LA GUERRA Guerra aerea Operazioni militari svolte con aeromobili

LA GUERRA
Guerra aerea
Operazioni militari svolte con aeromobili, sia per supporto logistico (appoggio alle forze di terra,
osservazione aerea del nemico, direzione del tiro di forze navali e terrestri, trasporto di truppe,
attrezzature e vettovagliamenti), sia per fini bellici in senso stretto (combattimenti aerei,
bombardamenti).
Gli sviluppi fino alla prima guerra mondiale
Il primo velivolo aereo militare a elica fu quello costruito negli Stati Uniti dai fratelli Wilbur e Orville
Wright; l'Italia impiegò velivoli durante la guerra italo-turca (1911-12) per lanciare bombe a mano su
accampamenti nemici. Parallelamente allo sviluppo degli aerei era continuata in Europa la
realizzazione di grandi dirigibili: in Germania famosi erano gli Zeppelin, con i quali all'inizio della
prima guerra mondiale furono bombardate Parigi e Londra. Nel corso dei primi duelli aerei i piloti
sparavano contro il nemico con pistole o moschetti. La guerra aerea creò miti e leggende intorno
agli assi del volo, come il tedesco Manfred von Richthofen (noto come il Barone Rosso), i francesi
Georges Guynemer e Charles Nungesser, il britannico Albert Ball, il canadese William Bishop, lo
statunitense Eddie Rickenbacker e l'italiano Francesco Baracca.
Danni di guerra
Pagamenti che una nazione vittoriosa esige dalla parte sconfitta come compenso dei costi e dei danni
sopportati a causa della guerra; il termine fu impiegato alla fine della prima guerra mondiale dal
presidente degli Stati Uniti d'America Woodrow Wilson. L'idea di un pagamento monetario come
sistema di risarcimento o "riparazione" dei danni diverso dal semplice bottino di guerra, si affermò
dopo la guerra dei Trent'anni (1618-1648) e divenne prevalente, ad esempio, negli accordi bellici della
Francia rivoluzionaria e napoleonica (1792-1815). Una volta sconfitta, la Francia a sua volta subì nel
1871 l'imposizione da parte della Prussia bismarckiana di un'indennità di cinque miliardi di franchi, una
somma esorbitante per l'epoca, ma che fu puntualmente corrisposta.
LA PRIMA GUERRA MONDIALE
La 1° Guerra Mondiale si svolse dal 1914 al 1918 e fu considerata “totale”, perché impegnò non
solo l’esercito ma l’intera vita degli stati negli aspetti politici sociali, economici ed anche culturali.
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Fu una guerra di massa condotta sia in terra che in mare e per la prima volta in cielo, con l’impiego
di armi mai prima usate.
Fu la prima “grande guerra” che si concluse con l’esaurimento delle risorse dei belligeranti e il crollo
di quattro Imperi : Austria – Ungheria, Germania, Russia e Turchia.
LE CAUSE
Nacquero delle tensioni provocate dallo sviluppo del capitalismo e ci fu inoltre una gara
imperialistica tra le grandi potenze e anche una crisi spirituale e culturale che, alla fine del IXI secolo
aveva provocato la decadenza dei valori tradizionali e la perdita della fiducia nella “ragione” e negli
ideali liberali e democratici, per lasciar posto a teorie che
esaltavano la guerra come “selezione naturale”.
Queste furono le cause immediate :
1)
l’ esplosiva situazione dei Balcani, sui quali Austria e Russia avevano mire
espansionistiche contrastanti;
2)
l’ atteggiamento di rivincita della Francia, che mirava a riprendersi dalla Germania l’
Alsazia e la Lorena;
3)
l’ espansionismo e la politica di potenza della Germania, decisa a mettere in discussione
la supremazia inglese;
4)
la mancata soluzione del problema delle nazionalità e delle terre irredenti, come nel caso
d’Italia e Austria, in contrasto per la questione del Trentino e della Venezia Giulia.
Il motivo occasionale della guerra fu l’uccisione dell’Arciduca ereditario d’Austria – Ungheria,
Francesco Ferdinando, avvenuta a Sarajevo il 28 giugno 1914 per opera di nazionalisti serbi.
Il 28 luglio 1914 l’Austria dichiarò guerra alla Serbia coinvolgendo i principali stati europei tra cui
l’Italia e anche gli Stati Uniti d’America che intervennero l’anno successivo.
Nel primo anno l’Italia rimase neutrale , non partecipò alla battaglia. La sua opinione pubblica era
divisa in due fazioni opposte : i neutralisti, che ritenevano non necessaria la guerra, e gli interventisti
che credevano possibile la conquista di Trento, Trieste, dell’‘Istria e della Dalmazia solo con le
armi.Il 24 maggio 1915 il Governo italiano dichiarò guerra e,
interventisti e neutralisti
raggiunsero il fronte.
LA GUERRA IN VENETO
Caporetto fu una rotta nel senso più proprio del termine e la ritirata fu disastrosa. Episodi veri come
quello di Pozzuolo o leggende come quella dei 4 arditi che volevano tenere Udine da soli, non
mascherano la realtà di un esercito rassegnato al peggio e che transita sui diversi fiumi del Friuli e del
Veneto tutti potenziali ostacoli passivi da sfruttare tatticamente senza alcuna volontà di ripresa e di
difesa. I convegni di Rapallo e Peschiera decidono per la resistenza sul Piave e sul Grappa perché
andare oltre significherebbe, forse, fermarsi al Po, con pericolo immediato per l’intera pianura padana.
Il primo elemento oggettivo è la ricostruzione della disciplina e il conseguente ridispiegarsi
dell’esercito secondo un ordine logico e un piano coerente. Ma l’elemento oggettivo più importante fu
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il ritiro dal fronte delle artiglierie tedesche, già nei primi giorni di novembre. A Hindenburg e Ludendorff
importa poco dell’Italia; uscita definitamene dalla lotta la Russia, essi sono convinti di vincere la guerra
con una grande offensiva sul fronte occidentale, prima che si raduni in Francia il corpo di spedizione
americano. Non concepiscono “un’offensiva” ma “l’offensiva”, per la quale servono quindi tutti gli
uomini e tutti i mezzi. Lasciano per un po’ in Italia i battaglioni d’assaltatori ( Sturmbattalion) che erano
apparsi improvvisamente tra Plezzo e Tolmino, ma per il resto si arrangino gli austriaci. Anche i
battaglioni della Slesia e dell’Hannover, del Baden e del Wurtenberg possono poco senza il supporto
dell’ artiglieria. Così sul Grappa e sul Piave, i nostri si rendono conto in quei primi piovosi giorni di
novembre che l’ondata è più lenta , che le punte sono più fiacche che tra le avanguardie e i rincalzi c’è
un voto sfruttabile. Lo sa anche Von Bellow, che ha studiato a Postdam e conosce benissimo il
meccanismo della battaglia di aggregamento e dell’offensiva concentrata in un solo punto. Allora
inverte lo schema di Caporetto e attacca sul Grappa nella speranza di prenderlo quasi di sorpresa e di
sbucare dall’alto sulla pianura Veneta prendendo alle spalle la linea del Piave ancora fluida e non
ancora determinata. Siccome il Grappa, miracolosamente, tiene, gli italiani sfruttano il tempo per
consolidare il Piave; la giornata decisiva, nel caso, è il 10 novembre, quando i reparti d’assalto, gli
arditi, utilizzati in una inconsueta funzione difensiva, riescono a difendere ad oltranza la “testa di
ponte” di Vidor, così da consentire il definitivo assestamento della linea lungo la linea destra del fiume.
