Introduzione al convegno

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Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA)
Scuola di Dottorato in Scienze Sociali. Interazioni, Comunicazione e Costruzioni Culturali
Lands of Strangers?
Migrazioni, genere, intersezioni della cittadinanza
12 Ottobre, h. 10.00
Sala della Scuola della Carità, Via San Francesco 61
INTRODUZIONE AL CONVEGNO
FRANCA BIMBI
La domanda del Convegno – Lands of Strangers? – propone una riflessione sulle
dinamiche differenze-disuguaglianze-cittadinanza, assumendo un’ottica di
intersezionalità, a partire da ricerche sulle migrazioni e sui processi di
transculturazione della vita urbana e della sua quotidianità. Sul versante delle
differenze, il genere (non riducibile alle donne e neppure al dualismo donne-uomini)
e la razzializzazione delle relazioni sociali, emergono con forza come campi di
regolazione dei discorsi di potere simbolico sui migranti, tra i migranti e sui/tra i
nativi dei differenti generi. Le disuguaglianze, a loro volta, si articolano anche nei
campi dei conflitti “culturali”: tra differenze costruite dalle biopolitiche e differenze
auto-assegnate sulla base di miti ridefiniti come originari. Dall’orizzonte della
cittadinanza sostanziale, le forme segmentate della stratificazione civica ridisegnano
e mescolano le gerarchie sociali tra migranti e “nativi”, tanto da far perdere senso alla
loro distinzione.
Tutte/i possiamo dirci “strangers”, cioè in qualche modo “forestieri” in società delle
multidiversità: non necessariamente stranieri o estranei, ma incorporati in relazioni
che propongono un certo grado di dissonanza, di dubbio, d’ansia da disconoscimento,
di co-presenze da verificare. Osserviamoci nella vita quotidiana delle città: né le
retoriche dell’identità, né il cosmopolitismo universalista, e neppure gli sforzi per un
agire comunicativo, risolvono la mancanza di “una terra sotto i piedi”.
Allo stesso tempo sperimentiamo più radicamenti, anche se in terre di frontiera, dove
l’attraversamento dei confini richiede capacità di rappresentarsi e agire come outsider
within. In questo le donne – migranti e native – sono particolarmente esperte. Ci
verifichiamo esposte/i alle vulnerabilità degli incontri ed assieme inclini a ricavarne
forme di legame sociale che rendano possibile la cura e la responsabilità reciproca,
non solo nei “piccoli spazi” quotidiani.
L’eccedere delle differenze può rendere possibili forme inattese, poco prevedibili e
visibili, spesso difficilmente narrabili, d’incontro e di riconoscimenti parziali. Le
questioni legate al riconoscimento sono molte e tutte abbastanza complicate. Ne
segnaliamo alcune che ci sembrano particolarmente connesse alle nostre ricerche in
corso.
La prospettiva intersezionale può essere utilizzata come attenzione alla compresenza
di variabili oggettive più o meno esplicative: si tratta di aggiungere indicatori che
intersecano tra loro informazioni, ma che poco incidono sugli approcci conoscitivi.
Oppure l’intersezionalità può essere assunta come postura metodologica attraverso la
quale si considerano costrutti interpretativi differenti, che scaturiscono dall’attenzione
al conflitto tra posizioni egemoni e posizioni variamente sotto-ordinate (o subalterne),
confrontate con posizionamenti tra loro differenti di gruppi e soggetti. Genere,
“ethicity-race”, classe, orientamento sessuale, età…., possono essere utilizzati per
classificare fenomenologie sociali interconnesse oppure per assumere costrutti
concettuali che tengono conto delle diversità dei discorsi con cui soggetti con più o
meno potere rappresentano il significato delle proprie pratiche sociali. Ad esempio la
prospettiva di engendering migration implica un approccio di ricerca sulle
migrazioni che cerca di interrogare i significati che donne ed uomini migranti danno
alle loro condotte migratorie, considerando come sensate anche le interpretazioni e le
domande sociali non riconducibili agli assunti del ricercatore.
