Tutto iniziò con l`omicidio del giudice Scopelliti

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POLITICA Un’altra
maggioranza è possibile
LEADER Chi ha
salvato l’Europa
2 GIUGNO A Bologna
per la Costituzione
N. 21 | 1 GIUGNO 2013 LEFT+L’UNITÀ 2 € (0,80+1,20)
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SETTIMANALE LEFT AVVENIMENTI
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D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004
N. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB ROMA
ANN0 XXV - ISSN 1594-123X
AV V E N I M E N T I
DI CHE SI TRATTA
Tutto iniziò con l’omicidio del giudice Scopelliti. A vent’anni dalle
stragi, la procura di Reggio scopre la mano della ’ndrangheta
nella trattativa tra Stato e mafia. Che fa tremare la politica
di Alessia Candito, Maurizio Torrealta e Rocco Vazzana
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n. 357/88 del 13/6/88
LA TESTATA FRUISCE
DEI CONTRIBUTI
DI CUI LA LEGGE AGOSTO 1990, N. 250
2
LA NOTA DI
Maurizio Torrealta
La legge del ring
e il rischio della platea vuota
È
la legge del ring: non vince chi picchia più duro ma chi ne incassa di
più e rimane sulle sue gambe più a lungo.
Chi si agita e pensa con un colpo di stendere l’avversario, si stanca provandoci in
continuazione, poi cede. Chi sa incassare con eleganza, addirittura anticipando
con il corpo il movimento della forza che
gli si scatena addosso, ammortizza i colpi
e fiacca l’avversario. Vorrei tenere presente questa metafora per analizzare i risultati delle elezioni amministrative appena tenute: non credo che sia cambiato molto
sul ring politico. Se pensiamo all’elettorato come a un pubblico, il pubblico è diminuito e questo dovrebbe scontentare tutti i contendenti. In altre parole, la sfiducia
è aumentata nei confronti di tutti i partiti.
Chi vive nella società del “capitalismo cognitivo” sa che l’attenzione è un bene prezioso, sia quella che utilizziamo per risolvere i nostri problemi sia quella che strappiamo all’indifferenza di chi ci circonda.
Perdere attenzione è una sconfitta collettiva. Qualcuno canta vittoria pensando
che con la diminuzione dei voti raccolti dal
M5s sia finita la stagione del malcontento:
il M5s, dunque, come vittima sacrificale da
immolare sull’altare delle sconfitte subite.
Il M5s sembra avere tutte le caratteristiche
della vittima ideale: giovane, provocatore, inesperto. Come se i problemi che attanagliano il governo provenissero da fuori
della coalizione e non dall’interno dell’esecutivo delle larghe intese. Se qualche forza politica pensasse di aver già messo ko
il M5s, mi permetto di dubitarne: sono ragazzi giovani e pieni di energie, abbastanza motivati da imparare dai loro errori, dalla loro arroganza, dalla loro presunzione
e dalla loro inesperienza. I migliori di loro avevano già capito che si stavano avvitando su loro stessi, ma la disciplina di un
movimento non differisce troppo da quella di un partito e obbliga i dissidenti a conformarsi alla maggioranza. Rimarranno in
piedi sul ring, non ne dubito, anche se probabilmente non tutti arriveranno alle stesse decisioni con la stessa velocità. Ma sono quelli che pensano di aver vinto che mi
preoccupano di più. È il governo delle larghe intese quello che ha la responsabilità
maggiore del Paese e che non può perdere
la sua corsa contro il tempo: deve accelerare e, nello stesso momento, è costretto a
frenare per non perdere i pezzi per strada.
Questo frenare e accelerare rischia di surriscaldare la temperatura fino alla rottura,
e questa rottura potrebbe essere l’obiettivo segreto di chi vuole far saltare il banco,
per andare a elezioni anticipate prima che
si strutturi un sistema penalizzante per la
sua forza politica. È un rischio da non sottovalutare. L’aspetto che più impressiona
in questi giorni è la distanza tra le richieste della base dei partiti politici e le offerte
dei vertici. Da una parte c’è la domanda di
partecipazione e di innovazione nella politica, l’aspettativa di un’applicazione piena degli ideali della Costituzione chiesta
dai mille circoli e dai mille dibattiti che in
questa primavera si sono moltiplicati. Dai
vertici c’è la risposta di un fumoso progetto dalla dubbia legittimità costituzionale e
gli espliciti tentativi di modifica in senso
presidenzialista del nostro sistema politico. In mezzo, tra questa richiesta appassionata che viene dal basso e questa inaccettabile forzatura presidenziale, non c’è più
nulla, neanche la passione per un incontro
sul ring. Il pubblico sta già uscendo dalla
sala e c’è il rischio che nessuno scommetta più nulla sui contendenti, sia che rimangano in piedi o vengano messi ko. Questa
sarebbe la vera crisi del Paese. Non quella
economica ma quella politica.
1 giugno 2013
left
left.it
sommario
IANNO XXV, NUOVA SERIE N. 21 / 1 GIUGNO 2013
COPERTINA
INTERNET
DI CHE SI TRATTA
HAPPY BIRTHDAY SECOND LIFE LE RANE DEL NOBEL MO YAN
La procura di Reggio Calabria
ha aperto un fascicolo sulla
trattativa Stato-mafia. Secondo il pm Giuseppe Lombardo,
il dialogo non inizia con la strage di Capaci, ma un anno prima, quando uomini della
’ndrangheta uccidono il giudice Antonino
Scopelliti per conto di Cosa nostra.
Compie dieci anni Second life,
il più famoso dei mondi virtuali.
Non ha più i milioni di avatar degli inizi, ma la piattaforma della Linden lab non è affatto morta. Passata la
moda è tornata al progetto originario: essere un luogo di sperimentazione e comunicazione in 3d. Con le proprie regole.
14
LA SETTIMANA
02 LA NOTA
04 FOTONOTIZIA
COPERTINA
14 La Reggina delle trattative
di Alessia Candito e Rocco Vazzana
20 Le stragi e la macchina del tempo
di Maurizio Torrealta
SOCIETÀ
24 Carta straccia
di Donatella Coccoli
27 Onida: Guai a chi la tocca
di don.coc.
28 Sentinelle della democrazia
di Sandra Bonsanti
30 Puppato: Sì a maggioranze
trasversali di Sofia Basso
31 Zaccagnini: Pronti al dialogo con
i “buoni” del Pd di s.b.
MONDO
34 L’Europa siamo noi di Cecilia Tosi
e Manuele Bonaccorsi
40 Happy birthday Second life
di Paola Mirenda
left 1 giugno 2013
40
IDEE
10 ALTRA POLITICA di Andrea Ranieri
10 SAPERI DIFFUSI di Guido Viale
11 IN PUNTA DI PENNA
di Alberto Cisterna
12 KEYNES BLOG
di Daniela Palma e Guido Iodice
12 IN FONDO A SINISTRA
di Fabio Magnasciutti
13 L’OSSERVATORIO
di Francesco Sylos Labini
54 TRASFORMAZIONE
di Massimo Fagioli
62 TI RICONOSCO di Francesca Merloni
CULTURA E SCIENZA
46 Cina, l’impero del rimorso
di Rosa Lombardi
49 Raccontare l’invisibile
di Federica Casalin
51 Hauser, idiota alla Dostoevskij
di Camilla Bernacchioni
52 La vita è intelligente di Tiziana Barillà
56 Angelina e il professore
di Antonella De Ninno
LETTERATURA
Il nuovo romanzo del premio
Nobel cinese Mo Yan, Le rane, ripensa criticamente le politiche del figlio unico e degli
aborti forzati imposti dal regime maoista. E
mette al centro della narrazione i rimorsi di
un popolo consapevole di aver obbedito
per lunghi anni a diktat imposti dall’alto.
46
RUBRICHE
06 COSE DELL’ALTRITALIA
a cura della redazione Interni
07 DIARIO DELLA CAROVANA
a cura di Arci
08 COSE DELL’ALTRO MONDO
a cura della redazione Esteri
33 CALCIO MANCINO
di Emnuele Santi
58 PUNTOCRITICO
CINEMA di Morando Morandini
ARTE di Simona Maggiorelli
LIBRI di Filippo La Porta
60 BAZAR
MUSICA, TENDENZE, REVIVAL
60 APPUNTAMENTI
61 IN FONDO di Bebo Storti
Chiuso in tipografia il 29 maggio 2013
Foto di copertina: Letizia Battaglia
(Palermo, 1992. Rosaria Costa, vedova dell’agente
della scorta di Giovanni Falcone, Vito Schifani)
3
fotonotizia
Brasiliani
ai vostri posti
Il Brasile si prepara a ospitare una lunga serie di eventi internazionali facendo esercitare i suoi militari. Nella foto,
un soldato si addestra al recupero di ostaggi, ma l’allarme
sicurezza è scattato ad aprile,
quando una turista americana
è stata stuprata su un mezzo
pubblico a Rio de Janeiro. Il
governo brasiliano sta facendo di tutto per rassicurare gli
stranieri in vista della Confederation Cup (15-30 giugno) e
della Giornata mondiale della
gioventù (23-28 luglio).
(Calvano/Ap/Lapresse)
cose dell’altromondo
© PISARENKO/AP/LAPRESSE
left.it
FESTA ARGENTINA Buenos Aires ha festeggiato il 25 maggio dieci anni di governo Kirchner. Celebrazioni mastodontiche hanno riunito a
Buenos Aires migliaia di sostenitori di Christina e di suo marito Nestor, che nel 2003 prese il potere per passarlo alla sua morte (nel 2010) alla
moglie e attuale presidente. Christina Kirchner ha ringraziato la folla descrivendo gli anni in cui ha governato la sua famiglia come «un decennio
vittorioso» grazie allo statalismo economico che ha trascinato l’Argentina fuori dalla crisi e ha alzato gli standard di vita per tutta la popolazione.
SENEGAL
È l’ammontare degli aiuti offerti
dal segretario di Stato americano John
Kerry all’Autorità nazionale palestinese
per rilanciare il piano di pace. Scettico
il portavoce del presidente dell’Anp
Mahmoud Abbas: «Non offriremo
concessioni politiche in cambio
di facilitazioni economiche»
La pena di morte è indispensabile in un Paese musulmano. Lo sostiene Youssoupha Sar, presidente della
Ligue des imams del Senegal, proprio mentre al Parlamento si discute della ratifica della legge che, nel
2004, l’ha abrogata. «Dobbiamo fermare la violenza
a Dakar», ha spiegato Sar, «e questo è un ottimo strumento per farlo. I giovani devono temere la legge». Contro la
pena capitale si sono schierate
ong,come Amnesty international. Ma molti deputati della maggioranza, soprattutto della coalizione Benno Book Yaakaar, non
hanno nessuna intenzione di desistere: sedia elettrica o impiccagione, l’esempio va dato.
©AP/LAPRESSE
4 mld
Esempio capitale
CRISI DELLA SETTIMANA L’ondata anti islamica travolge anche la Gran Bretagna e fa salire la tensione nei piccoli e
grandi centri. Un soldato è stato ucciso nei sobborghi di Londra e le autorità hanno dichiarato che dovrebbe trattarsi di un
atto terroristico. Nelle 48 ore successive, le denunce di aggressioni anti islamiche si sono moltiplicate: 162 musulmani hanno
dichiarato di essere stati assaliti o colpiti dal lancio di oggetti. Qualcuno è arrivato ad appiccare il fuoco alla moschea di Grimsby,
sulla costa orientale. E l’organizzazione anti islamica English defence league ha marciato a Grimsby, Newcastle e Londra.
6
1 giugno 2013
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left.it
José Ignacio Wert,
ministro spagnolo
dell’Educazione, che ha
reintrodotto la religione
tra le materie prese
in considerazione
nella valutazione
della media
scolastica
© SENG SIN/AP/LAPRESSE
«Ma io non mi sono mica
piegato alla Conferenza
episcopale. Ho solo
applicato lo spirito
del Concordato»
NAZI BIRMANI
Il Myanmar fa un passo avanti e due indietro. Mentre la sua
Giunta cerca il dialogo con l’esterno, dentro il Paese viene
riconosciuto il Rakhine national development party, un partito buddista dalla dichiarata ispirazione neonazista. «Vogliamo uno stato completamente buddista», dicono. «Non
diteci che vogliamo la pulizia etnica perché vogliamo solo liberarci dai musulmani Rohynga, che non sono un’etnia».
EUROPA, I GIOVANI E LE URNE INCHIESTA SUL VOTO TRA GLI UNDER 30
PERICOLO ROSA
I palloncini in Afghanistan sono pericolosi.
Specie se sono rosa. Lo
hanno dichiarato i Talebani sul loro sito ufficiale dopo che ne sono stati distribuiti 10mila per
le strade di Kabul. L’ideatore dell’evento, l’artista 31enne Yazmany Arboleda, desiderava «sottolineare la creatività
dei giovani afgani». Ma i
Talebani non hanno apprezzato. «Era uno spettacolo di palloncini o di
minigonne?», scrivono.
«Molte ragazze non portavano il velo. Volevano
scagliarsi contro la cultura dell’hijab».
Paesi dove la partecipazione è alta
fonte:
Eurobarometro
Paesi dove vince l’astensionismo
GIAPPONE La fabbrica dal volto umano
Non chiede ferie né aumenti salariali, non fa pausa pranzo né riposo settimanale, non si lamenta
dei turni di notte. È preciso, sempre in forma e
ha un aspetto simpatico e gradevole. L’umanoide NextAge ha festeggiato a maggio sei mesi di
lavoro alla Glory, importante fabbrica giapponese. Per la prima volta un robot dalle
© JAMSHID/AP/LAPRESSE
sembianze umane è stato messo alla catena di montaggio, e l’azienda si di-
left 1 giugno 2013
chiara entusiasta: «Ogni robot costa 60mila euro,
l’equivalente del salario lordo annuo di un operaio», spiega un responsabile. «Ammortizziamo
il costo in due anni, e spendiamo solo 13 euro al
mese di elettricità. È decisamente conveniente».
Più cauti i dipendenti della Glory: finora nessuno
di loro è stato licenziato per far posto a una macchina, ma con l’aria che tira non si sa mai.
7
cose dell’altritalia
left.it
FERITE PREVENTIVE
© LAPRESSE
Gli hacker di Anonymous violano
il sito del sindacato della polizia
(Sap). E rivelano: pochi giorni
prima dei cortei in Val di Susa
del 27 giugno e 3 luglio 2011 il
Sap aveva diffuso tra i reparti
inviati nelle Valli alcuni modelli
prestampati con denunce
già pronte. Per ferimenti
subiti dai poliziotti durante le
manifestazioni, che però non
erano ancora avvenute. Con
tanto di vademecum: superati
quei giorni, gli agenti avrebbero
dovuto consegnare a un legale
di Torino le denunce ai No Tav.
PARADOSSI ELETTORALI
NON HAI VOLUTO LA CRISI? PEDALA LO STESSO
1.748
mila
1.750
mila
1.400
mila
SULMONA Ottimo risultato del
candidato di sinistra Fulvio Di
Benedetto, che col 21% accede
al ballottaggio. Peccato sia
deceduto durante la campagna
elettorale. Nella sfida finale lo
sostituirà il candidato del Pdl.
VIGNANELLO Nel viterbese
Vincenzo Grasselli,
centrosinistra, non ha dovuto
penare per ore in attesa dello
spoglio. Con il 65% dei voti ce
l’ha fatta senza problemi. Anche
perché era l’unico candidato.
2011
1.650
mila
2012
Nel 2012 dopo 48 anni l’acquisto delle bici ha superato
quello delle auto. Lo rende noto il sottosegretario
alle Infrastrutture e Trasporti, Erasmo D’Angelis.
FERRARA Fantini, datevi una “mossa”
CAGLIARI Punito il medico efficiente
Smarcarsi dalle regole senesi e puntare su
un Palio che sia davvero di Ferrara. Lo ha
proposto il sindaco estense Tiziano Tagliani spazientito
dalla lunga attesa della “mossa”, la partenza della corsa dei
cavalli, che domenica scorsa ha ritardato di ben un’ora e
45 minuti l’avvio del secondo palio più importante d’Italia.
«Tempi così lunghi non sono ammissibili», denuncia il sindaco. «La soluzione può essere quella di formare una leva
di fantini locale o addirittura regionale». E l’attuale presidente dell’Ente Palio, Giambaldo Perugini, ammette: «Per
la corsa dei cavalli siamo oggettivamente legati a Siena, dove c’è una scuola di fantini professionisti che girano i palii
d’Italia. Quando proposi il “sogno” di una scuola ferrarese
si obiettò: vogliamo correre o passeggiare? Qui non si tratta
di ingaggiare fantini ferraresi, ma di creare una scuola».
Un medico accorpa gli esami e così azzera le liste d’attesa. Nel giro di
un mese e senza alcun onere aggiuntivo. Ma l’amministrazione sanitaria anziché premiarlo lo sanziona
con una sospensione dal servizio. È la storia di Giorgio Fanni del reparto Ginecologia dell’ospedale di
Cagliari. Adesso il medico ha ottenuto dal tribunale
di Cagliari l’annullamento della sanzione ed è tornato in ospedale. «Intendo solo fare il mio lavoro», dice.
«Continuare a supportare le donne e i pazienti, perseguendo l’obiettivo di accorpare nel pubblico i diversi esami, come avviene nel privato. Lo faccio per permettere a chi non ha risorse economiche adeguate di
potersi curare dignitosamente ed efficacemente».
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1 giugno 2013
left
left.it
diario della carovana
LO SCIOPERO A ROVESCIO
DEI DISOCCUPATI
BRINDISI Due capitali della cultura
La città di Brindisi decide di ritirare la
propria candidatura al titolo di Capitale
europea della cultura 2019 e appoggiare quella di Lecce,
il cui iter sarebbe già in uno stadio più avanzato. E la decisione, come già quella di candidarsi, spacca in due opinione pubblica e politica locale. L’iter era stato avviato
nel 2009 dall’amministrazione di centrodestra di Mennitti. Oggi a chiuderlo è quella di centrosinistra guidata Consales. Il cambio di rotta non equivale a una resa: Brindisi ora dovrebbe essere inserita nel progetto leccese - da
presentare entro il 30 settembre prossimo, insieme all’ufficializzazione della candidatura a Capitale Europea della
Cultura 2019 - con una serie di eventi e manifestazioni. Lo
stesso progetto dovrebbe poi, anche nelle sue parti grafiche, sintetizzare l’unione dei due territori.
left 1 giugno 2013
Mafie in agguato
sulla ricostruzione
I
© SCROBOGNA /LAPRESSE
Lo sciopero, un diritto dei lavoratori. Anche di chi il lavoro l’ha perso. In occasione della mobilitazione nazionale delle costruzioni proclamata venerdì 31 maggio, i
sindacati emiliano romagnoli dell’edilizia (Fillea, Filca,
Feneal) hanno lanciato l’idea di uno “sciopero a rovescio”. Ad animarlo, infatti, non sono i lavoratori che abbandonano i cantieri e gli attrezzi del mestiere. Ma disoccupati e cassintegrati, che quei cantieri li hanno dovuti lasciare per forza. Costretti da una crisi che ha fatto sparire, dal 2008 a oggi, ben 30mila dipendenti, solo
nel settore delle costruzioni.
Un lungo elenco, a cui presto potrebbero aggiungersi i migliaia di lavoratori attualmente interessanti dagli ammortizzatori sociali. Anche in Emilia
Romagna, dove l’ondata della ricostruzione
post sismica aveva fatto credere in un balzo
in avanti. «Il paradosso - dicono i sindacati che hanno organizzato cortei e assemblee
in tutta la Penisola - è
che il lavoro ci sarebbe,
ma non è cantierabile,
a causa del Patto di stabilità che blocca gli Enti locali».
Felicia Buonomo
Ogni settimana left
ospita il diario di bordo
dell’iniziativa promossa
da Arci, Libera e Avviso pubblico,
che terminerà il 6 giugno.
www.carovanaantimafie.eu
l 25 maggio si è tenuta l’ultima tappa toscana, a
Sesto Fiorentino. Da lì ci siamo diretti alla volta
dell’Emilia Romagna. Nel tardo pomeriggio arriviamo al circolo Arci Quartiere Ovest di Finale Emilia
(Mo), dove ci aspettavano per un dibattito su legalità e ricostruzione. Già, la ricostruzione. E le mafie sono sempre in agguato dove c’è da ricostruire.
Un rappresentante della Cgil ha sottolineato: «Molti dicono che il terremoto è democratico, che il terremoto colpisce tutti. Ma non è assolutamente vero, ci sono delle aziende, specie le più grandi, che
vengono maggiormente aiutate nella ricostruzione. E in realtà, chi rimane sotto le macerie, non sono i grandi imprenditori, ma gli operai». Tutto ciò
avviene nella terra della Resistenza, oltre la Linea
Gotica. Sciascia nel 1961 scriveva che la Linea della Palma, del caffè forte, degli scandali sale sempre
più su, verso Nord. Oggi le mafie hanno nuovi volti, non più facilmente riconoscibili. Ma ci sono anche i volti di chi oggi aspettava il nostro arrivo. Ed
è da qui che dobbiamo ripartire. Da Castelguelfo, a
circa un’ora da Bologna, un piccolo Comune dove
si vive bene e con una buona dose di anticorpi contro l’infiltrazione mafiosa. Ma, come dice il vicesindaco, l’Amministrazione non deve comunque abbassare la guardia. Nel pomeriggio siamo tornati a
Bologna dove, alla festa della Cgil, si è svolto un dibattito con don Luigi Ciotti, Paolo Beni, Susanna
Camusso e Andrea Campinoti. Dal dibattito sono
state formulate precise richieste al mondo politico:
nel nostro Paese la responsabilità individuale dovrebbe affiancarsi a quella collettiva, per costruire
un unico anticorpo contro le mafie. Per arrivare a
questo è necessario riappropriarci della nostra storia, dare il giusto valore alla parola verità e applicare finalmente per intero la nostra Costituzione.