A quella data, si può affermare che la spinta propulsiva austrotedesca partita da Caporetto si è
esaurita. L’attacco che comincia il 15 novembre da Fener al mare appartiene ad un altro ciclo
operativo che non può più contare sulla sorpresa e che si trova di fronte una linea italiana
sufficientemente consolidata e compatta. Ciò non significa che non sia una brutta offensiva, significa
solo che si è pronti ad affrontarla e a fronteggiarla con truppe rinsaldate e ormai decidere a resistere.
L’offensiva infatti si esaurisce: il 3 dicembre i tedeschi ritirarono anche le truppe di fanteria, nonostante
le proteste dello Stato Maggiore austroungarico, ancora convinto che con una più convinta spallata si
possa giungere a Venezia, addirittura a Milano, e magari a una richiesta italiana di armistizio. I
tedeschi, però, ormai pensano ad altro, e non danno credito ai convincimenti e alle richieste
dell’alleato, che, con scarsa convinzione, continua a attaccare in quello scorcio del tragico 1917, ma
senza riuscire in nessuno degli obbiettivi che aveva ritenuto di avere a portata di mano. All’aprirsi
dell’inverno 1917-18, quindi la guerra si ferma sul Piave, si arresta cioè nel cortile di casa. Ormai è la
grande massa della popolazione, quelli che sono rimasti sulla linea del fuoco sono costretti, com’è
naturale, a un esodo obbligatorio per destinazioni diverse che, tutto sommato, sembrano abbastanza
casuali, dalla Sicilia alla Toscana, dalla Lombardia a Mogliano, come capitò alla municipalità di
Monastier. Per chi comunque è rimasto si aprono i non facili problemi della convivenza con masse di
soldati provenienti dalle più diverse regioni d’Italia, con conseguenze ovvie sul piano di costume e
della mentalità e con le regole che vigono nelle zone di guerra, con le non poche restrizioni delle
libertà personali e le tipiche irregolarità in materia approvvigionamenti e più in generale di supporto
logistico. In particolare, ci si rivolge ai contadini per indurli a non abbandonare le colture; anzi a
valorizzarle per contribuire così allo sforzo bellico che non può evidentemente appoggiarsi
esclusivamente sugli alimentari made in USA. Data al giugno 1918 una nota del Comando di presidio
di Caerano San Marco che si rende disponibile a rifornire di animali da lavoro e di manodopera
militare i contadini che ne facciano richiesta per al trebbiatura e la raccolta del grano. Caerano è a
portata di vista del Montello, la data coincide con la battaglia del Solstizio, ma su tutto è prevalente la
volontà di vivere, di riprendere, di fornire a se stessi le ragioni di una normalità che si vuole a ogni
costo restaurare. Mentre sul Montello si spara e si muore, a pochi chilometri di distanza si trebbia per
vivere: questa fu la guerra nel cortili di casa nostra.
LA GUERRA A SAN DONA’
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L’entrata in guerra dell’Italia accolta come un evento scontato, il cui prologo erano restrizioni
economiche già in atto da mesi. In particolare si era avuta la sospensione dei lavori di bonifica in
corso, con la conseguenza di una brusca impennata della disoccupazione.
Destò impressione a San Donà il suicidio di Giovanni Montagner, gettatosi il 14 gennaio 1915 dal
ponte della ferrovia, sotto gli occhi di Giovanni Pavan; il gesto fu attribuito alla disoccupazione.
Il conflitto sbloccò un clima di tensione formatosi nel paese per il propagandarsi di una diceria: si
indicava nella Germania la destinazione dei carichi di sacchi di mais spediti dalla locale stazione
ferroviaria.
L’Amministrazione Comunale cercò di placare il malcontento facendo effettuare, il giorno dopo una
distribuzione di 500 quintali di granturco a prezzo ridotto.
Però ciò non impedì che al mattino del 22 marzo la popolazione affluisse verso il municipio dando vita
a una massiccia manifestazione popolare in Piazza Indipendenza; manifestazione scioltaselo per un
nuovo intervento delle truppe appoggiate da un reparto dei RR.CC.
Inizialmente la guerra fu considerata come qualcosa di nebuloso, la cui eco giungeva attutita
attraverso le pagine dei giornali.
La crudezza della guerra apparve solo con il fioccare delle cartoline precetto.
La prima iniziativa in carattere con la situazione fu attuata dal parroco, il quale istituì un Asilo per i figli
dei richiamati, aperto il 5 settembre 1915 e gestito dalle Suore della Carità, inviate a prestarvi la loro
opera. I 70 bambini iniziali divennero 200 nel marzo 1916 e 250 nel luglio dello stesso anno; fu allora
aperta una seconda sede a Isiata.
La requisizione dell’oggetto non impedì, però, il complemento dell’anno scolastico, poiché fu portato a
termine in locali di fortuna reperiti immediatamente; locali in cui si svolge regolarmente anche l’anno
scolastico successivo (1916-1917).
L’atrocità del conflitto cominciò a farsi sentire con l’arrivo delle comunicazioni dei primi caduti.
La guerra fece la sua apparizione diretta a San Donà il 27 marzo 1916, in quanto aerei austriaci
lanciarono bombe in vari punti del territorio comunale, in particolare a Chiesanuova, fortunatamente
senza arrecare danni.
Il capoluogo fu anch’esso interessato da un’incursione aerea diretta a colpire il ponte stradale sul
Piave. Il 16 ottobre 1916 due granate esplosero vicino alla rimessa della ditta Gnes ed una terza finì
su un albero secolare posto in un giardino (ubicato ove oggi sorge l’Hotel Kristal); anche in
quest’occasione però non si ebbero vittime o danni di notevole entità.
Il pericolo delle incursioni aeree indusse l’autorità militare ad organizzare un posto di avvistamento sul
campanile.
Nessun evento particolare legato alle vicende belliche venne però a turbare il paese sino al 25 ottobre
1917; data dello sfondamento delle linee italiane a Caporetto. Radio fante,il misterioso sistema che in
un baleno diffonde fra le truppe le notizie di rilievo, fece giungere la notizia a San Donà il 26 ottobre,
ma fu accolta con sbigottimento misto a scetticismo.
La situazione però precipitava ed i sandonatesi se ne resero conto il 28 ottobre (gli austriaci erano già
a Udine) vedendo dapprima passare gruppi isolati di fuggiaschi e poi intere colonne, composte da
gente che sfollava dell’area posta fra il Tagliamento ed il Livenza.
