavia come l’apprendistato e le altre forme di avvio al lavoro meriterebbero ben altra attenzione di quella attualmente loro dedicata.
Sul problema generale degli strumenti di welfare e della loro eventuale riforma occorre anche
riportare le opinioni che seguono, che danno l’idea della commistione di interventi possibili e la
considerazione di cui questi godono presso gli artigiani.
«Io per esperienza dico che l’artigiano non vede di buon occhio la cassa integrazione. Nella Cigs da
sempre l’artigiano individua uno dei nemici rispetto alla sua attività. La grande industria ha utilizzato molto questo strumento e i lavoratori in cassa integrazione il più delle volte, forti della loro
professionalità, vanno a fare qualche lavoretto, che crea concorrenza. Non vediamo bene il trasferimento della cassa integrazione anche agli artigiani, anche perché costa. Noi siamo per sviluppare la
bilateralità attraverso questi ammortizzatori, ampliandoli in modo che ci sia un’operatività molto
snella, che non comporti ulteriori oneri a carico delle imprese e che possa coprire il più possibile tutta
l’area del comparto artigiano». (Unione Artigiani)
«L’ammortizzatore sociale deve prendere atto che per la parte riguardante la micro impresa di una
diversa applicazione e una diversa comunicazione, altrimenti non ha senso». (Consulente)
«Secondo me non dovrebbe esserci la cassa integrazione, perché noi come ente bilaterale con un
costo più basso riusciamo a garantire le stesse prestazioni che offre il ministero». (Confartigianato
All’interno di questo paragrafo, vogliamo anche ricordare l’opinione che un intervistato esprime
sulla dote, recentemente introdotta in Regione Lombardia, strumento che, seguendo il principio
della personalizzazione e della sussidiarietà, vorrebbe raggiungere in modo adeguato i cittadini
e interpretarne i bisogni. la dote può infatti essere intesa come uno strumento di welfare, nel
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momento in cui chi la richiede può ottenere un sostegno che va nel novero, ancorché ristretto,
delle provvidenze sociali.
«Anche la dote è un nuovo elemento che ancora fatica a essere conosciuto. La difficoltà aumenta se
si considera che il lavoro parcellizzato è fatto in gran parte da stranieri, che hanno ancora più accentuato questo limite della non conoscenza. Anche i titolari delle imprese, a Milano, sono in una quota
crescente stranieri. Questa dinamica rallenta in parte la possibilità di accesso alle risorse. Solo con
la contrattazione territoriale è possibile raggiungere anche chi sfugge. Il contratto nazionale non può
essere lo strumento in grado di avviare politiche attive, perché ogni territorio ha le sue esigenze: a
Milano, dove terziario e servizi, spesso di qualità, sono il cuore del tessuto economico, non c’è la
stessa realtà che in Campania, dove l’agricoltura, per esempio, occupa buona parte della popolazione
attiva. Realtà diverse». (Cisl)
Insieme al tema della dote, l’intervista introduce un elemento che accompagna spesso le riflessioni sull’artigianato, la presenza di lavoratori immigrati. Le problematiche dell’immigrazione
riguardano da vicino sia il sistema generale del welfare sia l’artigianato e l’economia nel suo
insieme, ma non è stato affrontato in maniera esplicita nel corso delle interviste e, quindi, riteniamo di dovervi soltanto accennare.
L’ultimo problema che vogliamo rilevare in questo punto è quello dell’attendibilità del dato
statistico.
Apparentemente sullo sfondo del problema principale di dare sostegno a chi ne ha bisogno, in
realtà si tratta di uno degli argomenti più spinosi e irrisolti dell’intera vicenda. Decidere significa conoscere il problema su cui si incide e la decisione è basata – come sempre nelle politiche
sociali e del lavoro, e non solo – su dati che ne costituiscono la base e il riferimento. Ebbene,
questi dati sono molto spesso frammentari, raccolti solo su alcune filiere e non su altre, come
indicano le interviste che riportiamo di seguito.
«Anche i dati sugli ammortizzatori scarseggiano, perché funziona così: l’impegnato e l’utilizzato.
Quello che effettivamente è stato erogato lo so dopo due anni. Nella discussione che stiamo facendo
con l’Agenzia Regionale c’è proprio la questione del monitoraggio delle risorse: risultano esaurite
(facendo riferimento all’impegnato), poi in realtà ci sono disponibili ancora risorse. L’impresa, per
esempio, con 5 dipendenti chiede la cassa per tutti e 5, poi magari 2 di loro trovano un altro posto di
lavoro (e sono già 2 su 5). Risulta richiesta la cassa per 5, quando poi effettivamente in questo caso
viene utilizzata per 3». (Cgil)
«Una cosa positiva è invece l’art. 26 sul lavoro sommerso, però nell’ipotesi di protocollo che la Regione sta presentando alle Province, scopriamo che pezzi importanti di quell’accordo non vengono
citati, per esempio la partita sul fondo per l’emersione e il discorso del collegare i dati fra Inps, Inail
e altri istituiti in modo da capire dove si concentra il lavoro nero ecc. Con la scusa della privacy i dati
quasi non esistono». (Cgil)
285
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Ambiti diversi, la legge regionale 22 per la seconda citazione, dati specifici sugli ammortizzatori
per la prima, ma problema identico: i dati non sono disponibili. Si tratterebbe, infatti, di poter
impostare la soluzione di un problema avendone a disposizione i dati, ma questo resta per ora
soltanto un postulato. Viene qui descritta una serie di azioni, impraticabili perché alla fonte
manca l’informazione: il monitoraggio delle azioni deliberate; la stima delle risorse spese e
quelle a disposizione; e così via.
In conclusione, sulla riforma degli ammortizzatori sociali, possiamo dire che:
• Il pensiero strategico in merito a questo tema non è molto approfondito o, forse, manca di
tratti condivisi, cosicché rimangono nell’ombra molte questioni, che vorrebbero l’intervento
sia delle istituzioni e delle Parti a livello sia nazionale sia locale.
• L’estensione del welfare è questione molto complessa e di ampia portata. Convergono qui
ragionamenti e riflessioni che concernono la natura stessa della cittadinanza, di chi vi ha
diritto e di chi vi rimane escluso e i problemi scaturiti da queste questioni.
• È auspicabile una maggiore chiarezza intorno agli ammortizzatori, oltre che sulla loro eventuale riforma, poiché le provvidenze non appaiono a volte ben comprese e utilizzate nemmeno da coloro che ne trarrebbero maggior vantaggio.
• La valutazione di quanto fatto implica e presuppone l’esistenza di un buon sistema di raccolta dei dati, la loro elaborazione, l’utilizzo nelle sedi opportune.
• Rimane sullo sfondo la questione dell’introduzione del welfare di cittadinanza, che al momento non trova spazio nel nostro Paese, ma che riveste invece un posto importante in altri
paesi dell’Unione europea e sfida a riflettere sulla gestione e l’erogazione dei contributi a
sostegno del reddito e dell’occupazione
4.4. Le politiche attive del lavoro
Gli ammortizzatori sociali sono una parte delle politiche del lavoro rilevante e irrinunciabile,
poiché si va a sostenere il reddito e, dunque, le possibilità di vita delle famiglie che si ritrovano
in difficoltà per la perdita del lavoro o per la sua minor consistenza. Ma non sono l’unica possibilità offerta a chi si trova in crisi occupazionale. Un ruolo altrettanto importante, soprattutto
se riferito al lungo periodo, lo ricoprono le politiche attive, attraverso gli interventi che le province mettono a punto per favorire il reinserimento dei lavoratori dei settori in crisi.
L’indagine in cui si inseriscono queste interviste ha preso in esame le politiche attive del lavoro
e a quei capitoli rimandiamo per approfondimenti e puntuali verifiche di quanto si va facendo
nelle diverse situazioni territoriali.
Gli intervistati sono stati richiesti di dare un loro parere anche su questo punto, che si intreccia
con gli ammortizzatori in modo molto stretto. Le risposte sono di segno positivo:
«Nella gestione delle politiche attive, così come nella loro progettazione le Parti sociali, attraverso i
propri strumenti formativi hanno potuto contribuire offrendo risposte adeguate al sistema economico
286
e produttivo locale». (Casartigiani)
I ragionamenti emersi e le considerazioni espresse possono essere racchiusi in alcuni ambiti, che
abbiamo così individuato:
1 L’integrazione tra le politiche passive e quelle attive
2 La programmazione delle politiche attive provinciali
3 Il sostegno all’auto-imprenditorialità artigiana
4 La formazione e i fondi interprofessionali
5 La costruzione della rete tra imprese
6 Pubblico e privato
4.4.1. L’integrazione tra le politiche passive e quelle attive
L’integrazione degli interventi appare a tutti gli intervistati un punto imprescindibile per chiunque voglia seriamente mettere mano alla questione del sostegno al settore artigiano, ai lavoratori e agli imprenditori ivi operanti. Le politiche passive da sole non sono in grado di svolgere
se non un compito limitato, importante, ma che non appare in grado di rilanciare un settore in
ogni suo aspetto. A volte, sono vissute come interventi generici, sussidi dati a pioggia, senza
una finalizzazione. Meglio allora l’integrazione con altre tipologie di politiche, quelle attive,
appunto, che coniugano supporto alla persona, empowerment, valorizzazione delle competenze
e così via. Lo strumento della dote, già citato precedentemente, potrebbe tornare utile a questi
fini.
«Le politiche attive devono comunque affiancare l’ammortizzatore in modo da non fornire solo ed
esclusivamente il sostegno passivo al reddito, ma che si creino le condizioni affinché le risorse messe
in campo alimentino un ciclo di sviluppo e di maggiore spendibilità delle competenze del singolo
lavoratore» (Confartigianato).
«… si stanno mettendo in campo strumenti concreti per le politiche attive, anche se l’equilibrio fra
politiche attive e passive è molto sbilanciato a favore delle seconde ed è un limite pesante». (Cisl)
«L’ammortizzatore sociale in deroga in realtà è una bieca roba, è solo politica passiva. Se pensiamo
che nell’impresa con meno di 15 dipendenti il concetto di Cigs è del tutto estraneo. Se metto in Cigs
per 6 mesi i lavoratori di una piccola impresa, l’impresa non c’è più. O la Cigs si inserisce in un
percorso, altrimenti sono soldi dati a pioggia. È utile occasionalmente per qualche lavoratore in
esubero». (Cna)
«Abbiamo fatto cose molto interessanti con la Regione Lombardia, in particolare con l’Assessorato
all’Artigianato e si sono erogate delle risorse finalizzate all’incremento dell’occupazione, circa 700.000
euro messi in campo dalla Regione e dall’Ente Bilaterale e si sono creati circa 800 nuovi posti di
lavoro. Con una cifra irrisoria si è ottenuto un ottimo risultato. Attraverso l’Ente Bilaterale stiamo
facendo dei concreti interventi sulla sicurezza sul lavoro che è un tema di toccante attualità. Inoltre,
queste iniziative devono coinvolgere sia i lavoratori sia l’imprenditore, perché nella maggior parte dei
casi lavorano spalla a spalla». (Confartigianato)
287
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
«La dote ha l’obiettivo di creare le condizioni per occupare nuovamente il lavoratore espulso dal
mercato. Chi è disoccupato, non ha nessuna dote, è in una specie di area grigia e questo è un bel
problema. Nelle politiche attive stiamo cercando di operare bene, ma occorre anche tenere sotto
controllo i risultati. È vero che noi ci troviamo in un mercato del lavoro in cui il tasso di disoccupazione
è intorno al 3,9%, e questo aspetto va tenuto presente. Tuttavia, il mercato lombardo è molto dinamico e i licenziamenti dell’ordine di centinaia di lavoratori sono piuttosto comuni». (Cgil)
4.4.2 La programmazione delle politiche attive provinciali
Molti sono gli interventi effettuati nelle province della Lombardia, e di questi si dà conto in altra
parte di questo stesso rapporto. Qui merita richiamare come gli intervistati si pongano in merito
a essi. I nodi da sciogliere sono molti, soprattutto se si pensa che abbisognano di interventi di
formazione ai fini del ricollocamento persone che spesso non hanno mai frequentato un corso,
non si sono avvicinati alla formazione se non per brevi periodi in affiancamento, vedono in modo
alquanto negativo il sistema di istruzione. Vediamo in questa intervista la messa a tema delle
principali questioni legate ai piani provinciali.
«Abbiamo discusso con ItaliaLavoro di alcuni progetti (P.A.R.I.). Per esempio, si è lavorato molto con
aziende metalmeccaniche della provincia di Milano. La norma però prevede, in via teorica, che se il
lavoratore non accetta percorsi formativi perde la cassa. Se un lavoratore ha fatto 30 anni di lavoro
senza aver mai fatto formazione, non è facile a 50 anni mandarlo “a scuola” e seguire percorsi formativi, a cercarsi un posto di lavoro, percependo 800 euro al mese. A volte è difficile per un giovane
di 20 anni, figuriamoci per un 50enne. Con questo, non voglio certo dire che non occorra la formazione, perché se si riesce a ridurre anche di un solo mese lo stato di disoccupazione, a questo lavoratore abbiamo dato più soldi che con un rinnovo di contratto a livello nazionale». (Cgil)
4.4.3 Il sostegno all’auto-imprenditorialità artigiana
Uno dei temi che ricorrono nei periodi di crisi è la possibilità per chi perde il lavoro di re-inventarselo promuovendosi come artigiano. Il ricorso a questa forma di re-impiego è visto dagli intervistati come un percorso da sostenere, poiché finisce con il diventare un vero e proprio simbolo
di lotta alla disoccupazione. L’intervista che più delle altre riflette su queste tematiche è quella
rilasciata dal rappresentante Cna.
«Per noi è importante includere nelle politiche attive anche la creazione d’impresa, che però oggi ha
dei limiti. Ci sono progetti regionali a sostegno delle imprese che nascono, ma sono orientati a garantire un buon profitto dall’impresa, più che a considerare l’impresa come occasione di occupabilità.
L’analisi da fare oggi è verificare quale sia il tasso di mortalità delle auto-imprese (imprese senza
dipendenti) attivate da lavoratori che sono stati messi in mobilità o senza lavoro. La sensazione è che
il tasso sia più alto rispetto alla media, perché sono messe in piedi aziende come rimedio alla man-
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canza di lavoro: si parte, poi magari si ritorna alle dipendenze. Ricordo il caso degli intagliatori in
Brianza, in cui, statistiche alla mano, durante i periodi di crisi aprivano più aziende rispetto ai periodi
di non crisi. È questo un “ammortizzatore sociale” tipico delle imprese artigiane, se noi costruiamo
un percorso di assistenza al lavoratore che sceglie di mettersi in proprio. Oggi propongono percorsi
formativi, dote ecc. e coloro che accedono sono piuttosto assistiti, ma sui numeri temo che questi
rappresentino una percentuale minima rispetto a chi è senza lavoro e tenta l’avventura in proprio.
Occorre garantire un’assistenza nei primi anni, non tanto dando loro risorse, quanto offrire il sostegno
di un tutor. Chi è in mobilità può farsi anticipare l’indennità e usarla, chi è in un percorso concordato
a livello delle parti è assistito, ma la maggioranza…» (Cna)
La proposta di sperimentare percorsi particolari per le micro-imprese e per l’artigianato può
ricadere nelle politiche attive del lavoro? Siamo abituati a considerare politiche attive quegli
interventi che mettono il lavoratore in grado di trovarsi un nuovo impiego, più consono al mercato e alle nuove professioni. Nell’opinione di seguito registrata si lascia invece travedere l’idea
di un’intera filiera di imprese interessata e sostenuta ai fini di un suo migliore posizionamento
sul mercato.
«La maggioranza inizia un percorso da sola: chi va a fare l’imbianchino, non attiva i canali. La realtà
è che oggi c’è una mortalità di impresa molto elevata. Le politiche attive per l’artigianato non possono
prescindere dalla rete e dall’aggregazione di impresa. Noi proponiamo di sperimentare il modello di
Bergamo. Noi auspichiamo che la ricerca e il progetto dia luogo a sperimentazioni, perché se finisce
lì spendiamo per sapere quello che già sappiamo. Non si intravedono spazi per interventi sul territorio per gruppi di impresa. Se questo dibattito può portare a dire che avendo grandi risorse per le
politiche attive su territorio, possiamo richiedere una piccola quota per sperimentare un percorso di
politiche attive per gruppi di micro e piccole imprese? …» (Cna)
Il lavoro che manca, sembrano suggerire queste riflessioni, è problema di tutti e il piccolo imprenditore che chiude l’azienda si trova a fronteggiare un problema non di meno conto che se
si trattasse di un dipendente.
«Se cessano 100 imprenditori senza dipendenti, ci sono sempre 100 famiglie con un reddito ridotto.
Io penso a percorsi di ricollocazione anche per questa categoria: considerare oggetto di politica attiva
non solo i lavoratori dipendenti, ma anche l’imprenditore senza dipendenti. Noi dovremmo dare alle
piccole imprese che vogliono scommettere delle occasioni di riqualificazione. Io penso ai controterzisti del tessile: ci sono imprese vecchio stampo, con l’imprenditore con l’orologio in mano che conta i
pezzi prodotti. Queste imprese sono scarsamente interessate a politiche attive, perché il loro è solo
un problema di concorrenza di prezzo, non di prodotto e sono destinate a chiudere. Se però ci sono
imprese che vogliono cambiare, che vogliono offrire anche servizi al committente, allora bisogna
offrire a questi soggetti delle potenzialità. Vorrei poter assistere quelle imprese che vogliono stare sul
289
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
mercato con strumenti concordati con parti sociali, Camere di Commercio, Province. Bisogna avere
da un lato un’offerta di assistenza, dall’altro, imprese interessate: qualcuno si perderà per strada
altre no». (Cna)
Nelle politiche attive, i destinatari sono i lavoratori subordinati, mentre gli imprenditori di piccole imprese artigiane in crisi sono dunque lasciati a loro stessi?
