Nazioni e nazionalismi: sviluppi storici e conseguenze politiche Dai sentimenti protonazionalistici alla costituzione degli Stati nazionali, fino alla crisi dei nazionalismi Marco Spagnoli III F Premessa1 La tesi che si intende esporre, all’interno del qui presente scritto, si allontana dalle tradizionali concezioni dell’idea di nazione. La nazione non vuol essere definita come un principio universale e naturale, come la recente storiografia ha stabilito. Né tuttavia si vogliono stabilire i criteri di nazionalità, rifacendosi ad una letteratura di matrice romantica, riprendendo, per esempio, le tesi di studiosi ed intellettuali, come il filosofo nazionalista tedesco Johann Gottlieb Fichte, per il quale la nazione è un principio spirituale, che si incarna in una collettività umana, la quale collettività presenta alcuni tratti culturali in comune, a tal punto che tale legame tra gli individui appartenenti a tale realtà sopravvive anche dopo la loro morte. La tesi che si intende presentare si rifà ad un recente filone storiografico, che fa capo a Eric J. Hobsbawm e che rivoluziona le classiche interpretazioni della “questione nazionale”, dal momento che l’approccio allo studio del fenomeno nazionale non parte da tentativi aprioristici e puramente teorici di definire il concetto di nazione, ma dalla volontà di indagare sul campo, concretamente, un fenomeno storicamente determinato. 1 Il titolo della tesina, scelto deliberatamente, ispirandosi al titolo dell’opera “Nazioni e nazionalismi” di Eric J. Hobsbawm, vuole trasmettere al lettore, in maniera immediata, la logica del filo conduttore, sul quale si è sviluppato il qui presente scritto: non si vuole presentare l’idea di nazione come un qualcosa di innato nella storia dell’umanità, ma come un fenomeno storicamente determinato, che ha caratterizzato, in maniera determinante, l’età contemporanea. Marco Spagnoli III F Pagina 1 Introduzione “Immaginiamo che un giorno, dopo una guerra nucleare, un storico intergalattico atterri su un pianeta ormai morto per indagare sulle cause di una remota piccola catastrofe registrata dai sensori della sua galassia. Costui o costei prende quindi a consultare biblioteche e archivi rimasti sulla Terra […]. Dopo aver studiato un po’, il nostro osservatore sarà portato a concludere che gli ultimi duecento anni della storia degli uomini sul pianeta Terra risultano incomprensibili senza una qualche cognizione del termine «nazione» e del lessico relativo. È un termine che sembra esprimere qualcosa di piuttosto importante nelle faccende umane: ma che cosa precisamente? Ecco il mistero”.2 Con queste parole, che costituiscono l’incipit dell’opera “Nazioni e nazionalismi”, lo storico Hobsbawm esprime la polivalenza concettuale del termine nazione, un termine che finora è stato usato e che continua ad essere usato impropriamente dalla storiografia, secondo lo storico inglese. L’errore madornale che, secondo Hobsbawm, la storiografia ha commesso è stato quello di considerare le nazioni «antiche come la storia» e di aver stabilito in maniera semplicistica, riduttiva e con una pretesa di valenza universale i criteri di nazionalità. La critica apportata da Hobsbawm sulla «questione nazionale» pone l’accento, innanzitutto, sulla delineazione dei criteri in base ai quali si possa definire il concetto di nazione e, dunque, in base ai quali un gruppo di individui possa riconoscersi in una nazione. E così Hobsbawm passa in rassegna, nella introduzione del suo scritto storiografico, i criteri oggettivi 2 Eric J. Hobsbawm, “Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà”, Torino 2002, Einaudi editore, pag. 3 Marco Spagnoli III F Pagina 2 utilizzati dalla storiografia di fine ‘800 e del ‘900 per definire il concetto di nazione. Tali criteri oggettivi, volti alla spiegazione del perché certi gruppi umani siano diventati «nazione» e altri no, tengono spesso in considerazione solo alcuni elementi, quali la lingua o l’etnia, oppure combinando più elementi come la lingua, l’unità territoriale e una storia comune. Hobsbawm sottolinea il carattere fallimentare di questi criteri oggettivi, dal momento che in base a questi stessi criteri, che hanno pretesa di oggettività, alcuni gruppi umani, che rappresentano, da un punto di vista storico, «evidentemente» una nazione, non rispondono a tali requisiti teorici, mentre altri gruppi, non presentandosi, in termini