STORIA DELLE FISICA DELLE PARTICELLE ELEMENTARI

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STORIA DELLE FISICA DELLE
PARTICELLE ELEMENTARI
II. La meccanica quantistica relativistica
Prof. Attilio Maccari
Via Alfredo Casella 3
00013 Mentana RM
E-mail: [email protected]
1. Introduzione
Lo sviluppo della meccanica quantistica non relativistica era concluso, nelle sue linee essenziali, già nel 1927, anche se rimanevano ovviamente molti problemi applicativi. I principi base erano ormai chiaramente stati individuati, ma alcune questioni relative all’interpretazione
fisica del formalismo erano tuttora oggetto di discussione, come, ad esempio, il reale significato della teoria della misurazione e la possibilità di un completamento in senso determinista
e causale della teoria, come sostenevano fra gli altri A. Einstein e L. de Broglie.
Ricordiamo brevemente quelle, fra le caratteristiche della meccanica quantistica non relativistica, che sono le più importanti ai fini della generalizzazione relativistica, quando le velocità
delle particelle non sono più trascurabili rispetto alla velocità della luce: 1) esiste un vettore
nello spazio hilbertiano che descrive lo stato fisico di una particella, a partire dal quale è possibile costruire una densità di probabilità definita positiva che soddisfa la condizione di normalizzazione; 2) l’evoluzione dello stato del sistema è data da una equazione lineare (nel caso
non relativistico l’equazione di Schrodinger), per cui vale il principio di sovrapposizione; 3) il
principio di corrispondenza implica che nel limite classico sono valide le leggi della meccanica newtoniana.
Fu subito evidente che l’equazione di Schrodinger doveva essere sostituita da una nuova equazione, covariante rispetto ad una trasformazione di Lorentz, ma sempre lineare per assicurare la validità del principio di sovrapposizione. Alla nuova equazione doveva inoltre essere
richiesto di ridursi a quella di Schrodinger, nel limite non relativistico, e di essere caratterizzata da una densità di probabilità definita positiva, proprio per poter applicare l’interpretazione
probabilistica della funzione d’onda.
2
L’equazione di Klein-Gordon costituisce storicamente il primo esempio di equazione relativistica (§ 2), ma il suo successo fu di breve durata, a causa del fatto che presenta sia una densità
di probabilità non definita positiva che la possibilità di soluzioni ad energia negativa.
Nel 1928, P. A. M. Dirac riesce a scoprire una equazione lineare covariante per una funzione
d’onda a quattro componenti, che descrive il movimento di una particella dotata di spin e che
quindi può essere interpretata come l’equazione relativistica per l’elettrone (§ 3).
Nella sua ricerca Dirac è guidato più dal formalismo matematico che dall’intuizione fisica:
“Bisognerebbe lasciarsi guidare dalla direzione indicata dalla matematica… si dovrebbe sviluppare un’idea matematica e dedurre le sue conseguenze….La matematica ci può condurre
in una direzione verso la quale non saremmo mai andati se avessimo seguito solo intuizioni
fisiche” [1, pag. 46].
La densità di probabilità è definita positiva, al contrario di quanto accade nell’equazione di
Klein-Gordon, ma sono sempre presenti le soluzioni ad energia negativa ed anzi un elettrone
ad energia positiva è destinato a cadere in un livello ad energia negativa (’paradosso di
Klein’). Nel tentativo di giungere ad una interpretazione soddisfacente di tali soluzioni, Dirac
postula che tutti i livelli ad energia negativa siano occupati (si ricordi che gli elettroni sono
fermioni ed obbediscono al principio di Pauli). In questo modo il paradosso viene evitato, ma
esiste ora la possibilità che un elettrone ad energia negativa assorba un fotone, passando nella
banda ad energia positiva. Rimane però ora una ‘lacuna’ nel ‘mare di Dirac’ di elettroni ad
energia negativa che si comporta a tutti gli effetti come una particella di energia e carica positiva. In un primo momento, Dirac identifica la ‘lacuna’ con il protone, ma, a seguito di vari
problemi fisici che tale ipotesi comporta, si rende conto che si deve trattare di una nuova particella con la stessa massa dell’elettrone, ma carica opposta: un antielettrone o positone, come
ben presto verrà chiamato (§ 4).