Anche questo pezzo di percorso della Carovana è finito. Prossime tappe, dal primo al 3 giugno, in Veneto e subito dopo in Trentino.
a cura dell’Arci
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left.it
altrapolitica
di Andrea Ranieri
Don Gallo, resistenza e speranza
A
Trasformava
gli assistiti
in assistenti.
Senza
dare una
gerarchia
ai problemi
d accompagnare Don Gallo verso la chiesa
del Carmine di Genova c’era proprio tutto
il suo mondo. Un mondo grande, come grande
era la sua capacità di accompagnare e accogliere. Gli operai della Fiom e quelli della Compagnia portuale, signore e signori che credono e altri che non han mai messo piede in chiesa, le prostitute dei vicoli e gay di ogni razza e colore, quelli che sono usciti dalla dipendenza di qualche sostanza e quelli che ancora la combattono, quelli
del NoTav e NoPonte, e i ragazzi dei centri sociali. Tutti insieme, e tutti fieri di averlo conosciuto,
amato, di avergli parlato. Ognuno con qualcosa
contro cui resistere e con qualcosa in cui sperare
(che resistenza e speranza sono state il messaggio più grande di Don Gallo). Tutti convinti che
il problema dell’altro è anche un proprio problema. Senza gerarchie tra i problemi. Le gerarchie
che piacciono tanto a chi vede la crisi da fuori,
e che allora “quando è in gioco il lavoro, tutto il
resto vien dopo”. Quelli che fissano le priorità
a partire magari da quegli stessi parametri che
stanno portando il mondo alla rovina.
Operai, portuali, gay, travestiti, tutti intorno a
Don Gallo, erano l’uno per l’altro una priorità. Di
chi sa che il riconoscimento della dignità delle
persone, dentro e fuori il lavoro, nella loro eguaglianza e nella loro diversità, è il punto di partenza per affrontare la crisi del mondo che abbiamo conosciuto e per provare a pensarne un altro.
Non risolverà tutti i problemi, ma dirsi che riconoscere il diritto a scegliere la mia strada per essere felice, che la sicurezza sul posto di lavoro e il
diritto a un lavoro decente è più importante delle
cifre che mi proiettano addosso, per farmi sentire debitore anche se vivo del sempre meno che ci
si può permettere, è il primo passo per non rassegnarsi, per trovare altri io con cui cercare risposte. Don Gallo da vivo aveva avuto la capacità di
far diventare quei diversi io un noi, grande e importante. Un noi che a quel funerale ha dimostrato di voler andare avanti. Di continuare a tessere
quel filo rosso che lega tra loro diritti diversi.
Accanto a Don Gallo, molte persone della sua
comunità avevano trovato dignità e rispetto di
sé. Anche se avevano alle spalle storie dure e
terribili. Da assistiti si erano trasformati in assistenti dei dolori e delle miserie degli altri. I tagli
alla spesa pubblica destinata al sociale rischiano di trasformare a Genova e in tante parti d’Italia gli assistenti in assistiti. Provare a impedirlo
è il modo più serio per onorare Don Gallo.
saperi diffusi
Il frutto marcio
delle privatizzazioni
L
e vicende dell’Ilva costringono
a capire anche chi non ha voluto farlo per vent’anni di che cosa
parliamo quando diciamo privatizzazioni. Riva ha comprato l’Italsider
di Taranto una ventina di anni fa per
una manciata di miliardi (di lire, cioè
di milioni di euro): ha instaurato in
fabbrica un regime dispotico, che gli
è valso due condanne per discrimi-
10
nazione ed è costato agli operai centinaia di morti sul lavoro. Ha appestato la città con ogni sorta di emissioni, reflui e rifiuti solidi nocivi che
hanno provocato migliaia di malattie e centinaia di morti. Ha imboscato molti miliardi (di euro) di profitti in paradisi fiscali, rimpatriandone
una parte esentasse grazie allo scudo fiscale di Tremonti. Ha sfruttato
gli impianti senza investire se non lo
stretto necessario per tenerli in funzione, mettendo in conto di abbandonarli, insieme a operai e città inquinata, quando non sarebbero più
stati redditizi.
Riva non è un’eccezione: il resto della siderurgia italiana ceduta ai privati e ora prossima al fallimento non è
stata da meno. Ma le grandi privatizzazioni degli anni 90 hanno riguardato anche le principali banche, Telecom e metà di Finmeccanica, cioè
i motori di gran parte della meccanica e della microelettronica del Paese, da allora svendute a multinaziona-
1 giugno 2013
left
idee
left.it
in punta di penna
di Alberto Cisterna
Quello scontro tra poteri sull’Ilva
L
a vicenda Ilva di Taranto, con le recenti dimissioni dell’intero Cda, rischia di diventare il barometro dei rapporti tra politica e magistratura nei tempi a venire. Il recente sequestro
di oltre 8 miliardi di beni a carico degli imputati
della famiglia Riva è solo l’ultimo episodio di una
contesa giudiziaria che ha assunto toni obiettivamente aspri. In cui è evidente il tentativo della politica di tenersi fuori da un agone che rischia di
denunciarne i limiti e le ingiustificate omissioni.
Il provvedimento legislativo (per così dire, ad
impresam) adottato dal governo Monti pochi
mesi or sono non è bastato a risolvere le questioni sul tappeto e ad avviare a soluzione un caso giudiziario che sarà probabilmente ricordato come una delle tappe fondamentali dell’inevitabile riallineamento dei rapporti tra il potere
giudiziario e quello politico. Già da tempo si delinea uno schieramento che parla di invasione
di campo, di scelleratezza repressiva. Ed è facile immaginare che l’Ilva possa operare da pretesto per futuri regolamenti dei conti.
La complessità della vicenda, la enorme rilevanza degli interessi economici, ambientali, sociali in discussione, il rischio paventato di far saltare una delle principali industrie siderurgiche
al mondo e di far perdere all’Italia il rating di seconda infrastruttura manifatturiera d’Europa
non sono questioni da poco. La magistratura, sia
chiaro, è entrata in campo a tempo abbondantemente scaduto, quando tutta la squadra e l’allenatore si erano già rifugiati negli spogliatoi ignorando la dirompente incidenza che le perizie
sui tassi di inquinamento nella città di Taranto
avrebbero avuto nelle aule di giustizia e innanzi
alla pubblica opinione. Le corruzioni, i tentativi
di addomesticare l’informazione, l’invocazione
d’aiuto alla politica, la girandola di ricorsi: l’affaire Ilva è un concentrato di tutto ciò che tende a trasformare l’azione della magistratura in
un maglio dagli effetti devastanti e irreversibili.
Il codice penale non prevede che possano avere
una qualche considerazione le ragioni dell’economia, le emergenze del lavoro o le latitanze della politica. Certo c’è il buon senso, ma quando
lo scontro diviene corrosivo allora il processo
è uno strumento micidiale e senza alternative.
La lezione è chiara: i governanti non lascino alla magistratura il compito di risolvere questioni
di questa complessità e affrontino le emergenze
con il piglio di chi intende risolverle. La ragionevolezza della legge non sopporta latitanze.
La querelle
sulla
fabbrica è
un pretesto
per il
regolamento
di conti
tra politica
e magistrati
di Guido Viale
li e poi chiuse o trasferite all’estero.
Adesso è la volta dei servizi pubblici
locali, le ex municipalizzate. Per costringerli a cederle la Cassa depositi
e prestiti (Cdp) - nata oltre cento anni
fa per finanziare a tassi agevolati gli
investimenti degli Enti locali e oggi
privatizzata - non fa più credito ai Comuni; che, strangolati dalle banche
(privatizzate) a tassi di usura, cercano un compratore dei loro immobili e
delle loro società per pareggiare i bilanci. E chi trovano sulla loro strada?
La Cdp, con un pacco di miliardi (di
euro) raccolti negli uffici postali dai
piccoli risparmiatori, e pronta a “por-
left 1 giugno 2013
tarle in borsa”, dove la concentrazione di queste Spa garantirà, attraverso l’aumento selvaggio delle tariffe,
il giusto “ritorno” agli anonimi investitori internazionali dell’alta finanza.
Che fare allora? Tornare al passato?
Rinazionalizzare? Non basta e non
serve: la gestione pubblica dell’Italsider prima di Riva non è da rimpiangere e oggi lo Stato non ha nemmeno
più quella scuola e quel serbatoio di
manager che era l’Iri. Senza una partecipazione e un controllo da parte
dei lavoratori, dei cittadini attivi del
territorio, di amministrazioni locali
restituite alle loro funzioni di rappre-
sentanti e tutori degli interessi dei loro amministrati, senza l’apporto quotidiano della ricerca, ma soprattutto dei saperi diffusi della cittadinanza, tutte cose necessarie al varo di un
programma di riconversione ecologica a produzioni e lavorazioni più sostenibili, per il tessuto produttivo italiano non c’è futuro.
L’ultimo boccone
da cedere ai privati:
i servizi pubblici locali
11
idee
left.it
di Daniela Palma e Guido Iodice
keynes blog
Industria, manca la materia grigia
N
L’Italia
maglia
nera
in Europa
per addetti
ai settori
avanzati
ei giorni scorsi si è levato ancora una volta il grido d’allarme di Confindustria, che
ci presenta un quadro dalle tinte più che mai fosche: il sistema industriale appare sull’orlo del
baratro, con un aumento dei fallimenti e una incapacità totale di creare nuova occupazione, a
cui si aggiunge un aumento della disoccupazione (+32,3 per cento) dei giovani laureati superiore a quello della disoccupazione media (+30,1 per
cento). La crisi in corso ha fatto da detonatore,
ma la divergenza rispetto alle performance europee è iniziata negli anni 90 e dovrebbe di per sé
sollecitare una seria riflessione sulla direzione
che dovrebbero prendere le politiche di intervento. Ma le proposte di Confindustria - come anche
le raccomandazioni della Commissione Ue - non
arretrano di un millimetro da un terreno già ampiamente battuto, condensandosi nell’ormai logora richiesta di maggiore flessibilità del mercato
del lavoro: con la riforma Fornero sono stati fatti
alcuni passi per quella in uscita, ma vista la situazione - chiedono gli industriali - occorrerebbero
correttivi anche per quella in entrata, come già il
governo Letta ha annunciato.
Peccato che continuare a parlare di riforma del
mercato del lavoro equivalga a pestare l’acqua
nel mortaio, nascondendo la dura verità: l’industria italiana ha incontrato sempre meno la domanda di nuovi prodotti tecnologicamente avanzati. In più il vincolo dell’euro, che nelle intenzioni delle classi dirigenti del centrosinistra doveva
costringere le imprese a innovare, al contrario ha
indotto la compressione della domanda interna
e svantaggiato il Paese su quella estera. «L’Italia
non ha materie prime e ha infrastrutture scassate. L’unica cosa che abbiamo è la materia grigia, di
assoluta qualità», ci ricorda il presidente di Confindustria Squinzi. Già, allora perché il nostro Paese ha una così bassa percentuale di occupati in
settori tecnologicamente avanzati (30,5 per cento, contro il 37,3 della Francia, il 38,2 della Germania e il 35,2 del Regno Unito)? E perché presenta scarti ancora maggiori se si contano solo i
laureati (13,4 per cento, circa 10 punti in meno rispetto a Francia, Germania e Regno Unito e addirittura meno di Grecia e Spagna, che superano di
poco il 20)? Siamo di fronte a un declino strutturale del nostro sistema produttivo e ora, più che
mai, è necessario intraprendere politiche di investimento che lo riportino sulla strada dell’innovazione. Ma per farlo occorrerebbe avere il coraggio di rompere con l’austerità made in Ue.
in fondo a sinistra
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left
idee
left.it
l’osservatorio
di Francesco Sylos Labini
Economisti, fate un test della verità
C
on il perdurare e l’aggravarsi della crisi
economica, la famosa domanda della regina d’Inghilterra del 2008 - «perché la gran parte
degli economisti non è stata capace di prevedere
la più devastante crisi dell’ultimo secolo» - è sempre più attuale. Le politiche d’austerità oggi applicate sono proposte dagli stessi economisti che
fino a qualche anno fa spiegavano come la macroeconomia avesse ormai raggiunto il suo scopo: prevenire le depressioni economiche. Un noto professore della scuola di Chicago, per giustificarsi di non essersi accorto della crisi incombente, ha scritto che «la crisi economica non poteva
essere predetta perché la teoria predice che questi eventi non possono essere predetti». Questa
dichiarazione è paradossale se la confrontiamo
con le scienze dure, in cui le previsioni sono sempre confrontate con gli esperimenti. La scienza si
differenzia dall’ideologia proprio perché è sottoposta a verifica sperimentale. Di là dalla capacità
di prevedere un singolo evento catastrofico, come il fallimento della Lehman brothers nel 2008,
il problema è identificare le cause e le condizioni
dell’instabilità del sistema. Facendo un’analogia
con la scienza che studia i terremoti, il problema
prima di tutto è identificare quale sia una zona si-
smica. A questo riguardo bisogna porre l’attenzione sulle basi delle teorie economiche e chiedersi se gli assiomi fondamentali usati sono davvero sottoposti a test empirici. Ad esempio: i mercati, quando sono lasciati liberi, tendono a un equilibrio che massimizza l’efficienza? Chi assume che
i mercati liberi siano efficienti e si auto-regolino
verso l’equilibrio, sarà portato ad “affamare la bestia”, lo Stato, considerato corrotto e clientelare.
Se invece si trovasse nell’evidenza empirica che i
mercati, lasciati liberi, sono dominati da fluttuazioni selvagge che generano pericolosi squilibri,
allora si proporrà un maggiore intervento pubblico. Le fluttuazioni dei mercati finanziari sono
molto più grandi di quello che sperano gli adepti
dell’equilibrio. I quali, dunque, preferiscono non
confrontarsi con i dati per rifugiarsi in inutili disquisizioni teoriche. Eppure alcuni economisti,
mascherando dottrine ideologiche dietro oscure formule matematiche e facendo un uso dei dati piuttosto disinvolto, cercano di far passare scelte politiche per neutri risultati scientifici. Tuttavia
non si può pretendere di avere il prestigio di una
scienza dura senza pagare il dazio del test delle
previsioni: per questo presentare l’economia come una neutra disciplina tecnica è una truffa.
Presentare
le teorie
sui mercati
come
scienza
neutra
è una truffa
di Fabio Magnasciutti
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copertina
left.it
LA REGGINA DE
14
1 giugno 2013
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copertina
left.it
LLE TRATTATIVE
di Alessia Candito e Rocco Vazzana
La procura calabrese
apre un fascicolo
sulla stagione delle stragi.
E scopre che Riina
chiedeva aiuto alle’ndrine
L
a strategia stragista che all’inizio degli
anni 90 insanguinò il Paese con l’obiettivo di aprire una trattativa segreta con
le istituzioni non fu orchestrata solo da Cosa
nostra. A offrire ai siciliani un sostegno operativo e contatti con apparati deviati dello Stato fu la ’ndrangheta reggina. L’unica organizzazione criminale ad avere relazioni privilegiate
con servizi segreti, eversione nera, massoneria.
Ne è convinto Giuseppe Lombardo, sostituto
procuratore di Reggio Calabria che ha appena
aperto un fascicolo sulla trattativa. Secondo la
tesi del pm reggino, le ’ndrine calabresi nei primissimi anni 90 diventano protagoniste assolute nella ricerca di nuovi referenti politici.
© SPADA/LAPRESSE
Il dialogo tra mafia e Stato non inizia con la
bomba di Capaci, ma con l’omicidio Scopelliti
left 1 giugno 2013
Mentre la Prima Repubblica comincia a scricchiolare, la mafia siciliana e quella calabrese uniscono le forze per non rimanere travolte dal ciclone: servono nuovi interlocutori e nuove coperture. Soprattutto in vista dell’arrivo in Cassazione
del maxi processo istruito da Giovanni Falcone
e Paolo Borsellino che vede alla sbarra il gotha
della criminalità organizzata isolana. Per sedersi a un tavolo e trattare, prima bisogna destabilizzare. È questa la strategia perseguita dalle mafie
in quegli anni. Un progetto che non inizia con le
stragi di Capaci e via D’Amelio. Né, volendo fare
un passo indietro di pochi mesi, con l’omicidio di
Salvo Lima, eurodeputato democristiano e capo
della corrente andreottiana in Sicilia, assassinato a Palermo il 12 marzo 1992. Secondo Giuseppe Lombardo, la strategia stragista inizia almeno
un anno prima: il 9 agosto 1991, data dell’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, assassinato
Brescia,
11 maggio 2013,
proteste durante
la manifestazione
del Pdl contro
la sentenza
che condanna Silvio
Berlusconi a 4 anni
di reclusione
per frode fiscale
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copertina
© MERLINI/LAPRESSE
left.it
I boss volevano spezzare l’Italia in più Stati,
secondo il piano di Licio Gelli
mentre era in vacanza in Calabria, sua terra natìa.
Scopelliti avrebbe dovuto rappresentare in Cassazione l’accusa nel maxi processo a Cosa nostra. Lo ammazzano mentre rientra a casa, senza
scorta, a bordo della sua automobile. Un omicidio eccellente rimasto impunito fino a oggi e dietro il quale si nasconderebbe la chiave dell’alleanza tra calabresi e siciliani. Per questo, lo scorso
anno, Giuseppe Lombardo ha deciso di riaprire il
caso. Soprattutto dopo le dichiarazioni rilasciate
in aula dal pentito Nino Fiume, ex ’ndranghetista
ed ex cognato del boss Giuseppe De Stefano. Secondo Fiume, ad assassinare il magistrato fu un
commando composto da calabresi che spararono per fare un favore ai Corleonesi.
Milano, 3 marzo 2002,
Silvio Berlusconi
e Umberto Bossi
durante
il IV congresso
della Lega nord
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UNA NAZIONE PER LA MAFIA
Sono tanti i collaboratori di giustizia che riferiscono dei rapporti tra ’ndrangheta e Cosa nostra. Ma a breve, oltre alle testimonianze, potrebbero saltare fuori nuovi documenti. Notizie
riservate, rimaste a prendere polvere in alcune
Questure per più di 20 anni che presto potrebbero entrare in possesso della magistratura. Documenti investigativi incentrati sull’iper attivismo di Totò Riina che nel 1991 sarebbe sbarcato più volte in Calabria per pianificare insieme ai
boss, soprattutto reggini, la strategia della tensione. Attentati e sostegno ai movimenti separatisti locali che in quegli anni nascono in tutte
le regioni grazie al certosino lavoro di un nome
noto delle trame italiane: Licio Gelli. È questo
il disegno criminale che prevede lo spezzettamento dello Stato in più realtà territoriali per dare alla mafia una nazione. Sono anni in cui i capi bastone «progettano di “farsi Stato”, ritirando la delega per la tutela dei propri interessi a
settori del mondo politico rivelatisi inaffidabili,
con l’intenzione di gestirli direttamente, tramite proprie creature politiche», scrivono i magistrati di Palermo nell’inchiesta denominata “Sistemi criminali”, archiviata anche per problemi
di competenza territoriale. Perché gli inquirenti
mai avrebbero potuto immaginare che il progetto eversivo di Cosa nostra avesse le radici in Calabria. Solo la magistratura reggina potrà continuare a indagare. Ma Sistemi criminali scatta
una fotografia inedita delle alleanze tra ’ndrine e
mafiosi siciliani.
Illuminanti sono le dichiarazioni rese ai magistrati da Tullio Cannella, intimo collaboratore
di Leoluca Bagarella: Vito Ciancimino mi disse
«che a questo progetto aveva collaborato fortemente la ’ndrangheta calabrese. Specificò al
riguardo: “Devi sapere che la vera massoneria
è in Calabria e che in Calabria hanno appoggi a
livello di servizi segreti”. Queste dichiarazioni
di Ciancimino mi fecero comprendere meglio
1 giugno 2013
left
copertina
left.it
perché si era tenuta a Lamezia Terme la riunione di cui ho riferito in precedenti interrogatori,
e alla quale partecipai personalmente tra esponenti di “Sicilia Libera” e di altri movimenti leghisti o separatisti meridionali, riunione alla
quale erano presenti anche diversi esponenti
della Lega nord».
LA FALANGE ARMATA PER LA PACE
Leghe e stragi, attentati dinamitardi e omicidi.
«Si fa la guerra per poi fare la pace», avrebbe detto Totò Riina in una riunione tenutasi a Enna per
pianificare la strategia. E la guerra passa attraverso azioni di terrorismo puro. Attentati da rivendicare a nome della Falange armata, una sigla utile a confondere lo stragismo mafioso con
quello politico, dietro cui si nascondono i servizi
segreti. Come conferma ai magistrati di Palermo
un altro pentito, Maurizio Avola: «Ho anche appreso che Cosa nostra fin dal ’90 aveva intenzione di eseguire attentati anche fuori della Sicilia
celandosi dietro false rivendicazioni con la sigla
“Falange Armata”». Ma le parole di Avola accendono uno spiraglio di luce su un altro episodio,
apparentemente slegato e che anticiperebbe di
un anno la strategia concordata da Cosa nostra
e ’ndrangheta. Nel 1990, infatti, i calabresi fanno
uccidere un uomo a Milano, attribuendo il gesto
proprio alla Falange armata. L’11 aprile del 1990
viene assassinato Umberto Mormile, educatore penitenziario in servizio al carcere di Opera, a
Milano. Un omicidio anomalo, disposto dal boss
calabrese Domenico Papalia, convinto che il dipendente carcerario potesse essere d’ostacolo alla sua condizione detentiva privilegiata. Almeno secondo la ricostruzione che fa dell’accaduto Nino Cuzzola, uno degli esecutori materiali dell’agguato a Mormile. Il killer racconta che
l’educatore penitenziario viene ucciso perché ha
diffuso alcuni particolari sulla detenzione di Domenico Papalia: incontri con uomini dei servizi
segreti e continui permessi di lavoro fuori dalla
struttura detentiva. Benefici non comuni per un
ergastolano. Secondo il killer Cuzzola, inoltre,
Papalia organizza l’omicidio - in seguito rivendicato dalla Falange Armata - con l’ausilio di Franco Coco Trovato, uomo della cosca De Stefano
in Lombardia e rappresentante dell’area più favorevole alla partecipazione dei clan di ’ndrangheta alla strategia della tensione.
