le ragioni della pace

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Confederazione Generale Italiana del Lavoro
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LE RAGIONI DELLA PACE
Di Titti Di Salvo
La manifestazione del 20 marzo sarà una grande manifestazione per la pace, contro la
guerra, contro il terrorismo, per il ritiro delle truppe dall’Iraq. Con queste parole d’ordine la
CGIL aveva annunciato la sua partecipazione a quella manifestazione e con queste parole
d’ordine la CGIL ci sarà. L’abbiamo detto molte volte insistendo sul fatto che le parole scelte
esprimono in sintesi analisi e giudizi sulla crisi internazionale aperta; non è inutile ripeterlo
oggi, anzi è molto importante dopo la strage terrorista di Madrid.
Troppo spesso il dibattito politico italiano corre il rischio di misurarsi con approssimazione ed
estraneità a ciò che si muove nello scenario internazionale, come se ciò che si muove lo
riguardasse solo in alcuni momenti, i più tragici.
Anche questo abbiamo detto più volte e se l’ostinazione di per sé non costituisce prova della
giustezza delle affermazioni, le conferme purtroppo stanno nell’inanellarsi delle tragedie.
La guerra in Iraq ci riguarda. Non riguarda solo le coscienze delle persone di fronte all’uso
delle armi in luogo della politica.
Non ci riguarda solo perché truppe italiane, inviate da un governo che non saprebbe dire
oggi nemmeno il perché di quell’invio (le armi di distruzione di massa? fermare il
terrorismo?) sono in Iraq insieme ad altre truppe a occupare un paese, in luogo dell’ONU per
l’autodeterminazione del popolo iracheno. Ci riguarda perché l’Italia è geograficamente oltre
che politicamente coinvolta in quella guerra e nella tragedia di Israele e Palestina. Perché la
teoria della guerra preventiva che l’ha originata contiene un’idea di governo del mondo che
noi, e per fortuna tanti altri come noi, non possono condividere.
La follia terrorista di Madrid, il terrorismo, ci riguarda. Non solo per le morti innocenti, per
l’attacco alla democrazia, alla libertà ai diritti che contiene; perché è l’11 settembre europeo,
come molti hanno scritto oggi e moltissimi hanno pensato subito. Ci riguarda perché propone
a tutti, anche a quelli che non vogliono vedere, il legame tra quella guerra e quel terrorismo.
Ci riguarda perché mette a nudo la folle volontà di rendere inconciliabile il conflitto tra
culture, così acuto nel mondo globale e così contiguo per noi, su cui ha soffiato
prepotentemente l’eternità della tragedia israelo-palestinese e la stessa guerra in Iraq.
Ci riguardano le differenze sempre più grandi tra Nord e Sud del mondo, acqua di coltura del
terrorismo e che rendono strutturali i flussi migratori. Ci riguarda la insopportabilità della
distribuzione della ricchezza globale, secondo la quale l’80% di persone ha a disposizione
soltanto il 20% di risorse. Perché l’Italia con l’Europa sono terra di miraggio di quei flussi
migratori; perché spesso i terroristi islamici sono allevati nel seno di paesi occidentali, come
ci ricorda spesso Khaled Fouad Allam; perché quelle ingiustizie sono ormai politicamente
insostenibili e perché nel mondo globale non esistono cittadelle protette nelle quali difendere
un livello decente di diritti e protezioni sociali, come sanno bene le lavoratrici e i lavoratori di
quel pò di sistema industriale ancora in piedi nel nostro paese.
Ci riguarda il profilo, sociale e non di mercato, dell’Europa politica che oggi è così incerto,
ma che è decisivo per pensare di orientare positivamente la globalizzazione così come il
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tentativo del Brasile di Lula insieme ad altri paesi di emanciparsi dalle regole capestro del
commercio internazionale.
Ma se tutto ciò ci riguarda e se i nessi appaiono, come sono, evidenti e se ancora tutto ciò
riguarda e interroga la rappresentanza sociale, quella politica, la società civile sul piano
globale, allo stesso modo ci devono riguardare le soluzioni e le risposte, che non possono
che essere generali: alla teoria della guerra preventiva e all’unilateralismo dei neo-cons
americani; al terrorismo; al modello di sviluppo liberista fondato sulla competizione sui costi
e la mercificazione del lavoro.