Il 29 ottobre cominciarono a notarsi dei soldati frammisti alla folla dei fuggiaschi; per i militari però la
fuga terminava appena superato il ponte sul Piave, infatti vi stazionava in permanenza un posto di
blocco dei Carabinieri, con il compito di fermare gli sbandati, raggrupparli e rinviarli al fronte.
La situazione era aggravata dalla mancanza di notizie e di disposizioni; perciò anche le autorità locali
erano abbandonate a se stesse, non essendo mai stato predisposto nessun piano di evacuazione.
Va sottolineato che il celebre “bando Cadorna” che disponeva il richiamo di quanti fossero compresi
fra i 16 e i 60 anni, aveva avuto la conseguenza di allontanare dalle case la maggior parte degli
uomini, molti dei quali poi furono respinti dai centri di raccolta che non avevano la capacità tecnica di
accogliere una così imponente massa di richiamati.
Un secondo effetto locale del bando fu quello di condurre all’internamento in Jugoslavia di parecchi
sandonatesi, catturati dalle avanguardie austriache mentre a piedi si recavano a Ponte di Piave,
donde dovevano raggiungere il Centro di Reclutamento di Treviso.
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Finalmente il 4 novembre il Comando Supremo prese la decisione di ordinare il ripiegamento delle
forze armate oltre il Piave, per cui il Sindaco ordinò l’abbandono della città, nella stessa giornata il
Sindaco fece rinchiudere in 30 sacchi i registri dello stato civile, i valori dell’Esattoria e della Banca
Popolare, i documenti essenziali del Comune e dei Consorzi di Bonifica e, dopo averli caricati su un
autocarro militare, li fece trasferire a Marano Veneziano.
Il giorno seguente ottenne l’approvazione prefettizia che lo autorizzava per trasferire, per via fluviale,
gli incartamenti e i valori a Venezia, donde partirono alla volta di Firenze.
A Firenze, in via Vecchietti b, fu sistemata la sede del comune “in esilio”, al fine di creare un centro
operativo.
La partenza del sindaco lasciò in balia di se stessa quella parte di popolazione intenzionata a
rimanere nel paese; la carenza fu colmata dall’Arciprete Saretta che comunicò ai fedeli la decisione di
non abbandonarli, ma di restare on loro. Nella notte fra il 5 ed il 6 novembre infine, grazie ad un treno
messo a disposizione dalla Croce Rossa dell’Ordine di Malta, fu attuato lo sgombero dei degenti
dell’ospedale civile e del personale sanitario.
Nei giorni successivi le vie semideserte di San Donà furono attraversate dalla lunga fila dei mezzi
militari e dalle colonne delle truppe che, a marce forzate si ritiravano dal Livenza, per andare a
presidiare le nuove posizioni oltre il Piave.
Nella tarda serata dell’8 (alle 23) un boato seguito da un forte schianto annunciò la demolizione del
campanile, effettuata dai genieri per impedire al nemico di utilizzarlo
come osservatorio; all’alba del giorno dopo venne fatto saltare il ponte della ferrovia e più tardi (alle
11,40) furono tagliati gli ultimi legami con la sponda destra del Piave a seguito della demolizione del
ponte stradale fra Musile e San Donà, qualche ora dopo un reparto di ciclisti austriaci giungeva in
Piazza Indipendenza ed alle 17 dello stesso giorno un primo comando si instalava nella villa Ancilotto
a Musetta San Donà era definitivamente in mano nemica.
La città fu sottoposta ad un sistematico saccheggio; negozi e abilitazioni furono setacciati più volte dai
soldati che riuscivano sempre a scovare qualcosa da inviare a casa,vanificando gli sforzi di quanti
avevano nascosto le cose più care pensando di salvarle.
Va sottolineato che per disposizione dell’I.R Comando ogni combattente poteva inviare a casa dalle
terre invase:
- viveri per un massimo di 25 kg. Senza bisogno di nessuna autorizzazioni, quantità elevabile a 50
kg. su autorizzazione dei Comandi.
mobilia e oggetti d’arte; i secondi dopo essere stati sottoposti a perizia se di un italiano presente
sul territorio occupato e senza obbligo di perizia se requisiti in case abbandonate.
D’altronde il saccheggio fu effettuato anche in forma diretti:tutti i prodotti finiti e le scorte di magazzino
dello iutificio furono requisite e fatte trasportare in Austria.
Negli stessi giorni le vicende belliche portarono alla totale distruzione di San Donà, il freddo linguaggio
dei Bollettini di guerra, emanati nei giorni seguenti dal Comando Supremo dell’Esercito Italiano non
dicono nulla sulla cancellazione di San Donà. Infatti si limitano ad annunciare:”11 novembreS lungo il
medio basso corso del Piave, lungo scambio di cannonate e raffiche di mitragliatriciS”; “12
novembreS nella pianura, attraverso il Piave, vivace attività di fuoco”. Il culmine della devastazione
avvenne il 12 novembre, poco prima di mezzogiorno. Sei batterie aprirono il fuoco sul paese: “furono
10 minuti d’inferno, 24 pezzi a fuoco accelerato martellarono San DonàS in pochi minuti 1500 granate
piovvero sul paese”. Le batterie erano comandate da sandonatesi ed a brandeggiare vi erano alcuni
sandonatesi, sicché:”probabilmente qualcuna di quelle granata andò a radere al suolo le case degli
stessi artiglieri”.
Il peggior nemico fu però la malaria;infatti si verificò una recrudescenza del morbo, aggravata dal
settore austriaco dalla penuria di chinino. E’stato valutato che in un solo anno fra i due eserciti furono
280.000 i combattenti colpiti dalla malaria.
L’inverno del ’17 fu tristissimo per i sandonatesi,sia per coloro che avevano cercato scampo in Italia
che per quelli che avevano preferito e, avevano dovuto necessariamente subire l’invasione.
Nel 1919 il sindaco Giuseppe Bortolotto pubblicò un primo elenco di 3000 profughi sandonatesi e
successivamente stilò in secondo elenco. Si può dedurre che il fenomeno dell’evacuazione fu
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particolarmente sensibile nel centro urbano e che globalmente coinvolse circa il 40% della
popolazione residente nel Comune. I disagi incontrati dai profughi furono notevoli e fu difficile la
convivenza con gli abitanti delle località ospitanti, fra le testimonianze dei sandonatesi vi sono
purtroppo molti ricordi di umiliazioni ed offese ricevute da persone che vivendo lontano dal fronte
consideravamo la guerra come un fatto che vivendo lontano dal fronte consideravamo la guerra come
un fatto che non li riguardava direttamente.
Ovviamente non dapertutto si ebbe la stessa incomprensione ed in diverse località i profughi furono
trattati con simpatia come spettava a vittime innocenti di un momento tragico. La neccesità di
allontanarsi dalla zona calda portò alla dispersione dei sandonatesi nel Basso Veneto. Restò unito un
folto gruppo raccolto da mons. Saretta ed ingrossato dall’aggregazione spontanea di famiglie isolate.