3
Nell’agosto 1932, C. D. Anderson mediante l’uso di una camera a nebbia riesce a scoprire la
prima traccia del positone, mentre P. M. S. Blackett e G. Occhialini osservano il primo esempio di produzione di una coppia elettrone-positone. Queste verifiche sperimentali delle predizioni dell’equazione di Dirac, insieme alla determinazione della sezione d’urto dell’effetto
Compton, porteranno ad una sua universale accettazione, anche se la teoria delle ‘lacune’ e
del ‘mare di Dirac’ continuerà ad essere indigesta per molti e sarà sottoposta negli anni successivi a critiche e proposte di revisione (§ 5). L’opera di Dirac verrà completata da E. Majorana, che determinerà l’equazione d’onda relativistica per una particella si spin qualsiasi.
Negli anni successivi, la ricerca fisica si sposta verso l’elaborazione di una teoria quantistica
relativistica dei campi, in particolare dell’elettrodinamica quantistica, che era afflitta dal problema degli infiniti che sorgevano nello sviluppo perturbativo della teoria e la rendevano inutilizzabile nel calcolo delle correzioni di ordine superiore (§ 6).
4
2. L’equazione di Klein-Gordon
Come oggi sappiamo, l’equazione di Klein-Gordon può essere considerata la generalizzazione
relativistica dell’equazione di Schrodinger per spin nullo. In particolare, per una particella libera, l’equazione si scrive
∆Ψ −
2
1 ∂2Ψ
mc
−
2
2
c ∂t
Ψ =0,
(2.1)
dove ∆ è l’usuale operatore laplaciano e m la massa della particella. In presenza di un campo
elettromagnetico con potenziale scalare V e vettoriale A , si ottiene, denotando con e la carica
della particella,
1
∂
i
− eV
2
c
∂t
2
2
e
2
Ψ − i ∇ + A Ψ + (mc ) Ψ = 0 .
c
(2.2)
Si noti che l’equazione (2.2) può essere ottenuta facilmente, considerando la relazione relativistica, valida per una particella in campo elettromagnetico,
1
(E − eV )2 − P − e A
2
c
c
2
+ (mc ) = 0 ,
2
(2.3)
ed utilizzando le usuali sostituzioni operatoriali,
E →i
∂
,
∂t
p → −i ∇ .
(2.4)
L’equazione (2.1), limitata al caso stazionario, venne ottenuta nell’aprile 1926 da O. Klein
nell’ambito delle sue ricerche sull’unificazione della gravitazione e dell’elettromagnetismo in
uno spazio-tempo a cinque dimensioni [2]. Nel 1926 l’equazione viene studiata anche da E.
Schrodinger [3] e successivamente da V. Fock, A. de Donder, B. van de Dungen, W. Gordon
ed è quest’ultimo che deduce l’equazione di continuità associata [4]. Per una particella libera,
si trova
5
∂ρ
+ div J = 0 ,
∂t
(2.5)
con
ρ=
i
∂Ψ
∂Ψ ∗
Ψ∗
−Ψ
,
2m
∂t
∂t
(2.6)
J=
i c
(Ψ∇Ψ ∗ − Ψ ∗∇Ψ ) .
2m
(2.7)
In questa prima fase, non è affatto chiaro se interpretare l’equazione (2.1) come una equazione di campo o come una equazione per una particella di massa m e spin nullo, tanto è vero che
Schrodinger, nel dicembre 1926 [5], dimostra la validità del principio di conservazione
dell’energia per la somma del tensore energia-impulso della materia e del campo elettromagnetico, ma ritiene che via sia un grave problema, perché nelle sue relazioni non compare
l’effetto della materia su se stessa. Evidentemente, non la considerava ancora come
un’equazione per una sola particella.
Nel dicembre 1926 [6], Klein riesce a dimostrare che per energie cinetiche molto minori
dell’energia propria mc2, e quindi nel limite non relativistico, con la sostituzione,
i
Ψ ( x, t ) = exp − mc 2 t Φ ( x, t ) ,
(2.8)
si ottiene l’equazione di Schrodinger per la Φ ( x, t ) .
L’equazione (2.1) presenta il problema, notato per la prima volta proprio da Schrodinger, di
permettere stati ad energia negativa: se, infatti, si prende come soluzione l’onda piana
Ψ = N exp[i (k . x − ω t )] ,
(2.9)
si ottiene
E = ±c
( k )2 + (mc )2
6
,
(2.10)
quindi tutti i valori di energia, positivi e negativi, sono permessi, tranne la banda compresa fra
-mc2 e mc2. Si noti che l’esistenza di stati ad energia negativa è una conseguenza della
relatività e non della meccanica quantistica.