realistici, come una nazione, rispondo alle suddette definizioni oggettive. Quello che lo storico britannico mette in evidenza è il dislivello, creato dalla storiografia, che separa la teoria sulla «nazione» dalle realtà nazionali. Per sfuggire a tali definizioni di tipo oggettivo, Hobsbawm ne propone in alternativa altre di tipo soggettivo, ispirandosi alle parole dello storico francese di fine ’800 Ernest Renan, che definì la nazione, nel suo celebre scritto “Che cos’è una nazione?”, come «un plebiscito di tutti i giorni». Tuttavia questi principi soggettivi, che ci svincolano dalla difficoltà, presentateci dal suddetto oggettivismo aprioristico, dal momento che grazie ad essi possiamo definire nazioni anche le popolazioni della Francia e dell’Impero Asburgico, nonostante in essi coesistano individui linguisticamente, culturalmente e storicamente diverse, potrebbero facilmente essere accusati di tautologia. Con la sua scrupolosa analisi, Hobsbawm ci fa comprendere che non è possibile ridurre la «nazionalità» ad un’unica dimensione, che sia essa politica, culturale o di altro tipo oggettivo né esclusivamente a soli elementi di stampo soggettivo. In sintesi, sia le definizioni di tipo oggettivo che quelle di tipo soggettivo risultano essere forvianti. Per cercare di dare una definizione di nazione o per comprendere il suo senso è necessario che la nostra analisi Marco Spagnoli III F Pagina 3 cominci con un certo agnosticismo nei confronti del concetto di nazione e considerando, come prima ipotesi, la nazione come “un nucleo di popolazione sufficientemente ampio, i cui appartenenti si ritengano membri della stessa” 3. I fondamenti teorici, da cui parte l’analisi di Hobsbawm e sui quali si fondano i vari contenuti e la tesi portata avanti in questo mio breve scritto, possono essere riassunti nei seguenti punti: 1. L’approccio alla «questione nazionale» partirà «dal modo di concepire la “nazione” - cioè dal nazionalismo - che non dalla realtà che questa rappresenterebbe»4. 2. Il termine “nazionalismo” verrà usato secondo la definizione di Gellner, ossia come “un principio che tiene ben ferma, in primo luogo, la necessaria corrispondenza tra unità politica e nazionale”5. 3. La “nazione” sarà considerata né come un qualcosa di primario né come un qualcosa di immutabile, ma come un fenomeno storicamente determinato, appartenente ad un passato recente. 4. La “questione nazionale” deve essere studiata alla luce degli sviluppi politici, tecnologici e della trasformazione sociale, dal momento che, richiamando il principio di mutabilità della nazione, le nazioni non esistono 3 Eric J. Hobsbawm, “Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà”, Torino 2002, Einaudi editore, pag. 10 4 Eric J. Hobsbawm, “Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà”, Torino 2002, Einaudi editore, pag. 11 E. Gellner, “Nazioni e nazionalismo”, Roma 1985, Editori riuniti 5 Marco Spagnoli III F Pagina 4 solo in funzione di un particolare Stato territoriale, ma si collocano anche all’interno di un particolare livello di sviluppo sul piano economico e tecnologico. 5. Il fenomeno della nazione deve essere studiato sia dall’alto che dal basso, dal momento che spesso le ideologie ufficiali degli Stati non sono effettivamente indicative “di ciò che passa per la testa dei cittadini”. In ultima analisi, l’identità nazionale è espressa in modo diverso da coloro che appartengono a ceti o a classi diverse e il compito della storiografia è quello di indagare queste diverse e distinte prospettive di un medesimo fenomeno storico. La nazione: una novità dell’Età delle Rivoluzioni Il termine nazione contiene in sé un’accezione prettamente moderna. Come dimostra l’analisi lessicologica, portata avanti da Hobsbawm, è vero che termini come “nazione”, “lingua nazionale” e “patria” sono reperibili in scritti alquanto antichi, ma non presentano alcun nesso con il valore moderno, che, in ultima analisi, è anche quello genuino e autentico, del concetto di nazione. Nelle edizioni del Dizionario della Reale Accademia Spagnola antecedenti quella del 1884, ad esempio, sono presenti il termine “nación”, che sta ad indicare “l’insieme degli abitanti di una provincia, di un paese o di un regno”6, o i termini “patria” e “tierra”, indicanti “il luogo, la città o la terra dove si è nati”7. Nelle edizioni successive a quelle del 1884, nel Dizionario 6 Eric