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NEOFASCISTI E SUPERLOGGE
A questa strategia la ’ndrangheta in principio dice no, costruendo su quel no le basi del suo futuro dominio che si sarebbe concretizzato negli
anni a venire prima nel narcotraffico, poi nella
colonizzazione economica, politica e sociale del
Nord e non solo. Ma nonostante il gran rifiuto,
gli uomini delle ’ndrine reggine non lasciano soli i “cugini” siciliani. La ’ndrangheta assicura ai
mafiosi mezzi, appoggio logistico e uomini. Come Antonio Cortese, l’armiere del clan Lo Giudice, che sarebbe stato “prestato” come esperto ai
clan di Cosa Nostra negli anni delle stragi.
Tutti gli elementi dimostrano non solo come la
’ndrangheta già nel 1990 sia perfettamente a co-
Vito Ciancimino: «La vera massoneria
è in Calabria. Hanno appoggi nei servizi»
noscenza del disegno criminale concepito da Totò Riina, ma anche le modalità di partecipazione a
quel progetto, cresciuto negli anni delle stragi di
Stato. Le mafie diventano “agenzie di servizi” agli
ordini di occulti centri di potere, e aderiscono al
progetto federalista delle super-logge di Licio Gelli . Dati di fatto che permettono oggi al gip Piergiorgio Morosini di mettere nero su bianco nel rinvio a giudizio per i tredici imputati per la trattativa
Stato Mafia che «nel perseguimento di questo progetto Cosa nostra sarebbe alleata con consorterie
di “diversa estrazione”, non solo di matrice mafiosa (in particolare sul versante catanese, calabrese e messinese). E nelle intese per dare forma a tale progetto sarebbero coinvolti “uomini cerniera”
tra crimine organizzato, eversione nera, ambienti
deviati dei servizi di sicurezza e della massoneria,
quali ad esempio Ciancimino Vito».
Il grumo di potere che sembra essere alla base
dei rapporti fra ’ndrine e Cosa nostra inizia ben
prima che la tentazione stragista investisse i Corleonesi. A spiegarlo ai magistrati reggini nei primi anni Novanta è il pentito di ’ndrangheta, Filippo Barreca, secondo cui l’anello di congiunzione
tra Cosa nostra siciliana e la ’ndrangheta reggina era l’avvocato Paolo Romeo, appartenente alla cosca De Stefano. Scrivono i magistrati palermitani: «È personalmente dall’avv. Romeo, indicato altresì dal Barreca come massone, appartenente alla struttura Gladio e collegato con i ser-
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© PUBLIFOTO/LAPRESSE
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DALLE LEGHE ALLA LEGA
E quel progetto abbozzato negli anni Settanta si
è evoluto, arrivando a bussare prepotentemente
alla porta della politica della Seconda Repubblica negli anni Duemila. E non solo perché l’esplosione delle leghe regionali - si afferma nel prov-
©LAPRESSE
IN BASSO
LA CRONOLOGIA
DELLE STRAGI
DI MAFIA
organizza un incontro «tra il golpista Junio Valerio Borghese ed il gruppo mafioso dei De Stefano, facendo in tale contesto da tramite per le richieste di appoggio ai progetti eversivi, avanzate
dalla destra extraparlamentare e proprio da Junio Valerio Borghese alle organizzazioni mafiose», scrivono i pm palermitani.
©LAPRESSE
Palermo, 3 marzo
1996, Totò Riina
depone al processo
per l’uccisione del
giudice Scopelliti
vizi segreti, che il collaborante ha riferito di avere appreso che nel 1990-91 egli «era interessato
aun progetto politico che puntava alla separazione delle regioni meridionali dal resto del Paese».
Il Barreca ha inoltre affermato che la regia di tale
disegno era da ricercarsi a Milano dove era avvenuto un incontro tra i clan calabresi facenti capo
ai Papalia ed esponenti di Cosa nostra». Esponente della destra eversiva fin dagli anni 70, vicino ai servizi, massone, Paolo Romeo viene arrestato nel 1980 per aver coperto e favorito la latitanza di Franco Freda. Romeo procurava nascondigli al neofascista, tra cui l’abitazione del
pentito Filippo Barreca. È Romeo che nel 1970
Assassinato il giudice Scopelliti mentre era in vacanza in Calabria. Doveva rappresentare, in Cassazione,
l’accusa nel maxi processo
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Alla vigilia delle elezioni,
viene ucciso a Palermo Salvo Lima, eurodeputato Dc e
capo della corrente andreottiana in Sicilia
Nella strage di Capaci muoiono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca
Morvillo e gli uomini della
scorta
La strage di via D’Amelio
uccide il procuratore aggiunto di Palermo Paolo
Borsellino e gli agenti della
sua scorta
1 giugno 2013
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copertina
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Per i pm la Lega deve le proprie fortune
finanziarie alla cosca De Stefano
© SHOBHA
Viene assassinato Ignazio
Salvo, imprenditore e tradizionale interfaccia di Cosa nostra con la politica, in
particolare con Salvo Lima
left 1 giugno 2013
© POLO MUSEALE FIORENTINO
mafiosa e il sedicente avvocato Bruno Mafrici,
nato a Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), ma
residente a Milano, ex consulente del ministero
alla Semplificazione, faccendiere e socio della
Mgim dell’ex tesoriere dei Nar, Lino Guaglianone, uno dei più importanti studi di Milano. Guaglianone è un altro calabrese di San Sosti, in provincia di Cosenza che dopo la parentesi eversiva che gli è costata una condanna per partecipazione a banda armata a cinque anni di detenzione, ridotta di qualche mese in appello, a Milano
ha fatto fortuna andando ad occupare posti strategici nel Cda di aziende pubbliche e semi pubbliche. Sono questi i protagonisti dell’inchiesta
che ha mandato definitivamente in soffitta l’era
della Lega di Bossi, aprendo il campo al Carroccio 2.0 dell’ex Ministro dell’Interno, Roberto
Maroni. E forse non a caso. Perché - stando agli
ultimi esiti investigativi - forse l’uragano che, insieme a Belsito, ha travolto il Senatur, potrebbe
essere stato quanto meno orientato. In un tesissimo interrogatorio nella sede della Dia di Milano, è lo stesso Belsito a raccontarlo : «L’unico
obiettivo politico… che ho potuto immaginare è
distruggere la Lega nord e Umberto Bossi attraverso me». Un progetto che, secondo l’ex tesoriere, avrebbe Roberto Maroni come esecutore,
ma i veri registi saldamente piantati in Calabria.
© ARCHIVIO UNITÀ
vedimento di archiviazione di Sistemi Criminali - venne arginata dalla concomitante nascita di
un nuovo soggetto politico, Forza Italia, candidato a cooptare quel bacino di consensi che i movimenti federalisti avevano costruito. La medesima struttura di potere, che a vario titolo vede
intervenire ’ndrangheta, destra eversiva, pezzi di
Stato e di grande borghesia italiana, sembra essere ancora attiva e al lavoro. È quella struttura
la vera protagonista dell’inchiesta che ha messo
a soqquadro il Carroccio, mandando in pensione forzata lo storico segretario Umberto Bossi e
portando all’avviso di garanzia prima e all’arresto
dell’ex tesoriere Francesco Belsito con l’accusa
di truffa ai danni dello Stato, finanziamento illecito ai partiti e riciclaggio. Un’indagine che non
solo ha toccato molto da vicino la famiglia del
Senatur, pizzicata a finanziare le spese personali con i soldi del partito, ma soprattutto ha svelato
che le casse della Lega per prosperare avrebbero avuto bisogno degli uomini della ’ndrangheta.
Quasi un paradosso per il Carroccio. Il partito
che, solo qualche mese fa, rispondeva inviperito a chi denunciasse la presenza delle ’ndrine
al Nord Italia, per i magistrati ha legato le proprie fortune e le proprie finanze alla potentissima cosca De Stefano di Reggio Calabria.
A fare da trait d’union fra queste realtà in apparenza inconciliabili, Romolo Girardelli, destinatario mesi fa di un avviso di garanzia per una serie di reati che vanno dalla truffa al riciclaggio,
aggravati dalla contestazione dell’associazione
A Roma, in via Fauro (ai
Parioli), esplode un’autobomba destinata a colpire il
conduttore televisivo Maurizio Costanzo
A Firenze, un furgoncino
imbottito di esplosivo salta
in aria in via dei Georgofili:
5 morti, 29 feriti e danni alla
Galleria degli Uffizi
A Milano, in via Palestro,
una bomba miete 5 vittime.
A Roma due esplosioni colpiscono piazza San Giovanni e San Giorgio al Velabro
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© LAPRESSE
left.it
© ENDLICHER/AP/LAPRESSE
LE STRAGI E LA MA
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copertina
© AP/LAPRESSE
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CCHINA DEL TEMPO
di Maurizio Torrealta
Così in Europa, nel corso della storia, le bombe hanno influenzato l’opinione
pubblica. Dall’attentato di Bologna alla banda del Brabante Vallone
A
vete visto nelle pagine precedenti come si è venuta a comporre la strategia
delle stragi fin dall’omicidio Scopelliti
avvenuto il 9 Agosto del 1991. Ma per capire bene il significato dei fatti senza annoiarvi con date e nomi, dovreste salire con me su una immaginaria macchina del tempo ed andare indietro fino alla fine degli anni 70. Sbirciando dentro l’aula del Palazzo di giustizia vedreste Antonino Scopelliti in toga che rappresenta l’accusa al processo di piazza Fontana. Se lo seguite non solo nello
spazio ma anche nel tempo, lo ritrovate negli anni 80 ancora con la toga nel primo processo per
l’uccisione di Aldo Moro, e con un altro giro della
manovella della macchina del tempo lo ritrovate
nel processo per la strage del rapido 904, il treno
che esplose poco prima del Natale 1984 nella galleria tra Firenze e Bologna, uccidendo 17 persone. Guardate con attenzione sul banco degli imputati e trovate un camorrista, Giuseppe Misso
detto Bebbe O Nasone, e un mafioso, Pippo Ca-
left 1 giugno 2013
lò, accusati di strage e terrorismo. Sono convinto che vi domandiate perchè mai un cammorista
e un mafioso abbiano deciso di diventare terroristi e far saltare in aria i treni interrompendo il loro precedente lavoro di onesti criminali. Ora permettetemi un ultimo salto indietro nel tempo ancora di un anno e ci troviamo il 21 giugno del 1989
davanti alla villa dell’Addaura di Giovanni Falcone, il magistrato si trova poco distante da 58 candelotti di esplosivo che sono sugli scogli davanti
a casa sua. Se fate silenzio potete ascoltare le sue
parole mentre parla con un giovane che assomiglia al giornalista Saverio Lodato, ora in pensione: «Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime
che tentano di orientare certe azioni della mafia.
Esistono forse punti di collegamento tra i vertici
di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo
lo scenario più attendibile se si vogliono capire
davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad
assassinarmi». A questo punto, possiamo pensa-
In alto a sinistra:
19 luglio 1992,
la strage di via
d’Amelio.
In basso a sinistra:
26 settembre 1980,
attentato all’Oktober
Fest.
In questa pagina:
la strage di Bologna
del 2 agosto 1980
21
copertina
left.it
re che le ragioni per uccidere il magistrato Antonino Scopelliti e lo stesso Giovanni Falcone fossero più di una. Non si trattava solo di magistrati
non avvicinabili, ma anche dei magistrati più informati sul terrorismo stragista e sui soggetti che
lo utilizzavano, insomma i magistrati più vicini
all’individuazione dei mandanti.
Adesso torniamo nel futuro e poniamoci delle
domande semplici e dirette su quello che sta succedendo nel nostro Paese. Dopo un viaggio nel
tempo come quello che abbiamo appena fatto e
le cose che abbiamo visto, ci sentiamo in grado
di fare congetture. Prima della sentenza definitiva della Cassazione del 30 gennaio del 1992 ci sono stati tanti segnali che il maxi processo avrebbe mandato in carcere un buon numero di imputati per associazione mafiosa. Perché dunque il
governo Andreotti non utilizzò i servizi di intelligence per informarsi e contattare Cosa nostra
per trovare una soluzione? Un accordo si sarebbe trovato, un po’ di soldi da far arrivare a Cosa
nostra sarebbero sicuramente usciti tra i tanti appalti nell’isola, problemi con la giustizia non ci sa-
I killer della Uno bianca erano
5 poliziotti e hanno ucciso 24 persone
rebbero stati. I servizi servono proprio a compiere azioni non proprio legali, ma necessarie per il
bene dello Stato. Perché non si sono mossi? Cosa
facevano i nostri servizi in quegli anni? Per quali
motivi è stato necessario ricorrere ai Ros per trattare con Cosa nostra? Non è un questione di lana
caprina: se il raggruppamento operativo speciale
dei carabinieri doveva catturare i latitanti di Cosa
nostra durante il giorno, come poteva andarci a
cena insieme la sera? Lo sapete come funzionano
queste cose prima o poi qualcuno ne parla.
Per capire il ruolo dei servizi basta ricordare dove lavorava Bruno Contrada prima di essere arrestato: qualcosa non stava funzionando nell’
Alto commissariato per la lotta alla mafia se il
capo gabinetto Bruno Contrada, che è stato anche numero tre del Sisde, viene arrestato nel
1992 per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma se viene arrestato il capo gabinetto, i
suoi superiori presumibilmente non stavano facendo attività troppo diverse da quelle svolte da
Bruno Contrada. Diamo una occhiata ai dirigenti del Sisde in quegli anni e la prima sorpresa che
22
troviamo è che il numero uno della polizia dall’
87 al 93 è Vincenzo Parisi, già capo del Sisde dall’
84 all’87 proprio gli anni in cui con il Sisde collaborava anche Arnaldo la Barbera sospettato
oggi di aver costretto degli innocenti a confessare di aver organizzato la strage di via d’Amelio. Troviamo anche Riccardo Malpica che fu a
lungo indagato per i fondi neri del Sisde assieme ad Angelo Finocchiaro. E infine, Mario Mori
lo stesso ufficiale dei carabinieri coinvolto nella trattativa - attualmente sotto processo - che
dal 2001 al 2006 ha comandato il Sisde negli anni del cosiddetto “protocollo farfalla” l’accordo
che dirottava le notizie di reato dentro le carceri
ai servizi segreti e ne escludeva la magistratura.
Cosa combinava il Sisde in quegli anni? All’epoca delle stragi il Sisde era seriamente impegnato
nella ricerca di soldi, tanti soldi. Tanti che il capo del Cesis, l’organismo di coordinamento del
servizio interno e quello estero, l’ambasciatore Paolo Fulci, fece partire un’inchiesta sui conti correnti di cinque 007 che invece di vergognarsi dei miliardi che avevano messo da parte, se la
presero con il Presidente Scalfaro, accusandolo
di avere usufruito di quei soldi quando era stato
ministro dell’Interno. In quegli anni le notizie su
membri del governo pagati dai fondi neri del Sisde aumentarono di giorno in giorno, mostrando
un esecutivo che nei suoi uffici più importanti era
letteralmente a busta paga dei servizi. Paolo Fulci, che si dice fosse un uomo dello Stato di simpatie andreottiane, non si fermò ai fondi del Sisde,
fece anche i nomi di sedici funzionari del Sismi
della settima divisione, la stessa alla quale faceva capo la struttura Gladio. Secondo Paolo Fulci, quelle persone potrebbero avere avuto un ruolo nell’attività della cosiddetta Falange armata,
l’organizzazione che rivendicò buona parte delle
stragi del 1993. Il nostro antenato, il settimanale
Avvenimenti del 14 dicembre del 1994, fu l’unico
organo di stampa a pubblicare la lista questi nomi. La risposta alla domanda sul perché non intervennero nel 1992 i servizi a trattare con Cosa
Nostra è stata lunga ma penso abbiate capito come sono andate le cose. Rileggendo questi fatti si
ha l’impressione che i servizi in realtà aiutassero
Cosa nostra o depistando le indagini sugli attentati che compiuti in quegli anni o partecipando direttamente alla loro organizzazione come sembra emergere dalle testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia.
1 giugno 2013
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left.it
Dobbiamo ora porci un’altra domanda: perché
mai i nostri servizi hanno difeso Cosa nostra? Ovviamente non possiamo che fare ipotesi, ma percependo il disagio degli organi più alti dello Stato
a trattare argomenti come la trattativa o a discutere seriamente di fatti acclarati come i diversi
depistaggi sulle indagini sulle stragi (ultimo quello sulla strage di via d’Amelio che ha portato in
carcere 11 innocenti per una decina di anni), mi
viene da pensare che il ruolo di Cosa nostra sia
stato più importante di quanto lo si voglia considerare. Sicuramente Cosa nostra è stata una riserva elettorale che ha permesso nei momenti
cardine della storia del nostro Paese di conquistare i voti necessari a battere i socialisti e comunisti, considerati in quegli anni alleati del Blocco
sovietico. Ma non si tratta solo di questo, erano i
tempi della guerra fredda e la guerra non dichiarata contro il blocco comunista aveva bisogno di
soldi di molti soldi, e l’attività della mafia siciliana
con gli enormi proventi del traffico di eroina fu in
grado di riempire le banche di Sindona e di Calvi e di molti altri banchieri che con le loro spregiudicate operazioni finanziarie permisero di investire geopoliticamente nelle aree più prossime
alla separazione dal blocco comunista. Ma anche
questa spiegazione non riesce a giustificare l’arroganza politica e la soggezione istituzionale che
le stragi del 92-93 hanno provocato nel nostro Paese. Viene da pensare che a favore di Cosa nostra
siano intervenuti accordi segreti di livello transnazionale, accordi atlantici del tipo di quelli denunciati dal libro di Daniele Ganser Gli eserciti
segreti della Nato, non certo limitati solo ai confini del nostro Paese ma attivi in tutti gli Stati europei. Questi accordi coinvolgevano strutture più
o meno identificabili con quelle di “Stay Behind”
dove destra eversiva, criminalità mafiosa, e servizi segreti deviati hanno operato all’interno di una
strategia del terrore apparentemente obsoleta
ed insensata. In realtà per quanto logora potesse
sembrare questa strategia, ha prodotto l’effetto
voluto sull’opinione pubblica: davanti ad atti terroristici il corpo sociale si è contratto e si è collocato su posizioni conservative e di difesa.
Se affrontiamo con serenità la problematica del
terrorismo nella sua dimensione europea, scopriamo come nello stesso periodo storico sono
avvenuti episodi analoghi in Italia ed in altri Paesi d’Europa. Vediamone alcuni: una bomba esplode alla stazione di Bologna il 2-08-1980 e provoca
left 1 giugno 2013
81 morti, in Germania sei settimane dopo, il 26 ottobre 1980 all’Oktober Fest a Monaco un giovane
neonazista fa esplodere una bomba e muore assieme a 12 visitatori. Ancora forme di terrorismo
diffuso e criminale che si manifestano in modo simile in Emilia Romagna dove la banda della Uno
bianca composta da 5 poliziotti dal 1987 al 1994
ha colpito 103 volte uccidendo 24 persone, e nel
Belgio, dove episodi del tutto simili sono avvenuti dal 1982 al 1985 nella zona del Brabante Vallone provocando 28 morti. L’estremista di destra
Paul Latinus sospettato di essere coinvolto con
la banda dopo aver ammesso di aver lavorato per
una organizzazione segreta straniera, viene trovato impiccato al cordone del telefono il 24 Aprile del 1985. Sempre in Belgio, l’assalto alla caserma dei gendarmi nella città di Vielsam compiuta
dal gruppo di Stay Behind all’interno della esercitazione chiamata Oesling per approvvigionarsi
di armi in modo autonomo, ha causato un morto
tra gli ignari gendarmi che si trovavano nella caserma come è stato accertato dalla commissione
parlamentare belga che ha ricostruito l’episodio.
Ha confessato e lo hanno trovato
impiccato al filo del telefono
In Sicilia un caso simile: la caserma di Alcamo
viene assalita il 27 gennaio del 1976 e due carabinieri vengono uccisi. Per l’episodio viene arrestato e costretto a confessare sotto tortura un innocente, Giuseppe Gullotta, rimasto in prigione per
22 anni prima che un carabiniere, Renato Olino,
raccontasse le torture, scagionandolo. Il pentito
Vincenzo Calcara ha parlato nel corso del processo di un ruolo della mafia negli omicidi collegandoli alla organizzazione di Gladio, la struttura militare segreta che nel trapanese già dagli anni 70
aveva proprie basi. Da quanto è emerso, quei militari potrebbero essere stati uccisi per avere fermato un furgone carico di armi destinate proprio
a Gladio. Solo a livello europeo, con un lavoro coordinato su tutti i Paesi coinvolti dalla folli operazioni di guerra psicologica messe in atto dalla
struttura segreta Stay Behind, sarà possibile mettere fine a questa anacronistica ingerenza nella
politica europea. La cui esistenza segreta è l’indicibile strascico di una guerra fredda finita ormai
da più di venti anni che cementa ancora alleanze
politiche altrettanto anacronistiche.