Il gruppo fu obbligato a peregrinare fra Palazzotto, Grisolera, Torre di Mosto e Ceggia e alla fine poté
sistemarsi, se così si può dire a Portogruaro, occupando abitazioni lasciate libere dagli abitanti di
quella cittadina fuggiti in Italia prima dell’invasione. In momenti così difficili mons. Saretta fu una fonte
di aiuto, sul piano umano e spirituale, ed ebbe la forza per dare una mano ai suoi parrocchiani ed alla
stessa popolazione locale. La sua opera giunse a trovare il modo di far riaprire l’asilo e mettere in
funzione le scuole elementari (gennaio ’18), collaborare alla riapertura dell’ospedale civile, nel quale
prestarono la loro opera religiosa incaricate dello stesso compito all’ospedale di San Donà.
Mons. Saretta svolse un altro ruolo umanitario, quello di sottrae a una morte quasi certa i soldati
italiani: infatti a Portogruaro egli aveva installato un ufficio segrettisimo in cui, con un sigillo trafugato
al comando militare, forniva documenti falsi e regolari.
Il sindaco di San Donà, Giuseppe Bortolotto, fu invece la persona che curò gli interessi dei
sandonatesi profughi in Italia:si batte contro l’ottusità e la pigrizia della burocrazia per ottenere aiuti in
favore dei suoi concittadini. Fra l’altro egli si fece premura di pervenire a tutti il periodico “Elena”, un
giornale diretto da don Ferdinando Pasini e riservato a notizie interessanti i profughi del Basso Piave,
giornale che fu l’unico nel suo genere in Italia.
L’ estate del ’18 portò ad un’intensificazione dell’attività bellica sul Piave, attività che raggiunse l’apice
in quella che fu definita la “battaglia del solstizio” (15-24 maggio 1918); battaglia che rappresentò
l’ultimo sforzo delle forze austro ungariche.
Nel corso della battaglia reparti austriaci riuscrono a superare il Piave in vari punti, la testa fu costituita
proprio tra San Donà e Musile e non portò gravi conseguenze per il sacrificio di una batteria di
campagna Ottorino Tombolan-Fava che resistette per 5 ore. L’ offensiva portò alla liberazione del
territorio: il 31 ottobre le truppe erano a San Donà, il 4 novembre a Portogruaro.
CANZONI DELLA GRANDE GUERRA
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Una delle più note e suggestive canzoni di questo periodo storico è sicuramente "La leggenda del
Piave" che è un’appassionata rievocazione di quattro momenti drammatici della guerra illustrati da
ciascuna strofa della canzone: la marcia dei soldati verso il fronte, la ritirata di Caporetto, la difesa del
fronte
sulle
sponde
del
Piave
e
la
vittoriosa
offensiva
finale.
E’ sicuramente anche quella dove trionfano i concetti di Patria, Eroe, Nemico e non trovano posto le
vicende quotidiane della guerra fatte di privazioni e sofferenze.
LA LEGGENDA DEL PIAVE
ll Piave mormorava
calmo e placido al passaggio
dei primi fanti il 24 maggio:
l’esercito marciava
per raggiunger la frontiera
e far contro il nemico una barriera....
Muti passaron quella notte i fanti
tacere bisognava e andare avanti!
S’udiva intanto dalle amate sponde,
sommesso e lieve il tripudiar dell’onde
Era un presagio dolce e lusinghiero
il Piave mormorò:
"Non passa lo straniero!"
Ma in una notte trista
si parlò di un fosco evento
e il Piave udiva l’ira e lo sgomento
Ahi quanta gente ha vista
venir giù lasciare il tetto
poi che il nemico irruppe a Caporetto
Profughi ovunque! Dai lontani monti
venivano a gremir tutti i suoi ponti
S’udiva allor dalle violate sponde
sommesso e triste il mormorio de l’onde:
come un singhiozzo in quell’autunno nero
Il Piave mormorò :
"Ritorna lo straniero!"
E ritornò il nemico
per l’orgoglio e per la fame:
volea sfogare tutte le sue brame
vedeva il piano aprico
di lassù voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora
"No" disse il Piave "No" dissero i fanti
"Mai più il nemico faccia un passo avanti!"
Si vide il Piave rigonfiar le sponde!
E come i fanti combattevan l’onde
Rosso del sangue del nemico altero
Il Piave comandò:
"Indietro va straniero!"
Indietreggiò il nemico
fino a Trieste, fino a Trento
e la Vittoria sciolse le ali al vento
Fu sacro il patto antico:
tra le schiere furon visti
risorgere Oberdan, Sauro, Battisti
L’onta cruenta e il secolare errore
infranse alfin l’italico valore
Sicure l’Alpi libere le sponde
E tacque il Piave: si placaron l’onde
Sul patrio suolo, vinti i torvi imperi
la pace non trovò
né oppressi né stranieri
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GIANNINO ANCILLOTTO
Nel 15 novembre 1896 nasce Giannino Ancillotto a San Donà di Piave da una famiglia ricca di
proprietari terrieri. Frequenta l’Istituto Politecnico di Torino.
Allo scoppio della guerra Ancillotto ,o Nane come lo chiamavano i compagni di squadriglia, si
arruola come volontario nel battaglione aviatori (4 novembre 1915).
Dopo un mese di addestramento a Mirafiori (TO) venne trasferito con il grado di caporale alla
scuola di pilotaggio di Cameri (NO). Consegue il primo brevetto il 30 aprile 1916 e il mese
successivo, a Busto Arsizio, iniziò a volare sul Farman 14, piccolo velivolo sul quale prendevano
posto l’osservatore-mitragliere e dietro di lui il pilota. Il motore installato dietro la corta fusoliera
gli dava un aspetto fragile, ma permetteva di mandare sopra un supporto snodabile una
mitragliatrice con ampio campo di tiro anteriore. Con il motore nuovo portato a piena potenza
raggiungeva gli 80 km\h e per arrivare a 2000 metri aveva bisogno di 22 minuti; naturalmente se
c’erano pioggia o vento le prestazioni scadevano. Il 5 maggio 1916, mentre Ancillotto portava a
termine la sua preparazione, gli Austriaci lanciavano il primo attacco, così il 23 giugno partì per
la contro offensiva italiana in Trentino e lì rimase quasi un mese. Venne quindi trasferito sull'
Isonzo e venne assegnato alla 27°squadriglia a Villaverla. Ricevette la sua prima medaglia
d’argento al valor militare per la sua audacia e il suo coraggio. Il 3 novembre ricevette anche un
encomio per un volo eseguito il giorno precedente avendo come osservatore il sottotenente
Giuseppe De Vizzi: una missione vivace visto che l’aereo giunse a terra danneggiato e con il
serbatoio bucato. Ma le sue doti di pilota lo rendevano particolarmente adatto alla caccia: per
questo nel giugno 1917, promosso sottotenente di complemento, venne assegnato all'80°
squadriglia , con il suo nuovo
Nieuport 11, soprannominato “Bebè”. A bordo di questo
aeroplano Ancillotto ottenne 11 vittorie .Tuttavia il suo nome è legato soprattutto all’abbattimento
avvenuto la mattina del 5 dicembre 1917,del così detto "Drago di Rustignè", un dirigibile
austriaco , un draken dal quale venivano avvistati gli spostamenti degli avversari italiani. Era
così veloce a comparire e a scomparire nella vegetazione che dal nostro esercito era stato
soprannominato " Il drago di Rustignè" . Dal dirigibile di avvistamenti venivano trasmessi a terra
tramite il telefono nemico. Quella mattina Ancillotto si diresse con il suo Neuport verso il pallone.
