Rai: di tutto, di più (debiti)
Rai: di tutto, di più (debiti)
Pitagora
Cinque bilanci consecutivi in rosso, indebitamento crescente, riduzione del patrimonio netto. La
Rai va a picco. Perde share, (come Mediaset), e pubblicità (a vantaggio di Mediaset): nel 2000 la
pubblicità raccolta dalla Rai era pari a circa il 60% di quella delle reti Mediaset; nove anni più
tardi la quota si attestava al 44%
Quest’anno, per il quinto anno consecutivo, la Rai chiuderà il bilancio in perdita: secondo le
previsioni pubblicate nelle ultime settimane dai principali organi di stampa, il deficit si aggirerà
intorno ai 120 mln di euro, il valore più alto nella storia dell’ente radiotelevisione italiano, e quello
cumulato dell’ultimo quinquennio si attesterà a circa 280 mln di euro. Secondo i dati del budget
recentemente presentati al consiglio di amministrazione, il risultato dovrebbe tornare positivo nel
2011: si tratta di una previsione del tutto differente da quelle circolate nelle ultime settimane
secondo le quali il disavanzo sarebbe addirittura destinato ad ampliarsi.
Fino al 2008 la Rai non aveva debiti. Alla fine del 2009 l’indebitamento finanziario netto aveva
superato i 150 milioni di euro e al 31 dicembre di quest’anno si attesterà su valori molto
superiori; di converso il patrimonio netto, in calo fin dal 2004, è diminuito lo scorso anno ad
appena 630 mln e sarà ulteriormente sceso al termine di quest’anno.
Complici le esigenze di finanziamento degli investimenti nelle nuove tecnologie digitali, alla fine
del prossimo anno i debiti finanziari uguaglieranno il patrimonio netto di bilancio; ove la situazione
di difficoltà economica perdurasse ulteriormente, la situazione finanziaria e patrimoniale, già
attualmente non florida, diventerà problematica.
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I suddetti dati economici e finanziari dell’emittente radiotelevisiva pubblica appaiono
sorprendenti, tenuto conto che essa può contare su una fonte di reddito importante e certa, il
canone di abbonamento, costantemente cresciuti nell’ultimo decennio (in media del 2,6%
all’anno).
Alla dinamica del canone si contrappone una tendenza calante dei proventi pubblicitari, diminuiti
di ben il 22,3% tra il 2000 e il 2009. Il calo della pubblicità può essere messo in relazione con la
progressiva riduzione della quota di mercato delle reti Rai, misurata in termini sia di share
giornaliero sia di ore di punta serali (cd prime time). Secondo i dati auditel riportati nei bilanci, tra
il 2001 e il 2009, la Rai, pur ottenendo costantemente la leadership di mercato, ha perso circa 6,6
punti percentuali di share a vantaggio delle reti televisive minori, la cui quota è pressoché
raddoppiata nel volgere di soli 8 anni e sembra destinata ad aumentare ulteriormente con il
passaggio al digitale terrestre.
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Il confronto con le reti Mediaset
Nell’ultimo decennio, anche il principale concorrente della Rai, il gruppo Mediaset, ha sofferto
della concorrenza delle altre reti e il proprio share è diminuito di 3,7 punti percentuali (4 punti nel
prime time). Inoltre, secondo i dati riportati nell’ultimo bilancio della Rai, le reti Mediaset
starebbero soffrendo pesantemente del passaggio alle frequenze digitali.
L’esame dei dati di bilancio del gruppo Mediaset mette però in evidenza un andamento del tutto
difforme per quanto riguarda la raccolta pubblicitaria: tra il 2000 e il 2009, l’introito del comparto
televisivo italiano è aumentato del 6,3% malgrado le tre reti abbiano registrato un calo nello share
non molto dissimile da quello dell’emittente pubblica.
La differenza si è accentuata nel 2009, quando il fatturato pubblicitario della Rai è diminuito di
ben il 16,8% a fronte di una flessione contenuta all’8,6% per le reti Mediaset.
Secondo i dati relativi ai primi 10 mesi del corrente anno (fonte: Nielsen), la raccolta pubblicitaria
sarebbe aumentata per Mediaset del 5% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente
a fonte di un aumento contenuto al 3,5% per la Rai.