Da un semplice esame della (2.6), risulta, inoltre, che la densità ρ non è definita positiva,
perché l’equazione (2.1) è del secondo ordine nel tempo, a differenza di quella di Schrodinger, e, di conseguenza, nelle condizioni iniziali deve essere specificata anche la derivata prima
rispetto al tempo. Non si può interpretare la (2.6) come una densità di probabilità, come richiesto dalla meccanica quantistica. Tuttavia, limitatamente al caso di uno stato stazionario,
caratterizzato da energia costante E, si ottiene
ρ=
E
2
Ψ ,
2
mc
(2.11)
che risulta positiva se E>0.
Sia a causa di questi due problemi, sia per la scoperta dell’equazione di Dirac, l’equazione di
Klein-Gordon venne praticamente dimenticata per alcuni anni, fino a che venne riconsiderata,
ma nell’ambito della teoria quantistica dei campi, come descrivente un campo di particelle di
spin nullo. Si noti, inoltre, che, in questo periodo, nessuno avanzò l’ipotesi dell’esistenza di
antiparticelle, per risolvere il problema delle energie negative, come invece sarà fatto
nell’ambito della teoria quantistica dei campi e solo dopo che Dirac avrà avanzato una analoga ipotesi per la sua equazione.
7
3. L’equazione di Dirac
Nel tentativo di ottenere una equazione relativistica, senza i problemi di quella di KleinGordon, Dirac escogita un nuovo metodo allo scopo di ricavare una equazione del primo ordine rispetto al tempo (abbiamo visto infatti, nel paragrafo precedente, che la densità di probabilità non definita positiva è una conseguenza del fatto che l’equazione di Klein-Gordon è
del secondo ordine rispetto al tempo) [7]. Poiché l’equazione cercata deve essere relativisticamente covariante, anche le derivate spaziali devono figurare al primo ordine e quindi Dirac
postula la validità della seguente equazione:
i
∂ψ
= − i cα .∇ + β mc 2 ψ ,
∂t
[
]
(3.1)
dove α = ( α 1 ,α 2 ,α 3 ) e β sono delle costanti da determinare, sulla base della covarianza della (3.1) e della validità della relazione
E 2 = ( c p ) 2 + (mc 2 ) .
2
(3.2)
Per assicurare la validità della (3.2), Dirac eleva al quadrato gli operatori che figurano su entrambi i lati della (3.1), in modo da ottenere
−
2
[
][
]
∂2Ψ
= − i cα .∇ + β mc 2 . − i cα .∇ + β mc 2 Ψ ,
∂ t2
(3.3)
che deve essere uguale all’equazione di Klein-Gordon (2.1),
−
2
(
∂2Ψ
= c2 −
2
∂t
2
)
∆ + (mc ) Ψ .
2
(3.4)
Si noti, però, che in questo modo si riaprono le porte alle soluzioni ad energia negativa. Imponendo anche la condizione di covarianza, si ottengono le condizioni
α µ αν + αν α µ = 2δ µν , µ ,ν = 0,1,2,3 , α 0 = β ,
8
(3.5)
che non possono essere soddisfatte assumendo che α e β siano delle quantità classiche
commutanti. Dirac dimostra che, per soddisfare le (3.5), α e β devono essere delle matrici
almeno di rango quattro e trova la seguente soluzione (che tuttavia non è unica),
α=
0 σ
I 0
, β=
,
σ 0
0 −I
(3.6a)
dove abbiamo indicato con σ le matrici di Pauli, con 0 la matrice nulla 2 X 2 e con I la matrice identità 2 X 2:
σx =
0 1
0 −i
1 0
1 0
, σy =
, σz =
, I=
,
1 0
i 0
0 −1
0 1
(3.6b)
e la funzione d’onda Ψ va interpretata come un vettore colonna,
ψ1
ψ
Ψ= 2 ,
ψ3
ψ4
(3.7)
a quattro componenti. Dirac deduce quindi l’equazione di continuità (2.5), dove adesso
ρ = Ψ ∗Ψ ,
J = Ψ ∗α Ψ ,
(3.8)
per cui la densità ρ può essere interpretata come una densità di probabilità definita positiva, a
differenza di quanto accade per l’equazione di Klein-Gordon. Risultano sempre possibili, però, le soluzioni ad energia negativa (2.10), come si può vedere inserendo la solita soluzione ad
onda piana nella (3.1). Inoltre, Dirac mota subito che si possono verificare transizioni dalla
regione ad energia positiva all’altra ad energia negativa e viceversa.
