Funzioni Elementari - seminari di analisi matematica

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Capitolo 6
Funzioni Elementari
6.1
Le potenze
La potenze dovrebbero essere ben note in quanto si studiano già alle scuole medie.
Non dovrebbero esserci difficoltà a dare significato ad espressioni come 52 e 23 . Nel
seguito avremo bisogno di forme meno elementari di potenze, poiché incontreremo
espressioni del tipo ab dove a e b sono numeri reali. Prima di considerare le proprietà
delle funzioni potenza è opportuno quindi richiamare alcune proprietà generali delle
potenze.
Richiami sulle potenze
La tabella seguente elenca i casi in cui il simbolo ab ha senso:
a>0
a=0
a<0
b∈R
b∈R, b>0
b= m
n , m, n ∈ Z, n dispari
√
Attenzione: n a è l’unico numero reale c tale che cn = a e quindi se n è dispari
esiste sempre ed ha lo stesso segno di a, mentre per n pari non esiste quando a < 0,
√
esiste ed è positivo per a > 0. Non bisogna infatti confondere il simbolo n a che
ha al massimo un significato con l’insieme delle soluzioni dell’equazione xn = a che
√
√
per n pari e a > 0 ha le due soluzioni n a e − n a, che possiamo scrivere in modo
√
compatto come ± n a.
√
Esempio
6.1.
L’uguaglianza
√
√
√ 9 = 3 è corretta, mentre sono sbagliate le seguenti:
9 = −3 ,
9 = ±3 ,
9 = {3, −3}.
È invece corretto scrivere:
l’equazione x2 = 9 ha soluzioni 3 e −3 (oppure ±3 oppure, meglio ancora, {3, −3}).
La tabella successiva riepiloga le principali proprietà delle potenze in relazione
alla operazioni di somma e prodotto su basi ed esponenti.
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72
Capitolo 6
a0 = 1
ab+c = ab · ac
a−1 =
1
a
abc = (ab )c
a−b =
1
ab
(ab)c = ac · bc
a1/b =
ab−c =
√
b
a
ab
ac
Si noti che le uguaglianze presentate nella tabella valgono per ogni valore degli
esponenti quando la base a è positiva, mentre per a < 0 può capitare che uno dei
due membri sia definito e l’altro no, oppure che siano entrambi definiti ma abbiano
segno opposto. Quando la base è negativa, oppure è una variabile che potrebbe
anche assumere valori negativi, è opportuno fare molta attenzione nell’applicare tali
formule.
Esempio 6.2. Consideriamo la formula abc = (ab )c nel caso in cui a = −9, b = 2
e c = 21 . Il primo membro vale (−9)2·1/2 = (−9)1 = −9, mentre il secondo membro
√
vale ((−9)2 )1/2 = 81 = +9 $= −9: in questo caso quindi la formula non vale.
D’altra parte se consideriamo il prodotto bc scritto come cb (proprietà√commutativa
del prodotto), il primo membro vale sempre −9 mentre il secondo ( −9)2 non è
definito.
Usando le potenze possiamo costruire due diversi tipi di funzioni:
• le funzioni potenza y = xb dove la variabile indipendente è la base, mentre
l’esponente b è fissato;
• le funzioni esponenziali y = ax dove la variabile indipendente è l’esponente,
mentre la base a è fissata.
Entrambi questi tipi di funzioni sono particolarmente importanti nelle scienze
applicate.
Funzioni potenza y = xb
Il dominio di queste funzioni varia a seconda di alcune caratteristiche dell’esponente
come risulta dalla prima tabella riportata nel paragrafo precedente; riepiloghiamo
per semplicità mettendo in evidenza alcuni valori di b particolarmente importanti:
S. Console – M. Roggero – D. Romagnoli
Funzioni Elementari
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D = dominio della funzione potenza y = xb
b=
1
n
b=
b∈N
D=R
b ∈ Z, b < 0
D = R∗ = (−∞, 0) ∪ (0, +∞)
con n ∈ N, n dispari
D=R
con n ∈ N, n pari
D = R≥0 = [0, +∞)
come nel caso m = +1
1
n
b=
m
n
con m, n ∈ Z, b > 0
b=
m
n
con m, n ∈ Z, b < 0
D = (−∞, 0) ∪ (0, +∞) se n è dispari
D = (0, +∞) se n è pari
b∈R\Q
D = R>0 = (0, +∞)
È opportuno conoscere l’andamento qualitativo dei grafici delle funzioni potenza.
Si noti inoltre che la semiretta negativa dell’asse x fa parte del dominio soltanto
per particolari valori razionali degli esponenti; negli altri casi il grafico è contenuto
nel primo quadrante.
Anche se i grafici delle potenza che si ottengono per valori diversi dell’esponente
sono tutti diversi tra loro, possiamo però classificarli facilmente in uno dei seguenti
tipi, a seconda che l’esponente sia maggiore di 1, compreso tra 0 e 1, minore di 0
(tralasciamo i casi particolari con b = 1, con grafico la retta y = x bisettrice del
primo e terzo quadrante e b = 0, con grafico la retta orizzontale y = 1).
Se l’esponente b è > 1, il grafico passa per l’origine e per il punto (1, 1), è crescente, volge
la concavità verso l’alto e tende a +∞ per
x → +∞. L’andamento ricorda quello di un
ramo di parabola con asse verticale (che però
è il solo caso b = 2).
Se l’esponente b è compreso tra 0 e 1, il
grafico passa per l’origine, è crescente
e concavo e tende a +∞ per x → +∞.
L’andamento ricorda quello di un ramo
di parabola con asse orizzontale (che
però è il solo caso b = 21 ).
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
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Capitolo 6
Se l’esponente b è negativo, l’origine
non fa parte del dominio; il grafico è
decrescente, convesso, tende a +∞ per
x → 0− e tende a 0 per x → +∞. L’andamento ricorda quello di un ramo dell’iperbole equilatera (che però è il solo
caso b = −1).
Le funzioni potenza con esponente positivo sono crescenti su (0, +∞) e quindi
conservano le diseguaglianze, ossia:
∀ b > 0, x1 , x2 > 0 si ha: x1 < x2 ⇐⇒ xb1 < xb2 .
Le funzioni potenza con esponente negativo sono decrescenti su (0, +∞) e quindi
rovesciano le diseguaglianze, ossia:
∀ b < 0, x1 , x2 > 0 si ha: x1 < x2 ⇐⇒ xb1 > xb2 .
Nei casi particolari con esponente razionale b = m
n con n dispari, il dominio
comprende anche i numeri negativi. Più precisamente:
• se m è pari, la funzione è pari ossia (−x)b = xb e il grafico è simmetrico
rispetto all’asse y.
• se anche m è dispari, la funzione è dispari ossia (−x)b = −(xb ) e il grafico
è simmetrico rispetto all’origine.
Per ottenere il grafico completo disegneremo allora un ramo simmetrico rispetto all’asse y nel II quadrante nel caso pari oppure un ramo simmetrico rispetto all’origine
nel III quadrante nel caso dispari.
Esempio 6.3. Consideriamo il caso b = 32 ; poiché il numeratore è pari la funzione è pari, dobbiamo considerare
il grafico delle potenze con esponente b > 1 e disegnare
un ramo simmetrico rispetto all’asse y. La curva ottenuta ha la particolarità di presentare un punto angoloso
nell’origine.
Volendo poi confrontare i grafici di due funzioni potenza con esponenti diversi, vedremo che passano tutti per il punto P (1, 1) e che in tale
punto si “incrociano” poiché per x > 1 quella con esponente maggiore “sta sopra”
all’altra, mentre tra 0 e 1 quella con esponente maggiore “sta sotto” all’altra.
Escludendo il caso dell’esponente b = 0 e considerando come dominio solo la
semiretta positiva dell’asse x, i valori assunti da ogni funzione potenza (ossia la sua
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Funzioni Elementari
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immagine) è l’intera semiretta positiva dell’asse y. Restringendo quindi dominio
e codominio ai soli numeri positivi, le funzioni potenza sono biunivoche e dunque
ammettono funzioni inverse; inoltre tali inverse sono a loro volta funzioni potenza.
Si ha infatti:
1
se f (x) = xb allora f −1 (x) = x b .
Esempio 6.4. Se f (x) = x2 , allora la sua inversa su
√
[0, +∞) è la funzione f −1 (x) = x. Si noti che il do√
minio completo di f (x) è tutto R, ma y = x è l’inversa
di f (x) soltanto sulla semiretta positiva, poiché,
come
√
già osservato, per ogni numero x negativo, x2 è −x e
√
non x. D’altra parte partendo dalla funzione g(x) = x,
che assume solo valori positivi, avremmo ottenuto come
inversa proprio la funzione g −1 (x) = x2 con dominio la
semiretta positiva.
Esempio 6.5. Se f (x) = x5 , allora la sua inversa su [0, +∞) è la funzione f −1 (x) =
√
5
x. In questo caso il dominio completo di f (x) è tutto R e su di esso f è biunivo√
ca. Allora y = 5 x è l’inversa di√f (x) su tutto R, poiché per ogni numero reale x
5
(positivo, negativo o nullo) si ha x5 = x.
Esempio 6.6. Se f (x) = x1 = x−1 , allora la sua inversa su (0, +∞) è la funzione
f −1 (x) = x−1 ossia f stesso. Anche in questo caso, come nel precedente, f (x)
è biunivoca su tutto il suo dominio, ossia su (−∞, 0) ∪ (0, +∞) e non solo sulla
semiretta positiva. Quindi f è l’inversa di se stessa su R − {0}.
6.2
Funzioni esponenziali
Consideriamo ora le funzioni che si ottengono fissando la base e facendo variare
l’esponente: y = ax . Poiché in ogni intervallo della retta, per quanto piccolo, ci
sono sempre numeri non razionali, come possibili basi a si considerano solo i numeri
positivi. Supporremo inoltre a $= 1, perché per a = 1 si ottiene la retta y = 1 che
già abbiamo considerato.
