FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE E
DELL’EDUCAZIONE
TESI DI LAUREA
ADOLESCENTI NELLA SOCIETA’ DELLE DIPENDENZE
L’esperienza e il modello delle Comunità Terapeutiche
LAUREANDO
Pasquale Biagio Cicirelli
RELATORE
Prof. ssa Rita Minello
ANNO ACCADEMICO 2015-2016
1 2 A mio padre e
A mia madre
3 4 INDICE
Introduzione
pag. 7
Capitolo1.
Il ruolo delle Comunità Terapeutiche in una società delle dipendenze
1.1 Premessa
pag. 9
1.2 Storia di un cambiamento nel contesto sociale e politico
1.3 Il cambiamento interno alle Comunità Terapeutiche
pag. 13
pag.26
Capitolo 2.
Adolescenti in Comunità Terapeutica: caratteristiche dell’accoglienza, dell’ascolto e della
parola
pag.43
Capitolo 3.
Storia di un radicamento efficace sul territorio
3.1 L’Associazione Dianova Onlus
pag. 59
3.2 Il Gruppo Appartamento per minori “La Villa”
pag. 66
3.3 Altre caratteristiche
pag. 95
3.4 Il Servizio diurno “La Villa”
pag. 102
Conclusione
pag. 107
Bibliografia e Sitografia
pag. 109
5 6 INTRODUZIONE
L’obiettivo di questo studio è quello di confermare - attraverso l’analisi della storia
del ruolo delle Comunità Terapeutiche in Italia, e attraverso una riflessione sul lavoro che
viene tutt’ora svolto nelle tante CT del nostro Paese, e la presentazione di una
testimonianza concreta di una realtà radicata con efficacia sul territorio nazionale – il
modello di intervento peculiare delle Comunità Terapeutiche come strumento ancora
valido ed efficace. Quindi attraverso una analisi storica del mutamento e dell’adattamento
delle Comunità Terapeutiche nel corso degli ultimi anni, e con una serie di interrogativi
sulla trasformazione dei sistemi di welfare, si vuole stimolare una riflessione sul nuovo
ruolo sociale delle CT. Il metodo terapeutico delle Comunità - maggiormente incentrato sui
valori dell’ascolto, dell’accoglienza, della parola, e della prevenzione, in un servizio offerto
per il recupero di tossicodipendenti, e di supporto per minori e adolescenti - ha bisogno di
istituire e individuare nuove strategie e nuovi e più funzionali strumenti, utili al
contenimento di quella che ormai è definita la “società delle dipendenze”.
Ci siamo così posti diverse questioni (alcune di esse affrontate nel WFTC Genoa
Institute 2010): quali sono i mutamenti intervenuti nel fenomeno della dipendenza dalla
nascita delle prime CT ad oggi, quali sono le modifiche che le CT hanno adottato nel
tempo, cosa si è mostrato significativo per permettere a tale modello di restare efficace nel
tempo, e infine come cambia il lavoro nelle CT e il loro ruolo in un contesto di rete.
È palese ormai quanto sia fondamentale per una sana formazione dei giovani
adolescenti e ragazzi di questo Paese, che ad affiancare la famiglia e la scuola nel ruolo
formativo, ci sia una rete sempre più collaborativa fatta da educatori, psicologi, sociologi,
operatori del terzo settore, che abbia come concetto fondamentale la convinzione che il
minore è questione sociale, e la sua tutela, educazione, crescita e formazione, è interesse
di tutti. Con questo testo, infine, attraverso la presentazione di una storica realtà
terapeutica Italiana e internazionale (quella dell’Associazione Dianova Onlus, con cui
collaboro da dieci anni) che da 30 anni opera nel settore minorile e delle dipendenze, ho
voluto presentare un valido esempio del modello comunitario, quello del Gruppo
Appartamento per minori “La Villa” sita in Palombara Sabina (RM).
Roma, dicembre 2015
Pasquale Biagio Cicirelli
7 8 CAPITOLO 1
IL RUOLO DELLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE IN UNA SOCIETA’ DELLE
DIPENDENZE
1.1 PREMESSA
Qual’é stata l’evoluzione del contesto in cui si collocano le Comunità Terapeutiche,
quali le modificazioni che ha conosciuto il fenomeno della dipendenza dalla fondazione
delle prime CT ad oggi, quali gli elementi conoscitivi su cui si basano le politiche pubbliche
in materia e quali i nuovi contesti di rete in cui operano le Comunità Terapeutiche?
Quali sono stati i cambiamenti interni alle CT verificatisi in risposta ai mutamenti del
contesto e in termini di evoluzione autonoma, quale la formazione degli operatori?
A queste e ad altre domande cercheremo di rispondere in questo capitolo, riflettendo in
particolar modo sul ruolo storico delle Comunità Terapeutiche (CT) nel quadro delle
trasformazioni delle politiche pubbliche del welfare, in cui il nostro Paese è stato un punto
di riferimento importante, sia nel campo dei trattamenti delle dipendenze, che della
psichiatria. Oggi è quanto mai fondamentale però ricostruire un sistema di welfare che sia
all’altezza dei tempi attuali, magari partendo proprio dalla Convention della World
Federation of Therapeutic Communities1 che si è tenuta nell’ottobre 2010. In questi
1
Il WFTC Genoa Institute 2010:
La World Federation of Therapeutic Communities ha scelto nel 2010 Genova come città per ospitare un
incontro internazionale sul tema del futuro delle Comunità Terapeutiche nel mondo che cambia, per
stimolare le CT a cercare nuovi modelli di intervento. Per cui la WFTC (in rappresentanza di 42 Nazioni)
insieme al Centro di Solidarietà di Genova Bianca Costa Bozzo ONLUS, in collaborazione con il
Dipartimento Nazionale Politiche Antidroga, ha organizzato dal 14 al 18 ottobre 2010 il Convegno “The
future of TC in the Changing World”. Gli interrogativi a cui questo convegno si proponeva di dare risposta
erano tre: 1) il cambiamento dell’ambiente esterno e la conseguente ripercussione sulla Comunità
Terapeutica; 2) i sistemi di welfare con cui si confrontano le CT e che possono avere ripercussioni
sull’intervento in Comunità; 3) i cambiamenti interni alla CT: cosa è cambiato, cosa è stato aggiunto, punti di
criticità e forza. Il lavoro svolto durante l’Institute è servito a capire cosa è cambiato e quali sono le sfide che
dovranno affrontare le CT . i risultati, sono stati sintetizzati nella “Dichiarazione di Genova”.
La Dichiarazione di Genova: l’Institute (supportato dal Dipartimento di Stato USA, ONU, Provincia, Regione,
Comune di Genova, Banca Carige, Istituto Farmaceutico Angelini, ecc.) che ha riunito 200 persone
provenienti da 52 Paesi, responsabili di Comunità Terapeutiche, ha sottolineato una serie di cambiamenti; il
9 decenni le CT hanno rappresentato una apparente controtendenza alle politiche
sociosanitarie e socio assistenziali moderne, basate sul principio della community care.
Così se le CT efficaci sono quelle che troncano le relazioni (invischianti), rilanciando
invece rapporti autentici, umani, mai autoreferenziali, il principio di relazionalità che ne
deriva rimane centrale nelle esperienze di auto-mutuo aiuto, restando centrale, all’interno
di queste esperienze di recupero, l’incontestabile valore umano. Recuperarsi, ri-orientare
la propria vita, avviare quel processo di trasformazione che condurrà poi al
“reinserimento”, può voler dire diventare validi “operatori sociali”, esperti capaci di
impegnarsi in altri progetti di welfare territoriali, dove l’esperienza di essere andati a fondo
della propria esistenza e della propria vita farà la differenza (Fabio Folgheraiter, 2012).
Il modello di welfare che aveva accompagnato la crescita del nostro Paese negli
anni passati, è risultato essere insostenibile, sia politicamente che finanziariamente. Le
premesse (crescita economica continua, solidarietà tra generazioni, il lavoro a tempo
indeterminato) sono tutte crollate nel corso degli anni in Italia, mentre invece in altri Paesi
si fanno sempre più forti i tassi di crescita e la conseguente rendita. Semplificando,
possiamo dire che il reddito prodotto in Italia si può avvalere sempre meno di fattori di
rendita venutisi a creare nel corso della storia, e che dipende sempre di più dalla
numero delle organizzazioni coinvolte è aumentato, le CT in alcuni Paesi sono intese come “l’ultima
spiaggia” per quanti non sono riusciti ad utilizzare efficacemente altri servizi, e anche il contesto normativo è
cambiato, le CT hanno imparato a lavorare con utenti multiproblematici, la molteplicità dei problemi ha
richiesto una impostazione multimodale degli interventi terapeutici, il contesto è cambiato e con esso sono
nate nuove forme di dipendenza, infine le evidenze scientifiche hanno mostrato la validità del modello CT. I
cambiamenti che sono intervenuti, hanno generato delle sfide, tra cui: continuare a rafforzare il lavoro di rete
e trovare nuove relazioni che migliorino la qualità e l’efficacia degli interventi; i sistemi di finanziamento e i
servizi delle CT devono tener presente la complessità del percorso che i tossicodipendenti devono fare per il
raggiungimento di una qualità di vita migliore, le Comunità devono essere presenti nello sviluppo dei quadri
normativi per fare in modo che la normativa sviluppata rafforzi e valorizzi l’efficacia del lavoro basato sulle
conoscenze delle Comunità sul campo; le CT devono saper meglio impostare e comunicare il loro lavoro ai
committenti e ai finanziatori dei servizi in maniera tale che i trattamenti offerti siano efficaci e coerenti e
rispondano con gli effetti attesi, le Comunità Terapeutiche hanno il bisogno di rafforzare il loro sistema di
formazione professionale e gli apprendimenti informali in modo che le competenze e le pratiche siano
costantemente aggiornate. Le CT hanno mostrato di essere efficaci nel loro servizio, producendo un valore
aggiunto a favore delle famiglie, dei minori, della salute, del recupero dei loro utenti. Le CT hanno bisogno
della guida e del coordinamento della WFTC per rafforzare il loro lavoro e necessitano di politiche
organizzative e finanziarie che riconoscano il modello delle Comunità Terapeutiche essenziale ed efficace in
un sistema di trattamento integrato, esteso alla prevenzione; il trattamento e l’integrazione sociale sono
quindi da sostenere e finanziare adeguatamente.
10 competitività delle singole economie, alla quale infine è legata la quantità di spesa sociale
e di “costo sociale”. Si sono quindi ridotti i margini per la spesa sociale, a causa della
minore competitività delle nostre economie, a cui si aggiungono fattori interni come
l’aumento della durata media della vita, e la riduzione della quota di giovani sul totale della
popolazione, nonché la sempre minore disponibilità economica per il welfare, anche a
causa del crollo del “lavoro dipendente tradizionale”. Nel frattempo, anche il welfare è
mutato, e sono aumentate le fasce di popolazione che chiedono sostegno.
Anche in Italia si sta prendendo coscienza che il welfare che avevamo conosciuto è
insostenibile. Una tendenza positiva per fortuna è quella dell’affermarsi del principio di
sussidiarietà (anche in ambito europeo), che ha ridimensionato il ruolo dei servizi erogati,
e allargato l’area coperta dal terzo settore. Ovviamente, il minore costo che presentano i
servizi autoprodotti (meno costosi di quelli pubblici), hanno dato esiti positivi. Altra
tendenza positiva è la crescente professionalizzazione degli operatori e maggiore
attenzione alla qualità delle strutture e dei servizi resi. La professionalizzazione è andata
tuttavia di pari passo con la segmentazione dei servizi (e degli utenti), ponendo quindi il
problema sociale della “presa in carico” della continuità assistenziale degli utenti
multiproblematici. Il processo di professionalizzazione ha stimolato anche una
medicalizzazione degli interventi, spesso con una complicità da parte dei pazienti. Per cui
spesso ci si trova a trattare problemi non medici come problemi medici (Maturo, 2007,
p.98), per cui la malattia rischia di diventare un’ottima “soluzione biografica”, una risposta
individuale a disagi sociali, che divengono così problemi sanitari. Assai istruttiva a questo
proposito è la vicenda degli educatori professionali, la cui assegnazione alla classe delle
lauree sanitarie ha creato di fatto una figura autonoma rispetto a quella preparata dai Corsi
per educatore professionale delle Facoltà di Scienze della Formazione. Di contro ci sono
le forme di disagio sociale, affrontabili solo attraverso l’integrazione di figure professionali
sociali, oltre che sanitarie, come nel caso della tossicodipendenza. Una riflessione a tal
proposito è stata fornita dal seminario intensivo tenutosi a Genova nell’ottobre del 2010 sul
tema dell’evoluzione delle CT. L’Institute si è articolato su tre temi: quali sono i mutamenti
intervenuti nel fenomeno della dipendenza dalla nascita delle prime CT ad oggi, quali sono
le modifiche che le CT hanno adottato nel tempo, cosa si è mostrato significativo per
permettere a tale modello di restare efficace nel tempo, e infine come cambia il lavoro
nelle CT e il loro ruolo in un contesto di rete. Un’attenzione particolare va data poi
all’unitarietà del problema e del metodo delle CT, che si declina però con modalità e
sensibilità diverse nei diversi Paesi stranieri, anche sulla base delle diverse configurazioni
11 che presentano i servizi welfare; per cui l’esperienza delle CT rispetto ad un welfare in
fase di notevole mutamento, diviene ricca e mutevole, e dipende da variabili sempre più
variegate, in cui l’integrazione sociosanitaria diviene fondamentale. L’integrazione di
saperi specialistici plurimi quindi porta alla necessità di ritrovare le radici della
sussidiarietà, per cui è fondamentale anche ridisegnare un nuovo quadro di riferimento
entro il quale vanno ridefiniti i ruoli delle CT, delle comunità locali, e del welfare, in cui le
CT che si aprono al territorio sono fautrici di un processo di reciprocità fondamentale e
possono divenire pionieri di nuove azioni volte a migliorare la qualità dei servizi offerti agli
utenti a cui si rivolgono, con una maggiore attenzione ai percorsi e all’esito finale del
trattamento offerto da tutti i servizi cooperanti (si inizia a tal proposito a parlare di care
manager, e di approcci con soluzione di continuità tra operatori pubblici e del privato
sociale, per poter mantenere una adeguata presa in carico dell’utenza).
Va considerata poi la nota di contesto per cui il fenomeno delle dipendenze sta
riducendo negli ultimi anni gli aspetti clinici e patologici, e quindi di allarme sociale, per cui
probabilmente nel prossimo futuro sarà richiesto alle CT prese in carico sempre più
economiche e con tempi sempre più ristretti a livello di permanenza residenziale,
rendendo precari gli effetti terapeutici delle CT, o stimolarle a formulare percorsi più
intensivi e brevi, abbinati a fasi di reinserimento sociale più prolungate, favorendo in
questa ultima parte il coinvolgimento della rete amicale e familiare, in un’ottica di Comunità
allargata, utili in progetti a lungo periodo post-trattamento (Caplan, 1974), per cui le CT
divengono percorsi esperienziali di apprendimento. In un trattamento residenziale quindi,
non è importante soltanto gestire la fase acuta, ma anche consolidare i cambiamenti
comportamentali, attitudinali,affettivi, e quindi in questo caso la continuità metodologica e
relazionale diviene fondamentale per il percorso terapeutico in atto, nel quale la
partecipazione attiva degli utenti ospiti costituisce indicatore di civiltà nazionale (Moro,
2011).
Fondamentale inoltre è la capacità della Comunità di rinnovarsi costantemente e
adattarsi al mutare dei contesti, riflettendo sulle forme e i modelli organizzativi più adatti,
rinnovando ruoli e funzioni, ma mantenendo comunque la capacità risolutiva acquisita
attraverso la professionalizzazione, le competenze acquisite, e integrandosi con
l’indispensabile supporto del volontariato, dell’auto-aiuto (ricordiamo come le CT sono
partite da volontari ed ex utenti e si sono nel tempo arricchite di operatori professionisti), di
associazioni territoriali, reti informali, Piani di zona.
12 Il fenomeno del mutamento nelle forme della dipendenza, nel corso dei decenni è
stato notevole. Se in una prima fase (che corrisponde al periodo in cui nacquero le CT) il
consumo di droga (eroina) etichettava i consumatori, oggi la realtà è cambiata e possiamo
parlare di “società delle dipendenze”, a causa del moltiplicarsi delle sostanze e delle forme
di dipendenza (da gioco, sesso, lavoro, web, ecc.), e a causa della differenzazione dei
modelli di consumo e di dipendenze considerate sempre più “normali”. Le statistiche
mondiali parlano infatti di un 3% medio della popolazione che fa abuso di sostanze, una
quantità enorme di persone che utilizzano gli stupefacenti e gli psicofarmaci a scopo
ricreativo o socializzante, o per migliorare le prestazioni lavorative, sessuali, e che
diventano marker di successo. Al tempo stesso si moltiplicano i casi di “doppia diagnosi” e
di doppia patologia. Tale consumo diffuso, subdolo perché non crea allarme sociale,
favorisce la percezione individuale di “normalità” nell’uso della droga, come accade per
l’alcol o per le cosiddette droghe leggere (Barnao, 2011), e rende anche poco percepibile
la rilevanza penale di certi comportamenti (spaccio, ecc.), e la connotazione di
“dipendenza”. Le CT quindi, nate per fronteggiare dipendenze “generatrici di vero allarme
sociale”, in un vero e proprio “deserto” di servizi pubblici (quasi in alternativa ai serT),
vengono affiancate da CT private, mentre volontariato e terzo settore creano nuove
modalità di coesistenza e integrazione.
1.2 STORIA DI UN CAMBIAMENTO NEL CONTESTO SOCIALE E POLITICO
a. LA TOSSICODIPENDENZA, CENNI STORICI:
La tossicodipendenza nel corso degli anni ha acquisito indubbiamente diverse definizioni,
per alcuni è sinonimo di dipendenza da sostanze, per la American Society of Addiction
Medicine è “una malattia cronica del cervello, riguardante l’area motivazionale, i diversi tipi
di memoria, e i circuiti ad esse collegati. Le disfunzioni di questi circuiti comportano
manifestazioni biologiche, psicologiche, sociali e spirituali. Questo si manifesta attraverso
la ricerca continua di sostanze. La dipendenza è caratterizzata dalla mancanza di controllo
del comportamento, dal carving, dall’incapacità di astenersi per tempi prolungati e dalla
diminuzione delle capacità di riconoscere problemi significativi correlati al proprio
comportamento e alle relazioni interpersonali. Come altre malattie croniche, la dipendenza
comprende cicli di ricadute e tentativi di sobrietà. Senza un trattamento o un impegno in
attività di recupero, la dipendenza è progressiva e può portare a disabilità permanenti o a
13 morte prematura. La dipendenza può essere diagnosticata con la presenza di dipendenza
fisiologica, il subentrare della tolleranza e dei sintomi di astinenza”. Le dipendenze da
sostanze sono classificate dal DSM-IV, e una diagnosi medica di dipendenza richiede che
almeno tre dei criteri presenti nell’ICD-10 (InternationalStatistical Classification of
Diseases and Related Health Problems, il più importante sistema medico di classificazione
diagnostica) si manifestino nell’arco di un anno (per es.: desiderio di assunzione, sintomi
fisici di astinenza, uso continuo della sostanza, ecc.). Nella terminologia corrente
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, negli anni 1957-1963 si usava il termine
tossicodipendenza, che fu successivamente sostituito dai termini abuso e dipendenza.
Infine dal 1969 furono stilate 4 diverse classificazioni di uso: uso illecito, uso pericoloso,
uso disfunzionale, e uso dannoso.
Si tratta di un fenomeno complesso, che può coinvolgere aspetti interpersonali,
sociali, legali, medici, e che ha colpito l’intero immaginario sociale, a causa del suo
fenomeno di vaste dimensioni e con altissimi costi sociali dalla seconda metà del
Ventesimo secolo. Fino ad allora in Europa l’abuso di sostanze psicotrope apparteneva a
gruppi ristretti di persone (di classi sociali abbienti, o del demi-monde), mentre negli Stati
Uniti il fenomeno era relegato ai carcerati2, ai ghetti afroamericani e al giro dei locali under
2
Comunità Terapeutiche in Carcere: Il movimento delle Comunità terapeutiche negli Stati uniti ha attuato
numerosi progetti per cinquant’anni, tra le mura delle prigioni e carceri minorili, dimostrando l’efficacia della
integrazione dei processi correttivi con quelli terapeutici. Tuttavia, i numerosi tagli attuati dal governo
Californiano a questi programmi, hanno di fatto quasi interrotto queste opportunità di cambiamento per i
cittadini reclusi, e annullato di fatto la riduzione del recidiviamo che era in atto. E se si considera che gli Stati
Uniti hanno il maggior numero di carcerati al mondo, e che stanno aumentando i motivi per supportare
l’efficacia del programma delle CT nei confronti dell’abuso di droghe e alcol, riduzione del recidiviamo, si
nota come invece sta diminuendo il numero degli interventi terapeutici per i carcerati (la recessione, e la
questione di bilancio stanno di fatto ostacolando l’espansione delle terapie anti-droga nelle prigioni, e stanno
chiudendo gli annessi programmi di riabilitazione). La Prima Comunità Terapeutica, Synanon, istituita negli
Stati Uniti nel 1958, mirava a creare una CT nella prigione federale di Terminal Island, in Southern
California, ma a causa del mancato supporto delle istituzioni, il progetto fallì. Nel 1962 invece riuscì a
mettere in pratica una terapia contro la violenza per i carcerati del Penitenziario Statale del Nevada,
diventando di fatto la prima Comunità ad operare all’interno di una prigione. Negli anni Sessanta e Settanta
nacquero poi molte CT, ma tutte fallirono a causa degli scarsi supporti istituzionali, ad eccezione della Stay
N’Out, istituita dall’ex detenuto Ron Williams, e che riuscì a dimostrare l’effettivo successo dell’integrazione
del modello comunitario con i sistemi correzionali Wexler e Williams, 1986). Tra gli anni Ottanta e Novanta, il
governo federale attuò quindi due programmi finanziati di assistenza, il Progetto Correzionale e il Progetto
Recupero, e la metodologia della CT Stay N’Out divenne di fatto il programma scelto. Negli anni successivi
vennero attuati più di 50 programmi di Comunità Terapeutiche, coinvolgendo ben 21 Stati. Si diede poi
14 world. L’uso di foglie di coca tra gli Indios della fascia andina era necessario per
sopportare una vita di miseria e fatica, mentre gli episodi a cui spesso si fa riferimento
sono relativi alla cosiddetta “Guerra dell’oppio” tra Cina e Gran Bretagna, conflitti svoltisi
dal 1839 al 1842 e dal 1856 al 1860, che contrapponevano l’Impero Cinese al Regno
Unito, in dispute commerciali (di oppio) nell’India britannica.
Ma la diffusione su larga scala di sostanze psicotrope (cannabinoidi, allucinogeni) è
legata alla contestazione studentesca californiana degli anni Sessanta, e alla controcultura
di quel periodo: San Francisco diviene in quegli anni il centro di un movimento di
contestazione alla guerra in Vietnam (personaggi storici di quel periodo sono Jerry Rubin,
Abbie Hofman, i poeti della beat generation, Allen Ginsberg, e Timothy Leary che fu uno
dei maggiori divulgatori e teorici della psichedelica che droghe come l’LSD e la mescalina
potevano produrre). A quell’epoca, l’uso di sostanze era ricreativo e aggregante, e la
musica divenne il maggior strumento di marketing per questo tipo di cultura, diffondendo
spazio ad una ipotesi di istituire una post-terapia per i detenuti che avevano terminato i programmi
terapeutici in carcere, ipotesi che divenne un modello dall’efficacia comprovata. E negli anni successivi,
l’Ufficio Statunitense di Statistiche Giudiziarie creò il Programma RSAT (trattamento contro l’Abuso Locale di
Sostanze Stupefacenti) investendo in dieci anni un miliardo di dollari per programmi correzionali e modelli
Comunitari. Tuttavia i programmi di post-terapia non furono più finanziati e quindi fallirono. La California
Criminal Justice Iniziative istitì un programma di recupero alla Richard Donovan Fondo Correctional, vicino a
san Diego, in California, con 200 maschi detenuti di media sicurezza; gli esiti del programma convinsero i
membri della Legislatura di Stato della California che riproporre il programma a 10.000 persone avrebbe
potuto evitare allo Stato gli elevati costi di incarcerazione. Il programma della CT “Amity” era il modello
utilizzato, furono coinvolti 12.000 detenuti in 23 carceri, con programmi post-terapia finanziati e basati sulla
comunità, di cui poteva beneficiare il 50% dei detenuti che avevano svolto i programmi in prigione. Ma
nonostante gli esiti positivi, tali programmi dovettero affrontare non pochi problemi e criticità, come problemi
di organico, offerta, sviluppo e coordinamento di efficaci programmi basati sulla comunità, incapacità di
massimizzare i benefici, intensità, finanziamenti. Tuttavia il movimento delle CT ha dimostrato da oltre 40
anni in numerose prigioni, carceri, centri di detenzione per adolescenti, strutture per donne e ragazzi
precedentemente coinvolti in abuso di sostanze, l’efficacia del modello comunitario. Una riflessione va poi
fatta anche sull’importanza di costruire e creare luoghi di carcerazione e recupero che siano “buoni
contenitori” nei quali gli individui possano migliorare. Mentre molti detenuti quindi familiarizzano, nei “cattivi
contenitori”, con ruoli sempre più negativi e distruttivi, le CT sono “buoni contenitori” (Zimbardo, 1995).
Riferimenti Bibliografici:
Wexler H. K. E Williams R., The Stay’n Out therapeutic community: Prison treatment for substance
abusers, journal of Psychoactive Drugs, vol.18, n. 3, pp. 221-230.
Zimbardo P. G., The Psychology of Evil: A Situationist Perspective on Recruiting Good People to
Engage in Anti-social Acts, Research in Social Psychology, vol. 11, pp.125-133.
15 l’idea del piacere, della trasgressione, della libertà, tramite l’uso di sostanze. La
consapevolezza della correlazione tra malessere esistenziale e abuso di sostanze si
sviluppò successivamente con il decesso per droga di alcuni personaggi famosi (come
Jimi Hendrix) e con il ritorno dei ragazzi dal fronte vietnamita (tra le truppe Statunitensi in
Vietnam, l’uso di oppiacei era una vera piaga). L’aumento vertiginoso del fenomeno della
tossicodipendenza ha provocato negli anni momenti di forte allarme sociale, che però nel
corso dei decenni, ha lasciato ultimamente il posto ad una rassegnazione dilagante (“tanto
lo fanno tutti”).
Mentre nei Paesi del nord Europa il problema tossicodipendenza era percepito come tale
già negli anni Sessanta, in Italia si inizia a parlare di “emergenza droga” solo nel decennio
successivo. Anche in Italia c’era stata la contestazione del Sessantotto, e la nascita della
controcultura aveva sostenuto l’uso di sostanze come trasgressione alle regole e agli
schemi sociali del dopoguerra. Per cui ci fu un crescente numero di giovani che morivano
di overdose, che portò alla nascita di varie leggi per reprimere l’uso e il traffico di sostanze,
alla nascita di servizi per il trattamento delle dipendenze, alla nascita delle Comunità
(come San Patrignano, Comunità Incontro, ecc., che nascono a cavallo tra gli anni
Sessanta e Settanta). Le CT (il cui modello di riferimento erano le comunità statunitensi
come Synanon e Day Top, con forte componente spirituale e di leadership di tipo
carismatico) erano orientate all’astinenza, al rifiuto dei farmaci sostitutivi, e a trattamenti
residenziali a lungo termine. Le équipe erano eterogenee e spesso costituite da ex utenti.
Alla fine degli anni Settanta nascono in Italia i servizi pubblici nel campo delle dipendenze,
che prevedevano invece l’impiego di farmaci sostitutivi, operavano in un setting
ambulatoriale, con figure professionali come medici e psicologi.
Negli anni Ottanta il rapporto tra servizio pubblico e privato è stato spesso
conflittuale, a causa delle divergenze ideologiche. Ma l’evento della comparsa dell’HIV
(malattia che colpiva per lo più omosessuali e tossicodipendenti, con un’aspettativa di vita
dopo il contagio di 2-3 anni) scombussolò le priorità di tutti e obbligò i vari servizi ad
un’azione e a interventi congiunti. Questo evento evidenziò la necessità di collaborazione
tra i servizi, che nella seconda metà degli anni Ottanta videro un aumento notevole del
numero di interventi finalizzati alla riduzione del danno da uso di sostanze. In quel periodo
vi è una crescita della professionalità dei servizi, aumenta la capacità diagnostica
psichiatrica, nascono servizi specialistici per il trattamento di persone tossicodipendenti
affette da comorbilità psichiatriche, e il fenomeno rivela sempre di più la sua natura di
malattia cronica. La comparsa dell’AIDS cambia le abitudini del consumo di sostanze,
16 sempre meno per via endovenosa, e sempre più per ingestione e inalazione; sul mercato
fanno la loro comparsa quindi nuove droghe come l’ecstasy e le meta anfetamine, e nuove
dipendenze come il gioco compulsivo, e i servizi pubblici prendono il nome di NOT e SerT
prima, e SerD successivamente: cambia infatti la percezione del fenomeno, che non è più
legato soltanto alla dipendenza da sostanze, ma anche a nuove forme di dipendenza
come gioco compulsivo e sesso compulsivo. La dipendenza patologica si mostra quindi
sempre di più come sintomo di un disagio esistenziale, e la clinica ci mostra di
conseguenza come tale fenomeno multifattoriale necessita di approcci flessibili e integrati
(medico, psicologico, sociale, spirituale).
Con gli anni Ottanta e Novanta, si chiude la “Summer of Love” degli studenti, dei
letterati e degli artisti hippy, e si fa spazio alla stagione techno in cui i riti psichedelici
vengono sostituiti da quelli dello “sballo” collettivo dei tifosi allo stadio, in cui la cannabis
diventa la droga più diffusa (in Europa, e non solo tra i giovani). Dalla seconda metà degli
anni Ottanta dilaga poi il fenomeno del consumo di pillole di ecstasy e simili, in uno stile di
vita giovanile che ruota attorno al fine settimana, alla moda, alla musica di tendenza
(house e techno). La discoteca torna di moda, come luogo di aggregazione di massa, e
con essa gli afterhour e i rave, in cui il consumo di droghe sintetiche si fa più massiccio.