Nel 2000 la pubblicità raccolta dalla Rai era pari a circa il 60% di quella delle reti Mediaset; nove
anni più tardi la quota si attestava al 44% (quest’anno è diminuita di un altro punto percentuale).
Una semplice simulazione rende evidente l’importanza di tale variazione.
Se la ripartizione del mercato pubblicitario fosse rimasta invariata nel decennio, gli introiti della
Rai sarebbero risultati complessivamente superiori di 1,4 miliardi di euro e nel 2009 i ricavi
sarebbero stati superiori di oltre 220 mln di euro.
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Se soltanto la quota del 2009 fosse rimasta uguale a quella dell’anno precedente, il gettito
pubblicitario di quell’anno sarebbe stato maggiore di oltre 65 mln di euro, un ammontare
superiore alla perdita dell’esercizio.
In sintesi, dalle evidenze sopra esaminate si possono trarre le seguenti conclusioni:
1.
la Rai, come la concorrente Mediaset, soffre, ed è destinata a soffrire ancora di più in futuro della
concorrenza delle altre reti televisive;
2.
la ripartizione degli introiti pubblicitari non ha seguito l’evoluzione dello share di mercato.
Quest’ultima evidenza supporta l’ipotesi che negli ultimi anni la Rai abbia seguito politiche di
offerta pubblicitaria poco aggressive che sono andate a beneficio della concorrenza.
Le nuove linee strategiche
Per continuare ad avere un ruolo centrale nel settore televisivo, la Rai ha la necessità di trovare
nuovi indirizzi strategici di medio/lungo periodo, capaci di riportare in equilibrio la situazione
economica e finanziaria. Al riguardo sono state ventilate diverse ipotesi:
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1.
un drastico contenimento dei costi operativi relativi sia relativi alle spese del personale sia agli
acquisti di beni e servizi;
2.
l’aumento del canone;
3.
la cessione della proprietà ai privati con l’eliminazione del canone di abbonamento.
Tutte queste alternative, da sole, appaiono deboli e di non facile praticabilità. La prima, pur
indispensabile, ove calibrata al taglio delle spese inutili o poco produttive, è insufficiente a
riportare in equilibrio i conti; la seconda, oltre ad essere comunque impopolare, non può superare
certi tassi di crescita nell’attuale situazione di crisi economica. La privatizzazione o l’abolizione
del canone, appaiono come meri esercizi retorici, periodicamente proposti da alcune forze
politiche (Lega, Forza Italia, Futuro e Libertà), senza la reale possibilità di concretizzarsi.
Per uscire dall’attuale fase di difficoltà è indispensabile che la Rai definisca nuovi indirizzi
strategici, non subalterni alla concorrenza. Atteso l’ulteriore innalzamento del tenore
concorrenziale del mercato, la semplice proposizione di una politica più dinamica nell’offerta di
spazi pubblicitari, pur imprescindibile, potrebbe risultare insufficiente.
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Un’ipotesi è la scissione della Rai in tre aziende; nella prima, finanziata esclusivamente dal
canone e a controllo pubblico, andrebbero allocati i canali con funzioni pubbliche (di vera
informazione, a sostegno delle comunità locali, educativi, di accesso al dibattito politico, ecc);
nella seconda andrebbero conferiti i canali commerciali, finanziati dalla pubblicità, in piena e
totale concorrenza con le altre emittenti (quest’ultima società potrebbe in un secondo momento
essere collocata sul mercato in favore di soggetti privi di conflitti di interesse); nella terza
andrebbero conferite le attività di produzione di format televisivi da offrire al mercato delle
emittenti televisive, italiane ed estere, tra cui, ovviamente, le altre aziende Rai .
Gli obiettivi dell’operazione di scissione sarebbero i seguenti:
1. aumento complessivo dei canali di trasmissione (e, presumibilmente, dello share) in coerenza
con le nuove tecnologie digitali;
2. migliore sfruttamento delle risorse professionali esistenti, grazie alle opportunità create dalla
specializzazione produttiva e dall’allargamento dell’offerta;
3. consistente crescita degli introiti pubblicitari;
4.
in prospettiva, la diminuzione del canone.
A livello di sistema, si avrebbe un aumento del grado di concorrenza del mercato con evidenti
benefici per gli utenti e sarebbe più chiara la funzione pubblica della televisione finanziata
esclusivamente dal canone.
Le altre puntate dell'inchiesta "Le grandi imprese italiane"
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