Se pure a questa domanda si può rispondere di sì, occorre anche rilevare come a volte siano
gli stessi imprenditori artigiani, come del resto più volte accennato nel corso delle interviste,
a non accedere, per mancanza di informazioni o di tempo, alle provvidenze deliberate per il
settore.
4.4.4 La formazione e i fondi interprofessionali
Su questo punto, alcuni intervistati hanno manifestato un certo scetticismo: riprendiamo un
pezzo di un’intervista già menzionata, che bene illustra le difficoltà nel settore artigiano (ma
non solo) all’accesso a percorsi di formazione, e un altro parere, di provenienza datoriale.
«Se un lavoratore ha fatto 30 anni di lavoro senza aver mai fatto formazione, non è facile a 50 anni
mandarlo “a scuola” e seguire percorsi formativi, a cercarsi un posto di lavoro, percependo 800 euro
al mese. A volte è difficile per un giovane di 20 anni, figuriamoci per un 50enne». (Cgil)
«La formazione nel settore artigiano sconta un deficit di cultura che deve essere lentamente assimilato, perché tutto questo rientra in uno specifico indirizzo volto a migliorare le capacità e le attitudini
professionali che devono avere i lavoratori». (Unione Artigiani)
D’altra parte, secondo quanto sostenuto da qualche intervistato, i Fondi non raggiungono molto
in profondità il tessuto dell’artigianato, che deve ancora comprenderne l’utilità e la finalizzazione, pur essendo sicuramente, come ci dicono queste interviste, molto interessanti, soprattutto per certe competenze.
«Per la formazione, sempre tramite la bilateralità nell’articolazione regionale, partecipiamo a Fondartigianato, che organizza la cosiddetta formazione complementare: le aziende che versano il contributo dello 0,30% tramite l’Inps, dichiarano di aderire al fondo. Le aziende possono partecipare ai
bandi per la formazione continua. Sono i famosi fondi interprofessionali, che sono già a regine e
funzionano. Per il 2008 sono previsti ben 5 inviti. Abbiamo deliberato un piano regionale sulla formazione complementare. Sono piani formativi che possono essere anche interaziendali, territoriali. A mio
avviso sono molto appetibili». (Unione Artigiani)
«Gli artigiani non hanno dimostrato un interesse molto eclatante. Forse è un fatto organizzativo,
perché c’è il vincolo di dover presentare in sede di bando l’elenco delle imprese che aderisco almeno
per il 50%. A progetto avviato posso incrementare per raggiungere il restante 50%. Il problema quindi
è cercare di mettere insieme le imprese: è tutto un lavoro organizzativo. Vediamo che le aziende che
290
hanno sviluppato uno o più esperienze, apprezzano queste iniziative. Nel comparto artigiano ora c’è
molta manodopera che viene dai paesi comunitari ed extra-comunitari, quindi alcune materie come
l’insegnamento della lingua, nozioni di diritto e sicurezza sul lavoro sono argomenti molto importanti». (Unione Artigiani)
«Abbiamo riscontrato una certa difficoltà nel mettere insieme un certo numero di allievi, perché nella
piccola impresa c’è il problema che staccare anche un solo lavoratore comporta una notevole perdita
di manodopera. A volte è difficile raggiungere il numero minimo per attivare un corso. Nonostante
questo, va detto che il Fondo per l’Artigianato è il terzo in ordine di adesioni a livello nazionale e
questo ha un suo significato. Ci sono moltissime imprese che versano il loro contributo, quindi significa che a livello culturale il messaggio riguardante la formazione e le politiche attive è stato in buona
parte recepito. Il problema è che se un’impresa artigiana ha mediamente 3 o 4 dipendenti e manda
a fare un corso di formazione, significa che in quel momento viene a mancare il 50% della forza lavoro». (Confartigianato)
4.4.5 La costruzione della rete tra imprese
Una delle criticità maggiormente sentite dall’imprenditore artigiano, come richiamato più volte,
è la sua posizione spesso isolata nel panorama produttivo regionale e nazionale. Se a questo
aggiungiamo il costante invito a proporsi su mercati internazionali, appare ovvio come sia necessario costituire un apparato a sostegno di questi obiettivi, molto importanti ma anche molto
difficili da raggiungere singolarmente.
Le interviste mettono in luce queste problematiche, indicando anche una via di soluzione: la
costituzione di reti di produzione e di commercializzazione. Non mancano, come si evince dalle
risposte, difficoltà e resistenze.
«I territori possono promuovere la rete di imprese attraverso le associazioni di categoria. La bilateralità locale e le associazioni sicuramente possono impostare un’iniziativa comune, andando ad individuare quelle frange di attività o di settori bisognosi di attenzione». (Unione Artigiani)
«È una sfida complessa. Questo dovrebbe essere il nuovo ruolo del sindacato, che ha sensibilità
territoriale e un radicamento deve far capire quanto e con quanta profondità è possibile spingere
riguardo all’aggregazione di imprese affini per specialità e settore. […] Le imprese devono fare
massa critica». (Uil)
«Ma capita spesso che siano gli stessi imprenditori a non percepire le loro problematiche, perché
anche nella microscopica dimensione l’accorpamento può essere una strategia vincente: se ci fossero
30 artigiani che si mettono insieme fa senso (?) indipendentemente dal fatto che uno faccia le viti e
uno i dadi». (Uil)
4.4.6 Pubblico e privato
Richiamiamo in questo paragrafo uno degli argomenti, in realtà trasversale a tutto il discorso
delle politiche attive e passive ma che qui sembra collocarsi in maniera assolutamente propria,
291
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
di criticità delle politiche attive del lavoro: la possibilità del privato di accedere allo stesso titolo
del pubblico alla gestione delle azioni di regolazione del mercato del lavoro.
«A livello provinciale e regionale si sta discutendo da tempo. Sulla a legge 22 siamo
usciti con un parere negativo, anche se abbiamo operato per migliorarne diversi aspetti.
Il parere negativo è legata alla parificazione dei Centri per l’Impiego privati a cui noi non
siamo contrari per principio, ma non concordiamo sul fatto che possano ricevere risorse
in modo indiscriminato tra pubblico e privato. Se vogliamo dare al lavoratore la vera
possibilità di scelta fra pubblico e privato, occorre che il pubblico garantisca un servizio
eccellente, invece non c’è nella legge la volontà che il pubblico sia effettivamente concorrenziale. Senza risorse adeguate per il pubblico, le persone che lavorano presso i
Centri per l’Impiego molto probabilmente avranno contratti a termine o da precari: che
tipo di attaccamento a lavoro possono avere?». (Cgil)
Il dibattito è aperto e senza termini definitivi.
In conclusione a questo paragrafo, possiamo dire, in direzione di un insieme di buone prassi:
• Le politiche attive non possono prescindere dalle politiche passive, e viceversa. Un buon
sistema di politiche del lavoro le contempla e sostiene entrambe.
• Occorre sciogliere i nodi relativi alla presenza del pubblico e del privato nella gestione delle
politiche del lavoro, non soltanto in merito alla legge della Regione Lombardia, ma anche in
relazione alla bilateralità: gli ammortizzatori in deroga raggiungono più facilmente i destinatari se gestiti dalla bilateralità o dalle istituzioni pubbliche?
• Politiche attive vuol dire quasi sempre accesso, più o meno volontario, a corsi di formazione.
In questo modo i lavoratori possono riqualificarsi ed esibire competenze maggiormente appetibili dal mercato. Perché questo cammino virtuoso sia possibile, i lavoratori devono essere convinti della bontà dei percorsi proposti: compito di un sistema di politiche attive è
quello di mostrare i risultati ottenuti attraverso queste azioni, affinché si arrivi alla costruzione di strutture solide e ben supportate per le politiche di sostegno al lavoratore in difficoltà.
5. GLI STUDI DI CASO
5.1. Il “Progetto Artigiani - Modelli di sviluppo per il sistema delle imprese
artigiane” in provincia di Bergamo
Il “Progetto Artigiani – Modelli di sviluppo per il sistema delle imprese artigiane” è un progetto
finanziato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, a valere sul Fondo nazionale per
l’occupazione, e realizzato da Italia lavoro in collaborazione con le principali associazioni di
categoria dell’artigianato, la Regione e le Province delle aree interessate.
Nello specifico, la fase preliminare del Progetto ha visto la stipula di un protocollo di intesa tra
292
Ministero del Lavoro, Italia Lavoro e Confartigianato, CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media impresa), Casartigiani e CLAAI (Confederazione delle Libere
Associazioni Artigiane Italiane). Dal punto di vista territoriale, invece, è stato previsto il coinvolgimento delle province di Belluno, Udine, Bergamo, Modena, Prato, Macerata, Ancona, Caserta, Benevento e Lecce e sono stati individuati, attraverso una fase preliminare di studio e
analisi dei sistemi economici produttivi e in stretto raccordo con le istituzioni locali, i settori di
riferimento ove attuare la sperimentazione prevista dal Progetto (Tabella 1).
TABELLA 1. I territori e i settori di intervento
PROVINCE COINVOLTE
SETTORI PRODUTTIVI
Belluno
Meccanica, legno, impiantistica
Udine
Arredamento/legno, nautica da diporto, artigianato artistico e tradizionale
Bergamo
Tessile/abbigliamento, legno
Modena
Itc, tessile/abbigliamento, metalmeccanico, biomedicale, agroalimentare
Prato
Tessile/abbigliamento, agroalimentare, meccanica, artigianato artistico e tradizionale
Ancona e Macerata
Calzaturiero, meccanica, tessile/abbigliamento, nautica
Benevento e Caserta
Artigianato artistico e tradizionale, agroalimentare
Lecce
Tessile/abbigliamento, calzaturiero, meccanica, agroalimentare, legno/arredo
Fonte: Italia Lavoro.
L’obiettivo che attraverso questo progetto si intende perseguire è da porre in relazione alla
sperimentazione e alla strutturazione di «un modello di intervento in grado di sostenere le imprese artigiane nel difficile compito di adeguarsi ai cambiamenti del mercato […] e di rappresentare un bacino per la creazione di nuove opportunità occupazionali»66. In particolare, questo
progetto si propone di favorire la creazione di un modello, successivamente esportabile in altri
territori o contesti, capace di innalzare il valore aggiunto generato dall’imprenditore artigiano,
attraverso soluzioni fondate sulla sinergia e sulla rete promosse e sostenute anche grazie ad un
rinnovato ruolo delle associazioni di categoria.
Il Progetto, tuttora in corso, dopo una prima fase di analisi del contesto socio-economico e del
tessuto produttivo dei territori coinvolti, che ha portato alla costituzione di un “Osservatorio del
sistema locale delle imprese artigiane”, è stato strutturato in tre azioni principali, rivolte a:
a) le associazioni di categoria, al fine di rafforzare, consolidare, aggiornare e implementare i
66 Depliant informativo Progetto Artigiani.
293
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
servizi offerti, mediante la creazione di “laboratori” volti ad assistere le imprese in relazione
ai fabbisogni espressi;
b) le imprese, per costruire e sperimentare un sistema di assistenza diretto agli artigiani e
promuovere l’occupazione e l’occupabilità dei lavoratori attraverso il sostegno all’attivazione di nuove assunzioni, di tirocini e di percorsi di apprendistato;
c) le filiere, per favorire lo sviluppo di strategie di rete e moltiplicare le occasioni di collaborazione tra le singole realtà produttive, mediante attività di animazione territoriale, assistenza
nelle fasi di commercializzazione dei prodotti ed, eventualmente, il supporto alla creazione
e alla promozione di marchi di filiera.
Secondo i dati resi disponibili da Italia Lavoro67, tra i risultati raggiunti dal Progetto nei dieci
territori coinvolti si segnalano:
• la creazione di un Osservatorio normativo, legislativo e dei servizi per il settore artigiano;
• la realizzazione di un’analisi dei fabbisogni dei servizi per le imprese del settore;
• la pubblicazione di un avviso pubblico per il finanziamento, attraverso incentivi alle imprese,
di servizi di assistenza tecnica e di nuove assunzioni, con i seguenti risultati:
• 1.085 richieste di servizi di assistenza tecnica da parte delle imprese (su 400 incentivi
disponibili da progetto) e 350 consulenze avviate alla fine di settembre 2007;
• 3.756 richieste di incentivi per l’assunzione (su 400 disponibili da progetto), pari a 2.148
imprese richiedenti; le assunzioni già effettuate alla fine di settembre 2007 sono pari a
233;
• la creazione di 19 Laboratori presso le associazioni dell’artigianato territoriali.
5.1.1. Il progetto artigiani in provincia di Bergamo
In provincia di Bergamo il Progetto Artigiani è stato sviluppato, con il supporto di Italia Lavoro,
da Confartigianato e CNA e ha riguardato il comparto del tessile-abbigliamento e del legno, due
settori radicati nella tradizione economica-produttiva del territorio e, in particolare, nel mondo
artigiano.
L’obiettivo che, a livello provinciale, si è inteso perseguire è quello di «intervenire sull’artigianato per prevenire e affrontare la situazione di crisi registrata in alcuni settori, come quelli
individuati, attraverso la messa in campo di strumenti manageriali efficaci»68.
Il Progetto ha visto come fase preliminare alle attività di sviluppo successivamente implementate lo studio e l’analisi del contesto di riferimento, in particolare attraverso il contatto diretto
con alcune imprese del territorio e il confronto con i principali attori che a livello locale operano
nel mercato del lavoro e nell’artigianato.
Nello specifico, le attività realizzate per favorire una migliore comprensione delle dinamiche in
corso sono riconducibili a:
67 Si veda il sito internet http://www.italialavoro.it/wps/portal/artigiani alla pagina “Le attività in corso”.
68 Dal colloquio con Giuseppe Vavassori, Cna Bergamo, 15 gennaio 2008.
294
• un’analisi di contesto, realizzata attraverso l’elaborazione e l’approfondimento dei dati relativi alla popolazione, alla demografia delle imprese, ai settori di attività, ai distretti, ai
mercati esteri, al mercato del lavoro;
• un’analisi rapida69 per rilevare punti di forza e di debolezza di alcune imprese di ridotte
dimensioni, attraverso lo svolgimento di 23 interviste a imprese artigiane del territorio;
• un’attività di confronto con gli stakeholders, realizzata mediante lo svolgimento di:
• dieci interviste a testimoni privilegiati, per evidenziare le criticità del territorio e, in
particolare, del settore artigiano, e le possibilità offerte;
• un focus group che ha visto il coinvolgimento di Unione artigiani Bergamo, Consorzio fidi
Associazione artigiani Bergamo, Servitec, Agenzia regionale per il lavoro, Università di
Bergamo, Consorzio fidi CNA Bergamo, Bergamo formazione, Assessorato provinciale al
lavoro, ABF (Azienda bergamasca formazione), Italia Lavoro. I temi affrontati hanno riguardato l’andamento economico settoriale, gli strumenti utilizzati dal mondo artigiano,
le problematiche occupazionali, le caratteristiche dei servizi legati alla formazione e al
sostegno alle imprese, i rapporti con il mondo del credito.
• una mappatura dei servizi alle imprese, intesa come ricognizione delle opportunità che il
territorio offre a imprese e imprenditori nei termini di progetti, normative e servizi esistenti
(tab. 2).
TABELLA 2. Sintesi della mappatura dei progetti di sviluppo in provincia di Bergamo
TITOLO
PROGETTO
ENTE PROMOTORE
PARTNER
OBIETTIVI
BENEFICIARI
Punto
Informativo
impresa donna
Cciaa Bergamo
Associazione artigiani
Cciaa Bergamo
Associazione artigiani
Imprese femminili
in start up
Crea impresa
in proprio
Cciaa Bergamo
Associazione artigiani
Cciaa Bergamo
Associazione artigiani
Rating point
Cciaa Bergamo
Associazione artigiani
Cciaa Bergamo
Associazione artigiani
Aiutare le imprese
artigiane al femminile
attraverso l’erogazione
di servizi
Supporto a
extracomunitari e
atipici per la nascita di
imprese
Aiutare le imprese
a fronteggiare i
cambiamenti introdotti
dall’accordo di
Basilea 2
Atipici e stranieri
Aziende artigiane
69 L’analisi rapida è «una tecnica di indagine basata su un’analisi di tipo “field” che prevede la somministrazione all’imprenditore
[…] di un questionario strutturato composto da 260 domande aperte»; l’obiettivo è quello di «valutare le condizioni di efficienza
dell’aziende sotto il profilo economico e sotto il duplice aspetto interno (attraverso l’analisi dei punti di forza e di debolezza) ed
esterno (attraverso l’analisi delle opportunità e delle minacce). Lo strumento permette di rilevare in poco tempo il posizionamento
di una piccola-media impresa in relazione al proprio mercato di sbocco, ai fornitori, alle risorse umane, alla leadership, alla innovazione, alla tecnologia ed alle questioni economiche-finanziarie» (Progetto Artigiani, Provincia di Bergamo – analisi del contesto
e linee di indirizzo, p. 20, marzo 2007).