Etimologicamente, (dal greco: ek = fuori; statis = stato) con il suo valore di uscita da sé, il
termine ecstasy sta quindi a indicare la tensione verso la catarsi, l’estasi, la tensione verso
qualcosa che permette di uscire dallo stato normale e quotidiano, ricercato dai giovani
adolescenti nello spazio fisico-temporale più vicino a loro: di notte, con la musica
(Salvatore Raimo, 2012). Il nuovo millennio vede (soprattutto in Italia e Spagna) il dilagare
dell’uso della cocaina: essa si diffonde tra tutte le classi sociali, mentre in precedenza era
considerata la droga “da ricchi”.
L’uso di sostanze prestazionali (per migliorare la performance sessuale,
professionale, relazionale) è sempre più tollerato, all’interno di un sistema che percepisce
l’individuo come un “consumatore”, per cui l’uso di sostanze si lega ora alla prestazione, al
tempo libero, all’angoscia esistenziale, in un concetto di “miglioramento delle prestazioni e
non più di allargamento delle coscienze”. Oggi quindi la situazione presenta un fenomeno
frammentato: da una parte le periferie come Scampìa a Napoli, dall’altra il mondo delle
discoteche, accomunati dallo stesso “male di vivere”. Altro aspetto da non sottovalutare in
questa analisi, è la poliassunzione: si osserva l’assunzione di diverse sostanze che
rafforzano o diminuiscono l’effetto reciproco (cocaina e alcol, o cocaina ed eroina, ecc.), e
una sostanza in particolare che si sta diffondendo molto anche tra i giovani è l’alcol. La
17 dipendenza dall’alcol è la più diffusa nel mondo occidentale, e crea i maggiori danni
sociali. Il tossicodipendente attuale quindi è un poliassuntore e spesso tende a sostituire
una sostanza con un’altra. Per questo l’approccio terapeutico dovrà essere multifattoriale
e richiede approcci diversi e complessi, in un sistema di servizi integrati, in cui la ricerca e
l’analisi epidemiologica hanno un ruolo fondamentale. 3
3
Epidemiologia della droga: La ricerca e l’analisi epidemiologica a livello nazionale e internazionale nel
campo dell’uso delle droghe, delle relative conseguenze, interventi mirati, inizia con gli anni Sessanta e con
il consumo di sostanze psicoattive tra la popolazione giovanile. Le Nazioni Unite
e L’Organizzazione
Mondiale della Sanità, e in Europa il Gruppo Pompidou, hanno mostrato per primi una considerevole
attenzione al fenomeno. Ma lo studio sul consumo di sostanze, a causa della natura del fenomeno (illegale e
quindi difficile da verificare), non è semplice, anzi possiamo dire che è alquanto complesso. Le autorità si
sono concentrate maggiormente sulla proibizione della produzione e uso di droghe, e sugli effetti che esse
hanno sulla salute (AIDS) dei tossicodipendenti e sui conseguenti e possibili risvolti legali e penali. In Europa
l’epidemiologia della droga intesa come disciplina è stata influenzata dalla sociologia, dalla psicologia
sociale, dalla criminologia, si tratta quindi di una “creatura ibrida”. Tuttavia, i primi sviluppi si sono osservati
grazie al contributo del Gruppo Pompidou, creato in Francia negli anni Settanta, e che ha portato a diversi
risultati: la raccolta e l’analisi di dati di particolari città dal 1980 ad oggi, la creazione di un modello di raccolta
dati e analisi di indicatori multipli, un protocollo standard su indicatori, la
creazione di strumenti
standardizzati per sondaggi/raccolta dati nelle scuole, un manuale sulla metodologia di campionamento “a
palla di neve”, ecc.
La presa di coscienza delle dimensioni del fenomeno ha indotto nel 1989 i Paesi Europei a istituire un piano
d’azione antidroga basato sulla cooperazione dei Paesi membri e della Comunità Europea attraverso la
creazione dell’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze (OEDT) con sede a Lisbona,
creato nel 1993, con l’obiettivo di fornire informazioni obiettive e attendibili grazie all’uso di metodologie e
strumenti adeguati, di offrire sostegno alle autorità preposte allo sviluppo di politiche antidroga, e di piani di
intervento antidroga (ricordiamo il Trattato di Maastricht del 1993, il Trattato di Amsterdam del 1997).
Attraverso l’uso di molteplici indicatori (messi a punto dall’OEDT e adottati ufficialmente dagli Stati membri,
con il sostegno del Consiglio Europeo, e utilizzati nella maggior parte delle pubblicazioni dell’Osservatorio
Europeo come base scientifica, per valutare l’evoluzione del fenomeno droga) è quindi possibile ottenere
una fotografia dell’uso di sostanze stupefacenti in una determinata popolazione (D, Corti e L. Montanari,
2012). Nel 2010 L’ONU stima che al mondo tra il 3,5% e il 5,7% della popolazione generale in età tra i 15 e i
64 anni faccia uso di sostanze stupefacenti. Ci sarebbero quindi dai 150 ai 250 milioni di persone che
consumano droghe illegali, e molte di esse fa uso di più sostanze (poliassuntrici), e a quanto pare i tassi di
prevalenza sarebbero ben più elevati. La sostanza illecita più consumata pare sia la cannabis, che è entrata
nella quotidianità di migliaia di persone, fenomeno che sta facendo pensare ad una diversa
regolamentazione (la questione della regolamentazione della cannabis è quanto mai attuale, nonostante sia
comprovato il suo danno alla salute psichica dei consumatori, essendo tra le cause dell’insorgenza di
malattie come la schizofrenia, come dimostrato dallo studio dell’Università del New South Wales di Sydney
nel febbraio 2011 con una pubblicazione sulla prestigiosa rivista “Archives of General Psychiatry”). C’è poi
18 da sottolineare che se si rilevassero anche i soggetti con dipendenze senza abuso di droghe, e quindi
giocatori patologici, e sex-work-chat-internet-shopping-addicted, si arriverebbe alla conclusione che circa il
10% della popolazione mondiale ha disturbi legati alla dipendenza. Altro aspetto fondamentale riguarda
l’importanza della prevenzione, che rende sia in termini economici che relativi alla salute e al tempo e alle
energie investite, molto più che la cura e la repressione. Ma tutto lascia intendere che nel prossimo futuro
continuerà l’aumento del numero dei consumatori. E il fenomeno riguarda anche gli immigrati, che in Europa
ormai corrispondono al 10% della popolazione generale. Poi c’è la questione della produzione di sempre
nuove sostanze psicoattive, dette “smart drugs”, che non sono illegali, almeno fino a quando non sono
inserite nelle tabelle ministeriali, e che hanno un mercato specialmente tramite internet (per es. lo Spice e il
Mefedrone, con effetti socializzanti e usato a Londra fino al 2010). Ultimamente alcune ricerche hanno
evidenziato un forte calo dei consumatori (addirittura del 30%), forse a causa della crisi economica, o per
merito della prevenzione, o forse semplicemente a causa di una modificazione del mercato che non ha più
bisogno di droghe illegali grazie alla continua produzione di molecole di sintesi legali, a dimostrazione di una
continua trasformazione del fenomeno droga, che corrisponde ad una continua trasformazione delle realtà
sociali che richiedono all’individuo maggiori capacità di fronteggiare tali cambiamenti che se non posti in
essere, possono condurre a sofferenze psichiche pervasive che possono diventare l’anticamera dell’uso di
sostanze. Accade poi che l’impoverimento del mondo emotivo interno, la noia, l’adesione acritica ai modelli
offerti, portano il giovane a scegliere secondo “il gusto di tutti”, sottovalutando il rischio, in una incapacità di
gestire le frustrazioni, e in una onnipotenza narcisistica che vede il consumo di droghe come aiuto alla
socializzazione, alla performance, e come marker di successo, in cui le sostanze diventano una grande area
commerciale (sostitutivi degli integratori, e creatrici di legami sociali) a soddisfacimento di ragioni
economiche e di potere, costruendo veri e propri brand in cui le droghe sono una componente essenziale.
Oggi l’uso e il consumo sono associati ad altre forme di dipendenza, quali il gioco d’azzardo patologico
(GAP), i disturbi del comportamento alimentare, la dipendenza da videogiochi (secondo la teoria
dell’addiction vi è l’incoercibilità dell’impulso a mettere in atto il comportamento). Il fenomeno dell’uso di
droghe si presenta con: il policonsumo, uso eccessivo di alcol, eroina non più iniettata ma sniffata, scarsa
consapevolezza dei rischi, poca informazione, condotte violente associate, incidenti stradali e sul lavoro,
aumento di persone con “doppie diagnosi” e patologie correlate. Negli anni sono state date diverse
definizioni di dipendenza, abuso, addiction. A tal proposito, indichiamo come il DSM-V propone una
revisione che eliminerà le categorie di abuso di sostanze e dipendenza rimpiazzandole con una nuova
categoria di “addiction e disturbi correlati”. I cambiamenti negli stili di consumo di sostanze rappresentano
una minaccia sociale, per cui sarà indispensabile effettuare un’azione di contrasto capillare, continua,
scientifica e onesta, coinvolgendo le famiglie, la scuola, gli insegnanti, i genitori, che vanno aiutati in questo
compito di prevenzione e azione mirata. Occorre radicare nei territori l’impegno sinergico dei diversi attori
sociali, (educatori, servizi sociali e sanitari, ecc.), e puntare a creare comunità competenti: il rinnovamento
passa attraverso un processo educativo e culturale, e raccogliere questa sfida educativa è l’unica maniera
per fronteggiare e contrastare in maniera adeguata, un fenomeno in continuo mutamento (U. Nizzoli, 2012).
19 b. SOCIOLOGIA
DEI
NUOVI
SCENARI
DEL
CONSUMO
DI
SOSTANZE
PSICOATTIVE:
Il fenomeno diffuso del consumo di sostanze psicoattive, è stato oggetto di varie analisi
sociologiche che nel tempo hanno fornito diversi paradigmi interpretativi volti ad indagare
le pratiche di fruizione e l’eziologia del consumo. Se un tempo erano sinonimo di condotte
devianti ed espressione di malessere sociale, il fenomeno delle dipendenze è stato
successivamente letto in termini sociologici come il frutto di un processo di costruzione
sociale e come pratica sub culturale (L. Lombi, 2011). Oggi quindi si sono diffusi approcci
teorici che analizzano il fenomeno secondo un criterio di normalizzazione. Ma
ripercorrendo sinteticamente i principali approcci sociologici in materia, è possibile
individuare filoni di studio che hanno interpretato in maniera differente le motivazioni d’uso
di droghe, le rappresentazioni sociali del fenomeno. Un primo paradigma è quello
Istituzionale (Guarino, 2011), secondo cui l’uso di sostanze psicotrope è espressione di
una forma di devianza, e di una patologia sociale che mina i principi di solidarietà
comunitaria. Gli autori che hanno sostenuto questa posizione ritengono il consumo di
sostanze (tra cui l’alcol) la conseguenza della crisi dei valori e delle norme sociali
dell’epoca moderna (a tal proposito si consideri lo studio Thomas e Znaniechky sulla
comunità polacca negli Stati Uniti del 1968, o lo studio di Park del 1967 della scuola di
Chicago, o di Parsons nel 1951 sull’abuso di alcolici). Altro tentativo è quello del sociologo
Merton, che con l’opera Social Theoryand Social Structure (1959) discute di come la
società contemporanea si contraddistingua per un crescente livello di anomia, a cui
l’individuo può rispondere con 5 profili e in 5 modi differenti (assumendo un atteggiamento
conformista, rinunciatario,innovatore, ritualista, o ribelle); il consumatore di sostanze può
essere ascritto al modello rinunciatario, per cui arrendendosi si trasforma in deviante
sociale.
All’approccio Istituzionale si contrappone l’approccio Critico, afferente a teorie quali
l’interazionismo simbolico, l’etnometodologia, e la teoria dell’etichettamento: Becker (1987,
ripercorrendo la carriera deviante dei musicisti jazz, consumatori di cannabinoidi all’interno
del suo studio sui consumatori di marijuana) ad esempio afferma che la devianza è il frutto
di una definizione normativa che cambia da società a società nel tempo, ovvero una
costruzione sociale che porta a etichettare alcuni comportamenti come devianti (teoria
dell’etichettamento – labelling theory). “L’azione deviante non è quindi concepita come
decostruzione normativa, quanto piuttosto come processo di etichettamento definito
20 attraverso l’interazione tra i soggetti, e per questo la teoria è definita “interazionista”: molte
attività devianti sono apprese socialmente e si imparano in una sottocultura organizzata
attorno ad una determinata attività deviante”. Condivide l’approccio della costruzione
sociale delle condotte devianti anche E. Goffman (2007), secondo il quale “l’etichetta di
malato mentale ad esempio è generata non tanto dall’effettivo stato mentale di
quell’individuo, ma è il prodotto della situazione di esclusione che ha inizio con
l’internamento”. All’approccio istituzionale (consumo di sostanze come espressione di
devianza intesa come patologia sociale) e all’approccio critico (consumo di sostanze come
espressione di devianza intesa come costruzione sociale), si contrappone l’approccio sub
culturale (per approfondimenti sulla “subcultura”: si veda Cipolla e Mori, 2009). A. Choen
in “Delinquent Boys” (1963) analizza i meccanismi che caratterizzano la forma
delinquenziale delle bande delinquenti in America, ponendo attenzione ai processi di
emulazione e adesione ad una serie di norme di matrice sub culturale. Attraverso un
percorso empirico, egli evidenzia l’importanza del ruolo dei gruppi di riferimento, che nel
caso dei consumatori di sostanze, diffondono e condividono una cultura che riesce a
condizionare e modificare l’agire del singolo individuo, legittimandone l’uso di sostanze
psicotrope. A sostenere tale approccio ci sono gli studi condotti dal Center for
Contemporary Cultural Studies (CCCS) di Birmingham attraverso l’opera di Phil Cohen
(1972): essi hanno rilevato come le sottoculture siano delle subculture attraverso cui i
gruppi giovanili cercano di resistere all’omologazione dei consumi di massa, aderendo a
stili sub culturali che investono l’abbigliamento, le preferenze musicali,le sostanze
psicoattive consumate.
Ma le profonde trasformazioni sociali degli ultimi decenni hanno messo in crisi i tre
paradigmi precedentemente presi in esame, lasciando spazio a nuove teorie interpretative.
Il largo consumo delle sostanze psicoattive legali e illegali, la trasversalità rispetto alle
classi sociali coinvolte nell’uso di sostanze (con un uso più diffuso tra gli adolescenti e i
giovani adulti, e tra gli emarginati), la prossimità fisica (facile disponibilità) ma anche
culturale e simbolica delle pratiche di fruizione delle sostanze, il cui uso assume precisi
obiettivi funzionali e prestazionali (intensificazione del piacere, o delle capacità
prestazionali, o della socialità), ha portato nel corso degli ultimi anni ad una
rappresentazione della droga come doping dell’accelerazione che contraddistingue la
postmodernità, in cui l’uomo diventa consumatore di merci, collezionista di piaceri,
recettore di sensazioni (Bauman, 1999). In questo scenario, le sostanze stupefacenti si
caratterizzano come merci in grado di soddisfare bisogni funzionali, in una società in cui si
21 è perso ogni valore morale del “ritardo della gratificazione”, e in cui si rincorre il piacere
immediato. L’uso delle droghe e dell’alcol viene quindi moderato, autogestito,
autoregolato, riflettuto, per farlo rientrare in una logica di normalità: l’uso riflessivo di tali
sostanze si basa su una vera e propria valutazione razionale di rischi e benefici all’interno
di un determinato ambiente sociale. L’altro elemento di cambiamento è la poliassunzione
di sostanze, secondo modelli specifici (“a sostanza dominante, complementare o a rinforzo
incrociato fondato sul mix di sostanze usate, a supermarket, a successione temporale, di
separazione e funzionalità, contestuale o dettato dalle circostanze, determinato da
condizionamenti strutturali”. Cipolla, 2007). L’analisi sociologica è portata quindi a
considerare la fruizione di alcol e droghe come una pratica normalizzata e non più
soggetta a processi di stigmatizzazione, ma contraddistinta da un uso “responsabile” e
auto controllato secondo precise regole di condotta. Nasce così la prima teorizzazione del
concetto di normalizzazione (secondo cui gli individui che fanno uso di sostanze non sono
più stigmatizzati, ma integrati in stili di vita, ritmi, mete culturali “normali”), in un modello
secondo il quale il consumatore è integrato nella società, e le sostanze psicoattive
diventano
medicina
alternativa
o
non
convenzionale,
usate
come
mezzo
di
automedicazione. (Parker e Aldridge, 1998; Cipolla, 2007). A livello macrosociologico
quindi si è visto come il consumo di sostanze psicotrope possa variare in relazione ai
processi di disorganizzazione sociale (anomia, precarietà, instabilità), e al sistema di valori
di un dato contesto sociale; a livello microsociologico, si è visto come sia le pratiche di uso
che le attribuzioni di senso siano acquisite siano acquisite attraverso l’interazione tra i
soggetti fruitori. Tuttavia le teorie analizzate non possono fornire interpretazioni esaustive
e conclusive, vista
la mutevolezza continua del fenomeno che richiede paradigmi
interpretativi sempre aggiornati e adeguati. Tuttavia, il consumo di sostanze psicotrope
non può essere ridotto a pura ricerca di divertimento, esso resta l’espressione del disagio
e del disadattamento sociale che caratterizzano la società contemporanea e che
richiedono politiche di prevenzione, gestione, recupero, integrate e armoniche.
c. ADOLESCENTI TRA RICERCA DI IDENTITA’ E RISCHIO:
Le fasi di crescita e mutamento, ma anche di disagio e di transizione (la costruzione di
legami extrafamiliari, il corpo che cambia, l’acquisizione dell’identità sessuale, ecc.) tipiche
dell’adolescenza, avvengono in una società moderna in cui il culto del narcisismo e della
mancanza di tolleranza della frustrazione, acuiscono la mancanza di certezze. E
22 l’incertezza vissuta costringe i giovani a concentrare solo su se stessi la ricerca di
certezze, escludendo il supporto di norme e tradizioni, e concentra dosi su un
individualismo pericoloso. Per cui, dinanzi ad un ventaglio ampio di opportunità, gli
adolescenti sviluppano strategie di adattamento per valorizzare al meglio le competenze,
in una società che opacizza regole e condizionamenti strutturali, e che favorisce un
disagio che viene espresso dai ragazzi attraverso la reiterazione di comportamenti che
hanno il fine di raggiungere il piacere per allontanarsi dalla realtà quotidiana e dai
sentimenti non tollerabili, “navigando a vista” verso la ricerca di un bisogno di allargare i
confini della propria esperienza, mosso da una inquietudine che rischia di condurre
l’adolescente in un viaggio “fantastico” senza ritorno. In una società dell’incertezza e della
modernità liquida, come la definisce Bauman, la ricerca e la strutturazione legittima di una
propria identità, può portare negli adolescenti a comportamenti “patologici” di diversa
natura.
Le pratiche identitarie sono in continua mutazione, e le assunzioni di responsabilità
sempre più provvisoria e locale, multipla e mutevole, avviene all’interno di contraddizioni
culturali continue, e in una società tardo-moderna caratterizzata da una estrema libertà di
condotta, e in un’epoca edonistica, che generano identità mutevoli e instabili (non più
assistite dalla forza delle tradizioni e delle regole sociali). Quindi gli individui si trovano a
dover fare scelte all’interno di una cultura già incerta e frammentata. Per questo, il
processo di scelta diviene difficile e carico di incertezze, se ne respira però la “condanna”
(non possiamo non effettuarle), di cui si temono le conseguenze. Il crollo delle
progettazioni e azioni di lungo periodo poi, aumenta il senso di incertezza, e la “scelta “
diventa un peso di cui ci si vuole liberare, l’identità di conseguenza diventa vischiosa, e si
abbandonano impegni e lealtà presi precedentemente, a seconda delle circostanze.
L’obiettivo diventa quello di sopravvivere
al senso invalidante e deprimente
dell’incertezza, utilizzando comportamenti senza più né etica né responsabilità.
L’adolescente moderno quindi cerca di fuggire al pensiero dell’infelicità, attraverso la
caccia continua, un impegno a tempo pieno che diviene costrizione, dipendenza,
ossessione (Bauman, 2007). Una conseguenza di tale processo di allentamento dei
legami sociali, e della paura dell’inadeguatezza, è l’individualismo “obbligato”. L’individuo
si trova così a vivere in un continuo movimento di costruzione, in una adolescenza
interminabile.
Tra gli aspetti che contraddistinguono l’adolescenza c’è quello dei comportamenti a
rischio. Esso, all’interno di una ricerca di soddisfacimento di sensazioni forti, di ottimismo
23 irrealistico, di sviluppo dell’identità e partecipazione sociale, di sfida delle tradizioni, di
contrapposizione a simboli precostituiti, contribuisce al processo di metamorfosi in atto
nell’adolescenza, e alla costruzione della propria identità personale. Ma nella società dei
consumi, l’adolescente coincide esattamente con il consumatore ideale, e con il
compratore insaziabile, e si confrontano con un mondo degli adulti che non permette loro
alcuna
possibilità
di
rispecchiamento
e
confronto.
Il
mondo
adulto
infatti,
deresponsabilizzatosi, invece di fare da interlocutore e confine, presenta il vuoto, e la
difficoltà di porsi come modello di riferimento, lasciando praticamente gli adolescenti in
balìa della loro solitudine. L’adolescente diventa così profugo, alla deriva, in attesa di se
stesso e alla perenne ricerca della propria identità, rappresentata da quel sistema di
significati che permette all’individuo di dare senso alle proprie azioni e di operare scelte
coerenti con la propria biografia. Tuttavia, non sempre il sapere acquisito permette
all’adolescente di effettuare le giuste scelte, e ciò lo carica di ansie e tensioni che in
assenza di coordinate ed esperienze, lo conducono all’incapacità di riconoscersi come
individuo.
L’ambivalenza
tipica
vissuta
dall’adolescente
lo
porta
ad
avvicinarsi
pericolosamente al “rischio”, ricercato quindi per dare valore alla propria esistenza, e per
rigettare la paura dell’insignificanza, nel tentativo di esistere, di essere liberi, di avere
successo, per contenere il sentimento di identità, ma diventando vittime di se stessi (in un
venir meno di quei confini protettivi di cui si faceva uso in epoche precedenti). I
comportamenti a rischio ricalcano la struttura dei riti di passaggio, e oggi sono diventati la
rappresentazione della separazione dallo stato infantile, e l’aggregazione nel mondo
adolescenziale. Ma la condotta a rischio è anche una risposta a questa emorragia di
sentimenti, e l’adolescente diventa attore protagonista, esercitando potere su se stesso,
rifiutando la passività, realizzando l’individualità e la ricerca di se stesso, cercando di
definire la propria identità.
Esagerando egli si valuta, si mostra: attraverso la pratica del rischio l’adolescente tenta
di disciplinare il corpo, la mente, di gestire l’incertezza e l’autocontrollo. Attraverso il
dolore, l’inquietudine, la sofferenza, l’adolescente ricerca la propria autenticità, e cerca di
riscattarsi, di liberarsi dall’alienazione in cui lo getta la continua ricerca della sicurezza.
Nell’adolescenza il bisogno di trasgredire per trovare nuove regole, è il bisogno di cercare
e inventarsi nuovi punti fermi; la trasgressione - rischiosa perché mette in questione i
confini concettuali accettati, ma anche fonte di piacere – è quindi utilizzata dai ragazzi
nella ricerca di una propria autonomia
ed espressione, e spesso è agita con
comportamenti a rischio quali il passaggio all’atto, il rifugio in sé, le pseudo allucinazioni.
24 Tra i fenomeni che fanno parte delle condotte a rischio adottate dagli adolescenti
ricordiamo l’ottimismo irrealistico, la sensation-seeking (o ricerca di sensazioni), il rischio
estremo come sfida. Ecco quindi che il rischio adolescenziale diventa una pratica normale
e reiterata, e le pratiche di prevenzione e contrasto all’uso di sostanze devono fare i conti
con questa realtà, visto che il consumo di sostanze è tra le condotte a rischio più comuni
ed emblematiche. La ricerca del controllo attraverso lo studio delle condotte a rischio, è
quindi fondamentale. Ma va precisato che chi ha a disposizione risorse culturali e materiali
di supporto, e una forte rete di sostegno, il rischio può definirsi calcolato. Per coloro che
non c’è possibilità di accesso a queste risorse e a questi strumenti, la sfida rischia di farsi
ardua (S. Startari, 2012). 4
4
Cenni bibliografici:
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Maturo A., Sociologia della malattia. Un’introduzione, FrancoAngeli, Milano, 2007.
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Parker H. e Aldridge J., Illegal Leisure. The Normalization of Sensible Recreational Drug Use,
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Lombi L., Il contributo della sociologia nell’area del consumo di sostanze psicoattive: scenario attuale
e prospettive future. In C. Cipolla e V. Agnoletti (a cura di), La spendibilità della sociologia fra teoria
e ricerca, FrancoAngeli, Milano, 2011.
25 1.3 IL CAMBIAMENTO INTERNO ALLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE
a) LE CT TRA RINNOVAMENTO, EVOLUZIONE E NUOVE SFIDE:
Quali sono le peculiarità del modello della CT e quali le modalità con cui esse hanno
cercato di adeguare il loro modello di intervento ai mutamenti di contesto, sono alcune
delle questioni affrontate in questo capitolo. L’adattamento a cui si fa riferimento è quello
relativo ad un mondo che cambia sia sotto il profilo delle dipendenze che quello delle
norme ad esse concernenti. Questo cambiamento ovviamente si traduce in una
differenziazione dei servizi di comunità (sociosanitarie, terapeutiche, semiresidenziali,
ecc.), e in un graduale passaggio da servizi strutturati e rigidi a interventi flessibili e
contestualizzati, in una logica di doppia integrazione nella comunità locale e nella rete dei
servizi rivolti alle dipendenze e alle persone in difficoltà. Da un modello centrato sul
trattamento si passa ad un modello centrato sulla valutazione del funzionamento rispetto
all’utente nel suo contesto di vita, e diventa cruciale l’efficienza dell’intera rete dei servizi di
cui la CT costituisce una componente. Cambiano così anche le relazioni tra le CT e il
sistema dei servizi, che devono quindi coordinarsi per una qualità dei trattamenti
adeguata. In questa epoca di cambiamenti, le CT (per cui l’approccio terapeutico è fondato
sull’attivazione delle risorse della persona e sulla sua responsabilizzazione) devono
attrezzarsi per affrontare quelle sfide esterne che possono costituire delle opportunità di
cambiamento interno. Le sfide riguardano i finanziamenti, la formazione del personale, la
fedeltà del trattamento al modello della CT, la diversificazione dei modelli di CT per il
recupero delle tossicodipendenze (servizi di interventi a bassa soglia, e di riduzione del
danno).
Le CT rappresentano soltanto una goccia nel mare degli interventi terapeutici alla
persona tossicodipendente, tuttavia potrebbe diventare anello di congiunzione in una rete
di servizi quali centri d’ascolto, centri crisi, unità di strada, servizi per “doppia diagnosi”,
che configurerebbero così una risposta globale al problema dipendenze. Tra le sfide poste
al modello della CT c’è poi quella posta dal trattamento personalizzato, che rischia di
sottrarre peso e ruolo alla dimensione gruppale delle CT e che svolge un ruolo
fondamentale nella risocializzazione dell’utenza. Altra sfida è quella relativa alla sempre
maggiore richiesta di una continuità terapeutica anche successiva alla dimissione
dell’utente, conseguenza di un cambiamento e di una evoluzione anche dal punto di vista
medico del concetto di dipendenza (supportato negli ultimi anni anche dalle neuroscienze).
26 Altra sfida riguarda il tema della formazione degli operatori che operano in tali contesti,
che oltre ad essere mossi da un mix di motivazione e attitudine, devono avere ed acquisire
assieme ad una formazione sul campo (in Francia vi è la forma del “compagnonnage”)
anche una professionalità adeguata, fatta da operatori professionisti(alla presenza di
operatori costituiti da volontari ed ex utenti, si affianca quella di Educatori Professionali).
La necessaria complicazione di tale modello non deve tuttavia precludere una valutazione
e valorizzazione dell’efficacia delle CT.
La Comunità Terapeutica per soggetti con problemi di uso di sostanze è uno degli
strumenti più noti da tempo, affermato e riconosciuto, ma anche controverso. L’efficacia
che ebbe la Comunità di Synanon in California, portò, come abbiamo già detto, alla
diffusione delle CT in tutto il mondo, e diversi studi e pubblicazioni hanno mostrato il
crescente interesse per questo fenomeno. Tuttavia, si sta verificando un notevole calo di
studi sulle CT, a causa della complessità dell’intervento che ivi viene svolto, e delle
limitazioni metodologiche degli studi esaminati. Le prove di efficacia del lavoro delle CT
sono assodate, su questo non vi sono dubbi. Ma quello che si può esaminare riguarda
invece le possibili evoluzioni capaci di indurre miglioramenti quantitativi e qualitativi nel
servizio delle CT. Va innanzitutto puntualizzato che è comprovato il cambiamento del
profilo del consumo di droga, da cui dipende il cambiamento della tipologia degli utenti.