Per una particella di massa m e carica e, in un campo elettromagnetico caratterizzato da un potenziale scalare V e dal potenziale vettore A , l’equazione (3.1) diventa
i
∂ψ
e
= eV − cα i ∇ + A + β mc 2 ψ ,
∂t
c
9
(3.9)
e Dirac, studiando il limite non relativistico, si accorge che l’equazione spiega in modo del
tutto naturale l’esistenza dello spin. Mentre, nella meccanica quantistica non relativistica,
l’esistenza dello spin per l’elettrone era una ipotesi ad hoc, ora dall’equazione (3.9) emerge
sia l’esistenza dello spin che di un momento magnetico intrinseco alla particella, che nel limite non relativistico si riduce al valore, ben noto dalla teoria degli spettri atomici,
µ0 =
e
.
2mc
(3.9)
In conclusione, nell’equazione di Dirac esistono quattro soluzioni indipendenti, due ad energia positiva (con proiezione dello spin sull’asse z, data da S z = +
energia negativa, sempre con S z = +
1
2
e Sz = −
10
1
.
2
1
2
e Sz = −
1
) e due ad
2
4. L’ipotesi dell’antiparticella
Abbiamo già detto che le soluzioni ad energia negativa sono una conseguenza della relatività.
Tuttavia, nell’ambito della fisica classica non si presenta alcun problema, perché l’energia varia con continuità e non ci possono essere transizioni dalla regione ad energia positiva a quella
negativa. Basta scegliere adeguatamente le condizioni iniziali, cioè supporre che non ci siano
elettroni ad energia negativa nel passato, per essere sicuro di non doverli considerare nel futuro. In meccanica quantistica l’argomento non è più valido, perché con una barriera di potenziale abbastanza intensa, l’elettrone può assumere energia cinetica e di riposo negativa (paradosso di Klein, [8]). Supponiamo che un flusso di elettroni, proveniente da sinistra, colpisca
un gradino di energia potenziale U, tale che − eU > 2mc 2 . Klein dimostra che gli elettroni in
parte vengono riflessi verso destra e in parte penetrano dentro il gradino, con energia cinetica
negativa e massa negativa. Gli elettroni ad energia negativa in un campo di forze si comportano come particelle a carica positiva, ma non, si badi bene, nella legge della conservazione della carica elettrica, dove continuano a contare come carica negativa.
Si può vedere inoltre che un elettrone ad energia positiva può emettere un fotone, di energia
maggiore di 2mc2, e passare in uno stato ad energia negativa, purché ovviamente lo stato non
sia già occupato da un altro elettrone. In pratica, sotto l’azione di un campo elettromagnetico,
l’elettrone tenderà ad andare verso energie sempre minori.
Nell’equazione di Dirac, inoltre, l’operatore velocità (= c α ) possiede come autovalori solamente ± c ed, inoltre, poiché le componenti di α non commutano fra di loro, nota, ad esempio, la componente x della velocità, Vx, le altre due, Vy e Vz, rimangono completamente indeterminate. Il moto dell’elettrone appare come la sovrapposizione di una traslazione media e di
una oscillazione non osservabile, con frequenza,
11
2E
≥
2m 0 c 2
,
(4.1)
detta Zitterbewegung , ‘tremolio’.
Se ancora non si riusciva a venire a capo del grave problema delle energie negative, tuttavia,
l’equazione di Dirac incominciava ad accumulare importanti successi. Applicata all’atomo di
idrogeno (W. Gordon e C. G. Darwin, [9]), permetteva di derivare la struttura fine
dell’idrogeno (formula di Sommerfeld). Inoltre, Gordon dimostrava che la corrente si può dividere in una parte di conduzione ed in una di magnetizzazione, ognuna delle quali si conserva separatamente, con la prima che corrisponde al moto dell’elettrone e la seconda allo spin.