Il dominio di y = ax è tutto
R, qualunque sia a > 0. I grafici
delle funzioni esponenziali hanno andamento qualitativo di due
soli tipi, a secondo che la base a
sia > 1 oppure < 1:
a > 1 Il grafico passa per Q(0, 1), è crescente, volge la concavità verso l’alto, tende
a +∞ per x −→ +∞ e tende a 0 per x −→ −∞;
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
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Capitolo 6
a < 1 Il grafico passa per Q(0, 1), è decrescente, convesso, tende a 0 per x −→ +∞
e tende a +∞ per x −→ −∞:
Le funzioni esponenziali con base a > 1 sono crescenti poiché conservano le diseguaglianze, mentre per a < 1 sono decrescenti poiché rovesciano le diseguaglianze,
ossia:
Se a > 1 allora:
x1 > x2
⇐⇒
ax1 > ax2
Se a < 1 allora:
x1 > x2
⇐⇒
ax1 < ax2
Volendo poi confrontare i grafici di due funzioni esponenziali con esponenti (positivi) diversi, vedremo che nel
punto P (0, 1) si “incrociano” poiché per x > 0 quella con
base maggiore “sta sopra ” all’altra, mentre per x < 0
quella con base maggiore “sta sotto” all’altra.
Gli esponenziali ax come funzioni R −→ R+ sono biunivoche e quindi ammettono funzioni inverse (si noti che
il codominio è R+ e non tutto R!). Per poter ottenere ulteriori proprietà importanti
delle funzioni esponenziali dobbiamo prima occuparci delle loro inverse, che sono le
funzioni logaritmiche.
6.3
Logaritmi
I logaritmi sono nati come strumento di calcolo. Fino a non molto tempo fa eseguire
calcoli a mano era essenzialmente l’unica possibilità; quando i calcoli da eseguire
coinvolgevano numeri con molte cifre il tempo richiesto era molto e alta era anche
la probabilità di commettere errori.
Non tutte le operazioni algebriche tra numeri hanno però lo stesso grado di complicazione: se vogliamo per esempio operare con numeri di 10 cifre, per eseguire una
somma sono necessarie 10 somme elementari (cioè tra numeri di una sola cifra), mentre per una moltiplicazione sono necessarie 100 moltiplicazioni elementari, seguite
da una somma di 10 addendi e il risultato avrà 19 o 20 cifre. Ancor più complicate
sono operazioni quali la divisione, l’elevamento a potenza e l’estrazione di radice.
Mediante l’uso dei logaritmi si possono trasformare operazioni più complicate in
altre più semplici: prodotti in somme, divisioni in differenze, potenze in prodotti e
radici in quozienti.
Le tavole logaritmiche, alla cui composizione si dedicarono il matematico Napier (latinizzato Nepero: 1550-1617) e il suo allievo Briggs, permettono un veloce
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passaggio dai numeri su cui si vuole eseguire un calcolo ai loro logaritmi e poi dal
logaritmo del risultato al risultato stesso. Attualmente i logaritmi non vengono più
usati a questo scopo poiché i calcoli un po’ complicati si eseguono abitualmente mediante calcolatrici o computer, ma rimangono importanti nelle applicazioni sia per
la costruzione di modelli, sia per il disegno di grafici.
Definizione 6.7. Dati due numeri reali positivi a e c con a $= 1 si dice il logaritmo
in base a di c, denotato loga (c), l’esponente z che si deve dare alla base a per
ottenere c ossia loga (c) è definito dalla relazione:
z = loga (c) ⇐⇒ az = c.
L’idea dei logaritmi è tutta lı̀: i logaritmi sono degli esponenti. Notiamo che,
come già osservato, se a > 0 e z1 $= z2 allora az1 $= az2 e quindi la definizione di
logaritmo è univoca poiché non vi possono essere due diverse soluzioni dell’equazione
az = c.
Ricordiamo che i numeri della forma az con a > 0 sono tutti positivi, qualsiasi
sia z; allora potremo calcolare il logaritmo di un numero c, che equivale a risolvere
l’equazione az = c, soltanto se c è positivo.
Inoltre le condizioni sulla base (a > 0 e a $= 1) sono quelle naturali perché la
definizione abbia senso per molti valori di c.
Esempio 6.8. Per calcolare log2 (8) dobbiamo determinare l’esponente
z tale che
√
z
3
8 = 2 : poiché 8 = 2 si ha log2 (8) = 3. Analogamente, poiché 3 = 9 = 91/2 , si ha
log9 (3) = 12 .
Dalle proprietà delle potenze segue la formula più importante relativa ai logaritmi, quella di trasformare prodotti in somme:
loga (c1 · c2 ) = loga (c1 ) + loga (c2 )
ossia il logaritmo di un prodotto è la somma dei logaritmi dei due fattori.
Dalla definizione di logaritmo e dalla formula precedente si possono poi ricavare
come conseguenza altre proprietà come:
loga (1) = 0
(poiché a0 = 1)
loga (a) = 1
(poiché a1 = a)
aloga (b) = b
(per definizione di logaritmo)
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
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Capitolo 6
loga (b) · logb (a) = 1
(poiché aloga (b)·logb (a) = (aloga (b) )logb (a) = blogb (a) = a = a1 e gli esponenti sono
univocamente determinati)
loga ( cc12 ) = loga (c1 ) − loga (c2 )
(sottraendo loga (c2 ) dai due membri di loga (c1 ) = loga ( cc12 ) + loga (c2 ).)
loga (cn ) = nloga (c)
(se az = c allora anz = (az )n = cn ).
Prima di applicare qualcuna di queste formule a logaritmi di espressioni incognite
o variabili, sarà sempre opportuno stabilire per quali valori delle lettere le espressioni
coinvolte in entrambi i membri hanno senso.
Esempio 6.9. Vogliamo risolvere l’equazione log3 (x) + log3 (9x − 8) = 0. Se applichiamo le proprietà dei logaritmi, troviamo log3 (x(9x − 8)) = 0 che è vera se e
solo se x(9x − 8) = 1 (poiché log3 (1) = 0). Troviamo cosı̀ le due soluzioni x = 1 e
x = − 19 ; la prima è corretta (come si può verificare per sostituzione nell’equazione
iniziale), mentre per x = − 19 l’equazione iniziale non ha senso. Prima di applicare
la formula del prodotto avremmo dovuto porre le condizioni di esistenza x > 0 e
x > 98 da cui x ∈ ( 89 , +∞).
Nell’esercizio precedente, per risolvere l’equazione, abbiamo fatto ricorso alla
proprietà dei logaritmi, dedotta da quella analoga degli esponenziali, che non esistono
numeri diversi con lo stesso logaritmo:
loga (x1 ) = loga (x2 ) ⇐⇒ x1 = x2 .
Per quel che riguarda le disequazioni che coinvolgono i logaritmi, è necessario
tenere conto, come già per gli esponenziali, anche del fatto che la base sia maggiore
oppure minore di 1.
Se a > 1 allora:
x1 > x2
=⇒
loga (x1 ) > loga (x2 )
Se a < 1 allora:
x1 > x2
=⇒
loga (x1 ) < loga (x2 )
In altre parole: logaritmi in base a > 1 conservano le diseguaglianze, mentre
logaritmi in base a < 1 rovesciano le diseguaglianze.
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Funzioni Elementari
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Esempio 6.10. Vogliamo risolvere le disequazioni log2 (3x−1) > 1 e log0,5 (3x−1) >
1. Prima di tutto imponiamo per entrambe le disequazioni la condizione di esistenza
3x − 1 > 0
Quindi nel primo caso scriviamo log2 (3x − 1) > log2 (2) da cui 3x − 1 > 2 e,
tenuto conto anche delle condizione di esistenza, otteniamo le soluzioni x ∈ (1, +∞).
Nel secondo caso scriviamo log0,5 (3x−1) > log0,5 (0, 5) da cui 3x−1 < 0, 5 da cui,
tenuto conto anche delle condizione di esistenza, otteniamo le soluzioni x ∈ ( 13 , 12 ).
Una proprietà molto importante dei logaritmi è la seguente:
i logaritmi rispetto a due basi diverse sono proporzionali tra loro.
Per esempio i logaritmi in base 3 e in base 9 sono semplicemente l’uno doppio
dell’altro:
log9 (c) = z ⇐⇒ c = 9z ⇐⇒ c = (32 )z = 32z ⇐⇒ log3 (c) = 2z.
Un’analoga relazione vale tra due qualsiasi basi diverse e la costante di proporzionalità è proprio l’esponente che devo dare ad una per ottenere l’altra, cioè tale
costante è un logaritmo. Si ottiene cosı̀ la
Formula di cambiamento di base:
loga (x) = loga (b) · logb (x)
Infatti aloga (b)·logb (x) = (aloga (b) )logb (x) = blogb (x) = x.
Potremo quindi limitarci a considerare i logaritmi nella base che preferiamo, ad
esempio i logaritmi in base 10 oppure nella base naturale e.
Logaritmi decimali
Esaminiamo ora il problema della scelta della base a rispetto alla quale calcolare i
logaritmi. Abbiamo affermato che ogni scelta è corretta (purché positiva e diversa
da 1), ma non tutte sono altrettanto comode. Una delle più comuni è la base 10
(10 come le cifre che usiamo nella nostra numerazione posizionale); per indicare
i logaritmi decimali, ossia i logaritmi in base 10, non si usa di solito la scrittura
log10 (b), ma si preferisce Log(b), in cui la base 10 è sottintesa.
Scegliere 10 come base ha il vantaggio di permettere il calcolo immediato di una
parte del valore di Log(b) ed esattamente della sua parte intera.