23
società
left.it
CARTA
STRACCIA
di Donatella Coccoli
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1 giugno 2013
left
società
left.it
S
© OLIVERIO/ IMAGOECONOMICA
trattonata da tutte le parti, a destra e
anche a sinistra, la Costituzione è diventata il capro espiatorio per tutto
quello che non va in Italia. E mentre gli elettori voltano le spalle ai partiti, questi sperano di
recuperare il consenso perduto per la via delle
riforme costituzionali. Dopo il tentativo di Berlusconi bocciato con il referendum del 2006, ci
si è messo anche il governo Letta, che fresco di
nomina ha scodellato la Convenzione bipartisan per metter mano alla Carta. Su cui aleggia lo
spettro del presidenzialismo: piace al pidiellino Gaetano Quagliariello, ministro delle Riforme istituzionali, come ai renziani che sognano
il “sindaco d’Italia”. In questo scenario cresce
la mobilitazione in difesa dei princìpi della Carta. Che diventa il vessillo di un fronte politico
“alternativo” a tutti gli effetti. Il professor Settis
con le “quindici tesi per l’Italia” pubblicate sullo scorso numero di left ha lanciato un “manifesto” a partire dalla Costituzione. E a Bologna il
2 giugno la manifestazione promossa da Libertà e Giustizia “Non è cosa vostra - Cittadini per
la Costituzione”, raccoglierà personaggi che si
sono spesi in tutti questi anni in difesa dei valori costituzionali: Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Maurizio Landini,
Sandra Bonsanti, Roberto Saviano e molti altri.
Il presidenzialismo.
La cancellazione dei contratti
collettivi di lavoro. Gli esodati.
I diritti dei gay. La situazione
delle carceri. La mancanza
del reato di tortura. Ecco dove
la Costituzione è stata tradita
left 1 giugno 2013
Ma la Costituzione non è solo il terreno di uno
scontro politico. È anche la cartina di tornasole
che evidenzia una delle crisi più gravi dal dopoguerra. È stridente infatti la contraddizione tra
quei principi scritti 65 anni fa e la realtà attuale.
È vero che quelli erano obiettivi difficili da realizzare e che lo stesso Piero Calamandrei già
nel 1956 parlava di “Costituzione inattuata”, ma
ormai il vuoto di diritti in cui ci troviamo è diventato un baratro. I tagli su istruzione, ricerca,
sanità, cultura, giustizia hanno bloccato il Paese. Cresce la dispersione scolastica, così come il numero di giovani che non lavorano. Aumentano la povertà e la disuguaglianza sociale.
L’elenco dei “tradimenti” è lunghissimo, ne abbiamo scelti alcuni, significativi.
Il primo è il lavoro. Insieme ai tre milioni di disoccupati ciò che colpisce è l’attacco alla dignità del lavoro. Un pericolo per la democrazia stessa, mette in guardia Gustavo Zagrebelsky. «La questione democratica è questio-
Milano,
manifestazione
per la festa
della Repubblica
25
società
© DE LUCA/LAPRESSE
left.it
Il 2 giugno, a Bologna, un fronte aperto
per difendere la Costituzione. E applicarla
Roma, 22 dicembre
2010, protesta
degli studenti contro
la riforma Gelmini
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ne del lavoro, e del lavoro libero e dignitoso»,
scrive nell’appassionato saggio Fondata sul
lavoro (Einaudi, 2013). I Costituenti avevano
lo sguardo lungo.
«Nella Carta il lavoro è considerato un momento cardine delle organizzazioni sociali», afferma il giuslavorista Piergiovanni Alleva, professore di Diritto del lavoro ad Ancona. «L’articolo 4 non è un’affermazione retorica ma costituiva una sorta di programma politico, così come l’articolo 3, che fissava il diritto
di uguaglianza», continua Alleva. E l’articolo
41 sull’iniziativa economica privata indica che
questa non deve essere in contrasto con l’utilità sociale. Mentre l’articolo 36 sancisce che
la retribuzione deve permettere «un’esistenza libera e dignitosa». Ma dentro la Costituzione si parla anche della tutela del lavoro, prevedendo la libertà sindacale nella contrattazione
(art. 38) e il diritto di sciopero (art. 40). Chiaro
che il “metodo” Fiat che espelle la Fiom dalla
fabbrica non è proprio in linea col dettato della Carta. «La Costituzione voleva esattamente
il contrario», spiega il giuslavorista. «La legittimazione del contratto collettivo è basata sulla rappresentatività del sindacato. Oggi invece
i contratti collettivi si possono fare anche con
una minoranza sindacale. Lo sceglie il padrone il sindacato con cui fare il contratto». Proprio sul caso Fiat-Fiom, il 2 luglio si dovrà pronunciare la Corte costituzionale, mentre rimane in sospeso un altro capitolo delicato. Quello
degli esodati, altro caso di diritti negati. «Mai
nessuno prima aveva colpito il disoccupato
che sta aspettando di andare in pensione o che
fa i salti mortali per pagare i contributi volontari». Secondo Alleva, l’opera di Monti e Fornero è andata contro l’articolo 38 della Costituzione, in cui si prevede invece che i lavoratori abbiano diritto «ai mezzi adeguati alle loro
esigenze di vita» in caso di vecchiaia, infortunio, malattia, disoccupazione. Un articolo prezioso, il 38, perché conclude Alleva, «contiene
in nuce il dovere e la possibilità di fare una legge per un salario pubblico garantito».
Così come sarebbe possibile, seguendo la Costituzione, un’altra legge: il matrimonio tra
omosessuali. «L’articolo 29 sancisce un principio rivoluzionario, quello della parità fra i coniugi», dice Marilisa D’Amico docente di Diritto costituzionale all’università di Milano e autrice di Laicità è donna (L’Asino d’Oro, 2013).
«Questo servirebbe a riconoscere le coppie
omosessuali». Un primo passo l’aveva compiuto la Consulta nel 2010. Poi però sul matrimonio non si è andati avanti. Invece il legislatore
1 giugno 2013
left
società
left.it
potrebbe farlo perché la Costituzione lo permetterebbe: «L’articolo 2 riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, l’articolo 29 vede la famiglia come luogo di parità e di uguaglianza».
Ma c’è un luogo dove i diritti “inviolabili
dell’uomo” non vengono quasi mai rispettati.
E lo attestano le condanne inflitte al nostro Paese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
L’ultima a gennaio, mentre pochi giorni fa è arrivata la bocciatura del ricorso del governo. È
il carcere, il buco nero dove ogni anno finiscono migliaia di persone. «In gioco ci sono l’articolo 13 sulla libertà personale e l’articolo 27
che riguarda la pena, che dovrebbe rieducare.
Ma non vengono attuati», afferma Silvia Buzzelli, docente di Diritto penitenziario all’università Bicocca di Milano. Circa 70mila detenuti, un terzo dei quali senza un posto letto. Da
anni si attende una riforma e misure alternati-
ve alla detenzione. Invece si mantiene «il carcere spazzatura con il migrante, il tossico, la
persona con qualche turba mentale. È il luogo
dei disperati, dove i suicidi aumentano del 20
per cento rispetto all’esterno».
I princìpi di libertà in Italia non valgono nemmeno per i migranti. E nel codice penale manca il reato di tortura. Silvia Buzzelli insieme ai suoi colleghi qualche giorno fa ha lanciato la “dichiarazione dell’università Milano-Bicocca per la prevenzione della tortura”. Ma in Italia, nonostante la firma del protocollo dell’Onu che ci impone l’introduzione del reato, la legge ancora non
c’è. Perché questo ritardo? «Il reato di tortura è
un crimine contro l’umanità, non ammette prescrizione», conclude Silvia Buzzelli. «Si pensi a
Genova e a tutti i casi di violenza nelle carceri e il
quadro è chiaro. Noi purtroppo abbiamo ancora
la cultura dell’impunità».
Guai
a chi
la tocca
P
rofessor Onida ci stiamo allontanando dai princìpi della Costituzione?
Ci sono segnali negativi. Per esempio il fatto che aumentino di molto le disuguaglianze
economiche e sociali, e siano ancora diffuse
situazioni di vera e propria povertà, tutto ciò
va nella direzione opposta rispetto a quella indicata nella Costituzione. Quel che però è ancora più pericoloso è che a volte sembra che
venga meno la fiducia ideale nei traguardi da
raggiungere. Se non ci si crede più, se si dif-
left 1 giugno 2013
© MERLINI /LAPRESSE
La Carta è inapplicata. I suoi valori
vengono attaccati. Eppure viene
accusata di tutti i mali del Paese.
Parla il giurista Valerio Onida
fonde un’ideologia di tipo rigidamente individualistico, per cui - ad esempio - lo Stato non
deve curare la giustizia sociale ma semplicemente assicurare l’ordine, questo ci porterebbe a invertire la rotta segnata dalla Costituzione. Quindi il rischio è prima di tutto quello ideale, ovvero che si perda la percezione dei valori costituzionali condivisi.
Poi c’è il tema della democrazia, nell’epoca
del boom dell’astensionismo.
Esatto. Oggi purtroppo sembrano mancare o
Il professor Valerio
Onida, ex giudice
costituzionale,
oggi docente
dell’università
di Milano
27
società
indebolirsi gli strumenti tradizionali di mediazione tra la società e le istituzioni. Per esempio, si invoca da certe parti l’elezione diretta
del capo dell’esecutivo come unica vera forma di democrazia, e si considerano i partiti in
quanto tali come diaframmi dannosi fra società e istituzioni. La democrazia consisterebbe
allora nel fatto che una volta ogni cinque anni
la popolazione sia chiamata a eleggere un capo, mentre tutte le mediazioni, gli strumenti di
partecipazione (e anche il Parlamento) vengono visti come intralci o impedimenti. Questo è
pericoloso. Nel quadro di riferimento della Costituzione, l’obiettivo è una democrazia ricca e
articolata, non semplicemente una delega periodica a un capo.
Come si spiega tutti gli attacchi degli ultimi tempi contro la Costituzione?
Purtroppo la Carta è stata spesso usata come
diversivo. Di fronte ai mali, alle criticità, alla situazione difficile del Paese, invece di pensare
alle misure legislative, organizzative, amministrative opportune si dà la colpa alla Costituzione. È un errore fondamentale.
Non si può ridurre la partecipazione
alla scelta di un capo, ogni cinque anni
Roma, 12 marzo
2011, manifestazione
in difesa della
Costituzione
28
Ma la Carta secondo lei ha bisogno di qualche cambiamento?
Che ci siano dei miglioramenti opportuni, e
anche abbastanza condivisi, sull’organizzazione dei poteri, è indubbio. Come per esempio a proposito del bicameralismo: si potrebbe una sola Camera “politica”, che dà la fiducia al governo, e una seconda Camera delle
autonomie. Questo potrebbe migliorare il nostro sistema. Invece l’elezione diretta del capo dell’esecutivo o l’esautoramento del Parlamento sarebbero negativi. Bisogna evitare ogni forma di ipersemplificazione o di alterazione degli equilibri costituzionali. In ogni
caso non sono le “grandi” riforme costituzionali il punto chiave per combattere i mali del
Paese sul terreno delle istituzioni. Sono altri i
terreni di battaglia: come quello degli apparati amministrativi, o dell’efficienza della giustizia. Questi sono i nodi su cui intervenire. Non
don.coc.
certo la Costituzione.
© MONALDO /LAPRESSE
left.it
«P
ur non guardando al passato, e senza stabilire alcun confronto col tempo di prima, e pur guardando in avanti verso il
mattino, la sentinella è ben consapevole che la
notte è notte...»: stavo rileggendo un libriccino
scritto da Giuseppe Dossetti per commemorare
il costituente Giuseppe Lazzati e ho rivisto quel
personaggio strano della nostra vita politica,
culturale, religiosa. Il monaco era seduto su
una seggiolina della canonica di don Giuliano
Zattarin a Sariano, anno ’95. Per una sua curiosità aveva chiesto di conoscermi e s’era messo
improvvisamente a farmi domande su quello in
cui ero più ferrata: le deviazioni della politica, il
potere occulto, la strategia della tensione. I suoi
occhi erano quelli della sentinella, capivano oltre le parole della giornalista laica, vedevano oltre lo sguardo breve nella piccola stanza di una
parrocchia veneta. Erano occhi che non consentivano di svicolare, non ti davano vie di fuga.
Ho ritrovato proprio in quelle pagine su Lazzatti alcune delle ragioni che ci portano ancora
oggi, a difendere quelle «soglie che devono essere rispettate in modo assoluto», come diceva
Dossetti. A cercare di bloccare certi «oltrepassamenti» che portassero a intaccare «il principio della divisione dei poteri fondamentali, legislativo, esecutivo e giudiziario» con soluzioni
che potrebbero essere «irreversibili». «Ancorché - diceva Dossetti - fosse realizzato con forme di referendum che potrebbero trasformarsi
in forme di plebiscito». Già, vedeva lontano,
eccome, la sentinella Dossetti. Vedeva che persino un referendum può nascondere l’insidia,
se la domanda a cui si chiede risposta non è
«semplice e comprensibile a tutti. Se sono presentati più quesiti insieme, e di natura tecnico
1 giugno 2013
left
società
left.it
Sentinelle della democrazia
di Sandra Bonsanti
«Coloro che si autodefiniscono “innovatori” sono in realtà soltanto
i sostenitori di un riformismo gattopardesco, difensori di un potere
oligarchico». Il j’accuse della presidente di Libertà e Giustizia
giuridica complessa, le risposte possono diventare non attendibili. Per giunta, quando sono
circondate da una forte emotività imperniata
su una figura di grande seduttore, possono trasformarsi da legittimo mezzo di democrazia
diretta in un consenso artefatto e irrazionale».
Serve, ripensare alle cose che sono già state
pensate prima di te e in modo assai più profondo. Serve a farci capire quanto sia difficile la
situazione attuale, quella che Gustavo Zagrebelsky descrive nel manifesto Non è cosa vostra, quella a cui fanno riferimento continuo e
preoccupato le riflessioni di Stefano Rodotà, di
Salvatore Settis e di molti altri studiosi di cose
che riguardano la Costituzione del ’47. Ci troviamo a Bologna il 2 giugno proprio per mettere insieme queste preoccupazioni, e farne il
motivo di un impegno diffuso, con cittadini e
associazioni. Convinti che le manovre attuali
attorno alla Carta siano l’ultimo rantolo di una
politica decadente, che concentra la sua energia finale nella difesa delle oligarchie. Coloro
che si autodefiniscono “innovatori” sono in
realtà soltanto i sostenitori di un riformismo
gattopardesco, vogliono «cambiare le istituzioni per bloccare la vita politica e salvaguardare
un sistema di potere in affanno».
Certo è molto difficile chiedere a un tratto alla
gente comune, ai politici, agli italiani di cominciare a ragionare con la loro testa. Difficile pretendere che cerchino di capire cosa si nasconde dietro al mosaico di luoghi comuni che una
serie di costituzionalisti da strapazzo stanno
costruendo, inseguendo la controriforma che
salvi il loro potere. Difficile perché le preoccupazioni di Zagrebelsky sono proprio quelle
di chi conosce la forza degli slogan che tutto
left 1 giugno 2013
semplificano, delle banalità proclamate in tv,
delle “scorciatoie” promesse come salvifiche:
non abbiamo potuto governare, in questi anni,
per colpa della Costituzione, della “architettura
istituzionale”. Lo diceva Berlusconi, una volta,
echeggiando le tenebrose grandi riforme di
stampo craxiano. Oggi lo dicono Pdl e Pd, i politici delle larghe intese, governo e Parlamento.
Un coro pietoso e falso. Non è la Costituzione
la grande responsabile del disastro e della disaffezione. È la loro incapacità politica sposata
all’arte del compromesso e della corruzione.
Dobbiamo riuscire a spiegare agli italiani che
sono proprio coloro che inseguono il presidenzialismo a impedire che si possano fare le piccole riforme di buon senso: meno parlamentari
e meno sovrapposizione fra le Camere.
La causa della crisi italiana non è la Carta. Ma
l’incapacità politica, l’arte del compromesso
Dobbiamo dire che per mettere mano alla Costituzione sarebbe più dignitoso che i parlamentari non fossero stati nominati con una legge
incostituzionale; sarebbe più dignitoso che non
ci fossero 101 parlamentari “mascherati”, veri e
propri traditori della parola data. Insomma, il 2
giugno a Bologna, festa della Repubblica e della Costituzione, nasce e si rafforza qualcosa di
importante per il futuro della politica, attorno a
Zagrebelsky, Rodotà e Settis e ad altre persone
che vogliono dare una mano. Nasce e si rafforza
un movimento che, diversamente da altri, può
rivendicare la forza delle sue radici, l’onestà degli obiettivi. Come ha detto Zagrebelsky: «Non
chiediamo niente per noi e tutto per tutti».
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società
left.it
Maggioranze
trasversali
di Sofia Basso
L
arghe intese ma maggioranze trasversali. Laura Puppato, senatrice Pd ed ex sfidante di Bersani e Renzi alle primarie,
apre ai colleghi di Sel e 5 Stelle.
Il Pd vince in molte città, ma perde voti
assoluti.
Certo, con quello che è successo con il presidente della Repubblica... È stato un trauma per
molti di noi e per gli elettori. È stata una scelta
dolorosa. Credo che non si debba nascondere
nulla: gli aspetti umani e politici di una situazione vanno evidenziati per impedire fare gli stessi errori e per cogliere da questi errori e conseguente crisi le opportunità.
Quali opportunità?
Letta sta cercando di dare un’immagine pulita e
di cambiamento. È chiaro che è una situazione di
obiettiva difficoltà. In alcuni settori riusciremo a
fare riforme a prescindere da chi abbiamo in casa, in altri ci troveremo di fronte a dei punti neri
che vedo già in campo, perché abbiamo appaltato in larga parte alcuni temi. Dobbiamo capire se
il Parlamento riuscirà ad avere il ruolo determinante che molti auspicano. Quando lo dicevo io
sembrava un’eversione, ora invece... Ci sono battaglie importanti, dagli F35 all’anticorruzione, dai
Chi ha bocciato Prodi rappresenta quel 20%
del partito che vuole potere e status quo
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© DE ROSE/IMAGOECONOMICA
«Dagli F35 all’anticorruzione, in Parlamento
si possono trovare nuove convergenze».
Laura Puppato (Pd) apre all’opposizione
trasporti allo sviluppo economico. Si tratta di idee
politiche e scelte di vita che hanno a che vedere
anche con la fiscalità: se recuperiamo i 60 miliardi
della corruzione o i 120 dell’evasione fiscale, questo Paese sarà un po’ meno stressato, avrà più capacità di dare risposte su temi fondamentali come il reddito di cittadinanza, le famiglie che stanno morendo, i giovani che non hanno prospettive.
Vedremo se, a prescindere dal governo, in questo
Parlamento c’è una maggioranza.
Quindi anche con i 5 Stelle?
Credo che ci saranno maggioranze trasversali. È
logico che vi sia una capacità di mettersi in relazione con gli altri gruppi politici. L’elemento monocratico non c’è neanche nei 5 Stelle, che pure hanno tentato di dare una rappresentazione
così monocorde. Ma è stato solo il frutto malato
di un tiranneggiamento esterno. Sono persone
in molti casi intelligenti e libere, che ragionano
sufficientemente con la propria testa. Non è un
caso che i padri costituenti abbiano voluto l’articolo 67, perché è importante che ci sia la convinzione personale in quello che si fa: può essere in parte ceduta a una logica di sintesi politica,
ma non può essere svenduta. Io lo dico dal primo giorno: nessuno sa quando questo governo
finirà né per quale ragione. Quello di cui ho certezza, però, è che a staccare la spina sarà Berlusconi, perché lui questo governo non lo ha voluto per il bene del Paese ma, per l’ennesima vol-
1 giugno 2013
left
società
ta, per tentare di salvare i suoi interessi e le sue
aziende. C’è anche il tema della massa di procedimenti penali che il Cavaliere ha in corso, e per
cui è stato anche condannato. Prima che stacchi
la spina, però, si possono fare moltissime cose.
All’assemblea nazionale del Pd lei ha chiamato “governo D’Alema” l’esecutivo Letta
e ha spiegato il suo lapsus con la vicenda
dei 101 franchi tiratori. Sa chi sono?
Bisognerebbe entrare nella testa della gente.
Penso che tra i 101 ci siano anche alcuni ex popolari o mariniani, ma che la maggior parte abbia agito in modo strategico per far saltare l’operazione Prodi e per arrivare al governo di larghe
intese. È evidente che stiamo parlando di quella parte del Pd che ha uno specifico interesse a
mantenere lo status quo. E che purtroppo rappresenta il 20 per cento degli eletti. C’è molto desiderio di potere in tutto questo, c’è una lontananza dai bisogni e dall’idea di un cambiamento autentico che sia discontinuità totale, anche nello
stile, nelle modalità, nei ragionamenti. C’è anche,
annusato, un pericolo da parte di taluni potentati
economici, che in parte trovano in Confindustria
ancora oggi ascolto alle proprie ragioni.
Intanto c’è già chi vuole rimandare il congresso del Pd...
Il congresso si deve fare in tempi relativamente
rapidi, direi a ottobre. Dobbiamo aprire le porte
e le finestre, rimettendo in moto la scommessa
che stava all’origine del Partito democratico e
togliendo di mezzo gli interessi ipocriti di chi ha
voluto far appiattire il progetto politico comune su qualcosa di assolutamente conservativo.
Il congresso non è in relazione con il governo,
che è stata invece una scelta obbligata.
In verità c’è chi pensa che se il Pd si fosse
mosso in maniera diversa non avremmo le
larghe intese.