Arrivato a ridosso del bersaglio premette l'interruttore per l'innesco dei razzi ma, a qualche
decina di metri dalla tela rigonfia d'idrogeno, si rese conto di non avere spazio per manovrare
l'aereo e che presto avrebbe colliso con l'involucro. Spense meccanicamente il motore, chiuse gli
occhi, e si rassegnò alla fine. L'idrogeno esplose in una grande fiammata facendo a brandelli il
pallone ed aprendo in qualche modo la strada al veicolo che passò miracolosamente in questa
enorme fiamma. Ne uscì malconcio, ma sostanzialmente integro. Ancillotto riaprì incredulo gli
occhi: l'aereo stava lentamente avvitandosi a motore spento; perdeva questa, ma nonostante
tutto voleva ancora. Provò a riavviare il motore: si accese regolarmente. Per questa impresa
ricevette la medaglia d'oro al valore militare. Dopo l'episodio di Rustignè, per Ancillotto seguirono
mesi di ordinario conflitto intervallato da brevi momenti di pericolo e gloria.
La notte del 24
luglio del 1918 riuscì ad abbattere due bombardieri tedeschi: per questa missione ricevette
un'ulteriore medaglia d'argento al valor militare. Dopo la guerra, organizzò un servizio di
comunicazione aeree fra Roma e Trieste e l'11 settembre 1919 compì un raid dimostrativo
partendo da Roma e raggiungendo Varsavia a bordo di uno SVA in circa 7 ore percorrendo altre
1000 km. Insieme a Gabriele D'Annunzio, partecipò all'impresa di Fiume. Nel 1921 si recò in
America Latina per svolgere una missione di propaganda. Durante la sua permanenza in Perù, il
2 maggio effettuò una trasvolata delle Ande a bordo di uno SVA atterrando su una pista a 4330m
sul livello del mare. Rientrato in Italia, partì subito Somalia, dove effettuò lunghi voli di
ricognizione nell'entroterra. La mattina del 18 ottobre 1924, a Caravaggio (BG), una passante
scorse un auto capovolta nel fossato adiacente la statale. Sulle circostanze della sua morte
corrono molte leggende. Una di queste lo vuole far soccombere in una sfida tra la sua auto,
potenziata con un motore d'aeroplano, ed un treno in corsa. La realtà è molto più semplice e
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banale: la nebbia dell'autunno padano, la fretta di arrivare, una curva ad un bivio visto troppo
tardi. Ancillotto, nella fretta di raggiungere il paese Bergamasco sterzò e andò a schiantarsi
contro la pietra di segnalazione, morendo sul colpo. Oggi, San Donà di Piave, il suo paese
nativo, lo ricorda con un monumento nella piazza principale.
Tra le due guerre
Dopo la prima guerra mondiale i maggiori innovatori dell'aeronautica militare furono Hugh
Trenchard, a capo del Royal Flying Corps e primo comandante della Royal Air Force (RAF) (sua
creazione del 1918), e Giulio Douhet, ufficiale dell'esercito italiano e comandante della prima
unità aeronautica militare dal 1912 al 1915. Nel 1921 Douhet elaborò l'idea del bombardamento
strategico dei centri nemici. Tra il 1935 e il 1936 la Gran Bretagna e la Germania sperimentarono
i prototipi dei bombardieri Hawker Hurricane, Supermarine Spitfire, e Messerschmitt Me 109;
nello stesso periodo nacquero anche gli Junkers Ju 87, meglio conosciuti come bombardieri in
picchiata "Stuka", il Bristol Blenheim e l'Heinkel He 111. Lo sviluppo di bombardieri d'attacco ad
alta velocità culminò durante gli anni Trenta con la nascita del bombardiere statunitense di lungo
raggio Boeing B-17 detto "Fortezza Volante".
Un dopoguerra difficile
Alla fine della prima guerra mondiale, le nazioni alleate e vittoriose avanzarono richieste di
riparazioni alle quali la Germania dovette sottostare con la firma dell'armistizio dell' 11 novembre
1918. La Commissione delle riparazioni impiegò vari anni per calcolare l'intera somma dovuta alle
nazioni alleate. Tra il 1919 e il 1924, la questione delle riparazioni tedesche fu discussa in diverse
conferenze internazionali e dopo i primi versamenti in contanti del 1921 l' iperinflazione del marco
e le richieste di dilazioni portarono addirittura all'occupazione francese della Ruhr nel 1923, risolta
dalla mediazione statunitense e dal piano Dawes nel 1924.
Al termine della Prima guerra mondiale tra le popolazioni dei Paesi europei, sia vinti che vincitori il
malcontento era altissimo. La guerra non aveva portato il benessere promesso, anzi la
disoccupazione dilagava sempre di più: contadini e operai, tornati dal fronte, non trovavano lavoro;
molte industrie di armi e materiale militare dovettero chiudere, altre licenziarono parte dei
lavoratori.
Disoccupazione, riduzione dei salari, aumento dei prezzi spinsero la popolazione, un po’ ovunque
in Europa, a scioperi e manifestazioni, a occupare terre e fabbriche.
Mentre tra i lavoratori si andavano diffondendo idee rivoluzionarie, tra la borghesia, in particolare in
Italia e in Germania, si avvertiva sempre più forte l’esigenza di un governo autoritario.
In Italia, proprietari di fabbriche e di terre, commercianti e professionisti, erano sempre più
preoccupati che potesse scoppiare una rivoluzione di tipo sovietico
Ma c’era un uomo che sembrava capace di riportare l’ordine che essi volevano, era Benito
Mussolini che nel 1919 aveva fondato il Fascismo.
Egli riteneva che, per mantenere l’ordine, fosse necessario ricorrere alla violenza, perciò organizzò
le squadre di azione fasciste che attuavano spedizioni punitive contro le sedi sindacali e dei partiti
e reprimevano con la forza manifestazioni operaie e contadine.
La dittatura fascista
Nell’ottobre del 1922 Mussolini, il cui partito aveva raccolto molti iscritti, organizzò una marcia su
Roma per imporre l’entrata dei fascisti al governo.
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Dapprima Mussolini finse di rispettare i partiti dell’opposizione ma, ottenuta con brogli elettorali la
maggioranza assoluta con le elezioni del 1924, cominciò ad instaurare la dittatura del Partito
fascista.
Lo Stato italiano, da costituzionale, fu trasformato in stato totalitario, nel quale i poteri legislativo,
esecutivo e giudiziario, non spettavano più al Parlamento, al Governo e ai giudici, ma a un solo
uomo, il Duce, come Mussolini si faceva chiamare, e ai ministri da lui scelti.