Esempio 6.11. Calcoliamo, usando la calcolatrice:
Log(521) = 2, 7168377 = 2 + 0, 7168377
Log(5, 21) = 0, 7168377 = 0 + 0, 7168377
Log(0, 000521) = −3, 2831623 = −4 + 0, 7168377
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
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Capitolo 6
Come si può vedere abbiamo ogni volta una stessa parte decimale a cui va sommato
un numero intero, positivo o negativo, che corrisponde esattamente all’ordine di
grandezza del numero di partenza: 521 ha ordine di grandezza 2 cioè delle centinaia,
5, 21 ha ordine di grandezza 0 cioè delle unità, 0, 000521 ha ordine di grandezza −4
cioè dei decimillesimi.
Nel linguaggio scientifico sono spesso coinvolti numeri molto grandi o molto
piccoli, di difficile lettura immediata; in tal caso è opportuno adottare la cosiddetta notazione scientifica, che mette meglio in evidenza l’ordine di grandezza dei
numeri.
Esempio 6.12. La scrittura di 2457, 21 in notazione scientifica è 2, 45721·103 poiché
3 è l’ordine di grandezza di 2457, 21. Analogamente 0, 0000579 = 5, 79 · 10−5 dove
−5 è l’ordine di grandezza di 0, 0000579.
Ogni numero (positivo) x si può scrivere come il prodotto di un numero y compreso tra 1 e 10 (più precisamente 1 ≤ x < 10), moltiplicato per un’opportuna
potenza di 10 :
x = y · 10n .
Calcolando il logaritmo decimale dei due membri avremo allora:
Log(x) = Log(y) + n dove 0 ≤ Log(y) < 1 e n ∈ N.
Notiamo che i valori di Log(y) potevano essere calcolati con una buona approssimazione anche in passato mediante le tavole logaritmiche. La scrittura di un numero
x in notazione scientifica x = y + 10n consentiva quindi il calcolo (approssimato)
del suo logaritmo decimale mediante le tavole; Log(y) e n si dicono rispettivamente
mantissa e caratteristica di Log(x).
Il numero e di Nepero.
La base 10 non è l’unica ad essere usata comunemente; in alcuni casi è utile la
base 2, per esempio per valutare lunghezze di numeri o di calcoli nella notazione
posizionale in base 2 utilizzata dai calcolatori. Vi è però un’altra base molto usata,
detta base naturale, la cui utilità e naturalezza è indiscutibile ma tutt’altro che
ovvia: cercheremo ora di darne una motivazione intuitiva.
Proviamo a calcolare la differenza tra i logaritmi di due numeri molto vicini, più
esattamente di due numeri, che indicheremo con b e b + ∆, la cui differenza ∆ sia
piccola in rapporto ad essi:
loga (b + ∆) − loga (b) = loga (
∆
b+∆
) = loga (1 + ).
b
b
Esempio 6.13. Scegliamo b = 1 e poi in sequenza ∆ = 0, 01, 0, 001, 0, 0001,
0, 00001. Calcoliamo i logaritmi decimali di 1 + ∆ e poi scriviamo il risultato in
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Funzioni Elementari
81
notazione scientifica:
Log(1 + 10−2 )
Log(1 + 10−3 )
Log(1 + 10−4 )
Log(1 + 10−5 )
=
=
=
=
Log(1, 01)
Log(1, 001)
Log(1, 0001)
Log(1, 00001)
=
=
=
=
0, 004321373 . . .
0, 000434077 . . .
0, 000043427 . . .
0, 000004342 . . .
∼
∼
∼
∼
0, 43 · 10−2
0, 43 · 10−3
0, 43 · 10−4
0, 43 · 10−5
Come si può vedere i valori ottenuti sono grosso modo proporzionali a ∆ cioè
Log(1 + ∆) ∼ ∆ · 0, 43 . . . .
Se nell’esempio precedente avessimo utilizzato una qualsiasi altra base invece che
la base 10 avremmo trovato la stessa relazione, solo con una diversa costante: per
la base 2 la costante sarebbe stata 1, 44 . . . , per la base 0, 2 sarebbe stata −0, 62 . . .
e cosı̀ via.
Vi è una sola base per la quale la costante vale 1; purtroppo tale base non è un
“bel numero”, cioè un numero intero oppure una frazione facile, anzi è un numero
irrazionale, il numero di Nepero e = 2, 7182818 . . . .
I logaritmi in base e si indicano di solito col simbolo ln, invece che loge , “l ”come
logaritmo e “n”come naturale.
La base e è allora l’unica base per la quale si ha ln(1 + ∆) ∼ ∆ con precisione
tanto maggiore, quanto più piccolo è ∆ . Scegliendo per esempio 1 + ∆ = 1 + n1 con
n numero naturale “grande”si ottiene ln(1 + n1 ) ∼ n1 da cui nln(1 + n1 ) ∼ 1 e quindi,
per le proprietà dei logaritmi, ln((1 + n1 )n ) ∼ 1 = ln(e); questo significa che (1 + n1 )n
è molto vicino al numero e, tanto più vicino quanto più grande è n. Possiamo cosı̀
calcolare tante cifre decimali di e quante vogliamo.
La scelta della base e genera notevoli semplificazioni nel calcolo di derivate ed
integrali, come vedremo nel seguito.
Le funzioni logaritmiche
A partire dai logaritmi loga (c), considerando fissata la base a e facendo variare
l’argomento c, ossia ponendo c = x variabile indipendente, otteniamo una funzione:
loga : R+ −→ R data da x -→ loga (x)
detta appunto funzione logaritmo in base a.
La funzione logaritmo in base a è la funzione inversa dell’esponenziale in
base a; dalla definizione stessa di logaritmo si ottiene infatti che per ogni numero
reale positivo x si ha:
y = loga (x) ⇐⇒ ay = x.
Grazie alle proprietà dei logaritmi viste in precedenza, potremo riportare il caso
generale della funzione logaritmo in una qualsiasi base a ai logaritmi in base 10
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
82
Capitolo 6
oppure in base e. Si ha infatti:
loga (x) = k · Log(x) = h · ln(x) dove k =
1
1
eh=
.
Log(a)
ln(a)
Possiamo poi utilizzare i logaritmi per ricondurre ogni funzione esponenziale f (x) =
ax ad una funzione esponenziale nella base che preferiamo (ad esempio la base 2, la
base 10 oppure la base naturale e) poiché per ogni base b si ha:
ax = blogb (a)x
e quindi in particolare:
ax = 10αx dove α = Log(a) oppure ax = eβx dove β = ln(a).
Riepiloghiamo in una tabella tutte le formule sui logaritmi viste fino ad ora.
Proprietà dei logaritmi
Inversa dell’esponenziale
loga (x) = y ⇐⇒ ay = x
Prodotto
loga (x1 x2 ) = loga (x1 ) + loga (x2 )
Rapporto
loga ( xx12 ) = loga (x1 ) − loga (x2 )
Potenza
loga (xα ) = αloga (x)
loga (x) =
Cambiamenti di base
1
logc (a)
· logc (x)
ax = blogb (a)x
Come già sottolineato in precedenza la validità delle formule precedenti è limitato
ai valori dell’incognita (o delle incognite) per cui entrambi i membri sono definiti.
Il grafico delle funzioni logaritmiche
si ottiene facilmente dal grafico funzioni esponenziali ribaltando rispetto
alla bisettrice del primo e terzo quadrante. I grafici che si ottengono, anche
se sempre diversi per basi diverse, hanno tutti in comune il punto P (1, 0) e
sono essenzialmente di due soli tipi a seconda che la base sia a > 1 oppure 0 < a < 1.
Per a > 1 sono crescenti, con concavità verso il basso, tendono a −∞ per x → 0+
e a +∞ per x → +∞, mentre per Per 0 < a < 1 sono decrescenti, con concavità
verso l’alto, tendono a +∞ per x → 0+ e a −∞ per x → +∞.
S. Console – M. Roggero – D. Romagnoli
Funzioni Elementari
83
Notiamo che le basi più importanti, ossia 10 ed
e sono entrambe > 1. Nel disegno a fianco sono
messi a confronto i due casi; si può notare che nel
punto (0, 1) i due grafici si incrociano, poiché per
valori di x maggiori di 1 il logaritmo decimale è
minore del logaritmo naturale, mentre per valori
di x inferiori a 1 il logaritmo decimale è superiore
a quello naturale. Lo stesso tipo di raffronto vale
più generalmente per per due basi generiche a, b con 1 < a < b.
Osservazione 6.14. Tra tutte le funzioni logaritmiche, quella in base e è l’unica che ha come retta tangente nel punto
comune (1, 0) quella parallela alla bisettrice; analogamente
tra tutte le funzioni esponenziali quella in base e è l’unica che ha come tangente nel punto comune (0, 1) quella
parallela alla bisettrice. Ricordiamo che le funzioni ln(x)
e ex sono l’una inversa dell’altra e quindi i loro grafici si
ottengono uno dall’altro con un ribaltamento rispetto alla
bisettrice stessa).
I logaritmi e la misura delle sensazioni.
Se proviamo a stimare la lunghezza di alcuni oggetti (per esempio un chicco di riso,
il nostro pollice, un corridoio, la strada da casa alla stazione,. . . ) “ad occhio”e
poi confrontiamo la nostra stima col valore corretto, ci accorgiamo che la nostra
valutazione si discosta un po’ dalla realtà, ma, di solito, l’ordine di grandezza è
quello giusto. Chi mai potrebbe sbagliare di molti centimetri la lunghezza di un
chicco di riso oppure di metri la lunghezza di un suo dito? La nostra capacità di
fare stime non ha un ordine di precisione assoluto; l’errore ha solitamente lo stesso
ordine di grandezza della lunghezza da stimare: più grande essa è, maggiore sarà il
margine di incertezza. Per capire se siamo bravi o meno nel valutare lunghezze non
ha, quindi, senso calcolare la differenza:
misura stimata - misura reale
ma è più significativo il rapporto
misura stimata
misura reale
che rappresenta la percentuale di errore.