Certo, io avrei preferito il governo di scopo con
chi ci stava. Se Prodi fosse stato eletto Presidente della Repubblica sicuramente non avremmo
avuto questo esecutivo. Però anche il Movimento 5 stelle ci ha messo del suo: ci ha tiranneggiati, offesi e maltrattati per 60 giorni. Rendendo
molto facile il gioco di chi non era più disponibile a farsi sparare addosso. I 5 Stelle hanno le loro
responsabilità. Non è un caso che le piazze piene ora sono semivuote. La gente ha capito. Purtroppo hanno sbagliato. Come e più di noi.
left 1 giugno 2013
© ARIANNA CATANIA
left.it
Pronti al dialogo
coi “buoni” del Pd
di Sofia Basso
«Siamo maturati. Se saltassero le larghe intese,
noi parlamentari 5 stelle valuteremmo nuove strategie
politiche». Parla Adriano Zaccagnini, deputato M5s
D
isponibile a votare proposte della maggioranza. E anche a un eventuale cambio
di governo, per recuperare l’occasione persa a
marzo. Adriano Zaccagnini, 31 anni, agricoltore
con laurea in Scienze politiche, è uno dei deputati M5s più critici verso i troppi no del suo leader.
Su left Laura Puppato auspica maggioranze
trasversali in Parlamento su temi come gli
F35 e l’anticorruzione. Voi siete disponibili?
Noi lavoriamo su tutte le proposte di legge in
maniera trasversale. La nostra posizione è molto costruttiva: abbiamo sempre dichiarato che
vogliamo convergere su proposte sensate e
condivise insieme alle altre forze in Parlamento. Io sono in commissione Agricoltura e sul
Adriano Zaccagnini,
deputato del
Movimento 5 stelle.
Nella pagina accanto,
Laura Puppato,
senatrice Pd
31
società
© MONALDO/LAPRESSE
left.it
C’era l’occasione storica di mandar via
Berlusconi e inchiodare il Pd su proposte utili
Camera dei Deputati,
seduta inaugurale
della XVII legislatura
32
cibo possiamo avere convergenze con la Lega
anche se su altri temi abbiamo posizioni molto lontane. In generale, abbiamo più affinità con
Sel e Pd che con il Pdl, che ha una situazione abbastanza bloccata dal proprietario, Berlusconi.
Tra voi e il centrosinistra c’è stato un accordo mancato: secondo lei ci sono stati errori anche da parte del Movimento 5 stelle?
Si possono riscontrare responsabilità maggiori da parte del Pd. Il nostro errore è stato quello
di non aver fatto nomi per il governo. Non significava dare la fiducia al Pd, ma tentare un esecutivo di personalità esterne. Purtroppo su questo mi
sono trovato in minoranza e così abbiamo detto
l’ennesimo no. Il secondo errore è stato non aver
avuto il tempo per dialogare col Pd e conoscere
quella parte che poi ha sostenuto Rodotà. Dallo staff del Movimento sono arrivate sempre indicazioni di chiusura totale, fino a quando Grillo
non ha parlato di grandi praterie che si sarebbero
aperte se fosse stato eletto Rodotà. Ma era un po’
tardi, a due giorni dal voto. Capisco la coerenza di
non fare alleanze, ma c’è anche la coerenza di chi
dice “salviamo il Paese” e poi lo deve fare. Non
possiamo lasciarlo in mano a Berlusconi.
Infatti molti di quelli che vi avevano votato
non si sono riaffidati a voi.
Sì, non abbiamo riconfermato il risultato delle
Regionali perché non siamo riusciti a incidere
su questo governo. Ci ritroviamo all’opposizione
con un 25 per cento, che è tantissimo. C’era l’opportunità storica di mandare a casa Berlusconi e
di inchiodare il Pd su alcune proposte utili per il
Paese sul lavoro e sulla disoccupazione. Invece
ci ritroviamo con Berlusconi che è tornato a dare
le carte e minaccia il Pd di far saltare tutto.
Se saltasse il governo delle larghe intese,
voi sareste disponibili a un governo col Pd?
Questa questione si gioca soprattutto al Senato,
più che alla Camera. Il tempo, comunque, sta
facendo sì che i nostri 163 parlamentari stiano
maturando esperienza e consapevolezza. Sono
sicuro che valuterebbero una nuova strategia
politica. Non vuol dire automaticamente che ci
sarebbe un governo, perché bisogna vedere cosa farà il Pd, che ora governa con il Pdl. Bisogna
capire se la componente che vuole mandare a
casa Berlusconi riesce a portarsi dietro tutto il
gruppo. Perché sappiamo bene che dentro il Pd
ci sono anche correnti legate a un sistema partitico di vecchio stampo che preferiscono governare col Pdl che con noi. Per questo non hanno
votato Rodotà.
Quindi i tempi sarebbero maturi per un
eventuale cambio di maggioranza?
Sì, ma solo con una proposta valida che venga
da persone che hanno capito come dialogare
con noi e su quali temi, come Puppato e Civati. Se il Pd vuole virare su un consenso più popolare e meno istituzionale, facendo leggi per la
gente che è difficoltà, allora sì.
Cosa deve fare il M5s per recuperare consensi?
Bisogna essere onesti, comunicando quello che
si fa, non reprimendo i dissensi interni perché
deve uscire un’unica voce come se ci fosse una
verità assoluta, sempre in linea con una posizione che si dipinge perfetta. C’è stata poca autocritica nella comunicazione esterna, se non
addirittura arroganza. Se riprendiamo un po’ di
umiltà sugli errori fatti e se cambia l’atteggiamento comunicativo del blog, allora forse potremmo recuperare.
A quali proposte state lavorando?
Sarebbe importante se passasse il reddito di cittadinanza. La nostra proposta è allo studio. Decisive sono anche la rimodulazione degli ammortizzatori sociali e la spinta all’occupazione
giovanile. Poi ci sono le questioni del conflitto
di interessi e dell’anticorruzione, anche se non
credo che si potranno affrontare con l’attuale
governo. Il Pd non se lo può permettere.
1 giugno 2013
left
calcio mancino
società
left.it
La doppia finale di coppa Intercontinentale del ’76 tra Bayern Monaco e Cruzeiro
Il tedesco
con una mano sola
di Emanuele Santi
N
el 1976, in Europa, comandava il Bayern Monaco,
vincitore della terza coppa
Campioni consecutiva. Era la squadra del Kaiser Franz Beckenbauer,
del bomber Gerd Muller e del portierone Sepp Maier. In Sudamerica invece comandavano i militari: da pochi mesi in Argentina e da qualche
anno in Brasile dove il presidente era
proprio un generale di origini tedesche, Ernesto Geisel. La Copa Libertadores, massimo trofeo continentale, era rimasto nella bacheca dell’Independiente (periferia di Buenos Aires) dal ’72 al ’75 finché nel maggio
del ’76, subito dopo il golpe di Videla, i rossoblu di Avellaneda dovettero arrendersi in semifinale ai cugini
del River Plate bastonati per 4-1 nella finale d’andata dai brasiliani del
Cruzeiro vincitori anche dello spareggio decisivo di Santiago del Cile imposto da regole antidemocratiche che ignoravano la differenza reti.
Vennero concordate due partite: una
a Monaco e una a Belo Horizonte per
tornare ad assegnare, dopo tre edizioni bugiarde, la vera coppa Intercontinentale. Decisivo fu l’impegno
dei due governi: quello brasiliano,
bramoso di distrazioni calcistiche e
quello tedesco di Helmut Schmidt,
entrato in campo al posto di Willy Brandt costretto a uscire per colpa di un segretario che giocava per la
Stasi. L’andata è in Baviera, a novembre, con il prato dell’Olympia Stadion spolverato di neve come zucchero a velo e con i cronisti di Globo Tv coperti da sciarpe e cappelli di
left 1 giugno 2013
Sepp Maier
Il portiere Sepp Maier
manda in angolo una
bomba di Nelinho nella
gara di ritorno in Brasile
lana per poter garantire agli ascoltatori d’Oltreoceano l’abituale musica del racconto cantato. La ragnatela a centrocampo sembra funzionare e il Bayern non passa. La differenza però, a dieci minuti dal termine, la
fa il solito Gerd Muller, abile a mandare a vuoto il difensore con la stessa finta utile a ritrovarsi la palla sul
destro per infilare l’angolo rasoterra
alla sua maniera. Due minuti più tardi, Kapellmann raddoppia con un siluro dal limite. Il ritorno si gioca al
Mineirao il 21 dicembre: serata cal-
da e umida, 120mila paganti, erba alta e maniche corte. I padroni di casa
in maglia blu assediano a ritmo blando; i tedeschi aspettano il contropiede e si affidano a un Sepp Maier ispiratissimo. Il primo pericolo arriva da
Vanderlei che gira di testa all’incrocio, il portiere vola in controtempo
e sventa in angolo. Alla mezz’ora, ci
prova Nelinho da trenta metri col suo
potentissimo destro su calcio piazzato: Maier scatta come una molla e
blocca in tuffo. Nel secondo tempo,
Vanderlei spara da destra in diagonale, Maier si allunga rasoterra per l’ennesimo corner. Poi tocca a Palhinha
da fuori area ma il portiere bavarese
è insuperabile e manda oltre la traversa con un balzo animalesco. Ancora una bomba di Nelinho su punizione diretta con la barriera tedesca
schierata compatta e impenetrabile.
La botta è impressionante e la palla
viaggia veloce sotto la traversa. Maier non si scompone, alza la mano e
mette in angolo lasciando i piedi per
terra. L’arbitro inglese non ci crede,
Nelinho stesso non ci crede. Beckenbauer è lì a due passi e non ci crede
nemmeno lui. Così come Jairzinho
che ha perso le parole. Non si può parare una bomba del genere con una
mano sola. Eppure Sepp Maier e lì, in
piedi, che batte i guanti per invitare i
compagni a non distrarsi e a fare attenzione al prossimo cross. Finisce
0-0: il Bayern di Monaco è sul tetto
del mondo. Sepp Maier alza l’ennesima coppa della sua carriera, sempre
con una mano sola.
[email protected]
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mondo
L’EUROPA
SIAMO NOI
a cura di Cecilia Tosi
Dal mondo del business un premio ai leader che hanno difeso la moneta
unica e la Ue. Ma l’Unione che vogliono salvare è quella del passato
L
a crisi non è finita ma l’euro è salvo. A
Bruxelles ci si consola così, dopo la stagione più tempestosa che l’Unione abbia mai attraversato. Se il tasso di disoccupazione continua a salire e la crescita tarda ad arrivare
non è colpa della Ue, ma di chi l’ha tradita. Da cinque anni il Nord punta il dito sui mediterranei arraffoni, il Sud lo punta sulla Germania prepotente ed egoista. Oggi, forse, un’altra strada è stata
imboccata. I 27 Paesi Ue hanno capito che l’austerity di Angela Merkel non porta frutti e i governi a rischio default sono ormai troppi per subire
diktat altrui. Con l’Italia che esce dalla procedura di infrazione e la Francia che costringe Bruxelles a concentrarsi sull’Unione politica, i meridionali riacquistano una voce credibile. Se siamo arrivati fino a qui, all’alba della salvezza, è anche perché qualcuno lassù ha tenuto duro. E per
lassù si intende Bruxelles. Secondo The State of
the European Union, un coordinamento europeo
di associazioni di impresa, scuole di business e
società di consulenza, c’è qualcuno che si merita il titolo di leader europeo 2013, che verrà assegnato il 6 giugno. I candidati sono Mario Draghi
(presidente Bce), Jean Claude Juncker (ex presidente dell’Eurozona), Doris Pack (europarlamentare Ppe), Vivianne Reding
(commissaria alla Giustizia),
Donald Tusk (premier polacco) e
la coppia Guy
Verhofstadt
Mario Draghi,
direttore della Bce
e Daniel Cohn Bendit (europarlamentari e autori del volume Per l’Europa!).
«I princìpi che abbiamo seguito per
questa selezione», ci spiega Andrea
Gerosa di ThinkYoung, che fa parte
della giuria, «sono tre: che il candidato abbia lavorato per fare dell’Europa un posto migliore; che abbia combattuto per la pace sociale senza colori
di partito; che abbia realizzato qualcosa di innovativo». Persone che hanno
frenato i rigurgiti anti europeisti. Uomini e donne che hanno contribuito a salvare
la Ue di oggi, ma forse non a cambiarla. La
crisi che ha travolto prima la finanza e poi
la società adesso sta affondando la politica.
L’idea dell’Unione come antidoto alle faide
continentali non è più forte come una volta.
Leader che si sono limitati a conservare l’edificio pericolante invece di ricotruirlo. Per ora, ci dovremo accontentare.
© PROBST/AP/LAPRESSE
IL BANCHIERE
È bastata una sua frase per salvare l’euro, quando la crisi dello spread stava
mettendo ko Spagna e Italia: «La Bce è
pronta a fare qualunque cosa per preservare la moneta unica e, credetemi, questo basterà». E una sua lettera per affondare l’Italia nella spirale dell’austerity,
quella dell’agosto del 2011: la minacciosa missiva della Bce che imponeva di tagliare spesa e salari e anticipare il pareggio di bilancio al 2013. Mario Draghi, presidente della Bce, è uomo di poche parole. Ma ogni sua sillaba pesa, forse più di
quelle di un Capo di Stato. È l’uomo che
ha salvato l’euro da morte certa. Ma non
l’ha curato. Perché la moneta unica è ancora malata. Di crescita, di consenso politico, di disoccupazione.
Nella difficile vicenda dell’euro Draghi
ha giocato come un equilibrista tra il rigore teutonico e le grida di aiuto provenienti dal Mediterraneo. Ha tirato la corda il più possibile contro i banchieri tedeschi, sfidando a porte chiuse quel Jörg
Asmussen che per conto della Bundesbank lo marca stretto nei consiglio della Bce. Ha criticato il salvataggio di Cipro proposto da Berlino. Ha rischiato
la sua impopolarità parlando al Bundestag. Ha ricordato come di troppa disoccupazione l’Europa può morire. Ma senza mettere in soffitta la regole aurea che
vuole la Bce impegnata sulla stabilità dei
prezzi e non sulla vita reale dei cittadini.
Ha ridotto al minimo il costo del denaro, facendo infuriare la Merkel. Ha riempito di liquidità a basso costo le banche,
ma non i governi. Ha sostenuto i debiti
degli Stati con gli acquisti dei loro titoli,
ma senza mai dire la parola magica odiata a Berlino: eurobond, debito in comune. Oggi continua a ripetere: per crescere servono riforme. Quali? Meno tasse,
tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni,
meno regole sul lavoro, e nessuna leggerezza sul debito pubblico. Di privatizzazioni, in particolare, Draghi se ne intende: ha gestito quelle italiane, dal 1993 al
2001. Non si può dire, col senno di poi,
che siano state un successo.
Draghi è il più tedesco tra gli italiani, ma
è troppo anglosassone per essere un vero tedesco. Di lui non si sa se è l’ultimo
vero leader della vecchia Europa o il primo della nuova. Manuele Bonaccorsi
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© HARTMANN/AP/LAPRESSE
left.it
Jean Claude
Juncker, premier
lussemburghese
ed ex leader
dell’Eurogruppo
L’ALFIERE DELLA MONETA
In Lussemburgo è premier dal 1995,
oggi anche ministro del Tesoro e responsabile delle relazioni con le comunità religiose. In Europa è stato a capo
dell’Eurozona per otto anni, dal 2005
al 2013. Jean-Claude Juncker rappresenta la continuità indolente degli
euroburocrati che vengono sostituiti
solo quando è proprio inevitabile. Negli ultimi 8 anni Juncker non ha saputo
evitare il tracollo finanziario dell’Europa
ma ha contribuito - in modo fondamentale, dice lui - alla salvezza della moneta unica. Dicono che abbia uno schietto
sense of humour e che cerchi di tirar su
il morale ai colleghi con la voce cavernosa di un fumatore professionista. Ora
che non è più presidente dell’Eurozona
difende gli interessi del Lussemburgo,
resistendo all’introduzione di sanzioni
più dure per l’evasione fiscale. Viene
accusato di difendere i grandi fondi di
investimento. L’importante è che gli interessi si paghino ancora in euro.
LADY BALKANS
Doris Pack,
europarlamentare
tedesca del Ppe
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È un’eurodeputata del Ppe, viene dai
cristianodemocratici tedeschi e presiede il Comitato cultura ed educazione
del Parlamento europeo. È conosciuta
soprattutto per la sua attività nei Balcani, dove segue da anni il processo di
integrazione nella Ue. «La Pack è anche
conosciuta come Lady Balkans», dice
Gerosa. «Ha sempre combattuto per
l’indipendenza del Kosovo e per i diritti
dei suoi cittadini. Ma io l’apprezzo soprattutto per li lavoro fatto nel campo
dell’istruzione: si interessa con umiltà
a ogni battaglia per l’innalzamento del
livello educativo e con un interesse che
io definirei trasversale». Super partes
fino a un certo punto, la Pack è stata accusata di difendere l’interesse tedesco
sia appoggiando il Kosovo che collaborando con l’Hdz, il partito conservatore
croato che remava contro l’integrazione
nella Unione. Oggi la Pack chiede addirittura di espellere la Bosnia dal Consiglio europeo, anticamera del club Ue.
1 giugno 2013
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© KEPLICZ/AP/LAPRESSE
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Donald Tusk,
premier polacco
L’UOMO CHE SCOPRÌ LA POLONIA
Il suo è il Paese che ha retto meglio alla crisi.
Il premier Donald Tusk ha segnato la svolta
europeista della Polonia, un Paese che a
Bruxelles dovrebbe inviare solo ringraziamenti. Dal 2008 a oggi Varsavia ha registrato tassi di crescita tra il 3 e il 6 per cento
grazie al commercio con la zona euro. Oggi,
però, l’economia sembra essersi fermata e
left 1 giugno 2013
il primo trimestre del 2013 non è salita più dello 0,4 per cento. Di conseguenza Tusk ha visto
calare i suoi consensi dal 40 per cento con cui è
stato rieletto nel 2011 a uno smilzo 23. Il suo rivale è Jarosław Kaczyński, l’euroscettico leader
del Pis, che vanta il 26 per cento delle intenzioni
di voto. La sua popolarità sta subendo qualche
colpo anche a causa della sua solida alleanza
con la Cancelliera Merkel e con l’ex presidente
francese Sarkozy. Ma a Bruxelles la sua fama
regge e piace il suo anelito a costruire un’Europa che conti sullo scacchiere internazionale.
Dato tra i candidati a presiedere la prossima
Commissione europea, Tusk ha riconosciuto di
aver ricevuto un invito, ma di non aver ancora
deciso se correre per il posto di Barroso.
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© HITIJ/AP/LAPRESSE
I FEDERALISTI
Insieme hanno scritto Per l’Europa!
Manifesto per una rivoluzione unitaria.
Daniel Cohn Bendit è una figura storica della sinistra francese, anche se
oggi rappresenta i Verdi sia per Parigi
che per Berlino. Guy Verhofstad, belga
fiammingo, presiede invece l’Alde, il
gruppo degli europarlamentari liberali,
quello dove siedono i LibDem britannici (e per l’Italia Radicali e Idv). I due
europarlamentari condividono l’idea
che un’Europa più forte potrebbe
schiacciare qualsiasi crisi. L’hanno
scritto nel loro libro, tradotto in sette
lingue e distribuito gratuitamente in
Grecia: «È importante che il popolo ellenico smetta di pagare per l’Europa»,
sostengono i due. Per l’Europa! non
scardina l’approccio rigorista di Bruxelles, ma invita ad andarci piano e a
puntare sulla solidarietà.
Secondo Cohn-Bendit e Verhofstadt
«non è possibile conservare l’euro senza cambiare gli Stati-nazione. O nasce
uno stato federale europeo oppure la
moneta unica scompare». Il problema
è la liquidità: «Anche chi può vantare
un buon rapporto debito/Pil conta poco sul mercato se non ha liquidità».
Gli autori vorrebbero che il loro libro
fungesse da antidoto contro i crescenti movimenti anti europeisti. E per
convincere gli scettici propongono un
nuovo federalismo europeo: il prossimo Europarlamento dovrebbe avere
un ruolo costituente e stendere, come
dice Cohn Bendit, «una Legge Fondamentale, un documento semplice che
non comprenda possibilità di opt-out».
E cioè che impedisca agli euroscettici d’antan come la Gran Bretagna di
chiamarsi fuori ogni volta che una regola Ue non le aggrada.
Per Verhofstadt, già candidato alla
Commissione europea dopo Prodi e
clamorosamente sconfitto da Barroso,
questo libro è «un attacco alla classe
politica continentale, scritto con rabbia». Per Cohn Bendit, ex leader del
’68 francese, passato dal marxismo
movimentista all’ambientalismo transnazionalista, è un appello al rafforzamento dell’Europa. Per salvarla.
Guy Verhofstadt, leader dell’Alde (Alleanza europea dei liberaldemocratici).
Daniel Cohn Bendit, europarlamentare di Europa ecologia
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© CHARLIER/AP/LAPRESSE
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Viviane Reding
commissaria europea
per la Giustizia,
Diritti fondamentali
e Cittadinanza
LA PALADINA DELLA GIUSTIZIA
Stessi diritti per tutti. Che si tratti di nazionalità o di genere sessuale, nessun cittadino europeo dev’essere discriminato. È
questo l’obiettivo della Commissaria alla
giustizia della Commissione europea Viviane Reding. «Ha fatto una proposta concreta: riservare il 50 per cento dei posti in
Cda alla componente femminile», ricorda
left 1 giugno 2013
Gerosa. Crede nelle pari opportunità, Viviane
Reding, ma soprattutto nel rispetto delle regole democratiche della Ue. Tanto che ha proposto di punire l’Ungheria, rea di calpestare la
libertà di stampa e l’autonomia del potere giudiziario, privandola del diritto di voto all’interno
del Consiglio europeo. Si è opposta anche alle
lobby delle maggiori società Usa della Rete,
affermando che tutti hanno il diritto all’oblio.
Ma le sue opinioni sulla “emigrazione della
povertà” di cittadini bulgari e romeni hanno
suscitato qualche polemica: da una parte la
commissaria ha combattuto le paure di immigrazioni di massa e di dumping sociale, dall’altra ha dichiarato che la libertà di movimento
«non può essere illimitata».