E’ inevitabile che le “nostre” buone intenzioni di riconoscimento restino impigliate in
un etnocentrismo implicito, soprattutto nell’università italiana dove la presenza quasi
nulla di ricercatrici e ricercatori di origine “non nativa” va in parallelo con la
debolezza accademica dei Gender Studies e dei Post-colonial Studies. Questa
situazione ha effetti non secondari sia sugli assunti delle ricerche che sulle loro
implicazioni applicative. Le ricerche sulle migrazioni corrono costantemente il
rischio di costruire distinzioni tra “noi” e “loro” attorno ai nostri confini tra
“modernità” e “tradizione”, proiettati su “l’altra/o”. “Tradizione” può assumere due
significati opposti: backwardness da superare o costumi “culturali” da proteggere. La
negazione del ricongiungimento familiare alle seconde mogli di famiglie
poligamiche, come pure le difficoltà normative per il ricongiungimento di ascendenti
o di membri della rete familiare allargata, mette in luce la “nostra” naturalizzazione
normativa della famiglia coniugale “moderna”, formalmente di coppia, monogamica,
orizzontale, ed in Italia rigorosamente eterosessuale. Pensando a mogli lasciate
indietro, in un territorio simbolico e sociale incerto, tra il rispetto delle regole
“tradizionali” e il ripudio di fatto, si può osservare come un assunto di modernità di
genere che fa parte del mainstreaming nord-occidentale possa costruire gerarchie di
giustizia spaziale con effetti anche molto pesanti sulla vita di madri e figli che
restano nei Paesi d’origine. Parallelamente, le mogli di migranti che portano ai servizi
sociali italiani i loro drammi per le decisioni dei mariti su un secondo matrimonio,
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rappresentano a “noi” i conflitti tra interpretazioni maschili e femminili del rapporto
tra tradizione e modernità, così come si svolgono nei gruppi d’appartenenza o di
riferimento culturale. Nel complesso le interpretazioni di “moderno” e “tradizionale”,
in discussione nei mondi dei migranti, hanno ben poco spazio nel discorso pubblico,
soprattutto per quel che riguarda le voci delle donne. Gli studi sulle migrazioni
s’interrogano ancora poco sui nodi relativi al rapporto tra parlante e parlato, su chi ha
la parola e su chi parla in nome di chi, particolarmente nei rapporti tra i generi e tra le
generazioni, tra i discorsi minoritari e i discorsi egemoni presenti anche nel campo
delle appartenenze autodefinite dai migranti. Inoltre l’analisi delle pratiche sociali dei
migranti e dei significati che essi vi attribuiscono potrebbe essere maggiormente
utilizzata per riflettere sulle dissonanze interne ai discorsi tra “noi” e su di “noi”. In
particolare le rappresentazioni della famiglia e dell’accessibilità al corpo delle donne,
attribuite spesso in maniera stereotipata alle/ai migranti, mettono in luce anche le
difficoltà del mondo nord-occidentale nel ridefinire i significati sociali condivisi dei
legami sociali, per quel che riguarda la consistenza delle relazioni primarie come le
lealtà che si possono dar per acquisite nella sfera civica quotidiana. Osserviamo che,
più in generale, in epoche di crisi (alcuni parlano di “axial age”), le gerarchie nordsud riprendono significato: è anche la vicenda attuale della stigmatizzazione
dell’Europa del Sud nelle vicende dell’Unione Europea.
Nel complesso potremmo pensare che la categoria della “super-diversità sociale”
introdotta da Vertovec nel dibattito sulle migrazioni può essere usata estensivamente,
in quanto categoria descrittiva –se non esplicativa- del dissolversi di caratteristiche
chiaramente distintive tra “migranti” e “nativi”.
Ci chiediamo se su queste basi – e nello scenario della crisi attuale – si possano
creare legami sociali multilivello, aperti e non occasionali, da cui misurarsi con le
diverse forme di regolazione e di dominio. Donne ed uomini possono, nei luoghi in
cui si ridisegnano pratiche quotidiane esposte a molte disconnessioni, diventar capaci
di utilizzare le loro molte estraneità, coltivando nuove tipologie di sociabilità e forme
d’amicizia tra dissimili?
Abbiamo chiesto ad Ash Amin, Enzo Mingione, Eleonore Kofman e Maurizio
Ambrosini di fornirci le loro piste di lettura attorno a queste domande, perché le
riteniamo importanti per il dibattito e per le nostre ricerche, considerando la ricchezza
delle loro differenze e complementarietà, di visioni, d’approcci interpretativi e di
esperienze sul campo.
Ash Amin in Land of Strangers (2012), assume una postura teorica di particolare
attenzione alle forme d’estraniazione che caratterizzano i legami sociali nella città e
nella vita urbana. Tuttavia c’incita a scoprire legami sociali inattesi nelle più banali
co-presenze, tra persone che abitano le più strette prossimità oppure vivono nei
luoghi più distanti, fisici e virtuali. Il suo saggio mi ha sollecitato a rileggere il
romanzo di Nadine Gordimer A World of Strangers, scritto nell’acutizzarsi
dell’apartheid (1958) e tradotto in italiano (1961) col titolo “Un mondo di stranieri”.