In questo siamo diversi dalle macchine: la bilancia del panettiere rileva la stessa
variazione di peso dovuta all’aggiunta di un panino, sia se inizialmente vi è sul
piatto un solo panino, sia se già vi si trovano altri 20 panini. Noi invece siamo
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
84
Capitolo 6
perfettamente in grado di distinguere tra il peso di 1 e di 2 panini, ma difficilmente
saremmo in grado di percepire la differenza di peso tra 20 e di 21 panini. Il motivo
è che la bilancia valuta le differenze (la differenza 2 − 1 è esattamente uguale alla
differenza 21 − 20), mentre noi percepiamo come differenza ciò che in realtà è un
rapporto (la differenza di peso tra 1 e 2 panini risulta per noi più sensibile di quella
tra 20 e 21, poiché il rapporto 2−1
1 = 1 = 100% è molto più grande del rapporto
21−20
=
0,
05
=
5%
).
20
In altre parole la “differenza ”tra a e b da noi percepita non è proporzionale
a b − a ma a ab ossia alla differenza log(b) − log(a). Questa nostra caratteristica
ci permette di percepire, confrontare e stimare, in modo sufficientemente corretto,
stimoli esterni la cui intensità varia in uno spettro molto ampio.
Per questa corrispondenza “sensazione ↔ log(stimolo)”alcune grandezze fisiche,
che possono anche riguardare sensazioni, sono misurate in due modi essenzialmente
diversi, uno “oggettivo”e l’altro “soggettivo”, legati da una relazione in cui interviene
il logaritmo.
Esempio 6.15. L’intensità di un suono può essere misurata in modo oggettivo come
potenza esercitata dalle onde sonore per unità di superficie in W att/metro2 , oppure
come sonorità percepita dall’orecchio in decibel: se un suono ha intensità I W/m2 ,
la sua sonorità è S = 10Log(I) + b (b è una costante opportuna).
Supponiamo che a un rumore di intensità I1 se ne aggiunga un altro di intensità
I2 : avremo allora un rumore di intensità I = I1 + I2 con un aumento I − I1 = I2
esattamente pari, come è ovvio, all’intensità del secondo rumore. Se invece misuriamo le sonorità iniziale D1 = 10Log(I1 ) + b e finale D = 10Log(I1 + I2 ) + b, ci
accorgiamo che l’aumento di sonorità
D − D1 = 10Log(I1 + I2 ) + b − 10Log(I1 ) − b = 10Log(
I1 + I2
)
I1
non dipende solo dall’intensità del rumore che si è aggiunto, ma anche dal livello del
rumore iniziale. Per questo uno stesso volume di voce può risultare perfettamente
comprensibile in un ambiente silenzioso (perché I1 è piccolo rispetto a I2 ) ed essere
poco comprensibile o, addirittura, non udibile in un ambiente molto rumoroso (I1
grande rispetto a I2 ).
6.4
I polinomi
Richiami sui polinomi
Un polinomio F (x) (in una variabile a coefficienti reali) è una espressione del tipo
an xn + a1 xn−1 + a2 xn−2 + ... + an−1 x + an
S. Console – M. Roggero – D. Romagnoli
Funzioni Elementari
85
Se an $= 0, il grado del polinomio è n e an è il suo coefficiente direttivo.
Possiamo associare ad ogni polinomio F (x) una equazione F (x) = 0; se il numero F (a), che si ottiene sostituendo a al posto della x in F (x) è 0, diremo che a è
soluzione dell’equazione F (x) = 0 o anche che a è una radice del polinomio
F (x). Prima di risolvere una equazione è conveniente ricondurci al caso di un polinomio monico, ossia con coefficiente direttivo 1 dividendo tutti i coefficienti per il
coefficiente direttivo an .
L’equazione di primo grado
x+a=0
si risolve immediatamente:
L’equazione di secondo grado
x = −a.
x2 + px + q = 0
era già stata risolta nella remota antichità. La sua soluzione è assai semplice:
2
aggiungendo ai due membri p4 − q, otteniamo:
x2 + px +
Ma
x2 + px +
p2
p2
=
−q
4
4
p2
p
= (x + )2
4
2
e quindi
!
p2
p
−q
x+ =±
2
4
da cui si ricavano le soluzioni dell’equazione quadratica:
"
"
−p + p2 − 4q
−p − p2 − 4q
x1 =
e
x2 =
.
2
2
La quantità p2 − 4q si chiama discriminante e viene spesso indicata con la lettera
greca ∆.
Quando ∆ è positivo, questa formula ci fornisce 2 soluzioni distinte x1 e x2 .
Quando ∆ è nullo, l’equazione ha la soluzione x1 = − p4 , unica ma ‘‘da contare come
doppia’’: il significato sarà chiarito mediante il Teorema di Ruffini.
Quando ∆ è negativo, l’equazione non ha soluzioni reali.
Si conoscono formule risolutive (complicate) anche per le equazioni di terzo e
quarto grado, ma non per le equazioni di grado superiore al quinto; anzi è noto che
queste formule non possono esistere. Nelle applicazioni in genere quando si devono
risolvere equazioni di grado altro, si ricorre ad uno dei tanti metodi che forniscono
soluzioni approssimate.
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
86
Capitolo 6
Per sapere se un dato numero a è oppure non è soluzione di una certa equazione
F (x) = 0, non è necessario conoscere una formula risolutiva per quell’equazione, ma
è sufficiente eseguire una sostituzione.
Esempio 6.16. Pur non conoscendo il modo di risolvere le equazioni di quinto
grado possiamo dire che il numero 1 è soluzione dell’equazione x5 − 3x2 + 2 = 0,
poiché 15 − 3 · 12 + 2 = 0, mentre il numero −1 non è una sua soluzione poiché
(−1)5 − 3 · (−1)2 + 2 = −2 $= 0.
Teorema 6.17 (Ruffini). Siano F (x) un polinomio di grado n e c un numero reale.
Allora:
c è una radice di F (x) = 0 se e soltanto se F (x) si può fattorizzare nel prodotto
di x − c per un polinomio di grado n − 1.
Dimostrazione. Per sapere se un numero c è radice del polinomio F (x) possiamo
eseguire la divisione con resto di F (x) per il polinomio di primo grado x − c
ottenendo:
F (x) = (x − c) · G(x) + r
dove r è un polinomio di grado inferiore al grado di x − c, ossia r è un numero reale.
Sostituendo poi c al posto di x nei due membri si ottiene F (c) = r e quindi c è radice
di F (x) se e soltanto se r = 0 ossia se e soltanto se F (x) = (x − c) · G(x).
Come conseguenza di questo importante risultato possiamo definire in modo
preciso la molteplicità della soluzione c per l’equazione F (x) = 0 (o della radice
c del polinomio F (x)):
Definizione 6.18. Si dice che c è una soluzione di F (x) = 0 di molteplicità k se
F (x) è divisibile esattamente per (x − c)k , ma non è divisibile per (x − c)k+1 .
Se F (x) = G1 (x) · G2 (x) allora c è radice di F (x) se e soltanto se è radice di
almeno uno dei fattori G1 (x) o G2 (x).
Più precisamente la molteplicità di c come radice di F (x) è la somma delle
molteplicità come radice di G1 (x) e di G2 (x).
Come conseguenza del Teorema di Ruffini si può allora provare che:
una equazione polinomiale di grado n ha al massimo n radici, anche
contando la molteplicità di ciascuna.
Poiché la difficoltà di risolvere le equazioni polinomiali è esattamente la difficoltà
di fattorizzare i polinomi in fattori di grado inferiore, un’equazione che si presenti
già totalmente o parzialmente fattorizzata costituisce una notevole semplificazione.
Eseguire i prodotti e poi accingersi a risolvere l’equazione ottenuta significa vanificare
il vantaggio iniziale.
S. Console – M. Roggero – D. Romagnoli
Funzioni Elementari
87
Esempio 6.19. L’equazione (x−2)(x− 43 )(x−1)(x+7)(x−π)2 = 0, pur avendo grado
6, si risolve immediatamente. Le sue soluzioni sono 2, 43 , 1, −7 e π (quest’ultima
soluzione ha molteplicità 2). Poiché la somma delle molteplicità è 6 come il grado
dell’equazione, abbiamo sicuramente trovato tutte le soluzioni.
Esempio 6.20. L’equazione (x2 −2x−6)(x2 +2x−1)(x+ 12 )x = 0, pur avendo grado
6, richiede per la sua soluzione soltanto la formula risolutiva delle equazioni di secondo grado. Le sue soluzioni sono infatti, oltre a − 12 e 0, le soluzioni dell’equazione
x2 − 2x − 6 = 0 e le soluzioni dell’equazione x2 + 2x − 1 = 0.
√
Esempio 6.21. L’equazione (x − 1)(x − 3) = 0 è già fattorizzata nel prodotto
di due fattori√di primo grado e quindi si risolve immediatamente: le soluzioni sono
a = 1 e b = 3.
Se invece di procedere in questo modo, decidiamo di eseguire il prodotto e poi
risolvere mediante
la formula risolutiva per le equazioni di secondo grado, otteniamo
√
√
x2 − (1 + 3)x + 3 = 0 e quindi le due soluzioni:
√ "
√
√
√ "
√
√
1+ 3− 2 2− 3
1+ 3+ 2 2− 3
e d=
.
c=
2
2
Poiché una equazione di secondo grado non può avere 4 soluzioni, i numeri c e d
devono coincidere con a e b. Quale dei due è a?
Anche se i numeri reali sono veramente ‘’tanti’’, quelli che si usano in pratica (ad
esempio negli esercizi o nelle applicazioni) sono relativamente pochi: numeri interi
‘’piccoli’’, numeri razionali (sia sotto forma
di
frazioni sia sotto forma di numeri
√
√
5
decimali finiti), qualche radicale (come 3 o 2) e qualche trascendente (come
π oppure e).