295
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Promo valle
Incubatore
d’impresa
Unioncamere Cciaa
Bergamo
Bergamo formazione
Cciaa Bergamo
Bergamo formazione
Saturno
Ministero lavoro
Regione
Unioncamere Lombardia
I Cast
Regione, Prov. di Bergamo,
Cciaa Bg, Cciaa Co,
Politecnico
Unioncamere Cciaa
Bergamo
Associazione artigiani
Cciaa Bergamo
Bergamo formazione
Associazione artigiani
Enti accreditati
ministero e regione
Regione, Prov. di
Bergamo, Cciaa Bg,
Cciaa Co, Politecnico
Aiutare le imprese
artigiane della Valle
Seriana
Aiutare aspiranti e neo
imprenditori
Aziende artigiane
Contributi per nuove
imprese e supporto
alla definizione del
business plan
Integrazione delle Ict
nella filiera tessile
Neo imprenditori,
coop sociali, pmi
Aspiranti imprenditori
Imprese in start up
60 pmi tessile (Bg,
Co, Sempione)
Fonte: Italia Lavoro.
Questa fase conoscitiva, così come emerge nel rapporto “Provincia di Bergamo: analisi del
contesto e linee di indirizzo”70 ha consentito la comprensione di alcuni fenomeni in atto a livello
locale e l’evidenziazione delle principali criticità attraversate dal mondo dell’artigianato bergamasco. In particolare, il confronto con gli stakeholders e l’analisi rapida con le imprese ha favorito la riflessione in merito alle difficoltà dell’artigianato nei termini di:
• ubicazione degli insediamenti produttivi in luoghi ad alta intensità di popolazione che comporta notevoli problematiche dal punto di vista della logistica;
• inadeguatezza delle infrastrutture e persistenti criticità legate al traffico, soprattutto per le
imprese delle valli e delle zone collinari;
• assenza di autostrade telematiche-cablatura del territorio;
• crisi del comparto tessile, da relazionare non solo ai cambiamenti in atto a livello economico-produttivo ma anche alla struttura stessa delle imprese (piccole realtà che operano
come conto terziste dei grandi gruppi industriali);
• scarso livello culturale degli imprenditori che comporta una scarsa propensione alla flessibilità e al cambiamento;
• bassa strutturazione delle piccole-medie imprese che impedisce l’insediamento di nuove
professionalità e la definizione di strategie di medio-lungo periodo;
• ridotta conoscenza dei mercati;
• scarsa diffusione sul territorio di centri di ricerca.
A partire da questa fase di analisi e studio, che ha favorito anche l’emergere di alcuni tratti
tipici dell’artigianato bergamasco, il Progetto è proseguito, come previsto, attraverso lo sviluppo
di tre attività:
1. azioni rivolte alle imprese, attraverso contributi finalizzati all’assunzione e alla prestazione
di servizi di consulenza specialistica e/o assistenza tecnica;
70 Si veda il sito internet http://www.italialavoro.it/wps/portal/artigiani
296
2. laboratori delle associazioni;
3. interventi di filiera.
a) Le azioni rivolte alle imprese
Così come previsto dal Progetto, Italia lavoro ha pubblicato un avviso pubblico (unico per tutti
i territori coinvolti) per l’erogazione di contributi finalizzati all’assunzione di lavoratori a tempo
indeterminato o in apprendistato e al finanziamento di servizi di consulenza specialistica e/o
assistenza tecnica a favore di imprese artigiane.
Per la provincia di Bergamo, come già sottolineato, tale avviso pubblico è stato rivolto alle
imprese del settore tessile-abbigliamento e del legno.
Nel dettaglio, i contributi finalizzati all’assunzione prevedevano:
• 5.000 euro per l’assunzione di lavoratori con contratto a tempo indeterminato a tempo
pieno;
• 3.750 euro per l’assunzione di lavoratori con contratto a tempo indeterminato a tempo
parziale per 30 ore settimanali;
• 3.000 euro per l’assunzione di lavoratori con contratto a tempo indeterminato a tempo
parziale per 24 ore settimanali;
• 3.500 euro per l’assunzione di lavoratori con contratto di apprendistato della durata non
inferiore a 36 mesi.
Per quanto concerne i contributi finalizzati alla prestazione di servizi di consulenza specialistica
e/o assistenza tecnica, invece, è stato prevista la quantificazione di tale contributo da parte di
una Commissione tecnica, appositamente costituita, in funzione ai fabbisogni delle diverse
imprese richiedenti, per un valore massimo pari a 7.500 euro per azienda.
Per il territorio bergamasco, hanno richiesto l’incentivo all’assunzione 195 imprese artigiane, a
fronte di risorse economiche sufficienti per 19 aziende71 (a seguito della disponibilità di ulteriori
risorse saranno probabilmente soddisfatte le domande di tutte le imprese richiedenti).
Le imprese che hanno richiesto il contributo per le prestazioni di servizi di consulenza specialistica e/o assistenza tecnica sono state 59; tra queste sono state 50, così come previsto dal
progetto, le imprese che hanno beneficato del contributo. In particolare, è stato loro assegnato
un consulente esperto che ha effettuato un check-up dell’azienda per rilevare punti di forza,
criticità e fabbisogni; sono stati, inoltre, costruiti interventi consulenziali di temporary management a seconda dei bisogni individuati72.
b) I laboratori associativi
Uno degli aspetti centrali del Progetto Artigiani concerne la collaborazione e la partecipazione
71 Si veda l’elenco aziende pubblicato al sito internet http://www.italialavoro.it/wps/portal/artigiani alla pagina Avviso per le imprese.
72 Le informazioni relative alle attività svolte sono fornite da Giuseppe Vavassori, Cna Bergamo, 15 gennaio 2008.
297
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
attiva delle associazioni di categoria allo sviluppo delle diverse attività previste e, in particolare, all’implementazione di un modello di servizi strutturato ed efficace nel dare risposta ai
fabbisogni delle imprese del territorio.
In quest’ottica, il Progetto ha previsto, tra i suoi obiettivi principali, l’istituzione all’interno di
ciascuna organizzazione di un “laboratorio” in grado di offrire servizi mirati alle imprese, di
monitorare e aggiornare costantemente tali servizi e, in particolare, di garantire, a progetto
concluso, la continuità e la replicabilità delle azioni sperimentate.
Il Laboratorio intende, quindi, divenire uno strumento a disposizione delle associazioni di categoria per avvicinarsi maggiormente ai bisogni delle imprese associate per supportare concretamente il loro percorso di crescita e sviluppo attraverso l’erogazione di servizi mirati.
Così come disposto dal Modello di servizio, elaborato da Italia lavoro nell’ambito del Progetto
Artigiani, le procedure per avviare, strutturare e far funzionare i Laboratori sono riconducibili a
sei macro attività:
• valutazione dei fabbisogni delle associazioni per soddisfare le esigenze delle imprese associate;
• individuazione delle professionalità necessarie per la progettazione, la strutturazione e il
funzionamento del Laboratorio (1 animatore di laboratorio senior e 1-2 operatori di laboratorio junior);
• progettazione esecutiva degli interventi, dei servizi e sviluppo dei contenuti;
• verifica con gli stakeholders rispetto all’ipotesi di Laboratorio sviluppata;
• sperimentazione dei servizi attraverso il contatto e il confronto con le imprese del territorio;
• rilascio del modello di servizio in funzione della sperimentazione realizzata per la messa a
regime nel Laboratorio;
• divulgazione, promozione e applicazione operativa per l’utilizzo a regime del modello, anche
attraverso la strutturazione definitiva del gruppo di lavoro interno alle associazioni.
Nel territorio bergamasco, a seguito della fase di studio e analisi delle dinamiche socio-economiche e di rilevazione dei fabbisogni delle imprese, è stata prevista la costituzione di due Laboratori per lo sviluppo di un modello di servizio centrato sull’area commerciale, legato in
particolare allo sviluppo delle vendite delle imprese artigiane.
Una delle difficoltà, infatti, comune alle piccole imprese artigiane del tessile e del legno concerne il marketing, la capacità di promuovere e vendere i propri prodotti e la competitività legata, per esempio, all’entrata in nuovi mercati. Attraverso i due Laboratori, quindi, le associazioni
potranno acquisire quelle competenze e quelle professionalità necessarie per rispondere a tali
bisogni.
Le aziende coinvolte nelle attività dei Laboratori sono circa 200: ogni azienda partecipa ad un
focus group (fino ad un massimo di dieci aziende per focus group) i cui risultati sono rielaborati
in un report valutativo che rileva gli aspetti sui quali intervenire. Tra le aziende coinvolte, ne
verranno selezionate 40 (20 per Laboratorio) a cui sarà fornito lo strumento del temporary ma-
298
nagement. In questa fase di accompagnamento all’imprenditore saranno utilizzati due consulenti senior e un consulente junior che, al termine della sperimentazione, sarà assunto
dall’associazione di categoria.
I due Laboratori attivati in provincia di Bergamo sono:
1. “Sviluppo nuovi mercati”, avviato nel luglio 2007 dall’Associazione artigiani di Bergamo
(Confartigianato), intende favorire la pianificazione di strategie specifiche nel settore commerciale e marketing al fine di promuovere la collaborazione tra le imprese e migliorare la
loro immagine aziendale, anche attraverso l’erogazione di servizi specialistici volti a supportare lo sviluppo commerciale sui mercati italiani e esteri e a diversificare, ove necessario,
la produzione;
2. “Sviluppo dei vantaggi competitivi e del mercato”, avviato nel luglio 2007 dalla CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) di Bergamo, intende
sviluppare le competenze e le strutture organizzative di marketing all’interno delle aziende
del settore tessile-abbigliamento per modificarne l’attitudine conto terzista e labour intensive a favore di strategie in grado di strutturare la visibilità commerciale dello stile italiano.
La sperimentazione di queste attività si concluderà ad aprile 2008.
c) L’intervento di filiera
Il Progetto artigiani ha previsto un’ulteriore forma di supporto e assistenza alle imprese artigiane attraverso attività finalizzate a facilitare strategie di filiera in grado di favorire la cooperazione sinergica tra più soggetti e, quindi, migliori opportunità di sviluppo per l’intero
comparto.
I due settori individuati per la sperimentazione del Progetto in provincia di Bergamo, tessileabbigliamento e legno, infatti, possono costituire «una filiera completa (ad es. nautica, arredamento, abbigliamento) o parte di una filiera (solo scafi, solo tavoli, solo camice, ecc.) su cui
intervenire attraverso azioni di sostegno concepite per conseguire economie di scala che le
singole imprese artigiane per loro natura non potrebbero mai realizzare» ((Progetto Artigiani,
Provincia di Bergamo – analisi del contesto e linee di indirizzo, p. 50, marzo 2007).
Nel dettaglio, le azioni previste verso le filiere possono essere:
• animazione territoriale per la costruzione di reti, di forum di cooperazione e associazionismo,
di network;
• animazione territoriale per le attività di promozione, comunicazione, commercializzazione
delle produzioni;
• eventuali azioni finalizzate al supporto per la creazione, organizzazione e promozione del
Marchio di Filiera.
Per questa parte di attività, in provincia di Bergamo, sono state coinvolte le imprese della Valle
Seriana che hanno preso parte al progetto dell’Amministrazione provinciale “Analisi organizzativa realizzata su un microcampione di imprese del settore tessile della Val Seriana”. All’interno
299
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
di questo percorso di studio, infatti, è stata realizzata un’analisi sia economico-finanziaria sia
di tipo organizzativo su un campione di 14 piccole aziende della Valle Seriana appartenenti al
settore tessile. Questa indagine ha evidenziato le problematiche attraversate dal mondo dell’artigianato tessile, soprattutto in relazione al rapporto con i fornitori, con le banche e rispetto
all’attività di marketing. In particolare, «la dimensione ridotta di queste imprese è apparsa
come un fattore di debolezza che occorre aggredire favorendo processi di alleanza e integrazione
fra imprese della filiera» (Provincia di Bergamo)73.
Il Progetto Artigiani, quindi, ha inteso proseguire l’azione di filiera già avviata dallo studio
provinciale, mettendo a disposizione di questo raggruppamento di imprese due consulenti senior e un consulente junior per costruire un modello organizzativo diverso da quello artigianale,
un modello maggiormente competitivo orientato al mercato74.
La sperimentazione di queste attività si concluderà a maggio 2008.
5.1.2. Conclusioni
Il Progetto Artigiani si colloca nell’ambito degli interventi di politica attiva del lavoro: è stato,
infatti, promosso e finanziato dal Ministero del Lavoro e si propone di agire sul mercato del lavoro per promuovere nuova occupazione e, allo stesso tempo, per mantenere competitive le
imprese e, quindi, garantire i posti di lavoro già in essere.
Si tratta, in effetti, di una misura di politica attiva del lavoro sostanzialmente innovativa, difficilmente confrontabile con gli interventi promossi negli ultimi anni ai quali siamo abituati a
pensare. L’analisi presentata in questo Rapporto sulle esperienze delle diverse province lombarde ha mostrato il significato “tradizionale” di politiche attive del lavoro, richiamando sotto
questo termine-ombrello tutte quelle misure e quei servizi rivolti prioritariamente a sostenere i
lavoratori in difficoltà occupazionale nel loro percorso di reimpiego. Generalmente, infatti, si
parla di politiche del lavoro riferendosi ai lavoratori e, in particolare, ai lavoratori disoccupati
che necessitano di un sostegno per essere reinseriti nel mercato (lavoratori dipendenti disoccupati da ricollocare come lavoratori dipendenti).
Il Progetto Artigiani rappresenta in questo senso una importante novità, andando ad agire, in
un’ottica preventiva rispetto alla disoccupazione, sulle imprese e sugli imprenditori artigiani
affinché possano essere supportati e accompagnati in un percorso di crescita e innovazione.
Come sottolineato da Vavassori (CNA Bergamo)75, un problema diffuso nel mondo dell’artigianato concerne la scarsità di competenze manageriali: le piccole imprese, molto spesso, mancano di un management aziendale in grado di interpretare anche i segnali deboli provenienti
dal mercato per programmare in anticipo cambiamenti strategici e sono concentrate più sul
73 Si veda il sito internet www.provincia.bergamo.it, Settore Istruzione, Formazione, Lavoro e Att. produttive, Servizio Lavoro, Osservatorio provinciale del mercato del lavoro.
74 Dal colloquio con Giuseppe Vavassori, Cna Bergamo, 15 gennaio 2008.
75 Dal colloquio con Giuseppe Vavassori, Cna Bergamo, 15 gennaio 2008.
300
“qui ed ora”, dedicando scarsa attenzione ai processi di sviluppo e di crescita.
Il Progetto Artigiani, quindi, parte proprio dalle esigenze delle piccole imprese per promuovere
un modello di servizio strutturato, in grado di rispondere ai fabbisogni degli artigiani in maniera
efficace e mirata e sostenere la loro competitività.
Lo strumento individuato a tal fine è quello del temporary management: l’azienda viene accompagnata attraverso la consulenza di un manager altamente qualificato per la definizione e lo
sviluppo di una strategia, per l’innalzamento delle competenze manageriali esistenti, per la
risoluzione di criticità sia negative (tagli, riassestamento economico) che positive (sviluppo di
nuovi business).
Nel Progetto Artigiani, infatti, come si è visto, le imprese coinvolte, dopo un’attività di analisi e
valutazione, possono beneficiare dell’assistenza e dei servizi di consulenti esperti e, attraverso
i Laboratori, essere selezionate per avere a disposizione un temporary manager.
Un altro elemento rilevante per la buona riuscita di questo progetto, come l’esperienza bergamasca ha mostrato, è rappresentato dal ruolo centrale e attivo delle associazioni di categoria.
I Laboratori, in questo quadro, rappresentano un’esperienza significativa non solo per i servizi
che sono in grado di offrire alle imprese, ma per le stesse associazioni di categoria che possono
potenziare il loro ruolo sul territorio e accrescere le proprie competenze.
Il Progetto Artigiani, a differenza di molte altre sperimentazioni, si connota per il suo carattere
strutturato e per la forte predisposizione a radicarsi nelle realtà territoriali ove viene realizzato.
Lo stesso percorso di sviluppo del Progetto mostra, in primo luogo, la volontà di inserirsi nel
contesto territoriale non tanto come un qualsiasi intervento sperimentale (spot), completamente
scollegato da qualsiasi altra attività già in essere o conclusa: la fase preliminare all’avvio di
tutte le azioni previste è stata quella conoscitiva, volta a rilevare le dinamiche in atto e le
esperienze già in corso rispetto al mondo delle imprese artigiane. L’obiettivo è stato quello di
proseguire e valorizzare le progettualità efficaci, andando a soddisfare quei bisogni che finora
non avevano ricevuto adeguata risposta. Allo stesso tempo, per garantire la continuità dell’esperienza, si è concordato con le associazioni di categoria l’inserimento, al termine del Progetto, delle risorse umane impiegate, favorendo la messa a regime della sperimentazione e la
costruzione, quindi, di un modello di servizi permanente.