J. Hobsbawm, “Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà”, Torino 2002, Einaudi editore, pag. 19 7 Eric J. Hobsbawm, “Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà”, Torino 2002, Einaudi editore, pag. 20 Marco Spagnoli III F Pagina 5 della Reale Accademia Spagnola compare per la prima volta l’espressione “lengua nacional”, ossia “la lingua ufficiale e letteraria di un paese e quella generalmente parlata nello stesso, distinguendosi così dai dialetti e dalle lingue delle altre nazioni”8. inoltre viene riproposto il termine “nación” sotto una nuova definizione, ossia come “uno Stato o un’entità politica che riconoscono un centro superiore o comune di governo”9 e anche come “il territorio occupato da questo Stato, e i suoi singoli abitanti, considerato come un tutto unico”10. La nazione indica così un sinolo tra l’unità politica, rappresentata dallo Stato, l’unità territoriale, rappresentata dall’area geografica sulla quale si estende la sovranità dello Stato, e l’unità sociale, rappresentata dagli abitanti di tale regione e soggetti agli ordinamenti giuridici e legislativi dello Stato che vi esercita la propria sovranità. I nessi politici e socio-culturali, che vanno a definire la nazione, nella sua accezione moderna, distaccandosi da una terminologia romanza antica e antiquata, che si rifà alla desueta “natio” di origine latina, trovano una loro validità, se consultiamo un’edizione qualsiasi del XIX secolo del dizionario olandese, in cui la nazione indica il popolo che appartiene ad uno Stato anche se non parla la stessa lingua, o il New English Dicionary, che già nel 1908 distingueva le due accezioni del termine nazione, affermando che l’antico significato del termine si riferisce prevalentemente all’unità etnica, mentre quello moderno pone l’accento sul concetto di “unità politica e di indipendenza”. Per comprendere lo sviluppo che il concetto di 8 Eric J. Hobsbawm, “Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà”, Torino 2002, Einaudi editore, pag. 19 9 Eric J. Hobsbawm, “Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà”, Torino 2002, Einaudi editore, pag. 19 10 Eric J. Hobsbawm, “Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà”, Torino 2002, Einaudi editore, pag. 19 Marco Spagnoli III F Pagina 6 nazione ha avuto per approdare alla sua accezione più moderna, è necessario quanto utile considerare come termine a quo del nostro studio l’Età delle Rivoluzioni; è, difatti, durante la Rivoluzione Francese11 e la Rivoluzione Americana che i concetti di “popolo” e “stato” si compenetrano, definendo la nazione come “una e indivisibile”, come il corpo di cittadini la cui sovranità collettiva costituiva quello Stato, che ne era espressione politica. Si istituisce così l’equazione nazione=Stato=popolo, che implica i concetti di sovranità popolare e di autodeterminazione popolare, i quali confluiscono nel principio di nazionalità, un principio che non sarà riconosciuto dal Congresso di Vienna e quindi non facente parte dei fondamenti giuridici della politica europea concertata. Tuttavia la nazione , sebbene non fosse giuridicamente riconosciuta come principio politico, come già affermava Ernest Renan, si avviava ad essere la struttura di lunga durata che avrebbe caratterizzato l’epoca ottocentesca e quella che si sarebbe posta in una linea di continuità storica con essa. E così il voto delle nazioni sarebbe divenuto l’ unico criterio di legittimazione politica degli Stato. Ciò nonostante, il pensiero liberale ottocentesco, che avversava i vari nazionalismi e principi di autodeterminazione territoriali ad essi connessi, comprese l’importanza che i neonati Stati-nazione avrebbero assunto nel corso della storia, soprattutto da un punto di vista economico-commerciale. 11 Durante il periodo degli eventi rivoluzionari della Francia della fine del XIX secolo, il requisito per esser riconosciuto come cittadino francese era di matrice linguistica. Tuttavia per esser francese non si doveva esser madrelingua francese, ma bisognava dimostrare la propria disposizione d’animo all’acquisizione della lingua francese. Ciò sottolinea da un lato il carattere democratico della Rivoluzione del 1789, da un altro lato la volontà dei francesi di trovare argomenti a favore dell’integrazione degli Ebrei nella nazione francese, distinguendosi dal nazionalismo antisemita tedesco, che si rifaceva al mito del Volk. Perciò il caso Dreyfus suscitò