Relazione Platone – Giona Pasquetto

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Platone e la musica suprema
Nella Grecia antica la musica era considerata solo come un’utile occupazione per il tempo libero di un
giovane colto, cioè non doveva essere considerata un’attività lavorativa.
Tutti i più grandi filosofi erano soliti comporre musica, perché la filosofia era intesa come musica più
grande. La relazione tra le due arti è però asimmetrica perché la filosofia è musica somma, ma la
musica non era assolutamente considerata al pari della filosofia. Tra le due attività vi è, quindi, una
subordinazione, a nostro parere errata.
Platone stesso afferma che la musica è in grado di armonizzare l’anima, e che la purificazione di essa
avviene attraverso la conoscenza e la virtù. Quindi se riteniamo la filosofia come “conoscenza del
mondo intorno a noi attraverso riflessioni e quesiti”, le due attività si devono necessariamente trovare
sullo stesso piano, in quanto la musica stessa è conoscenza.
Secondo Platone la musica è importante nell’educazione dei fanciulli, soprattutto per quelli che erano
destinati a diventare custodi nel suo stato ideale, in quanto tratta il ritmo e l’armonia dell’anima,
altrettanto valida è la ginnastica, che lavora sul ritmo e sulla movenza del corpo.
La musica dunque conduce alla bellezza dell’anima, che risulta indispensabile per avere bellezza anche
nel corpo, inoltre si presenta come un veicolo di educazione alla virtù.
A questo punto provando a distinguere la musica dalla coreutica, a nostro parere, il ballo nasce dalla
musica, che quindi si conferma definitivamente al primo posto.
Sui cinque modi, o harmonìai (scale, come le chiameremmo noi adesso), usati nella Grecia Antica,
Platone ammette solo l’armonia dorica e quella frigia, le quali imitano suoni e accenti del valoroso in
battaglia e del giusto in tempo di pace, e per realizzare queste harmonìai egli consente solo l’uso di
cetra e lira, collegate al logos, e non quello di strumenti come l’aulòs, simbolo della sfrenatezza e della
possessione rituale.
L’idea di Platone, in questo caso, è in un certo senso contraddittoria perché anche l’armonia frigia era
simbolo della sfrenatezza ed era collegata all’aulòs.
Riteniamo, invece, che ogni tipo di musica sia in grado di armonizzare un particolare tipo di
personalità e che quindi non esista musica giusta o sbagliata.
La musica è in grado di educare l’anima dell’uomo portandolo a “cadere” in una catarsi allopatica,
intendendo l’utilizzo di “modi o stili musicali” opposti allo stato d’animo della persona. Se questi è in
preda all’agitazione, secondo il pensiero di Platone, per poterlo riportare alla calma, bisognerebbe
fargli ascoltare una melodia tranquilla. Aristotele, invece, introdusse la catarsi omeopatica, ovvero la
correzione di un vizio con la rappresentazione dello stesso: se un uomo è agitato, dovrà ascoltare una
musica frenetica e agitata, in modo tale che l’individuo si calmi da sè. Anche per questo motivo Platone
attribuisce alla musica la capacità di portare l'uomo alla pace dei sensi.
Nel decimo libro della Repubblica, Platone riprende l'idea di universo che avevano i Pitagorici, cioè
che gli otto cerchi del cielo producevano un'unica armonia celeste che l'uomo cerca di imitare con la
sua musica. Nel Timeo Platone sottolinea come il Dio Demiurgo si avvale di rapporti matematici
riconducibili a quelli musicali nel plasmare l'anima del mondo.
Nonostante Platone attribuisca un grande valore alla musica, soprattutto nell'educazione dei fanciulli,
non la eleva alla dialettica, sottolineando ancora di più la differenza tra musica celeste, cioè perfetta, e
la musica della realtà, imperfetta imitazione e dunque riproduzione malriuscita di quella celeste.
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