Il Duce sciolse i partiti, proibì lo sciopero, soppresse le libertà politiche, di stampa e di
associazione, ripristinò la pena di morte per reati politici. Eliminò ogni opposizione condannando
all’esilio o al carcere molti antifascisti e facendo assassinare gli avversari più tenaci, come
Giacomo Matteotti, che in Parlamento aveva denunciato i brogli elettorali.
Mussolini cerca il consenso della popolazione
Per consolidare il suo regime e ottenere l’appoggio dei cattolici, il Duce pose fine al contrasto che
durava dal 1870 tra Stato e Chiesa, firmando l’11 febbraio 1929 i Patti lateranensi: la Chiesa
riconosceva Roma capitale del Regno d’Italia e autorizzava i cattolici a partecipare alla vita politica;
da parte sua, l’Italia riconosceva la Città del Vaticano come Stato indipendente e dichiarava il
Cattolicesimo la sola religione dello Stato, garantendone l’insegnamento nelle scuole dello Stato.
Mussolini, per garantirsi sempre maggiori consensi, volle regolare ogni aspetto della vita degli
italiani, dalla famiglia al lavoro, al dopo lavoro, dalla scuola allo sport, al tempo libero, inquadrando
in organizzazioni fasciste uomini, donne e perfino bambini.
Per diffondere e mantenere vivo l’ideale fascista ricorse ad una propaganda martellante, attraverso
la radio, il cinema, i giornali, i libri scolastici e i manifesti.
La politica di Mussolini
Durante il ventennio fascista il Duce intraprese numerose iniziative che avevano lo scopo di
migliorare le condizioni di vita della popolazione e nello stesso tempo di dimostrare la forza del
regime fascista.
- Fece realizzare importanti opere pubbliche.
- Riprese la politica coloniale occupando nel 1936 l’Etiopia e nel 1939 l’Albania.
- dopo un suo avvicinamento alla Germania di Hitler, emanò le leggi razziali contro gli Ebrei ai quali
fu vietato frequentare scuole pubbliche, sposare no Ebrei, prestare il servizio militare.
- Firmò nel 1939 il Patto d’acciaio con la Germania, un’alleanza militare che avrebbe trascinato
l’Italia nella guerra più terribile che mai si fosse combattuta.
La dittatura nazista
La grave crisi economica del dopo guerra e le pesanti condizioni di pace imposte alla Germania
avevano creato un profondo malessere nella popolazione tedesca. Chi seppe approfittare di
questa situazione fu Adolf Hitler il quale prometteva di rendere nuovamente potente la Germania.
Hitler basava il suo programma politico sulla convinzione che la razza Ariana, di cui i Tedeschi si
credevano i rappresentanti più puri, fosse superiore a tutte le altre. Il partito nazista fondato da
Hitler, ottenne grandi consensi, tanto che nel 1933 Hitler divenne capo del governo e l'anno
successivo proclamò la nascita del Terzo Reich, cioè del Terzo Impero, di cui divenne il capo
assoluto. Come Mussolini, anche Hitler con il Nazismo impose un regime dittatoriale e ricorse alla
violenza per eliminare fisicamente tutti gli oppositori. La sua determinazione gli procurò le simpatie
di grandi banchieri che gli concessero ingenti finanziamenti con i quali poté in pochi anni porre fine
alla crisi economica, riarmare l'esercito e fare della Germania la massima potenza Europea.
Ricorse ad una massiccia propaganda, esaltando la sua immagine e la superiorità della razza
tedesca. Contro gli Ebrei, ritenuti inferiori, iniziò fin dal 1938 una vera e propria persecuzione.
Gli inizi della Seconda guerra mondiale
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Alcuni territori, abitati dai Tedeschi, erano stati assegnati, alla fine della Prima Guerra Mondiale a
Cecoslovacchia, Francia e Polonia. La Germania era addirittura divisa in due parti dalla Polonia.
Hitler continuava a dire che i Tedeschi avevano bisogno del loro "spazio vitale". Cominciò ad
occupare alcune zone della Cecoslovacchia e successivamente si diresse verso la Polonia. Ma
con l'invasione di quest'ultima, si provocarono le reazioni di Francia e Inghilterra che, non potendo
più accettare l'espansionismo tedesco, il 3 settembre 1939 decisero di intervenire dando inizio alla
Seconda guerra mondiale. Affianco della Germania si schierarono l'Italia e il Giappone. Dall'altra
parte si trovarono gli Alleati, cioè Francia e Inghilterra e, più tardi, la Russia e gli Stati Uniti
d'America. Hitler in poche settimane occupò la Norvegia, la Danimarca, l'Olanda, il Belgio, il
Lussemburgo e parte della Francia. La Germania, durante le sue conquiste, utilizzò nuove armi e
nuove strategie militari. Fallì, invece, l'offensiva aerea contro l'Inghilterra. Infatti i radar inglesi,
sconosciuti ai tedeschi, permettevano di individuare gli aerei nemici.
Il conflitto si allarga
Il 10 Giugno 1940 anche l'Italia entrò in guerra a fianco della Germania. Il paese non era
militarmente preparato e l'opinione pubblica era in gran parte contraria. A sorpresa, violando il
patto di non aggressione, che aveva stretto con l'Unione sovietica, nel 1941 Hitler invase la Russia
con lo scopo di distruggere il comunismo e sottomettere i popoli slavi ritenuti inferiori.
Anche l’Italia dovette inviare delle truppe, nonostante fossero mal equipaggiate, sprovviste di carri
armati, di mezzi di trasporto e di collegamenti radio.
La svolta della guerra
Hitler, con rapide vittorie, aveva sottomesso quasi tutta l’Europa e il Nord Africa, ma la seconda
metà del 1942 e l’inizio del 1943 segnarono una svolta nella guerra: i Giapponesi avevano
attaccato a sorpresa la base navale americana di Pearl Harbor nell’Oceano Pacifico, provocando
l’entrata in guerra degli Stati Uniti. Iniziò la controffensiva degli Alleati, sostenuta da soldati e mezzi
da combattimento americani.
I Russi fermarono l’avanzata delle truppe tedesche e italiane che furono costrette a una disastrosa
ritirata, resa ancora più drammatica dal freddo e dalla fame che le decimò.
Gli Inglesi sconfissero gli Italo- tedeschi in Africa; gli Americani vinsero i Giapponesi nel Pacifico.
Infine gli Alleati, per piegare la Germania, iniziarono a bombardare città, ferrovie e porti tedeschi,
provocando un altissimo numero di morti tra la popolazione civile.
La caduta del Fascismo e la Resistenza
Nel 1943 gli Alleati sbarcarono in Sicilia e avanzarono verso nord, provocando la caduta del
Fascismo.
Il re fece arrestare Mussolini e l’8 settembre 1943 il nuovo capo del governo, Pietro Badoglio, firmò
l’armistizio con gli alleati.