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left.it
mondo
Happy
birthday,
Second
life
di Paola Mirenda
Compie dieci anni il più famoso dei mondi
virtuali. E torna al progetto originario:
essere un luogo di sperimentazione e
comunicazione in 3d. Con le proprie regole
left 1 giugno 2013
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mondo
left.it
A
In questa pagina:
in alto, una coppia
davanti alla loro casa
virtuale in una delle
land di Second life.
Sotto, una riunione
in una sede cinese
dell’Ibm. Il colosso
informatico è stata
la prima società a
organizzare,
nel 2006, un Consiglio
di amministrazione su
Second life
42
ilin Graef è una di quelle che ce l’ha fatta. Inventarsi una doppia vita non l’ha
messa nei guai, come succede spesso a
mariti poligami e studenti fuori corso. Lei invece, con la sua seconda identità, ha avuto davvero una chance: è diventata milionaria - in dollari veri, non virtuali - e ha finito per costituire un
piccolo impero nel settore della tecnologia digitale. Ma il grosso dei suoi aiutanti non li trova né
in America né in Corea, dove è nata: sono tutti
sulla rete, anzi su Sl - Second life, il luogo virtuale dove è nata la sua avventura finanziaria.
Lanciato nel 2003, il mondo in 3d della Linden
lab compirà 10 anni il prossimo 16 giugno. I preparativi per le due settimane di festeggiamenti sono iniziati a metà aprile, ma indipendentemente dalla “mobilitazione” ufficiale molti dei
suoi abitanti già programmano feste ed eventi,
a dimostrazione del fatto che, anche se non ha
più i milioni di avatar (l’alter ego virtuale) dei
tempi felici, Second life non è affatto morta.
Certo, molti dei suoi utilizzatori sono migrati su
social network più semplici, ma lo zoccolo duro degli abitanti continua a esistere. In un certo
senso Second life si è comodamente riadattata
a quello che doveva essere il suo spirito originario: un luogo di sperimentazione e comunicazione tridimensionale, dove all’occorrenza fare
anche amicizia e costruire relazioni. Però non
tutti hanno avuto la fortuna di Ailin Graef: lei ci
ha creato una carriera, altri ci hanno distrutto
un matrimonio.
Nel mondo di belli e giovani che popola Second life - pochissimi si costruiscono un alter
ego brutto e brufoloso - c’è chi ha trovato il lavoro, chi l’amore, chi «la più grande depressio-
1 giugno 2013
left
mondo
left.it
ne della vita». Su Second life ci si sposa spesso, non fosse altro che per indossare i creativi
abiti in vendita per centinaia o migliaia di linden dollar, la moneta ufficiale della piattaforma. Si va alle feste, si organizzano concerti,
si passeggia anche mano nella mano sulla riva del mare. Poi c’è chi usa il mondo virtuale
per attività considerate più serie, così qualcuno ci ha fatto carriera professionale vendendo
abbigliamento o mobili virtuali, ma soprattutto competenze tecnologiche.
Dei suoi 22 milioni di “residenti” registrati, oggi solo 600mila sono davvero attivi. Inutile però
cercare i grandi marchi di abbigliamento o i politici in cerca di voti che l’hanno portata alla ribalta. Second life ospita ancora brand famosi,
ma il grosso delle attività è pensato per un mondo che ragiona in virtuale, non che ci si adatta.
left 1 giugno 2013
Spogliata dagli orpelli dell’ondata di moda che
l’aveva travolta all’inizio, Second life è diventata il luogo ideale per gli artisti, con mostre che
ottengono successo e riconoscimenti che vanno oltre il virtuale. L’elenco degli eventi settimanali è lungo quanto quello di una città di media grandezza. Spopolano i musicisti, e ci sono
più vernissage e concerti che a Milano o Berlino nello stesso arco di tempo. Ma di una cosa
Second life non è riuscita a liberarsi: la politica. I candidati alla presidenza Usa ci hanno fatto comizi e raccolte fondi, i pacifisti manifestazioni di protesta contro la guerra e i gay hanno
promosso qui la loro causa. Altro che facebook: niente di meglio che un corteo virtuale su
Second life per esprimere il proprio dissenso.
Mandando un altro al proprio posto, nel caso
arrivasse la polizia.
Momenti di incontro
sulla piattaforma
virtuale, utilizzata
per pubblicizzare
brand famosi e artisti
sconosciuti.
Nel mondo creato
dalla Linden lab
si può ascoltare
un concerto, andare
al cinema, vedere
una mostra. O,
come nell’immagine
centrale, provare
a camminare sulle
acque
43
cultura
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Mo Yan e la Cina
del rimorso
52
Salerno, festival
delle arti
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Jolie e la lotta
contro il cancro
Photissima Art Fair.
Ritorna la fiera italiana interamente dedicata ai collezionisti e agli amanti dell’arte fotografica. Il 2 giugno, a Venezia, per la prima volta durante la Biennale internazionale d’arte, Photissim Art Fair
punta i riflettori in modo ampio e approfondito sul mondo
della fotografia. Con il vantaggio di una doppia matrice:
fieristica e culturale che si
esprime in un festival.
In foto Piero Mollica,
Shibo, 2011
cultura
© HAN GUAN/AP/LAPRESSE
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cultura
left.it
L’impero
del rimorso
di Rosa Lombardi
Nel suo nuovo romanzo, Le Rane, il premio Nobel Mo Yan riflette
criticamente sulle politiche del figlio unico in Cina. E sul senso di colpa
per aver seguito ciecamente, come atto di fede, politiche imposte dall’alto
A
ffronta uno dei temi più delicati della
recente storia cinese, quello delle politiche di controllo demografico varate dal
governo a partire dalla metà degli anni 60 il nuovo libro di Mo Yan, Le Rane (Einaudi 2013, traduzione di Patrizia Liberati), pubblicato in Cina
nel 2009 dopo una gestazione durata dieci anni,
è l’ultima opera narrativa di Mo Yan, premio Nobel per la Letteratura 2012. Il
titolo del libro (Wa, in cinese “rana”
animale tradizionalmente associato
alla fertilità, ma anche omofono di
“bambino, neonato”), introduce immediatamente il tema centrale del libro, cui se
ne affiancano altri, non meno importanti,
nella complessa molteplicità di prospettive
e significati che è una delle cifre caratteristiche della narrativa di Mo Yan. La stampa
cinese ha accolto il romanzo con favore, evidenziando e dibattendo alcune delle problematiche presenti nel libro. Prima fra tutte la critica
esplicita avanzata da Mo Yan alle politiche di
controllo delle nascite, inaugurate nel 1965 attraverso massicce campagne di sterilizzazione
nelle zone rurali e, dopo il 1979, imponendo a
ogni nucleo familiare di avere un solo figlio,
non risparmiando l’aborto anche a donne in
avanzato stato di gravidanza che aspettavano un secondo figlio “illegale”. La critica cinese ha ovviamente tralasciato di
evidenziare un aspetto scontato
per il pubblico nazionale, ossia l’impatto culturale che
tali politiche demografiche
ebbero in un Paese come la
Cina, dove la famiglia ha sempre occupato un ruolo centrale
all’interno della società, e dove il
dovere di assicurare una discenden-
left 1 giugno 2013
2 maggio 2011,
Pechino.
Una cerimonia
ufficiale per i 90
anni del Partito
comunista cinese
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cultura
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© AP/LAPRESSE
Tra le righe lo scrittore addita
il liberismo sfrenato di oggi
Il premio Nobel
per la Letteratura
Mo Yan.
E la copertina
del suo ultimo libro
48
za agli antenati ha assunto per millenni un carattere quasi sacro. Ciò che è stato maggiormente
dibattuto è la questione del potere esercitato
dal governo - quando questo diventa così onnipervasivo da invadere ogni aspetto della vita
dei singoli individui, giungendo a controllarne
anche la facoltà e il diritto di riproduzione - allo
scopo di perseguire specifiche strategie politiche ed economiche. Nel suo libro Mo Yan sembra giustificare queste politiche, considerandole come un atto necessario, anche se brutale e
violento, in un Paese ad altissima densità demografica come la Cina: l’unico mezzo per costruire uno Stato forte e prospero e assicurare il benessere futuro. («La pianificazione delle nascite
è una priorità nazionale. Se non controlliamo
la popolazione, non ci saranno cibo e abiti per
tutti, …sarà arduo migliorare la qualità dei cittadini e rendere ricco e forte il Paese. La causa
val bene il sacrificio», pagine 127-8.) Procedendo nella lettura tuttavia si osserva che il ricordo
delle morti causate, degli aborti forzati, come
nel caso Wang Dan e Wang Renmei, ritorna in
modo sempre più ossessivo nel libro, come riflessione tragica sulla giustezza e sulle implicazioni etiche di tali politiche. Il romanzo è dedicato dalla voce narrante (un aspirante scrittore)
alla zia ostetrica, un personaggio complesso e
ambivalente, figura di eroina e di aguzzina a un
tempo, che dapprima aiuta molte donne a parto-
rire sostituendosi alle mammane grazie alle sue
conoscenze mediche, ma che poi diventa spietata sostenitrice del piano di controllo demografico, costringendo all’aborto anche donne in
avanzato stato di gravidanza, («le mani della zia
sono imbrattate di due tipi di sangue, uno profumato, l’altro puzzolente». Pagina 364).E qui
giungiamo a uno dei nodi centrali del romanzo:
il senso di colpa della protagonista e del nipote
per aver seguito ciecamente, come atto di fede,
politiche imposte dall’alto, mettendo a tacere la
propria coscienza individuale. Questo rimorso
diventerà intollerabile per la zia anziana, fino
a minarne l’equilibrio mentale, mentre il nipote tenterà, con la scrittura, di affrancarsi dalla
“colpa” di aver costretto la prima moglie ad
abortire, causandone la morte. Anche dal punto
di vista formale il romanzo presenta delle novità, accostando insieme generi diversi: la forma
epistolare, narrativa e teatrale. Alla narrazione
segue un’opera teatrale in nove atti. Ogni sezione è preceduta da una lettera del narratore
Girino a uno scrittore giapponese, Yoshihito
Sugitani (in cui è stato riconosciuto lo scrittore
Kenzaburo Oe, premio Nobel 1994, amico di Mo
Yan). Nella lettera iniziale il narratore esprime
il desiderio di scrivere un’opera teatrale sulla
vita della zia ginecologa, ispirandosi a Le mani
sporche (1948) e a Le mosche (1964) di Sartre.
Alle lettere seguono il racconto di episodi della
storia di quegli anni e della vita della zia ginecologa a Gaomi, terra natale di Mo Yan, nella Cina
nordorientale, dove sono ambientati tutti i suoi
grandi romanzi a partire da Sorgo Rosso. Il testo
teatrale è scritto in forma burlesca e vagamente
surreale, con ritmo serrato, e in esso realtà, sogno e finzione si confondono. Lo sguardo di Mo
Yan si volge alla Cina di oggi, Paese del benessere e del liberismo più sfrenato, della corruzione
e della sofisticazione alimentare, dove il denaro
può comprare ogni cosa, anche la “maternità
proibita”, con “uteri in affitto”. Il libro presenta una scrittura totalmente rinnovata, in cui si
riconosce a fatica il tocco e la magia del grande
narratore presente negli altri romanzi.
1 giugno 2013
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left.it
© AP/LAPRESSE
Raccontare l’invisibile
di Federica Casalin
La cecità de I maestri di Tuina è una metafora potente di una società
che non vuole vedere. Bi Feiyu ha presentato a Roma il suo ultimo romanzo
C
osa significa essere scrittori in Cina
oggi? A questa domanda ha cercato di
dare risposta lo scrittore Bi Feiyu tenendo una conferenza al dipartimento di Studi
Orientali dell’università La Sapienza di Roma
in un’Aula Magna gremita di studenti rimasti
due ore in silenzio ad ascoltare quell’uomo affascinante e discreto nel suo sorriso sincero. Bi
Feiyu, classe 1964, è uno scrittore di successo,
sia in patria che all’estero. Già due volte vincitore del premio Lu Xun, nel 2011 ha ottenuto
l’ambito premio letterario Mao Dun per il suo
ultimo romanzo, I maestri di Tuina, tradotto in
italiano da Maria Gottardo e Monica Morzenti e
left 1 giugno 2013
pubblicato da Sellerio nel 2012. «Per rispondere
a una domanda così complessa, mi sono dovuto
preparare per bene», ha esordito lo scrittore. E
non si è smentito: “Colui che sorvola l’universo”
- questo il significato del suo nome - ha ripercorso la storia della letteratura cinese degli ultimi
cento anni, partendo dalla rivoluzione letteraria
iniziata nel 1917 con il suo impegno per la costruzione di un Paese moderno, toccando poi la
“letteratura dei 17 anni” che intercorsero fra la
fondazione della Repubblica popolare nel 1949
e l’inizio della Rivoluzione culturale nel 1966,
senza trascurare la produzione della Rivoluzione culturale stessa. Dopo la morte di Mao
18 gennaio 2013,
città cinese
di Chongqing,
lavori in un cantiere
sorto attorno a una
statua di Mao Zedong
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cultura
© THOMAS LANGDON
left.it
«I ciechi sono esseri umani come noi.
Solo i “normali” non se ne accorgono»
Un ritratto
dello scrittore Bi Feiyu
e la copertina del suo
nuovo libro pubblicato
in Italia da Sellerio
50
nel 1976, spiega, gli autori cinesi dapprima cominciarono a “leccarsi le ferite”, lamentandosi
come un bimbo che piange di fronte alle incomprensibili assenze dei genitori; poi iniziarono a
cercare le proprie radici, nel tentativo di capire
se gli eventi politici degli ultimi decenni fossero
da imputare a un solo uomo o a qualche fattore intrinseco alla società e alla cultura cinesi.
E adesso? Ora, se vogliamo parlare di una letteratura nuova, forse l’aggettivo più adatto ad
accomunare scrittori fra loro eterogenei è xiao,
piccolo. Quella che Bi Feiyu scrive e in cui si riconosce è infatti una letteratura del piccolo, minima o minimale, consapevole dell’impossibilità di descrivere in modo esaustivo il variegato
universo della Cina del XXI secolo, una letteratura che ha abbandonato la pretesa di occuparsi
delle “cose grandi”, come il popolo, la nazione,
la cultura, per dedicarsi a quelle “piccole”, quasi
invisibili, ma non meno importanti. È questo il
caso dei maestri di Tuina che animano l’ultimo
romanzo di Bi, ambientato in un centro massaggi a Nanchino. Come da tradizione, vi lavorano quasi esclusivamente persone non vedenti.
Strizzando l’occhio alla struttura narrativa tipica del romanzo cinese classico, l’opera si sviluppa in una serie di capitoli dedicati ciascuno a
un personaggio, tra i quali è difficile individuare
un vero protagonista. Si susseguono e si intrecciano così storie affascinanti di vite difficili, storie di donne e di uomini che, ciechi dalla nascita
o divenuti tali in seguito a un incidente, aspira-
no a riscattarsi attraverso il lavoro e i rapporti
umani, di amicizia e di amore. È questo il caso di
Zhang Yiguang che, dopo aver perso la vista per
un’esplosione in miniera, inizia una nuova vita,
più autonoma e consapevole, seppur al buio:
«Era rimasto a casa sei mesi, poi aveva deciso
di andarsene. Non è libertà quella che si vive in
famiglia, non è totale, non è spensierata. In fondo aveva solo 35... Era nato di nuovo, pronto a
venir su forte e sano in un mondo senza luce».
Sono storie avvincenti, così credibili che viene
da chiedersi come abbia fatto l’autore a scriverle. «I ciechi non sono diversi, sono esseri umani
come chiunque altro. Se non conosciamo chi
ci sta di fronte è solo perché non proviamo a
farlo!», risponde Bi Feiyu alla domanda di uno
studente. Nel caso dei personaggi che animano
il romanzo, la conoscenza si acquisisce attraverso l’udito, l’olfatto, il gusto e soprattutto il
tatto, che regna sovrano, perché i ciechi «nelle rare occasioni in cui ridono e si divertono in
compagnia, uomini e donne usano mani e piedi,
si toccano, insomma, senza nessun tabù. Parlando e scherzando, si danno pacche e manate,
pizzicotti e grattatine, questi sono i tipici modi
in cui manifestano l’amicizia. Rifuggire il contatto fisico è grave per loro come per i vedenti
evitare lo sguardo, significa che non c’è fiducia,
non c’è rispetto». Così, a tentoni e con qualche
incertezza, si sviluppano le storie dei personaggi e la storia del centro massaggi. I suoi dipendenti vivono fianco a fianco, condividono tutto,
ma sanno ben poco l’uno dell’altro, impegnati
come sono in un caparbio tentativo individuale di riscatto sociale. Per poi scoprire che forse
«il maggior handicap dei non vedenti non è la
vista, ma la mancanza di fegato, una fragilità intrinseca che nasce da un orgoglio esagerato. Fu
come un’illuminazione, per Sha Fuming: perché
i ciechi devono sopportare il peso di una dignità
ancora più grande di quella di chi ci vede? Non è
che un’autoimposizione, come molte altre cose
nella loro vita. In realtà nel mondo esiste solo
una dignità, quella dell’essere umano, non esiste la dignità del non vedente».E forse in fondo
anche la cecità dei maestri di Tuina non è che la
metafora di un “non vedere” molto più diffuso,
che colpisce non gli occhi ma gli affetti di persone tanto vicine quanto chiuse in se stesse ed
estranee le une alle altre.
1 giugno 2013
left
cultura
left.it
Kaspar Hauser
idiota
alla Dostoevskij
di Camilla Bernacchioni
Il regista Davide Manuli ripropone la storia
filmata da Herzog. In poetico bianco e nero
«I
Alcuni fotogrammi
del film La leggenda
di Kaspar Hauser
di Davide Manuli
left 1 giugno 2013
l mio film è un manifesto degli anni in
cui viviamo, sul non senso». Esordisce il regista milanese Davide Manuli,
parlando del suo terzo lungometraggio La leggenda di Kaspar Hauser già pluripremiato e
distribuito all’estero. E la parola “non senso” ci
fa subito pensare a come viene maltrattato in
Italia il cinema indipendente, che non di rado
rappresenta la nostra eccellenza. (Gli spettatori italiani, come è noto, sono ormai ostaggi
di un non-circuito di distribuzione che decidecensura). Un bell’esempio di cinema d’autore
indipendente è il coraggioso Kaspar Hauser
di Manuli che uscirà il 13 giugno distribuito
da Mediaplex con il supporto di Cineama. Visionaria, surreale e futuristica, la riscrittura in
chiave poetica della storia del fanciullo d’Europa nato in Germania probabilmente nel 1812
e morto nel 1833 che tanto ha affascinato artisti, scrittori e studiosi. E che nel film di Manuli
si fa metafora dei nostri tempi. «E in realtà si
tratta di un film molto più facile e godibile di
quanto si possa immaginare - si schermisce il
regista - la struttura è semplice, al pubblico
consiglierei di vederlo senza tentare di interrogarsi a ogni scena». Le sollecitazioni visive
e sonore del resto non mancano a partire dal
protagonista, il leggendario Kaspar Hauser,
interpretato dalla nota performer Silvia Calderoni, che dopo essere stato fatto sparire dai
nemici in tenera età per evitare che potesse salire al trono, appare improvvisamente su una
spiaggia in un lembo di terra di nessuno (i paesaggi lunari del Sinis in Sardegna) dove vivono
la Granduchessa (Claudia Gerini), il pusher
e lo sceriffo, entrambi con il volto di Vincent
Gallo, che prende in custodia Kaspar. Con loro
il Prete (Fabrizio Gifuni) e la Veggente (Elisa
Sednaoui). Un cast stellare utilizzato proprio
in quanto tale, archetipo esso stesso: «Sono
tutte “icone” di oggi - sottolinea Manuli - con
loro ho fatto un lavoro di addizione più che di
sottrazione». A proposito della storia, che nel
film procede per capitoli con titoli da film muto
e la colonna sonora firmata dal compositore
francese Vitalic: «Chi conosce quella vera di
Kaspar Hauser apprezzerà, spero, il mio lavoro di “asciugatura”», continua. «Il mio Kaspar
non ha passato, né futuro, si cerca di capire se
sia un santo, un idiota, o un impostore». Nulla
a che vedere con il Kaspar Hauser di Herzog,
dunque, ma perfettamente in linea invece con
il precedente film di Manuli, Beket: «Ci sono
elementi di continuità come il bianco e nero,
la scelta dei paesaggi incontaminati della Sardegna, è un dittico sulla solitudine e l’assurdità
dell’esistenza nel primo caso vista con la lente
di Beckett e in questo ultimo film con il passaggio dall’assurdo al non senso». Da qui la
metafora della contemporaneità: «Con Kaspar
la società ha pensato di comportarsi bene, ha
cercato di educarlo, tutti avevano qualcosa da
insegnare, in fondo lo hanno ammazzato prima ancora che morisse, è la società che non ha
senso mentre Kaspar rimane sempre se stesso
- conclude - in fondo noi come ci comportiamo
con gli stranieri? Con chi arriva in questo Paese? Non ascoltiamo, non comunichiamo, aggrediamo e basta. Proprio da questa angoscia
del presente sono nati Kaspar e Beket due film
nel deserto, la mia personale fuga».