5.1.3. Allegati
1. Progetto Artigiani, Provincia di Bergamo – analisi del contesto e linee di indirizzo, marzo 2007
2. Progetto Artigiani, Modelli di sviluppo per il sistema delle imprese artigiane, brochure
3. Progetto Artigiani, Avviso pubblico rivolto ad imprese per la richiesta di contributi finalizzati
all’assunzione e per la richiesta di contributi finalizzati alla prestazione di servizi di consulenza specialistica e/o assistenza tecnica
4. Progetto Artigiani, Laboratorio n. 1 “Sviluppo nuovi mercati”, Bergamo Confartigianato
5. Progetto Artigiani, Laboratorio n. 2 “Sviluppo dei vantaggi competitivi e del mercato”, Bergamo Cna
301
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
6. Progetto Artigiani, Scheda mappatura progetti di sviluppo Provincia di Bergamo
7. Progetto Artigiani, Sintesi delle attività territoriali al 31/12/2006, Provincia di Bergamo
8. Report intervista a Giuseppe Vavassori, Cna Bergamo, realizzata in data 15 gennaio 2008
5.2. Buone prassi nella programmazione e nelle gestione delle politiche attive del
lavoro. Rilancialavoro- Provincia di Varese76
Il caso qui presentato rientra a pieno titolo tra le esperienze più significative messe in atto per
contrastare la disoccupazione e incentivare lavoratori e aziende all’assunzione di nuovi impegni
occupazionali. La scelta di un caso di questo genere è emblematica del buon uso delle risorse,
dell’efficacia dei risultati e del coinvolgimento di tutte le parti interessate. Un caso notevole, al
punto da sollecitare l’interesse di altre regioni d’Europa, come si può leggere al punto 1.
5.2.1. Un confronto tra regioni europee
L’accostamento fatto l’8 settembre 2005 dal quotidiano Il Sole-24 ore tra Varese e Magonza in
tema di politiche del lavoro ha dato origine a un articolo che riprendiamo in questa sede.
Il confronto tra le due regioni europee sembra far emergere Varese come la meglio situata in
termini di “attrezzature” per il reinserimento di lavoratori disoccupati. Il quotidiano citato ha
paragonato gli interventi pubblici realizzati nella città renana con quelli messi in campo dalla
Provincia di Varese attraverso la rete dei Centri per l’impiego. Un parallelo condotto per la singolare tipicità della città tedesca che – secondo l’analisi del quotidiano – riassume peculiarità
che, in Italia, si riscontrano quasi in copia in provincia di Varese: alto tasso di industrializzazione, pari condizioni di riqualificazione del personale, contenuto indice di disoccupazione.
Il risultato del confronto stupisce: sempre abituati a giudicare l’intervento pubblico (italiano)
poco efficiente ed efficace, vediamo invece come la riforma dei Centri per l’impiego della provincia di Varese abbia dato ottimi risultati sul piano dell’occupabilità di coloro che vi si sono
rivolti, mentre nella città tedesca emergono situazioni di incertezza continua, di riforme che non
si concludono, di derive poco apprezzabili in termini di risultati. Secondo il Sole 24 ore, a Varese
«la revisione degli uffici di collocamento dà risultati confortanti e domanda e offerta sono più
allineate». Se in Germania il caso di Magonza non è unico (la situazione è analoga in molte altre
città dell’Ovest tedesco, all’est la situazione è ancora più drammatica, con un tasso di disoccupazione che tocca il 18% in media) a Varese, «archiviato il modello delle carte bollate e della
tessera rosa, il pubblico sembra convertirsi concretamente al modello servizi […] il cambiamento è evidente. Il classico sportello è sostituito da postazioni Internet, dove gli utenti possono
autonomamente consultare gli annunci online, mentre il metodo dell’intervista con chi cerca
76 Le notizie e i dati che riportiamo provengono delle dichiarazioni dell’Assessore al Lavoro della provincia di Varese, del sito della
provincia, di Rilancialavoro e delle varie agenzie che si sono dedicate a questo progetto. Sono inoltre state integrate con interviste
ai responsabili e con il Rapporto finale dell’esperienza, a cura dell’Associazione temporanea d’impresa tra Ial-Lombardia, Aslam,
Ismo srl, Gruppo Clas srl, Consorzio Solco Varese, Dessert Creative Workshop srl, Vareseweb srl, marzo 2006, in cui sono riportati i
dati di soddisfazione dei partecipanti.
302
lavoro o una riqualificazione professionale consente subito l’inserimento in una banca dati e il
passo successivo sarà l’incontro con la richiesta delle aziende».
In quest’ottica, un progetto significativo è Rilancialavoro che – spiega il giornale intervistando
l’assessore provinciale al Lavoro, Andrea Pellicini (si veda oltre l’intervista) – si propone di dare
una motivazione nuova e un’occasione per rimettersi in gioco a quanti si trovano in difficoltà
lavorativa. 77
5.2.2. Rilancialavoro
Rilancialavoro è un progetto promosso dall’Assessorato al Lavoro e Formazione Professionale
della Provincia di Varese, con il contributo finanziario della Regione Lombardia e del Ministero
del Lavoro (Fondo nazionale per l’occupazione, d.d.g 17646 del 22.10.2003), con il sostegno
della Commissione Provinciale per il Lavoro. Il periodo di effettuazione della sperimentazione è
il 2002/2003
L’invito della Provincia stato accettato da circa 450 persone (per oltre il 70% donne) in cerca di
occupazione, dando loro la possibilità di partecipare ad attività di orientamento e a corsi di riqualificazione professionale di breve e media durata.
Dopo l’iniziale incontro informativo, la quasi totalità dei candidati ha accettato di seguire il
percorso proposto, costituito dalla frequenza a un corso di formazione, svolto presso gli Enti
che hanno creato l’Ats ad hoc e che da anni operano in Provincia di Varese con competenza e
ottimi risultati formativi e occupazionali. Gli argomenti proposti e le tematiche affrontate
hanno riguardato le conoscenze di base nel settore informatico, della contabilità, dell’autoimprenditorialità, da un lato; oppure, argomenti della ristorazione, dei lavori d’ufficio e dell’assistenza sanitaria, secondo le aspirazioni personali e le effettive competenze possedute o da
rimettere in gioco. Per ogni lavoratore è stato elaborato un progetto personalizzato, attraverso
il quale sono stati forniti gli strumenti necessari per ricollocarsi con successo nel mondo del
lavoro.
Gli Enti che hanno costituito l’Ats
Come accennato, l’Ats è stata costituita dagli Enti che da anni operano nel territorio varesino
in materia di formazione e di raccordo con l’occupazione. Essi sono, oltre ai Centri per l’impiego
della Provincia, l’Enaip Lombardia (sede di Varese), l’Enaip di Busto Arsizio, lo Ial Lombardia
(sede di Saronno), l’Aslam (sede di san Macario di Samarate)
Il sito internet
La messa a regime di un sito internet dedicato al progetto ha richiesto qualche tempo. Ma è
stato subito apprezzato come strumento incentivante sia le aziende che i lavoratori, in quanto
di facile accessibilità e molto ben pubblicizzato. Nel sito si possono trovare news e informazioni
77 Cfr. Ufficio Stampa Provincia di Varese
303
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
utili, oltre a una banca dati, costantemente aggiornata, in cui sono inseriti i profili dei lavoratori
che hanno partecipato all’iniziativa.
I lavoratori
Le persone il cui profilo è contenuto nel sito al momento dell’adesione hanno dichiarato la loro
disponibilità ad entrare in contatto con aziende, enti o attività commerciali, per valutare nuove
opportunità di inserimento nel mercato del lavoro. I nominativi delle persone che hanno aderito
al progetto sono stati quindi inseriti in una banca dati, disponibile sul sito internet, in cui le
aziende interessate ad assumere nuovo personale possono cercare risorse qualificate utilizzando
molteplici criteri di scelta, come ad esempio l’età, il titolo di studio, il settore di attività,
etc…
Le aziende che consultano il sito internet
L’azienda alla ricerca di personale da assumere si registra inserendo un nome utente e una
password, che utilizzerà ogni volta che vorrà interrogare l’archivio. Potrà quindi procedere alla
selezione dei profili professionali, inseriti in modo che siano evidenziati, come accennato, oltre
ai dati anagrafici, la condizione lavorativa (mobilità, cassa integrazione, ecc), il settore di occupazione e la mansione. Il tutto tutelato dalla normativa sulla privacy. Le aziende usufruiscono
quindi gratuitamente di un database per loro di grande utilità, tenuto conto che gli iscritti,
essendo percettori di trattamenti previdenziali, garantiscono all’azienda, in caso di assunzione,
interessanti agevolazioni economiche e contributive.
5.2.3 Il punto di vista dei politici
Un’importante intervista è stata condotta da Paola Pianura all’assessore al Lavoro, Formazione
Professionale e Istruzione della Provincia di Varese, Andrea Pellicini. Riteniamo il suo contributo
molto importante per la disamina del caso, per comprendere in che misura il progetto sia stato
sostenuto dalla volontà politica degli amministratori provinciali e sia quindi a pieno titolo entrata nella mentalità e nella prassi locale.
«Il Progetto Rilancia Lavoro realizzato con le risorse del Fondo Nazionale per l’Occupazione e
sostenuto dalla Commissione Provinciale per il Lavoro con il supporto tecnico dell’Agenzia Regionale per il Lavoro, è un’importante iniziativa nell’ambito delle politiche attive del lavoro della
Provincia di Varese. Siamo soddisfatti dei risultati fin qui raggiunti, in particolare del significativo tasso di partecipazione di lavoratori e lavoratrici, elemento che dimostra ancora una volta
che l’esigenza di un supporto qualificato è particolarmente sentita dalle persone che vivono un
momento di crisi occupazionale, ma che riconferma anche il ruolo del servizio pubblico quale
affidabile punto di riferimento in queste situazioni di difficoltà. Ci attendiamo ora un’altrettanto
positiva risposta da parte delle aziende del territorio che grazie al Progetto Rilancia Lavoro
possono ora disporre di una significativa banca dati in cui sono raccolti i profili di persone con
304
esperienza e che si sono “rimesse in gioco”, affinando le loro competenze tramite la formazione,
per adeguarle alle reali esigenze del mercato. Risorse preziose per il nostro territorio che meritano di essere valorizzate».
L’assessore ritiene inoltre che Rilancialavoro, progetto che vede almeno due edizioni nei due
anni citati, possa a pieno titolo inserirsi nell’ambito delle politiche in qualche modo accertate,
tale da poter divenire una specie di buona prassi consolidata in Provincia di Varese. I soggetti
deboli del mercato del lavoro devono poter contare sulla mano pubblica per il loro inserimento
(o reinserimento) nel lavoro, poiché da soli non riescono a trovare opportunità adeguate e minimamente stabili ed efficaci.
In provincia di Varese il problema della disoccupazione non è drammatico, a confronto con altre
realtà: il tasso di disoccupazione si attesta attorno al 3,5%, interessando 14.000 persone. ma
il problema diventa importante quando si pensa che le persone in cerca di occupazione non sono
solo o non tanto i giovani ma gli ultraquarantenni, che, perdendo il proprio posto di lavoro, non
riescono a reinserirsi nel mercato, perché non più in possesso di quel know how richiesto da chi
offre lavoro.
5.2.4 Oltre Rilancialavoro. Le politiche attive del lavoro a Varese, in continuità col passato
Rilancialavoro è stato un momento importante per Varese, ma la Provincia non si fermata a quel
finanziamento per aiutare coloro che cercano lavoro. La Provincia di Varese ha infatti voluto dare
continuità al progetto Rilancialavoro, per sviluppare l’esperienza all’interno di un più ampio
piano provinciale di politiche attive del lavoro. Il Progetto si inserisce in sintonia con tutte le
parti del sistema politico-strategico-operativo che la Provincia di Varese ha sviluppato, con le
finalità di contrastare la disoccupazione e di dotare il territorio di un sistema di servizi integrati
e qualificati secondo standard di livello europeo. Viene rinnovata la scelta della precedente
edizione secondo la quale la gestione degli interventi è affidata a soggetti esterni, nell’intento
di valorizzare risorse e competenze operanti nella realtà locale. L’assetto organizzativo del progetto, che ha mantenuto la denominazione Rilancia Lavoro, vede la Provincia di Varese svolgere
una funzione di governo e di coordinamento, attraverso la programmazione delle azioni e la
gestione di un Comitato di Pilotaggio e di un Gruppo di Lavoro.
Il primo è composto dal dirigente e da funzionari provinciali, dall’Ente capofila, dall’Agenzia
Regionale per il Lavoro e da esperti dell’Ati aggiudicataria del bando e ha il compito di presidiare la coerenza delle azioni realizzate con gli obiettivi del progetto, di identificare dispositivi
di superamento di eventuali criticità e di sostenere i piani di integrazione tra i diversi soggetti.
Il Comitato deve inoltre favorire la messa a sistema del progetto con le diverse esperienze di
politiche attive del lavoro che si sviluppano nel più ampio quadro di azione della Provincia in
materia di mercato del lavoro.
Il Gruppo di Lavoro è nominato all’interno della Commissione Provinciale per le Politiche del
Lavoro e ha, quale compito principale, quello di concorrere alle scelte sulle priorità delle azioni/
target e di sostenere le iniziative che verranno poste in essere. La gestione degli interventi, come
305
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
precedentemente accennato, è assegnata a società/agenzie attraverso procedure di evidenza
pubblica. Il bando, di rilievo comunitario, valorizza la creazione di una partnership con una
qualificata esperienza nel campo dei servizi all’impiego e una forte conoscenza della realtà locale. Il soggetto affidatario deve garantire competenze in materia di orientamento, formazione
professionale, accompagnamento al lavoro, informazione e comunicazione, inserimento lavorativo, oltre che di monitoraggio, coordinamento e interazione ad alto profilo, e lavora in forte integrazione con i Centri per l’Impiego e con i soggetti della rete allargata (InFormaLavoro,
Formazione Professionale, ecc). La realizzazione del progetto è stata quindi affidata ad una
Associazione Temporanea di Impresa (ATI), composta da:
• Enaip Lombardia (capofila)
• Ial Lombardia
• Aslam Associazione Scuola Lavoro Alto Milanese
• Gruppo Clas srl
• Ismo srl
• Dessert Creative Workshop srl
• Vareseweb srl.
Fasi del progetto
La programmazione del progetto è orientata verso il rafforzamento degli approcci di lavoro in
rete in una logica di raccordo tra servizi pubblici (Centri per l’Impiego e InFormaLavoro) e servizi
erogati dal soggetto affidatario. L’offerta dei servizi vede come principio di riferimento la centralità dell’utente, al quale si intende fornire un sistema di interventi facilmente fruibile e
modulabile in base alle esigenze individuali. Un’ulteriore finalità del progetto è rappresentata
dalla crescita della capacità di fare sistema da parte dei soggetti coinvolti e dal rafforzamento
dell’integrazione tra i sistemi della formazione e del lavoro. La modellizzazione della modalità
di questo intervento rappresenta un obiettivo che valorizza la valenza dei processi di lavoro
applicati nel progetto. Le fasi principali del progetto sono le seguenti:
• maggio 2004: pubblicazione del bando comunitario
• luglio 2004: aggiudicazione della gara
Dopo di che:
• definizione degli incarichi per il coordinamento e la valutazione del progetto
• istituzione del Comitato di pilotaggio e del Gruppo di lavoro (vedi sopra)
• realizzazione dell’analisi della popolazione presente sul territorio che sarebbe stata interessata dal progetto.
• taratura degli interventi, formalizzandoli nella progettazione di dettaglio
• avvio dei tavoli politici tra gennaio e febbraio 2005
• convocazione della conferenza stampa nel mese di marzo 2005, per la pubblicizzazione del
progetto
306
• definizione del piano di valutazione
• chiusura del progetto a settembre 2005
Obiettivi del progetto
Il progetto si sviluppa sul seguente sistema di azioni:
• di governo,
• di coordinamento,
• di valutazione,
• di erogazione,
• di monitoraggio.
L’azione di governo si traduce nella elaborazione del Piano provinciale di politiche attive del
lavoro, nel presidio dello stesso da parte della Provincia di Varese, nella ricerca e definizione dei
livelli di connessione tra le misure previste dal Piano e quelle attuate dall’Agenzia regionale per
il Lavoro, nell’individuazione degli strumenti di controllo e di miglioramento, nella valutazione.
Il coordinamento, gestito direttamente dalla Provincia, riguarda la conduzione dei gruppi di
lavoro indicati nell’assetto organizzativo; il coordinamento con la struttura tecnica dell’Agenzia
Regionale per il Lavoro e il livello erogativo. La valutazione si configura come un’attività permanente, che fornisce alla Provincia le indicazioni circa la tenuta e l’efficacia del modello delineato
dal progetto. L’erogazione dei servizi è gestita da organizzazioni esterne, che devono garantire
una progettazione di dettaglio, dove prevedere attività di raccordo interno e di coordinamento
con i servizi provinciali, con gli organismi previsti dal piano e con il valutatore esterno. Il monitoraggio, curato direttamente dal soggetto affidatario, si configura come strumento attraverso
cui osservare, controllare ed eventualmente rettificare l’attività di erogazione.
Risultati attesi
Tre sono i livelli sui quali vengono declinati i risultati attesi del progetto.
Il primo riguarda l’implementazione e la sperimentazione di un sistema di ruoli e responsabilità
per il governo del piano. Com’è noto, la scelta della Provincia si orienta su funzioni di governo
e non di gestione diretta degli interventi, cosa che comporta un’attenta valutazione dei ruoli,
del riassetto della struttura e degli strumenti.
Il secondo livello riguarda la modellizzazione delle modalità di intervento, con lo sviluppo del
lavoro in rete: una necessità questa data dal nuovo posizionamento dei Centri per l’Impiego,
primi attori sociali nell’ambito dei servizi al lavoro, che rinvia alla messa a punto di meccanismi
di raccordo con i soggetti del territorio, erogatori di servizi più specialistici.
Il terzo riguarda l’erogazione dei servizi e attiene all’impatto degli interventi sulle aspettative
dei lavoratori.