L’Italia si trovò spaccata in due parti: il Sud controllato dagli Alleati; il Cento e il Nord dove
Mussolini, liberato dai Tedeschi, aveva fondato la Repubblica Sociale Italiana, sotto il controllo
tedesco.
Nell’Italia centro- settentrionale si cominciò a combattere una guerra civile tra i soldati fedeli a
Mussolini, sostenuti dai nazisti, e i partigiani. Questi erano soldati e ufficiali che avevano
abbandonato l’esercito, civili, studenti, borghesi, donne, operai e contadini che si opponevano al
regime fascista e costituivano il movimento della Resistenza.
I vari reparti partigiani compivano sabotaggi e attentati: facevano saltare ponti, linee ferroviarie e
depositi di munizioni, ostacolavano con attacchi a sorpresa i movimenti dei nemici.
Alla guerriglia partigiana seguivano, però, feroci rappresaglie tedesche e fasciste consistenti in
rastrellamenti, deportazioni, esecuzioni in massa di civili.
Con la loro azione, i partigiani aiutarono l’avanzata degli Anglo- americani che però impiegarono
ben due anni per risalire la penisola e solo il 25 aprile 1945 tutta l’Italia fu liberata dai nazifascisti.
Da allora il 25 aprile, giorno della liberazione, è considerato festa nazionale.
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La guerra si conclude
L’attacco che diede il colpo finale alla Germania fu sferrato dagli Alleati nel 1944 con lo sbarco in
Normandia, che portò alla liberazione del Belgio e della Francia. Fu una delle più imponenti e
spettacolari operazioni militari della storia: furono impiegati 3 milioni e mezzo di uomini, 12000
aerei e 6000 mezzi da sbarco. Nella primavera del 1945, accerchiata dalle truppe angloamericane e sovietiche, la Germania fu costretta a chiedere la resa incondizionata. Era il 7
maggio: la guerra in Europa era finita.
Unici a restare erano i Giapponesi. Gli Americani, decisi a concludere la guerra, usarono contro di
loro una nuova arma che avrebbe piegato il Giappone e dimostrato al mondo la potenza
americana: la bomba atomica.
Il 6 e il 9 agosto 1945 sganciarono sulla città di Hiroshima e Nagasaki due bombe atomiche. In
pochi secondi più di 150 mila persone rimasero uccise in modo orribile.
Il primo settembre 1945 anche il Giappone firmò la resa.
La Seconda guerra mondiale era costata 35 milioni di feriti, 55 milioni di morti, metà dei quali erano
civili, e aveva disseminato macerie ovunque.
AVVENIMENTI ITALIANI NELLA II GUERRA MONDIALE
1. 1 settembre 1939 La Germania invade la Polonia e dà inizio alla seconda guerra mondiale
2. 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra a fianco della Germania:battaglia franco-italiana sulle
Alpi Orientali e il 24 giugno 1940 viene firmato l’armistizio franco-ungarico a Roma.
3. 8-9 luglio 1940 battaglia navale a Punta Stilo (Reggio Calabria) tra la flotta italiana e quella
inglese:è colpita la corrazata Warspite.
4. Settembre 1940 prima offensiva italiana in LIBIA (maresciallo Graziani):conquista di Solum
e di Sidi el Barani al confine egiziano.
5. 28 ottobre 1940:l’Italia attacca la Grecia, con esito incerto e sfavorevole.
6. 13 novembre 1940:prima offensiva inglese in Libia (gen Wavel) fino a Bengasi e ad
Agedabia,prime sconfitte premonitrici.
7. Gennaio-settembre 1941:l’Inghilterra occupa la Somalia, l’Etiopia e l’Eritrea
8. Marzo-aprile 1941:la offensiva Italo-tedesca in Libia (Rommel) con la riconquista della
Cirenaica (tranne Tobruk) e nuova minaccia al confine egiziano.
9. 28 marzo 1941:battaglia navale a Capo Matapan tra la flotta italiana e quella inglese, dove
vengono affondati tre incrociatori italiani.
10. Aprile 1941:la Germania e l’Italia occupano la Jugoslavia e la Grecia e il 18 maggio
Aimone, duca d’Aosta è nominato re di Croazia.
11. 22 giugno 1941: la Germania e l’Italia dichiararono guerra alla RUSSIA e l’esercito tedesco
parte subito e avanza rapidamente nel territorio sovietico, mentre l’Italia solo in agosto
1941 invia in Russia il C.S.I.R. (Corpo di spedizione italiano in Russia) al comando del
generale Messe, che con l’arrivo dell’inverno è bloccato, come l’avanzata tedesca a
Leningrado e Mosca il novembre 1941.
12. 14 agosto: il presidente Usa Roosevelt e l’inglese Churcill si incontrano sulla corazzata
Prince of Wales nell’Atlantico e firmano la CARTA ATLANTICA, che sancisce il principio
della libertà dei popoli.
13. Novembre-dicembre 1941: fermata l’avanzata tedesco-italiana in Russia e seconda
offensiva inglese in Libia e riconquista della Cirenaica.
14. Il 7-8 dicembre 1941 i Giapponesi con la loro aviazione attaccano di sorpresa la flotta
americana a Pearl Harbour (Isole Hawai) e cagionano gravi perdite e gli Usa dichiararono
guerra al Giappone.
15. 11 dicembre 1941:Germania e Italia dichiararono guerra agli Stati Uniti.
16. Gennaio-giugno 1942:terza offensiva italo- tedesca in Libia, riconquista della Cirenaica,
liberazione di Tobruk e avanzata in Egitto fino ad El Alamein (a 80 Km da Alessandria).
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17. Maggio-agosto 1942:ripresa dell’avanzata tedesca in Russia, con la conquista della Crimea
e parte del Caucaso. L’Italia invia nuove divisioni, trasformando il C.S.I.R in A.R.M.I.R
(Armata italiana in Russia).
18. Settembre-novembre 1942: i tedeschi tentano lo sfondamento a Stalingrado, ma a causa
dell’incrollabile resistenza russa, non riescono a occupare la città e inizia lo sfacelo e la
ritirata anche sugli altri fronti, compreso quello italiano, nel gelo e nella disperazione.
Ritirata tedesca abbandono degli italiani al loro destino, senza mezzi e viveri.
19. Ottobre 1942: terza offensiva inglese in Libia (generale Montgomery), riconquista inglese
della Cirenaica e fuga degli italiani.
20. Novembre 1942: sbarco dell’esercito americano nel Marocco e in Algeria, con minaccia allo
schieramento tedesco italiano in Libia. Controffensiva Russa con sfondamento del fronte
tedesco (17 dicembre 1942) e accerchiamento dell’A.R.M.I.R (11 dicembre 18 gennaio
1943) circa 100 mila italiani morti, feriti, prigionieri o dispersi.
21. Gennaio maggio 1943: Caduta a Tripoli, sconfinamento delle truppe tedesche-italiane in
Tunisia e fine delle campagna d’Africa. Nel febbraio 1943 i Russia accerchiano le armate
tedesche a Stalingrado (350.000 tedeschi prigionieri) e liberano la città.