O. Klein e Y. Nishina compivano un altro importante passo, deducendo la formula per la sezione d’urto dell’effetto Compton (diffusione di fotoni su elettroni liberi) che risulta sperimentalmente confermata [10].
Nel dicembre 1929, Dirac trovava un modo per superare il paradosso di Klein, postulando che
tutti gli stati ad energia negativa siano occupati (come un mare senza fondo, il ‘mare di Dirac’). In questo modo, gli elettroni ad energia positiva non vi possono cadere [11]. Il paradosso di Klein viene spiegato, dimostrando che la corrente negativa, in arrivo da sinistra, si neutralizza in parte con una corrente positiva da destra, mentre una parte viene riflessa verso sinistra.
Possono però apparire delle ‘lacune’ nel ‘mare di Dirac’, perché un fotone può estrarre un elettrone e farlo diventare ad energia positiva, mentre compare, appunto, una ‘lacuna’, che si
comporta come una particelle positiva.
L’ipotesi del ‘mare di Dirac’ e quindi l’assunzione che il vuoto non è più vuoto avrà grandi
conseguenze nell’elettrodinamica quantistica, dove il vuoto diventerà la sede dei processi virtuali, che violano la conservazione dell’energia e dell’impulso. Le caratteristiche attive del
vuoto tornano in fisica dopo la breve parentesi della relatività ristretta che aveva abolito
l’etere ottocentesco.
12
A questo punto, Dirac assume che la ‘lacuna’ possa rappresentare il protone, anche se la ‘lacuna’ si comporta come una particella di carica positiva, ma di massa uguale a quella
dell’elettrone. Per spiegare questo apparentemente strano comportamento di Dirac, di solito si
osserva che all’epoca non esisteva nessun indizio dell’esistenza di altre particelle, oltre
l’elettrone ed il protone (ricordiamo che il neutrone sarà scoperto solo tre anni dopo nel
1932), e quindi Dirac era in qualche modo obbligato a fare una tale ipotesi.
Probabilmente, però, le motivazioni più profonde erano altre. Come abbiamo già osservato
nell’introduzione, Dirac ha rivoluzionato la fisica con il suo modo di fare ricerca, che privilegia il formalismo rispetto all’intuizione fisica, come più volte egli stesso ha sottolineato nei
suoi scritti.
Nell’articolo del dicembre 1929, Dirac, però, abbastanza a sorpresa per chi crede integralmente alle sue dichiarazioni programmatiche, ma non invece per chi è abituato a distinguere, fin
dai tempi di Galilei e Newton, le affermazioni metascientifiche dei grandi fisici dal loro modo
effettivo di operare, usa una motivazione fisica molto seria per rigettare la conseguenza del
formalismo matematico.
Dirac ipotizza che la differenza fra la massa della ‘lacuna’ e quella del protone sia provocata
da una differenza nell’interazione fra elettroni e protoni, che ovviamente non è presente
nell’equazione (3.1), indicando quindi implicitamente la strada di una generalizzazione
dell’equazione.
A supporto di tale ipotesi ed anticipando un metodo di calcolo che diventerà comune
nell’ambito dell’elettrodinamica quantistica, Dirac dimostra che, nei calcoli sull’effetto Compton, appaiono dei contributi dovuti ad un fotone che si converte in un protone virtuale più elettrone. Il protone è detto virtuale, perché viene creato violando la conservazione
dell’energia, come permesso dal principio di indeterminazione di Heisenberg. Il protone virtuale a sua volta si annichila con l’elettrone iniziale e forma il fotone finale. Si noti che nella
13
‘zona virtuale’ può apparire un protone, proprio a causa della non conservazione dell’energia
permessa dalla meccanica quantistica.
Nel febbraio 1930, J. R. Oppenheimer dimostra, partendo dall’ipotesi di Dirac, ‘lacuna’ = protone, l’assurdo risultato che il protone e l’elettrone dell’atomo di idrogeno si dovrebbero annichilare in 10-10 secondi. Per Oppenheimer, l’unico modo per evitare tale disastro è di supporre
che sia il protone che l’elettrone abbiano il loro ‘mare di Dirac’ ed obbediscano a due equazioni separate [12]. I. Tamm [13] e lo stesso Dirac [14], nei primi mesi del 1930, confermano
questo risultato, però Dirac continua a credere che una differenza nell’interazione fra elettroni
e protoni possa rimediare ad un tale disastro, proprio perché ancora non inclusa nella teoria.