Destinatari
In conformità alla delibera Cprl n. 14 del 6 luglio 2000, richiamata nel Ddg 17646/2003, i
307
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
soggetti destinatari degli interventi possono essere:
• lavoratori in trattamento previdenziale
• disoccupati iscritti nelle liste di collocamento da almeno sei mesi
• soggetti in condizione di svantaggio individuale e/o sociale nei confronti del mercato del
lavoro (soggetti con più di 40 anni fuoriusciti dal mercato del lavoro
• portatori di handicap
• ex tossicodipendenti
• lavoratori extracomunitari
• ex detenuti
• altri soggetti che rischiano l’esclusione sociale, quali ad esempio tutti i lavoratori coinvolti
in processi di riqualificazione e reinserimento al lavoro a seguito di crisi aziendali.
Il progetto può erogare servizi per un totale di 300 soggetti. Il Gruppo di Lavoro ha individuato
come destinatari prioritari
• i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità (con e senza indennità)
• i lavoratori coinvolti nei casi di crisi aziendale
• i disoccupati di lunga durata.
Operatori e competenze
Le attività sono coordinate e gestite dalle seguenti figure professionali:
• un Dirigente responsabile settore Lavoro e Politiche Sociali Provincia di Varese,
• un Responsabile sezione Politiche del Lavoro dell’Assessorato al Lavoro, Formazione Professionale e Istruzione – Provincia di Varese,
• un Coordinatore di progetto e
• un Valutatore.
Per l’Ati:
• Ismo (un responsabile scientifico e membro del Comitato di direzione, un responsabile area
Progettazione e Monitoraggio e membro del Comitato di direzione, cinque collaboratori area
Progettazione e Monitoraggio e Tutor di tirocinio/accompagnamento al lavoro);
• Gruppo Clas (un responsabile area Progettazione e Monitoraggio e membro del Comitato di
direzione, tre collaboratori area Progettazione e Monitoraggio);
• Enaip (un Capo progetto e membro del Comitato di direzione, un rappresentante legale e
membro del Comitato di direzione, un direttore della sede di coordinamento della Provincia
di Varese per Enaip Lombardia, due responsabili area erogazione e membri del Comitato di
direzione, un responsabile sistema informativo, due tutor di percorso, cinque orientatori, sei
tutor di formazione, cinque tutor di tirocinio e accompagnamento al lavoro);
• Ial (un responsabile area Erogazione e membro del Comitato di direzione, un tutor di percorso, otto orientatori e tutor di tirocinio /accompagnamento al lavoro, due tutor di formazione);
308
• Aslam (un responsabile area Erogazione e membro del Comitato di direzione, un tutor di
percorso, tre orientatori, due tutor di formazione, due tutor di tirocinio/accompagnamento al
lavoro);
• Sol.Co (un responsabile area Erogazione e membro del Comitato di direzione, due tutor di
tirocinio/accompagnamento al lavoro)
• Dessert Workshop (un responsabile area Informazione e Comunicazione e membro del Comitato di direzione, tre collaboratori);
• Vareseweb (un responsabile area Informazione e Comunicazione e membro del Comitato di
direzione, quattro collaboratori).
Pubblicizzazione
Per la pubblicizzazione del progetto, sono stati realizzati
• strumenti informativi cartacei (leaflet promozionale, Guida alla Mobilità per i lavoratori e le
lavoratrici, Guida alla Mobilità per le aziende) di promozione del progetto distribuiti al
Gruppo di Lavoro e alla rete dei Cpi e degli InFomaLavoro
• una conferenza stampa di lancio del Progetto, alla quale sono state invitate le principali
testate giornalistiche locali
• locandine promozionali
• una campagna informativa attraverso la rete radio e tv, le testate giornalistiche territoriali
e le newsletter delle associazioni datoriali provinciali.
Difficoltà
Le difficoltà riscontrate hanno riguardato il coinvolgimento degli utenti. Questo non deve sorprendere: iniziative progettuali come Rilancia Lavoro che si rivolgono a disoccupati definiti
“svantaggiati”, richiedono più di altre un intenso dialogo fra tutti gli attori del territorio, e,
quindi, l’attuazione di una concertazione forte che, partendo dall’analisi dei bisogni, sia in
grado all’unisono di dare risposte concrete, di pensare ad attività formative ad esempio, piuttosto che progettare azioni di orientamento, di coinvolgere il disoccupato in un percorso che lo
allontani dal rischio esclusione sociale. Realizzare questo è molto difficile perché non si sta di
fronte ad un soggetto alla ricerca di primo impiego, ma a una persona che ha già esperienze
professionali alle spalle, non è più abituata a “rimettersi in gioco”, che non avrebbe mai creduto
di dover di nuovo ripensare “il suo futuro”78.
5.2.5. Buone pratiche a Varese. Formazione dei formatori e ripensamento del welfare.
In questo capitolo, prendiamo in esame due azioni particolarmente rilevanti derivate da Rilancialavoro. La prima, gestita dall’Enaip di Varese, riguarda la formazione dei formatori desiderosi
di cimentarsi con questo tipo di utenza. La seconda è invece un’azione di formazione diretta a
78 Cfr. per queste notizie Provincia di Varese http://www.rilancialavoro.it/
309
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
coloro che vogliono recuperare professionalità all’interno del sistema di servizio alle persone: in
questa azione, ciò che sembra emergere di originale è il ripensamento della formazione al servizio del welfare.
Formazione dei formatori
Dall’analisi fatta dall’Enaip di Varese in merito al fabbisogno di docenti all’interno della formazione professionale, emerge come siano sempre più importanti figure di docenti orientati alle
politiche del lavoro, politiche ovviamente attive, che utilizzano cioè gli strumenti dell’empowerment e della motivazione per far incontrare domanda e offerta di lavoro.
Rilancialavoro costituisce il modello di riferimento per la formazione di tali figure, essendosi
caratterizzato in Regione Lombardia tra i migliori interventi in questo ambito. In particolare,
a livello gestionale, Rilancialavoro si distingue per l’adozione di un modello misto “a rete”
pubblico-privato per l’erogazione di servizi rivolti al reinserimento di adulti in difficoltà occupazionale. Il modello è così caratterizzato dalla sinergia di azione fra l’Ente pubblico, titolare dei servizi per l’impiego (che si occupa della programmazione/controllo strategico del
progetto), e una rete di soggetti privati, che collaborano stabilmente fra loro per la fornitura
dei servizi.
La proposta per la formazione di operatori in grado di gestire progetti simili si caratterizza per
alcune fasi e contenuti, quali.
• Una visita di studio, per avere un quadro esauriente e dettagliato delle modalità progettuali
e operative adottate, in particolare nel progetto «Rilancia Lavoro», realizzato nel 20042005.
• La messa a tema di un modello progettuale, che comprenda il ruolo della Provincia La progettazione di dettaglio e la costituzione dell’Ats territoriale.
• Lo studio di un modello di intervento, che comprenda i seguenti temi: il modello di orientamento utilizzato; l’attività di omogeneizzazione degli approcci di intervento; gli strumenti e
i metodi impiegati; gli strumenti innovativi: coaching e valutazione delle competenze.
• Le modalità di gestione del progetto: Il ruolo della Provincia e gli organi di coordinamento/
controllo; Le modalità di coordinamento operativo all’interno dell’Ats e fra Ats e Provincia Il
sistema informativo e gli stati di avanzamento.
L’offerta è rivolta a progettisti, orientatori e tutor, funzionari di Enti locali e Parti sociali, coordinatori di attività di orientamento, tutor aziendali
Formazione e aggiornamento di figure dell’assistenza sanitaria
In questo paragrafo, sono descritte alcune caratteristiche del welfare varesino, il ruolo della
formazione per lo sviluppo del welfare e la rete dei servizi che al welfare fanno riferimento. Il
welfare varesino ha subito un costante sviluppo sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi. Il welfare si è quindi configurato come campo di possibile espansione dell’occupazione,
310
ancorché di occupazione qualificata e non generica, come poteva avvenire un tempo in relazione
all’assistenza in senso stretto.
Proprio questo sviluppo ha richiesto la messa in opera di una serie di azioni di aggiornamento
degli operatori. Un esempio è il Progetto Rilancia Lavoro, che nell’anno formativo 2004/05 ha
consentito a diversi lavoratori in mobilità di trovare una buona ricollocazione nel mondo del
welfare, grazie alla frequenza di corsi di formazione per Ausiliari Socio Assistenziali
I dati relativi a questo progetto vedono il coinvolgimento di 141 Comuni, 320 strutture (Case di
Riposo, Asili Nido, Strutture per disabili, ecc), 2000 operatori Asa/Oss, 350 Educatori, per un
numero di operatori che hanno partecipato ai corsi di aggiornamento pari a 360 per ognuno dei
due anni considerati.
Per il raggiungimento di un numero tanto elevato di persone e strutture, la Provincia ha ripensato l’intera programmazione delle attività di aggiornamento, nell’ottica di un’integrazione
sempre maggiore delle stesse, alla ricerca di un percorso ideale che accompagni le persone in
tutte le fasi della loro vita lavorativa.
A tale scopo, si è innanzi tutto costituito un gruppo di lavoro, composto dai rappresentanti degli
Enti sanitari e dei servizi del welfare, dall’Università Liuc, dall’Università dell’Insubria, dall’Agenzia Formativa della Provincia di Varese, dalla Fondazione Enaip Lombardia, dall’Asl di
Varese, dalla Regione Lombardia e dal collegio Ipasvi. Il Gruppo ha fornito indirizzi alla programmazione della formazione e aggiornamento per il personale del welfare e ha contribuito all’approvazione del Piano della Formazione.
La ricerca sui fabbisogni formativi
Una ricerca importante sui fabbisogni è stata commissionata al Centro Crems dell’Università
Liuc. La Provincia si è avvalsa della collaborazione del Centro Crems dell’Università Liuc per
dotarsi di strumenti metodologici innovativi per la ricognizione dei fabbisogni. La ricerca iniziata nel 2004 ha utilizzato:
• rilevazioni statistiche, con somministrazione di questionari a un significativo campione di
operatori di tutti i servizi del welfare;
• colloqui semistrutturati con i Dirigenti dei Servizi, volti ad approfondire i dati statistici
I processi formativi
La formazione ha riguardato sia le figure più deboli, che sono la maggioranza (2000 operatori
tra Asa ed Oss), sia le figure sanitarie, sia i manager.
L’aula così costituitasi, eterogenea per destinatari, diventa una micro-rete rappresentativa delle
tre reti, sociale, sanitaria e socio sanitaria
Gli obiettivi della formazione sono stati i seguenti:
• trasferire ai discenti competenze tecniche, relazionali e manageriali;
• costruire una dialettica comune tra operatori provenienti da servizi diversi che agevoli il
lavoro di rete.
311
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Le risorse
La Provincia per il Piano della Formazione utilizza fondi regionali specifici: per il 2005 la Regione
Lombardia ha stanziato 134.900 `. La Provincia integra tali risorse inserendo a bilancio un
quota aggiuntiva di fondi interni pari a 20.000 `. Se rapportiamo tali risorse alla dimensione
del welfare varesino, risultano comunque esigue e la Provincia si adopera costantemente nel
reperimento di fondi aggiuntivi (ad esempio, in passato la Provincia ha ottenuto dei finanziamenti dalla Fondazione Cariplo).
6. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE E INDICAZIONI DI BUONE PRASSI
In questa sintesi riassuntiva, diamo conto dei principali risultati emersi nell’indagine e indichiamo alcune piste di riflessione che da questi scaturiscono, insieme a un insieme di buone
pratiche, cioè di processi che appaiono particolarmente significativi per il prosieguo e la stabilizzazione delle politiche del lavoro rivolte all’artigianato, sia lombardo sia nazionale.
La presente sintesi si articola come segue:
Una prima parte, che illustra la situazione istituzionale e normativa al cui interno operano le
provvidenze e le azioni a favore dell’artigianato.
Una seconda parte che riassume i dati dell’artigianato in Lombardia
Una terza che presenta le politiche passive (ammortizzatori)
Una quarta parte che presenta le politiche attive, comprensive dei due casi di studio, che a
queste possono essere fatti risalire
PARTE PRIMA. IL QUADRO ISTITUZIONALE E NORMATIVO
Il quadro istituzionale e normativo preso in esame nella ricerca ha permesso di evidenziare due
percorsi interessanti per il settore artigiano in Lombardia: il primo, lo studio e l’approfondimento
della legge regionale 22, il sistema misto pubblico-privato da essa disegnato e le sperimentazioni nel campo delle politiche attive del lavoro avviate con i programmi Pari (programma nazionale declinato diversamente in ogni regione) e LABORAB (programma regionale), il secondo,
le provvidenze Elba.
La legge 22 e le sue conseguenze
La L.R. 22 del 28 settembre 2006 attua gli interventi finalizzati a promuovere lo sviluppo occupazionale e a favorire le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro così come previsto
dall’art. 4 della Costituzione. La legge 22 sul mercato del lavoro, nello specifico, per garantire
la centralità dell’individuo e sostenere la sua libertà di scelta, promuove la costituzione di un
sistema dei servizi per il lavoro a carattere misto, in cui competono e, allo stesso tempo, collaborano operatori pubblici e privati. Questo modello, in estrema sintesi, prevede la possibilità
per il lavoratore in difficoltà occupazionale di decidere in maniera autonoma a quale struttura
rivolgersi per essere supportato nelle fasi di ricerca di un nuovo impiego, così come per partecipare ad attività formative di riqualificazione o di aggiornamento professionale. I servizi per il
312
lavoro, anche quelli pubblici, per poter accedere ai finanziamenti regionali devono accreditarsi
presso un apposito albo istituito dalla Regione: l’accreditamento richiede che il soggetto sia in
grado, autonomamente o mediante raggruppamenti con altri operatori, di garantire l’intera filiera di servizi, che comprende l’intermediazione di manodopera (per la quale è necessaria
l’autorizzazione ministeriale o regionale), la formazione e i servizi al lavoro.
La Legge in questione disciplina organicamente il mercato del lavoro ed è informata ai principi
di concertazione, sussidiarietà e leale collaborazione con le Province e gli altri Enti Locali, le
autonomie funzionali e le parti sociali, in particolare le organizzazioni dei lavoratori e dei datori
di lavoro e gli enti bilaterali da essi istituiti.
Sul piano formale prevede una profonda riorganizzazione del mercato del lavoro regionale intorno a 3 elementi chiave:
• la creazione di una rete di servizi;
• la gestione mista pubblico-privato del mercato del lavoro;
• l’intervento sostitutivo;
La sperimentazione del nuovo modello di servizi per il lavoro disegnato dalla legge n. 22 è stato
operativizzato nel piano d’azione regionale 2007-2010. Il piano d’azione regionale, così come
previsto dall’articolo 3 della l.r. 22/2006, è il documento di indirizzo di programmazione pluriennale degli interventi di politica del lavoro e costituisce, a livello territoriale, il punto di riferimento per le indicazioni in merito agli obiettivi da perseguire, agli ambiti di azione, nonché agli
strumenti e alle risorse a disposizione.
La Regione Lombardia, attraverso l’approvazione del piano d’azione 2007-2010, ha quindi definito le linee-guida per gli interventi di politica del lavoro dei prossimi tre anni, avviando una
sperimentazione del nuovo modello di servizi per il lavoro disegnato con la legge 22. L’obiettivo
generale individuato dal piano può essere ricondotto a un’idea di welfare centrato sul lavoro,
dove l’occupazione è vista in qualità di strumento di inclusione sociale. Se di primo acchito
l’occupabilità può sembrare il fine ultimo cui tende il piano d’azione regionale, una lettura più
attenta rivela che, di fatto, questo rappresenta il mezzo attraverso cui realizzare un mercato del
lavoro caratterizzato dalla piena occupazione, dove ci sono maggiori e migliori posti di lavoro e
dove convivono flessibilità e tutela del lavoro (in linea con il modello della flexicurity).
Per il perseguimento di queste finalità, il piano di azione regionale delinea alcuni punti nodali:
• la centralità dell’individuo e la promozione di interventi mirati, personalizzati ed efficaci;
• l’integrazione tra i sistemi dell’istruzione e della formazione con le politiche del lavoro;
• la creazione di un sistema pubblico e privato dei servizi per il lavoro in grado di favorire la
libertà di scelta dell’individuo;
• la valorizzazione del capitale umano;
• il potenziamento del sistema delle imprese, in termini di innovazione e competitività;
• il sostegno alle transizioni tra i mondi della scuola, della formazione e del lavoro.
313
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
Il piano d’azione, per favorire le condizioni di personalizzazione ed efficacia degli interventi,
prevede tre strumenti di riferimento: la dote, il patto di servizio e il piano di intervento personalizzato. Riassumendo, all’interno del sistema di gestione delle politiche del lavoro così disegnato
i soggetti coinvolti, in sintesi, sono:
• la Regione, con compiti di governo e di indirizzo del mercato del lavoro;
• le Province, con ruoli di programmazione territoriale delle politiche;
• gli operatori pubblici e privati accreditati e/o autorizzati;
• le Parti sociali, in qualità di attori propositivi nelle fasi di programmazione e, allo stesso
tempo, soggetti corresponsabili nell’attuazione degli interventi.
La prima sperimentazione di questo nuovo modello di intervento avverrà, come indicato nello
stesso piano d’azione regionale, con il programma “Linee di sviluppo per valorizzare il capitale
umano”, altrimenti detto LABORLAB, promosso di concerto con il Ministero del lavoro e della
previdenza sociale.