Nei decenni passati si sono dovuti affrontare problemi quali la diffusione dell’HIV/AIDS, la
carcerazione,
i
problemi
legati
alla
comorbilità
psichiatrica5,
e
il
ruolo
della
5
Le espressioni “comorbilità” e “doppia diagnosi” si diffondono alla fine degli anni Settanta, per indicare la
presenza simultanea negli stessi soggetti di problemi legati all’abuso e dipendenza di sostanze stupefacenti,
e di disturbi psichiatrici. La pratica clinica indica come entrambi i disturbi debbano essere oggetto di
osservazione e intervento, e che una corretta diagnosi è alla base di una corretta impostazione dei
trattamenti. Quindi ogni qualvolta venga diagnosticata una doppia diagnosi, entrambi i disturbi dovrebbero
ricevere attenzione, seguendo una strategia ben precisa. La condizione di doppia diagnosi è una situazione
complessa nella quale una diagnosi complica l’altra, e il trattamento non può essere semplicemente la
somma dei trattamenti delle singole patologie, ma qualcosa di più particolare. Negli anni Settanta/Ottanta ai
soggetti con doppia diagnosi venivano offerti trattamenti rivolti ai disturbi psichici conseguenti all’uso, in
aggiunta a massicce terapie farmacologiche, ma il fatto di non usufruire di interventi mirati, portava gli
interessati a ripetute ricadute e cronicizzazione dei rapporti con i servizi. È chiaro quindi che in questi casi è
fondamentale la collaborazione tra i servizi della psichiatria e quelli della tossicodipendenza. Negli Stati Uniti
per esempio stanno attuando programmi specifici specialistici integrati (i “Dual Diagnosis Program”, con
trattamenti farmacologici, psicoterapici, interventi sociali, ecc.) affianco ai servizi offerti dalle CT classiche,
che stanno ottenendo risultati confortanti. Anche in Europa e in Italia sono state avviate esperienze di
Comunità specifiche per doppie diagnosi (per pazienti con disturbo di personalità borderline, con instabilità
27 “confrontazione”, messo in discussione dal profilo motivazionale degli utenti, sempre meno
evoluti e che aumentano il tasso di abbandono e che costringono le CT ad una
riconsiderazione del rapporto con gli utenti.
Lo stile “confrontazionale” (tratto costitutivo del lavoro nelle CT fin dagli esordi, con la
Comunità Synanon di Chuck Dederich, secondo cui la tossicodipendenza è radicata in un
carattere immaturo e rigido, demolibile e frantumabile, in funzione del cambiamento,
soltanto dalla confrontazione verbale; a tal proposito Tiebout nel 1953 teorizza come il
tossicodipendente e alcol dipendente abbia una struttura di personalità immatura ed
egocentrica che fa emergere comportamenti di grandiosità e sfida nel soggetto il quale
finché “non tocca il fondo” non si attiva in un cambiamento reale,
anche detto
nelle relazioni interpersonali, comportamenti aggressivi, sintomatologia a carico dell’umore, classificati
nell’Asse II del DSM-IV;), con generale e graduale miglioramento per queste persone. I soggetti con
comorbilità psichiatrica necessitano quindi di trattamenti specifici e differenziati poiché è altissima la loro
percentuale di drop out nei programmi tradizionali per tossicodipendenti troppo rigidi e privi di supporti
farmacologico e psicoterapeutico. È fondamentale quindi un gruppo di lavoro in cui il perno sia la
interdisciplinarità, in cui il clima di coesione, fiducia, stima reciproca è indispensabile, e nel quale ogni
professionista deve avere un ruolo specifico e specialistico. Gli interventi, a livello educativo,
clinico/farmacologico (contenimento dell’ansia compulsiva), psicoterapeutico di gruppo (con il supporto
dell’auto –aiuto), con la famiglia, fanno parte quindi di un unico percorso in un luogo, la CT per doppie
diagnosi, che diventa luogo di crescita in cui poter fare interventi personalizzati, e diagnosi precise: è
fondamentale pensare a nuove residenzialità, con nuove risorse e nuovi collegamenti trasversali, per cui il
lavoro con persone in doppia diagnosi dovrà probabilmente rivedere gli obiettivi terapeutici, e capire che
probabilmente in questi casi si dovrà accettare la cronicità come “dato” (Galanter e Kleber, 1987). In Italia
già nel 1914 autori come Eugenio Tanzi e Ernesto Lugaro si ponevano il problema delle combinazioni
morbose e dei passaggi graduali da una psicopatologia a un’altra con il loro studio “Trattamento delle
malattie mentali”, poi ripreso nel volume edito nel 1916, ragionando sulle cause e fattori dei vari disturbi,
sulle possibili terapie. La doppia diagnosi, definita come il manifestarsi di disturbi psichiatrici come sindromi
specifiche indipendenti dall’abuso di sostanze in un soggetto che ha avuto anche, oppure ha in atto, una
diagnosi di disturbo da uso di sostanze, è oggi al centro di studi da parte delle neuroscienze, nell’area della
psichiatria e delle dipendenze, che hanno fatto incredibili passi in avanti sulla neuro fisiopatologia, e
dimostrando come negli ultimi 10 anni sia aumentata la consapevolezza dell’esistenza di un alto grado di
comorbilità tra vari disturbi psichiatrici e dipendenza da sostanze, nonché di una somiglianza nella
neurobiologia di questi disturbi psichiatrici, e la presenza di eventi (anche in età infantile) comuni tra
addiction e disturbi psichiatrici (tra gli studi, quello di Feng, 2008, Kasen 1999). Importante è, negli interventi
di cura residenziale e ambulatoriale, mantenere in trattamento ed evitare l’abbandono precoce, aprire il
ventaglio delle opportunità di intervento, ampliare le strategie di intervento e migliorare l’esito, organizzare la
terapia residenziale per la doppia diagnosi, affrontare la doppia diagnosi precocemente (Gunderson, 2003;
Martino, 2008).
28 “conversione”), secondo cui si mettono in discussione in maniera aggressiva e strutturata
atteggiamenti e comportamenti dell’utente (attraverso forzature sull’immagine, pressioni
pesanti su comportamenti ritenuti inadeguati, ecc.), attiverebbe un circolo vizioso tra
l’atteggiamento di confrontazione e la manifestazione da parte dell’utente ospite della CT
di comportamenti di negazione e sfida, ovvero di difesa che a loro volta confermano la
diagnosi. Un’alternativa a questo stile è invece quello sollecitato dalla “prospettiva
rogersiana” secondo cui il lavoro terapeutico deve puntare alla collaborazione tra
educatori/terapeuti e utenti, per cui il ruolo degli operatori è quello di ascoltare in maniera
empatica e accurata, accettare e comprendere il dilemma del cliente e di evocare in lui le
proprie motivazioni a cambiare, valorizzando le capacità dell’utente di crescere ed
evolversi in una direzione positiva (C. Rogers, 1970). La critica dell’approccio
confrontazionale ha portato a partire dagli anni Ottanta e Novanta a nuove metodologie
quali ad esempio la pratica della Riduzione del Danno e del Colloquio Motivazionale (CM).
La centralità della persona, la ricerca della collaborazione con l’utente ospite, il
riconoscimento dell’autonoma responsabilità di quest’ultimo, si traduce nel CM
nell’attenzione alla evocazione di pensieri, stati d’animo, obiettivi da realizzare in
collaborazione con l’operatore, in un clima empatico. Evocazione, collaborazione, rispetto
e supporto dell’autonomia, sono quindi i 4 pilastri di quello che nel MINT, Motivazional
Interviewing Network of Trainers, si usa definire “spirito del Colloquio Motivazionale”.
L’orientamento al cambiamento quindi si traduce nella pratica del CM, nell’obiettivo di
evocare affermazioni orientate al cambiamento (AOC) attraverso una relazione empatica
fondata sull’ascolto riflessivo da parte dell’operatore, e delle affermazioni di tipo
preparatorio da parte dell’utente che dichiarano desiderio, ragioni, necessità di cambiare,
alle quali seguono poi AOC di attivazione che sono descrittive di impegno, attivazione e
effettuazione di passi verso il cambiamento. Il CM quindi tende ad ottenere affermazioni
preparatorie e di attivazione, predittive al cambiamento. Tuttavia l’utente (soggetto
ambivalente) può mostrare resistenze al cambiamento, attivandosi in atteggiamenti di
sfida, contestazione, proiezione, che vanno contrastati e fronteggiati dall’operatore
attraverso l’ascolto riflessivo (a due facce, amplificato, con spostamento del focus), la
formulazione di domande aperte, facendo riassunti, dando conferma e sostegno, evitando
invece le trappole o “blocchi stradali” come il dare consigli non richiesti, consolare, lodare,
fare ironia, biasimare, ecc.
Il processo di cambiamento viene avviato dall’importanza che il soggetto attribuisce al
cambiamento, e tale importanza consiste nella percezione del disagio e della
29 insoddisfazione: il disagio per il presente associato alla prospettiva di cambiamento
positivo, configura una condizione di conflitto e contraddizione interna che la letteratura
motivazionale definisce “frattura interiore” (“dissonanza cognitiva”, di L. Festinger, 1973),
che rappresenta la spinta interiore al processo di cambiamento. Un secondo fattore
necessario è quello della fiducia di poter conseguire il risultato del cambiamento per
sperimentarne i vantaggi, che rimanda al concetto di “autoefficacia” (A. Bandura, 1996).
Sul ceppo della CT, con approfondimenti e ricerca, formazione e scelte intelligenti, si
possono quindi innestare nuovi orientamenti capaci di integrare e migliorare quelli
originari.
Le prime Comunità terapeutiche per persone con dipendenza da sostanze si basavano
sull’auto mutuo aiuto, e in esse il personale era costituito da persone che avevano
terminato il percorso riabilitativo. In Europa le prime CT sono state fondate da
professionisti che usando il modello americano integrarono lo staff con persone che
avevano terminato il percorso, introducendo inoltre terapie farmacologiche all’interno della
CT, andando in conflitto con la filosofia originaria. Tuttavia i medici definiscono la
dipendenza come una malattia cronica recidivante (e in alcune Nazioni come i Paesi
Bassi, somministrano metadone senza ulteriori trattamenti) anche se alcuni studi
dimostrano il contrario: il rischio di ricaduta è più elevato nei primi 4 anni che non
successivamente, quindi più a lungo la persona si astiene e meno sono le probabilità di
ricaduta, e migliaia di persone che hanno terminato con successo un Programma nelle
CT, in astinenza da più di 10 anni senza ricaduta, dimostrano che l’astinenza è possibile, e
che la ricaduta non avviene sempre (Schippers e Broekman, 2006). Questo indica che
benché la dipendenza venga affrontata come una malattia, essa è una condizione causata
da un’insieme di fattori, e può essere considerata come un adattamento a circostanze
eccezionali attraverso un comportamento adattivo incontrollabile, come un disordine autoarrecato con molteplici cause. Non tutte le persone che fanno uso di alcol diventano
alcolisti, e non tutte le persone che fanno uso di droghe diventano tossicodipendenti. La
dipendenza può iniziare come autocura con droghe, alcol o farmaci, per lenire i sintomi di
alcuni disordini o di traumi subiti, o a causa di fattori sociali quali povertà e
disoccupazione, o cause psichiche particolari, o esperienze traumatiche nella prima
infanzia come rifiuto e abusi, bassa autostima. Per cui la dipendenza è un processo autocontinuativo dannoso che deriva dalla perdita di controllo su un comportamento adattivo
che diventa poi esso stesso un problema (M. Kooyman, 1992).
30 Nel modello medico invece, il medico è il responsabile incaricato del trattamento, e
il paziente è passivo e non responsabile della sua malattia, che può essere curata con la
prescrizione di medicine; la ricerca è incentrata sull’ereditarietà e su fattori neurobiologici
della dipendenza. L’espressione quindi “la dipendenza è una malattia cronica” calza
perfettamente con il modello medico. Tornando alla filosofia dell’auto-aiuto delle CT, esso
afferma invece che la persona con problemi di dipendenza è responsabile della sua
condizione. Questa tesi era già esistente con la nascita delle prime CT, nelle quali i
residenti si aiutavano l’un l’altro ad astenersi dalle droghe e dall’alcol attraverso un
confronto e un supporto emotivo: con l’aiuto di ex membri di Synanon, alcuni professionisti
fondarono nuove CT a New York, con lo scopo di permettere il reinserimento in società
delle persone che finivano i programmi di cura. Queste Comunità Terapeutiche (Daytop
Village, e Phoenix House) si basavano appunto sulla filosofia dell’auto-aiuto di Synanon
attraverso il comportamento responsabile.
Anche in Europa molte CT vennero create da professionisti con l’aiuto di personale
formato da ex utenti, e con l’inserimento di metodi come lo psicodramma, gruppi di
bonding therapy (terapia di gruppo intensiva in cui i partecipanti imparano a superare le
loro paure relative all’intimità e all’abbandono, derivanti dall’infanzia) e terapie della
famiglia, introducendo col tempo sessioni di terapia individuale e gruppi terapeutici
psicoanalitici. In CT ci sono regole ben precise, niente alcol, né droghe, niente atti
sessuali, e ogni attività (cucinare, fare pulizie) fa parte della terapia. All’ingresso in CT il
nuovo utente viene accolto, e lo staff è sempre a contatto con i residenti. Tuttavia come si
accennava precedentemente, con gli anni sono state introdotte terapie individuali e figure
professionali, e ciò ha portato alcuni problemi di assestamento e adattamento. L’obiettivo
delle CT resta però quello di interrompere il circolo vizioso della dipendenza, e di curare
non solo il sintomo, ma le cause che vi stanno dietro, integrando alle attività classiche
delle CT, strumenti utili quali gruppi terapeutici o gruppi di supporto alle famiglie. La CT,
nel suo processo evolutivo, non deve perdere i fattori terapeutici che rischia di perdere se
adotta un modello strettamente medico clinico. Fattori quali: la famiglia sostitutiva, la
filosofia coerente, la struttura terapeutica, l’equilibrio tra terapia, autonomia, e
democrazia,l’apprendimento sociale attraverso l’interazione sociale, imparare attraverso la
crisi, l’impatto terapeutico di tutte le attività, la responsabilità di ogni residente per il proprio
comportamento, aumento dell’autostima tramite realizzazione, interiorizzazione di un
sistema di valori positivo, pressione positiva da parte dei pari, confronto di
comportamento, imparare a capire ed esprimere emozioni, trasformare atteggiamenti
31 negativi in positivi, miglioramento della relazione con la famiglia d’origine. Quindici fattori
terapeutici fondamentali per il processo terapeutico in una CT. In conclusione, c’è da dire
che in Europa molte sono le CT che hanno adottato un modello esclusivamente medico e
che quindi hanno perso molti dei fattori terapeutici menzionati, tipici di una CT. Ma la
dipendenza è un disturbo auto arrecato con molteplici cause, un processo dannoso auto
diretto causato dalla perdita di controllo sul comportamento adattivo, per cui sostituire il
modello della CT con un modello medico che considera l’utente un paziente dipendente
non responsabile per il proprio trattamento (come nel caso di istituti e cliniche), vuol dire
fare “riduzione del danno”
6
e vuol dire perdere il valore terapeutico delle CT. Un input
6
CT, “bassa soglia e riduzione del danno”: l’iter ormai trentennale (nato in Italia con la prima Legge sulla
droga, la 685/1975) in materia di dipendenze ha portato alla costruzione di un sistema dei servizi articolato,
esteso su tutto il territorio nazionale, e fatto di servizi ambulatoriali, CT. Per cui, con la consapevolezza che
non tutti i tossicodipendenti riuscivano a trarre benefici dai trattamenti disponibili, che non si potevano
abbandonare a se stesse le persone che non riuscivano a liberarsi della dipendenza, che le strategie di
riduzione del danno non erano in conflitto con i servizi di cura e riabilitazione, nella prima metà degli anni
Novanta si iniziò a costruire il quarto pilastro della politica delle droghe: la strategia di riduzione dei rischi e
dei danni. E la trasformazione, graduale, si è andata attivando con sperimentazioni sul territorio nazionale.
Quindi dopo la prima fase pionieristica delle CT per tossicodipendenti degli anni Settanta in Italia, e il boom
delle CT degli anni Ottanta (con programmi della durata media di 18 mesi), negli anni novanta si è cominciati
ad avere il bisogno di diversificare i programmi e i servizi.
Molte persone mal si adattavano ai percorsi Comunitari, a volte troppo selettivi - per età, genere, numero di
anni di tossicodipendenza alle spalle, problemi di salute come HIV/AIDS che richiedevano programmi più
assistenziali, per i minori che spesso intercettati dal sistema penale per i loro comportamenti per abuso di
sostanze psicoattive avevano bisogno di strutture ad essi dedicate, per utenti con problematiche di “doppia
diagnosi” - e quindi inadatti, e pertanto si faceva sempre più spazio l’idea di creare una flessibilità dei servizi
messi a disposizione. A volte le CT erano individuate come l’unico riparo disponibile per l’utenza, anche se
poi risultavano non idoneo al caso. Su questa premessa nascono le prime residenzialità a “bassa soglia” in
cui le persone potessero avere la possibilità di chiarire le scelte da intraprendere per il loro futuro. I “centri
crisi” e le “pronte accoglienze” divennero quindi la prima risposta strutturata che andò concretamente in tale
direzione. Uno dei primi Centri crisi in Italia è stato quello del Gruppo Abele in Barriera a Torino, nel 1993, in
cui si offriva una tregua e uno stop all’uso compulsivo e incontrollato della sostanza, e un riparo alla vita di
strada e rifugio ai rischi di carcerazione, con una permanenza di due -tre mesi in ambito residenziale, e con
una copertura farmacologica, medica, di accoglienza e sostegno anche legale, sotto il profilo psicosociale
(borse lavoro, reinserimento nella famiglia, centro diurno, accesso al dormitorio)
in collaborazione con i
SerT, per poter rispondere alle situazioni di emergenza sociosanitaria, e come situazione preparatoria
all’ingresso in CT (ruolo sostenuto anche dai centri di Pronta accoglienza). Altro servizio alternativo sono le
Comunità
di
accompagnamento
assistenziale,
che
prevedono
una
maggiore
personalizzazione
dell’intervento e degli spazi individuali, l’utilizzo della farmacoterapia sostitutiva e psicofarmacopea a
32 professionale può sicuramente migliorare il servizio offerto dalle Comunità Terapeutiche,
aumentare la qualità del lavoro, avere maggior credito scientifico, ma questo non deve
sostituire la filosofia di base dell’auto mutuo-aiuto.
L’evoluzione delle attuali CT rispetto ai 45 anni passati è stata un movimento
divenuto con il tempo il principale servizio alla persona con problemi di dipendenza,
passando attraverso cambiamenti evolutivi (ridefinizione del personale, riduzione della
durata del trattamento, modifiche all’approccio stesso) che l’hanno reso il principale ente di
sanità pubblica in materia, rischiando però di perdere la sua identità principale, l’auto –
aiuto. La sfida quindi è alta, e va affrontata su temi chiave quali: finanziamenti, forza
lavoro, ricerca, fedeltà del trattamento, e diversità dei programmi. I programmi residenziali
negli ultimi anni si sono ridimensionati nella durata (9-12 mesi), tuttavia il sostegno fiscale
(pubblico) alle CT è progressivamente diminuito, e ciò sta minando la fattibilità del
trattamento, quindi sarà fondamentale attuare una politica di finanziamento informata
guidata dallo stato attuale della conoscenza clinica e dalla ricerca che evidenzia il
paradigma coordinamento utente-trattamento. Inoltre, l’espansione della CT a servizio di
popolazioni speciali ha richiesto un reclutamento di forza lavoro sulla base di una
necessaria
diversità
del
personale,
pertanto
sarà
fondamentale
investire
sull’accreditamento del personale, sulla sua formazione integrativa. È fondamentale inoltre
attivare sperimentazioni randomizzate per poter provare l’effettiva efficacia delle CT
(attraverso indagini statistiche, analisi costi-benefici, con iniziative formative e di nuova
ricerca). La WFTC dovrebbe fornire una divulgazione su scala mondiale di ricerche sulle
CT, e promuovere sostegno per una nuova generazione di studi di ricerca che
documentino il contributo della CT come principale modalità dei servizi umani e
sanitari(con studi sui benefici per la salute, benefici a livello di costo, e benefici collaterali
seconda delle necessità, la ridefinizione del significato di trasgressione della regola e del senso di sanzione,
il primato della relazione sulla norma, la rinnovata configurazione del lavoro di gruppo, la maggiore
attenzione al reinserimento sociale e l’anticipazione della sua fase. Intravedendo quindi i possibili scenari
futuri, dove la differenziazione dei bisogni appare l’obiettivo principale nell’offerta del servizio, si possono
individuare 4 tipi di residenzialità: la CT modificata, le CT specialistiche, i Centri Crisi e di osservazione e
diagnosi, le Comunità di accompagnamento assistenziale. Gli interventi di riduzione del danno
rappresentano oggi una realtà significativa, e sono diventati una prospettiva strategica e culturale aggiuntasi
alla cultura della riabilitazione, con risultati positivi sia in ambito sanitario che sociale (interventi per diminuire
le overdose e la trasmissione di malattie droga-correlate) come dimostrato dalle ricerche (Osservatorio di
Lisbona EMMCDA in Europa, e UNODC a livello Internazionale).
33 come la prevenzione). Importante sarà mantenere la fedeltà al trattamento, e un unico
approccio in cui le Comunità sono il metodo stesso. La fedeltà è poi strettamente correlata
all’efficacia: quindi bisogna attuare strategie necessarie per assicurare CT ad alta fedeltà,
come la formazione e la valutazione della fedeltà (attraverso una definizione uniforme,
programmi di insegnamento, modelli appropriati di formazione, valutazione della fedeltà).
L’approccio e il modello delle CT, infine, si è mostrato efficace, e pertanto va confermato.
Tuttavia essi sono stati adattati e modificati nel tempo, pertanto è necessaria una
classificazione dei programmi di CT, per valutarne l’adeguatezza e l’efficacia per i diversi
tipi di popolazioni. Una classificazione suggerita, sulla base di analisi iniziali di studi di
campo Melnick e De Leon, 1999), prevede tre macrocategorie: la CT standard, la CT
modificata, i TC oriented. Riassumendo, è necessario per preservare l’integrità
dell’approccio di CT fare chiarezza sulle differenze tra i programmi offerti, gli utenti a cui si
rivolgono, gli obiettivi dei trattamenti e la fedeltà delle specifiche strategie di trattamento
utilizzate; la Comunità Terapeutica per le dipendenze è senza dubbio il primo approccio
formale di trattamento orientato al recupero, definito come cambiamento di stile di vita e
identità. La sfida dominante della CT quindi è ristabilire il suo posto unico e la sua
missione, promuovendo il recupero. 7
7
Riferimenti bibliografici:
Bandura A., Il senso di autoefficacia personale e collettivo, In Bandura A. (a cura di), Il senso di
autoefficacia, Erickson, Trento, 1996.
Feng Y., Convergence and Divergence in the Etiology of Myelin Impairment in Psychiatric Disorders
and Drug Addiction, Neurochemical Research, vol. 33, pp. 1940-1949.
Festinger L., La dissonanza cognitiva, FrancoAngeli, Milano, 1973.
Galanter M. e Kleber H. D., Trattamento dei disturbi da uso di sostanze. Masson, Milano, 1998.
Gunderson J. G., La personalità Borderline. Una guida Clinica. Raffaello Cortina, Milano, 2003.
Kasen S., Choen P., Influence of Child and Adolescent Psychiatric Disorder on Young Adult
Personality Disorder, American Journal of Psychiatry, vol. 156, pp. 1529-1535.
Kooyman M., The Therapeutic Community for Addicts, Intimacy, Parent Involvement and Treatment
Success, Universiteitsdrukkerij Erasmus Universiteit, Rotterdam, 1992.
Martino S., Ball S. A., Community Program Therapist Adherence and Competence in Motivational
Enhancement Therapy, Drug Alcohol Dependence, vol. 96, pp. 37-48.
Melnick G. e De Leon G., Claryfying the Nature of Therapeutic Community Ttreatment: The Survery
of Essential Elements Questionnaire (SEEQ), Journal of Substance Abuse Treatment, vol. 6, n. 4,
pp. 301-313.
Rogers C., La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze, 1970.
34 b) DIPENDENZA E PSICOBIOLOGIA:
La tossicodipendenza abbraccia una evoluzione di comportamenti che giungono ad
annullare gli aspetti positivi di un essere umano. Per anni la dipendenza è stata letta
secondo schemi sociali, psicologici, umani, determinando atteggiamenti popolari che
vanno dall’indifferenza al pietismo. Le neuroscienze invece hanno invece proposto un
atteggiamento di comprensione e propensione scientifica (spiegando le lesioni anatomiche
e di funzionamento che intercorrono nel cervello del tossicomane), ponendosi come
obiettivo il recupero almeno parziale di capacità da parte del tossicodipendente che
provvedano al recupero e a nuovi adattamenti del cervello. E le CT si pongono come
detentrici di quelle caratteristiche di cura che appaiono in grado di fornire ai loro utenti
soluzioni in grado di fornire nuovi meccanismi di adattamento del cervello dopo l’abuso di
sostanze. Ma ora sappiamo anche che modalità di cura quali il controllo dell’impulsività e
compulsività, la gestione dell’ansia, il ripristino dell’empatia, non sono soltanto aspetti di
una tecnica terapeutica efficace, ma fenomeni riparativi delle funzioni cerebrali. Si è
compreso che la dipendenza è come un ciclo di disturbo della regolazione crescente dei
meccanismi di ricompensa del cervello che non appaiono più in grado di elaborare
percezioni di benessere e piacere che non siano legate all’uso di droghe. Altro aspetto
importante è il fatto che la resistenza al trattamento della maggior parte dei tossicomani
(come dimostrato dalla relazione del Dipartimento di Salute e Servizi Umani del 2006),
riflette in parte il fallimento della società di riconoscere la dipendenza come una malattia
biologica, del cervello. Le recenti scoperte delle neuroscienze in materia, hanno permesso
ipotesi psicobiologi che sulla fenomenologia del comportamento di questi pazienti: ad
esempio, disfunzione dei circuiti neuronali alla base della capacità di guardarsi dentro, alla
consapevolezza di sé, alla attitudine a fornire adeguate risposte sociali, emotive e
cognitive (e quindi conseguente forma di mancato riconoscimento di una malattia, la sua
negazione, la compromissione del controllo sull’azione: anomalie condivise con i disturbi
psichiatrici, e che inoltre supportano l’ide a che alla base della disfunzione cognitiva bci sia
una compromessa funzione biologica della consapevolezza di sé, del rischio, di
un’autocoscienza). La comprensione quindi di questi circuiti neuronali potrebbe migliorare
le strategie terapeutiche per il trattamento della dipendenza. È dimostrato infatti come ad
Schippers G. M. e Broekman T. G., The Course of Alcohol Dependence. The Course of Drug
Dependence, ZonMW, Den Haag, 2006.
35 esempio le anomalie elaborative (elaborazione esagerata della rabbia, paura, ecc. negli
alcolisti) cerebrali causate dagli effetti dell’alcolismo sulla corteccia rostrale cingolata
anteriore possono portare ad un maggiore conflitto sociale, stress, ricadute, ma possono
essere migliorate con l’astinenza e il trattamento. Inoltre, anomalie nelle regioni insulare e
mediale della corteccia prefrontale e nelle regioni subcorticali, ad esempio, sono state
evidenziate nel confronto dei tossicodipendenti con pazienti neurologici con danno
cerebrale focale. E la relativa reversibilità di queste alterazioni se sottoposta a strumenti
terapeutici funzionali al recupero del tossicomane, forniscono il primo elemento di
approccio al problema (tuttavia occorre approfondire la materia, per comprenderla, con
continue ricerche sul contatto sostanza-individuo e relative conseguenze). Un approccio a
parte merita poi quello che riguarda le acquisizioni di psicobiologia dello sviluppo cerebrale
in adolescenza, fase particolare della vita, vulnerabile e complicata, in cui i comportamenti
si fanno imprevedibili e incontrollabili. L’approccio educativo in questo caso, compreso
quello rivolto alla prevenzione dei rischi, deve quindi utilizzare strumenti improntati
maggiormente al controllo piuttosto che alla repressione (ricordiamo che in fondo la
tossicodipendenza è figlia di quel principio del cervello umano che è la ricerca del
benessere e del piacere). Le neuroscienze e la psicobiologia stanno aprendo capi di
ricerca e studio sempre maggiori, fornendo nuove ipotesi di lavoro e verifica sull’addiction
(consumo abituale di droga), e con il conseguente adattamento biochimico che il sistema
nervoso centrale mette in atto, con un insieme di fenomeni biochimici e congnitivi
(Pulvirenti, 2004).
La CT8 in questo senso (con il suo clima, i rapporti, l’organizzazione del tempo e degli
spazi, le procedure, il linguaggio, i ritualismi, l’auto-aiuto, in quanto struttura sociale, con
proprie dinamiche, sollecitazioni, caratteristiche, progettualità, affetti, modelli, relazioni
umane, gruppi, ecc.) può essere un valido strumento terapeutico: entrando in Comunità,
l’individuo può disporre di nuove e ricche informazioni che attraverso le strutture nervose
approdano alla mente che le utilizzerà per soddisfare le nuove necessità psicofisiche, e
8
CT: il panorama delle CT in Italia è eterogeneo e vasto, relativamente a questo studio però si fa riferimento
a Comunità strutturate sul modello preconizzato da “Progetto Uomo”, filosofia di intervento adottata dal
Centro Italiano si Solidarietà (CeIS) di don Mario Picchi e sviluppata dalla FICT, frutto di elaborazione,
adattamento e sistematizzazione di un precedente modello statunitense, escludendo le Comunità di vita, o di
accoglienza.
36 nuovi processi emotivi e cognitivi trovano così nutrimento, rovesciando quella “miopia
cognitiva “ tipica del tossicodipendente (Bressa e Pisanu, 2012).9
c) STORIA
E
CAMBIAMENTO
DEI
PROCESSI
E
DEI
MODELLI
NELLA
FORMAZIONE DELLE CT:
E’ evidente come il principio di cambiamento tocchi tutte le realtà umane, creando di
conseguenze strutture idonee a quel cambiamento. La CT è uno dei frutti di questo
cambiamento, e in essa per esempio si può notare come sia mutata la tipologia degli
utenti nel corso degli anni, così come è mutato nel tempo il clima sociale nei confronti delle
Comunità Terapeutiche, che vengono riproposte sempre più in termini di contenimento
delle marginalità e di controllo sociale, e così come è mutata la stessa composizione delle
èquipe di lavoro, sempre più professionalizzate. Sono questi gli esempi di come sta
cambiando la realtà del lavoro di comunità, sia dal punto di vista educativo che dell’utenza.