Nel maggio 1931, Dirac, a sorpresa, rovescia completamente la sua posizione, accetta la tesi
di Oppenheimer, interpreta le ‘lacune’ come antielettroni e considera possibili anche gli antiprotoni [15]. Molte ipotesi possono essere avanzate su questo cambiamento di rotta di Dirac,
dato che, in quel momento, non esisteva ancora alcuna evidenza sperimentale dell’esistenza
della nuova particella. Probabilmente, Dirac si rese conto che le difficoltà fisiche che sorgevano interpretando la ‘lacuna’ come protone erano insormontabili e tali da non essere risolte
neanche introducendo delle interazioni fra elettroni e protoni. Certo è che la successiva scoperta dell’antielettrone contribuì a rafforzare quella fede nel formalismo, che abbiamo già discusso nel § 1.
Dirac non ha lasciato molti scritti sulle sue posizioni filosofiche ed epistemologiche, a differenza di altri fondatori della meccanica quantistica, come Bohr e Heisenberg. Particolarmente
illuminante è, tuttavia, l’inizio della prefazione alla prima edizione di The Principles of
Quantum Mechanics, del 1930: “Durante questo secolo i metodi di progresso della fisica teorica hanno subito vasti mutamenti. La tradizione classica era di considerare l’universo come
un’associazione di enti osservabili (particelle, fluidi, campi, ecc.) in moto secondo definite
leggi di forze, in modo da poterci formare, dell’intero schema, un modello mentale nello spa14
zio e nel tempo. Ciò portò ad una fisica il cui scopo era quello di fare delle ipotesi sul meccanismo e sulle forze che connettevano questi enti osservabili……Negli ultimi tempi, però, è divenuto sempre più evidente che la natura si comporta in maniera diversa. Le sue leggi fondamentali non governano in un modo molto diretto l’universo quale esso appare nel nostro
modello mentale, ma controllano invece un substrato di cui non possiamo formarci un modello mentale senza introdurre inesattezze. La formulazione di queste leggi richiede l’uso della
matematica delle trasformazioni.”
Dirac si va sempre più convincendo che il ricorso all’intuizione fisica, consistente nel rappresentarsi nello spazio e nel tempo un dato fenomeno e nel cercare, sulla base di questa rappresentazione, un modello matematico adeguato, è ormai insufficiente e deve essere abbandonato. Bisogna invece affidarsi alla potenza della matematica, cercando generalizzazioni delle teorie esistenti e solo successivamente cercare una interpretazione fisica dei nuovi enti matematici. Di importanza predominante per giudicare una teoria, diventano allora, non tanto la sua
conferma sperimentale, quanto l’eleganza, la consistenza interna e la completezza logica della
sua struttura matematica. Per esempio, la generalizzazione relativistica dell’equazione di
Schrodinger conduce all’equazione di Dirac e quindi alle soluzioni ad energia negative che,
interpretate fisicamente, portano alla predizione dell’antielettrone.
Se, tuttavia, questo è il modo con il quale Dirac presenta il suo stile di ricerca, crediamo che,
nell’evoluzione del suo pensiero, un ruolo preponderante l’abbia avuto proprio la scoperta
dell’antielettrone, nel senso di costituire una conferma a posteriori del suo metodo. In parole
povere, Dirac finirà col pensare che non è importante la conferma sperimentale, perché, se
una teoria è matematicamente attraente, presto o tardi, la verifica arriva.
15
5. La scoperta del positone
Fra il 1896 e il 1912, nell’ambito di una serie di ricerche a carattere meteorologico, volte a riprodurre in laboratorio il meccanismo di formazione delle nuvole, C. T. R. Wilson al Cavendish Laboratory guidato da J. J. Thomson, inventa la camera a nebbia, un dispositivo destinato
ad essere per molti anni il protagonista della ricerca di nuove particelle.
Come è noto, la quantità di vapore, presente nell’aria, aumenta con la temperatura. Quando
nell’aria è presente la massima quantità di vapore, compatibile con quella temperatura, l’aria
si dice satura. Di conseguenza, se l’aria si espande adiabaticamente, la temperatura s’abbassa
e il vapore deve, in parte, condensare. Tuttavia, la condensazione si innesca solo se nell’aria
sono presenti delle impurità, come ad esempio granelli di polvere, che funzionano da nuclei di
condensazione.
