Etologia della famiglia che cambia: una prospettiva biopolitica per

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Etologia della famiglia che cambia: una prospettiva biopolitica
per un’ipotesi ecologica della famiglia
A. Pennisi, S. Giannone e A. Plebe
Long abstract
La famiglia rappresenta la formula più diffusa di costrutto sociale in ogni tipo di società: pur
mutando le forme, i tempi e i modi con cui essa si realizza, l’aggregazione di nuclei cosiddetti
familiari ripercorre tutta la storia dell’uomo e si ripresenta a ogni latitudine geografica come una
formula di organizzazione costante. Tradizionalmente formata da un uomo e una donna che
generano dei figli, nella storia essa ha però assunto forme molto diverse: dalla famiglia allargata
che ha a lungo dominato lo sviluppo rurale italiano e del Mezzogiorno in particolare, alla famiglia
nucleare della società postindustriale; da quella in cui si prevede una rigida divisione dei ruoli tra la
cura dei figli e lo svolgimento delle mansioni lavorative esterne, ai nuclei dove la collaborazione si
esplica in ogni campo delle necessità; dai gruppi patriarcali dove il potere è saldamente in mano
alla rete maschile e soprattutto al suo capostipite, a quelle, sebbene minoritarie come numero,
matriarcali, dove l’evoluzione sociale ed economica è dettata dalle generazioni di donne che
guidano intere comunità. L’analisi a cui la struttura familiare e le sue dinamiche evolutive sono
state sottoposte hanno tradizionalmente assunto connotazioni antropologiche e culturaliste.
Queste analisi hanno il merito di aver indagato il fenomeno familiare nei suoi contesti storici e
geografici, riconducendo i cambiamenti a cui è stato sottoposto a ragioni di ordine storico e
culturale. In questa visione la famiglia sarebbe una costruzione culturale in quanto prodotto della
cultura e sottoposta alle sue continue pressioni evolutive. D’altra parte la lettura antropologica,
sebbene prenda le mosse da una consapevolezza naturalistica di stampo evoluzionista, ha
esaltato la componente culturalista nella tradizione di riti e conoscenze di cui la famiglia stessa
sarebbe stata promotrice e ricettacolo.
La lunga fase di transizione demografica che, a partire dalla fine dell’Ottocento e sempre con
maggiore evidenza negli ultimi cinquant’anni, ha mutato le caratteristiche strutturali della famiglia,
rende oggi necessario un ripensamento delle discipline, dei metodi e degli strumenti utilizzati per
analizzarne storia e funzioni. Sebbene sottoposta a una continua revisione epistemologica come
tutte le strutture influenzate dal contesto storico, la famiglia è stata sempre messa in relazione alla
società: cellula costituente, sottogruppo organizzativo, fatto e unità sociale dove i valori e l’ethos
pubblico prendono forma. I tentativi di applicare una visione naturalistica al concetto di “famiglia”
sono un tentativo compiuto, sebbene debolmente, nell’ambito delle scienze cognitive negli ultimi
trent’anni.
In quest’ottica la funzione riproduttiva è stata ritenuta l’elemento focale caratterizzante. Sia
l’antropologia che l’etologia cognitiva hanno manifestato interesse verso questa prospettiva, ma
non sono riuscite ad affrancare le metodologie d’indagine dalla patina culturale della tradizione. Ed
è proprio con la drastica riduzione del fenomeno riproduttivo - che dopo il trend fortemente
negativo dell’ ultimo mezzo
secolo, oggi ha raggiunto in alcuni casi fenomeni estremi di
soppressione della fertilità - e l’emergere di modelli alternativi a quello tradizionale, che la struttura
familiare manifesta la sua carenza in termini di modelli d’analisi e interpretativi.