L’atto di educare, visto nell’agevolazione dell’espressione delle potenzialità individuali, e
nel guidare la persona verso la propria realizzazione (distinto dall’azione psico-clinica della
psicoterapia e degli approcci farmacologici e psichiatrici, è mirato maggiormente ad un
intervento basato sul principio della ri-educazione, tipico delle CT, in cui il principio di
appartenenza e quello di identità sono ne fondamenta delle “costruzioni” educative, e
vanno valorizzati in una cultura sempre più presa dal relativismo e dal vuoto dei valori. Le
CT quindi hanno anche la responsabilità di essere tra le ultime detentrici di specifici valori,
da tramandare alle nuove generazioni. Questo perché, a differenza di altro genere di
strutture e servizi, le CT hanno caratteristiche come quelle dell’accoglienza, dell’autoaiuto, di non giudizio e di mai puro assistenzialismo, in una filosofia del cambiamento in
prospettiva di globalizzazione della rete che include anche i “servizi di frontiera” come
quelli per doppia diagnosi.
La formazione dell’Educatore di Comunità nasce in Italia negli anni Settanta e si
colloca nell’allora indefinito gruppo degli Operatori di comunità. Sono anni di grandi
sconvolgimenti e cambiamenti sociali, in cui la latitanza dello Stato dinanzi al disagio e alla
devianza sociale viene fronteggiata dagli interventi del mondo ecclesiale e dal volontariato
9
Riferimenti bibliografici:
Pulvirenti L., Il cervello dipendente, Salani Editore, Milano, 2007.
G. M. Bressa e N. Pisanu, in “La Comunità terapeutica nella società delle dipendenze”, a cura di M.
Palumbo, M. Dondi, C. Torrigiani, Erickson, Trento, 2012.
37 laico e cattolico attraverso forme di associazionismo (ricordiamo ad esempio Don Picchi
con il Centro Italiano di Solidarietà, Don Mazzi con Exodus, Don Gelmini con la Comunità
Incontro; e Bianca Costa con il CeIS di genova, Andrea Muccioli con S. Patrignano) che
avevano in comune il tentativo di arginare un’epidemia, quella della tossicodipendenza,
allontanando il tossicodipendente dalla sostanza, dalla stigmatizzazione sociale e
dall’emarginazione, migliorandone la qualità di vita10, e reinserirlo nel tessuto sociale. La
CT, in quanto struttura sociale di convivenza volta alla riabilitazione ed al reinserimento
sociale delle persone che ad essa si rivolgono (Palmonari, 1991), in alternativa al modello
psichiatrico classico, si caratterizza per una metodologia originale che impegna
direttamente la persona come oggetto attivo della propria azione riabilitatrice (Amico,
2010). Il bacino di questi operatori, fatto da volontari, personale religioso, ex utenti, si
affiancherà pian piano ai pochi professionisti, visti con sospetto perché estranei
all’esperienza rieducativa vissuta sulla propria pelle. La filosofia resta quella dell’autoaiuto, e grande attenzione viene posta alla figura dell’Operatore, quale componente
essenziale, che accoglie responsabilizzando, e professando la solidarietà senza giudizio,
la condivisione, la gratuità, il rispetto della centralità dell’individuo. Con il tempo si è andato
costruendo un profilo dell’Operatore (non senza difficoltà iniziali dal punto di vista
dell’adattamento dei singoli, che spesso si trovavano nella difficoltà di gestire ruoli
complicati, rischiando la sindrome del Burnout, stress eccessivi, innescando un altissimo
turn-over, in mancanza di supporti adeguati e una formazione funzionale) che si è dovuto
barcamenare tra ambiti quali il terapeutico/educativo, il gestionale, la selezione, la
formazione. Il profilo dell’Operatore si è quindi andato costruendo e delineando nel tempo,
investendo sulla formazione degli Operatori per competenze, responsabilità. L’elemento
innovativo per lo sviluppo del profilo dell’Operatore in Italia arriva con la Legge 309/90, la
quale ha sancito tale figura professionale assimilandola a quella dell’Educatore
Professionale (EP). Tale legge, costringendo il privato-sociale ad un repentino sforzo
formativo, ha agevolato la costruzione di una certa qualità professionale, spesso a
10
Qualità della vita: il concetto di qualità della vita diventa sempre più importante all’interno della letteratura
scientifica, riprendendo concetti legati alla filosofia dei diritti civili individuali, di emancipazione, inclusione.
Studi sulla qualità della vita in CT inoltre, anche se mai completamente integrati nella ricerca sulle Comunità
Terapeutiche, hanno permesso di approfondire la comprensione della conoscenza delle CT. Il termine
“qualità della vita”, usato per misurare il benessere dell’individuo, è legato quindi a degli indicatori (alloggio,
istruzione, impiego, salute, ecc.) attraverso cui si possono definire i livelli di quel benessere. Lo studio della
“qualità della vita” nelle CT, concetto relativamente nuovo all’interno delle Comunità Terapeutiche, è stato
affrontato anche nella ricerca fatta sul caso della CT “De Kiem” (Broekaert, 2006, 2009, 2010): secondo tale
studio, la qualità della vita in Comunità ha le proprie caratteristiche basate sull’importanza della
sopravvivenza dei residenti e il recupero in diverse aree della vita.
38 discapito di una formazione filosofica e valoriale che soltanto gli Operatori formatisi “sul
campo” potevano avere. Questa svolta, connettendo il mondo delle Comunità con quello
accademico (specialmente con le Scienze della Formazione e Educazione, con l’attuale
Classe L-19), ha dato vita e costruito il profilo professionale dell’EP di carattere teorico e
tecnico-pratico, nell’ambito di servizi socio educativi, educativo- culturali, extrascolastici,
residenziali, diurni, nei riguardi di persone di età diverse, con la formulazione di progetti
educativi. La tradizione delle CT quindi si fonde con quelle accademiche, creando nuove
conferme e nuovi rischiosi orizzonti e condizionamenti, che dovranno in sostanza collocare
l’agire del “vecchio” Operatore di Comunità nel quadro teorico-pratico della Pedagogia
Speciale, e delle Scienze Pedagogiche, aprendo allo studio e alla ricerca nei campi della
pedagogia, sociologia, medicina, psicologia, antropologia, filosofia, e quindi con una
formazione accademica multidisciplinare e interdisciplinare, imperniata su 4 livelli:
scientifico-empirico, teorico-culturale, metodologico- tecnico, pratico. Resta fondamentale
tuttavia, per completare il processo di crescita dell’Educatore, la formazione permanente
attraverso l’esperienza lavorativa; le sollecitazioni infatti che l’educatore riceve in
Comunità sono molteplici,a livello emotivo, affettivo, sul piano dell’autorevolezza: il
relazionarsi con personalità devianti, o affette da patologie psichiche o fisiche, o con
esperienze delinquenziali o di emarginazione, mette a dura prova la personalità
dell’Educatore, la cui intenzionalità educativa si scontra quotidianamente con la
disponibilità o imponderabilità degli utenti. Lavorare in CT esige una scelta mirata, e un
processo formativo assiduo. La CT - laboratorio micro sociale ed esperienziale
estremamente composito e ricco, che ha una propria filosofia e un proprio complesso
modello ri-educativo, antropologico e di intervento,con una valenza altamente simbolica dovrà quindi sempre più investire su interventi multidisciplinari e formazione (Pisanu,
2012).11
Ma la formazione deve avvenire anche attraverso lo scambio di competenze e
l’innovazione tra gli operatori delle dipendenze. In ambito Europeo ad esempio, nel
comunicato della Conferenza dei Ministri del settembre 2003, i responsabili dei Ministeri
dell’Università dei Paesi appartenenti all’area del Processo di Bologna hanno riaffermato
11
Riferimenti bibliografici:
Pisanu N., in “La Comunità terapeutica nella società delle dipendenze”, a cura di M. Palumbo, M.
Dondi, C. Torrigiani, Erickson, Trento, 2012.
39 l’importanza della dimensione sociale del processo stesso. In tale contesto i ministri hanno
ribadito la loro posizione riguardo al riconoscimento della formazione universitaria come
un bene comune, e una responsabilità comune, affermando il prevalere dei valori culturali
e scientifici su quelli economici. Questa esperienza si colloca in coerenza con quanto
stabilito dai descrittori di Dublino, secondo cui lo sviluppo delle competenze deve avvenire
ponendo gli obiettivi su 5 assi di riferimento, quali: conoscenza e comprensione,
conoscenza
e
comprensione
applicate,
autonomia
di
giudizio,
comunicazione,
acquisizione della capacità di formarsi in autonomia. Un esempio a tal proposito è
l’esperienza “ECEtt”, un progetto dell’associazione belga Trempoline finanziato dalla
Comunità Europea nell’ambito dell’iniziativa “Leonardo Da Vinci” per il periodo 2009-2011.
ECEtt è una rete europea di scambio di saperi per le professioni legate al trattamento delle
dipendenze patologiche ed è stato poi trasferito anche in altri ambiti, quali il lavoro sociale,
la prevenzione, l’insegnamento. La rete ECEtt, basata sui principi del compagnonnage
(tradizione europea che esiste dal Medioevo, quando i costruttori di cattedrali si recavano
in visita ai cantieri dei colleghi per apprendere tecniche, utilizzo di macchine, soluzioni
strutturali), trasferisce tali principi alle professioni legate all’educazione e alla gestione
delle risorse umane: gli operatori di Comunità Terapeutiche per tossicodipendenti sono
stati la prima rete professionale ad adottare tale modello, fondata su 3 elementi fondanti:
1. Il metodo ECEtt è un processo di formazione realizzato attraverso le visite di servizi e
progetti, trasversale a tutte le reti professionali, si basa su un ufficio centrale in Belgio, che
coordina altri sportelli in diversi paesi (Spagna, Italia, Grecia, Polonia, ecc.). 2. L’offerta di
saperi è il secondo elemento, è una base di dati e lista di esperienze e buone pratiche. 3.
La banca dati dei tirocinanti costituisce il terzo elemento fondante, accedere ad essa vuol
dire accedere alla rete di esperienze, e poter pianificare una visita (con stage o tirocinio)
strutturata in due giorni o in tempi più lunghi, nei quali gli operatori possono esplorare le
buone pratiche o migliorare le proprie competenze (G. van der Straten, 2012). 12
Il trattamento delle tossicodipendenze attuato in CT deve essere inquadrato nella
famiglia delle politiche attive (che richiedono l’attivazione – o motivazione - dei destinatari),
per le quali l’individuo interessato, l’utente, è l’attore e protagonista principale di un
processo di cambiamento. Tuttavia, in un discorso di politica formativa sempre crescente,
12
Riferimenti bibliografici:
George van der Straten, in “La Comunità terapeutica nella società delle dipendenze”, a cura di M.
Palumbo, M. Dondi, C. Torrigiani, Erickson, Trento, 2012.
40 resta importante e fondamentale la valutazione e la riflessione sui requisiti necessari per la
valutazione dei servizi per le tossicodipendenze. A tal proposito, per esempio, tra le CT
che operano nel settore, il Centro di Solidarietà di Genova, che fin dal 1973 si occupa di
emarginazione giovanile e recupero dei tossicodipendenti, ha da tempo avviato una
riflessione generale sulla valutazione dei servizi erogati promuovendo un percorso di
ricerca finalizzato alla valutazione dei servizi erogati e degli outcome prodotti dall’Unità
Operativa Comunità Terapeutica tradizionale (C. Torrigiani, 2012). 13
13
Riferimenti bibliografici:
Torrigiani C., in “La Comunità terapeutica nella società delle dipendenze”, a cura di M. Palumbo, M.
Dondi, C. Torrigiani, Erickson, Trento, 2012.
41 42 CAPITOLO 2
ADOLESCENTI IN COMUNITA’ TERAPEUTICA:
CARATTERISTICHE DELL’ACCOGLIENZA, DELL’ASCOLTO E DELLA PAROLA
“Abitiamo in un mondo che ci propone una vita piena di confort e optionals e non ci
educa ad assumerci responsabilità. Le comodità, da cui gli individui sono ormai
dipendenti, rappresentano una facile fuga dalla realtà: responsabilità e rischio sembrano
dunque faccende a cui non dare importanza, considerate inutili o poco rilevanti per la
cultura odierna”. Così esordisce Luca Mingarelli, psicologo e psicoterapeuta, del suo libro
“Adolescenze difficili” (Ed. Ananke, 2009) dando
testimonianza dell’esperienza nella
nascita ed evoluzione della Comunità per adolescenti Rosa dei Venti e facendola divenire
possibilità di scambio e memoria, confronto e apprendimento. Il tema è quello degli
adolescenti quindi, che dividendosi tra responsabilità, autonomia e autorità, spesso
cadono in ambivalenze e contraddizioni, tipiche della loro età. L’adolescenza è anche il
tempo in cui si impara a scegliere, di conseguenza l’adulto ha il ruolo e la responsabilità di
far fare esperienze in tal senso e di mettere di fronte a scelte da compiere. C’è bisogno di
aiutare l’adolescente a rispecchiarsi, e a comprendere le possibili conseguenze che le
scelte e le azioni fatte possono determinare nel proprio percorso di crescita e nelle
relazioni con gli altri. L’adolescenza inoltre è il periodo in cui il corpo si trasforma
rapidamente e in modo altamente significativo, suscitando nel soggetto che entra in
contatto con tale cambiamento, differenti vissuti ed emozioni.
Enrico Pedriali a tal proposito ricorda infatti come “da tempo ormai nel nostro paese
l’interesse per i problemi dell’età adolescenziale ha stimolato un’elaborazione teoricoclinica di buon livello, ma la cultura istituzionale rimane ancora debole per due motivi. Il
primo deriva dalla tradizione solidaristico-caritativa e il secondo è la conseguenza del
pregiudizio anti istituzionale che ha frenato per anni una valida sperimentazione in questo
ambito. Ciò nonostante sono proliferate negli ultimi anni strutture di accoglienza definite
tout-court Comunità e si caratterizzano per l’eterogeneità dell’utenza, dei modelli teorici e
delle prassi operative”.
Il modello proposto da Luca Mingarelli nella sua CT mette a fuoco delle linee guida:
Terapia, Educazione, Arte, Natura. Queste quattro direttrici si intersecano continuamente
nella CT Rosa dei Venti, e insieme concorrono a determinare il progetto terapeutico
43 globale di ogni singolo paziente. Il curante è la CT degli operatori, che propongono un
progetto e cercano di collaborare il meglio possibile con i genitori e i servizi pubblici. Le
azioni della rete curante si sforzano di divenire il contenitore delle parti disturbate e
disturbanti della personalità degli abitanti la CT, di rendere manifeste le potenzialità e i
livelli di autonomia e di facilitare la re-integrazione sociale. Per fare ciò è fondamentale
l’auto-osservazione, e per sopravvivere alle forti tensioni sempre presenti in questo tipo di
contesti, è importante sviluppare un alto grado di tolleranza. Mingarelli propone uno stile di
ricerca-azione i cui elementi base sono: terapia,educazione, natura ed arte. Assieme alla
natura, l’arte in CT, spiega, è un elemento basilare in quanto azione contenente la
possibilità di esprimere ciò che abita dentro ognuno di noi, pensieri, emozioni, visioni. Per
cui ci sono momenti in CT condotti da arte terapeuti, da artisti veri e propri, dagli educatori
stessi: l’arte diventa quindi stimolo verso una cultura della bellezza. E quindi, se il
terapeuta è colui che rispetta la propria anima, quella di chi chiede aiuto, degli altri e del
mondo, e l’educazione è la capacità di facilitare l’emergere delle potenzialità della
persona, diventando così percorso di conoscenza, esperienza, l’educare e il fare terapia
sono entrambi connessi all’imparare, al crescere, al cambiamento.
Educazione e terapia quindi cercano entrambe un’interazione con la profondità
dell’essere, anche se mentre la prima si dovrebbe svolgere durante tutto il tempo della
vita, la seconda si attua solo temporaneamente con quelle persone bisognose di aiuto. L.
Mingarelli propone quindi un approccio artigianale, in cui la CT diviene un essere vivente,
uno spazio di incontri e scontri, dove la difficile sfida del convivere è amplificata in
relazione all’età del gioco ed alle problematiche personali degli adolescenti residenti. È un
luogo di ricerca-azione, dove si prova continuamente a integrare il fare educativo e il
pensare terapeutico e a sostenere e realizzare progetti comuni. Si tratta quindi di un lavoro
dove è necessario assumersi la responsabilità di tenere assieme, mettere assieme i
frammenti della personalità dell’adolescente residente; la CT per adolescenti è un sistema
complesso e in continuo instabile movimento, come del resto lo è l’adolescenza; lo spazio
di vita della comunità è principalmente la casa, e all’interno di essa la vita quotidiana gioca
un ruolo essenziale nel processo di cura. L’esempio illustrato da Mingarelli è quanto mai
indicativo e opportuno per questo nostro studio, in cui una precisa e oculata attenzione
alle caratteristiche che una CT dovrebbe avere, è cosa fondamentale. Caratteristiche
appunto, che spesso gli adolescenti ospiti identificano in un doppio binomio ComunitàCarcere o Comunità-Albergo, e in base al quale di conseguenza attivano tutta una serie di
comportamenti oppositivi da un lato o richiestivi dall’altro, rendendo difficile per gli
44 educatori riuscire a mantenere sempre un ruolo professionale, in cui le azioni educative
possano contenere gli agiti disfunzionali degli utenti, all’interno di una Comunitàcontenitore in cui i confini siano permeabili e la esplorazione e la contaminazione possano
diventare aspetti funzionali. Altra immagine esaustiva della CT è quella che la rappresenta
come un porto, come un luogo di transito e di passaggio quindi, dove persone si
incontrano per caso e poi si separano, e dove la sosta è limitata nel tempo.
Importante quindi è come si vive la Comunità-Casa. Nel rapporto con essa si cerca
di integrare aspetti artistici, poetici, estetici, con una visione terapeutico-educativa
costante. Aver cura della casa, quindi, o imparare ad averla, può fare da comportamento
specchio di una ritrovata cura di se stessi, amore per la propria vita, e quindi il lavoro
educativo volto a spronare i ragazzi a favorire una tendenza all’ordine e all’autonomia
all’interno della CT è funzionale all’obiettivo sopra descritto. E gli adulti (educatori,
operatori, volontari, ecc.) devono dare il buon esempio per favorire il processo di
imitazione che porterà poi allo svilupparsi nei ragazzi di un senso di rispetto e
appartenenza della casa-comunità. Gli adolescenti ospiti per esempio possono essere
agevolati attraverso l’istituzione di un mansionario, adattato alle capacità di ognuno
ovviamente, accolti nei loro bisogni, nelle loro crisi, contenuti, compresi. Sarà
fondamentale per l’educatore chiedersi cosa voglia esprimere o dire quel minore
attraverso quel suo comportamento o atteggiamento, senza essere ovviamente sempre
disponibili e accondiscendenti, ma sostenendoli e ponendosi domande sul significato dei
loro agiti, e sull’effettiva sanità del bisogno da loro espresso.
Diversi sono i ruoli che collaborano in una CT (psicoterapeuta, infermiere,
neuropsichiatra, artigiano, ecc.), tuttavia la figura base rimane quella dell’educatore: il
ruolo dell’educatore richiede un sistema di protezione e supporto, che prevede riunioni di
equipe settimanali, formazione, supervisioni. Per l’educatore, artigiano dell’educazione e
artista della relazione, è poi fondamentale la formazione sul campo, e alcune capacità si
acquisiscono proprio con essa: il saper “fare con”, l’essere in grado di farsi e fare
domande, saper entrare in una relazione empatica, saper esercitare la funzione paterna,
favorire la comunicazione, saper condurre attività ludico-ricreative, costruire “reti” con il
sociale, saper sviluppare una specie di “fiuto” per le situazioni critiche, saper calibrare
disciplina e spontaneità, avere consapevolezza delle azioni educative, essere creativo, a
generare idee, imparare a rispettare i tempi di ognuno, saper gestire il management della
frustrazione come possibilità educativa e terapeutica e far capire il valore del tempo
dell’attesa; imparare e insegnare ad avere cura di sé stessi tramite il prendersi cura dello
45 spazio-casa, ad acquisire l’arte della manutenzione come sinonimo di non-spreco, in una
via ecologica e economica: prendersi cura dello spazio-casa in senso funzionale e
creativo, in cui la casa è corpo collettivo, grande laboratorio e contenitore, luogo di lotta
continua tra educatori ed ospiti. Altro tema centrale e fondamentale è il cosiddetto
Progetto Individuale, necessaria possibilità evolutiva per l’adolescente ospite della CT. Il
Progetto ha la potenzialità di connettere l’intervento di tutti gli operatori, che anche se in
misura differente sono coinvolti e hanno il diritto di dire la loro opinione e di esserne parte,
e questo vale anche per le famiglie e i servizi. Il progetto quindi diventa una “mappa” e
traccia il percorso che si intende intraprendere: dalla fase di inserimento in CT a quella di
preselezione e selezione (valutando l’età, la storia, il comportamento, la situazione
familiare, ecc.), dallo studio della compatibilità/incompatibilità con gli altri ospiti della CT, al
lavoro motivazionale. Il Progetto deve essere garante dell’alternanza tra disciplina-regola e
momenti liberi e autogestiti, tra momenti collettivi e momenti individuali, tra pubblico e
privato, dentro e fuori. Fondamentali saranno le creazioni di tempi e spazi strutturati sia
individuali che di gruppo, in cui gli ospiti si possano esprimere, confrontare, su progetti,
desideri, gioie, sofferenze, conflitti, ansie (per esempio nelle assemblee settimanali, nei
gruppi educativi, nelle riunioni con gli operatori, ecc.).
Così come fondamentali saranno i contatti con il Servizio Inviante, la comunicazione
e condivisione con il sistema familiare, la prima visita introduttiva in cui vengono
presentate le regole della CT relative alla convivenza, l’accoglienza, i contatti del minore
con la famiglia (telefonate, visite, i rientri a casa), i primi periodi di permanenza in CT,
l’individuazione e assegnazione al minore di un educatore referente, la nuova dinamica
interna al gruppo degli ospiti in seguito all’ingresso del nuovo ragazzo (se entra un minore
con problemi di dipendenza, o una ragazza per esempio). La fase di immissione è il
momento critico: il minore varca la soglia fisica, emotiva e psichica e del separarsi
dall’ambiente di provenienza, e vive forti emozioni contrastanti. L’azione di accoglienza
quindi sarà decisa sulla base delle caratteristiche del minore, e nelle settimane successive
gli educatori attiveranno un processo di osservazione e ascolto in relazione a parametri
ben precisi (identità, movimento, cura di sé, relazione con il cibo, sessualità e affettività,
relazione coi pari, relazione con gli educatori, con il territorio, la famiglia, la gestione del
tempo libero, con il sonno, etc.). Successivamente quindi sarà scritto il progetto, sulla base
dei dati raccolti, in un documento semplice e comprensibile, e firmato e condiviso con il
ragazzo, con la famiglia, e i Servizi invianti. Il progetto, aggiornato periodicamente in
condivisione con il ragazzo, sarà attuato grazie al supporto dell’educatore referente (e
46 verrà supervisionato dal coordinatore e dal gruppo terapeutico) attraverso azioni e
mansioni ben precise, come l’attuazione di colloqui individuali a cadenza settimanale con
l’ospite, attraverso la verifica delle esperienze esterne (scuola, sport, tirocini), dell’aspetto
igienico del ragazzo, la verifica dei bisogni di acquisti del ragazzo (abbigliamento, giochi,
etc.), la compilazione delle schede di verifica del progetto, la coprogettazione in riunione di
equipe di interventi/sanzioni, collaborazione con l’infermiere per eventuali questioni
mediche.
La dimissione è un altro momento fondamentale, avviene solitamente dopo 2 o 3
anni, e si dovrebbe verificare su decisione del gruppo clinico. Ma a volte avviene su
richiesta (non condivisa) della famiglia o del servizio inviante, o a compimento del
diciottesimo anno di età dell’ospite. È certo che è segno di maturità quando un
adolescente al compimento dei 18 anni decide di restare in CT per terminare il Progetto in
tempo utile. Può capitare che le dimissioni avvengano perché la CT si percepisce non
adeguata al minore, e che quindi lo indirizza nuovamente al servizio inviante per la ricerca
di una struttura più idonea. Resta comunque fondamentale studiare “il momento giusto” di
dimissione, ovvero quello più funzionale all’ospite, che dovrà poi essere accolto dalla
famiglia, dal territorio, ecc. Tale momento, proprio perché delicato e importante, dovrà
essere individuato dalla CT in accordo e condiviso con l’ospite, la famiglia e il Servizio. Gli
ultimi periodi di permanenza del minore in CT dovranno essere utilizzati per dare un
rinforzo positivo al ragazzo, per affrontare il tema della separazione, autonomia,
autogestione. In tale fase vengono organizzati incontri e contatti più frequenti quindi con i
Servizi invianti, con la famiglia, che proseguiranno a mantenere il loro ruolo di supporto
nella fase del reinserimento. Verrà consegnata ai Servizi la relazione di dimissione, e si
richiederà all’ospite di compilare per iscritto negli ultimi giorni di permanenza un
questionario relativo alla sua permanenza in CT (elencando episodi significativi, cosa ha
imparato in CT, quale l’episodio più difficile, critiche e consigli agli operatori, quale il
momento più felice). Il tutto avverrà con la consapevolezza che la fine di un percorso è
l’inizio di una nuova tappa, a genera differenti emozioni: alcuni ragazzi si commuoveranno
all’idea di doversi separare dalla CT, altri saranno contenti di tornare in famiglia, altri
telefoneranno in CT nei giorni successivi al reinserimento, altri non si faranno più sentire.
Riflessioni vanno fatte su questioni quali la metodologia e gli strumenti. Luca Mingarelli
(2009) suggerisce un modello multidisciplinare in cui
essi possano essere flessibili e
adattati in itinere al contesto di tipologia dell’utenza. La domanda che ci poniamo quindi è:
“Cosa serve far sapere agli educatori per facilitare il saper fare in comunità?”. Si
47 suggerisce l’utilizzo di strumenti specifici. Il primo è quello dei “valori condivisi”, redatti in
un vero e proprio documento finale (mission) ed elaborato in una riunione a cui
partecipano tutti i membri dell’equipe (nel quale sono stati elencati valori come: la capacità
di ascolto, il “qui per apprendere”, la diversità come valore, la visione eazione ecologica).
Altro strumento indicato è quello delle “regole e segni”: la costruzione di regole e
regolamenti è la base necessaria per cercare di convivere in qualsiasi sistema sociale,
nazione, famiglia. Pertanto il regolamento, redatto, letto, discusso nel momento
dell’inserimento di un nuovo ragazzo, o durante le assemblee, ha lo scopo di far vivere in
modo armonico la CT. Tra le regole di base vi è la non violenza, il rispetto di ogni persona,
il rispetto del mansionario quotidiano (relativo alle pulizie della casa, orari dei pasti), il
rispetto degli spazi personali, il divieto dell’uso di stupefacenti, alcolici o droghe.
Naturalmente è prevista la continua contestazione di tali regole da parte dei ragazzi ospiti,
a cui gli educatori devono rispondere in maniera adeguata con autorità, competenza, e
capacità contenitiva della CT. ovviamente le regole potranno essere modificate dall’equipe
multidisciplinare adattandole al mutamento del complessivo contesto e della tipologia degli
utenti ospiti presenti. E quando c’è una trasgressione, si valuta in equipe la risposta da
dare, la sanzione (dalle azioni da fare o limitazioni, all’espulsione, dalla rimodulazione
della fiducia, alla verbalizzazione sempre e comunque del disaccordo con quanto
accaduto o agito dall’ospite), che deve essere azione contenitiva dell’agito e di ausilio nel
processo di consapevolezza dei propri limiti e di convivenza sociale del minore. Altro
strumento utile: “il passaggio di consegna”. Esso ha luogo quando gli educatori stanno per
terminare il loro turno di lavoro e trasmettono ai colleghi entrati i fatti rilevanti accaduti.
Esso garantisce quindi continuità allo svolgimento del programma terapeutico ed
educativo, e si fa nel cambio turno degli educatori la mattina, il pomeriggio o la sera.
È un momento di rapido confronto ed elaborazione (massimo 30 minuti) di azioni
educative, che favorisce la strutturazione della vita quotidiana e la prosecuzione del lavoro
e dei Progetti individuali. Il “coordinamento terapeutico” è uno strumento a cadenza
settimanale, dura un’ora e mezza ed è tenuto dal coordinatore della CT, dal
neuropsichiatra e dalla psicoterapeuta: tale incontro orienta il lavoro di tutti gli operatori ed
ha lo scopo di individuare strategie/direttive di intervento terapeutico integrate rispetto ai
Progetti, alle dinamiche di gruppo, alle emergenze,definire un ordine del giorno per la
riunione d’equipe, verificare l’effetto delle azioni individuate nella riunione della settimana
precedente, studiare le immissioni e dimissioni degli ospiti, ecc. La “riunione di Comunità”
è un momento di incontro tra tutti gli operatori della CT (educatori, infermiere, tirocinanti,
48 coordinatore, psicoterapeuta, ecc.), si tiene settimanalmente e dura circa 2 ore. È uno
strumento il cui compito primario è la condivisione dei vissuti emotivi che i pazienti con i
loro comportamenti stimolano negli educatori e terapeuti, e delle conseguenti strategie
terapeutiche individuate dal gruppo clinico. Si cerca di creare strategie di intervento per
ogni singolo caso.
La “riunione organizzativa del gruppo educativo”, a cadenza settimanale e della
durata di 2 ore, vede la partecipazione degli educatori, del capo-casa, e del coordinatore
della CT, con l’obiettivo di definire e applicare le questioni organizzative ed inerenti al
mansionario degli ospiti in linea con le strategie terapeutiche decise in riunione d’equipe.”