Wilson costruisce un dispositivo, basandosi su questo principio: dell’aria satura, che si espande, condensa e forma una nube in miniatura. In particolare, scopre che il rapporto di espansione (= (volume dopo l’espansione)/(volume prima dell’espansione)) varia da 1.25 (aria pulita)
a poco più di uno, con aria molto sporca.
Ben presto Wilson scopre che, se la camera è esposta a raggi X, si formano elettroni liberi ed
atomi ionizzati, che funzionano da nuclei di condensazione e portano alla formazione di tante
goccioline d’acqua, mentre si muovono all’interno della camera. In particolare, usando una
sorgente di radioattività (uranio), Wilson scopre che le traiettorie degli elettroni (radiazione β ) sono visibili per qualche istante, nella forma di una esile scia, mentre le particelle α
(nuclei di elio) formano tracce più spesse, perché ionizzano più atomi e liberano più elettroni
nel loro percorso. Se la camera è immersa in un campo magnetico, scattando delle fotografie,
qualche secondo dopo l’espansione della camera, per dar modo alle goccioline di formarsi, si
osservavano le traiettorie delle particelle e dalla loro curvatura si può determinare facilmente
16
quantità di moto e carica (se si conosce anche il verso di percorrenza della traiettoria) delle
particelle. Per queste scoperte Wilson riceverà il Premio Nobel nel 1927.
Intorno al 1930, R. Millikan, direttore del laboratorio di fisica al Caltech, in California, chiese
a C. D. Anderson di costruire una camera a nebbia, con elettrocalamita incorporata, per osservare i raggi cosmici. Dopo aver scoperto che l’aggiunta di alcol etilico al vapore rendeva le
tracce delle particelle più brillanti, Anderson ottenne alcune fotografie con delle tracce che
potevano essere interpretate sia come elettroni in movimento verso l’alto o come cariche positive in moto verso il basso. Millikan sosteneva che, poiché i raggi cosmici si muovono quasi
sempre verso il basso, le tracce dovevano essere protoni, tuttavia il loro spessore era troppo
esile per essere compatibile con questa ipotesi [1, pag. 163].
Per risolvere la questione (elettroni o protoni?), Anderson decise di inserire una lastra metallica al centro della camera: la particella, attraversandola, avrebbe perso parte della sua quantità
di moto ed in questo modo il suo raggio di curvatura sarebbe diminuito, permettendo quindi di
determinare anche la sua carica.
Una fotografia eccezionale venne ottenuta il 2 agosto 1932, dimostrando che le tracce in questione non erano elettroni e neanche protoni. Una particella di carica positiva proveniente dal
basso aveva attraversato la lastra e, dalle dimensioni della traccia e dalla curvatura, risultava
che la sua massa era uguale a quella dell’elettrone [16].
In realtà Anderson non si rese subito conto dell’esatto significato della sua scoperta, ma ben
presto P. M. S. Blackett e G. Occhialini in Inghilterra confermarono la scoperta, osservando il
primo esempio di trasformazione di fotone in una coppia elettrone-antielettrone.
In realtà, i due sperimentatori avevano osservato la nuova particella prima di Anderson, ma
non avevano pubblicato i loro risultati per essere sicuri della scoperta, anche se a quanto sembra lo stesso Dirac gli avesse detto cosa poteva essere [17]. La scoperta dell’elettrone positivo, come fu chiamato da Anderson l’antielettrone, o positone, nome che viene oggi usato,
17
porterà a due premi Nobel: Dirac nel 1933 per la previsione teorica e Anderson nel 1936 per
la verifica sperimentale.
La scoperta del positone portò alla definitiva accettazione dell’equazione di Dirac e ben presto
venne calcolata, da parte di J. R. Oppenheimer e M. S. Plesset, la probabilità (sezione d’urto)
di annichilazione di un elettrone, e-, con un positone e+, mediante la formazione di due fotoni,
γ , (la trasformazione in un solo fotone è vietata dalla legge di conservazione dell’energia e
della quantità di moto),
e + + e − → 2γ ,
(5.1)
primo esempio di trasformazione totale di massa in energia, secondo la relazione di Einstein,
E=mc2 (la possibilità di tale processo era stata già anticipata dallo stesso Dirac).