Tale cambiamento è sinteticamente riassumibile attraverso pochi punti:
1. mutano gli strumenti necessari per una lettura “scientifica” che possa spiegare i
cambiamenti in atto. Sia il diciannovesimo che il ventesimo secolo si sono mostrati sprovvisti di
un livello di interdisciplinarietà tale da innestare conoscenze diverse su un obiettivo comune,
oltre che di elaborazioni scientifiche e matematiche in grado di fornire solidi modelli teorici.
Scienze come la statistica e la genetica delle popolazioni hanno conquistato una funzione
strutturale nell’analisi sociologica. La nuova prospettiva biopolitica, che si fonda sulla
demografia come principio focale di ogni cambiamento, necessita oggi di strumenti scientifici e
di misure riconoscibili nel tempo e nello spazio per fornire una lettura affidabile e scevra da
nuances ideologiche;
2. cambia il modello “medio” di famiglia: in termini assoluti il maggior numero di nuclei familiari
è formato da un singolo individuo, negazione del modello classico secondo cui la famiglia è
almeno una coppia, quasi sempre con prole. A seguire i nuclei formati da due persone, spesso
una coppia senza figli, ma anche ulteriori combinazioni alternative (vedi n.3);
3. l’emergere di una componente familiare slegata dal successo riproduttivo rende
inutilizzabili gran parte dei modelli fino ad oggi elaborati e ne richiede la revisione. La
prospettiva della coppia senza prole, d’altra parte, deve confrontarsi con altre innumerevoli
declinazioni dell’idea di “famiglia”, tra cui le coppie omosessuali ma anche quelle formate da
genitori single e da un figlio o, ancora, con il concetto geneticamente non definibile di “famiglia
allargata”;
4. l’allungamento della vita media da una parte e la diminuzione dei tassi di crescita della
popolazione
dall’altra
hanno
comportato
dei
cambiamenti
importanti
anche
nell’organizzazione della famiglia. Tra quelli emersi con maggiore evidenza la tendenza al
matrimonio o alla convivenza in età più adulta, così come notevolmente più elevata rispetto al
passato è anche l’età della donna per la generazione del primo figlio; non a caso sono proprio
questi due fattori, in particolar modo la diminuzione del tasso di crescita, che rendono
inattendibil le predizioni a lungo termine degli attuali modelli demografici matematici;
5. i cambiamenti strutturali già in parte emersi e quelli che, attualmente in nuce, si manifesteranno
nelle prossime fasi storiche, non possono essere letti come sviluppi di un mutamento culturale
e morale. Secondo la prospettiva naturalistica, infatti, non esiste soluzione di continuità tra
natura e cultura, se non nei modi di diffusione peculiari rispettivamente dell’ambito biologico e
di quello culturale; né la morale può essere intesa, nella prospettiva evoluzionistica qui scelta,
come sistema di valori artificialmente costruito dalle comunità per rappresentare un sistema di
convivenza condiviso, bensì come la cristallizzazione evidente di alcune norme naturali
finalizzate alla salvaguardia e all’ottimizzazione della fitness individuale e di gruppo.
La famiglia è stata ritenuta nei secoli come il nucleo autorganizzato minimo all’interno della
società. La metafora della famiglia come “cellula” della società, infatti, non è interpretabile solo
nel senso di “materiale costituente”, ma mette in risalto anche la sua autarchia gestionale di
organo all’interno di un organismo più vasto. Gli sviluppi più recenti, tuttavia, smentirebbero questa
ipotesi al cadere delle sue prerogative più rilevanti, come quella legata alla riproduzione. Inoltre le
teorie supportate dalla psicologia cognitiva, che rintracciano nella coppia la sintesi delle esigenze
opposte dei due sessi, sarebbero fortemente indebolite dall’emergere del nuovo modello
dominante di famiglia, che prevede un solo componente o due componenti dello stesso sesso o
di età molto diverse (nel caso di famiglie in cui i due componenti siano un genitore e un figlio).