L’assemblea di Comunità”, a cadenza settimanale, dura 45 minuti, e vede presente alcuni
educatori, il capo-casa, e tutti gli ospiti. Il coordinatore e il neuropsichiatra conducono
l’incontro: lo scopo, dare valenza al gruppo, creando un setting strutturato e formale, di
discussione e condivisione della vita in CT, un gruppo, nel quale i ragazzi possano
esprimersi e confidarsi. Fondamentali sono anche i “tempi autogestiti”, momenti in cui i
ragazzi non sono controllati, e possono fare ciò che vogliono, momenti quindi in cui i
ragazzi vivono un atto di fiducia da parte degli adulti, e che utilizzano per attività legate alla
scuola, alla cura di sé, della casa. Questi sono momenti importanti, in quanto stimolano il
senso di responsabilità e autonomia, auto-organizzazione e sperimentazione. Per quanto
riguarda i “rapporti con i genitori o parenti” invece bisogna partire dalla osservazione
secondo cui essendo la CT un sostituto temporaneo della famiglia, quest’ultima si troverà
a vivere emozioni contrastanti nei confronti della CT (quali rabbia, ansia, invidia, gelosia,
tristezza per quel figlio “rapito”): sarà quindi fondamentale, con l’aiuto dei Servizi, costruire
la storia familiare, e strutturare degli incontri periodici in CT con il sistema familiare, che va
quindi coinvolto, a volte contenuto, con l’obiettivo di fare in modo che sia (quando
possibile) una risorsa efficace per il Programma Terapeutico del minore ospite. Negli
incontri in CT con la famiglia, spesso si affrontano temi quali la storia e il comportamento
del ragazzo durante i rientri e le verifiche a casa, la condivisione di prescrizioni e consigli
per un’adeguata alleanza terapeutica anche con i genitori del ragazzo, e le questioni
organizzative riguardanti farmaci, telefonate, denaro, ecc.
Sarà fondamentale che gli educatori abbiano la consapevolezza che anche i
genitori degli ospiti avranno bisogno di essere orientati e contenuti, per mantenere la
giusta chiarezza e rispetto dei ruoli, e creare alleanze, così come andranno maggiormente
coinvolti in maniera graduale quei genitori che si mostreranno “invisibili”. Per tali azioni
comunque, e per tutte le altre, gli educatori dovranno seguire le indicazioni riportate nel
49 loro mansionario, e quindi rispettare l’organigramma dello staff degli operatori, i ruoli
assegnati ad ogni figura professionale, e relativi compiti (come ad esempio condividere in
equipe decisioni relative alla modifica nella struttura degli incontri tra minore e famiglia).
Fondamentale in questo caso sarà il ruolo della Direzione del Personale, che avrà il
compito di far rispettare e applicare il mansionario, di governare i confini, di esercitare
funzioni di controllo e delega. Luca Mingarelli descrive in maniera dettagliata il
Mansionario dell’educatore che viene osservato nella sua CT la Rosa dei Venti. Cita
Winnicott a tal proposito, e i suoi 4 elementi fondamentali dell’agire dell’educatore, quali la
stabilità emotiva e psicofisica, la capacità di assumersi responsabilità, la capacità di
apprendere dall’esperienza, la capacità di agire in modo diretto e spontaneo.
L’educatore quindi deve conoscere la storia di ogni ospite (lettura PTEI), gli obiettivi
clinici, partecipare alle riunioni di equipe, garantire con la sua presenza empatica il
sostegno e la tutela degli ospiti, deve raccogliere e dare le informazioni ai suoi colleghi
durante il passaggio di consegne e attraverso il diario di bordo, in uno spirito di
cooperazione continuo. Egli deve curare gli aspetti affettivi e concreti di relazione abitativa
dei ragazzi con il luogo casa, stimolarli all’autonomia e alla valorizzazione delle
potenzialità inespresse. Fondamentale diviene il laboratorio di vita quotidiana che è la
Comunità-casa, in cui il “fare con” non dovrà mai essere sostituito dal “fare per”; egli deve
gestire e verificare l’assunzione delle terapie farmacologiche, lo svolgimento dei momenti
di pulizia e di igiene personale stabiliti dal Programma educativo, collaborare assieme ai
ragazzi nella verifica degli acquisti alimentari per la preparazione dei pasti, gestire lo stato
di pulizia e ordine delle camere, armadi, gestire come da procedure i momenti di crisi e
fughe, le sanzioni concordate in equipe, accompagna i ragazzi verso le varie attività
(scuola, visite mediche, tirocini, ecc.), il tutto in stretto contatto con il Coordinatore della CT
che sarà sempre messo al corrente dell’andamento della casa sia verbalmente che con
relazioni scritte mensilmente. Fondamentali saranno ovviamente i rapporti con la Direzione
del Personale (per condividere il piano esecutivo, per usufruire di una formazione di
gruppo periodica, per ricevere supporto nel ruolo educativo, ecc.), con la direzione Clinica
(per ricevere indicazioni cliniche sugli ospiti, riferire eventuali situazioni di emergenza, per
attenersi alle prescrizioni farmacologiche di ogni singolo ospite), con i genitori (filtrando le
telefonate, ecc.); con la formazione, il cui scopo primario è quello di imparare ad imparare,
acquisendo nuove competenze e sviluppando sensibilità; è un lavoro faticoso che richiede
continue riflessioni, consapevolezze e “digestioni” di ciò che si fa, il tutto attraverso le
riunioni, i gruppi educativi, i gruppi clinici, le riunioni di supervisione (in cui si creano spazi
50 di condivisione ed espressione delle difficoltà soggettive, si favoriscono l’emergere di
conflitti, giochi di potere, competizioni, spesso inconsce, evidenziare e favorire i processi
di autonomia), i confronti periodici con operatori di altre CT, gli incontri con formatori
esterni, così come con ospiti eccezionali di culture lontane e con competenze assai
differenti dal nostro ambito). Infine con il corpo, e con l’idea di corpo, che è anche mezzo
di espressione, comunicazione, che nel periodo dell’adolescenza subisce cambiamenti,
dell’immagine corporea, del bisogno di comunicare, che attraverso il corpo trova una prima
risposta espressiva (Luca Mingarelli, 2009).
A tutto ciò si aggiunge l’intervento psicoterapeutico, che all’interno di una CT si
connota come setting-contesto, ovvero non prescinde dall’insieme delle terapie educative
e riabilitative che operano nella struttura come luogo di cura. La CT diventa quindi un
organismo complesso, agente di trasformazione dello stato di coscienza delle persone
ospiti. Le CT sono strutture intermedie che accolgono i ragazzi per un periodo limitato e
determinato dal Progetto individuale. All’interno della relazione di alleanza (o trasferale) si
costituirà quindi un agire terapeutico come teatro di un intervento creativo ristrutturante. Si
attua (non senza fatica e opposizioni da parte degli ospiti) quella che è definita una
“correzione emotiva”, nella quale si cerca a volte di impedire al paziente di ritirarsi nelle
difese schizoidi o regredite che spesso essi utilizzano per evitare la realtà esterna. E la CT
deve diventare strumento terapeutico per il raggiungimento di tale obiettivo: “attraverso il
suo potere terapeutico, e grazie ai suoi processi identificativi e trasferali, deve favorire la
trasformazione della pulsione distruttiva in atto creativo” (D. W. Winnicott, 1968).
Difatti, nelle psicosi e nei disturbi di personalità il paziente ha perso il valore
strutturale e regolamentativo degli oggetti transazionali, e quindi la CT (come luogo
contenitivo, holding) può favorire a livello analogico e simbolico un valido spazio di cura e
compensazione di questi momenti precedentemente persi dai propri ospiti.
Come dice Italo Carta infatti, “… il setting della riabilitazione è uno spazio in cui si
decantano e potenziano le tensioni distruttive che non consentono l’espressione della
fantasia creativa, che distruggono gli oggetti indipendentemente dalla messa in atto di
operazioni esplorative,manipolative, trasformative”.
Nel modello della CT La Rosa dei Venti, si dedica un’attenzione particolare al tema
della natura come setting educativo-terapeutico: il contatto con la natura è un ingrediente
fondamentale da integrare nel processo di cura di una CT. L’esperienza di contatto con la
Natura, la sua autonomia e la sua potenza, può facilitare e completare il processo di cura:
la natura quindi diventa elemento curativo e ha al suo interno elementi quali il ritmo e la
51 ripetizione, di cui molto spesso gli ospiti della CT ne hanno perso il senso. La natura
diventa così contesto e possibilità di esperienze formative, in continuo cambiamento di
suoni, colori, odori, clima, pieno di stimoli, luogo curativo che richiede a coloro che
ricercano un contatto con essa, uno sforzo di adattamento continuo: utilizzare un rifugio di
montagna, scendere nelle grotte, risalire un torrente, sono importanti ai fini dell’esperienza
tanto quanto la preparazione degli zaini, lo studio delle mappe, la progettazione
dell’itinerario. Il camminare costituisce l’azione base di tali uscite, e attraverso un obiettivo
comune in cui ci si sostiene a vicenda e in cui dinamiche relazionali portano alla
costituzione di una leadership tipica di ogni gruppo,si impara a stare attenti e cauti nel
rapporto diretto con la natura, imparando a reagire agli imprevisti per esempio. Anche
l’esperienza della gestione e cura dell’orto o di un giardino può essere un ulteriore
esempio di pratica in CT della natura, indiscusso elemento che contiene e integra in se
stessa aspetti formativi, pedagogici, estetici e culturali che diviene possibilità concreta di
apprendimento per chi abita la Comunità.
Ma una riflessione su quali siano i limiti che spesso una CT si trova a fronteggiare
(dal turn over degli operatori, causato da questioni economiche, a questioni formative, alla
gestione delle emergenze, per cui la CT non è sempre attrezzata; dalla costruzione delle
reti che spesso complicano la coordinazione di tutte le parti in causa, alla inesperienza che
a volte gli educatori hanno relativamente alla gestione diretta della casa; altro limite di
gestione è legato ai cambiamenti nel tempo delle tipologie degli adolescenti che arrivano
in CT: una volta erano prevalenti le psicosi, ora le situazioni di borderline, bullismo,
devianza e antisocialità), è quanto mai opportuna ed utile al continuo adattamento e alle
nuove competenze e nuovi linguaggi che le èquipe devono acquisire. Mario Perini,
psichiatra, propone una figura e una immagine nuova delle istituzioni terapeutiche per
adolescenti, individuandole come zii sociali, ovvero genitori di riserva per ragazzi che
spesso psicotici o portatori di disturbi di personalità, sono adolescenti il cui scenario quindi
è aggravato proprio dalla loro condizione evolutiva. Quando l’istituzione primaria o
“naturale” quale è la famiglia, viene meno, o è inadeguata, le istituzioni secondarie
(scuola, gruppo dei pari, associazioni giovanili, Chiesa, servizi per la gioventù), e quelle
ausiliarie o sostitutive (consultori, servizi sociali, Sert, CT, Tribunale per i Minorenni)
assumono un ruolo e una valenza fondamentali per il giusto sviluppo e la sana formazione
del minore, soprattutto per quegli adolescenti “difficili”. L’adolescenza (i problemi
adolescenziali, le crisi di sviluppo, ecc.) è stata per lungo tempo terra di nessuno, e solo
52 negli ultimi 10 anni l’attenzione su questa fase evolutiva dell’essere umano si è fatta più
audace.
F. Cardona (1992) individua a tal proposito 4 funzioni o compiti che le Istituzioni per
adolescenti devono avere: crescere, educare, curare, contenere. E tali funzioni per poter
essere svolte devono essere sostenute da atteggiamenti precisi, quali la capacità di
ascoltare, di accogliere (comfort o maternage), di prendersi cura, di fronteggiare, che gli
adulti (curanti, educatori, ecc.) nel loro ruolo devono possedere assieme a quella che è
definita la “gestione del confine” con il minore, assumendo precise funzioni, quali: il fornire
controlli esterni che non siano sadici o vendicativi o seduttivi, fornire strumenti di
simbolizzazione che arginino l’impulsività e diano senso all’esperienza, costruire momenti
di contatto e comunicazione capaci di trasmettere un genuino interesse e fondati sulla
sincerità e il rispetto, e sull’attenta gestione della distanza, lasciarsi usare come modelli
extrafamiliari
di
identificazione
positiva,
personale,
sessuale,
senza
entrare
in
competizione con la famiglia o colludere con l’adolescente. Stabilire in una CT norme e
regole adeguate, sarà un ottimo mezzo per delineare confini sani e funzionali (per
esempio: non fumare nelle stanze, non rifiutare attività di gruppo).
È evidente inoltre come il lavoro con gli adolescenti di per sé crea una certa quantità di
inevitabile ansia e stress: lavorare con gli adolescenti espone a emozioni violente e a
conflitti e stati mentali di grande confusione, diventando a volte logorante e rischioso. I
ragazzi, spesso aggressivi e provocatori, possono portare ansia, frustrazione, confusione
negli operatori di una CT. Una parte di tale “tossicità” è intrinseca nel rapporto adultoadolescente, ulteriori difficoltà di gestione di tale realtà può poi dipendere dalla personalità
degli operatori 8° volte troppo rigida, o immatura, o scarsamente empatica, o incapace di
tollerare ansia e frustrazioni). Premettendo che non tutti sono adatti a lavorare con gli
adolescenti (alcuni operatori per esempio operano in una mancanza di contatto con la
propria adolescenza passata, dimenticandone le caratteristiche; altri saranno influenzati
da aspetti irrisolti e problematici della propria vicenda adolescenziale), tra i rischi a cui gli
operatori vanno in contro ci sono ad esempio modelli di relazione stereotipati
(prevalentemente inconsci) che possono inficiare la relazione con gli adolescenti ospiti e il
lavoro stesso, per esempio: il modello paternalistico (massiccia identificazione
dell’operatore con il genitore normativo, controllante degli impulsi aggressivi e sessuali), il
modello materno (identificazione degli operatori con il genitore protettivo, per il quale i
figli/pazienti sono ancora piccoli e dipendenti), il modello cameratistico (basato sulla
53 identificazione degli operatori con l’adolescente, e in una relazione tra fratelli contro i
genitori/adulti/comunità vissuti come nemici).
Modelli di per sé non sbagliati, né pericolosi, se non sono però utilizzati in maniera
rigida o stereotipata, ma vengono utilizzati in maniera flessibile e consapevole. A. H.
Williams (1971) in un suo articolo sui rischi nel lavoro con gli adolescenti disturbati
distingueva tre ruoli chiave nel lavoro istituzionale con gli adolescenti: il tutor, che dà
ordini,
limiti,
confini,
protezione,
controllo,secondo
un
codice
prevalentemente
maschile/paterno; il caregiver, che dà alle comunicazioni adolescenziali accoglienza,
contenimento, secondo una funzione propria del codice materno; il garante della continuità
della relazione, che assicura la presenza nel tempo, e che si colloca all’interno di un
codice di tipo fraterno. Nella gestione della vita istituzionale è fondamentale mantenere un
equilibrio tra i primi due ruoli, e garantire il terzo. Altra parte della tossicità è di origine
istituzionale, e dipende dal funzionamento dell’organizzazione e dai fenomeni di
isomorfismo per cui l’organizzazione destinata a svolgere servizi alla persona tende a
impregnarsi delle caratteristiche della sua clientela e spesso ne riproduce i tratti, le
problematiche, le ansie, le difese, lo stato mentale.
Altri rischi frequenti per tutti gli operatori del settore, sono la depressione e il burnout (da sovraccarico d’ansia non contenuta e non elaborata o legata ad attese irrealistiche,
che può demotivare l’operatore o spingerlo verso malattie psicosomatiche o nevrosi) e tra i
pericoli ci sono: l’uso di un atteggiamento materno di accoglienza passiva e indulgente,
l’identificazione totale con l’adolescete, la confusione tra i ruoli di adulto e giovane, di
amico e professionista, l’incomprensione, l’estraniamento e la perdita di contatto come
difese dal coinvolgimento, l’ansia pervasiva, la deriva autoritaria (punitiva e vendicativa), la
fascinazione (relazioni seduttive, collusive), gli effetti incrociati dell’invidia(dell’adolescente
per l’adulto e dell’adulto per l’adolescente). Rischi e pericoli che possono essere
fronteggiati attraverso misure adeguate, quali: una giusta selezione e valutazione degli
operatori da assumere, un trattamento personale (analisi, psicoterapia), una formazione
teorico-pratica ed
esperienziale, supervisioni e seminari clinici (discussione dei casi,
riunioni di studio), riunioni di debriefing o rielaborazione collettiva in seguito ad eventi ad
alta valenza traumatica (aggressioni, fughe, overdose, suicidi, ecc.), sostegno da parte dei
colleghi, processi organizzativi finalizzati ad offrire supporto (coaching), facilitazion, spazi
di esonero o sollievo, lavorare in gruppo (per evitare per esempio situazioni di
coinvolgimento patologico nella relazione con un paziente). La struttura e l’organizzazione
del Servizio devono quindi favorire un supporto tempestivo ed efficiente agli operatori in
54 difficoltà, creando un vero e proprio “staff support system” basato sul semplice principio di
aiutare l’operatore che sta male, per aiutare il sistema, che non può ignorare il malessere
dei suoi membri professionali.
La conoscenza dei propri sentimenti, l’informazione storica, e il comportamento,
sono le direttrici fondamentali sulle quali si muove una CT che, essendo un luogo protetto
in cui l’auto aiuto ed il confronto “qui ed ora” sono essenziali, diventa sede di dinamiche
interpersonali e di espressione dei propri sentimenti. E all’interno delle CT, lo studio dei
sentimenti è degno di grandi attenzioni. E ce lo spiega molto bene Giovanni Pieretti (in
Tracce di emozioni, Universitas Studiorum, 2014) quando facendo riferimento al tema
delle dipendenze e al relativo approccio medico e sociologico, le definisce come una
condizione psico-fisica caratterizzata da compulsione e disagio, in cui le droghe diventano
anestetico dei sentimenti, che corrobora la costruzione di un falso Sé, con caratteri
narcisistici, in cui l’individuo si allontana dalla realtà e perde la sintonia con se stesso. In
Comunità c’è accoglienza, incontro, condivisione; la Comunità è il luogo dei legami ove
ognuno può trovare riferimento come individuo, in essa vi è una azione educativa che
coinvolge tutti coloro che la vivono. L’esperienza delle Comunità insegna che insieme si
riesce meglio, perché tutti abbiamo bisogno di essere supportati e sopportati, tutti abbiamo
bisogno di affetto, rassicurazione. Altro aspetto che va preso in considerazione, in questo
discorso, è quello relativo al “quarto settore”, alla realtà dell’auto-organizzazione della
cittadinanza e delle organizzazioni di advocacy che negli ultimi anni stanno dando
testimonianza e risonanza della loro condizione: la riflessione proposta vuole approfondire
il valore antropologico, sociale ed educativo, non solo sanitario, delle CT, attraverso la
condivisione, la mutualità, l’apprendimento, l’umanizzazione. Per poter rileggere e
comprendere il cambiamento che stanno attraversando i servizi per le tossicodipendenze
(a cui molte CT si rivolgono), è necessario rileggere brevemente la storia del fenomeno
delle dipendenze patologiche dagli anni ’60 in poi: la diffusione di sostanze, e il consumo
allargato che oggi è una delle caratteristiche nelle società occidentali, ha origine in quegli
anni. A partire da quel periodo si assistette ad una svolta radicale nelle abitudini di
consumo di droghe: cambiarono età, tipologia, numero dei consumatori. Fino ad allora il
consumo di sostanze era legato alla contestazione studentesca, era iniziato con la beat
generation californiana, nell’area di san Francisco, epicentro di un movimento che divenne
fenomeno culturale nel quale l’uso di droghe aveva ancora un suo aspetto ricreativo e
aggregante. Il legame che poteva esserci tra malessere esistenziale e abuso di sostanze
55 era ancora poco diffuso e divenne invece più chiaro successivamente quando il fenomeno
acquisì, sotto la spinta di gruppi artistici dell’industria cinematografica e musicale, i
contorni di consumo sociale diffuso tra i giovani. In Italia fu nel clima del ’68 che prese
piede l’era “degli psicofarmaci”, in cui le case farmaceutiche introdussero sul mercato
varietà sempre diverse (Valium, Ansiolin, ecc.), e la familiarizzazione che molti giovani
ebbero con le sostanze, usate come antidoto alle sofferenze psicologiche ed esistenziali,
avvenne in quegli anni. Si ricorda che nel 1972 per esempio, il Ministro della sanità
dovette emanare un provvedimento che cancellò alcuni tipi di anfetamine dalla
farmacopea ufficiale e ne inserì altre nelle tabelle degli stupefacenti, tanto era esteso alla
popolazione generale di certe sostanze. Questa sommaria ricostruzione ci fa capire come
all’epoca era ancora molto labile la distinzione tra sostanze legali e sostanze illegali,
leggere e pesanti. In seguito arrivarono in Italia i primi quantitativi di morfina dal sud est
asiatico, che fu usata in sostituzione delle anfetamine, e successivamente l’eroina come
nuova sostanza da privilegiare, per poi giungere agli anni novanta con il consumo di
cocaina e il ritorno delle anfetamine. Negli anni Settanta la malavita cominciò a sfruttare la
domanda di droga, attuando una vera operazione commerciale di diffusione dell’eroina,
che diventò la sostanza elettiva. Negli anni Ottanta l’uso di droghe si estese in tutti i
contesti sociali, e nacque il cosiddetto “consumatore integrato”, che sembrava in grado di
controllare il rapporto con la sostanza utilizzandola solo in determinate circostanze.
All’inizio degli anni Novanta, la diffusione del virus HIV fu determinante all’immissione del
mercato di sostanze che non prevedevano l’uso della siringa (cocaina, anfetamine) e che
si proposero, come nel caso della cocaina, come antitesi all’eroina, considerata la droga
dei perdenti: nell’immaginario, la cocaina era associata a valori positivi, nella società della
competizione e dell’apparire. La rapida diffusione dell’ecstasy e di altre droghe sintetiche
in Europa, fino ai giorni nostri, ha determinato un cambiamento di segno, per cui l’utilizzo
delle sostanze ambisce ad assumere aspetti positivi, performanti, supportavi, per vivere
meglio, e magari sostenere lo stress competitivo che la vita richiede. Oggi non c’è più la
carica trasgressiva degli anni ’70 e ’80, non c’è più il rischio di morte fisica per overdose,
ma un lento danno morale ed esistenziale. E così anche dal punto di vista del mercato
illecito, le nuove droghe non implicano più l’uso della siringa (come lo era per l’eroina), non
danno dipendenza fisica rilevante all’inizio del consumo, il loro uso è compatibile con uno
stile di vita “normale”, non sono prodotti per frange marginali di popolazione e appaiono
come fenomeno democratico e alla portata di tutti (“democrazia del consumo”). “Si sta
sviluppando una deriva compulsiva del nostro tempo e delle questioni pedagogiche che
56 dovrebbero preoccupare educatori e genitori, se non fossero anche loro imbrigliati e
annichiliti da una realtà sempre più impalpabile e virtuale, sfuggente, dove i nostri giovani
non si confrontano più nelle relazioni faccia a faccia, e nell’arte dell’incontro” (Mario Dondi,
2014). E il consumo di sostanze è la spia, la cartina al tornasole, di questa situazione,
supportata e sostenuta dalla tecnologia (in particolare da quella digitale): le droghe
perdono la loro valenza contro culturale e diventano “uno dei tanti prodotti da consumare”,
e si sovrappongono ad altre forme di dipendenza (alcol, tabacco, psicofarmaci, gioco
d’azzardo patologico, internet, shopping addicted). Per tali motivi non ci si può limitare ad
osservare e valutare il solo consumo di sostanze illegali, ma di tutte le sostanze
psicoattive: si tratta ormai di un fenomeno di costume diffuso, di un problema sociale,
politico, educativo, ed in tale scenario cambia e si arricchisce di nuove sfumature la
mission delle Comunità Terapeutiche, che sono quindi chiamate a diventare promotrici di
cambiamento, di iniziative solidaristiche, di prevenzione tra i giovani, e sensibilizzazione
rispetto ai temi dell’addiction e marginalità. 14
14
Riferimenti bibliografici:
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Bauman Z., Modernità liquida, Laterza, Bari, 2007.
Bottura N., M. Mirandola, Segni dell’ARCA. La Comunità come cammino di crescita, Arca
Formazione, Mantova, 2012. Bottura N., Dondi M., Tracce di emozioni. L'ascolto e la parola
nella comunità terapeutica educativa, Universitas Studiorum, 2014.
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Nevrosi e delinquenza, Borla, Roma, 1983.
Winnicott D. W., La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, Armando, Roma, 1968.
Winnicott D. W., Gioco e realtà, Armando, Roma, 1986.
57 58 CAPITOLO 3
STORIA DI UN RADICAMENTO EFFICACE SUL TERRITORIO
3.1 L’ASSOCIAZIONE DIANOVA ONLUS
a) PRESENTAZIONE, MISSIONE, VALORI:
Dianova è nata in Italia nel 1984, è un’associazione Onlus giuridicamente riconosciuta che
sviluppa programmi e progetti innovativi negli ambiti della prevenzione e del trattamento
delle tossicodipendenze, dell’educazione, della gioventù e nelle aree di sviluppo sociocomunitario. L’Associazione gestisce Comunità Terapeutiche Residenziali e Centri di
Ascolto. Iscritta all’Albo degli Enti Ausiliari, è accreditata con il Servizio Pubblico nelle
Regioni Lazio, Lombardia, Marche e Sardegna e si avvale di una convenzione con il
Ministero di Grazia e Giustizia. Inoltre, gestisce un Gruppo Appartamento per Minori “La
Villa” a Palombara Sabina e un parco educativo “Social Camp” a Garbagnate Milanese.
L'Associazione aderisce a Dianova International, Organizzazione non governativa
presente in 11 paesi del mondo, con una lunga esperienza in Europa e in America Latina.
Dianova International ha ottenuto lo Statuto Consultivo" del Consiglio Economico e
Sociale
delle
Nazioni
Unite
(ECOSOC)
in
materia
di
educazione,
giovani
e
tossicodipendenze ed è membro ufficiale dell’UNESCO, e basa la sua azione sulla
convinzione che, con l'aiuto adeguato, ogni persona può trovare in sé stessa le risorse
necessarie per il proprio sviluppo personale e l'integrazione sociale. La missione di
Dianova consiste nello sviluppare azioni e programmi che contribuiscano attivamente
all’autonomia personale e al progresso sociale. I valori su cui si fonda l’Associazione sono:
-
Impegno: l’impegno é quando il tossicodipendente decide di assumersi la
responsabilità della propria vita. È pure il collaboratore che interviene con
solidarietà e professionalità. È anche l’impegno nelle azioni d’interesse pubblico a
carattere sociale.
-
Solidarietà: La solidarietà é sensibilità e modo d’essere che motivano le persone a
venire in aiuto di altre che sono emarginate o discriminate. Ciò si traduce in
59 scambio di conoscenze, di competenze e di esperienze ma anche di partecipazione
umanitaria
-
Tolleranza: La tolleranza é prima di tutto il rispetto della differenza. Ciò si traduce
nella libertà di scelta e nel dialogo, visti come principi fondamentali. È anche
l’applicazione di regole e di comportamenti democratici, rispettosi della legalità.
-
Internazionalità:
L’internazionalità
é
l’aspetto
multiculturale
e
pluralistico
dell’impegno e della solidarietà. Ciò si traduce in comportamenti o azioni collettive
che devono essere flessibili e dinamici. Si devono poter adattare a situazioni molto
diverse e riunire così le condizioni di riuscita dei progetti scelti.
b) CENNI STORICI:
Anni 70/l'inizio: Le droghe diventano per i giovani un simbolo di protesta e di libertà e il
loro consumo si espande a livello mondiale. Nel 1974 nasce in Francia Le Patriarche,
ispirata al modello pedagogico e al metodo della scuola Summerhill, che offre una terapia
naturale e un sistema di vita comunitario basato sull’auto-aiuto tra i tossicodipendenti in
trattamento.
Anni 80: La tossicodipendenza è un problema di salute pubblica e dal 1985 l’epidemia
dell’Aids e delle epatiti trasforma le politiche sanitarie e le mentalità in molti paesi.
Il 50% delle persone in trattamento presso Le Patriarche è sieropositivo. L’organizzazione
progetta una risposta strutturata a questa emergenza e costituisce internamente una delle
prime associazioni di malati che offre le cure necessarie, favorisce l’azione militante e
rifiuta l’anonimato; molti utenti partecipano alle prime sperimentazioni terapeutiche in
Europa. L’Italia è uno dei paesi che si confronta con una crescita esponenziale del
consumo di droghe a fronte di un’offerta insufficiente di risposte. Nel 1984 Le Patriarche
apre in Italia la sua prima comunità, diffondendosi poi sul territorio nazionale attraverso
centri di ascolto e comunità terapeutiche. Alla fine degli anni ’80 è presente con 210
strutture in 17 paesi in Europa e America e accoglie più di 5.000 persone a regime
residenziale.
Anni 90: Il consumo di droghe continua ad aumentare e si estende a tutte le classi sociali,
diventando un problema trasversale alla società. In Italia viene emanato il DPR 309/90,
testo unico in materia di droga, all’interno del quale, tra le altre cose, viene regolamentato
60 il rapporto tra il settore pubblico e quello privato. Anche Le Patriarche si adegua e si
accredita per inserire persone inviate dal servizio pubblico. A livello internazionale si
chiude in se stessa e attraversa un periodo critico legato alla gestione assolutista del suo
fondatore; nasce così al suo interno un movimento costituito dalle associazioni nazionali
che ottiene nel 1998 la destituzione del fondatore. Inizia da qui un profondo rinnovamento
dell’Associazione: trasparenza, coerenza, ma anche democrazia e decentralizzazione
sono le parole chiavi della riforma. Ciò porta nel 1998 alla costituzione di Dianova, che si
affianca a Le Patriarche nella realizzazione di servizi nell’ambito della tossicodipendenza.
Anni 2000/2004: Gli inizi del 2000 sono segnati dall’aumento delle nuove dipendenze,
dalla crescita del policonsumo a fini ludici/ricreativi, preoccupante nella popolazione
giovanile, dalla stabilizzazione del consumo di sostanze oppiacee e dall’aumento della
cocaina. In questo contesto la prevenzione e la riduzione del danno sono necessarie per
evitare l’aumento dei consumatori e per minimizzare i danni a livello individuale, familiare,
lavorativo e sociale; ma è anche necessario individuare il trattamento e il successivo
percorso di reinserimento. In Italia Dianova e Le Patriarche continuano a collaborare e
affrontano un profondo processo di ristrutturazione, con l’obiettivo di diventare una realtà
flessibile capace di dare risposte efficaci e in linea con i cambiamenti dei bisogni.
Anni 2005 ad oggi:
Nel 2005 Le Patriarche si unifica con l’Associazione Dianova Onlus dando vita ad un’unica
associazione che mantiene il nome di Dianova.
Nel 2007 Dianova International viene riconosciuta come membro consulente speciale del
Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) in tre ambiti: educazione,
gioventù e dipendenze.