22. Giugno-agosto 1943: gli Alleati anglo-franco-americani, dopo aver occupato Pantelleria e
Lampedusa, sbarcano in Sicilia. Mussolini, in un convegno a Feltre, chiede invano aiuto a
Hitler.
23. 24 luglio 1943:il GRAN CONSIGLIO del Fascismo dichiara la propria sfiducia in Mussolini, il
24. 25 luglio 1943:Vittorio Emanuele III ordina l’arresto di Mussolini e incarica il Maresciallo
Badoglio di firmare il nuovo governo. 27 luglio 1943: gli Alleati intimano all’Italia la resa “ a
discrezione”. Sbandamento dell’esercito e tentativi di ritorno a casa “a piedi”.
25. 8 settembre 1943: pubblicazione dell’armistizio dell’Italia, considerato tradimento dai
Tedeschi, che dichiarano infido e braccano l’Esercito in Italia, in Grecia, in Albania e
nell’Egeo. Il re e il governo Badoglio si rifugiano a Brindisi e poi a Bari, con L’idea di
imbarcarsi e fuggire. La flotta si affianca a quella alleata. Incomincia il MOVIMENTO
PARTIGIANO in tante parti d’Italia.
26. 12 settembre 1943: paracadutisti tedeschi, inviati da Hitler, liberano Mussolini, prigioniero in
un albergo a Campo Imperatore sul Gran Sasso. Il Duce è trasportato in Germania, per
rilanciare la sua guida. Infatti il
27. 23 settembre 1943:Mussolini, tornato in Italia, fonda la REPPUBLICA SOCIALE ITALIANA
(RSI) e tenta di ricostruire un esercito di giovanissimi, per continuare a combattere a fianco
della Germania, non ancora domata, nonostante le gravi sconfitte in varie nazioni.
28. Ottobre 1943: la forte resistenza tedesca ferma gli Alleati alla Stretta di Cassino, ben difesa
e fortificata. Il 13 ottobre 1943 il governo Badoglio dichiara guerra alla Germania,
proclamando la cobelligeranza con gli eserciti Alleati.
29. 22 gennaio 1944: gli Alleati sbarcano ad ANZIO e a NETTUNO, ma trovano una forte
opposizione tedesca. Il 15 febbraio 1943 l’Aviazione alleata distrugge l’antica Abbazia di
Montecassino (anche per un errore tattico) sopravvalutando la presenza tedesca (polacca).
30. Marzo 1944: a SAN DONA’ DI PIAVE si costituisce il C.L.N. (comitato di liberazione
nazionale) formato da Guido Dall’Agnol, Romualdo Boccato, Angelo Agostinetto, Bruno
Rossi e Romeo Del Frate. In fasi diverse della lotta furono in prima linea Beniamino
Ferruglio, Giorgio Dall’Armi, Voltarel Giordano Pasquale, Giovanni Fiotto, Battistella,
Giovanni Baron eAttilio Rizzo, entrambi ufficiali dell’esercito, che danno immediatamente
una impronta militare alla lotta.
31. La lotta si svolse in tutto il territorio, con furiosi scontri, che dovevamo portare alla
liberazione.
32. 12 aprile 1944: Vittorio Emanuele III cede i poteri al figlio Umberto, che assume il titolo di
“luogotenente”.
33. Maggio settembre 1944:gli Alleati, dopo aver sfondato il fronte tedesco a Cassino, il 4
giugno 1944 liberano ROMA e poi entrano a FIRENZE, dove i Tedeschi distruggono tutti i
ponti eccetto il Ponte Vecchio e fermano gli alleati sulla LINEA GOTICA (Appennino toscoemiliano) a lungo.
34. 6 giugno 1944: gli Alleati sotto il comando del generale Eisenhower sbarcano in Francia, in
Normandia, lungo la costa, creando il “secondo fronte”, mentre restano fermi in Italia.
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Cresce e si organizza la “resistenza”.
35. 26 luglio 1944:attentato a CA’GIUSTINIAN a Venezia, sede del comando tedesco e
fascista, oltre al crollo c’è un morto e alcuni feriti, con immediata, rabbiosa rappresaglia,
pare imposta dai tedeschi, e alle 5 del 28 luglio vengono fucilati D’Andrea Ernesto,
Momesso Violante, Gressani Angelo, Bertazzolo Levorin Gustavo, Nardean Venceslao,
Biancotto Francesco, Basso Attilio, Felisati Giovanni erano tutti anti-fascisti arrestati a San
Donà di Piave, per un attentato alla casa del fascio, in attesa di scarcerazione (XIII
MARTIRI). La designazione dei nomi viene fatta a San Donà (faida locale)
36. Novembre 1944: vengono fucilati nella Azienda di Zenson di Piave il conte Badini con i
suoi mezzadri Scarleato e Boffante di Monastier
37. Febbraio 1945: si tiene la Conferenza interalleata di YALTA (Crimea) dove Stalin,
Roosevelt e Churcill prendono accordi sul modo di continuare la guerra e sulla futura
spartizione dell’Europa.
38. Marzo aprile 1945:Gli Alleati riprendono l’offensiva in Italia, sfondano la Linea gotica
entrano in BOLOGNA, passano il Po, mentre L’Italia settentrionale insorge e i Comitati di
liberazione nazionale (C.L.N.) assumono il potere in molti centri: interviene il Comitato
regionale militare veneto (CRMV) del Comitato veneto di liberazione (CVL) e libera
VERONA e SAN DONA’ DI PIAVE il 25 aprile, PADOVA (27aprile) e VENEZIA (primi
scontri 25 aprile, liberazione prigionieri politici, azione diplomatica di Mons. Urbani,
occupata, nella notte del 27 aprile , la prefettura e la questura, ritirata dei tedeschi al porto,
all’Arsenale, a piazzale Roma e si tratta, con la firma di un documento alle 4 del mattino
del 29 aprile 1945. Gli Alleati arrivano a Venezia il 2 maggio.
39. 28 aprile 1945: Fucilazione di Mussolini a Mulino di Mezzegra (Como)
40. (il)12 aprile era morto improvvisamente il Presidente Roosevelt , a cui era successo
TRUMAN, allora vicepresidente degli USA,
41. mentre il 26 aprile si incontravano Russi e Americani sull’Elba. Anche molti gerarchi
fascisti, vengono fucilati a Dongo (Como).
42. Hitler
si
suiciderà
il
1
maggio
1945.
7 maggio 1945 : “resa a discrezione” della Germania. La guerra continua con il
Giappone a cui gli Alleati intimano (il 26 luglio) la “resa a discrezione”, ricevendone un
rifiuto, per cui il 6 agosto 1944 viene lanciata la prima bomba atomica su Hiroscima (circa
100000morti) e l’8 agosto la Russia dichiara guerra al Giappone. Poi viene gettata (9
agosto) la seconda Atomica a Nagasaki (circa 200000 morti) e il 15 agosto 1945 c’è la
“resa a discrezione “del Giappone e la fine della II Guerra mondiale.
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