Il 20 marzo verranno a Roma e in molte capitali d’Europa e del mondo molte persone mosse
dall’idea che le parole d’ordine con cui la manifestazione è stata promossa dai pacifisti
americani li riguardi nel loro insieme, riguardi la loro coscienza e d il loro futuro.
Una risposta globale, pacifica e pacifista al terrorismo di Madrid, a tutti i terrorismi, alla
guerra preventiva e all’idea di mondo che quella teoria definisce, per il ritiro delle truppe
dall’Iraq.
Pensare di poter isolare la lotta al terrorismo dall’impegno contro la spirale guerra,
terrorismo, violenza, ingiustizie e da una scelta netta tra le possibili opzioni che si aprono di
fronte a quella spirale - una nuova democrazia mondiale inclusiva o un nuovo dominio
armato del mondo - può essere una aspirazione sincera o può essere un’aspirazione
interessata, sicuramente un’aspirazione travolta dalla realtà. Di certo un’aspirazione che non
possiamo condividere.
Per la pace: dal 15 febbraio al 20 marzo
Solo che si guardi alla realtà della situazione irachena; al conflitto infinito israelo-palestinese;
alle 19 guerre oggi all’attenzione del Consiglio di Sicurezza; all’aumento del divario tra Nord
e Sud del mondo testimoniato da tutti gli indicatori ufficiali (Agenzie ONU e OIL); al conflitto
sempre più acuto tra culture che alimenta la contrapposizione Islam-Occidente e con essa la
follia terrorista, all’interno e non solo all’esterno delle società occidentali; all’uso delle identità
“contro” come possibile e ormai verificata conseguenza della precarietà indotta dalla
globalizzazione senza regole; solo che si guardi a tutto ciò, si ha la percezione che nell’anno
trascorso dal 15 febbraio 2003 al 20 marzo 2004 è stata esasperata colpevolmente una
situazione internazionale già gravida di incertezze con una risposta tanto minacciosa quanto
inefficace di governo, quella della guerra preventiva e del modello di sviluppo ad essa
intimamente legata e non è emersa con altrettanta nettezza un’alternativa ugualmente
globale.
La CGIL, oggi più di ieri, è ferma nella convinzione che il processo di costruzione della pace
e il ripudio della guerra e del terrorismo, siano strettamente intrecciati alla difesa e alla
estensione dei diritti e dei diritti del lavoro, all’affermazione cioè di una cultura e di un
modello di sviluppo equo e sostenibile, alternativi entrambi al neo-liberismo, in Italia, in
Europa, a livello globale.
Alla erosione di sovranità statuale determinata dalla globalizzazione, allo scontro tra culture,
al governo unilaterale del mondo, alla cancellazione dei diritti del lavoro e dello stesso valore
del lavoro nella scala valoriale delle società ricche del Nord ed in quelle povere del Sud,
occorre rispondere proponendo nuovi luoghi della politica mondiale (quali? come? quale
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ONU? quali nuove aggregazioni regionali? quale ruolo dell’Europa?), nuovi beni pubblici che
quella politica deve saper tutelare e promuovere.
Per farlo e con urgenza occorre che movimenti, sindacati, forze politiche progressiste si
misurino con quegli interrogativi a livello nazionale, europeo e internazionale. Non solo il
rifiuto della guerra, della guerra preventiva, del terrorismo, il ritiro delle truppe occupanti
dall’Iraq – richieste tutte sacrosante e condizioni necessarie di premessa alla discussione –
ma anche quali tappe di costruzione di un processo di pace: la pace come strategia
generale.
E’ un percorso tanto obbligato quanto impegnativo, che prevede di andare in chiaro sulle
priorità e nelle assunzioni di responsabilità dei singoli, dei soggetti collettivi di
rappresentanza e del movimento. Tra le tante, una domanda: i diritti e la dignità del lavoro
sono o no il profilo costitutivo della cittadinanza globale cui aspiriamo?
La manifestazione del 20 marzo, che sarà grandissima, abbiamo bisogno che sia
l’affermazione visibile che “il popolo della pace” non si rassegna alla guerra, non si rassegna
al terrorismo, e poi anche l‘inizio di una discussione vera su come si costruisce una nuova
democrazia mondiale con al centro i diritti umani e del lavoro, l’integrazione e non
l’esclusione come suo principio ordinatore.
La CGIL ha scelto di esserci per convinzione e coerenza: ci saremo il 20, ci saremo nella
discussione da fare.
Marzo 2004
www.cgil.it 
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