Nel 2008 la rete Dianova nel mondo celebra i suoi primi 10 anni di vita, nel 2010 ottiene
riconoscimenti da parte dell’OEA e dell’UNESCO.
Nel 2012 a Dianova International è riconosciuto lo statuto consultivo presso l’UNESCO.
Nel 2013 Dianova Italia espande la sua attività, avviando servizi educativi anche
residenziali a favore di minori, adolescenti e giovani.
Nel 2014 Dianova celebra trent’anni di attività in Italia e ottiene il riconoscimento della
personalità giuridica.
61 c) I COLLABORATORI, IL MANIFESTO, POLITICHE E POSIZIONAMENTO, E PRINCIPI
FONDAMENTALI:
I collaboratori di Dianova (secondo un organigramma strutturato e in adesione al Codice
Etico dell’Associazione) sono più di novanta. Abbiamo professionisti esperti nella
dipendenza da sostanze e nella realizzazione di progetti e attività educative rivolte a
giovani e adolescenti con diverse specializzazioni: motivati e sensibili verso le
problematiche per le quali lavorano, condividono i valori dell’organizzazione. La maggior
parte lavora in una delle Comunità Terapeutiche o in uno dei Centri di Ascolto di Dianova
Italia.
L’equipe multidisciplinare, presente in ogni struttura, rappresenta la condizione
imprescindibile per il buon funzionamento degli interventi terapeutici nel lavoro quotidiano.
Generalmente, le equipe sono composte da diverse figure professionali: educatore,
medico, psicologo, psichiatra, operatore di comunità/animatore di comunità, assistente
sociale. Le nostre equipe (si impegnano per trasformare situazioni dure e complicate.
Infondono fiducia nonostante le difficoltà e investono le proprie energie e la loro
professionalità nel rendere il loro intervento rispettoso delle singole esperienze e
individualità. Dianova inoltre ha avviato un rapporto di collaborazione con la Fondazione
Sodalitas per lo sviluppo di un sistema di gestione del personale finalizzato a
implementare professionalità e efficacia. Dianova considera che nonostante i fallimenti
delle politiche sulle droghe la situazione globale dei consumatori è evoluta favorevolmente
in molti paesi grazie anche alle attività delle organizzazioni non governative e delle
associazioni attraverso l’introduzione di interventi concreti nel trattamento delle
dipendenze. A questa evoluzione dovrebbe coincidere anche un cambiamento della
visione della gestione internazionale del controllo delle droghe verso politiche più sicure,
efficienti e rispettose dell’essere umano. Dianova crede che sia essenziale esaminare
criticamente i limiti delle strategie proibizioniste e repressive dei sistemi di controllo
internazionale delle droghe; porre fine alla criminalizzazione dei consumatori e
considerare il consumo e la dipendenza un problema di salute pubblica; promuovere
importanti dibattiti pubblici in relazione al problema della tossicodipendenza alla ricerca di
politiche coerenti con la storia e la cultura di ogni Paese; applicare approcci e strategie
complementari e innovatrici basate sull’evidenza scientifica e non su posizioni ideologiche,
senza favorirne uno piuttosto che un altro; promuovere l’accesso universale ai farmaci
62 essenziali e alla terapia del dolore. Infine, Dianova ribadisce fermamente che sarebbe
inutile e controproducente regolamentare o liberalizzare le sostanze illecite.
Qui di seguito sono riportati in dieci punti i concetti chiave del punto di vista istituzionale
della rete dell’Associazione sulle dipendenze e le politiche sulle droghe. La Rete Dianova:
1. constata
i
limiti
delle
politiche
internazionali
centrate
principalmente
sul
proibizionismo e la repressione;
2. appoggia la riforma delle convenzioni quadro e delle istituzioni vigenti delle Nazioni
Unite nell’ambito delle droghe verso un approccio di sistema di salute pubblica;
3. sostiene lo sviluppo di dibattiti sulle dipendenze a livello nazionale;
4. sostiene
l’evoluzione
delle
politiche
nazionali
delle
droghe
verso
la
depenalizzazione del consumo di tutte le sostanze psicoattive;
5. sostiene l’applicazione di misure basate sulle evidenze scientifiche;
6. supporta l’attuazione di misure complementari e innovative;
7. appoggia l’accesso dei pazienti che ne hanno bisogno alla cannabis a scopo
terapeutico;
8. difende l’accesso universale ai farmaci essenziali e la terapia del dolore per tutti i
pazienti che ne hanno bisogno;
9. prende atto dell’implementazione di politiche di liberalizzazione/regolamentazione
della cannabis in alcuni Stati membri della Rete;
10. si posiziona contro la liberalizzazione/regolamentazione delle sostanze illecite.
Il Manifesto costituisce un importante passo nello sforzo di definire principi fondamentali,
politiche e posizionamento comuni per il futuro della nostra organizzazione rispetto ad una
serie di temi e questioni di grande rilevanza:
• dipendenze;
• educazione;
• gioventù;
• povertà e esclusione sociale;
• sviluppo socio-comunitario;
• uguaglianza di genere;
• immigrazione;
• organizzazioni internazionali;
• società civile organizzata e terzo settore;
63 • mondo delle imprese;
• sistema di salute pubblica e di protezione sociale;
• mondo universitario;
• sostenibilità e ambiente.
d) LA CARTA DELLE RESPONSABILITA’, PRINCIPI ETICI FONDAMENTALI E
RESPONSABILITA’ ASSUNTE DALLA RETE DIANOVA VERSO I SUOI STAKEHOLDER,
IL MODELLO 231
Questo documento dichiara principi etici fondamentali e individua gli stakeholder e le
responsabilità che Dianova si assume nei loro confronti; considerando “la trasparenza e la
responsabilità come elementi essenziali per il buon governo, sia da parte di governi o
imprese, che da parte delle organizzazioni senza scopo di lucro. Lì dove lavoriamo
vogliamo garantire che gli alti standard che esigiamo dagli altri, siano rispettati anche
all’interno della nostra organizzazione”. La Carta integra e completa la legislazione
esistente ed è applicata progressivamente a tutte le politiche, attività e operazioni
dell’organizzazione. Gli ambiti di responsabilità individuati sono relativi a:
• trasparenza;
• governo;
• raccolta fondi;
• gestione professionale;
• risorse umane.
Impegno strategico dell’Associazione è lo sviluppo di una rete di servizi e collaborazioni
con organizzazioni, pubbliche e private, che si occupano dei temi di interesse istituzionale.
Ciò al fine di condividere le esperienze e permettere l’arricchimento reciproco in un settore
come quello delle dipendenze e del disagio dove l’integrazione, l’interscambio ma
soprattutto la diversità delle risposte costituiscono probabilmente l’unica via percorribile
per offrire all'utenza risposte adeguate e mirate ai loro bisogni. Le aree di intervento
dell’Associazione sono due: l’area “Dipendenze” e l’area “Giovani”. Molto numerose sono,
inoltre, le collaborazioni, i rapporti e le partnership a livello locale per la realizzazione di
interventi, attività specifiche, fundraising e progetti. Dianova pubblica ogni anno sia il
64 proprio bilancio di esercizio, relativo agli aspetti economico-patrimoniale, sia un bilancio
sociale. L’obiettivo è quello di garantire da una parte la trasparenza sul proprio operato ai
vari "portatori di interessi" esterni ed interni, dall’altro di favorire - attraverso un'analisi
sistematica dei propri risultati - l'individuazione di azioni di miglioramento dell’attività.
Dianova ritiene che la rendicontazione sulla propria attività e sui risultati raggiunti non
possa limitarsi alla sola dimensione economica, ma che debba anche riguardare la
dimensione "sociale", direttamente collegata al perseguimento della propria missione.
Dianova ha adottato nell’agosto 2014 il Modello 231 conforme alle disposizioni del D. Lgs.
231/2001 e relativo codice etico.
e) I PROGRAMMI RESIDENZIALI PER ADULTI SULLE DIPENDENZE:
I programmi residenziali vengono realizzati presso le Comunità di Dianova di Cozzo (PV),
Garbagnate (MI), Montefiore (AP), Palombara (RM) e Ortacesus (CA). Nei programmi
possono essere accolte persone ambosessi, maggiorenni, anche alcoldipendenti, con
eventuali problemi di salute correlati o meno all’uso di sostanze (HIV, HCV, ecc...) e di
giustizia (misure alternative al carcere). Sono esclusi i minorenni, i soggetti con grave
diagnosi psichiatrica antecedente e/o con condizioni di salute ritenute incompatibili con la
vita comunitaria. Segnaliamo che tutte le Comunità dell’Associazione, nel corso degli anni,
hanno sempre accolto persone con problemi di alcolismo, anche in assenza di moduli
specifici specialistici riconosciuti nelle tipologie recepite nell’Atto d’intesa della relativa
Regione. A questo proposito, nella struttura di Palombara e in quella di Montefiore, per
rispondere a questa esigenza e alle numerose richieste segnalate da parte dei rispettivi
territori, dal 2011 sono stati attivati due piccoli moduli specifici per alcoldipendenti, pur non
essendo riconosciuti e contemplati a livello regionale. Le caratteristiche generali dei
programmi sono le seguenti:
• accoglienza di tossicodipendenti/alcoldipendenti che ne fanno richiesta (fatte salve le
condizioni sopra specificate), previa valutazione medico/diagnostica;
• tempi di ingresso brevi;
• approccio terapeutico/educativo svolto attraverso un lavoro in équipe multidisciplinare
(colloqui individuali, gruppi educativi/terapeutici, somministrazione di interviste e test
psico-diagnostici) in un contesto di attività occupazionali, laboratori formativi e attività
65 sportive, ricreative e culturali nel rispetto e nella condivisione dello stile di vita comunitario
e delle sue regole;
• coinvolgimento delle famiglie nel programma terapeutico;
• lavoro in rete con le varie associazioni e istituzioni del territorio.
Per ogni persona viene definito un Progetto Educativo/Terapeutico Individuale (PEI),
basato sulle caratteristiche ed i bisogni della persona. I PEI sono la trasposizione
operativa del programma e vengono elaborati dall’équipe che prende in carico la persona.
Essi, a partire dal programma e dopo l’osservazione e l’acquisizione di ogni altra
informazione utile, definiscono gli obiettivi da raggiungere, suddivisi per aree (sanitaria,
educativa, sociale e psicologica). I PEI vengono condivisi con l’utente ed il servizio
inviante, e vengono firmati da tutte le figure professionali coinvolte nonché dall’utente
destinatario. Nell’ambito della rete internazionale di Dianova è rilevante una convenzione
posta in essere con la consorella svedese e le istituzioni pubbliche competenti svedesi
per l’accoglienza nelle Comunità di Cozzo e Palombara di utenti svedesi per la
realizzazione di un programma residenziale completo. Nel 2014 sono stati inseriti nelle
due Comunità 9 utenti svedesi.
Si sottolinea inoltre che in Dianova gli interventi di prevenzione sulla dipendenza da
sostanze rappresentano un’azione di sistema che coinvolge tutti gli adulti, considerati
figure chiave per facilitare nei giovani l’acquisizione di competenze a valenza preventiva.
Gli interventi possono essere realizzati presso scuole, oratori, centri di aggregazione,
associazioni sportive e culturali. La Mission: costruire momenti che permettano agli adulti
di ampliare la conoscenza di fenomeni devianti legati alla dipendenza da sostanze,
attraverso un’esperienza formativa che li vede coinvolti in prima persona.
3.2 IL GRUPPO APPARTAMENTO PER MINORI “LA VILLA”
a) PRESENTAZIONE:
Nel 2013 Dianova Onlus ha inaugurato a Palombara Sabina (Rm) la sua prima struttura a
carattere residenziale per minori e adolescenti: il gruppo appartamento "La Villa". Il gruppo
appartamento “La Villa” è una struttura a carattere residenziale che accoglie minori in
situazioni di disagio sociale e/o coinvolti nel circuito penale, con l’obiettivo di rappresentare
un’autentica possibilità di intervento in quelle situazioni in cui si manifesta nell’adolescente
66 un tale grado di vulnerabilità sociale da essere minacciato il funzionale processo di
apprendimento, di crescita e di realizzazione. Il progetto, con l'ausilio di un equipe
multidisciplinare, sviluppa interventi educativi che comprendono strumenti di creatività
affinché l'adolescente possa trovare spazi e occasioni per manifestare tutte le sue
attitudini e potenzialità al fine di ristabilire una relazione costruttiva con se stesso e con
l'ambiente esterno. L’organizzazione dell’intervento sui minori segue una metodologia che
può essere operativamente scissa in due parti:
Strumenti metodologici: sono i mezzi usati da Dianova e definiscono il modo in cui
lavoriamo;
Azioni educative e terapeutiche: sono le azioni condotte dall’insieme dell’équipe per
tradurre i presupposti teorici in esperienze quotidiane.
Il Programma Educativo Individualizzato della Villa segue queste seguenti fasi:
Accoglienza: questa fase interessa l’ingresso del minore presso La Villa.
L’accoglienza sarà lo stile che guiderà questi primi momenti in quanto favorirà
l’adattamento al nuovo ambiente, la conoscenza del personale coinvolto,
l’inserimento all’interno del gruppo dei pari;
Definizione PEI: il progetto educativo individualizzato (PEI) fissa gli obiettivi e il
processo di sviluppo di ogni minore, aiutandolo a visualizzare il proprio processo di
maturazione personale e a valutare i progressi ottenuti;
Progressione personale: questa fase costituisce l’asse portante dell’intero
intervento educativo. L’équipe sarà chiamata ad accompagnare il/la giovane a non
avere atteggiamenti disfunzionali e ad attivare le proprie risorse, interne ed esterne
a se;
Rientro progressivo: previa condivisione tra tutti gli attori coinvolti, si procederà ad
un graduale reingresso del/della minore presso il suo contesto, familiare e sociale,
di appartenenza.
Anno 2013:
La struttura è stata inaugurata il 19 settembre 2013 ed ha avviato l’attività il 25 settembre.
Nell’arco dei primi tre mesi di operatività si sono avuti i seguenti ingressi:
-
1 ragazzo minorenne italiano con provvedimento civile;
-
1 ragazzo maggiorenne italiano con prolungamento provvedimento civile;
67 -
2 minori maschi rispettivamente di nazionalità del Bangladesh e bulgara con
ordinanza di misura cautelare (art 22 DPR 448/88);
-
1 ragazzo maggiorenne di nazionalità ivoriana con ordinanza di sostituzione della
misura della custodia cautelare (art. 28 DPR 448/88 messa alla prova);
-
1 nucleo familiare (madre, 1 figlio maschio e 1 femmina) segnalato dal Centro
antiviolenza per donne maltrattate con decreto d’urgenza emesso dal Tribunale
civile dei minorenni.
Nei primi 3 mesi di attività non ci sono stati interruzioni di programma volontari ne
aggravamenti per allontanamenti arbitrari o agiti riferibili a reati. Un minore del circuito
penale ha terminato la misura cautelare. Sono stati attivati e portati a termine per 2 utenti
della struttura percorsi assistenziali in rete con i servizi territoriali. Nello specifico:
-
1 percorso di valutazione psicodiagnostica (5 incontri) con il servizio di
Neuropsichiatria infantile dell’Umberto I di Roma;
-
1 valutazione diagnostica neurologica completa presso ASL RmB;
-
1 avvio di percorso di psicoterapia presso servizio specialistico territoriale.
Anno 2014:
Durante il 2014 sono stati accolti 18 giovani, con una media mensile di 6 ragazzi presenti.
Di seguito alcuni dati fondamentali. Dal 2014, inoltre, presso "La Villa", Dianova ha attivato
un Servizio Diurno a carattere semiresidenziale rivolto a minori in situazione di disagio
socio-ambientale, di ritardo scolastico e/o a rischio di emarginazione. L’ingresso del
minore per un provvedimento penale può essere dettato dal collocamento in comunità per
esecuzione di una misura cautelare (art. 22 del D.P.R. 488/88), il cui termine varia dai 3 ai
6 mesi a seconda delle valutazioni del Giudice per le Indagini Preliminari di competenza.
Quest’ultimo può, tramite ordinanza, interrompere anticipatamente la prosecuzione, per
motivi inerenti alla tipologia del reato, per il contesto sociale di provenienza o attraverso la
valutazione data dai Servizi Minorili sulla personalità del minore. Il G.I.P. può
alternativamente mantenere la prosecuzione della misura cautelare con collocamento in
comunità fino a convocazione ad udienza preliminare. In quella sede il minore insieme ai
Servizi minorili presenterà una progettualità (sospensione del processo e messa alla
prova: art. 28 D.P.R. 488/88) per la quale si impegna e con la quale avrà dunque
l’opportunità di estinguere la pena e il reato per cui è stato giudicato.
68 Altro motivo di collocamento in comunità può essere un’ordinanza di misura alternativa
all’Istituto Penale Minorenni, attraverso una progettualità specifica. In questo caso, nei
confronti del giovane è stata già emessa una sentenza di esecuzione di pena, che ha un
termine prestabilito, e chi vigila sull’esecutività della misura (art.47 del D.P.R. 488/88’) è il
Magistrato di Sorveglianza del Tribunale dei Minori di competenza.
Per i ragazzi collocati con provvedimenti della durata superiore a 60 giorni, sono stati
definiti i Programmi Educativi Individualizzati (PEI), volti a garantire il fisiologico processo
di crescita intervenendo con nuovi apprendimenti e/o azioni educative di rinforzo, su aree
dominanti della sfera personale, sociale e relazionale. In particolare:
• percorsi di scolarizzazione/formazione presso le istituzioni site nei paesi limitrofi a
Palombara Sabina;
• attività sportiva individuale ed in gruppo (palestra, calcetto a 5, pattinaggio sul ghiaccio,
trekking, piscina estiva, calcio);
• assistenza e accompagnamento alla cura del sé e agli aspetti sanitari, ordinari e
specialistici (visite oculistiche, cure dentistiche, ortopedica, sostegno psicologico,
valutazione psicodiagnostica, valutazione cognitive, ecc.);
• quando presente, incontri programmati con la famiglia a cadenza settimanale finalizzati
al rafforzamento dei legami familiari e delle dinamiche funzionali;
• tutoring individuale con colloqui programmati e monitoraggio del PEI, finalizzato alla
assunzione di responsabilità circa la propria storia personale, alla coscientizzazione del
reato, al rafforzamento delle aree critiche e alla valorizzazione delle proprie risorse;
• networking con la rete dei servizi finalizzata alla realizzazione del PEI.
69 70 Relativamente ai tempi di permanenza dei giovani presso “La Villa” a fine 2014, è
opportuno effettuare una distinzione sulla base della tipologia di provvedimento per il
quale avviene il collocamento. Nel caso di misura cautelare si ha una significativa
disomogeneità dei giorni di permanenza in “Villa” in quanto le ordinanze emesse dal
Tribunale dei Minori, come già indicato, sono strettamente legate a fattori contestuali e alle
caratteristiche di ogni singolo minore nonché allo specifico fatto-reato.
Il beneficio della messa alla prova, assegnata a tre dei ragazzi durante il 2014, vede una
regolare conclusione per un giovane, con un positivo percorso di reinserimento, e un
andamento ancora in corso per altri due che stanno svolgendo positivamente la
progettualità per loro prevista.
71 Per ciò che riguarda le misure alternative all’Istituto penale minorile, su due utenti, durante
il 2014, uno ha raggiunto la fine della pena mentre un altro ha scontato parte della sua
pena totale, con una progettualità ancora in corso e con andamento positivo.
Per gli 8 giovani con provvedimento civile si registra, come negli utenti con provvedimento
penale, una notevole disomogeneità nei tempi di permanenza. Si sono avute diverse
richieste di trasferimento da parte dell’équipe ad altra struttura per non adesione e non
adeguatezza del giovane alle caratteristiche strutturali della “Villa” rispetto alle esigenze
del percorso di crescita previsto dall’équipe.
72 -
Progetto “Invertiamo la rotta” 2014:
Lo sport è universalmente riconosciuto quale potente veicolo educativo, culturale e sociale
per lo sviluppo psicofisico di ogni individuo. Lo sport in mare offre un contesto educativo
esperienziale peculiare: l’isolamento naturale in acqua costringe sempre ad un impegno
costante e ad attivare strategie di coping e problem solving, individuale e collaborativo. Il
progetto “Invertiamo la rotta”, organizzato da Società Cooperativa Sociale Di Quartiere
Onlus in collaborazione con Civitas associazione di promozione sociale e Dipartimento per
la Giustizia Minorile – Centro per la Giustizia Minorile per il Lazio - USSM Roma, ha
coinvolto 4 strutture della regione per minori adolescenti provenienti dal circuito penale.
Tra queste La Villa, attraverso la partecipazione di un giovane collocato presso la struttura
con il beneficio della Messa alla prova. Il progetto si è svolto sul litorale nord laziale
(Civitavecchia, Tolfa, Santa Marinella, Allumiere), dal 31 agosto al 7 settembre 2014 e
successive due giornate presso l’USSM di Roma. Durante il soggiorno, oltre al corso di
vela che si è articolato in 6 lezioni giornaliere della durata di 5 ore, sono state realizzate
attività educative e di sensibilizzazione finalizzate alla prevenzione, elaborazione e
superamento delle condizioni di rischio e disagio.
73 “Dianova considera l’educazione un diritto che
deve essere garantito dagli Stati e sostenuto nel
suo insieme dalla società civile.
Il diritto all’educazione riguarda tutta la popolazione
e deve garantire la pienezza della personalità,
lo sviluppo dei propri talenti e delle
attitudini mentali e psicologiche in tutto il loro
potenziale.
Educare vuol dire infondere il rispetto verso i
diritti delle persone, delle libertà, dei valori nazionali,
del paese di residenza, del paese di origine
e delle civiltà e culture diverse dalla
propria; nonché il rispetto della propria identità
e dei propri valori culturali.
Educazione come un percorso verso l’assunzione
di responsabilità in una società libera, con
uno spirito di pace, tolleranza, uguaglianza tra i
sessi e amicizia tra i popoli, nel pieno rispetto
dell’ambiente e dell’ecosistema”.
b) CARATTERISTICHE DELLA STRUTTURA:
La lunga esperienza maturata con i giovani a rischio di devianza e/o assuntori di sostanze
stupefacenti e i sistemi relazionali a loro connessi, sommata a quella della rete
internazionale, rappresentano il motore di una nuova esperienza di intervento che Dianova
Italia Onlus ha avviato nel territorio laziale. Nel 2013, infatti, apre un GRUPPO
APPARTAMENTO a ciclo residenziale denominato “LA VILLA”, per accogliere minori in
situazioni di disagio sociale e/o coinvolti nel circuito penale, con l’obiettivo di rappresentare
un’autentica possibilità di intervento in quelle situazioni cui si manifesta nell’adolescente
un tale grado di vulnerabilità sociale da essere minacciato il funzionale processo di
apprendimento, di crescita e di realizzazione. “LA VILLA” è una struttura che garantisce il
rispetto dei requisiti previsti dalle norme vigenti in materia urbanistica, edilizia, di
74 prevenzione incendi, di igiene e sicurezza, nonché l’applicazione dei contratti di lavoro e
dei relativi accordi integrativi in relazione al personale dipendente.
Fatti salvi i requisiti strutturali e organizzativi integrativi stabiliti dalla Giunta regionale ai
sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a), numero 1), la struttura presenta le seguenti
caratteristiche:
- è ubicata a Palombara Sabina (Roma) Strada di Colle Falasca,32; la partecipazione degli
utenti alla vita sociale del territorio ne facilita le visite agli ospiti della struttura;
- assenza di barriere architettoniche;
- la struttura è dotata di spazi distinti tra loro: una parte dedicata alle attività collettive e di
socializzazione, l’altra a luoghi (camere da letto e servizi igienici) in grado di garantire agli
ospiti privacy e indipendenza. Tutti gli spazi sono ad esclusivo uso degli ospiti e
dell’équipe degli operatori nell’ambito delle finalità indicate nel progetto globale della
struttura;
- la struttura occupa un’area di circa 1 ettaro. Il totale edificato è di circa 400mq e la zona
residenziale comprende:
• 4 camere da letto;
• 3 servizi igienici;
• 1 zona pranzo soggiorno;
• 1 cucina;
• 1 salone con camino;
• 1 terrazza coperta;
• 1 ufficio operatori;
• 1 spogliatoio per operatori.
Inoltre, la struttura, dispone di una piscina di proprietà e di un campo di pallavolo.
c) RISORSE DELLA COMUNITA’ LOCALE LIMITROFA ALLA CT:
I comuni limitrofi alla CT “LA VILLA” (situata nella zona collinare della Sabina ai piedi del
Parco dei Monti Lucretili e precisamente nel Comune di Palombara Sabina) offrono
occasioni di utilizzo di risorse di varia natura a cui è possibile attingere, nello specifico.
Risorse sociali:
Servizi Sociali Comunali
Scuole del territorio
75 Risorse sanitarie:
Consultorio familiare di Palombara
Centro Psico Sociale di Palombara
Ambulatorio Ospedale di Palombara
Asl di Guidonia
Ospedale di Tivoli
Ospedale Spallanzani, Gemelli, S. Andrea (Roma)
Risorse sportive:
Campo di Calcio sito nel Comune di Palombara
Palestre private
Mezzi di trasporto:
Automezzi a disposizione della struttura
Veicolo 5 posti
Linee di autobus interurbane
Linea Palombara Pianabella di Montelibretti
Linea Palombara - Roma
Linee ferroviarie
Linea Pianabella - Roma
d) A CHI E’ RIVOLTO:
“LA VILLA” può ospitare contemporaneamente fino a 8 adolescenti, maschi e femmine,
italiani/e e stranieri/e, dai 14 ai 18 anni (21 anni per i soggetti ancora in carico al Tribunale
per i Minorenni) con provvedimento che può afferire all’area:
• Amministrativa/civile: interessa minori allontanati cautelativamente o terapeuticamente
dal nucleo famigliare, per un determinato periodo di tempo, con Decreto del Tribunale per i
Minorenni.
• Penale: riguarda i minori sottoposti a procedimento penale e nello specifico:
- misura cautelare con collocamento in Gruppo Appartamento – art 22 DPR 448/88 – per
minorenni;
provenienti dal CPA, dall’Istituto Penale Minorenni (forma più graduata) e dalla libertà;
- sospensione del processo e messa alla prova – art. 28 DPR 448/88 – con la
predisposizione di un progetto educativo individualizzato (PEI);
76 - misura di sicurezza del riformatorio giudiziario – art. 36 DPR 448/88 – da eseguirsi nelle
forme del collocamento in Gruppo Appartamento per minorenni con accertata pericolosità
sociale;
- affidamento in prova al servizio sociale – art. 47 dell’Ordinamento Penitenziario –
disposto dal Tribunale per i Minorenni a seguito di condanna, con la prescrizione del
collocamento in Gruppo Appartamento e l’esecuzione di un progetto educativo.
Tali adolescenti presentano abitualmente situazioni multiproblematiche in cui si
intrecciano, spesso sommandosi, esperienze drammatiche: la vita di strada, pregresse
permanenze in istituti, famiglie molto destrutturate, insorgenze di problematiche a
connotazione psichiatrica, uso e/o abuso di sostanze stupefacenti, incontro con forme più
o meno organizzate di criminalità, ingresso nel sistema giudiziario. Per intervenire in
queste situazioni, Dianova ha delineato una programma residenziale all’interno di un
contesto sicuro, strutturato ma flessibile nella sua operatività, che trova il suo presupposto
nella necessità di stabilire un vincolo affettivo e di fiducia con l’obiettivo di sviluppare le
capacità personali, sociali e relazionali che rendono possibile un rapporto funzionale tra
l’individuo e la società a cui appartiene.
e) CRITERI DI AMMISSIONE ED ESCLUSIONE:
La valutazione dell’ammissione del/della minore è effettuata dal responsabile e dal
coordinatore della struttura. La valutazione per la presa in carico segue alcuni criteri:
- corrispondenza alla tipologia di utenza prevista;
- valutazione della possibilità di perseguire gli obiettivi prefissi dal Tribunale per i Minorenni
e/o dai servizi invianti;
- valutazione della possibilità di “rispondere” ai reali bisogni del/della minore;
- disponibilità di posto.
La richiesta di inserimento al Programma Residenziale segue una procedura che prevede
la compilazione, da parte dell’ente inviante, di una scheda conoscitiva dell’utente, e una
relazione “del caso” almeno 15 giorni prima della data ipotizzata per l’ingresso.
La documentazione ricevuta é visionata dal responsabile e dal coordinatore che
avvieranno una serie di incontri con i servizi invianti, il minore e, laddove possibile, con la
famiglia, per valutare e favorire l’inserimento presso la struttura; quando possibile i colloqui
si svolgeranno presso il Gruppo Appartamento “LA VILLA”; per consentire al futuro ospite
77 di iniziare a conoscere il contesto nel quale sarà inserito. Per gli invii “d’urgenza”, i tempi di
valutazione hanno una tempistica differente, seguendo, in ogni caso, una procedura che
richiede la compilazione e l’invio di una scheda conoscitiva dell’utente e la richiesta, via
fax, di ingresso al Gruppo Appartamento. All’ingresso del/della minore presso il Gruppo
Appartamento si aprirà una Cartella Personale in cui saranno costantemente riportate tutte
le notizie, i documenti e i dati riguardanti l’ospite stesso.
Non sono ammessi:
- i/le minori con gravi diagnosi psichiatrica;
- i/le minori con gravi problemi sanitari per i quali è incompatibile la vita nel Gruppo
Appartamento.
f) FINALITA’ DEL PROGRAMMA E AREE DI INTERVENTO:
Dianova ha delineato una programma residenziale all’interno di un contesto sicuro,
strutturato ma flessibile nella sua operatività, che trova il suo presupposto nella necessità
di stabilire un vincolo affettivo e di fiducia con l’obiettivo di sviluppare le capacità personali,
sociali e relazionali che rendono possibile un rapporto funzionale tra l’individuo e la società
a cui appartiene. La finalità è di accompagnare i ragazzi ad un processo di superamento
del disagio e piena reintegrazione sociale, intervenendo con nuovi apprendimenti e/o
azioni educative di rinforzo, su aree dominanti della sfera personale, sociale e relazionale.
Di seguito le aree di intervento e i relativi obiettivi.