51
cultura
left.it
La vita è
intelligente
di Tiziana Barillà
A Salerno, dal 5 all’8 giugno, arriva Linea d’ombra, il Festival delle culture
giovani. Segni, visioni, suoni e azioni per riflettere sul nostro futuro
«A
bbi il coraggio di servirti della tua
propria intelligenza», esclamava
il filosofo tedesco Immanuel Kant
nel 1784. Da allora abbiamo inventato il telefono - oggi smartphone - le automobili - adesso
smart car - e chiamiamo smart city le nostre città. L’obiettivo? Migliorare la qualità della nostra
vita. Per renderla, è ovvio, una smart life. Certo,
il progresso tecnologico ha reso le nostre vite
più facili e interessanti, almeno apparentemente. Perché i dati globali su economia, prospettiva di vita, alfabetizzazione, continuano a essere
poco felici. Un esempio? Degli oltre 7 miliardi
di persone che abitano il pianeta solo il due
per cento possiede oltre la metà della ricchezza mondiale. È davvero intelligente la vita che
abbiamo costruito? Intorno a questo interrogativo l’associazione SalernoInFestival organizza,
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dal 5 all’8 giugno, la 18esima edizione di Linea
d’Ombra - Festival delle culture giovani. Quattro
giorni all’Ottocentesco Teatro Verdi in cui le arti
non stanno a guardare. E si affidano alla creatività contemporanea declinata in Visioni, Suoni,
Azioni e Segni, con incontri, arti performative,
musica e un concorso di cortometraggi.
Alla sezione Segni è affidato il compito di confrontarsi e mettersi in connessione, prima di
tutto attraverso la scrittura. Perciò nel corso
del festival si terranno due incontri. Nel primo,
Massimo Amato, docente di Storia Economica
alla Bocconi, Andrea Ranieri, consigliere di amministrazione Isfol, e l’economista Guido Viale
discuteranno di “Capitalismo intelligente”, dello
sviluppo legato a nuove tecnologie, cultura, ambiente. Mentre Gian Arturo Ferrari, presidente
del Centro per il libro, e Carlo Freccero, diretto-
1 giugno 2013
left
cultura
© PIRRONE/ LAPRESSE
left.it
re Rai4, insieme allo scrittore Diego De Silva si
confronteranno sul tema “I media intelligenti”.
Dalle parole alle Visioni. Ricordate i Monty Python? I cinque baronetti della comicità surreale
made in England, che dal ’69 all’83 hanno inondato della loro commedia acuta e colta tutta Europa. Compresa l’Italia, che li ha conosciuti con
Brian di Nazareth (del 1979), satira irriverente
sbarcata nel nostro Paese solo nel 1991. E con Il
senso della vita, premiato a Cannes nell’83. Oggi,
a quarant’anni da allora, Linea d’Ombra decide
di ricordarli con una maratona cinematografica
notturna delle loro opere. A introdurla, per raccontare “Quel che ho capito dei Monty Python”,
sarà una performance di Giobbe Covatta. Non
solo ricordi, però. Ci sarà anche un concorso
tra 21 dei più interessanti cortometraggi europei
prodotti nell’ultimo anno e una selezione delle
migliori web-series italiane realizzate nel 2012.
Non mancheranno le arti performative, e in
particolare la nuova drammaturgia italiana contemporanea. A rappresentare la sezione Azioni
saranno due performance: “Pitecus” di Antonio
Rezza e Flavia Mastrella e “Il difficile mestiere di
vedova”, tratto da un racconto di Silvana Grasso, diretto e interpretato da Licia Maglietta.
Per finire, i Suoni. Sul palco del Teatro Verdi di Salerno sarà il turno della contaminazione artistica
con il live di Trinità, trio composto dal batterista
(e conduttore di Gazebo) Diego “Zoro” Bianchi,
dal cantautore e chitarrista Roberto Angelini e
dal trombettista Giovanni Di Cosimo. Infine, in
left 1 giugno 2013
Dai paradossi dei Monty Python e Giobbe
Covatta alla batteria di Zoro, passando per le
nuove web series e il teatro di Antonio Rezza
esclusiva per il Festival, si incontreranno in una
“one night only” il tocco raffinato del batterista
Sergio Carnevale (Bluvertigo), l’inconfondibile
groove del bassista degli Afterhours Roberto
Dell’Era, il rock di Federico Poggipollini, storico
chitarrista di Litfiba e Ligabue, e le tastiere del
poliedrico Megahertz dei Versus. I quattro musicisti, dopo una fugace esperienza su Deejay tv,
scelgono Salerno per ripetere l’esperimento al
quale stavolta prenderanno parte anche Cristiano Godano dei Marlene Kuntz e Andy, già membro dei Bluvertigo.
Quattro giornate intense in cui, come nel romanzo di Joseph Conrad dal quale il festival prende
il nome, si cercherà di varcare la “linea d’ombra”. Ovvero quel momento di passaggio in cui,
per lo scrittore polacco, si prende atto del proprio essere soli di fronte al e nel mondo. «Ma la
linea d’ombra cui facciamo riferimento noi è la
condizione tipica della nostra modernità, in continuo transito da un mondo all’altro, da un’epoca all’altra, senza il tempo di nostalgie», spiega il
direttore artistico del festival Peppe D’Antonio.
Ma senza fuggire: «Oggi servirebbe un po’ di arte
dell’impegno. I compiti sono tanti e noi dobbiamo dimostrare di essere davvero intelligenti».
In apertura alcune
immagini tratte
dai cortometraggi
in concorso al festival
di Salerno. In alto
Giobbe Covatta
e Antonio Rezza
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trasformazione
Massimo Fagioli, psichiatra
Il rapporto uomo-donna ha il fascino
dell’immagine ignota del diverso da se stessi
BIANCHE
e grandi erano le sfere
A
vevo visto lontano, quasi all’orizzonte, due
macchie biancheggianti. Mi sollevai dalla
sabbia calda dove avevo disteso la pelle che
accoglieva i raggi del sole ed andai dentro l’acqua che
sembrava azzurra.
Nuotavo e, accanto a me, la figlia adolescente tagliava, tracciando una linea retta, la superficie del mare. Era
l’estate del 1977 dopo che avevo detto che, a settembre,
avrei aperto un altro “seminario” ovvero sarei andato per
altre due ore a fare psicoterapia di gruppo.
Vengono pensieri ed immagini che sembrano ricordi,
ma io so che sono memorie che parlano con quella voce
che non si ode. Talora sono immagini indefinite, talora è
soltanto il suono che non muove la membrana del timpano. Come se dalla pelle che riceve la luce del sole andassero, alla sostanza cerebrale, onde che fanno un linguaggio
di immagini silenziose, che non è quello ascoltato.
Ed il leggero stridere della penna sul foglio bianco mi
dice che il linguaggio articolato, senza la fantasia creata
dal proprio organismo, è come il graffio che le unghie dei
carnivori fanno sulla corteccia degli alberi. Pensando che
è difficile realizzare le parole che dicono dell’immagine
nascosta nei ricordi, sento le voci che, ogni giorno, mi accolgono dicendo: è difficile.
Sento il lamento che è come una preghiera, sembra indifferente, ma sono felice che tanti miei simili si siano
svegliati dal coma che la coscienza razionale determina
nella mente, dopo che il bambino ha lasciato il rapporto
carnale con la madre che lo ha scaldato e nutrito. Scrivo
pensando che la creazione dell’immagine, oltre il ricordo, guida la mano a scrivere le parole che non sono più
quelle udite e viste.
Era iniziato quel fatto strano che assunse il nome di
Analisi collettiva. Se Istinto di morte e conoscenza denunciò il mito della scoperta dell’inconscio dimostrandone la falsità, i secondi due volumi tolsero la maschera dal
volto di una cultura razionale che era diventata di pietra
di fronte all’irrazionale. E venne il “quarto libro”.
Il salone del libro di Torino. Ho visto persone in piedi
appoggiate con le spalle alla parete e tante persone sedute. Tre esseri umani dietro un tavolo proponevano di guardare, vedendo la loro identità: due uomini, ed una donna.
Presentavano la nuova edizione di un libro scritto nel
1979 e parlavano del suo autore e della sua vita di ricerca sulla realtà umana. Telefonai facendo complimenti,
dicendo grazie ed osservando che avevano parlato poco
delle due premesse scritte nel 1979 e nel 1996.
Ricordai che nel 1979 ero in possesso dell’attuale studio, fatto che significava che le sedute di psicoterapia del
grande gruppo si potevano continuare senza interruzioni. Nel 1996 c’era l’intenzione di lasciare l’appartamento
di via del Pellegrino per una nuova casa. Il fatto avvenne
nel novembre 1998.
Non c’era il tempo per cercare di vedere e parlare del
senso dei fatti e rendere linguaggio articolato il suono delle
parole che descrivono il ricordo cosciente di tali fatti. Poi
mi dissero della bellezza di una psichiatra dai capelli neri.
E penso che, tempo fa, dissi che andarsene dall’Istituto
di psichiatria era, per l’Analisi collettiva, la realizzazione
della sua nascita. È un pensiero verbale che parla di realtà umane invisibili mai pensate e propone l’impossibile, ovvero di pensare una realtà senza definizione dell’immagine detta Analisi collettiva.
Pensare e dire “nascita di un gruppo” sempre variabile
di individui nuovi che venivano, vecchi che ritornavano,
fa pensare alla parola psichiatria, resa parola terribile accusata di essere percezione delirante.
Ma il calendario antico con quei numeri scritti nel silenzio, grida: 1996, ed io sento il titolo della seconda premessa del libro risorto “Se avessi disegnato una donna”.
Dietro al suono che non si ode ci sono dieci, cento parole
che, come se fossero cloni appaiono tutte uguali ma, a pensare l’invisibile per la realtà materiale inesistente, vedo che
l’uguaglianza del termine separazione è non vera perché la
parola talora è brevissima ed appare come un punto, talora
è talmente lunga da non poter scorgere la fine.
Si crea con la separazione dalla “madre” che scalda e nutre
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left.it
Penso che la distanza aumentata da una bella donna corrispose alla sparizione di una realtà interiore. E la coscienza non riesce a formare un linguaggio verbale che dica se
fu un’identificazione o memoria dell’esperienza vissuta.
E torna il titolo “se avessi disegnato una donna” e porta con sé i termini verbali assurdi, che dissi più di una
volta. Era l’immagine del gruppo che veniva all’Istituto
di psichiatria perché gli individui stavano male. Ma non
pensavano di rinnovare se stessi.
Venivano per “stare meglio”, per trovare conforto al loro
“star male” che non volevano pensare fosse malattia. Non
pensavano alla cura per la guarigione e non erano in grado di comprendere il superamento, con la parola ed il fatto
della trasformazione, della scissione tra coscienza ed inconscio. Ed io non ero riuscito a disegnare l’immagine di
quella realtà assolutamente nuova detta Analisi collettiva.
Avevo scritto da solo, rapidamente, la sceneggiatura
de Il sogno della farfalla in cui il protagonista rifiuta il
linguaggio articolato imparato, per pronunciare soltanto le parole che erano arte e poesia. E nella seconda premessa si pensa al risveglio, quando la coscienza non si
distingue dall’inconscio, e l’individuo non riesce a riconoscere se stesso nella coscienza, nel comportamento
e nel linguaggio articolato perché la mente, nel sonno,
non ha fatto immagine.
E la voce della giovane psichiatra che parlava del
libro fu un suono che chiamò la memoria degli scritti di
Kafka recitati da una ragazza che stava diventando donna: “Als Gregor Samsa...”. E tornano le voci che raccontano i sogni e la mia voce che li interpreta.
Come se si mescolassero facevano, insieme all’oscurità
della notte l’atmosfera del bosco dalle mille voci intorno
al castello dove i miei diciotto anni si confrontarono con
la bellezza e l’intelligenza di una donna che...voleva farmi
credere nel male della realtà non materiale fuori dell’uomo come gli spiriti della foresta.
Talora sussurrando, talora urlando mi dicevano di stare
attento alla cattiveria naturale dell’essere umano. Mi dicevano che la donna è il male perché aveva disobbedito
allo spirito assoluto che proibiva la conoscenza della differenza tra bene e male.
Ma io avevo la memoria antica degli scritti di Pirandello
“se lei, contessa..” che fermavano l’immagine della donna
pazza come fosse un’icona antica. E compresi che la bella
donna alta dai capelli neri non era identificazione, non era
ricordo cosciente che annulla la fantasia.
Era creazione di un’immagine nuova in cui la bellezza
del corpo di una donna è resa schiava da una mente che
non crede al male originario dell’essere umano.
La nascita si crea,
con la separazione
fisica dalla donna,
ed è capacità
di immaginare.
Allo svezzamento
camminare e parlare
è autonomia mentale
e autosufficienza,
quando il pensiero si fonda
sulla memoria-fantasia
Il quarto libro, che avrei dovuto titolare Metamorfosi ha due premesse.
Penso, tra sonno e veglia, forse senza coscienza, che
il grande gruppo che voleva l’interpretazione del sogno, fosse per me la memoria della donna alta, mora,
affascinante. Ma il suo parlare rivelava la mente malata che descriveva figure che non erano immagini.
Ebbi il ricordo de L’indifferente di Proust e ne dissi il titolo. Ma non era il nome della realtà non materiale nascosta. Venne dopo trentadue anni il mostro che
non era animale e rivelò il suo nome: anaffettività.
Sapevo che la nascita umana ha l’atto della pulsione che
è fantasia di sparizione perché la carne ha la potenzialità
della capacità di reagire che diventa vitalità. E si difende
dal mostro cui ho dato il nome: pulsione di annullamento
che distrugge la mente che ha un’intelligenza nuova.
Il caso fece comparire una vecchia fotografia di
quando, a quattordici anni, ero vicino ad una ragazza.
Poi, quando se ne andò, non rimase freddo ricordo ma
memoria-fantasia dell’esperienza vissuta.
E la “seconda nascita” fece un narcisismo che aveva in
sé la capacità di immaginare che sapeva che l’essere umano diverso non era pazzo. E la bellezza del corpo di donna
non distrusse la mente che aveva l’identità senza ragione.
...la poesia è ricreazione del primo momento della vita senza immagine...
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scienza
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left.it
Angelina
e il Professore
di Antonella De Ninno
La scelta della Jolie di asportare il seno ricorda la dottrina Halsted
di cento anni fa, quando tagliare di più significava curare di più.
Oggi, invece, anche Veronesi si è ricreduto sulla mastectomia preventiva
M
olte donne sono terrorizzate dalla possibilità di ammalarsi di tumore al seno.
C’è il rischio per la vita ma anche la
minaccia all’archetipo stesso della femminilità.
Anche se ormai la possibilità di remissione della
malattia è molto alta (il 98 per cento dei tumori
si risolve positivamente in caso di diagnosi precoce), la sua insorgenza porta spesso a un intervento di mastectomia che ha un enorme impatto psicologico sulle donne. Fortunatamente,
però, le tecniche chirurgiche si sono affinate
negli anni, proprio per ridurre l’invasività di una
asportazione totale della ghiandola mammaria.
Basti pensare che nei primi decenni del 1900
era in voga tra i chirurghi la dottrina Halsted,
secondo cui con interventi sempre più grandi e
deturpanti si poteva eliminare il cancro. L’ipotesi era che tagliare di più significasse curare di
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più. Negli anni 70, invece, si affermò la tecnica
della quadrantectomia, l’asportazione di un solo
quadrante della mammella. Ideata dal professor
Bernard Fisher dell’università di Pittsburg, fu
importata in Italia dall’allora non ancora professore Umberto Veronesi. Grazie alla sperimentazione di Veronesi si poté provare che la speranza di vita delle pazienti quadriectomizzate non
era inferiore a quella delle pazienti mastectomizzate - e cioè private dell’intero seno - pur garantendo alle prime una migliore qualità di vita.
Dopo circa tre decadi, Veronesi e i suoi colleghi
estesero il concetto di preservazione dalla mastectomia alla lampectomia, ossia la rimozione
del tumore e di una piccola area di tessuto sano
nelle immediate vicinanze. Anche le radioterapie post operatorie sono passate negli anni da
un irraggiamento complessivo del busto della
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scienza
left.it
paziente (la famigerata “mantellina” al cobalto)
a un irraggiamento mirato del tessuto canceroso e dei tessuti immediatamente circostanti.
Attualmente si lavora alla realizzazione di una
terapia “sistemica” del complesso endocrino e
biologico, anche se oggi gli investimenti si concentrano di più sulla cura del cancro nella sua
forma avanzata che nella prevenzione. I nuovi
medicinali, infatti, sono molto più redditizi per
le case farmaceutiche dei nuovi test e, soprattutto, dell’educazione alla prevenzione. Oggi,
trattare un paziente oncologico avanzato per un
anno e garantirgli una buona qualità di vita costa
tra i 150mila e i 230mila euro.
Tuttavia le abbondanti promesse dell’approccio
genetico alla cura dei tumori hanno nuovamente sparigliato le carte. Negli anni 90 Marie-Claire
King, della Scuola di medicina dell’università di
Washington, ha identificato il primo gene mutante del BRCA-1. Un gene presente nel dna di molte donne appartenenti a famiglie in cui la malattia si è manifestata su più membri. Successivamente è stato messo a punto il test diagnostico
(gratuito in Italia) nei casi in cui c’è il sospetto
di un rischio ereditario del tumore alla mammella. Una donna con una mutazione nel gene del
BRCA-1 ha una probabilità dal 50 all’80 per cento di sviluppare un tumore alla mammella e il
rischio è anche più alto per il tumore delle ovaie.
Gli studi hanno rivelato fino a oggi circa 140 geni
che, quando sono alterati da mutazioni intrageniche, possono promuovere o “guidare” la genesi di un tumore. Tuttavia stiamo ancora parlando di un aumento più o meno significativo della
probabilità di contrarre un tumore, non della
sua certezza. Gli studi classici di epidemiologia
hanno suggerito che esistono da cinque a otto
indizi che indicano la presenza di tumori solidi
e sono associati ad altrettante alterazioni genetiche. Tuttavia, nel caso dei tumori pediatrici, il
numero di mutazioni geniche è molto basso, da
zero a due, e in molti tumori degli adulti ci sono
soltanto uno o due mutazioni. Come questo sia
compatibile con la nozione generalmente accettata che lo sviluppo e la progressione dei tumori
sia dovuta ad una alterazione multipla e sequenziale dei geni, ancora non lo sappiamo Nel corso della vita, infatti, possono insorgere ulteriori
mutazioni nel codice genetico ereditato alla
nascita indotte dall’ambiente, mutazioni ancora
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difficili da identificare, tanto che i ricercatori le
chiamano “dark matter” - materia oscura.
La sfida della medicina genetica è nella produzione di farmaci che abbiano come bersaglio i
prodotti dei geni alterati. Il criterio guida della
medicina convenzionale è sempre quello di distruggere le cellule “difettose” visto che ancora
non siamo in grado di recuperarle. Altri approcci non (ancora) convenzionali suggeriscono
invece che il cancro è una malattia dell’intero
organismo che si manifesta diversamente a seconda delle particolarità degli individui e la cui
cura richiede un approccio di tipo olistico.
I ricercatori concordano che la mortalità dovuta
al cancro potrebbe diminuire di più del 75 per
cento se gli sforzi della medicina si concentrassero più sulla prevenzione che sulla cura dei casi
L’industria farmaceutica non investe sulla
prevenzione perché la terapia conviene di più
avanzati. Ma rientra nella prevenzione anche la
“dottrina Hasted” - tagliare di più per curare di
più? Nel maggio del 2001, quando era ministro
della Sanità, Veronesi affermava che se i test genetici segnalano una fortissima predisposizione
al tumore al seno, la mastectomia preventiva è
la sola via aggiungendo addirittura che la tecnica potrebbe risultare più sicura se: «effettuata
in giovani di età pre pubere a rischio di sviluppare cancro al seno da adulte». La decisione
di Angelina Jolie di sottoporsi a un intervento
di doppia mastectomia ha riaperto il dibattito,
ma questa volta il parere del professor Veronesi
sembra diverso: «La mastectomia radicale non
annulla completamente il rischio di tumore, che
rimane intorno al 5 per cento anche dopo l’intervento», inoltre, «ci sono più vantaggi a fare controlli ogni 6 mesi, e scoprire l’eventuale tumore
in epoca precocissima, quando le possibilità di
guarigione sono del 98 per cento».
Non sappiamo cosa abbia fatto cambiare così
radicalmente parere al professor Veronesi o se
le sue reali intenzioni sono state male interpretate in una delle due occasioni, ma è lecito chiedersi cosa pensino oggi le donne che sono state
indotte a prendere una decisione così dolorosa
sulla base di un parere esposto con tanta autorevolezza dodici anni fa.
In apertura,
l’attrice
Angelina Jolie
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puntocritico
cultura
left.it
ARTE di Simona Maggiorelli
Ligabue
e la follia
Due immagini del film Solo dio perdona
CINEMA di Morando Morandini
L’assenza di dio
M
embro di una potente famiglia criminale, Julian (Ryan
Gosling, 1980) gestisce a Bangkok
(Thailandia - 12 milioni di abitanti)
un club di pugilato thai che fa da copertura a un redditizio traffico di droghe. Quando il fratello maggiore Billy (Tom Burke) uccide sadicamente
una prostituta 16enne, le autorità ricorrrono a Chang (Vithaya Pansringarm), poliziotto in pensione che fa
uccidere Billy dal padre della ragazza. Intanto a Bangkok arriva Crystal
(Kristin Scott Thomas), madre di Julian e Billy, capo di un’altra società criminale. Ha uno scopo preciso:
vendicare la morte di Billy. Chang è il
primo della lista dei responsabili. Inglese e bruna, l’attrice sa recitare così
bene anche il francese che fa la spola
tra Londra e Parigi, e non soltanto per
ragioni di lavoro. Gli inglesi le affidano di solito personaggi di commedia
come Quattro matrimoni e un funerale (1994), grande successo di pubblico e critica, mentre i francesi le offrono quelli drammatici (L’amante
inglese, 2010). Poiché detesta le
costose produzioni hollywoodiane che le propongono («Le riprese non finiscono mai»), perfettamente bilingue, preferisce far parte del piccolo club cui appartengono le due Charlotte, Rampling
e Gainsbourg e Juliette Binoche.
Sotto una parrucca bionda platino (come in Miss Marple, 2007) si
fa dirigere dal danese Nicolas Winding Refn (1970) in Solo dio perdona (2012). È un film eccezionale e
discusso specialmente per alcune
scene di violenza estrema, ma originali e mai viste.