in Francia un grande scalpore, dal momento che si videro minacciati l’essenza stessa della Rivoluzione Francese e la definizione di nazione francese. Marco Spagnoli III F Pagina 7 L’economia mondiale di stampo capitalistico dell’ ‘800 si basò, come avevano previsto economisti quali Malthus e Adam Smith sulle ricchezze delle nazioni. Data la nuova valenza socio-economica della nazione, economisti, che facevano capo al tedesco Friedrich List, contribuirono a formulare una definizione del termine nazione, che fosse capace di evidenziarne i nuovi tratti. In particolar modo, List affermò: “[…] una popolazione numerosa e un territorio di una certa qual estensione dotati di svariate risorse nazionali costituiscono dei requisiti essenziali della normale nazionalità(…). Una nazione caratterizzata da una popolazione e da un territorio ridotti, specialmente se parla una propria lingua, potrà solo avere una letteratura mutila e delle istituzioni altrettanto carenti per promuovere le arti e le scienze. Uno Stato troppo piccolo non potrà mai perfezionare pienamente, nell’ambito del suo territorio, le diverse branche produttive”.12 In tale modo, il fondamento dell’economia mondiale era rappresentato dall’economia delle nazioni, dove per nazione si intendeva quello Statonazione, che presentasse una consistenza territoriale e non necessariamente una unità linguistico-culturale. Tale “principio della taglia minima” trova un suo riscontro nel progetto mazziniano di suddividere l’Europa in dodici grandi Stati, un principio che verrà messo da parte nei trattati di Versailles della Prima Guerra Mondiale, in occasione dei quali si affermò quella mentalità miltoniana, per la quale a valere doveva essere il “principio di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli”, grazie al quale le nazioni europee divennero, 12 Eric J. Hobsbawm, “Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà”, Torino 2002, Einaudi editore, pag. 36 Marco Spagnoli III F Pagina 8 dopo il conflitto del 1914-1918, ben ventisette13 (considerando anche l’Irish Free State, sorto poco dopo). Il protonazionalismo popolare Prima della formazione storica delle nazioni, erano diffusi vaghi sentimenti di patriottismo nei popoli, che nel loro complesso costituiscono i germi degli attuali nazionalismi. Tuttavia, tali sentimenti facevano identificare i popoli in collettività umane diverse o semplicemente più ristrette da quelle delle attuali nazioni moderne, sia per motivazioni politiche che per motivazioni culturali, dal momento che i vari gruppi umani, ancora non raggruppati nelle moderne nazioni, presentavano grandi dislivelli nel modo di concepire lo Stato ma anche enormi differenze lessicali e folkloristiche. Quali sono, precisamente, gli elementi che costituiscono questo protonazionalismo popolare? Ma soprattutto, quale nesso si instaura tra questi sentimenti prenazionalisti e la nascita delle moderne nazioni? In ultima analisi, è possibile affermare che il nazionalismo e il moderno concetto di nazione si fondano sulla base di legami protonazionali? Per comprendere la natura dei protonazionalismi popolari, bisogna, innanzitutto, indagare quei sentimenti che animavano i popoli e, mediante un’attenta analisi, è possibile giungere alla conclusione che tali sentimenti non 13 In occasione dei Trattati di Versailles, con i quali le potenze vincitrici del primo conflitto mondiale stabilirono il nuovo assetto geopolitico mondiale e, in particolar modo, europeo, la cartina dell’Europea fu ridisegnata, tenendo presenti i suddetti principi di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli, diversamente dalla logica con cui si ridisegnò la cartina dell’Europa, in occasione del Congresso di Vienna, quando ad essere tenuti in considerazioni dalle potenze europee furono i principi dell’equilibrio e del legittimismo dinastico territoriale. Marco Spagnoli III F Pagina 9 coincidevano affatto con i grandi temi letterari e mitologici delle nazioni: “Ciò che Herder pensava del Volk non serve a provare che cosa ne pensassero i contadini della Vestfalia”. 