AREA SALUTE:
- Educare alla salute sviluppando un percorso di informazione e formazione orientato alla
responsabilizzazione individuale e sociale;
- Favorire conoscenze associate a comportamenti e abitudini sane;
- Identificare i comportamenti a rischio dannosi per la propria salute;
- Stimolare la presa di coscienza delle ripercussioni individuali e collettive dei
comportamenti a rischio;
- Sviluppare strategie di approccio e assertività per minimizzare e/o eliminare i
comportamenti a rischio;
78 - Conoscere i benefici dell’assistenza che offrono i servizi Sanitari.
AREA SVILUPPO PERSONALE:
- Acquisire e/o stabilizzare le abilità emotive, cognitive emotive e comportamentali che
favoriscono lo sviluppo personale;
- Capacità emozionali: identificare e dare un nome ed un significato ai sentimenti,
esprimerli, valutare la loro intensità, controllare gli impulsi, ridurre lo stress;
- Capacità cognitive: imparare modi di affrontare un argomento, sapere leggere ed
interpretare le indicazioni sociali, dividere in tappe il processo della presa di decisioni e
risoluzione dei problemi, stabilire degli obiettivi, trovare azioni alternative e prevederne le
conseguenze, capire il punto di vista degli altri e comprendere le norme di condotta, avere
coscienza di sé stessi per sviluppare aspettative realistiche;
- Capacità comportamentali: inviare messaggi verbali e non verbali chiari e coerenti,
rispondere efficacemente alla critica, contrastare le influenze negative, facilitare
l’introiezione di valori che rendono possibile la soddisfazione personale e l’adattamento
sociale.
AREA SVILUPPO SOCIORELAZIONALE:
- Acquisire e/o consolidare abilità sociali e di comunicazione necessarie per stabilire
rapporti e/o legami affettivi sicuri e positivi;
- Identificare i fattori di rischio sociali;
- Favorire uno stile comportamentale assertivo;
- Sviluppare la capacità di stabilire e regolare i rapporti interpersonali tenendo conto delle
necessità degli altri e basandosi sui valori personali;
- Stabilizzare spazi socializzanti positivi;
- Agevolare la sperimentazione delle abilità sociali e comunicative.
AREA FAMILIARE:
- Favorire il mantenimento o il ristabilirsi di rapporti familiari fortificanti;
- Potenziare il ruolo attivo della famiglia nel processo di maturazione;
79 - Favorire l’uso di strategie che facilitino un approcci preventivo nelle diverse aree di
rischio;
- Lavorare in rete con le risorse riguardanti la famiglia;
- Preparare il ricongiungimento familiare o favorire processi di autonomia.
AREA FORMAZIONE/ENTRATA NEL LAVORO:
- Recupero scolastico/formativo;
- Motivare l’acquisizione di nuove conoscenze;
- Agevolare l’inserimento lavorativo tramite l’orientamento professionale e formativo
coerente alle caratteristiche e alle esperienze del giovane;
- Riconoscere le potenzialità e le difficoltà personali nel l’ambito della formazione e
dell’entrata in ambito lavorativo;
- Sviluppare metodi di studio e lavoro;
- Stabilire rapporti sociali positivi in ambiente scolastico, formativo e/o lavorativo.
AREA LUDICA E TEMPO LIBERO:
- Sviluppare un atteggiamento critico rispetto all’abuso consumistico dello svago;
- Conoscere alternative di svago e del tempo libero;
- Educare alla gestione del tempo libero;
- Favorire un approccio sano relativamente alle attività di svago e del tempo libero.
g) PRINCIPI E METODOLOGIA:
La nostra metodologia di intervento educativo in-segue questa impostazione: proporre uno
spazio di creatività dove l’adolescente possa costruire esperienze per manifestare tutte le
sue potenzialità. Dianova, per questo, ha definito un percorso educativo sulle quattro
dimensioni delle relazioni dell’essere umano: la relazione con sé, la relazione con l’altro, la
relazione creatrice del mondo e la relazione con gli altri. All’interno di questi ambiti
troviamo le life skills, le "competenze sociali e relazionali che permettono ai ragazzi di
80 affrontare in modo efficace le esigenze della vita quotidiana, rapportandosi con fiducia a
se stessi, agli altri e alla comunità”.
La nostra proposta educativa, basata sulla metodologia esperienziale, favorisce
l’acquisizione di competenze e abilità all’interno delle quattro dimensioni relazionali;
attraverso la sperimentazione di nuovi contesti, compiti e ruoli, i ragazzi/e sono i
protagonisti attivi e possono individuare e rinforzare le proprie risorse, abilità e
competenze. Le attività che proponiamo, interne ed esterne alla struttura, “allenano” i
ragazzi/e ad affrontare esperienze a vari livelli di complessità mettendo in gioco elementi
importanti quali la creatività, il dialogo, l’azione, la negoziazione, l’analisi, la valutazione e
la progettualità. L’efficacia della metodologia è garantita dalla forte personalizzazione della
relazione educativa e del PEI che declina le tappe e gli obiettivi del processo a partire
dalle risorse personali, sociali e familiari del ragazzo/a. Ma, soprattutto, il nostro stile
metodologico, ha come punto di forza un equipe di persone, professionisti che formano
team capaci di insegnare e imparare costantemente, dove si fondono teoria, pratica ed
esperienza personale allo scopo di offrire totale appoggio al/la giovane. La metodologia di
Dianova non sarebbe completa se non si basasse su un modello di intervento aperto e
flessibile, i cui cambiamenti, miglioramenti ed evoluzioni in una direzione o nell’altra
dipendono direttamente dalle necessità del minore.
La metodologia di intervento rispetta questi criteri:
- Individualizzazione del trattamento: analizzare carenze, risorse e problematiche di ogni
minore nel proprio contesto.
- Valorizzazione: stimolare il giovane a riconoscere ed apprezzare il reale valore delle
persone e delle cose, premiandone, nella giusta misura, gli sforzi nel superamento di
tappe e raggiungimento di obiettivi individuati nel suo percorso educativo.
- Coinvolgimento: il giovane, attraverso il proprio coinvolgimento e il riconoscimento del
suo ruolo nel gruppo appartamento anche da parte dei pari e dell’equipe, raggiunge la
necessaria motivazione e autostima per acquisire e sviluppare comportamenti adeguati.
- Responsabilizzazione: il riconoscimento “ufficiale” dei progressi del giovane nel percorso
educativo, anche con l’attribuzione di una responsabilità, accresce l’autostima; tutto
questo fa sì che il suo ruolo diventi “fondamentale” nel Gruppo Appartamento, generando
in lui, a poco a poco, maggior fiducia rispetto alle sue conoscenze, attitudini e risultati.
- Flessibilità e creatività: l’equipe è attenta e tiene conto dei cambiamenti che possono
influenzare il percorso di vita del giovane, fornendo soluzioni agili, creative e concrete per
favorire in ogni momento la motivazione ed il progresso durante il percorso educativo.
81 - Partecipazione emotiva: le relazioni umane hanno per natura un’elevata componente di
scambio emozionale, il cui riconoscimento e ascolto sono le basi per sviluppare rapporti di
fiducia, collaborazione e stima, consentendo alle persone di entrare in sintonia con i propri
e altrui stati d’animo. Sviluppare e affinare la capacità di capire cosa sta accadendo nel
“qui e ora”, anche dal punto di vista emotivo, significa porre le basi per la riuscita di
qualsiasi relazione sociale.
- Empowerment: in educazione questo concetto si traduce nel mettere gli interlocutori nella
condizione di poter essere realmente responsabili della propria vita, delle proprie scelte e
del proprio futuro. Il concetto si contrappone ad ogni intervento educativo che crei
dipendenza ed assistenzialismo.
h) ATTIVITA’ EDUCATIVE:
1. Gruppo settimanale di confronto:
È condotto dall’équipe della struttura con la presenza della psicologa. Rappresenta uno
spazio attivo di comunicazione organizzato per affrontare temi che favoriscono la
partecipazione attiva degli utenti. È uno strumento che motiva i componenti del gruppo ad
esternare le proprie sensazioni e preoccupazioni, offrendo loro la possibilità di esprimere
sentimenti e opinioni davanti ad altre persone in un ambiente adeguato che favorisce la
coesione, l’empatia e l’interiorizzazione del concetto dell’auto-aiuto tra pari. Inoltre, in
questo spazio, si stabiliscono rapporti interpersonali e si acquisiscono strategie utili a
relazionarsi in modo positivo con il proprio ambiente sociale e si analizzano i fattori di
rischio e di protezione sia individuali che di gruppo per prevenire comportamenti devianti.
2. Colloqui individuali con educatore di riferimento:
Durante questi colloqui si procede alla programmazione, al monitoraggio e alla valutazione
del PEI. Sono spazi di analisi e valutazione che aiutano il giovane a fare una riflessione
personale sulle sue problematiche e sul suo processo di cambiamento, nei quali si
confrontano le informazioni e si stabiliscono e si programmano gli obiettivi individualizzati.
In questi incontri gli educatori lavorano in modo specifico e diretto sulle abilità sociali che
servono per agire adeguatamente in situazioni problematiche o a rischio: autoconoscenza,
82 analisi, riflessione, presa di decisioni e soluzione dei conflitti; ma è anche il momento nel
quale il giovane viene coinvolto e motivato nel proprio progetto educativo, offrendogli
sostegno e supporto finalizzati al raggiungimento degli obiettivi individuali. Gli incontri
possono avere una cadenza settimanale o quindicinale secondo i casi; sono organizzati in
modo tale che il giovane valorizzi e usufruisca pienamente di questi momenti, per una
valutazione del suo percorso educativo. L’educatore di riferimento, restituisce al resto
dell’equipe interdisciplinare quanto emerso durante gli incontri (argomenti trattati, obiettivi
stabiliti e impegni presi).
3. Attività Occupazionali:
Le attività occupazionali, monitorate dall’equipe della struttura, sono direttamente
realizzate dai ragazzi inseriti nel gruppo appartamento ed hanno l’obiettivo di favorire il
processo di crescita e maturazione, di responsabilizzazione, la cura di sé, il rispetto delle
regole e della convivenza comune. “LA VILLA” dispone di attività occupazionali
diversificate, che si realizzano a rotazione in funzione del profilo degli utenti e del PEI:
manutenzione ordinaria, giardinaggio, orto, cucina, etc...
4. Attività Sportive:
Lo sport è generatore di abitudini sane e di buone pratiche sociali. Durante la crescita è
necessario che i giovani svolgano attività utili allo sviluppo fisico e mentale, iniziando a
considerare lo sforzo fisico come un’esperienza gratificante, formativa e di gruppo. In
struttura si garantisce la pratica dello sport per tutti i minori (ad eccezione di
controindicazioni mediche) almeno una volta a settimana; “LA VILLA”, infatti, dispone di
una piscina che nei mesi estivi può essere utilizzata tutti i giorni e di ampi spazi all’aperto
per attività singole o di squadra, nei quali gli utenti stessi sono stimolati a proporre,
realizzare ed organizzare attività sportive. Anche nella fase di uscita dalla struttura, il
giovane viene motivato a proseguire l’attività sportiva intrapresa nel suo percorso, affinché
continui a sviluppare abitudini sane e costruisca nuovi rapporti sociali e valide alternative
per il suo svago.
83 5. Laboratori Espressivi:
I laboratori espressivi lavorano sulle emozioni e fanno emergere abilità e talenti nei
giovani. Lavorando sulle emozioni, infatti, si entra in contatto con esse e si impara ad
esprimerle, migliorando la relazione con se stessi e con gli altri. L’obiettivo quindi non è
solo quello di apprendere una tecnica, ma imparare ad esprimere i propri pensieri ed
emozioni attraverso il potente e suggestivo linguaggio artistico che non utilizza parole ma
immagini. I laboratori sono programmati annualmente e vengono realizzati in
collaborazione con la rete delle strutture di Dianova e con le associazioni presenti sul
territorio.
6. Percorsi esperienziali outdoor:
Attraverso attività educative come la montagnaterapia, il campeggio e il trekking,
realizziamo percorsi che offrono la possibilità di vivere un’esperienza intensa e
continuativa in contesti relazionali alternativi alla quotidianità. Questi percorsi esperienziali
outdoor, che ampliano le proprie capacità fisiche e mentali sono particolarmente adatti ai
ragazzi con comportamenti a rischio, con acting out, impulsività, disturbi di attenzione e
iperattività (DDAI), bassa autostima, note depressive, disarmonie evolutive e comorbilità
psichiatriche compensate. I laboratori sono programmati annualmente e vengono realizzati
in collaborazione con la rete delle strutture di Dianova e con le associazioni presenti sul
territorio.
7. Aule Formative di livellamento curriculare:
Queste attività di livellamento curriculare sono, per quanto possibile, personalizzate e
adattate alle necessità educative di ogni minore. Infatti, la maggioranza di loro ha una
percezione negativa degli studi, sia per la propria esperienza personale di insuccesso sia
perché non vedono alcuna utilità nella formazione personale. Proprio per questo, si
utilizzano metodologie attive (giochi interattivi, quaderni di scrittura, etc.) che facilitino
l’apprendimento del giovane, modificando la percezione negativa e l’approccio agli studi.
84 8. Scolarizzazione:
Quando possibile, il giovane viene inserito nel sistema educativo scolastico nazionale, al
fine di proseguire il proprio percorso formativo e confrontarsi con il contesto sociale di
riferimento. Nel caso non fosse possibile (per ragioni relative alle problematiche
comportamentali del ragazzo o per provvedimenti del Tribunale per i Minorenni) gli ospiti
frequenteranno lezioni personalizzate all’interno della struttura.
9. Uscite ludiche – culturali:
Sono effettuate sempre in gruppo e con l’accompagnamento di un educatore che
incoraggia i giovani ad assumere l’iniziativa per proporre uscite che siano di loro interesse;
nel caso in cui non vi siano proposte, queste saranno individuate dagli educatori. Le
attività sono dirette al conseguimento dell’autonomia del giovane e sono caratterizzate per
la loro varietà nella loro componente ludica e/o culturale. Dopo ogni uscita verrà effettuata
una valutazione congiunta dell’esperienza guidata dall’educatore.
10. Visite familiari:
La famiglia è il nucleo di riferimento per il minore. E’ quindi indispensabile che tutte le
attività tengano conto del rapporto dell’adolescente con il proprio nucleo familiare e
dell’influenza che esso esercita su di lui o lei. La posizione o la mancanza di posizione
della famiglia rispetto alle problematiche del minore, in particolar modo quelle relative agli
atti delittuosi, influiscono sull’intervento e sull’orientamento del PEI. Da una parte, le visite
al Gruppo Appartamento permettono di mantenere il legame tra il minore e il suo nucleo di
riferimento e potenziando i legami esistenti; dall’altra, aiutano l’equipe a coinvolgere tale
nucleo nel PEI, lavorando con la famiglia affinché prolunghi/mantenga e rafforzi gli
interventi educativi svolti nella struttura. Attraverso la visita, la famiglia viene a conoscenza
di ciò che si fa, di ciò che si dice, di come si agisce; fornendo alla stessa, maggiori
strumenti ed informazioni utili per la gestione della quotidianità dell’adolescente, ad
esempio: il controllo degli orari, il rispetto delle regole ed il contenimento dei limiti.
85 11. Verifiche educative:
Le verifiche educative, prevedono uscite periodiche del giovane per recarsi al suo
domicilio abituale (domicilio familiare, appartamento di riferimento o centro di riferimento),
per uno o più giorni. Tali uscite si effettuano senza accompagnamento del personale del
Gruppo Appartamento e sono parte integrante del processo educativo del minore;
l’obiettivo è far sì che il giovane non perda contatto con il suo ambiente sociale e/o
famigliare di riferimento. Ogni uscita è pianificata, programmata e prevede obiettivi
specifici che vengono individuati dall’equipe in accordo con il giovane; al rientro è prevista
una valutazione congiunta dell’uscita.
12. Accoglienza e definizione del PEI (Progetto Educativo Individuale):
Da una parte, le visite al Gruppo Appartamento permettono di mantenere il legame tra il
minore e il suo nucleo di riferimento e potenziando i legami esistenti; dall’altra, aiutano
l’equipe a coinvolgere tale nucleo nel PEI, lavorando con la famiglia affinché
prolunghi/mantenga e rafforzi gli interventi educativi svolti nella struttura. Attraverso la
visita, la famiglia viene a conoscenza di ciò che si fa, di ciò che si dice, di come si agisce;
fornendo alla stessa, maggiori strumenti ed informazioni utili per la gestione della
quotidianità dell’adolescente, ad esempio: il controllo degli orari, il rispetto delle regole ed il
contenimento dei limiti. Questa fase interessa l’ingresso del/della minore presso il Gruppo
Appartamento. In generale l’arrivo in un nuovo contesto con persone sconosciute, produce
una sensazione di sradicamento, di non appartenenza, di confusione e di solitudine; inoltre
i minori non vedono questi contesti come luoghi in cui possono essere aiutati rispetto alle
proprie problematiche personali. Nella fase di accoglienza, tutti gli sforzi sono finalizzati a
far capire al nuovo arrivato che Dianova e la sua equipe vogliono e possono fornire aiuto e
saranno impegnati nella sua piena integrazione. Il minore che arriva in Dianova viene
affiancato da un suo pari per fornirgli sostegno e rassicurazione attraverso la condivisione
dell’esperienza e le informazioni relative alla vita nell’appartamento. L’accompagnatore si
trasforma così in un potente referente positivo per il nuovo arrivato. Dopo 15 giorni (circa)
si identifica l’educatore o l’educatrice di riferimento sulla base delle prime valutazioni
avvenute nella struttura. In questa fase, l’equipe, tramite un’attenta osservazione del
86 comportamento quotidiano e la raccolta di tutte le informazioni riguardanti la storia del
minore, procederà alla stesura del PEI. Nello specifico:
- Osservazione attività quotidiane
- Valutazione psicologica
- Relazioni del servizio inviante
- Intervista attitudinale
- Intervista familiare
- Raccolta dati giudiziari
- Raccolta dati sanitari
- Raccolta esperienze personali.
Dopo un mese circa è previsto un incontro tra l’equipe della struttura, i servizi invianti e il
giovane per la definizione e la condivisione del PEI, che fisserà gli obiettivi e il percorso
educativo da intraprendere in riferimento alle Aree di Intervento. Il processo per la
definizione del PEI segue le seguenti fasi:
I. Analisi del “caso” (riunisce le osservazioni di ogni educatore, le valutazioni e la raccolta
di informazioni effettuate nell’arco di un mese).
II. Individuazione degli obiettivi educativi in riferimento alle aree di intervento.
III. Proposta di PEI concordato con il minore, strutturato secondo uno schema che
comprende:
- Programmazione degli obiettivi e delle attività in relazione alle differenti aree di intervento
(e, se previsto dal giudice nel caso di messa alla prova, anche le attività finalizzate alla
riparazione delle conseguenze del reato e la riconciliazione con la persona offesa;
- modalità e regole con le quali si realizzeranno le attività stabilite;
- tempi: la durata del programma é direttamente correlata agli obiettivi previsti dal PEI e/o
al provvedimento civile o penale;
- i ruoli dei diversi attori (Servizi, famiglia, educatore di riferimento del minore, ecc…)
coinvolti con il minore nell’attuazione del progetto;
- valutazione in itinere attraverso colloqui con l’educatore di riferimento e somministrazione
questionario di autovalutazione circa gli obiettivi individuati e le attività programmate.
87 i) PROGETTO GLOBALE:
1. Sviluppo e consolidamento:
Questa fase costituisce l’asse portante dell’intero intervento educativo. L’équipe è
chiamata ad accompagnare il/la giovane a non avere atteggiamenti disfunzionali e ad
attivare le proprie risorse. Concretamente ciò si traduce nel rendere protagonista il/la
minore di ogni attività proposta, rinforzando la fiducia verso gli educatori ma soprattutto in
se stesso/a. Seguendo quanto definito nel PEI si affrontano tematiche ed esperienze
finalizzate alla conoscenza e al rafforzamento delle proprie competenze considerando 4
passaggi:
• Sapere. Sviluppare curiosità verso argomenti vecchi e nuovi per apprenderne i contenuti
• Saper fare. Imparare a trasformare le conoscenze in abilità
• Saper Essere. Educare a conoscersi e riconoscersi: risorse, abilità, punti di forza e di
debolezza, criticità e potenzialità, etc.
• Saper Apprendere. Acquisire metodi e strategie di apprendimento.
Il Programma educativo individualizzato non é da considerarsi uno strumento rigido e
statico, può essere ridefinito in itinere adattandolo ai cambiamenti che intervengono nella
situazione personale o di contesto. Al termine di questa fase, ci sarà un incontro congiunto
tra l’equipe della struttura, i servizi invianti e la famiglia per pianificare la fase successiva in
base ai risultati raggiunti.
2. Rientro progressivo:
La fase finale di un percorso socio-educativo è fondamentale per il buon esito di tutto il
processo, poiché rappresenta il momento in cui il soggetto verifica concretamente le
precedenti acquisizioni ed esperienze vissute nel periodo di permanenza nel Gruppo
Appartamento.
Questo passaggio è una fase cruciale verso l’autonomia, intesa come capacità di fare
scelte personali e responsabili all’interno della società; l’equipe della struttura ha il compito
di motivare e sostenere costantemente il ragazzo a proseguire il progetto avviato
(inserimento lavorativo, scolastico, di formazione lavoro ecc.) verso una concreta
prospettiva futura.
88 Dalla condivisione tra tutti gli attori coinvolti, si procede ad un graduale reinserimento
del/della minore presso il suo contesto, familiare e sociale, di appartenenza; si realizzano,
previa autorizzazione da parte degli organi competenti, periodi di permanenza nei quali si
verifica il lavoro svolto sia rispetto al/alla ragazza che alla famiglia di origine. Secondo le
specifiche realtà, si valutano le risorse da mettere in campo per facilitare il reingresso
definitivo: risulta fondamentale il lavoro congiunto tra le strutture pubbliche e del privato
sociale affinché si definisca con precisione il ruolo che ogni attore coinvolto deve svolgere,
anche in riferimento alla promozione degli interventi da attuare per modificare il contesto
familiare ed ambientale in vista del suo rientro, oppure definire altre soluzioni in rapporto
alla condizione dello stesso.
3. Dimissioni:
Le Dimissioni sono previste:
- al termine del provvedimento civile o penale;
- quando la struttura non è più in grado di rispondere alle esigenze del minore;
- dietro richiesta degli enti invianti.
l) MODALITÀ DI FUNZIONAMENTO DELLA STRUTTURA:
1) Orari:
“LA VILLA” è una struttura residenziale aperta tutto l’anno 24 ore al giorno e garantisce
l’assistenza tutelare diurna e notturna, con la presenza di figure professionali. Pur essendo
un’esperienza temporanea che non si sostituisce alla famiglia, il Gruppo Appartamento va
inteso come una realtà di vita comunitaria caratterizzata da rapporti interpersonali e da
un’organizzazione della quotidianità come in un contesto familiare. A partire da ciò, la vita
nella struttura è regolata seguendo ritmi congrui alla fascia di età, al progetto educativo e
al periodo dell’anno di riferimento (es.: periodo scolastico), in linea generale questi sono gli
orari:
7.30 Sveglia
7.45 Colazione
8.15 Sistemazione camere da letto e pratiche quotidiane di igiene personale
89 9.00 Inizio attività
11.00 Pausa
11.30 Ripresa attività
13.00 Fine attività
13.30 Pranzo
Tempo libero
15.00 Avvio attività pomeridiane
17.00 Pausa di gruppo per la condivisione delle attività svolte durante il giorno
17.30 Tempo libero
20.00 Cena
20.45 Lettura planning attività programmate per il giorno seguente
21.00 Attività Serale
22.30 La “buona notte”
La domenica la sveglia è prevista alle 9.00 e durante la giornata l’unica attività
occupazionale obbligatoria interessa la sistemazione delle camere da letto e dei locali
utilizzati per la consumazione dei pasti.
2) Regolamento:
Gli ospiti che seguono il programma conoscono il regolamento della struttura, i propri diritti
e doveri, sanno quali atti sono considerati gravi e molto gravi, così come conoscono le
conseguenze che questi necessariamente comportano. Ciò nonostante, pensiamo che le
“misure correttive” rigidamente definite non favoriscono una riflessione circa la gravità
della propria condotta, come neppure consentono di attribuire il giusto valore agli eventuali
danni collaterali. Per questo riteniamo che l’analisi dei comportamenti dei minori, e i loro
atti, debba essere individualizzata e connessa ad altri fattori relativi alla motivazione, al
“momento” personale e al contesto in cui è stato realizzato l’atto, all’età del minore, al
tempo di permanenza nel Gruppo Appartamento, etc. In nessun caso saranno applicate
misure di coercitive: Dianova respinge fermamente tali pratiche. A partire da questa
premessa tutti gli ospiti sono quotidianamente tenuti a:
- Non introdurre, consumare e/o indurre altri al consumo di qualsiasi tipo di sostanza
stupefacente, alcol o farmaci non prescritti dal medico, sia all’interno sia all’esterno della
struttura.
90 - Collaborare alla verifica dei propri effetti/oggetti personali al momento dell’ingresso nella
struttura o quando l’équipe lo consideri necessario, per evitare l’introduzione di sostanze e
oggetti non consentiti.
- Sottoporsi a controlli di laboratorio per la ricerca di sostanze psicotrope o alcoliche
qualora l’equipe lo ritenga opportuno.
- Trattare con rispetto il personale della struttura, gli altri utenti ed i familiari, essendo
proibita qualsiasi manifestazione di violenza fisica o intimidazione, come pure la
sottrazione di qualsiasi proprietà altrui.
- Rispettare le regole, gli orari e le attività, partecipare alle riunioni e a tutto ciò che è
contemplato nel PEI.
- Rispettare e aver cura delle attrezzature della struttura e collaborare al suo
mantenimento.
- Rispettare il limite d’accesso a tutti i locali di uso esclusivo dell’équipe.
- Non eseguire tatuaggi e/o piercing.
- Collaborare attivamente alla buona applicazione e realizzazione del proprio PEI.
- Mantenere un igiene personale e collettiva rigorosa.
- Partecipare alle pulizie della struttura.
- Non influenzare negativamente o istigare altri utenti all’abbandono del programma.
-
Visite: Le visite sono definite dal Progetto Educativo Individualizzato e saranno
regolamentate dall’équipe.
-
Uscite: Le uscite sono autorizzate dall’Equipe del Gruppo Appartamento, seguendo
tutte le procedure richieste/previste dall’Ente inviante e definite dal PEI.
-
Chiamate telefoniche: Le famiglie potranno restare in contatto telefonico diretto con
l’Equipe
fin
dal
momento
dell’ingresso
in
struttura
dell’utente.
Previo
approfondimento della situazione familiare e dei rapporti tra il minore e il nucleo
familiare di appartenenza, l’utente potrà ricevere 1 telefonata dai familiari con
cadenza
settimanale.
Eventuali
modifiche
dovranno
essere
concordate
preventivamente con l’Equipe e l’ente inviante. L’utente non potrà possedere ed
utilizzare cellulari personali o strumenti informatici; in caso contrario, all’inserimento
nella struttura, verranno depositati presso la direzione.
91 -
Pacchi e corrispondenza: L’utente potrà ricevere, durante il periodo di permanenza
nella struttura, pacchi postali inviati dai familiari. I pacchi non dovranno contenere
alimenti: in caso contrario, questi ultimi verranno messi a disposizione della
collettività. All’arrivo del pacco verrà effettuato un controllo del contenuto da parte di
un operatore in presenza dell’utente destinatario. L’utente potrà ricevere ed inviare
corrispondenza a proprie spese e senza limiti di frequenza, sin dall’ingresso nella
struttura. La corrispondenza in arrivo sarà sottoposta al controllo degli operatori in
presenza dell’utente, ciò al fine di evitare l’introduzione di sostanze stupefacenti,
denaro non registrato, ecc. L’equipe, nel caso lo ritenga necessario per motivi
strettamente terapeutici, si riserva il diritto di leggere la corrispondenza in arrivo ed
in partenza in presenza dell’utente interessato.
-
Denaro Personale: Il denaro dell’utente sarà depositato nella cassaforte della
struttura con scheda di registro entrate/uscite e sotto il controllo diretto della
direzione. Tale denaro potrà essere utilizzato per l’acquisto di effetti personali,
spese di corrispondenza, etc. Gli acquisti saranno effettuati in giornate prestabilite
e/o concordate. Sono esclusi gli acquisti di alimenti. Eventuali vaglia postali
saranno ritirati dagli operatori della struttura e registrati sulla scheda personale
dell’utente.
-
Terapie farmacologiche: Le terapie farmacologiche prescritte agli utenti sono a
carico del S.S.N. Qualora vi siano farmaci che non rientrano nella fascia di
esenzione, saranno a carico dell’utente e/o della famiglia. Tutti i farmaci in
possesso dell’utente al momento dell’ingresso, saranno verificati dal medico e
depositati nell’infermeria o eventualmente gettati.
-
Prodotti di Igiene: I prodotti di igiene personale primari sono a carico della struttura.
-
Convivenza: E’ proibita qualsiasi manifestazione di violenza fisica o intimidazione
verbale. E’ proibito impossessarsi impropriamente di beni altrui, proibito vendere,
ad altri utenti, i propri effetti personali, nel principio di solidarietà è consigliabile
farne dono. Proibito avere relazioni sessuali nella struttura.
92 -
Rapporti con le famiglie: L’equipe multidisciplinare si riserva il diritto d’ammissione
dei familiari al Gruppo Appartamento. Il coinvolgimento delle famiglie, ove ritenuto
importante e possibile, punta ad ottenere l’appoggio ed il coinvolgimento familiare
nel processo educativo del minore. A questo proposito la famiglia viene informata in
modo costante sull’evoluzione del minore e sui suoi progressi e/o difficoltà per tutta
la durata del percorso. Gli eventuali incontri dei minori con le famiglie vengono
svolti attraverso una programmazione che prevede la stesura di un programma di
visite e uscite (la programmazione di visite del minore alla famiglia o della famiglia
al minore, dovrà essere proposta dall’equipe del Gruppo Appartamento all’ente
inviante ed approvata formalmente da quest’ultimo). Saranno realizzati momenti di
riflessione per dotare la famiglia di strumenti e strategie mirate ad ottimizzare il
ritorno del minore nell’ambito familiare sapendo che fattori di protezione sono:
un’adeguata comunicazione fra genitori e figli, negoziazione, disposizione di norme
e limiti, ruoli chiari e ben definiti, etc. Se la famiglia riceve già un sostegno
terapeutico specifico, si cerca di stabilire un coordinamento finalizzato ad integrare
gli interventi con il minore.