Non è cosı̀ raro quindi incontrare equazioni in cui tutti i coefficienti sono numeri
interi oppure al massimo razionali. Neppure per queste particolari equazioni esistono formule risolutive generali, ossia che permettono di trovare sempre le eventuali
soluzioni reali.
Esempio 6.22. Dalle proprietà che esamineremo nei prossimi paragrafi sarà chiaro
che l’equazione x5 − 16x + 2 = 0 ha almeno una soluzione reale (anzi ne ha ben
3). Però si può dimostrare che tali soluzioni non sono esprimibili mediante una
formula per radicali e che quindi questa semplice equazione è una di quelle che non
si possono risolvere.
Tuttavia, è sempre possibile, eseguendo un po’ di calcoli, determinare tutte le
soluzioni razionali di una equazione a coefficienti razionali, ammesso che ce
ne siano.
Trasformiamo innanzi tutto l’equazione in una con coefficienti interi, moltiplicando se necessario per un denominatore comune, ottenendo:
a0 xn + a1 xn−1 + a2 xn−2 + ... + an−1 x + an = 0
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
88
Capitolo 6
dove i coefficienti a0 , · · · , an sono numeri interi. Possiamo supporre an $= 0 (in caso
contrario 0 è una soluzione e possiamo dividere il polinomio per x).
Ogni sua soluzione razionale cb , dove b, c sono numeri interi senza fattori comuni,
avrà la proprietà che il suo numeratore b è un divisore del termine noto an e il suo
denominatore c è un divisore del coefficiente direttivo a0 .
Per verificarlo è sufficiente sostituire cb nell’equazione e poi moltiplicare i due
membri per cn ; si ottiene infatti:
a0 bn + a1 bn−1 c + · · · + an−1 bcn−1 + an cn = 0.
Possiamo raccogliere b dai primi n addendi e portare l’ultimo a secondo membro:
b(a0 bn−1 + a1 bn−2 c + · · · + an−1 cn−1 ) = −an cn .
Poiché b non ha fattori in comune con c, allora deve dividere an ; allo stesso modo
si prova che c deve dividere a0 .
Per trovare le soluzioni razionali, sarà allora sufficiente scrivere l’elenco di tutte
le frazioni che si ottengono mettendo un divisore di an al numeratore e un divisore
di a0 al denominatore e sostituirle una ad una nell’equazione, per vedere se qualcuna
tra esse è una soluzione.
Con un metodo simile a questo è possibile controllare se un polinomio a coefficienti interi è o meno decomponibile nel prodotto di due polinomi di grado minore,
ancora a coefficienti interi (o razionali).
Un consiglio: ogni volta che si è cosı̀ fortunati da trovare una soluzione cb dell’equazione, conviene ricorrere al Teorema di Ruffini, dividendo il polinomio a primo
membro per (x − cb ) o meglio ancora per (cx − b) in modo da abbassare il grado
dell’equazione.
Esempio 6.23. Vogliamo risolvere l’equazione F (x) = 0 dove F (x) = 40x5 −58x4 −
5x3 + 13x2 − 17x + 3.
I divisori b di 3 sono: 1, −1, 3, −3 .
I divisori c di 40 sono: 1, 2, 4, 5, 8, 10, 20, 40 (NB: possiamo prendere c > 0).
Ci sono 32 possibili frazioni cb da provare: 1, 12 , 14 , . . . . . . .
Dopo tre tentativi negativi, troviamo che 15 è una soluzione.
Invece di continuare la verifica, dividiamo F (x) per 5x − 1 ottenendo F (x) =
(5x − 1)G(x) dove G(x) = 8x4 − 10x3 − 3x2 + 2x − 3.
Procedendo come prima scopriamo che 32 è una radice di G(x) (e quindi anche di
F (x)!)
Dividendo G(x) per (2x − 3) otteniamo H(x) = 4x3 + x2 + 1.
Ripetendo ancora una volta il procedimento per H(x) = 0, scopriamo che non vi sono
ulteriori soluzioni razionali; però ora il grado è 3 e quindi potremmo determinare le
rimanenti soluzioni mediante le formule risolutive.
S. Console – M. Roggero – D. Romagnoli
Funzioni Elementari
89
Funzioni polinomiali
Ad ogni polinomio F (x) possiamo associare una funzione, quella data dall’espressione y = F (x). Possiamo anche pensare alle funzioni polinomiali come ottenibili dalle funzioni potenza mediante operazioni algebriche di somma e prodotto per
numeri.
Il grafico della funzione y = F (x) ci permette di visualizzare e mettere in evidenza
molte proprietà dei polinomi e, viceversa, conoscere le proprietà dei polinomi può
aiutarci a tracciare un grafico corretto.
Ai polinomi costanti corrispondono funzioni che hanno come grafico una retta
orizzontale. Ai polinomi di grado 1, rette oblique. Ai polinomi di grado 2 parabole
con l’asse parallelo all’asse y.
Meno familiari sono i grafici di funzioni polinomiali di grado ≥ 3. L’andamento
può variare molto a seconda del grado e dei coefficienti, ma tutti i grafici di funzioni
polinomiali hanno alcune proprietà in comune.
La prima è che tutte le funzioni polinomiali sono continue su tutto R.
Inoltre due polinomi differenti danno sempre luogo a grafici differenti; anzi, i
grafici corrispondenti a due polinomi diversi si incontrano soltanto in un numero
finito di punti, al più in tanti punti quanto è il maggiore dei loro gradi. Infatti
i grafici di y = F (x) e di y = G(x) si incontrano nel punto (a, b) se b = F (a) e
b = G(a) e quindi in particolare se a è una soluzione dell’equazione polinomiale
F (x) − G(x) = 0. Se i due polinomi sono diversi, il polinomio F (x) − G(x) non è il
polinomio nullo e quindi ci sono solo un numero finito di soluzioni per l’equazione
F (x) − G(x) = 0.
Questa proprietà va sotto il nome di principio di identità dei polinomi.
In particolare possiamo considerare il caso in cui G(x) sia il polinomio nullo;
allora dal principio di identità dei polinomi discende che il grafico di y = F (x)
incontra l’asse x soltanto un numero finito di volte, tante quante sono le radici di
F (x).
Più precisamente possiamo dire che ogni radice di F (x) fa attraversare l’asse x
al grafico della funzione y = F (x); una radice doppia a fa sı̀ che il grafico “attraversi
due volte” l’asse x nel punto (a, 0) cosicché il grafico “tocca” l’asse x, ma rimane
dalla stessa parte; se la molteplicità della radice a è k, il grafico attraversa l’asse x k
volte nel punto (a, 0) e quindi passa dalla parte opposta oppure rimane dalla stessa
parte a seconda che k sia dispari oppure pari.
Inoltre, se fissiamo un qualsiasi numero naturale n, il grafico di una funzione
polinomiale (non costante) esce da ogni “striscia” orizzontale −n ≤ y ≤ n per
x 0 0 e per x 1 0 ossia:
lim F (x) = ∞.
x→∞
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
90
Capitolo 6
Più precisamente:
se il grado di F (x) è pari, il grafico sale al di sopra di ogni striscia sia per x
grande sia per x piccolo, se il coefficiente direttivo di F (x) è positivo e scende
al disotto di ogni striscia da entrambe le parti se il coefficiente direttivo di
F (x) è negativo;
se il grado di F (x) è dispari e il coefficiente direttivo di F (x) è positivo il
grafico sale al di sopra di ogni striscia per x grande e scende al disotto per x
piccolo; l’andamento si rovescia se il coefficiente direttivo di F (x) è negativo;
se confrontiamo il grafico di due funzioni polinomiali y = F (x) e y = G(x),
vediamo che la funzione con grado maggiore cresce (rispettivamente: decresce)
più velocemente dell’altra almeno per x → ∞.
Esempio 6.24. Tracciamo il grafico della funzione
f (x) = −2(x−3)(x+2)x tenendo conto delle intersezioni con gli assi date delle radici del polinomio
−2(x − 3)(x + 2)x e dei limiti agli estremi che possiamo dedurre dal segno del coefficiente direttivo e
dal grado totale.
6.5
Riferimenti logaritmici e semilogaritmici
Spesso per rappresentare come punti di un piano dei dati empirici ciascuno dei quali
è costituito da una coppia di numeri risulta utile il ricorso a sistemi di riferimento
un po’ differenti da quello abituale. Se ad esempio i numeri che costituiscono tali
dati hanno ordine di grandezza che differiscono molto tra di loro, la scelta di unità
di misura grandi porterebbe alla necessità di utilizzare fogli molto grandi e, d’altra
parte, la scelta di unità di misura piccole renderebbe poco significative le differenze
tra i numeri con ordine di grandezza inferiori. Per toccare con mano la difficoltà
si provi a disegnare in uno stesso grafico i punti seguenti: A = (0, 5 , 0, 3), B =
(0.2 , 0.4), C = (1 , 20), D = (5 , 0.11), E = (0.5 , 135), F = (612 , 82500).
In questi casi spesso è utile utilizzare un riferimento nel piano ottenuto assegnando la corrispondenza tra punti dell’asse delle ascisse (e/o delle ordinate) nel modo
seguente:
un punto P corrisponde al numero x se il segmento orientato OP misura Log(x).
Il seguente disegno mostra la corrispondenza tra punti di una retta e numeri cosı̀
ottenuta.
S. Console – M. Roggero – D. Romagnoli
Funzioni Elementari
91
Nella retta in basso i numeri sono riportati secondo una convenzione spesso usata:
si faccia attenzione che ad esempio e + 7 (o anche E + 7) sta ad indicare l’ordine di
grandezza 107 e non si riferisce alla base naturale ossia al numero e di Nepero.