14 Né è possibile affermare che i popoli si definiscono protonazionalisticamente sulla scorta di elementi oggettivi più semplici, come la lingua, l’etnia e la religione. La loro definizione protonazionalistica avviene sulla base di semplici elementi, quali quelli delle icone religiose o di immagini tribali di riconoscimento popolare. Per quanto concerne l’impossibilità, per l’elemento linguistico, di essere il pilastro portante del sentimento nazionale di un popolo, è tanto necessario quanto utile, ai fini della comprensione di tale concetto, riportare un periodo dello storico inglese Hobsbawm: “Le lingue nazionali sono pertanto, e quasi sempre, delle costituzioni piuttosto artificiali; talvolta, poi, come nel caso dell’ebraico moderno, si tratta praticamente di un’invenzione. Sono, cioè, l’esatto contrario di quanto pretende la mitologia nazionalistica, che ne fa degli elementi fondamentali e primari della cultura nazionale e delle matrici del pensiero nazionale. Si tratta, invece, in generale, del tentativo di escogitare un idioma standardizzato traendolo dalla molteplicità degli idiomi parlati, che vengono pertanto degradati a dialetti; e il problema fondamentale di tale opera di costruzione è, di solito, la scelta del dialetto che deve fare da base a questa lingua standardizzata e omogeneizzata”.15 14 Eric J. Hobsbawm, “Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà”, Torino 2002, Einaudi editore, pag. 57 15 Eric J. Hobsbawm, “Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà”, Torino 2002, Einaudi editore, pag. 63 Marco Spagnoli III F Pagina 10 Come afferma lo storico inglese Hobsbawm, elementi come la lingua difficilmente riescono a cementificare naturalmente e in maniera storicamente spontanea singoli individui, riuscendo nella costituzione del nucleo nazionale. Il protonazionalismo può essere considerato una base, sulla quale la politica degli Stati ha potuto lavorare, con il fine di creare nazioni. La lingua nazionale risulta così essere prodotto di un lavoro artificiale, portato a termine dagli Stati, così come la cultura nazionale rientra in un programma politico, che incanala i popoli ad identificarsi negli Stati, a cui appartengono: “Tuttavia il collegamento di un popolo con una cultura più vasta, specie se si tratta di cultura dotata di opere scritte, cosa che avviene spesso per l’intermediario della conversione a una qualche fede religiosa di estensione mondiale e, consente ai gruppi etnici di acquisire un patrimonio e una posizione che, in seguito, può aiutarli a trasformarsi in nazione e a strutturarli in quanto tali ”. 16 In ultima analisi, è possibile comprendere che il protonazionalismo da solo è chiaramente insufficiente a mettere insieme nazionalità e nazioni, anche se facilitò il compito del nazionalismo.17 16 Eric J. Hobsbawm, “Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà”, Torino 2002, Einaudi editore, pag. 80 17 L’esempio hobsbawmiano, che risulta essere propedeutico alla comprensione del compito del protonazionalismo e dei suoi risultati, è quello del sentimento nazionalista greco, i cui germi primordiali sono individuabili in quella mentalità tipica dell’antica Grecia, che definiva la grecità, sulla base della dicotomia greco-barbaro. Marco Spagnoli III F Pagina 11 Lo sviluppo dei nazionalismi: da Bismarck alle due guerre mondiali, fino alla fine del XX secolo Se nell’Europa di fine Ottocento la nazione, come si è potuto sinora constatare, era intesa come un insieme di valori politici e culturali, al termine del XIX secolo e per tutto il XX secolo gli ideali nazionali vanno profondamente modificandosi, fino ad assumere caratteristiche e contenuti del tutto nuovi. Tra il 1815 e il 1870 il nazionalismo e gli ideali ad esso collegati risultavano essere le fondamenta, sulle quali si erano potuti sviluppare tutti quei movimenti di liberazione, che combattevano contro l’ordine costituito. In particolar modo il nazionalismo, in virtù dei suoi scopi in età risorgimentale, si era collegato all’idea di sovranità popolare e si era alleato con il pensiero liberalista e con la corrente democratica. Con la politica bismarckiana, realizzata “col ferro e col sangue”, per l’unificazione della nazione tedesca, con l’imperialismo coloniale, che legava la grandezza nazionale alle guerre di conquista a danno di altri popoli ritenuti inferiori, e con la nascita e il continuo e costante sviluppo dei movimenti socialisti, ispiratori e portatori di ideali internazionalisti e pacifisti, i valori legati al nazionalismo traslocarono dalle case della sinistra, per stabilirsi presso i movimenti della destra della politica europea. In tal modo, la battaglia per i valori nazionali si tramutò spesso in uno strumento politico, di