I progetti di politica attiva del lavoro-LABORLAB
Il programma regionale LaborLab - Linee di sviluppo per valorizzare il capitale umano, è un’iniziativa che sperimenta servizi innovativi di politiche attive per il lavoro a favore di disoccupati
e lavoratori atipici. Esso è un modello di politica attiva del lavoro che intende dare attuazione
a due dei principi fondamentali indicati nella Legge Regionale n. 22/2006 e regolati dal Piano
d’azione regionale: da una parte mira alla realizzazione di interventi basati sulla centralità della
persona e la valorizzazione del capitale umano nella convinzione che al centro del mercato del
lavoro vi siano le persone e che i servizi debbano adattarsi alle esigenze del singolo, modulandosi ai suoi fabbisogni, e dall’altra mira alla realizzazione di una rete di operatori pubblici e
privati del mercato del lavoro, accreditati e registrati presso l’albo regionale, impegnati nell’erogazione di efficienti servizi al lavoro. Il programma prevede che ogni operatore pubblico o privato, purché accreditato, possa offrire supporto per l’inserimento o il reinserimento nel mondo
del lavoro di disoccupati e lavoratori atipici. In quest’ottica, ciascun beneficiario è libero di
accedere alla rete da qualsiasi suo punto, confidando nella possibilità di trovare sempre e comunque degli operatori accreditati in grado di garantirgli il supporto nell’attuazione del proprio
percorso personalizzato di riqualificazione e reinserimento lavorativo. L’obiettivo finale è, pertanto, l’occupazione, che può essere identificata nella stipula di un contratto lavorativo a tempo
indeterminato, o a tempo determinato della durata minima di 12 mesi, o nell’avvio di un percorso di autoimprenditorialità.
Il Programma si avvale dei medesimi strumenti previsti dal Piano d’azione regionale per l’attuazione delle politiche attive per l’occupazione e per sostenere i passaggi da lavoro a lavoro:
patto di servizio, dote e piano di intervento personalizzato.
Il Programma LaborLab si articola in quattro percorsi a seconda dei destinatari delle sue azioni.
314
Il primo di questi è la LaborLab Academy ovvero La Scuola di alta formazione per gli operatori
delle politiche del lavoro che mira alla preparazione di personale qualificato e dotato di competenze adeguate alla riforma del mercato del lavoro.
Il secondo percorso è destinato ai lavoratori disoccupati - ovvero uomini over 50 o donne, disoccupati, espulsi o mai entrati nel mercato del lavoro, non percettori di alcuna indennità diversa
dalla disoccupazione ordinaria, residenti e/o domiciliati in Lombardia – e ha l’obiettivo di promuovere l’occupazione dei beneficiari attraverso un contratto di lavoro a tempo indeterminato
o a tempo determinato di durata non inferiore ai 12 mesi, o l’avvio di un percorso di autoimprenditorialità e prevede l’attuazione di interventi di riqualificazione professionale, reinserimento lavorativo o l’avvio di un percorso di autoimprenditorialità.
A questi primi due ambiti di intervento se ne aggiunge un terzo dedicato ai lavoratori atipici.
Il quarto percorso è, invece, destinato alle donne laureate in materie umanistiche da almeno un
anno, residenti o domiciliate in Lombardia, inoccupate o disoccupate, e mira a promuovere e
raggiungere l’occupazione delle beneficiarie attraverso un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata non inferiore ai 12 mesi, come risultato di un’esperienza
professionale (stage/project work) retribuita della durata di 3/5 mesi.
Negli ultimi tempi si è poi aggiunto un quinto ambito dedicato ai ricercatori.
I progetti di politica attiva del lavoro-PARI
Il Programma d’Azione per il Reimpiego di lavoratori svantaggiati, di seguito definito PARI,
promosso e finanziato dal Ministero del Lavoro e realizzato in 18 regioni con l’assistenza di
Italia Lavoro SpA (Agenzia del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale), nasce proprio
con l’obiettivo di sperimentare politiche del lavoro centrate sul welfare attivo. In risposta agli
obiettivi definiti dalla Strategia di Lisbona e nell’ambito del confronto sulla riforma degli ammortizzatori sociali e sulla creazione di un modello funzionale alla loro gestione, il Programma
mira:
• alla creazione di luoghi di governance delle politiche del lavoro, in cui realizzare la complementarietà e la sussidiarietà fra i diversi livelli di governo del mercato del lavoro ed il
coinvolgimento attivo di tutti gli attori, ciascuno per il proprio ambito di competenza;
• alla costruzione di una rete efficace e decentrata di servizi per il lavoro, in grado di garantire
standard omogenei di servizi a tutti i cittadini: sono stati creati 230 sportelli di ricollocazione presso altrettanti Centri per l’Impiego; dove? In tutta Italia, è meglio dirlo se no si può
pensare in Lombardia1
• all’affermazione della necessità, per chi deve programmare e chi deve erogare i servizi di
supporto al reinserimento, di accesso tempestivo alla conoscenza della condizione specifica
del lavoratore percettore di sussidio: (si è) realizzato il monitoraggio permanente e sistematico quali-quantitativo delle crisi aziendali e occupazionali, del bacino di soggetti percettori
di ammortizzatori sociali in deroga e dei soggetti percettori di sostegno al reddito assegnato
dal programma, trasferendo i dati relativi ai lavoratori e alla spesa ai soggetti competenti
315
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
(Ministero, Regioni, Province e CPI) per la realizzazione delle rispettive attività di programmazione e gestione delle politiche del lavoro;
• alla promozione e diffusione di metodologie e strumenti utili ad affermare i principi della
condizionalità nell’accesso ai sussidi, della promozionalità del welfare e della centralità
della persona: i percorsi metodologici nei quali i beneficiari del Programma sono stati inseriti hanno previsto la sottoscrizione di un Patto di servizio fra il lavoratore ed il CPI e la
erogazione di servizi personalizzati, che hanno potuto anche contare su doti formative, sotto
forma di voucher individuali messi a disposizione di ciascun partecipante, e di incentivi
all’inserimento;
• alla definizione di azioni di reimpiego che, attraverso il contatto diretto con i lavoratori in
difficoltà e la proposta di sottoscrizione del Patto di servizio fra lavoratore e CPI, hanno
consentito di inserire in percorsi di reimpiego circa 18.000 lavoratori e, al tempo stesso, di
rilevare la reale consistenza, qualitativa e quantitativa, dei bacini di riferimento.
Le azioni di reimpiego promosse e attuate dal Programma si avvalgono del supporto di una rete
di partners (Regioni, Province, organizzazioni sindacali e parti sociali, attori privati del mercato
del lavoro) che contribuiscono, ciascuno nel rispetto del proprio livello di competenza, alla
realizzazione degli interventi e all’affermazione di un approccio volto alla condivisione e cooperazione fra tutti gli attori del mercato del lavoro, sia a livello nazionale che territoriale. Esse non
sono però le uniche misure promosse attraverso PARI che, tra i progetti finanziati nel periodo
2005-2007, ha previsto anche la realizzazione di interventi più mirati ovvero direttamente legati
ai bisogni emergenti nelle diverse realtà territoriali.
Le provvidenze Elba
L’ente bilaterale dell’artigianato (Elba) ha sviluppato un’interessante tradizione nell’erogazione
di provvidenze a favore delle imprese artigiane e dei lavoratori delle stesse, per molti aspetti
anticipatoria, oltre che complementare, all’introduzione degli ammortizzatori in deroga.
Sono previste provvidenze
• per le imprese: per l’incremento dell’occupazione, per la formazione degli apprendisti, per
la formazione delle imprese, per la promozione dei sistemi di qualità, per eventi eccezionali
e per la provenienza di bacino;
• per i lavoratori: contratti di solidarietà, sospensione dell’attività lavorativa, intervento per
la disoccupazione, borse di studio e anzianità professionale aziendale.
L’analisi condotta ha preso in considerazione le provvidenze erogate da Elba tra il 2004 e il 2007
relativamente a due tipi di interventi: SAL (Sospensione attività lavorativa) e IDM/E/E (Intervento
per la disoccupazione).
In totale, sono stati realizzati 13.752 interventi, che non sono equamente suddivisi fra le quattro annualità: col passare degli anni, infatti, si è registrato un progressivo calo del numero degli
interventi realizzati: nel 2004 si concentra il 44% del totale degli interventi, nel 2005 il 35%,
nel 2006 il 15% e nel 2007 il 7%.
316
Nell’ambito di questi interventi sono state coinvolte in totale 10.837 persone (per il 25% maschi
e per il 75% femmine), appartenenti a 2.178 aziende.
L’83% è costituito da interventi di SAL e il 17% da interventi di IDM/E. Lo scarto tra i due tipi di
interventi è più marcato nelle prime annualità analizzate (nel 2004, gli interventi di SAL sono
stati il 90% del totale) e meno nelle ultime (nel 2007, gli interventi di SAL sono stati il 74% del
totale).
L’analisi degli importi erogati dall’Elba per queste provvidenze evidenzia una spesa totale di
9.847.672 euro che, coerentemente con quanto osservato relativamente al numero di interventi,
ha riguardato in modo particolare l’anno 2004 (41% del totale della spesa) e il 2005 (37%), ed
è poi diminuita negli anni successivi.
Rispetto al totale degli importi erogati, il 69% del totale (6.822.872 euro) è stato dedicato a
interventi di SAL, mentre il 31% (3.024.800 euro) è stato utilizzato per interventi di IDM/E.
Dunque, in media, sono stati erogati 716 euro per ogni intervento; in particolare, 596 euro per
ogni intervento di SAL e 1.311 euro per ogni intervento di IDM/E.
Per quanto concerne i settori, la maggior parte delle provvidenze Elba (considerando insieme
SAL e IDM/E) ha riguardato, tra il 2004 e il 2007, i settori tessile, abbigliamento, calzaturiero,
per il quale è stato realizzato il 58% del totale degli interventi, e il settore metalmeccanico
(29%). Seguono, con un numero di interventi dedicati decisamente inferiore, il settore legno,
arredamento (4,3%), il settore chimica, gomma, plastica, vetro (3,8%), il settore grafici, cartotecnici (1,9%) e, via via, tutti gli altri settori.
Le Provvidenze Elba (SAL e IDM/E) hanno riguardato tutte le province lombarde e, in particolare,
quelle di Brescia (26% del totale degli interventi), Bergamo (16%), Mantova (15%) e Cremona
(12%) che, insieme, coprono il 69% del totale degli interventi. Seguono le province di Como
(8%), Pavia (7%), Lecco (7%) e Varese (5%). Un numero inferiore di interventi è infine stato
realizzato nelle province di Milano (3%), Sondrio (2%) e Lodi (0,4%).
Se, per ogni provincia, si confronta il numero di interventi SAL con quello degli interventi IDM/E,
si nota l’esistenza di tre tipi di province:
• province in cui la percentuale di interventi SAL è decisamente superiore a quella di interventi
IDM/E: Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Mantova, Pavia, Sondrio;
• province in cui le due percentuali sono molto simili: Lodi, Varese;
• province in cui a prevalere sono gli interventi di IDM/E: Milano.
PARTE SECONDA. L’ARTIGIANATO IN LOMBARDIA
L’artigianato in Lombardia. Le fonti e i dati
Sono diverse le fonti disponibili per una fotografia dell’artigianato lombardo, con attenzione sia
agli stock che ai flussi, alle imprese come alle unità locali, agli addetti, siano essi dipendenti o
indipendenti: Commissioni Provinciali Artigianato − Albi delle Imprese Artigiane, Movimprese
(Infocamere), Istat − Censimento 2001, Excelsior (Unioncamere), Indagine congiunturale arti-
317
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
gianato (Unioncamere Lombardia). Ogni fonte ha tempi di aggiornamento, natura e metodologie
diverse, legate alle differenti finalità (statistiche per alcune fonti, amministrative per altre); i
dati possono dunque essere discordanti da fonte a fonte, vuoi per la differente metodologia di
raccolta, vuoi per la cadenza temporale.
Nel maggio 2006 è stato presentato da UnionCamere il Dossier sull’artigianato, che presenta
un’analisi integrata delle fonti statistiche di riferimento per il comparto. Per la ricerca, è stato
adottato il dossier come documento principale di riferimento, con un aggiornamento dei dati,
laddove disponibili. A fine 2007, dunque, sono 271.016 le imprese artigiane lombarde registrate
secondo le elaborazioni di Infocamere (Movimprese). Le imprese artigiane lombarde pesano per
il 28% sull’insieme delle imprese attive lombarde, e in Lombardia ha sede il 18% delle imprese
artigiane nazionali. Le imprese artigiane registrano una crescita costante negli ultimi anni: dal
2000 al 2007 l’incremento assoluto è di più di 17.000 imprese.
Dai dati Movimprese si possono cogliere anche le caratteristiche societarie delle imprese artigiane lombarde. L’impresa individuale è la più diffusa, con oltre il 75% del totale, mentre solo
il 24,4% è costituito da una qualche forma societaria (Snc, Sas, Soc. di fatto e Soc. cooperative),
sia pure con significative variazioni da settore a settore. Le società di capitale sono passate da
un migliaio nel 2001 a 7.523 nel 2007, denunciando quindi una crescita costante negli ultimi
sette anni.
L’artigianato in Lombardia. La localizzazione
Il 26,4% delle imprese artigiane lombarde è concentrato nella provincia di Milano (in ulteriore
calo rispetto agli anni precedenti), dove però risiede il 41% della popolazione; Brescia e Bergamo concentrano rispettivamente il 14,3% ed il 12,6%, sensibilmente sopra il loro peso demografico; Varese è in quarta posizione, con il 9% del totale regionale; attorno al 2% si attestano
invece sia la provincia di Lodi che quella di Sondrio, sostanzialmente in linea con il peso demografico, come del resto avviene nelle altre province.
La distribuzione per province, a parte Milano (per il minor peso) e Bergamo e Brescia (per una
quota sensibilmente superiore al peso demografico), è dunque sostanzialmente proporzionata
alla distribuzione della popolazione. Una delle caratteristiche distintive delle imprese artigiane
sono poi i consistenti flussi di nati-mortalità: se ciò sta a significare la buona vitalità de settore,
occorre anche sottolineare come si possano intravedere in questa situazione elementi di criticità, che le politiche del lavoro per il settore non devono ignorare.
L’artigianato in Lombardia. I dati occupazionali
Per i dati sull’occupazione, le fonti del Registro Imprese non consentono quantificazioni puntuali
e aggiornate. Sono ancora in uso i dati relativi al Censimento 2001, presentati nel Dossier Artigianato di Unioncamere del 2006. Erano 641.024 gli addetti complessivi dell’artigianato lombardo nel 2001: in media, 2,6 per ogni unità locale. Un dato dal quale non si discostano
significativamente le varie realtà provinciali: si distinguono Milano, con il valore più basso (2,2)
318
e Brescia, con il valore più elevato (3,1). La frammentazione in molti servizi, per Milano, e il forte
peso delle manifatturiere di discrete dimensioni per Brescia sembrano spiegare gli scostamenti
dalla media.
Sono 1.462 le unità locali con più di 19 addetti: queste danno lavoro a circa 47.000 persone (il
5,8% del totale, concentrati però per quasi il 60% nelle province di Bergamo, Brescia e Milano).
Manifatturiero e costruzioni fanno ovviamente la parte del leone in termini di quota di addetti
sul totale, seguiti a distanza dai vari settori dei servizi: manifatturiero 47,6%, costruzioni
25,9%, riparazione auto/moto 7,7%, servizi diversi 7,2%, trasporti e magazzinaggio 5,9%,
terziario di servizio imprese 4,7%, altri 1,3%.
In termini occupazionali, l’artigianato di produzione (edilizia compresa) rappresenta ancora
quasi i tre quarti dell’intero universo artigiano. Ridotta è la presenza di aziende legate all’informatica, alle quali va solo lo 0,5% dell’occupazione, mentre le attività di servizi alle imprese
rappresentano il 4,7%. La distribuzione territoriale degli addetti per provincia conferma lo
scarso peso, rispetto al numero di imprese, di Milano (29,0% del totale regionale) ed enfatizza
ulteriormente quello di Brescia (17,1%) e Bergamo (14,5%).
I dati del censimento 2001 confermano il peso rilevante dell’occupazione indipendente e del
tasso d’imprenditorialità presente nel mondo artigiano: degli oltre 640.000 addetti censiti, il
52,3% è costituito da indipendenti, contro il 47,7% di dipendenti. In pratica, in ogni impresa
artigiana vi sono in media 1,19 dipendenti e 1,31 indipendenti. Le differenze provinciali non
sono marginali: il peso degli indipendenti passa dal valore minimo di Brescia (46,3%) e da
quelli prossimi di Bergamo (47,6%), all’estremo opposto, di Milano (59,6%) e Lodi (56,3%).
Ancora una volta, è il forte carattere produttivo dell’artigianato di Brescia e Bergamo, con il
conseguente diverso dimensionamento medio di occupati dipendenti per impresa, a spiegare il
divario (mentre a Milano pare prevalere la piccola impresa artigiana di servizio).
Alcune riflessioni sul settore artigiano. Il ruolo delle Parti sociali
A fronte di questa “fotografia” del settore, i rappresentanti delle Parti sociali intervistati propongono alcune osservazioni critiche, in direzione di un insieme di buone pratiche da applicare
per sciogliere i nodi che il settore denuncia. La prima proposta è la costruzione di circuiti virtuosi
di relazioni tra le istituzioni e gli attori in gioco: piccole imprese, a volte individuali, disseminate
sul territorio della Regione, faticano a rapportarsi tra loro e con gli interlocutori che ne rappresentano gli interessi, cosicché le tanto auspicate filiere produttive integrate, di stimolo all’innovazione e baluardo di fronte alle crisi, stentano a decollare.