I numerosi cambiamenti possono dunque essere letti come una smentita del modello tradizionale,
causata da una rivoluzione culturale che ha sormontato gli schemi sociali consolidati; oppure è
possibile analizzare tali cambiamenti come sintomi di una nuova fase organizzativa richiesta e
generata dalla stessa società. Tale prospettiva è plausibile solo se l’idea del gruppo sociale è
analizzata da un punto di vista biopolitico, fondato sui concetti di evoluzione ed ecologia. Nel
primo caso l’idea del cambiamento, sia nella fase ontogenetica che filogenetica, applicato alle
aggregazioni di individui (i gruppi, le comunità, gli Stati) rischia di risollevare le polemiche legate al
darwinismo sociale, con il rinverdirsi di ataviche accuse di determinismo e riduzionismo. La
prospettiva qui proposta, invece, intende valorizzare l’aspetto adattativo prima che selettivo di
ogni cambiamento, inteso come momento necessario di modifica per un migliore inserimento nel
contesto ecologico. In questo senso non è possibile fondare scientificamente la lettura di ogni
organizzazione sociale senza un riferimento alla sua ecologia, intesa come spazio geografico e
temporale in cui si attua la vita, ma anche contesto naturale, sociale, economico. Condizioni
ecologiche diverse generano pressioni evolutive diverse; ciascun individuo reagirà con risposte
personali che concorreranno a delineare dei trend significativi nella statistica della popolazione. Lo
stesso processo è plausibile nella sua applicazione ai gruppi sociali e, in questa sede, alle famiglie.
In questa prospettiva esse perdono la connotazione tradizionale di elemento funzionale allo scopo
riproduttivo e alle conseguenti cure parentali e assumono quella di una modalità adattativa al
contesto ambientale. Le dinamiche cooperative, che rappresentano una delle strategie
comportamentali più rilevanti diffusa all’interno dei nuclei familiari, sono state interpretate come la
risposta all’esigenza di strutturare meglio nel sapiens le cure parentali. La scoperta, in alcuni casi,
e la valorizzazione, in altri, di un’ampia diffusione di contesti collaborativi nel panorama etologico
animale al di fuori del perimetro parentale (come nella social selection o nel ruolo di helper), ha
reso necessario un ripensamento degli stereotipi di competizione sessuale saldamente
ancorati alla teoria darwiniana. Tuttavia i nuovi modelli interpretativi non esauriscono in questo
ripensamento la propria forza epistemologica, ma mettono in luce nuovi aspetti di valore sociale
ed ecologico dei nuclei parentali o delle aggregazioni che svolgono funzioni parentali pur
non avendo connotazione di condivisione genetica. Questo avviene, ad esempio, nel
fenomeno dell’allomothering in cui femmine non imparentate formano delle comunità che assistono
e si prendono cura dei cuccioli del gruppo, o nella formazione di coppie non sessuali tra femmine e
maschi orientate alla difesa dei cuccioli. La formazione di nuclei definibili come “familiari”, potrebbe
dunque legare il suo successo evolutivo non a un potenziale scopo comune, quale l’allevamento
della prole: se così fosse la transazione demografica di cui sopra, caratterizzata dal forte declino
delle nascite, invaliderebbe lo scopo della famiglia e ne sancirebbe la fine. La famiglia, piuttosto,
nell’ottica qui proposta, è un modello organizzativo ecologicamente fondato, ovvero una
formula di autorganizzazione sociale legata ai parametri fondamentali di spazio, tempo,
risorse, demografia e da essi plasmata.
In questa sede intendiamo proporre una visione naturalizzata della famiglia, analizzandone le
manifestazioni e i cambiamenti secondo le categorie biopolitiche sopra citate e confrontandole con
gli ecosistemi comunitari di altre specie animali; scopo del nostro lavoro è di dimostrare che essa
non è un elemento sociale cristallizzabile nel tempo e che i cambiamenti intercorsi nella sua
struttura non sono conseguenze di cambiamenti culturali o morali, bensì uno strumento che la
stessa società adopera per una migliore organizzazione ecologica delle sue risorse.
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