3) Staff - composizione e ruoli equipe educativa:
Nella struttura opera un’equipe Educativa Multidisciplinare coordinata dal Responsabile
del Gruppo Appartamento, che svolge attività di:
- Valutazione dell'ammissione degli ospiti;
- Programmazione della formazione degli operatori, dei tirocinanti e dei volontari;
- Pianificazione dei preventivi di spese;
- Monitoraggio delle diverse iniziative a favore degli ospiti;
- Planning per la programmazione e verifica delle attività;
- Organizzazione della supervisione degli educatori e dei volontari;
- Coordinamento complessivo delle risorse umane e degli attori coinvolti nel progetto;
- Adempimenti procedurali;
- Promozione e consolidamento network;
- Rapporti con il sistema giudiziario e dei servizi sociali.
L’équipe si occupa di accompagnare l’ospite del Gruppo Appartamento in tutte le attività
previste dal progetto.
93 È costituita da:
-
Coordinatore: Si occupa della pianificazione e realizzazione dei progetti educativi; è
co-responsabile della gestione della struttura; esamina, insieme al responsabile, la
presa in carico degli ospiti in base a criteri predeterminati; redige report delle attività
educative che monitora costantemente e di tutto ciò che è inerente la gestione
operativa della struttura. Partecipa alle attività dell’équipe. Garantisce una presenza
giornaliera nella struttura.
-
Educatori Professionali, partecipano a tutte le attività educative previste dal
progetto: assumono e condividono il progetto e il regolamento della struttura;
partecipano alla stesura del PEI; conducono con gli ospiti la struttura (gestione
quotidiana della struttura, preparazione dei pasti, pulizia e riordino degli ambienti in
collaborazione con gli ospiti, ecc…), impegnandosi ad intrattenere relazioni umane
significative con gli ospiti realizzando tutte le attività educative richieste: assistenza
infermieristica generica; la somministrazione e il controllo dei farmaci prescritti e
l'esecuzione di medicazioni semplici; attività inerenti la pulizia e l'igiene degli ospiti,
accompagnamento degli ospiti per le visite medico-specialistiche e altre eventuali
uscite che richiedono la presenza di un operatore della Struttura, animazione e
gestione del tempo libero, ecc...; organizzazione e realizzazione di laboratori
culturali e/o artistico e/o espressivi, ecc…; promuovono le attività sportive; attivano
le risorse interne ed esterne all’équipe sulle varie problematiche emergenti;
garantiscono la realizzazione di ogni azione di supporto prevista per l’ospite;
partecipano all’attività di supervisione e di formazione di equipe; assicurano un
servizio continuativo mediante turni di presenza, in collaborazione con l’equipe della
struttura.
-
consulente psicologa
-
operatore di base
-
operatore notturno
-
medico di famiglia e/o specialista con presenza programmata
-
Personale volontario e tirocinanti: in rapporto alle proprie competenze e specificità,
svolgono preziose funzioni integrative al lavoro dell’educatore (animazione del
tempo
libero,
attività
di
laboratorio,
socializzazione).
94 spazi
culturali
e
forme
diverse
di
3.3 ALTRE CARATTERISTICHE
I.
IL CODICE ETICO:
Di seguito sono riportati i punti fondamentali del codice etico dell’Associazione:
a) Rispettare e condividere la missione dell’Associazione e rispettare le strategie definite
dalla sua direzione ed i limiti delle proprie funzioni.
b) Riconoscere i diritti umani e civili d’ogni persona ed escludere, nelle diverse fasi
dell’intervento, qualsiasi forma di minaccia o coercizione fisica, psichica e morale,
garantendo in ogni momento la volontarietà dell’accesso e della permanenza nella
struttura.
c) Promuovere la dignità della persona e perseguire il raggiungimento da parte dei
soggetti inseriti nella struttura, di uno stato di progressiva maturità ed autonomia.
d) Mantenere in ogni circostanza un profondo rispetto per l’utente anche nelle situazioni di
controllo o di confronto (es. mancato rispetto del regolamento).
e) Astenersi da qualunque rapporto affettivo e/o rapporti sessuali con un/una utente e da
qualunque rapporto d’intimità o d’inimicizia, impegnandosi quindi a conservare la propria
obiettività, equità ed incorruttibilità.
f) Rispettare tutti gli utenti e mantenere con loro una relazione non possessiva o di
controllo, ma completamente professionale. In caso di coinvolgimento emotivo rielaborare
in equipe i vissuti e trovare la soluzione.
g) Personalizzare gli interventi: non adattare quindi i soggetti al programma, ma al
contrario il programma ad ogni singolo soggetto, considerando i reali bisogni d’ogni
persona nella loro globalità.
h) Prevedere progetti specifici di reinserimento sociale.
i) Partecipare attivamente alla riorganizzazione di una realtà di risorse, rapporti,
prospettive, all'interno della quale ogni adolescente possa trovare l’adeguata risposta agli
interrogativi ed ai bisogni della propria specifica condizione di vita.
j) Fornire a tutti gli utenti delle informazioni contenute nel regolamento interno, assicurarsi
che tutti gli aspetti del suddetto regolamento si compiano e che gli utenti stessi intendano
perfettamente il loro significato.
k) Mantenere ogni informazione sul soggetto in cura in modo strettamente riservato nel
rispetto delle leggi.
95 l) Avere la consapevolezza dei propri limiti e riconoscere nei suoi pari, nei suoi diretti
responsabili o negli operatori del pubblico un valido aiuto per la risoluzione di problemi che
possono riguardare il singolo utente o la collettività.
m)Conoscere e rispettare quanto è previsto nel manuale dell’operatore.
n) Esercitare le proprie funzioni in complementarietà con gli altri membri della propria
equipe, conservando un atteggiamento di rispetto e di collaborazione con i propri colleghi
di lavoro. In caso di disaccordo o critica, riesaminare l’intervento in questione alla
presenza del collega interessato.
o) Astenersi, in qualunque momento, luogo e occasione, dal consumo di sostanze
stupefacenti;
p) Astenersi dal consumo d’alcool durante le ore lavorative e all’interno del Gruppo
Appartamento.
q) Assumere atteggiamenti corretti e comportarsi come una persona matura.
r) Dare prova, in qualunque momento, di un comportamento esemplare, adoperandosi a
far rispettare i regolamenti interni.
s) Curare la propria immagine.
t) Evitare qualunque situazione in cui potrebbe trovarsi in conflitto d’interessi. Non deve
trovare in nessuna situazione, un vantaggio personale, diretto o indiretto, reale od
eventuale.
Le regole sopra descritte comportano l’impegno di tutti i componenti dell’équipe a:
- prestare tutti i servizi senza nessuna discriminazione; si farà eccezione per i casi speciali
per i quali il programma non offre le condizioni richieste per il loro beneficio o recupero;
- evitare di dogmatizzare l’approccio prescelto, riconoscendo che l’interesse dell’utente si
può salvaguardare anche in altro modo;
- mettere al centro del problema e delle varie fasi dello sviluppo della relazione terapeutica
la complessità esistenziale della persona e i suoi diritti umani;
- far propri tutti i presupposti scientifici, teorico-pratici e culturali che guidano l’operatore
nelle diverse dimensioni della tossicodipendenza.
Il mancato rispetto di qualsiasi punto contemplato nel presente Codice Etico è motivo di
interruzione del rapporto intercorrente tra il professionista e l’Associazione.
96 II.
GARANZIE DELLA QUALITA’ DELL’INTERVENTO
a. Verifica, formazione e supervisione:
Un metodo di lavoro così pianificato implica una continua verifica ed eventuale
ridiscussione del proprio operato da parte dell’équipe. Una volta impostato il PEI di
ciascun ospite è importante monitorarne l’andamento. E’ necessario considerare che il
lavoro educativo viene svolto sempre a due livelli: sul minore e sul gruppo degli ospiti. Per
questi motivi si è deciso di utilizzare i seguenti strumenti di verifica:
- le osservazioni sul campo;
- le riunioni d’équipe settimanali;
- le riunioni periodiche coi referenti dei Servizi di riferimento del minore;
- le riunioni di coordinamento mensili;
- le riunioni organizzative settimanali con i ragazzi ospitati;
La supervisione è innanzitutto un sistema dinamico che consente agli educatori di
connettere il proprio operato e l’impostazione teorica che fa da cornice al Modello
Dianova.
Nel lavoro educativo si pone sempre la questione del rapporto esistente tra la supervisione
di tipo pedagogico e di tipo psicologico:
- la supervisione psicologica interviene sul vissuto individuale o di gruppo dell’esperienza,
oltre la sua collocazione nella cornice progettuale.
- la supervisione pedagogica ha lo scopo di favorire la lettura pedagogica degli elementi
educativi.
Considerando questa doppia visione, la supervisione secondo Dianova deve intervenire su
un piano motivazionale, emotivo ed operativo, stimolando da una parte una maggiore
vitalità, al fine di prevenire fenomeni di burn-out, dall’altra rendendo più consapevoli gli
educatori degli strumenti terapeutici/educativi utilizzati.
La supervisione quindi è indirizzata:
- ad introdurre riflessioni e connessioni circa l’intervento educativo in essere e la
progettualità sul singolo minore, cercando di individuare e risolvere situazioni di blocco che
non consentono, a una prima analisi, il procedere del progetto educativo;
- a favorire il confronto tra le premesse educative e gli effetti educativi, quando tra i due
momenti sembra esistere una criticità non fisiologica;
97 - a consentire all’équipe l’espressione emotiva entro uno spazio nel quale ci si può sentire
liberi di condividere i propri pensieri e stati emotivi riferiti al lavoro;
- ad evidenziare risonanze emotive riconducibili a personali passaggi del ciclo vitale.
La formazione è uno dei fattori che contrasta il fenomeno del burn-out e del conseguente
turn-over degli educatori. Consapevoli che il bagaglio formativo già acquisito da un
educatore e l’esperienza personale che porta con se all’inizio del suo impegno
professionale non può essere ritenuto sufficiente a soddisfare il concetto di formazione
permanente, Dianova assicura un costante supporto formativo sia interno, che mediante la
partecipazione a corsi di formazione esterna, che completi e sviluppi le loro competenze:
- Pedagogiche: per approfondire le tematiche educative;
- Psicologiche: per gestire la dimensione affettiva, emotiva del lavoro;
- Di networking: per analizzare e costruire realistiche reti di intervento;
- Di animazione: per sollecitare nuovi strumenti e tecniche educative.
Il sistema di gestione della qualità
Nel 2009 Dianova ha introdotto il Sistema di Gestione per la Qualità dell’offerta dei servizi,
volto a perseguire prioritariamente due obiettivi:
• strutturare il sistema organizzativo orientandolo alla qualità, intesa come un modo
razionale, registrato, responsabilizzante, di agire ed operare;
• documentare ciò che si fa, come lo si fa, a partire da quali istanze etico-deontologiche,
con quale sistema di verifica e valutazione.
I processi gestiti attraverso il Sistema di Gestione per la Qualità sono schematizzati in
figura. All’interno del sito di Dianova la banca dati presente nell’area riservata, avviata nel
2009, contenente tutto il materiale e la documentazione prodotta dall’Associazione, è
diventata uno strumento dinamico che favorisce la comunicazione e condivide i saperi in
Dianova.
b. Sicurezza alimentare, il sistema HACCP:
Nel rispetto della vigente normativa (D.lgs 193/2007 “controlli in materia di sicurezza
alimentare”) l’Associazione Dianova adotta nelle sue strutture il “Manuale di autocontrollo”
che rappresenta il risultato dell’applicazione del sistema HACCP all’attività di ristorazione
e si propone di fornire tutte le indicazioni sulle procedure di gestione e mantenimento di un
piano di autocontrollo che sia, al tempo stesso, completo e di facile impiego. Esso intende
essere non una sterile e passiva applicazione di una norma, ma un documento di cui
98 l’Associazione stessa si rende autrice e che mira ad un’ottimizzazione del servizio e ad
una garanzia maggiore per l’igiene e la qualità dei prodotti offerti all’utente. Il sistema di
autocontrollo elaborato è un sistema attivo che seguirà l’evolversi dell’Associazione
attraverso periodiche attività di verifica e revisione in modo da mantenere sempre il
contatto con la realtà produttiva.
c. Sicurezza e salute dei lavoratori:
Nel rispetto della vigente normativa (D.lgs n°81 del 09.04.2008 “testo unico sulla salute e
sicurezza sul lavoro”) l’Associazione Dianova adotta per tutto il personale, e lo richiede
anche a terzi come nel caso della Coop. Sociale Dianova, il “Documento della valutazione
dei rischi”. Tale documento contiene, come previsto dall’art. 28 – comma 2 della legge 81:
• una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività
lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa;
• l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di
protezione individuali;
• adottati, a seguito della valutazione di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a);
• il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei
livelli di sicurezza;
• l'individuazione delle procedure per l'attuazione delle misure da realizzare, nonché dei
ruoli dell'organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere
assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri;
• l'indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico
competente che ha partecipato alla valutazione del rischio;
• l'individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi
specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza,
adeguata formazione e addestramento.
d. Sicurezza dei dati: diritto alla privacy:
Nel rispetto della vigente normativa (D.lgs n°196 del 30.06.2003 “codice in materia di
protezione dei dati personali”) l’Associazione Dianova adotta per tutto il personale, e lo
richiede anche a terzi come nel caso della Coop. Sociale Dianova, il “Documento
99 Programmatico Sulla Sicurezza” (definito anche DPSS) per definire le politiche di
sicurezza in materia di trattamento di dati personali nonché i criteri tecnico-organizzativi
per la loro attuazione. Il documento, inoltre, fornisce idonee informazioni relative alla
tipologia di dati sensibili trattati e all’analisi dei rischi connessi all’utilizzo degli strumenti
mediante i quali viene effettuato il trattamento. I dati riguardano: Dati personale, Dati
identificativi, Dati sensibili, Dati giudiziari. La privacy è assicurata attraverso i sistemi di
autorizzazione e criteri di assegnazione delle password e degli incarichi.
e. Modalità di coordinamento con la rete dei servizi:
Il lavoro di rete trova presupposto in tutti i riferimenti legislativi, precedentemente indicati,
che normano l’ingresso di minori e adolescenti, maschi e femmine, italiani e non, presso
istituzioni alternative alla famiglia e agli istituti di detenzione, secondo un’ottica di
intervento in senso educativo. L’obiettivo delle suddette leggi è anche quello di creare e
garantire la mentalità della concertazione e del lavoro di rete affinché si possano
realizzare interventi ad ampio raggio che singole realtà, pubbliche e/o private e/o del
privato sociale, non potrebbero altrimenti realizzare. Il lavoro in rete è parte del modus
operandi dell’Associazione Dianova, che da forma all’integralità dell’intervento educativo e
terapeutico. Il programma per i minori è progettato in modo tale che risulta inconcepibile
lavorare in modo isolato, separatamente dalla rete sociale più vicina (servizi sociali, centri
sanitari, salute mentale, educazione) e più allargata (contesto di appartenenza del
minore). Dal momento in cui si ha notizia del possibile ingresso di un/una minore al
Gruppo Appartamento, automaticamente il lavoro con la rete si mette in moto: inizialmente
si mantiene un contatto con tutti gli enti che sono intervenuti sul/sulla minore allo scopo di
ottenere informazioni significative sulla sua storia, sul lavoro educativo e/o terapeutico
realizzato fino ad allora e anche per esplorare le aspettative verso il programma Dianova.
Durante la permanenza del minore nel Gruppo Appartamento, l’ente o gli enti di
riferimento effettuano una ricognizione della sua evoluzione con visite, chiamate
telefoniche o relazioni sull’evoluzione, cosa che ci mantiene in continuo contatto e ci fa
lavorare congiuntamente. Infine, quando si avvia la fase di re-ingresso nel proprio contesto
di appartenenza, la comunicazione e il coordinamento con l’ente di riferimento assume
un’intensità e una rilevanza speciale, poiché il minore deve inserirsi in un ambiente quanto
più possibile “normalizzato” e in maniera graduale. D’altro canto a tutto il lavoro
individualizzato effettuato nel Gruppo Appartamento si cerca di dare una continuità
100 attraverso le diverse risorse della rete, e ciò significa che il minore deve conoscere le
risorse della rete sociale, necessarie al suo inserimento in società: centro scolastico,
associazione di tempo libero, servizi sociali di base, salute mentale, etc. Parallelamente al
lavoro in rete che si genera con ogni minore, l’équipe della struttura partecipa e collabora
con altri enti della rete sociale, allo scopo di lavorare congiuntamente su aspetti comuni,
per coordinare strategie di intervento e, in definitiva, per migliorare la qualità e l’integralità
del nostro lavoro.
f. Tariffe praticate:
Il costo dei Servizi offerti viene stabilito annualmente dall’Associazione Dianova Onlus con
gli Enti invianti entro il 31 dicembre, per il 2014 la retta è determinata in 90,00 Euro/giorno.
Al momento dell’inserimento l’Associazione stipula un contratto con l’Ente inviante che
autorizza all’inserimento e provvede al pagamento. Le prestazioni erogate e comprese
nella retta sono:
- Spese per il personale;
- Vitto: prima colazione, pranzo, merenda e cena;
- Alloggio: stanza da letto (da condividere con altri ragazzi, per un massimo di tre per
stanza), lenzuola e coperte;
- Materiali e strumenti per le attività dentro e fuori dalla Gruppo Appartamento;
- I trasporti per le attività esterne (compresi i trasferimenti per la scuola);
- Spese per attività ricreative e ludiche;
- Spese telefoniche e postali, se descritte nel PEI;
- Spese mediche e medicinali mutuabili.
Non sono comprese nella retta:
- Abbigliamento;
- Spese scolastiche (testi, rette degli istituti, etc.);
- Prestazioni mediche specialistiche e farmaci non mutuabili.
Il costo dei servizi è invariabile pertanto non possono essere invocati, per un eventuale
ridimensionamento della retta, l’età degli ospiti ed altri fattori.
101 g. Coperture assicurative:
L’Associazione Dianova stipula a favore degli ospiti idonea assicurazione al fine di
coprirne i seguenti rischi:
- infortuni subiti dai minori sia all’interno che all’esterno della struttura (polizza INF);
- danni arrecati dai minori sia all’interno che all’esterno della struttura (polizza RCT).
3.4 IL SERVIZIO DIURNO “LA VILLA”
a) DEFINIZIONE E OBIETTIVO DEL SERVIZIO:
Il Servizio Diurno dell’Associazione Dianova a carattere semiresidenziale è rivolto a minori
in situazione di disagio socio-ambientale, di ritardo scolastico e/o a rischio di
emarginazione. L’intervento del Servizio è caratterizzato dal lavoro svolto dall’operatore,
attraverso la realizzazione di un Progetto Educativo Individualizzato, in relazione non solo
al rapporto con il/la minore ma anche con la famiglia e le istituzioni coinvolgendole
secondo la loro specifica funzione. Il Servizio prevede la realizzazione di attività di
sostegno e formative che attivino esperienze positive e maturative per favorire un
funzionale processo di crescita spesso a rischio di interruzione o compromissione.
b) DESTINATARI DELL’INTERVENTO:
Il servizio Diurno può ospitare un massimo di 4 minori in età compresa tra 12 e 15 anni,
segnalati dal servizio sociale del Comune di Palombara Sabina (Rm). In casi particolari, su
richiesta degli operatori dei servizi coinvolti e acquisito il parere del Coordinatore del
Servizio, può essere preso in esame l’inserimento di minori di età diversa da quella
stabilita. La partecipazione al Servizio di minori provenienti da altri comuni limitrofi è
possibile previa definizione di tutti gli aspetti, compreso quello finanziario.
c) MODALITA’ DI FUNZIONAMENTO:
Nel Servizio Diurno opera un’équipe composta da un operatore socio pedagogico, un
operatore ausiliario addetto agli spostamenti logistici, un coordinatore e, in maniera
102 programmata, dagli stessi operatori ed educatori che fanno parte dell’équipe della
Struttura residenziale “La Villa”. I minori del Servizio Diurno vengono presi in carico negli
orari e nei luoghi stabiliti e riaffidati esclusivamente alla persona autorizzata; tali aspetti
sono previamente concordati con i servizi invianti e qualsiasi eccezione viene autorizzata
tramite apposita liberatoria dai servizi e dai genitori/tutori. Mensilmente, per verificare
l’andamento del Servizio Diurno e costruire azioni sinergiche con le attività previste nella
Struttura residenziale, viene realizzata una riunione di équipe congiunta; bimestralmente è
prevista una riunione con gli operatori dei servizi invianti.
d) ATTIVITA’:
Il Servizio Diurno è una struttura flessibile che sviluppa attività di sostegno educativo,
scolastico e laboratori (sportivi, espressivi e creativi). Il supporto educativo dell’operatore
della struttura riguarderà i seguenti ambiti:
• attività connesse allo studio e allo svolgimento dei compiti scolastici;
• attività legate all’igiene e alla cura personale dei singoli minori;
• attività legate alla vita in comune, alla socializzazione e al tempo libero anche attraverso
l’uso di strutture ricreative e sportive interne ed esterne alla struttura;
• attività di laboratorio.
e) GESTIONE:
Il Servizio Diurno, durante il periodo scolastico, è attivo dal lunedì al venerdì dalle 14,00
alle 18,00; nel periodo di chiusura scolastica il servizio è attivo dal lunedì al venerdì dalle
11,00 alle 18,00. Il servizio non è attivo il sabato e la domenica, durante le festività
programmate, nel mese di agosto e dal 30 dicembre al 6 gennaio. Eventuali eccezioni
saranno valutate dal coordinatore e dall’ente inviante. Non sono previsti soggiorni di
vacanza per gli ospiti. E’ possibile prevedere l’inserimento dei minori del Servizio Diurno
all’interno dei soggiorni organizzati per gli ospiti del Servizio Residenziale “La Villa”, previa
condivisione con gli enti invianti e i genitori/tutori.
103 f) PERSONALE:
Per il Servizio Diurno è prevista la presenza di 1 operatore socio pedagogico a 20 ore
settimanali, 1 coordinatore referente ed 1 operatore ausiliario per gli spostamenti nelle
fasce di interesse.
g) MODALITA’ DI INSERIMENTO:
L’ingresso nel Servizio Diurno è proposto dagli operatori del servizio sociale che, verificata
la disponibilità del posto, redigono una relazione scritta per attivare le procedure di
inserimento del minore. Tale relazione deve contenere la descrizione della situazione del
minore, del contesto familiare, scolastico e relazionale e la descrizione degli interventi
precedentemente realizzati. Il Coordinatore del Servizio, valutata la possibilità di
inserimento, condividerà con il servizio inviante il Progetto Educativo Individualizzato.
h) PROGETTO EDUCATIVO:
Il Progetto Educativo dovrà prevedere il periodo di partecipazione del minore al Servizio e
sarà redatto dall’operatore in accordo con il Coordinatore del Servizio e gli enti invianti. Nel
progetto sono specificati i seguenti aspetti: provvedimento giudiziario (se presente),
obiettivi da raggiungere, prestazioni previste, tempi settimanali-giornalieri di intervento,
modalità di verifica. In accordo con i servizi che hanno in carico il minore, gli obiettivi del
Progetto Educativo saranno condivisi con i genitori/tutori e con essi verificati
periodicamente.
i) ASSICURAZIONE:
Per ogni ospite viene stipulata una polizza assicurativa per gli infortuni e la responsabilità
civile che offre copertura nel periodo in cui il minore è preso in carico dal Servizio Diurno.
l) RETTA:
La retta prevista nel periodo di frequentazione scolastica è pari a 36,00 euro giornaliere.
Nei periodi di interruzione scolastica la retta prevista è pari a 50,00 euro giornaliere. Oltre
104 alla copertura dei costi delle attività in programma, la retta prevede la somministrazione di
un pasto e della merenda. Sono escluse dalla retta tutte le spese relative alla
frequentazione scolastica, all’abbigliamento e relative a prestazioni mediche e/o
farmacologiche. 15
15
Riferimenti sitografici:
http://www.dianova.it/area-giovani/gruppo-appartamento-la-villa
http://www.dianova.it/chi-siamo/dianova-un-associazione-onlus-per-le-tossicodipendenze-e-ildisagio-sociale
http://www.dianova.it/images/allegati/comunita_centri/carta%20dei%20servizi%20la%20villa.pd
f
http://www.dianova.it/area-giovani/programma-educativo-individualizzato
http://www.dianova.it/area-giovani/gruppo-appartamento-la-villa
105 106 CONCLUSIONI
Questo lavoro, con il quale ho voluto fare il punto della situazione sulle CT,
rappresenta uno spunto e uno stimolo di riflessione sui trattamenti (nell’ambito dei servizi
alla persona sempre più inquadrati nel ruolo che il cosiddetto “quarto settore” ha assunto
in termini di auto-organizzazione) di Comunità, e sulla rotta che le stesse dovranno
intraprendere nei prossimi anni. La volontà di crescita generale si scontra con la realtà di
questi ultimi anni, in cui la crisi generale degli Stati su larga scala influenza di
conseguenza anche il welfare state e costringe a rivedere radicalmente le linee guida che
fino ad ora hanno sostenuto le attività delle Comunità Terapeutiche. L’esigenza sembra
essere quella secondo cui è necessario attuare un vero e proprio cambio di paradigma e
una riorganizzazione di questi servizi. Di conseguenza molte sono le questioni che ne
scaturiscono. In Italia le CT, nate e cresciute dagli anni Sessanta in poi per contrastare il
fenomeno droga, il disagio e la devianza giovanile, a volte supportate dai modelli
statunitense e anglosassone, hanno lavorato per diminuirne le conseguenti marginalità e
esclusione sociale. Tali organizzazioni con il tempo hanno messo in piedi e consolidato un
metodo e affinato una conoscenza tecnica e scientifica, in una filosofia dell’auto-aiuto
rafforzata attraverso il supporto e l’integrazione di risorse professionali che hanno
migliorato i sistemi di cura (in Italia, tra i primi a lavorare in questa direzione, favorendo la
formazione di trattamenti a sistema misto integrando l’auto-aiuto con professionisti
dell’area medica e psicologica, ci furono Donald J. Ottenberg e Vladimir Hudolin). Tale
attenzione alla crescita professionale di operatori e utenti ha portato ad esperienze
significative come ad esempio la Scuola di Formazione di Castelgandolfo (Ceis di Don
Picchi) e l’Università della Strada del Gruppo Abele di Don Ciotti, che affiancate alla
gestione delle CT hanno creato e favorito luoghi di formazione e di saperi, e l’integrazione
dei servizi pubblico/privato. Esperienze queste che hanno destato curiosità e ammirazione
negli altri Paesi Europei, così come è accaduto per il loro ruolo di mediazione e centralità
tra i diversi servizi, attraverso il volontariato, gli indirizzi di ricerca spirituale ed esistenziale.
Negli anni Ottanta poi, l’implementazione dei servizi pubblici hanno accompagnato le
pionieristiche attività delle CT, costruendo un nuovo sistema di cura, che a volte è stato
testimone di conflittualità e competizione tra operatori del settore pubblico e del settore
provato. La situazione si è poi evoluta, le CT si sono andate adeguando con la
personalizzazione degli interventi, e i trattamenti offerti si sono quindi evoluti in questa
107 direzione (accoglienza nelle CT di nuovi utenti con nuove dipendenze, come quella del
gioco, sex addiction, shopping, internet). Tutto ciò ha contribuito al cambiamento interno
alla CT, e a quelle modifiche relative ai rapporti con gli enti pubblici e con le Asl (istituiti
con la Legge 162/1990 e poi 309/90), relative all’accreditamento istituzionale, alle
certificazioni di qualità (Legge quadro 328/2000). Ma intanto il profilo delle persone ospiti
delle CT si evolve e muta, cambiano le persone ospiti, e gli interventi vengono man mano
adeguati, diventando multidisciplinari (collaborano in una CT diverse figure professionali,
quali lo psicologo, l’educatore, lo psichiatra, che si affiancano all’operatore di comunità), e
spesso a quello educativo si affianca quello sanitario, psichiatrico (somministrazione di
terapie farmacologiche), confermando una mutazione ambientale e antropologica sempre
più evidente, che modifica le condizioni culturali e di contesto, che porta le CT quindi ad un
continuo adattamento non sempre facile (anche a causa del problema delle risorse
finanziarie), in cui i fattori formativi ed educativi, il lavoro di rete, la multidisciplinarietà,
sono quanto mai fondamentali. Le nuove CT quindi dovranno svolgere un ruolo politico
diverso, di maggiore integrazione sul territorio e la realtà locale, offrendo una pluralità di
approcci, strumenti e metodi personalizzati, rivolti agli utenti ma anche alle loro famiglie, di
tipo educativo, pedagogico, ma anche psicologico e psichiatrico, sanitario e sociale. Con
un atteggiamento propositivo e autoriflessivo, diventando funzionali alle nuove esigenze
dell’utenza, le CT devono investire in nuove reti relazionali, attraverso azioni di cura ma
anche programmi di prevenzione di cui i giovani adolescenti diventano i primi fruitori.
Fondamentale è il confronto con realtà ed esperienze di altri Paesi, che hanno costruito
nel corso degli anni una loro storia nell’approccio al servizio alla persona (pensiamo per
esempio ad esperienze straniere come quelle della Federazione Latinoamericana delle
CT, FLACT, o la CT Greca “Ithaca”, che hanno alle spalle decenni di storia).
Fondamentale è quindi, soprattutto nei servizi rivolti ai minori e agli adolescenti, la
formazione di valori come quelli dell’accoglienza, della parola, dell’ascolto, delle relazioni,
della responsabilità, alla cui formazione le CT devono contribuire. Così come
fondamentale inoltre sarà la cooperazione tra le CT (e in questo il ruolo della Federazione
Mondiale delle Comunità Terapeutiche sarà indispensabile).
Colgo l’occasione infine per ringraziare tutti coloro che mi hanno supportato in questo
studio, su tutti la Professoressa Rita Minello, l’Ass.ne Dianova Onlus, e la mia famiglia.
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111 Contatti:
[email protected]
[email protected]
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