Se si disegnano i grafici di una funzione y = f (x) nel piano dotato di un riferimento cartesiano usuale oppure nel piano dotato di riferimento logaritmico su uno o
su entrambi gli assi, le curve ottenute nei vari casi risultano notevolmente differenti
tra loro.
i) Se si considera un riferimento logaritmico sulle ordinate, il grafico è analogo a
quello che si ottiene disegnando in un riferimento cartesiano usuale la funzione
composta Y = Log(f (x)), avendo operato il cambiamento di variabile Y =
Log(y). Questo riferimento è particolarmente comodo per disegnare le funzioni
esponenziali poiché y = ax diventa Y = Log(a)x il cui grafico è una retta.
ii) Se si considera un riferimento logaritmico sulle ascisse, la curva ottenuta coincide
col grafico della funzione composta y = f (10X ) (in un riferimento cartesiano
usuale), avendo operato il cambiamento di variabile X = Log(x). Questo
riferimento è particolarmente comodo per disegnare le funzioni logaritmiche,
poiché y = loga (x) diventa y = loga (10)X e il cui grafico è una retta.
iii) Se si considera un riferimento logaritmico sulla ascisse, la curva ottenuta coincide
col grafico della funzione composta Y = f (10X ) avendo operato i cambiamenti
di variabile X = Log(x) e Y = Log(y). Questo riferimento è particolarmente
comodo per disegnare le funzioni potenza, poiché y = xa diventa Y = aX il
cui grafico è ancora una retta.
L’uso di riferimenti semilogaritmici o logaritmici risulta particolarmente utile quando si voglia determinare un modello, ossia una funzione che corrisponda abbanza bene ad un certo insieme di dati.
Se i punti del piano che corrispondono ai dati (coppie di numeri) sono all’incirca allineati, potremo
utilizzare un modello lineare; analogamente se sono
approssimativamente allineati i punti disegnati in
uno dei riferimenti logaritmici, potremo utilizzare
funzioni esponenziali, logaritmiche oppure potenze
secondo la corrispondenza sopra accennata.
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
92
Capitolo 6
6.6
Funzioni trigonometriche e periodiche
Richiami di trigonometria
La trigonometria è essenzialmente lo studio delle relazioni che intercorrono tra le
lunghezze dei lati e le ampiezze degli angoli di un triangolo.
Per quel che riguarda le misure dei lati non ha importanza il tipo di unità di
misura che si adotta; inoltre quasi sempre saremo interessati al rapporto tra le misure
di due lati, rapporto che non dipende dall’unità di misura delle lunghezze adottata.
Per quel che riguarda la misura dell’ampiezza di un angolo, adotteremo sempre
la misura in radianti (e non quella in gradi) perché molto più semplice nei calcoli di
analisi. Poiché è meno conosciuta della misura in gradi, ne diamo la definizione.
Definizione 6.25. Si dice radiante l’angolo che in una circonferenza è individuato
da un arco lungo quanto il raggio.
L’angolo giro misura allora 2π radianti, l’angolo piatto π radianti e l’angolo retto
radianti. Conoscendo la misura in gradi β di un angolo è facile ottenere la sua
misura in radianti α mediante la formula di conversione:
π
2
α rad =
π
β.
180
Come riferimento ideale per gli angoli scegliamo la
circonferenza trigonometrica ossia la circonferenza del piano cartesiano di raggio unitario, con centro
nell’origine, e fissiamo come prima semiretta per individuare gli angoli la semiretta positiva dell’asse x.
Consideriamo poi come angoli con ampiezza positiva
quelli ottenuti “girando” in senso antiorario e come
angoli di ampiezza negativa quelli in senso orario.
Per ogni numero reale α, percorriamo sulla circonferenza trigonometrica un arco lungo |α| in senso antiorario se α > 0 e orario se
α < 0 determinando il punto P sulla circonferenza. Diciamo allora che il punto P
corrisponde ad un angolo di α radianti.
È importante saper individuare senza incertezze nella circonferenza trigonometrica gli angoli con ampiezze π2 , π4 , π3 , π6 , 32 π, − π2 , − 56 π, ecc.
Definizione 6.26. Dato un triangolo rettangolo OAB, retto in A, sia α l’angolo al
vertice O.
S. Console – M. Roggero – D. Romagnoli
Funzioni Elementari
93
Si dice coseno di α, in simboli cos(α), il rapporto tra tra la misura del lato adiacente OA e
quella dell’ipotenusa OB. Si dice seno di α, in
simboli sin(α) il rapporto tra la misura del lato
opposto AB e quella dell’ipotenusa OB. Il teorema di Pitagora sui triangoli rettangoli si può allora esprimere mediante le funzioni trigonometriche
nell’identità fondamentale:
cos(α)2 + sin(α)2 = 1.
Gli angoli di un triangolo rettangolo sono minori o uguali ad un angolo retto e quindi
le precedenti definizioni comprendono solo angoli 0 ≤ α ≤ π2 .
Per estendere le definizioni precedenti ad angoli qualsiasi (anche maggiori dell’angolo giro o negativi) posizioniamo il nostro triangolo con vertice nell’origine delle coordinate e con A sulla semiretta positiva dell’asse x; l’angolo α individua un punto P della circonferenza trigonometrica e le coordinate di P sono proprio il coseno e il
seno di α.
Definizione 6.27. Generalizziamo in questo modo le
definizioni precedenti: Sia α un qualsiasi numero reale
e sia P il punto della circonferenza trigonometrica corrispondente ad un angolo di
α radianti.
Si dice coseno di α, in simboli cos(α) l’ascissa di P .
Si dice seno di α, in simboli sin(α) l’ordinata di P .
Si dice tangente di α, il rapporto tan(α) =
Si dice cotangente di α, il rapporto cot(α)
sin(α)
cos(α) .
= cos(α)
sin(α) .
Mentre tan(α) e cot(α) possono assumere un qualsiasi valore reale, segue subito
dalla definizione che seno e coseno sono limitati, ossia:
−1 ≤ sin(α) ≤ 1
e
− 1 ≤ cos(α) ≤ 1
È opportuno ricordare a memoria i valori di seno e coseno degli angoli fondamentali;
richiamiamo solo quelli relativi agli angoli del primo quadrante (ossia compresi tra
0 e π2 , poiché gli altri si possono ricavare per simmetria.
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
94
Capitolo 6
α
0
π
6
π
4
cos(α)
1
√
1
2
3
2
√
√
2
2
π
3
sin(α)
0
2
2
√
1
2
3
2
Delle molte formule trigonometriche esistenti ne ricordiamo solo alcune che useremo nel seguito:
Periodicità Per ogni k ∈ Z si ha:
sin(α + 2kπ) = sin(α)
cos(α + 2kπ) = cos(α)
,
,
tan(α + kπ) = tan(α)
Simmetrie:
sin(−α) = − sin(α)
,
cos(−α) = cos(α)
tan(−α) = − tan(α)
,
Seno e coseno dell’angolo somma:
sin(α + β) = sin(α) cos(β) + sin(β) cos(α)
da cui per β = π2 :
sin(α +
cos(α + β) = cos(α) cos(β) − sin(α) sin(β)
π
) = cos(α)
2
,
cos(α +
π
) = − sin(α)
2
,
tan(α +
π
) = − cot(α)
2
e per α = β:
sin(2α) = 2 sin(α) cos(α)
,
cos(2α) = cos(α)2 − sin(α)2
Funzioni trigonometriche
Definizione 6.28. Si chiamano funzioni trigonometriche le funzioni y = sin(x),
y = cos(x), y = tan(x).
Ve ne sono anche altre, come cotangente, secante e cosecante, che tralasciamo
poiché possono essere ottenute dalle precedenti mediante operazioni algebriche. In
realtà anche le tre principali sono ottenibili una dall’altra come si può ricavare
dalla precedente tabella e quindi per esempio la sola funzione y = sin(x) sarebbe
sufficiente.
S. Console – M. Roggero – D. Romagnoli
Funzioni Elementari
95
I grafici delle funzioni seno e coseno, per il loro andamento si chiamano anche
sinusoidi o onde sinusoidali.
Il loro dominio è tutto R, sono ovunque continue, il loro grafico è compreso nella
striscia orizzontale −1 ≤ y ≤ 1 e assumono infinite volte il valore massimo 1 e il
valore minimo −1.
Ma la caratteristica più importante di queste due funzioni è la loro periodicità.
Definizione 6.29. Una funzione y = f (x) si dice periodica se, per ogni numero x
appartenente al dominio di f , vale la relazione:
f (x) = f (x + T )
dove T è una costante strettamente positiva. Il minimo numero positivo T0 che
soddisfa la precedente relazione si dice periodo di f .
Il grafico di una funzione periodica è allora invariante per ogni traslazione orizzontale di lunghezza T0 o multipla intera di T0 . Per disegnarlo potremo limitare
il nostro studio ad un qualsiasi intervallo di lunghezza T0 , ad esempio l’intervallo
[0, T0 ] e poi ripetere per traslazione tanti pezzi uguali, sia verso destra, sia verso
sinistra.
Le funzioni sin(x) e cos(x) sono periodiche con periodo 2π.
Anche la funzione tan(x) è periodica, ma il suo periodo è T0 = π, è più piccolo
di quello di sin(x) e cos(x).
Il dominio della funzione tangente non è tutto R poiché bisogna togliere i valori
di x per i quali cos(x) si annulla. Quindi il dominio è R \ { π2 + kπ | k ∈ Z} ossia
π
π π
π 3π
· · · ∪ (− 3π
2 , − 2 ) ∪ (− 2 , 2 ) ∪ ( 2 , 2 ) ∪ . . . .
Si noti che la funzione y = tan(x) è una funzione continua in tutto il suo dominio! I punti in
cui il grafico “salta” non sono veri punti di discontinuità poiché non fanno parte del dominio; in tali
punti il grafico della tangente presenta degli asintoti
verticali.
La funzione tangente non ammette massimi e
minimi, né assoluti, né relativi, è crescente in ogni
intervallo in cui è ovunque definita e cambia concavità (ossia presenta un flesso) in ogni punto in cui
incontra l’asse x
Come si può notare osservando i grafici (oppure ricordando le definizioni) le
funzioni seno e tangente sono dispari, mentre la funzione coseno è pari.