E. Fermi e G. Uhlenbeck studiarono il processo inverso, cioè la possibilità di un fotone di trasformarsi in un coppia elettrone- positone:
γ + N → e+ + e− + N ,
(5.2)
tenendo conto che, in questo caso, è necessaria la partecipazione di un secondo corpo, per esempio, un nucleo, N, per assicurare la conservazione dell’energia e della quantità di moto
[18]. Dirac non aveva considerato la possibilità della (5.2), ma si era limitato a studiare il caso
inverso della (5.1).
18
6. Il contributo di Majorana alla meccanica quantistica relativistica
Molti studi di tutti i tipi, dalla biografia romanzata al saggio scientifico, sono stati dedicati alla vita, alle opere e alla misteriosa scomparsa di Ettore Majorana. In questa sede, ci occuperemo brevemente dei contributi originali dati da Majorana alla meccanica quantistica relativistica. Nel 1932 viene pubblicato un articolo, [19], ‘Teoria relativistica di particelle con momento intrinseco arbitrario’, nel quale viene risolto il problema di scrivere una equazione relativistica per una particella a spin qualsiasi (indipendentemente lo stesso problema verrà risolto
da Dirac, qualche anno dopo). Ovviamente, da questa teoria generale, si possono riottenere
come casi particolari sia l’equazione di Dirac per spin = ½
sia l’equazione di Klein-Gordon
per spin nullo. Per raggiungere questo scopo, Majorana determina le rappresentazioni unitarie
ad infinite dimensioni del gruppo di Lorentz (anche queste verranno riscoperte parecchi anni
dopo da E. Wigner).
In un altro lavoro, ‘Teoria simmetrica dell’elettrone e del positone’, scritto intorno al 1932 ma
pubblicato cinque anni più tardi, [20], Majorana introduce una rappresentazione reale delle
matrici di Dirac. In questo modo, particella ed antiparticella vengono a coincidere e Majorana
suggerisce che il neutrino possa essere di questo tipo. Inoltre, elettrone e positone vengono
considerati allo stesso modo e non c’è alcun bisogno di introdurre alcun ‘mare di Dirac’, che
come abbiamo già visto poneva non pochi problemi interpretativi. I lavori suscitarono
all’epoca scarso interesse e solo molti anni dopo, grazie anche all’interessamento di E. Amaldi ed E. Recami, hanno ricevuto un giusto riconoscimento.
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7. Verso la teoria quantistica dei campi
Al Settimo Congresso Solvay del 1933, si discussero gli ultimi sviluppi della fisica: la scoperta del positone e quella del neutrone (avvenuta nel 1932 ad opera di Chadwick), ma anche alcune ricerche di fisica teorica che sembravano mettere in discussione l’unificazione appena
realizzata fra meccanica quantistica e relatività ristretta.
Poiché in generale il numero di particelle, nei processi ad alta energia, non si mantiene costante, era chiaro che un'
equazione relativistica non era sufficiente e che bisognava realizzare una
teoria quantistica relativistica di campi interagenti, in cui fossero permesse esplicitamente la
creazione e distruzione di particelle. Già nei primi Anni Trenta, l’elettrodinamica quantistica
si era mossa lungo questa strada, ma aveva incontrato il terribile problema degli infiniti, che
nascono nello sviluppo perturbativo della teoria.
Fu proprio il problema degli infiniti ad essere discusso animatamente al congresso [21], tanto
che c’era chi sosteneva che fosse necessaria una nuova rivoluzione nella fisica, per esempio
tramite la quantizzazione sia dello spazio che del tempo, come pensava Heisenberg.
Solo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Tomonaga, Feynman e Schwinger, mediante la
cosiddetta tecnica della rinormalizzazione, riusciranno a rendere finite a tutti gli ordini perturbativi le predizioni dell’elettrodinamica quantistica.
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Bibliografia
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[18] J. R. Oppenheimer, M. S. Plesset, Physical Review 44, 53, 1933; E. Fermi, G. Uhlenbeck, Physical Review 44, 510, 1933.
[19] E. Majorana, Nuovo Cimento 9, 335, 1932.
[20] E. Majorana, Nuovo Cimento 14, 171, 1937.
[21] Rapports et discussions du Septieme Conseil de Physique tenu a Bruxelles du 22 au 29
Oct. 1933, Gauthiers-Villars, Paris, 1934.
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