Ho visto io stesso giovani spettatori abituati a ben altro nascondersi dietro la fila delle poltrone
davanti a sé per sottrarsi alle ripetute scene dei punteruoli, ribattuti, come un martello, con cui si
torturano a scopo punitivo altri
delinquenti di secondo ordine in
un film dove, nonostante il titolo,
è proprio l’assenza di Dio, un qualsiasi dio a farsi sentire.
SORRENTINO E IL GRANDE GATSBY
le e di un esplicito omaggio a Roma di Federico Fellini. Generoso
perché… non si stanca di cercare gli sprazzi di bellezza residua.
Le feste di Jep Gambardella non
sono le danze macabre del Divo
e dell’Ora di religione ma hanno l’allegria autodistruttiva delle
feste del Grande Gatsby, due generazioni perdute a confronto, e
quella di Sorrentino è molto più
disperata ed efficace di quella di
Baz Luhrman».
I
stinto, genialità, follia è il sottotitolo della retrospettiva che il
LuCCA dedica, fino al 9 giugno, alla
pittura di Antonio Ligabue (1899 1965). Unendo tre parole che insieme, con tutta evidenza, non possono stare. Qui (a Lucca) come al Mar
Di Ravenna dove prosegue fino al
16 giugno la mostra Borderline,
artisti fra normalità e follia, da
Bosch a Basquiat, vediamo all’opera uno dei luoghi comuni antiscientifici più duri a morire nel mondo dell’arte. Quello che la malattia
mentale possa essere fonte di creatività. Un “equivoco” di matrice
esistenzialista e foucaultiana che
nel mondo della cultura italiana, in
particolare, è stato diffuso da Basaglia e dal basaglismo che ancora celebra Marco cavallo. E che ha
sempre negato l’esistenza della malattia mentale, considerandola un
modo di essere “diverso”, originale, ribelle, ignorando il “dolore psichico” dei pazienti e rinunciando
ad ogni proposito di cura. Ma forse si può dire di più. Dietro alle fantasmagorie surrealiste e alla fatua
euforia di Breton, dietro all’esaltazione della dell’Art brut, come delle ossessive incisioni che un pazzo fece sulle mura del manicomio
di Volterra fa capolino un medeAntonio Ligabue, Testa di tigre (1955-’56)
Su Il Sole24ore di domenica 26 maggio Emanuela Martini fa una relazione sul festival di Cannes in cui definisce La grande bellezza di Paolo Sorrentino «un film feroce, coraggioso e
generoso: feroce perché, nei monologhi taglienti di Toni Servillo e nei
suoi dialoghi con una Sabrina Ferilli da premio, non risparmia nulla a
nessuno. Coraggioso perché accetta
i rischi di una narrazione torrenzia-
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1 giugno 2013
left
cultura
left.it
simo pensiero che ha origine negli assunti ottocenteschi e razzisti
di Cesare Lombroso, autore di Genio e follia. Senza dimenticare che
un ruolo primario nella costruzione di questo falso binomio lo ebbe
Karl Jaspers che in Psicologia delle visioni del mondo nel 1919 descriveva la pazzia come una forma
di esistenza particolare, non come
patologia. Un pensiero che nel 1921
portò lo psichiatra Morgenthaler
a scambiare per opere d’arte le allucinazioni di uno schizofrenico e
pedofilo come Wölfli. Esattamente un anno dopo, Jaspers, pensatore esistenzialista e a lungo sodale di
Heidegger, in un celebre saggio su
Van Gogh scrisse che la schizofrenia nell’artista olandese aveva scatenato in lui forze prima inibite determinando «un plus di creatività».
Negando così totalmente la fantasia di questo straordinario artista
che ha saputo realizzare capolavori universali nonostante la distruttività delle sue crisi. Con alcuni distinguo, anche il curatore Maurizio Vanni, con il neuropsichiatra
Giuseppe Amadei, ripropone queste vecchie idee (sconfessate dalla
moderna psichiatria) proponendo
al LuCCA ottanta opere di Ligabue
in un percorso «che vuole indagare
l’uomo-artista insieme al rapporto
tra arte e pazzia». In primo piano si legge nei testi che accompagnano la mostra - «l’aspetto espressionistico del segno e del colore di Ligabue, quello onirico e quello primitivo nella conformazione delle
strutture, l’emozione legata all’uso
incondizionato del suo emisfero
destro, inerente all’istinto, all’eros
e all’irrazionalità». Un guazzabuglio di parole, in cui le neuroscienze si sposano alla fantasticheria di
un irrazionale animale. A quanto
pare nel mondo dell’arte c’è ancora
molto da discutere e approfondire
su questi temi. Benvengano dunque iniziative come quella del Festival Per Appiam 13 che l’8 giugno,
a Roma, invita psichiatri e artisti a
confrontarsi su arte e creatività. In
modo nuovo.
left 1 giugno 2013
LIBRI di Filippo La Porta
Il rischio dell’inautenticità
C
on Piangi pure (Bompiani) Lidia Ravera ci offre, indirettamente una risposta al film L’amour di Hanneke.
O meglio: ne integra la meditazione sulla vecchiaia e sui sentimenti proponendoci un punto di vista diverso. Trintignant e
Riva conservano fino alla fine il loro antico legame amoroso,
ma poi la malattia di lei travolge tutto. Mentre i protagonisti di
Piangi pure, quasi ottantenni, nel crepuscolo di esistenze piene di delusioni, riacquistano la forza di innamorarsi, conquistando entrambi un tempo nuovo. Non che la Ravera intenda darci immagini edulcorate della terza età. Anche per lei «Diventare vecchi è
insopportabile e umiliante» (Roth in Everyman). Eppure la storia d’amore tra
Iris, 79enne sola (divorziata) e C., psicanalista di 76 anni, possiede una fragranza
e intensità insolite nella nostra narrativa. Attraverso di lei l’autrice può esprimere i suoi umori più taglienti. Ravera ha scritto il suo libro più bello, accanto a La
festa è finita(2002): la “cattiveria” analitica dello sguardo si schiude a una percezione della terribile bellezza della vita. A un certo punto Iris, autrice di un unico romanzo, dice che i romanzi sono come «ammobiliare un buco nero». Dunque la letteratura sarebbe solo un inganno? Eppure l’innamoramento di Iris le
insegna che non bisognerebbe mai scambiare la parte (il nulla) con il tutto (che
comprende la vita e la morte). Proprio perché non abitiamo necessariamente
un’epoca di epigoni credo sia legittimo un confronto con i grandi romanzi della
Morante e della Ortese. Iris ci coinvolge ma non ci conquista, come invece i personaggi di quei romanzi. Forse la differenza riguarda una sensazione che insegue Iris e che caratterizza il nostro tempo: anche nell’estremo della gioia o della
disperazione lei sospetta di essere un po’ “falsa”. Probabilmente questo senso di
inautenticità appartiene a una generazione che da sempre teme di annegare nella retorica ed è incerta della realtà dei propri sentimenti. E che può fare grande
letteratura, ma quanto più racconta quel rischio di inautenticità.
scaffale
PERCHÉ
I TEDESCHI?
PERCHÉ GLI EBREI?
di Götz Aly,
Einaudi,
284 pagine,
32 euro
Da anni Götz Aly si interroga sulle radici del
nazismo. In questo importante libro ricostruisce l’ascesa sociale degli ebrei tedeschi tra il
1800 e il 1933 e l’invidia che suscitarono nei
cristiani, «meno vitali.e propositivi». La presunzione nazionalista dei cristiani si alimentò di
debolezza, invidia e paura della libertà.
DOVE VA IL
MEDITERRANEO?
di Franco Rizzi,
Castelvecchi,
122 pagine,
16 euro
L’uccisione in Tunisia di Chokri Belaid, il ritorno
all’ordine imposto da Morsi in Egitto, la fatwa
lanciata contro la “femen” Amina. Segnali di
un panorama problematico nel post Primavere
arabe. Docente di storia del Mediterraneo e
dell’Europa, Rizzi tratteggia gli scenari in cui
l’Italia potrebbe giocare un ruolo importante.
SANTA EVITA
di Tomas Eloy
Martinez,
edizioni Sur,
433 pagine,
16 euro
Ecco l’incredibile storia del dottor Pedro Ara,
l’anatomista galiziano che passò una notte
intera con il corpo di Evita morta a soli 33 anni.
Fra storia e invenzione un impareggiabile apologo di tutti quei regimi che ricorrono alle cure
di un imbalsamatore. Anche ai giorni nostri. Un
capolavoro di narrazione visionaria e grottesca.
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bazar
cultura
left.it
TENDENZE di Sara Fanelli
Super chic
come Uma
MUSICA di Michele Manzotti
Buscemi filma i Vampire
T
ll’inizio del 2013 left li aveva già
annunciati come due album
molto attesi. Oggi sono realtà discografiche per degli appassionati del
rock degli anni Dieci. Sono i prodotti di due gruppi che vengono entrambi dagli Usa, ma non potevano essere più diversi: da una parte i National, dall’Ohio, dall’altra i Vampire Weekend di New York. I primi già al sesto album dopo lo straordinario High Violet del 2010, gli altri in cerca di
conferma dopo il sorprendente Contra. La storia impone di partire dai
primi, o meglio da Trouble Will Find
Me (4Ad) che ha il non facile compito di bissare il successo delle 600mila copie del precedente. Il suono dei
National , molto legato all’Indie rock
americano di ottima qualità, si è indubbiamente evoluto. C’è una scrittura che è influenzata dalla classica e
dal cantautorato di Oltreoceano che
trova sbocco naturale nella voce calda e dai toni baritonali di Matt Berninger. Una miscela ben dosata che
riesce a mantenere attento l’ascolto
traccia dopo traccia e che sembra voler ribadire la formula vincente di High Violet senza osare di avventurarsi in nuove strade musicali. Con brani che trattano temi dark, come l’angoscia del tempo presente e il sentirsi inadeguati con gli altri, i suoni sono non necessariamente tali. C’è ad
esempio il beat in minore di “Don’t
Swallow the Cap” Don’t la forza ritmisca di “Sea of Love”, la ballata “Heavenfaced” illuminata dalle chitarre,
lo stile new wave in “Graceless”. Sa-
60
ranno due le date italiane per verificare la forma dei National dal vivo, il
30 giugno a Roma e il 1 luglio a Milano (con apertura dell’ex Smiths Johnny Marr). Modern Vampires of the
City (etichetta XL) è invece il titolo
del lavoro dei Vampire Weekend, terzo della carriera. Il disco è una sorta
di omaggio alla loro città sotto forma
di un epistolario d’amore, grazie alle
liriche del cantante e frontman Ezra
Koenig. Una poetica musicale che ha
conquistato un fan di lusso come Steve Buscemi che dirigerà le riprese di
un loro concerto dal vivo. Il rock delle origini si mescola con altri generi
americani come gospel (la divertente “Ya Hey”) folk (“Hanna Hunt”) e
country (“Obvious Bicycle”), trattati
con classe e maturità da veterani.
© PIRRONE/LAPRESSE
A
ra strascichi e abiti piumati si
è concluso il festival di Cannes. Nicole Kidman con Armani,
ha brillato della sua massima bellezza con un elegante abito bianco,
acconciatura 10 e lode. Anche Uma
Thurman promossa, come una sirena ha indossato un lungo abito perlato Versace con strascico. Asia Argento prende 6 con un abito di seta grigio perla stile sottoveste. Promossa anche la madrina del Festival Audrey Tatou in abito rosso,
con una cintura rosa a “x” sulla vita. Milla Jovovich in Chanel haute
couture sa osare con successo. Infine concludiamo con un insulto allo
stile: l’abito girasole indossato sul
red carpet da un’ospite il cui nome
non è dato sapere.
[email protected]
ROMA
Il festival del barocco
Rivivono le fastose musiche in prestigiose chiese della Roma barocca,dal 4 al 23
giugno,con un ciclo di 8 concerti realizzati nell’ambito del Roma festival barocco, promosso dall’associazione musicale
Festina Lente e ideati dal direttore artistico della manifestazione il maestro Michele Gasbarro. In primo piano lo sconfinato patrimonio musicale romano compreso fra ’500 e ’700 e in parte ancora
sconosciuto.
AREZZO
Icastica. L’arte è donna
Marina Abramovic, Skin, Yoko Ono sono tra le
40 artiste di Icastica, la manifestazione di cultura internazionale che si terrà dal 7 giugno al
primo settembre. Un percorso di quattro chilometri e venti siti dedicati all’arte in ogni sua
forma, dall’arte figurativa, alla danza alla musica. In foto un’opera di Feuerman.
1 giugno 2013
left
cultura
left.it
REVIVAL di Federico Sisti
di Bebo Storti
Per Kurt. Vent’anni dopo
«D
estino. Il mio amico Ken disse che
lei gli aveva cambiato la vita.
La trovai su youtube, mentre si metteva in contatto
con te, con i suoi occhi neri
penetranti che non appartenevano al mio mondo. Non
al tuo, spero. “Sveglia umanità ci sono i vampiri!”». Inizia così una delle immaginarie lettere, viscerali, visionarie, toccanti, che Eric Erlandson ha idealmente indirizzato al suo amico Kurt
Kobain, geniale leader dei
Nirvana che fu trovato morto nel 1994 nella sua casa di
Seattle a soli 27 anni. Non
aveva e non ha occhi scuri
ma color ghiaccio, Courtny
Love, che Erlandson evoca
con licenza letteraria in questo suo brano pubblicato in
Lettere a Kurt (Arcana). Ma
si capisce subito che si parla
di lei, la leader degli Hole (di
cui Erlandson era il chitarrista), la ragazza che regalò al
cantante dei Nirvana «una
scatola a forma di cuore» . E
che - si dice - sia stata molto lucida, nonostante gli eccessi alcolici , nel vampirizzare il talento di Kurt, che
certamente era la personalità di maggiore spicco della scena grunge americana anni 90. Insieme a Eddie
Vedder dei Pearl Jam e pochi altri si era letteralmente inventato un nuovo stile,
ruvido e poetico allo stesso tempo , fatto di furibonde schitarrate e di melodie
struggenti, che arrivavano
dritte al cuore. Ed è un libro
denso di nostalgia per un
talento e una stagione vitale che si sono spenti troppo
presto questo insolito romanzo epistolare di Erlandoson che precede in tono
intimo e discreto, gli eventi
celebrativi annunciati per il
ventennale della scomparsa di Kubain nel 2014: un
fitto programma di omaggi
in cui non poteva non figurare anche l’ennesima operazione speculativa dell’ex
moglie di Cobain, Courtney
Love che per l’occasione si
è messa in cabina di produzione di un film. Nel suo libro Erlandson non censura nulla, né pare animato
da spirito di vendetta verso quella Courtney che era
stata anche la sua ragazza.
In questo originale tributo
“semplicemente” si fa cantore di una stagione straordinaria dal punto di vista
musicale. E sono 50 lettere
come fossero canzoni incise nella carne viva.
ROMA
MILANO
CAORLE
Feuerbach in scena
Flussi di poesia
Al festival Per Appiam sul palco
della Ex Cartiera Latina, debutta il
primo giugno lo spettacolo teatrale
di Fulvio Iannaco, L’eroe che delude: Johanna e Ludwig. Annachiara
Mantovani (nella foto) è Johanna
Kapp, l’amante di Feuerbach interpretato da Alessandro Pizzuti.
Dal 7 al 9 giugno torna Flussidiversi, il festival di poesia di Caorle
(Ve) Ospite d’onore Vivian Lamarque. Readings nelle calli e la sesta Crociera della Poesia.«La Poesia non cerca seguaci... cerca
amanti». La frase di Federico Garcia Lorca dà il La alla rassegna.
left 1 giugno 2013
Il mito di Herrera
Quelli che... Milan-Inter ’63 La
leggenda del Mago e del Paròn,
in Palazzo Reale, dedicata a due
leggende dello sport: Helenio
Herrera e Nereo Rocco. Fino all’8
settembre. Splendide foto in una
mostra prodotta da Skira.
In fondo.
Il vero interrogatorio di Ruby
Si lui nu ci tirava niende, lui ci aveva
sto lumaca sembre morta, tutte nude a ballari.
Chi su palo, chi con palo, chi a ginocchio a fare sirvizietto, lui niente no si
alzi niente!
Quindi voi,dopo le cene eleganti, andavate sotto a fare...
Beh certi! Ma io era una di anche più
calma c’era certi scatenate! Anche
gente chi poi adesso, beati lori, fa politica, ma brende soldi, tanti, beati lori
e no fa più quelli così!
Ah dimenticavo! Lei era minorenne?
Non sa come funzioni di voi, ma si tu
abboggi da dietro a ragazzina di noi
è galera! Si ha 18 o 17 chi importi! Sì era 17.
No perché sa che hanno mandato
due sconosciuti all’anagrafe del suo
Paese per avere documenti e farli sparire.
Sabuti sabuti! Ma troia funzionaria detti no!
Alla fine quanto le ha corrisposto B.
per le sue prestazioni?
No prestata data sembre poi prima
di andare via ripresa... fatta battuta giudici!
...capisco. Ma alla fine quanto?
Tutto compreso? E anche si sta zitta?
4,5 milione di euro.
...certo... ma mi dica Ruby chi c’era
con lei,a parte “quelli chi va Parlamento”? in quelle serate?
C’eri tutti olgettine! Eravamo tanti!
E avvicinandosi il processo, questa è
la domanda cruciale...
Eh?!
Gula!! Fatta anch’io battuta! Avvicinandosi il processo, B. e i suoi avvocati cosa le hanno suggerito di dire?
Di fari matta di diri che tutti finto che
lui buono amico chi vuole bene!
Quindi di mentire?
Chi può diri si è verità o si non è verità! Dice sembre anche mio zio
Chi?
Mubbarak!
Certo….certo. ma, mi scusi, perché
parla così con questo accento.
Mi ha detti avvocati….fai marugghina... come in film... funziona sembri!
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ti riconosco
di Francesca Merloni
Siamo noi i veri paesi
A
scoltare il mondo è cosa difficile. Ammalarsi di ascolto del mondo, non interromperlo
mai. Restituire umanità ad una umanità senza sponda e farlo senza giudizio. Immergersi
nei dettagli ed alcuni raccontarli per sempre, bere fino in fondo un calice non tuo che in quel
momento lo diviene. Le vite non sono poi così normali. Le cose non sembrano nuove al primo
sguardo, ma poi. Forse è solo questo essere poeti. Siamo noi i veri paesi. «Moriamo ricchi di
amanti e di tribù/ di gusti che abbiamo inghiottito/ di corpi che abbiamo penetrato risalendoli
come fiumi/ di paure in cui ci siamo nascosti come in questa caverna stregata, senza memoria/
qualunquismo, indifferenza, mediazioni e ripensamenti./ Voglio che tutto ciò resti inciso sul mio
corpo/ siamo noi i veri paesi/ non le frontiere tracciate sulle mappe con i nomi di uomini potenti/... una terra senza mappe/ non ho mai voluto altro». E io non riesco a seguire le cristallizzazioni, non gioisco affatto per le “mappe della poesia oggi”, i “luoghi dei poeti” and so on. Anzi.
Mi sembra tutto così esteriore, definitivo, televisivo. Così clamoroso. La poesia è clandestina,
notturna, rubata. La poesia, come l’amore, è altra cosa. E, come l’amore, se si esibisce si perde.
È talmente lieve che se la guardi va via. Ma quando arriva ne percepisci l’aura. Ne senti tutto il
dolore, bruci a quell’ardore fino a consumarti e cambiare per sempre. Un verso può cambiare
una vita. È memoria senza materia, eppure ti inchioda. Entra la regina e resti immobile. Ascolti,
vedi, raggiungi altri luoghi. Trattieni il respiro per non perdere neppure una di quelle gocce di
vuoto interiore, di disponibilità perfetta. Ed è ovunque. Davvero. Si tratta di essere disponibili
a vederla. Mostrarla. Cosa ben diversa dal rappresentarla oppure dallo sceneggiarla. Mostrarla
è farsi abitare. È oltrepassare ma di poco la linea di confine tra visione e narrazione. Acconsentire che l’io spoglio, cioè ridotto (o amplificato...) ad un paio d’occhi dell’anima possa com-prehendere. E restituire ai paesaggi esterni o interiori quel frammento di bellezza che si è lasciato
scorgere, che si è mostrato ai nostri strumenti ancora imperfetti. Si, siamo noi i veri paesi. Siamo i luoghi senza mappe di una geografia stupenda e terribile. È solo lasciandoci attraversare
che attraversiamo, è solo lasciandoci scrivere addosso che riusciamo a decifrare altri segni, i
significati di un altro suono. La trasparenza, la com-passione. Forse è solo questo. Ho vissuto
ogni parola che ho scritto, dice Stefano il poeta, ed è così. Ma senza merito, senza vanto, senza
giudizio. È servizio. Servire a qualcosa e servire qualcosa, come la più alta delle benedizioni.
[email protected]
Amore non ce la faccio
più dopo l’omicidio di Carlo Giuliani
e l’11 settembre e questa
guerra del petrolio.
Per quanto ateo non ce la faccio
più a mettere in versi qualcosa
della mia vita o della tua
come se niente fosse stato
appena complicato raccontando
il piccolo fatto privato
o il buffo semitragico del nostro quotidiano
(tutto, anche il peggiore, anche
scoprirsi un cancro)
scusa ma io non lo faccio
più neanche nelle secche nottambule
di implorare le anime dei cari
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né di farle un’altra volta sgranare
negli incubi in agguato –le silhouettes
le luci giallognole la spuma
sulle labbra che si perde
del lambrusco e dell’attimo.
Lascio il mondo così
senza uno sguardo
perché io, mio, te, ti
sono solo varianti di Dio
e oggi non è il caso.
Alberto Bertoni da Le cose dopo, Nino Aragno editore,
2003
I versi nel testo sono tratti dal film Il paziente inglese
1 giugno 2013
left
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