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Uno straniero, che si pone come assolutamente estraneo, mette la sua curiosità al
servizio dei suoi attraversamenti di frontiere fisiche e simboliche. In questo caso si
tratta di un bianco imperial-britannico che decide di recarsi in Sudafrica, pensandosi
libero da pregiudiziali politiche e da pre-giudizi etnici, compresi quelli sulla sua
appartenenza alla “bianchezza”. Gordimer mette in scena un’assurdità concettuale
che, allo stesso tempo, corrisponde all’ovvietà della vita vissuta da ciascuno di noi:
nessuno è veramente estraneo ai mondi altrui o totalmente appartenente ad un unico
mondo. La lettura parallela del saggio e del romanzo ci ha suggerito sia il plurale
Lands che l’interrogativo Lands of Strangers ?.
Anche la traiettoria teorica e di ricerca di Enzo Mingione, che ha molto contribuito
agli studi sull’economia informale, in aree metropolitane ed in quelle che sembrano
corrispondere agli stereotipi dei sud più isolati, può sollecitare molte domande. La
sua costante attenzione (1985) si è rivolta alle strategie di fronteggiamento delle
famiglie, alle crisi sempre incipienti nelle vite dei poveri, dei working poors e dei ceti
medio-bassi che rischiano di cadere nella povertà, ma anche alle potenzialità dei e per
i giovani (in Italia spesso promesse non mantenute) nella società della conoscenza.
Con Fragmented Society, nel 1990, Enzo Mingione anticipa una lettura preglobalizzazione migratoria della crisi della forma urbis degli autoctoni, che non si
articola già più attorno alle rappresentazioni coesive di famiglia e di lavoro. Qui la
sua lettura si avvicina, da punti di partenza molto differenti, alle letture del
femminismo americano post-coloniale, in cui the fractured identity perspective viene
presentata sia come effetto delle relazioni di dominio che come potenzialità per
l’agency.
Nel campo degli studi su genere e migrazioni, Eleonore Kofman è una delle studiose
che, in una prospettiva di engendering migration, si è precocemente interrogata sui
rapporti tra la ricerca femminista e quella mainstreaming sulle migrazioni, come pure
tra la ricerca femminista europea ed i discorsi prodotti dalle donne migranti (1999).
Questa sua formazione le ha permesso di produrre risultati significativi anche nelle
ricerche empiriche in particolare sulle famiglie nelle migrazioni internazionali e sul
lavoro di cura transnazionale. Il suo contributo alla riflessione sull’intertersezionalità
mette in luce la necessità di approfondire la ricerca sulla composizione di classe
originaria dei migranti e sui capitali sociali e culturali che donne ed uomini migranti
sono più o meno in grado di trasferire dai Paesi d’origine a quelli d’arrivo. Dal punto
di vista delle ricerche che stiamo conducendo ci sembra molto interessante anche la
formazione di Eleonore Kofman come geografa politica (2004), che esplora i modi
molteplici con cui il genere influenza i processi politici e le politiche dello spazio.
Maurizio Ambrosini ha contribuito più di tutti in Italia alla definizione della
sociologia delle migrazioni, sin dagli inizi da lui interpretata in una prospettiva
transnazionale. Con la rivista Mondi Migranti e con la Scuola Estiva di Sociologia
delle migrazioni dà a molti di noi, più o meno giovani, la possibilità di riconoscersi in
una comunità in espansione di studiosi delle differenze, dei processi di cittadinanza e
delle possibilità di costruire togetherness tra differenze. Ciò contribuisce non poco
alla crescita scientifica della sociologia italiana. Di recente ha guidato un gruppo di
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giovani studiosi in una ricerca comparativa su Bruxelles, Francoforte, Madrid,
Manchester, Marsiglia, Genova, Firenze, Verona. Governare città plurali (2012)
s’interroga sugli effetti discorsivi e pratici della “nuova ortodossia restrittriva”, con
la quale le politiche locali pongono in atto pratiche di esclusione sociale, ma anche
mette in luce le resistenze e le forme di agency che dalla società civile contribuiscono
a dare una forma più dinamica all’uso della città ed alla vita quotidiana urbana.
Il filo che collega le quattro Letture alle nostre domande ci ha condotto per motivi
oggettivi, soggettivi, e per alcuni di noi anche affettivi, a dedicare il Convegno alla
memoria di Ray Pahl (1935-2011).
Chi l’ha conosciuto e un po’ frequentato ha sperimentato quanto la pratica degli ideali
d’amicizia, sia a livello intellettuale che personale, abbia fatto parte del suo stile di
vita, caratterizzato da gentilezza d’animo e levità nelle relazioni.