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
96
Capitolo 6
Funzioni periodiche
Le funzioni periodiche sono quelle che meglio si prestano a modellizzare i fenomeni
che si ripetono con regolarità, come quelli astronomici o quelli biologici conseguenti.
Con buona approssimazione ogni funzione periodica può essere ottenuta sommando
opportunamente funzioni trigonometriche di base.
Esempio 6.30. La funzione y = sin( π2 x) ha periodo 4. Infatti sin( π2 (x + 4k)) =
sin( π2 x + 2kπ)) = sin( π2 x) per ogni intero k; e inoltre 4 è il minimo numero positivo
per cui la relazione di periodicità vale.
Se A è un numero reale non nullo e B ∈ R, allora :
y = sin(Ax + B) è periodica con periodo
2π
|A|
2π
al posto di x con k ∈ Z.
come si può verificare sostituendo x + k |A|
Più in generale, se y = f (x) è periodica con periodo T , la funzione y = f (Ax+B)
T
è periodica con periodo |A|
.
Se usiamo funzioni periodiche per costruire funzioni più complesse mediante
operazioni algebriche o composizione, a volte otterremo ancora funzioni periodiche,
a volte no.
Se f (x) è periodica con periodo T1 e g(x) è periodica con periodo T2 , allora la
funzione somma y = f (x) + g(x) è periodica se e soltanto se il rapporto T1 : T2
è un numero razionale e, in caso affermativo, il suo periodo è il minimo multiplo
intero dei due periodi ossia il minimo numero reale T tale che T = nT1 = mT2 con
n, m ∈ N. Per calcolare il periodo T basta scrivere TT12 come frazione di due numeri
naturali m
n ridotta ai minimi termini.
Lo stesso capita relativamente alle funzioni f (x)g(x), f (x)/g(x), af (x) + bg(x)
ecc.
√
Esempio 6.31. Le funzioni y = sin(x)+cos(πx) e y = sin( x) non sono periodiche
mentre y = sin(3x) + cos( 51 x) è periodica con periodo 10π.
√
Esempio 6.32. La funzione y = sin( 12x) + cos( √13 x) è periodica poiché √2π12 :
√
√2π
= 16 ∈ Q e il suo periodo è T = 6 √2π12 = (√2π
= 2 3π.
( 3)−1
3)−1
Esempio 6.33. La funzione y = sin(A1 x) + cos(A2 x) è periodica se e solo se
A2
2π
2π
A1 : A2 = A1 ∈ Q Naturalmente la stessa proprietà vale per le funzioni somma di
due seni o di due coseni.
Esempio 6.34. Se si misurano gli angoli in gradi invece che in radianti si ottengono
2π
2π
le funzioni trigonometriche y = sin( 360
x) e y = sin( 360
x) il cui grafico si può
360
ricavare da quello del seno e del coseno dilatandoli di 2π ossia di circa 57 volte.
S. Console – M. Roggero – D. Romagnoli
Funzioni Elementari
97
Funzioni trigonometriche inverse
Le funzioni trigonometriche (e in generale tutte le funzioni periodiche) assumendo
infinite volte gli stessi valori non sono iniettive e quindi non ammettono inversa.
Per definire le funzioni trigonometriche inverse di y = sin(x),
y = cos(x) e y = tan(x) si sceglie
allora un opportuno intervallo del
dominio (purtroppo non si può
scegliere lo stesso per tutte e tre)
in cui le funzioni siano invertibili.
Gli intervalli sono [− π2 , π2 ] per sin(x),
(− π2 , π2 ) per tan(x) e [0, π] per
cos(x). Il dominio di arctan(x)
è tutto R, mentre y = arcsin(x) , y = arccos(x) sono definite solo sull’intervallo
[−1, 1].
Come le rispettive funzioni dirette, le funzioni
arcoseno e arcotangente sono dispari, mentre l’arcoseno è pari.
Attenzione: si ha sin(arcsin(x)) = x sempre,
mentre arcsin(sin(x)) dà x solo se x ∈ [− π2 , π2 ].
Considerazioni analoghe valgono per arccos(x)
e arctan(x).
6.7
Esercizi risolti
6.1 Vogliamo studiare la funzione y = A sin(Cx + D) + E, con A, B, C, D ∈ R.
Questa funzione oscilla tra il valore massimo |A|+E e il valore minimo −|A|+E: quindi la retta
orizzontale y = E ne dà in un certo senso il valore intermedio e 2|A| è l’ampiezza dell’oscillazione
o ampiezza d’onda.
2π
è il periodo della funzione ossia la lunghezza orizzontale di una oscillazione
Il numero T = |C|
completa del grafico. Spesso invece del periodo si preferisce considerare la quantità F = T1 detta
frequenza che è il numero di oscillazioni complete dell’onda nell’intervallo unitario dell’asse x. Nel
nostro caso la frequenza è quindi F = |C|
.
2π
Possiamo infine osservare che la nostra funzione non assume necessariamente il valore medio E
per x = 0, ma lo assume per x = − D
; tale numero rappresenta quindi uno spostamento orizzontale
C
del grafico rispetto alla posizione “ideale” che si dice fase. In generale, due onde sinusoidali si
dicono in fase se assumono negli stessi punti i loro valori massimi e i loro valori minimi, mentre si
dicono in opposizione di fase se l’una è massima quando l’altra è minima e viceversa.
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
98
Capitolo 6
6.8
Altri esercizi
6.2 Dire se tra le quaterne presentate vi sono coppie di numeri uguali:
a)
(73 )3
76
b)
7−3
71/3
−5 2
c)
(3
d)
66
79
( 17 )3
−10
)
727 ;
3
(3−2 )5 .
33 · 22
62 · 63 .
3
36 · 26
(−7)3 ;
25
6.3 Calcolare in modo esatto :
log2 (16)
log27 (3)
log8 (4)
√
log3 ( 3)
log9 (3)
log9 (27)
√
log9 ( 3)
log5 (625)
log10 (0.001)
log1000 (10)
loga (a)
loga (ax )
6.4 Esprimere il numero a mediante logaritmi in base opportuna nei casi seguenti:
7a = 4
32a = 10
10a+1 = 2
2a = 5a−1 .
6.5 Controllare l’esattezza delle uguaglianze:
a) log3 (2) − log3 (6) = −1;
b) log0.20 (15) + log0.25 (7) = log0.20 (3) + log0.25 (28).
6.6 Dire, senza eseguire i calcoli, se le seguenti diseguaglianze sono esatte:
log7 (8) > log7 (6)
log0.75 (8) > log0.75 (6)
log0.4 (0.3) > log0.4 (0.5)
log2 (5) > log3 (5).
6.7 Dire se sono esatte per ogni valore positivo di x le seguenti uguaglianze:
√
Log(x2 ) = 2Log(x)
Log(x3 ) = 3Log(x)
2ln( x) = ln(x)
p
√
ln(x) = ln( x )
ln(x + 2) = ln(x)ln(2)
Log(10x) = Log(10) + Log(x)
6.8 In ciascuno dei casi seguenti, determinare tutti i valori possibili della base a per cui l’uguaglianza
è corretta:
i) loga (3) = 2
ii) loga (2) = −4
iii) loga (16) = 4
iv) loga (16) = 4
v) loga (1) = 0
vi) loga (1) = 1
6.9 Scrivere in modo esatto (ossia non approssimato) le soluzioni delle equazioni:
i) 3x = 31
ii) (0, 01)x = 2
iii) 1, 14x = 3.1x−1
6.10 Scrivere 2x come esponenziale in base 10. Scrivere log2 (x) come logaritmo in base 7.
6.11 Calcolare in modo esatto l’insieme delle soluzioni delle disequazioni seguenti e poi disegnarli
sulla retta reale:
i) 10x > 137
ii) 0.01x ≤ 0.01
iii) log4 (x) > 2
S. Console – M. Roggero – D. Romagnoli
Funzioni Elementari
99
v) 10x ≥ 3−x−1
iv) log0.1 (x) > 10
vi) log4 (x) > 2
6.12 Esprimere in notazione scientifica e determinare l’ordine di grandezza dei numeri:
0.0371
0.037
0.03
12.5
9.9
0.90
81000
37milioni di miliardi.
6.13 Esprimere mediante logaritmi decimali e calcolare con la calcolatrice:
log3 (21)
log1.7 (374)
log2 (47852)
log4 (360).
6.14 Svolgere l’pr precedente (con la calcolatrice) usando i logaritmi naturali.
6.15 Possiamo misurare l’intensità di un suono in modo oggettivo in W att/m2 oppure, in modo
simile alla sensazione di intensità che noi riceviamo, in decibel (dB). Se indichiamo con I l’intensità
in W/m2 e con S la sonorità in dB, I e S sono legate dalla relazione: S = 10Log( II0 ) dove I0
corrisponde alla soglia di udibilità (ossia per I = I0 , si ha S = 0) e dipende dalla frequenza del
suono stesso. Per un suono di 1000 Hertz si ha I0 = 10−12 W/m2 .
i) Calcolare I se S = 30 dB.
ii) Qual è l’intensità di un suono di 120 dB (soglia del dolore)?
iii) Di quanto aumenta la sonorità S se l’intensità I raddoppia?
6.16 La magnitudine apparente m di una stella (corrispondente all’impressione che noi abbiamo
della sua luminosità) è data dalla formula m = c − 2.5Log(I), dove I è l’intensità della luce che
raggiunge il nostro occhio di osservatori terrestri e c è una costante opportuna.
Calcolare i rapporti tra le intensità della luce proveniente da stelle con magnitudine rispettivamente −1.4 (Sirio), 0 (Vega), 1.2 (Polluce).