In secondo luogo, è chiaro come l’imprenditore artigiano desideri essere assistito nelle sue
necessità in modo individuale, ponendo dunque all’attenzione l’opportunità di figure di riferimento e sostegno formate ad hoc (un primo esempio potrebbe essere il temporary manager a
Bergamo, illustrato nel caso di studio).
Le istituzioni non sembrano sempre interessate a promuovere in maniera adeguata la visibilità
sociale ed economica del settore, se è vero che strutture quali l’Osservatorio non sono, di fatto,
319
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
ancora decollate. La ricerca fatta all’interno di un simile organismo andrebbe a sostenere l’innovazione del prodotto e la visibilità del settore, senza dimenticare la scarsa capacità dell’artigianato ad attirare forze di lavoro nuove: quest’ultimo punto, molto discusso e mai risolto,
potrebbe trovare una sua sistemazione proprio qui. Se è vero che i giovani sembrano poco inclini
ad avviarsi verso le professioni artigiane e, quindi, il ricambio generazionale diventa difficile, è
anche vero che il settore è potenzialmente in grado di assorbire manodopera, che, opportunamente formata, può trovarvi un luogo di sviluppo di professionalità e di carriera. In questo
ambito, si inserisce il ruolo che le Parti sociali possono assumere per promuovere il settore artigiano.
Le Parti sociali appaiono l’interlocutore meglio posizionato per osservare i bisogni del settore,
tradurli in proposte leggibili e sostenerne l’attuazione concreta. In questa direzione, come i dati
sopra presentati mostrano chiaramente, gli interventi a favore del settore non possono limitarsi
a prendere in carico i soli dipendenti, vista la presenza rilevante di aziende composte dal solo
imprenditore artigiano e la dimensione comunque ridotta della quasi totalità delle imprese, ciò
ch’emette comunque l’imprenditore artigiano nelle condizioni di essere sostenuto almeno quanto
i suoi dipendenti.
Accanto a queste azioni, occorre anche dire che il ruolo delle Parti è anche di carattere culturale,
nel senso di proporre un’immagine del settore che, secondo quanto affermato sopra, ne riscatti
la rappresentazione sociale da un lato e, soprattutto, ponga le basi per una sua rivalutazione
complessiva, viste le ottime possibilità di impiego ancora oggi qui presenti.
PARTE TERZA. LE POLITICHE PASSIVE
Gli accordi: le risorse, i destinatari, le differenze provinciali
Il primo accordo tra parti sociali e istituzioni per la gestione degli ammortizzatori in deroga è
stato firmato in provincia di Bergamo, il 28 giugno del 2004. Nel 2005 hanno seguito la stessa
strada prima la provincia di Pavia nel mese di febbraio, poi Varese e Como ad aprile e Brescia,
Mantova e Milano a luglio. Sondrio (che aveva già firmato un accordo territoriale nel febbraio
2006), Cremona, Lecco e Lodi hanno poi completato il quadro regionale nel giugno 2006, esattamente due anni dopo il primo accordo di Bergamo.
Dall’analisi testuale degli accordi risulta evidente il fatto che l’accordo di Bergamo abbia fatto
scuola: tutti gli altri accordi lo prendono come modello, modificando solo qualche parola per
adattarlo alle esigenze locali. Questa uniformità è da imputare al ruolo di regia svolto dalla
Regione, attraverso l’Agenzia Regionale per l’istruzione, la formazione e il lavoro, che ha fornito
supporto tecnico per la stesura dell’accordo prima alla provincia di Bergamo e poi alle altre
province lombarde.
La principale variabile provinciale riguarda le risorse assegnate. Le Province possono essere di
La principale variabile provinciale riguarda le risorse assegnate. Le Province possono essere
distinte in quattro gruppi:
320
• Milano, che da sola ha ottenuto 48 milioni di euro
• Bergamo e Brescia, con uno stanziamento pari a circa 20 milioni di euro
• Como, Mantova, Pavia e Varese, il cui accordo implica uno stanziamento di 15 milioni di
euro
• Cremona, Lecco, Lodi e Sondrio che hanno ottenuto 1,5 milioni di euro ciascuna
Di queste, alcune risorse non sono mai state assegnate: Milano ha ottenuto 12 dei 48 milioni di
euro previsti nell’accordo, Brescia 8 su 20 milioni e Mantova 4 su 15 milioni di euro.
Bergamo è l’unica provincia ad aver ottenuto due stanziamenti: 5.980.000 euro con il primo
accordo del 28 giugno 2004 e 15 milioni con il secondo accordo, del 21 marzo 2005.
La copertura finanziaria, laddove indicata, è assicurata dal Fondo Nazionale per l’Occupazione.
Parte di queste risorse, in seguito ad accordi provinciali, sono state destinate alle politiche
attive del lavoro. La provincia per cui questo trasferimento è più significativo è Milano, che ha
destinato alle politiche attive la quasi totalità delle risorse stanziate attraverso gli accordi sugli
ammortizzatori in deroga (10 milioni di euro su 12). Al contrario, la provincia di Brescia ha
preferito mantenere quasi tutte le risorse per gli ammortizzatori in deroga, destinando solo una
parte residuale alle politiche attive (1 milione di euro su 8).
Per le province di Cremona, Lecco, Lodi e Sondrio è stato costituito un Fondo di solidarietà con
le risorse delle altre province, che ha consentito di promuovere politiche attive del lavoro anche
nelle realtà più piccole.
Tutti gli accordi sono motivati dal “perdurare (o dall’aggravarsi, per Bg, Co, Pv e Va) dello stato
di crisi del settore, con pesanti ricadute sull’occupazione”. Poche province indicano le cause di
questa situazione: nell’accordo di Mantova si fa riferimento alla necessità di supportare le
trasformazioni aziendali, nell’accordo di Lodi si citano i processi di ristrutturazione aziendale e
la concorrenza derivante dai paesi in via di sviluppo e in quello di Sondrio si fa cenno a difficoltà
economico-congiunturali.
Un’altra importante specificità provinciale riguarda il settore di riferimento per l’applicazione
degli accordi. In tutte le province, l’accordo nasce per il settore tessile, a cui si aggiungono
abbigliamento e calzature in provincia di Brescia, Como, Mantova, Milano, Pavia; a Varese, oltre
a questi settori, sono previsti anche moda e meccanotessile; a Bergamo, oltre a tessile e abbigliamento, l’accordo si applica anche alla moda (ma non alle calzature). L’altro settore privilegiato di destinazione degli ammortizzatori in deroga è il metalmeccanico: è previsto nell’accordo
di Lecco, Cremona (con cartotecnico e grafico), Lodi (con chimico, terziario e servizi) e Sondrio
(con settore manifatturiero, agricolo-alimentare ed elettrotecnico).
Molte province hanno poi siglato un secondo accordo, in cui hanno ampliato i criteri settoriali
di applicazione degli ammortizzatori in deroga: all’intera filiera del tessile abbigliamento e
calzature (Pavia), ad altri settori (chimico e cartario a Sondrio), a tutto il manifatturiero (Como,
Brescia e Cremona) o a tutti i settori produttivi (Mantova). Bergamo, che aveva già firmato due
accordi precedenti, ha previsto l’applicazione degli ammortizzatori in deroga a tutto il settore
321
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
manifatturiero con il terzo accordo, siglato nel luglio 2006.
In tutte le province, l’accordo riguarda sia la Cigs che la mobilità in deroga, con l’unica eccezione di Varese, il cui accordo è relativo alla sola cassa integrazione.
I destinatari sono individuati nelle imprese artigiane, industriali fino a 15 e oltre i 15 che non
possono fare ricorso agli ammortizzatori sociali.
Alcune province hanno posto dei limiti più stringenti rispetto alle dimensioni di impresa:
• a partire dal secondo accordo, in provincia di Cremona è stato posto il limite di 15 dipendenti per la mobilità e 25 dipendenti per la Cigs;
• a Lecco e Lodi l’accordo viene applicato solo alle aziende fino ai 15 dipendenti, sia per la
Cigs che per la mobilità.
• a Mantova, le imprese sotto i 15 dipendenti vengono considerate le destinatarie privilegiate,
la possibilità di allargamento è prevista solo in subordine.
Alcune province hanno poi previsto un ampliamento alle aziende cooperative: Cremona (che ha
allargato anche alle imprese commerciali), Mantova, Sondrio (ma solo nel primo accordo e solo
per la mobilità).
L’unico prerequisito richiesto ai lavoratori in tutti gli accordi è un’anzianità lavorativa presso
l’impresa non inferiore a 90 giorni. Viene, inoltre, precisata l’incompatibilità della Cigs in deroga
con trattamenti previdenziali o assistenziali connessi alla sospensione dell’attività lavorativa,
anche se con oneri a carico della Regione.
Il numero di lavoratori coinvolti non viene indicato, ad eccezione del primo accordo di Bergamo,
in cui era stato previsto il coinvolgimento di 1200 lavoratori.
La durata dei trattamenti viene predefinita solo in alcuni accordi, con una differenziazione tra
Cigs e mobilità e una maggiore tutela per gli over 50:
• a Bergamo il primo accordo pone un limite di 3 mesi
• a Brescia viene posto un limite massimo di 12 mesi
• a Cremona 6 mesi per la Cigs e 7 per la mobilità (10 mesi per gli over 50)
• a Lodi 6 mesi per la Cigs (con la possibilità di ottenere una proroga di ulteriori 6 mesi) e 9
mesi per la mobilità (12 mesi per gli over 50)
• a Milano si pone una durata minima di una settimana e un massimo di 6 mesi per la Cigs
(più 6 mesi di proroga) e 12 mesi per la mobilità (24 per gli over 50).
In ogni caso, rispetto a quanto definito nell’accordo, spesso le Province hanno poi previsto delle
proroghe e, nei fatti, la durata dei trattamenti è risultata più lunga.
Gli accordi. I firmatari
I firmatari degli accordi sono numerosi e variabili, in relazione sia alla provincia sia all’accordo.
La Provincia di riferimento è l’unica firma presente in tutti gli accordi, accompagnata dal Ministero del lavoro e dalla Regione solo nel primo accordo, di assegnazione delle risorse. L’Agenzia
Regionale per l’istruzione, la formazione e il lavoro si occupa del supporto tecnico in quasi tutti
gli accordi siglati. È poi spesso presente la Camera di Commercio provinciale. L’Inps regionale
322
è firmataria di quasi la metà degli accordi, così come Italia Lavoro, che è l’agenzia individuata
dal Ministero per il monitoraggio degli ammortizzatori sociali in deroga; meno frequente la
presenza dell’Inps provinciale. La Direzione provinciale del lavoro ha siglato solo un terzo degli
accordi, ancora più rara la presenza della Direzione regionale del lavoro. Solo nell’accordo di
Pavia, che presenta caratteri peculiari, legati alla presenza del distretto calzaturiero, c’è la
firma di un sindaco, quello di Vigevano.
Per quanto riguarda le Parti sociali, per parte imprenditoriale, Confartigianato è l’unica che
abbia siglato la totalità degli accordi, seguono Confindustria, Api Industria e Cna, tutte con una
presenza superiore al 75%. Claai e Casa hanno firmato un terzo degli accordi. Si segnala poi la
presenza di associazioni del settore cooperativo, del commercio e dell’agricoltura che, come si
è detto, sono coinvolte in alcuni accordi.
Da parte sindacale, Cgil e Cisl hanno firmato la totalità degli accordi provinciali, seguiti da Uil.
In alcuni accordi, si segnala la presenza delle associazioni di categoria del settore tessile.
I tavoli di governo degli ammortizzatori
Quasi tutte le province hanno costituito organismi congiunti tra parti istituzionali e sociali per
il governo e la gestione degli ammortizzatori sociali in deroga. Questi tavoli possono avere una
funzione puramente formale, di ratifica delle decisioni prese dalle istituzioni locali, come nel
caso di Cremona e Lecco, oppure essere pro-attive, come nel caso di Bergamo, Como e Lodi.
Diverso è anche il ruolo dell’ente bilaterale dell’artigianato (Eba), il cui ruolo di gestione della
consultazione sindacale è esplicitamente richiamato in tutti gli accordi, a eccezione di Bergamo,
dove, in assenza di precedenti esperienze e procedure cui fare riferimento, è stato lasciato un
ruolo primario di governo del sistema alla Provincia, in accordo con le singole sigle imprenditoriali e sindacali.
Gli accordi. I dati di monitoraggio
Come si è detto, Italia Lavoro, in quanto agenzia del Ministero del Lavoro e della Previdenza
Sociale, del Ministero della Solidarietà Sociale e delle altre Amministrazioni centrali dello Stato
per la promozione e per la gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell’occupazione e dell’inclusione sociale, è il soggetto individuato dal Ministero per il monitoraggio degli
ammortizzatori sociali in deroga, realizzato nell’ambito del progetto Pari Mas. I dati più recenti
sono aggiornati alla fine di dicembre 2007.
Complessivamente, su più di 53 milioni di euro stanziati, ne sono stati impegnati poco più di
43 milioni (80% del totale) e ne sono stati erogati poco più di 29 milioni (54% del totale).
In base alla capacità di spesa (risorse erogate), le province possono essere suddivise in tre
gruppi:
• province ad alta capacità di spesa: Brescia (ha erogato l’86% delle risorse e ha impegnato
il 100%), Como (erogato l’80% e impegnato l’86%) e Bergamo (erogato il 78% e impegnato
l’88%);
323
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
• province a media capacità di spesa: Milano (ha erogato il 46% ma ha già impegnato il
100%), Pavia (erogato il 43%, impegnato il 78%), seguite da province che, pur avendo
erogato percentuali inferiori al un terzo del totale, hanno impegnato cifre significative, come
Mantova (erogato il 29% e impegnato il 79%), Lecco (erogato 27%, impegnato 94%), Cremona (erogato 25% impegnato 82%) e Varese (erogato 24% impegnato 64%);
• province con bassa capacità di spesa: Lodi (erogato 10% e impegnato 48%) e, soprattutto,
Sondrio (erogato 2%, impegnato 9%)
Il monitoraggio di Italia Lavoro riguarda anche il numero delle aziende e dei lavoratori beneficiari degli ammortizzatori in deroga per provincia. Prima di prendere in esame questi dati, è
opportuno fare alcune riflessioni metodologiche.
La modalità di registrazione delle pratiche in uso non permette di capire come le diverse Province valutino le ricorrenze; ossia, nel caso in cui la stessa azienda apra più pratiche, e magari
per gli stessi lavoratori, non è chiaro se l’azienda e i lavoratori vengano conteggiati una o più
volte. Inoltre, i dati di Italia Lavoro si riferiscono alle richieste di Cigs e mobilità in deroga ma
dalle interviste ai testimoni privilegiati è emerso chiaramente il fatto che le aziende tendono ad
aprire la procedura per un numero di lavoratori e per una durata superiori alle effettive necessità
(il funzionario della provincia di Pavia stima che vengano utilizzate solo il 40% delle ore richieste).
Tenendo presente questi limiti nella costruzione del dato, è possibile fare qualche riflessione sui
risultati del monitoraggio di Italia Lavoro.
I dati sono, ovviamente, congruenti con il dato di spesa: la provincia che ha erogato più trattamenti è Bergamo, seguita da Pavia, Brescia, Como, Varese e Mantova. Cremona, Lecco, Lodi e
Sondrio si attestano su cifre poco significative.
Se paragonati con i dati amministrativi resi disponibili dalle Province, si rilevano numerose
incongruenze: nonostante i dati forniti da Italia Lavoro siano spesso più aggiornati, in molte
province il sistema di monitoraggio rileva una quantità inferiore di aziende e lavoratori coinvolti
rispetto ai dati amministrativi.
Questo dipende dai problemi metodologici sopra evidenziati, ma denuncia anche forti difficoltà
nel coordinamento del sistema informativo, che determinano disfunzionalità nella programmazione e nella gestione delle politiche del lavoro.
Nonostante questi limiti, i dati statistici disponibili, integrati con le interviste ai testimoni
privilegiati, denunciano un diverso utilizzo degli ammortizzatori sociali in deroga nelle province
lombarde.
In sintesi, si rileva un ricorso prevalente alla Cigs a Bergamo, Cremona e Mantova e alla mobilità a Brescia, Lecco, Lodi, Milano. Gli ammortizzatori in deroga vengono erogati in larga misura
a dipendenti di piccole aziende a Bergamo, Brescia, Mantova e a dipendenti di grandi aziende
a Como e Varese. Si segnalano poi province che necessitano di ulteriori risorse (Brescia in primis) e altre in difficoltà di spesa (Cremona e Sondrio).
324
I punti di forza e di debolezza degli ammortizzatori sociali in deroga
Dalle interviste ai referenti provinciali emergono interessanti spunti di valutazione delle esperienze finora condotte in materia di ammortizzatori sociali in deroga. A queste possiamo aggiungere le riflessioni delle Parti sociali in argomento.
Una rete di relazioni a nodi solidi tra istituzioni e Parti sociali
In primo luogo, l’importanza di una buona rete di relazioni, pre-esistente la stesura degli accordi, tra le istituzioni e con le parti sociali.
Per quanto riguarda i rapporti tra le istituzioni, la Provincia rappresenta ovunque l’istituzione
centrale nella promozione e nella gestione degli ammortizzatori in deroga. L’unica eccezione è
rappresentata dalla Provincia di Pavia, che ha invece delegato tutta la procedura a un rapporto
diretto tra l’azienda, spesso rappresentata da un’associazione di categoria, e l’Inps, che eroga
i contributi. D’altro canto, Pavia è da segnalare come eccezione anche perché il relativo accordo
per gli ammortizzatori in deroga è l’unico che porti la firma di un sindaco, quello di Vigevano,
coinvolto per la crisi del distretto calzaturiero.