cui la destra si servì per la sua lotta contro i movimenti socialisti e per la difesa dell’ordine sociale esistente. Cambiano, di conseguenze, i nuovi riferimenti teorici degli ideali nazionalisti, che, svincolandosi da presupposti contenutistici illuministici e democratici, si ricollegavano a matrici romantiche e tradizionaliste, appropriandosi di quelle teorie razziste, che volevano distinguere le “razze superiori” dalle “razze inferiori”. Tali teorie razziste, che avevano il francese Arthur de Gobineau, con la sua opera “Saggio Marco Spagnoli III F Pagina 12 sull’ineguaglianza delle razze umane”, come loro precursore, si fondavano su argomentazioni pseudoscientifiche di origine positivista, ma in realtà si fondavano su ragionamenti e contenuti xenofobi, grazie alla cui diffusione, avvenuta mediante gli strumenti tipici della società di massa, come i comizi, la stampa popolare, le manifestazioni di piazza, il nuovo nazionalismo riuscì a riscuotere un enorme successo soprattutto tra le classi meno colte. Il nuovo nazionalismo, che non si diffuse in Gran Bretagna, dove le tendenze nazionalistiche non risultavano essere appartenenti ad una determinata ala politica, dal momento che il sentimento nazionalista si esprimeva in quella politica imperialista, che godeva di un diffuso consenso popolare, attecchì, diversamente, in Francia, in Germania e nella regione dell’Europa orientale. In particolar modo, in Francia il nuovo sentimento nazionalista trovò il proprio terreno fertile nelle fazioni bonapartista, cattolico-legettimista e rivoluzionariogiacobina, ossia in quei movimenti politici che erano tenuti uniti dalla polemica contro la classe dirigente liberale. Il nazionalismo francese, che ebbe in scrittori come Maurice Barrès e Charles Maurras i suoi maggiori esponenti, presentava evidenti tratti di xenofobia, dal momento che la polemica nazionalista antiliberale era rivolta contro coloro che possono essere definiti come i “nemici interni”, ossia i protestanti, gli immigrati e soprattutto gli ebrei. Così come in Francia, anche in Germania e in Russia i nazionalismi presentarono una forte carica xenofoba e, in modo particolare, antisemita 18. Ad alimentare e a propagandare argomenti razzisti erano perlopiù i movimenti 18 L’antisemitismo russo, il cui scopo era quello di epurare la razza degli slavi da eventuali contaminazioni, presentava una particolare pratica barbarica, molto diffusa nella Russia degli inizi del ‘900, il pogrom, che sembra rievocare la greca. In particolare, il pogrom consisteva in periodiche ed impunite violenze, accompagnate da saccheggi e devastazioni, ai danni degli ebrei residenti in terra russa. Marco Spagnoli III F Pagina 13 pangermanisti, in Germania, e panslavisti, in Russia. In modo particolare, durante la prima metà del XX secolo, il carattere razzista e xenofobo dei nazionalismi fu particolarmente alimentato dai regimi totalitari e dittatoriali (si pensi alla Germania hitleriana o alla Russia stalinista), mediante la propaganda politica dei regimi, volti all’indottrinamento della società, e il ricorso a pratiche eugenetiche. Conclusione. Con la disgregazione dei territori dell’ URSS e dell’ExJugoslavia, agli inizi degli anni ’90 del Novecento, il concetto di nazione e i valori nazionalistici, come afferma lo storico inglese Eric J. Hobsbawm, nella sua opera “Nazioni e nazionalismi”, sembrano essere entrati in una fase di crisi, dal momento che forze politico-sociali, tendenti alla disgregazione degli Stati nazionali, hanno prevalso su una mentalità di unità nazionale. Per Hobsbawm la crisi dei valori nazionalisti è tale, al punto da far esprimere allo storico inglese il desiderio che la hegeliana nottola di Minerva, che giunge sul far della sera, raggiunga presto nazioni e nazionalismi. Bibliografia Eric J. Hobsbawm, “Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà”, Torino 2002, Einaudi editore Pierangelo Schiera, “Lo Stato moderno. Origini e degenerazioni”, Bologna 2004, CLUEB Alberto Mario Banti, “L’onore della nazione. Identità sessuali e violenza nel nazionalismo europeo dal XVIII secolo alla Grande Guerra”, Torino 2005, Einaudi editore A. Giardina, G. Sabatucci, V. Vidotto, “Nuovi profili storici”, voll. 2-3, RomaBari 2007 ,Editori Laterza Cioffi, Gallo, Luppi, Vigorelli, Zanette, “Il testo filosofico”, vol. 3/1, Milano 2008, Bruno Mondadori editore Marco Spagnoli III F Pagina 14