6.17 La magnitudine assoluta M di una stella è legata alla magnitudine apparente m dalla formula
M = m + 5 − 5Log(d), dove d è la distanza della stella dalla terra misurata in Parsec (∼ 3.2
anni-luce).
i) Qual è la distanza dalla terra di una stella (Beta Centauri) con M = −4 e m = 0.7?
ii) Quanto deve essere distante una stella affinché M = m?
iii) Interpretare la differenza tra magnitudine assoluta e apparente.
iv) È più luminoso in assoluto il sole (m = −26.7 e distante dalla terra 8 minuti-luce) oppure
Polluce (m = 1.2 e d = 33 anni-luce)?
6.18 La magnitudine dei terremoti espressa secondo la scala Richter è data dalla formula M =
Log( Ta ) + B, dove a e T sono, rispettivamente, l’ampiezza espressa in µm (micrometri=10−6 metri)
e il periodo in secondi dell’onda sismica e B dipende dalla distanza tra l’epicentro del terremoto e
la stazione di rilevamento.
Calcolare M se a = 10µm, T = 1, 2 secondi e B = 6, 8.
6.19 Risolvere le disequazioni :
ln(x) > 0
LN (−x2 ) < 0
ln(x) < 0
ln(x) > 1
ln(−x) < 0
ln(3x − 2) > 1
ln(−x) > 0
ln(x2 − 1) < 3.
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
100
Capitolo 6
6.20 La percentuale di C-14 (carbonio-14 , un isotopo radioattivo del carbonio) rimane costante
nei tessuti degli organismi viventi fino alla morte e poi diminuisce progressivamente per decadimento
radioattivo, secondo la legge P = 2(t/T ) dove t è il tempo trascorso dalla morte dell’organismo, P è
il rapporto percentuale tra la quantità di C-14 presente nell’organismo vivente e quella presente al
tempo t e T è una costante che dipende dal tipo di elemento radioattivo: per il C-14, se il tempo t
è misurato in anni, la costante T vale 5730.
Conoscere P permette di calcolare t, ossia di datare i reperti fossili.
1) Qual è l’età di un reperto fossile in cui la quantità di C-14 si è ridotta al 10% di quella
iniziale?
2) Qual è la percentuale che troveremmo in un reperto di 7000 anni?
6.21 Anche per gli altri isotopi radioattivi vale una legge analoga a quella data nell’esercizio
precedente per il C-14, solo con un diverso valore di T .
1) Spiegare a partire dalla formula il motivo per il quale T è detto tempo di dimezzamento.
2) Talvolta si preferisce esprimere la legge nella forma P = ekt , con k costante che dipende dal
tipo di isotopo.
3) Trovare il valore di k per il C-14.
4) Trovare il valore di k per l’ossigeno-15 che ha tempo di dimezzamento di 124 secondi.
5) Trovare il tempo di dimezzamento del Cobalto-60 che ha k = −0, 13.
6.22 In una coltura batterica il numero N di batteri cresce (almeno inizialmente) secondo la
legge N = N0 · 2t/T dove N0 è il numero iniziale di batteri e T dipende dal tipo di batteri e dalle
condizioni.
1) Spiegare, a partire dalla formula, perché T si dice tempo di raddoppio (t e T devono essere
espressi nella stessa unità di misura).
2) Se il tempo di raddoppio è di 5 ore e 20 minuti, quanti batteri ci saranno dopo 3 giorni?
3) Quanto tempo impiegano per decuplicarsi?
4) Esprimere il numero di batteri nella forma N = N0 · 2at con t misurato in ore e poi con t
misurato in giorni.
6.23 Sono equivalenti le due equazioni Log(x2 − 3x + 3) = 0 e ln(x2 − 3x + 3) = 0?
Sono equivalenti le due equazioni Log(x2 − 3x + 3) = 1 e ln(x2 − 3x + 3) = 1?
Calcolare le soluzioni delle quattro equazioni proposte.
6.24 Dire se è corretta l’uguaglianza ln(x − 1) + ln(x + 1) = ln(x2 − 1).
Risolvere l’equazione ln(x − 1) + ln(x + 1) = 3.
6.25 Disegnare in uno stesso sistema di assi cartesiani i grafici delle seguenti coppie di funzioni:
a. f (x) = x3 e g(x) = x5 .
b. f (x) = x−3 e g(x) = x−5
c. f (x) = x−2 e g(x) = x−3
1
1
1
1
d. f (x) = x 3 e g(x) = x 5 .
e. f (x) = x 3 e g(x) = x 4
6.26 Disegnare in uno stesso sistema di assi cartesiani i grafici delle seguenti coppie di funzioni:
S. Console – M. Roggero – D. Romagnoli
Funzioni Elementari
101
a. f (x) = x2 e g(x) = x2 − 2.
b. f (x) = x3 e g(x) = (x − 1)3
c. f (x) = x−2 e g(x) = 2 · x−2
1
1
d. f (x) = x 4 e g(x) = (−x) 4 .
1
1
e. f (x) = x 3 e g(x) = (x + 2) 3 + 5
6.27 Trovare, se esiste, un polinomio G(x) tale che:
2x3 − 3x2 − 6x + 9 = (x2 − 3) · G(x).
6.28 Determinare tutte le soluzioni delle seguenti equazioni:
a. (3x −
√
2)(4 + 2x) = 0 ;
√
√
√
√
b. (x − 3)(4 − 5x)( 3 − 5x)( 3 + 5x) = 0 ;
√
c. (x − 2 5)(x2 − 5x + 4) = 0 ;
√ 4
d. (x − 2) = 0 ;
e. (x2 − 5x + 7) = 0 ;
f. (x2 − 3x − 5)(3x − 2x2 + 1) = 0 .
6.29 Provare che
√
√
3 e − 3 sono soluzioni di 2x3 − 3x2 − 6x + 9 = 0.
Ci sono anche altre soluzioni?
6.30 Risolvere l’equazione (x2 + 6x + 8)(3x2 + 12) = 0 motivando ogni passo del procedimento.
6.31 Trovare tutte le radici reali del polinomio:
(x2 + 6x + 8)2 (3x2 + 12)(x + 2)
precisando per ciascuna la molteplicità.
6.32 Trovare tutte le soluzioni reali dell’equazione:
x4 − 3x2 = x3
precisando per ciascuna la molteplicità.
√
6.33 Il numero 5 2 è l’unica soluzione delle tre equazioni:
√
√
5
5
x5 = 2 , x − 2 = 0 e (x − 2)5 = 0.
Ciò nonostante le tre equazioni non sono equivalenti dal punto di vista delle soluzioni. Perché?
6.34 Trovare tutte le soluzioni razionali delle seguenti equazioni:
a. 3x3 − 6x2 − x + 2
b. 2(x + 1)(x − 34 )(x2 − 3) = 0 ;
c. x3 − 5x2 + 2x + 8 = 0 ;
d. x4 − 3x3 + x2 − 2x − 3 = 0 ;
e. 2x5 − 13x4 + 37x3 − 57x2 + 48x − 18 = 0.
Appunti di Istituzioni di Matematiche (05.09.05)
102
Capitolo 6
6.35 Disegnare in base alle proprietà dei polinomi i grafici delle funzioni:
F (x) = x3 − 3
F (x) = x4 − 3x2
√
F (x) = 13 (x − 2)(x + 3)(x − 1)
F (x) = x(x + 31 )2 (x − 13 )2
F (x) = x4 − 3
F (x) = x3 − 3x2
F (x) = −3(x
− 2)2 (x + 21 )
√
x2 ( 3−x)3
F (x) =
5
F (x) = x5 − 3
F (x) = x3 − 6x2 − 9x = 0
F (x) = x(x − 2)3
F (x) = x − x3 .
6.36 Disegnare i grafici delle funzioni y = G(x) dove:
G(x) = x3
G(x) = x3 + 1
G(x) = x2 (x − 2)
G(x) = x3 + x
G(x) = x4 − 4x2
G(x) = x(x − 3)2
G(x) = x3 − 3
G(x) = −x(x2 + 9)
G(x) = (3 − x)(x − 3)(x + 3)(2x + 1)
6.37 Risolvere in modo grafico le seguenti disequazioni:
x2 + x > 0
,
(x − 3)(2 − 5x)(1 + 3x) ≤ 0
√
√x+3 ≥ 0
x + 1 < 2x − 4
,
,
2
3x + 2 > 1 − x
,
√
x −1
3x + 2 >
√
1−x
6.38 Determinare il dominio delle funzioni f (x) =
6.39 Le funzioni f (x) =
Perché?
√
4
,
√
3
√
x2 −1
x+3
x3
,
1 − 4x2 +
G(x) = x3 − x2
G(x) = x − x4
G(x) = −2x(x2 − 9)
≥0
+ 2x ≤ x + 1
√
x2 +3x+2
≤ 1.
2x−1
2
1−3x
e g(x) =
2+x
√
(1−3x)
4
1−4x2
.
p
p
p
(x − 1)(x + 3) e g(x) = (x − 1) · (x + 3) hanno lo stesso dominio?
2+x
si
6.40 Determinare l’insieme dei valori della x per i quali il grafico della funzione h(x) = x − 2−x
trova al di sopra dell’asse delle ascisse e l’insieme dei valori per i quali il grafico si trova al di sotto
dell’asse delle ascisse.
L’unione di tali due sottoinsiemi è tutto l’insieme dei numeri reali?
6.41 Risolvere le seguenti equazioni o disequazioni irrazionali:
√
a. x − 1 > 3 x3 − 3x2 + 1.
√
b. 1 − x2 + 5x + 6 = x.
√
c. 7 + x2 + x2 − 1 = 0.
6.42 Determinare il dominio delle seguenti funzioni:
a. f (x) = x3 − 2x2 − 5x + 6.
x2 − 3
.
(x + 1)(x2 − 4)
1
f (x) = 2
.
x − 5x + 6
p
f (x) = (x − 1)(x + 2).
q
1
f (x) = x2 −5x
.
√
3
f (x) = x3 − 1.
p
√
f (x) = 1 − x − 1.
b. f (x) =
c.
d.
e.
f.
g.
S. Console – M. Roggero – D. Romagnoli
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