Nei rapporti tra le istituzioni, si segnala come buona prassi la partecipazione della Direzione
provinciale del lavoro e dell’Inps provinciale ai tavoli aperti presso la Provincia per la gestione
degli ammortizzatori in deroga, poiché ha permesso di offrire risposte più rapide ad aziende che
si trovano in situazione di difficoltà e per le quali il fattore tempo era determinante (si vedano
in proposito le testimonianze dei funzionari provinciali delle province di Bergamo, Como, Cremona, Lodi e Varese).
Rispetto alle parti sociali, invece, c’è da rilevare una forte disomogeneità territoriale: vi sono
province, come Bergamo, Como o Varese, dove le parti sociali sono state propositive e sono state
da stimolo per le istituzioni per la promozione degli ammortizzatori in deroga ed altre province,
come Cremona, dove le parti sociali si sono limitate a ratificare le decisioni prese in sede istituzionale. Il ruolo delle parti sociali verrà approfondito nel quarto capitolo, qui importa però
rilevare il peso della concertazione per il successo delle politiche del lavoro.
Si è inoltre visto come gli Enti bilaterali possono essere un buon punto di riferimento per l’artigiano, soprattutto per quelle situazioni dove è necessario il supporto di una struttura di riferimento per poter anche solo conoscere quello che c’è in gioco: l’ente bilaterale funge quindi da
supporto tecnico e può indirizzare gli imprenditori artigiani verso le migliori situazioni per la
crisi che possono interessarli. Questo perché gli ammortizzatori sociali siano rapportati al territorio di riferimento, (almeno quando sono chiari i confini di distribuzione delle provvidenze),
territorio che può presentare caratteristiche anche molto diverse da zone limitrofe. L’intervento
puntuale e specifico per quella azienda, in quella zona, in quel settore produttivo, in quel momento: ecco le parole d’ordine che gli artigiani lanciano alle parti sociali e al mondo politico ed
economico.
325
PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
L’auspicio di una regia regionale
Un secondo elemento di analisi riguarda il rapporto tra Province e Regione. Come si è detto,
molti intervistati lamentano una distribuzione sbilanciata delle risorse: a fronte di province che
hanno ricevuto pochi finanziamenti rispetto alle esigenze del territorio (Brescia), ce ne sono altre
in forte difficoltà nello spendere le risorse loro attribuite (Cremona e Sondrio). I referenti provinciali sono concordi nel richiedere una regia regionale, pur nel rispetto delle specificità provinciali; un equilibrio necessario, seppur difficile da raggiungere. Questo ridurrebbe le distorsioni
presenti nel sistema attuale (i cosiddetti “finanziamenti a pioggia”) e porterebbe a una razionalizzazione degli investimenti. Nella prima fase di applicazione degli ammortizzatori in deroga,
c’è stata una forte autonomia di iniziativa delle province nella stipula degli accordi, seppur con
il supporto tecnico dell’Agenzia regionale per l’istruzione, la formazione e il lavoro, che ha contribuito al confronto e, in parte, all’omologazione delle pratiche. Come si è già detto, la Finanziaria 2007 (art. 1, comma 1190, legge 296/06), seguita dall’accordo del 5 giugno 2007 tra
Ministero del lavoro e della previdenza sociale e Regione Lombardia e dall’accordo quadro del
29 giugno 2007 tra Regione Lombardia e organizzazioni imprenditoriali e dei lavoratori, ha
promosso una sorta di “riaccentramento” della gestione delle procedure e delle risorse, attribuendone alla Regione le competenze e destinando ulteriori 11,6 milioni di euro alla Lombardia.
La revisione del sistema degli ammortizzatori sociali
Inoltre, molti referenti intervistati mettono in discussione l’intero sistema degli ammortizzatori
sociali. La sperimentazione degli ammortizzatori in deroga avrebbe potuto rappresentare il preludio a un’armonizzazione e innovazione degli ammortizzatori sociali per rendere più adeguato
il sistema di tutele al nuovo mercato del lavoro e al sistema eco-produttivo italiano. Il protocollo
e la legge sul welfare, come si è visto, sono un passo in questa direzione, ma di certo non hanno
introdotto una riforma complessiva degli istituti previsti. In particolare, gli intervistati auspicano una riforma che preveda dei diritti uniformi per tutti i lavoratori, indipendentemente dal
settore e dalle dimensioni dell’azienda per cui lavorano. Questo renderebbe più semplice la
diffusione delle informazioni, facilitando la fruizione dei benefici da parte dei lavoratori; inoltre,
come si vedrà nel paragrafo successivo, eliminerebbe alcuni ostacoli al processo di reimpiego
dei lavoratori disoccupati. Gli stessi intervistati individuano i principali ostacoli a una riforma
complessiva del sistema degli ammortizzatori: in primis, i costi elevati e, in secondo luogo,
l’eventuale opposizione di coloro che perderebbero diritti consolidati.
Anche tra i rappresentanti delle Parti sociali, emergono dubbi e domande sull’assetto attuale
degli ammortizzatori sociali. Alcuni di loro si chiedono se gli ammortizzatori possano diventare
un sostegno normale e continuo per tutti i lavoratori, a qualunque settore produttivo appartengano, con procedure più fluide, processi di sensibilizzazione più attivi, organismi di controllo e
di monitoraggio efficaci. Così come i rappresentanti delle province, anche tra le Parti sociali si
auspica l’integrazione tra le politiche passive e quelle attive: tra queste ultime, si rimarca
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l’importanza della formazione.
Accanto a questi problemi, si auspica poi la costituzione di un sistema di raccolta dei dati, che
sia alla base di ogni intervento futuro. Punto molto sensibile, questo ha generato non pochi
problemi anche all’interno di questa indagine.
Il pensiero strategico in merito a questo tema non è, d’altra parte, molto sviluppato o, forse,
manca di tratti condivisi, cosicché rimangono nell’ombra molte questioni, che vorrebbero l’intervento sia delle istituzioni e delle Parti a livello sia nazionale sia locale. Per esempio, l’estensione del welfare, questione molto complessa e di ampia portata, che coinvolge le questioni qui
affrontate in modo diretto, ma che non trova ancora nel Paese e nelle sue istituzioni accoglienza
politica o scientifica. Convergono qui ragionamenti e riflessioni che concernono la natura stessa
della cittadinanza, di chi vi ha diritto e di chi vi rimane escluso e i problemi scaturiti da queste
questioni.
PARTE QUARTA. LE POLITICHE ATTIVE
Per quanto riguarda le politiche attive del lavoro, non è possibile procedere a un confronto
puntuale delle esperienze provinciali, a causa della loro eterogeneità. Nonostante questo, è
possibile individuare alcuni aspetti comuni alle diverse esperienze provinciali: si possono mettere a confronto le fonti del finanziamento, le costanti e le differenze tra province, il ruolo dell’istituzione provincia.
Le fonti di finanziamento
Nel periodo 2004/2007, le province hanno utilizzato risorse a valere su: Fondo nazionale per
l’occupazione (Fno), capitolo 908 del bilancio regionale, risorse provenienti dal Ministero del
lavoro gestite da Italia Lavoro, legge 236/1993, Fondo Sociale Europeo e su Fondi provinciali.
A queste fonti, nei progetti in avvio si aggiungono nuovi canali di finanziamento:
• il programma LaborLab del Ministero del Lavoro, gestito da Italia Lavoro (illustrato nel cap.
1);
• le risorse provenienti dagli accordi per gli ammortizzatori in deroga (vd par. 3.2.2).
Per quanto riguarda queste ultime, le province hanno predisposto un Programma di reimpiego,
condiviso e approvato dalla Regione Lombardia di cui, con qualche eccezione, è ora in fase di
definizione la progettazione esecutiva.
Le azioni proposte nei piani provinciali possono essere ricondotte alla seguente tipologia:
• azioni di accoglienza e presa in carico (colloqui di accoglienza, colloqui di orientamento,
bilanci attitudinali e di competenze)
• accompagnamento alla ricerca attiva del lavoro (tirocini di orientamento e tirocini di inserimento)
• azioni di incontro tra domanda e offerta di lavoro
• incentivi alle aziende (per l’assunzione, per la trasformazione da tempo determinato a tempo
indeterminato, per la trasformazione da full-time a part-time)
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PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
• formazione individuale e collettiva
• servizi di outplacement
Tra queste, è interessante riflettere sull’utilizzo degli incentivi alle aziende. Questo strumento si
è diffuso come misura di politica attiva con il programma Pari ed è oggi sempre più utilizzato
nei programmi di reimpiego. Nel programma Pari, che prevedeva sia incentivi all’assunzione
che una dote formativa di 1.000 euro, molte province hanno convertito anche la dote in incentivo
per l’assunzione a tempo determinato. Il rischio nel ricorso a questo tipo di strumenti è il cosiddetto effetto di deadweight loss, ossia che il finanziamento pubblico si sostituisca a finanziamenti privati che sarebbero stati effettuati anche in sua assenza. Un altro aspetto da rilevare
riguarda l’introduzione di finanziamenti a sostegno dell’auto-imprenditorialità, intesa come
politica attiva del lavoro.
Le differenze provinciali e il ruolo della Provincia
Le differenze principali tra le province riguardano l’assetto istituzionale e, in particolare, il ruolo
della Provincia. Si tratta di quello che da molti intervistati è stato definito il problema della
“terzietà” della Provincia. La legge regionale non definisce in maniera restrittiva il ruolo della
Provincia nelle politiche del lavoro, per cui, a differenza delle politiche dell’istruzione e della
formazione, non è prevista alcuna distinzione tra i soggetti che programmano e quelli che erogano i servizi. Una riflessione più approfondita in questa direzione in questa direzione viene
richiesta dalla provincia di Varese. In altre province, invece, come Lodi (che eroga direttamente
servizi per il lavoro attraverso una struttura dedicata presso il Centro per l’Impiego) o Cremona
(dove tutte le attività dei soggetti aggiudicatari si svolgono presso i centri della provincia), il
coinvolgimento della Provincia nella gestione delle politiche del lavoro viene considerato un
valore aggiunto, finalizzato a garantire la qualità dei servizi ai cittadini.
Il coinvolgimento dei lavoratori nelle politiche attive
Un problema comune a tutte le province, indipendentemente dall’assetto istituzionale e organizzativo di cui si sono dotate, è il coinvolgimento dei lavoratori nei progetti di politica attiva
del lavoro.
Questo dipende, in primo luogo, da una debolezza nella promozione delle politiche attivate: i
lavoratori e le aziende spesso non vengono nemmeno a conoscenza delle possibilità offerte attraverso finanziamenti pubblici. Gli intervistati auspicano un maggiore investimento delle associazioni di rappresentanza degli interessi, e degli enti bilaterali in particolare, nell’informazione
e nella sensibilizzazione dei propri iscritti.
Ma anche laddove il flusso informativo raggiunge i destinatari previsti, spesso non c’è interesse
a partecipare alle iniziative proposte. Il referente della provincia di Como stima che solo il 30%
delle persone che usufruiscono di ammortizzatori sociali siano disponibili a iniziare un percorso
di ricollocamento; quello della provincia di Lodi parla di risultati positivi quando almeno la metà
delle persone contattate aderisce alle iniziative di politica attiva.
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In un documento della provincia di Cremona sono elencati i principali fattori di ostacolo alle
politiche attive del lavoro:
• difficoltà da parte del lavoratore nell’elaborazione del “lutto” (perdita del posto di lavoro)
• paura del cambiamento
• ritrosia a spostamenti superiori a 20 km
• difficoltà a lavorare su turni
• assenza di patente di guida e mezzo disponibile, conoscenze informatiche scarse o assenti,
poca specializzazione e professionalità non al passo con i tempi
• assistenza ai genitori anziani, ai figli in età scolare, problemi di salute che di fatto vincolano
l’accettazione di alcuni lavori
• rapporti di lavoro in essere
Alcuni intervistati (Bergamo, Brescia, Varese) rilevano come il problema principale riguardi,
oltre gli over 50 (ora over 45 e, in alcune realtà, over 40), le donne: l’assenza di offerta di lavoro
part-time, più funzionale alla conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, accompagnata
dall’accesso a sussidi al reddito (cassa integrazione guadagni e mobilità) rendono difficile il
coinvolgimento di questo target, che preferisce risolvere i problemi contingenti, dedicando il
proprio tempo alla cura della famiglia, piuttosto che fare un investimento in un percorso di riqualificazione dagli esiti a lungo termine. Questo nonostante il fatto che, come sostiene il
funzionario provinciale di Varese, pur essendo la categoria di lavoratori più difficile da coinvolgere in progetti di politica attiva, le donne sono anche quelle che ne traggono maggiori vantaggi
in termini di reinserimento occupazionale.
Per superare queste difficoltà, alcuni referenti provinciali (Cremona, Varese) suggeriscono l’applicazione dei meccanismi sanzionatori previsti dalla legge vigente (d.lgs.181/2000, d.lgs.
297/2002, legge 291/2004) per i lavoratori percettori di indennità di disoccupazione, mobilità
o cassa integrazione guadagni che non aderiscono a un’offerta formativa o di riqualificazione,
non accettano un’offerta di lavoro “congrua” o rifiutano l’avviamento in un percorso di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro. In caso di mancato assolvimento di tali obblighi,
la normativa prevede la perdita dei trattamenti di integrazione al reddito o di disoccupazione
ma, nei fatti, per accordo tacito tra istituzione e parti sociali, è prassi diffusa la mancata applicazione del sistema sanzionatorio. Recentemente anche il Ministero del lavoro, in una circolare del febbraio 2006 (n. 5), ha parlato di «possibili danni erariali» derivanti dalla mancata
applicazione del sistema sanzionatorio, richiedendo pertanto la collaborazione tra Province,
servizi pubblici e privati per l’impiego e Inps.
Alcuni intervistati dichiarano di aver utilizzato in più occasioni questa argomentazione, ma solo
come strumento di pressione verso il lavoratore, con la consapevolezza che non si sarebbe mai
arrivati all’applicazione delle sanzioni. D’altro canto, gli stessi intervistati non nascondono i
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PROGETTO E. ANALISI E STUDI DI MODELLI PER LE IMPRESE ARTIGIANE
rischi di un’applicazione rigida di sistemi punitivi. Si rileva la difficoltà di distinguere le situazioni di opportunismo da quello di reale disagio, dal momento che lo svantaggio lavorativo si
accompagna a situazioni personali e familiari già difficili.
Inoltre, nel momento in cui si ipotizza l’applicazione di meccanismi coercitivi, bisogna valutare
l’efficacia delle politiche proposte. Purtroppo non è stato possibile fare un’analisi trasversale
degli esiti dei percorsi proposti ai lavoratori, perché questo dato non è stato messo a disposizione da tutte le province. È possibile prendere in esame solo dati qualitativi: tra questi, il più
interessante è il dato sintetico fornito dal funzionario provinciale di Brescia, secondo cui è stato
ricollocato solo il 10% dei lavoratori coinvolti in percorsi di politica attiva. Questo dipende da
un gap strutturale tra domanda e offerta di lavoro, che gli interventi formativi non riescono a
colmare: nel caso di Brescia, la richiesta di manodopera maschile da inserire nel settore metalmeccanico si scontrava con una realtà composta da una maggioranza di donne in uscita dal
settore tessile.
Il modello della Regione Lombardia
Dalle interviste sono poi emersi interessanti spunti di riflessione sul modello sperimentato dalla
Regione Lombardia con la legge 22/2006, in particolare sullo strumento della “dote”. Alcuni
intervistati (Como, Cremona) rilevano come la richiesta di attivazione e di scelta autonoma rivolta dalle istituzioni al lavoratore in difficoltà possa aggravare la sua situazione di disorientamento, dovuta alla perdita del lavoro, piuttosto che aiutarlo ad uscirne. È come se il modello in
sperimentazione presupponesse la razionalità assoluta di soggetti che, avendo a disposizione
tutte le informazioni necessarie e disponendo delle competenze utili a effettuare un’analisi
comparativa, compiono la propria scelta in ottica ottimizzante. I lavoratori che usufruiscono
degli ammortizzatori sociali in deroga agiscono, invece, come tutti gli attori sociali e con l’aggravante della situazione di difficoltà in cui versano, secondo un principio di razionalità limitata, avendo a disposizione poche informazioni e spesso in assenza delle competenze
necessarie per raggiungere persino una soluzione soddisfacente.
Sempre a proposito della legge 22, un altro punto debole rilevato dagli intervistati riguarda
l’accreditamento degli enti e il rapporto tra pubblico e privato: il rischio è che i soggetti con
maggiori risorse si rivolgano al privato e quelli più deboli al pubblico, generando un circuito
vizioso per cui al pubblico, che ottiene minori risultati perché gestisce soggetti con maggiori
difficoltà, vengono erogati minori finanziamenti, indebolendo l’offerta di servizi. Questo processo
metterebbe in discussione i progressi avvenuti negli ultimi anni: gli intervistati rilevano il forte
cambiamento avvenuto con la riforma dei servizi per l’impiego e il passaggio dagli ex-uffici di
collocamento ministeriali ai Centri per l’Impiego provinciali, che hanno assunto un ruolo attivo
nel (ri)collocamento dei lavoratori.
Inoltre, si rileva una scarsa maturità del sistema, dovuta anche al fatto che gli operatori sul
mercato del lavoro in Lombardia sono spesso una derivazione degli enti di formazione professionale, che in Lombardia hanno una tradizione ben più solida.
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