I suoi lavori seminali, sulla città, sull’economia informale, la divisione del lavoro
familiare, le strategie della famiglia, ed appunto sull’amicizia, risuonano nelle
ricerche di molte/i di noi. Ci hanno permesso di imparare e gustare uno sguardo allo
stesso tempo teorico e metodologico, attento agli aspetti strutturali e istituzionali, ai
processi ed assieme alle soggettività e alle memorie.
Ray Pahl è un sociologo urbano con formazione di geografo e con competenze e
passioni di storico sociale.
Le questioni ed il metodo proposti nel 1970, con Whose City?, segnano un punto
rifondativo della nuova sociologia urbana dopo la Scuola di Chicago. Pahl promuove
il rinnovarsi di un approccio weberiano agli studi sulla città e sulla vita urbana, che
tuttavia, con gli apporti sull’economia informale, le strategie familiari e la divisione
del lavoro familiare, produrrà anche nuovi percorsi negli studi di comunità. Dal 1977
i sociologi da lui raccolti attorno all’International Journal of Urban and Regional
Research sviluppano queste prospettive con ricerche sulle aree metroplitane e
suburbane di varie regioni del mondo. In particolare, utilizzando i costrutti di
household work e di household strategies (Pahl 1984), essi esplorano, e
ricostruiscono storicamente, con un’attenzione costante alle differenze di genere, sia
le strutture della vita quotidiana che le motivazioni e l’agency degli attori e dei
soggetti sociali, dai piccoli spazi alle istituzioni della governance urbana. Il
rinnovamento della sociologia urbana operato dall’International Journal si incontra
con gli studi di genere, sulla famiglia, l’economia informale e la vita quotidiana, che
si sviluppano anche in Italia. Nel 1974 Laura Balbo aveva costituito il GRIFF. Nel
1984, Vittorio Capecchi, Laura Balbo, Enzo Mingione ed altri, promuovono la
Sezione Riproduzione sociale, Vita Quotidiana e Soggetti collettivi dell’Associazione
Italiana di Sociologia (Bimbi e Capecchi 1986), i cui dibattiti vengono sovente ripresi
da Pahl sulla rivista Inchiesta. Anche se riguarda testi meno noti in Italia, Ray Pahl ha
coltivato un interesse non occasionale per “the changing models in the mind” ovvero
per aspetti motivazionali e relazionali del cambiamento sociale osservato a partire
dalle forme dei legami sociali primari. Da qui i lavori sull’amicizia (2000) e gli
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apporti critici nei dibattiti su “the family of choice” (2004) e sulle definizioni di
“personal communities” (2010).
Questa lettura personale, così come il Convegno1, non ha l’ambizione di offrire
un’interpretazione della biografia intellettuale di Ray Pahl. Più semplicemente
proponiamo alla riflessione delle persone qui convenute, tra cui sociologi,
antropologi, geografi e psicologi sociali, il lascito prezioso di uno studioso e di un
amico che ha condotto il suo impegno intellettuale facendosi guidare dal rigore, dalla
curiosità e dall’ironia.
1
Il Convegno è promosso dai sei Gruppi di ricerca per due distinti Progetti.
Il Progetto di Interesse Nazionale (PRIN 2009), Le condizioni per il riconoscimento. Genere, migrazioni e spazi sociali coinvolge
cinque Università. Le Unità di ricerca sono coordinate da: Franca Bimbi (coordinatrice nazionale, Università di Padova),
Giuliana Chiaretti e Fabio Perocco (Università di Venezia Ca’ Foscari), Rossana Trifiletti, Giovanna Campani (Università di
Firenze), Mara Tognetti Bordogna e Paolo Rossi (Università di Milano Bicocca), Francesco Pompeo, Michela Fusaschi
(Università di Roma 3).
Il Progetto “Giovani studiosi 2010”, finanziato dall’ Università di Padova e dalla CCIAA di Padova, è diretto da Francesca
Alice Vianello. Il tema della ricerca è: Posizionalità translocali e cittadinanza multidimensionale in Europa. Strategie familiari di vita
quotidiana attraverso i confini
All’organizzazione del Convegno, non solo in termini di lavoro concreto, hanno contribuito, oltre a Franca Bimbi con le
Unità di Ricerca del PRIN 2009, e a Francesca Alice Vianello, anche i Ph.D. Canditates Francesco Della Puppa, Jonnabelle
Asis, Vanessa Azzeruoli, Alice Brombin, Lianet Camara, Giovanna Cavatorta, Ana Irene Rovetta Cortés, Silvia Segalla,
Angela Maria Toffanin.
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