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SCENARI DELLA COMUNICAZIONE
a cura di Alberto Abruzzese, Andrea Miconi e Domenico Fiormonte
Marshall McLuhan
AFORISMI E PROFEZIE
A cura di Marco Pigliacampo
Postfazione di
Derrick de Kerckhove
ARMANDO
EDITORE
PIGLIACAMPO, Marco (a cura di)
Marshall McLuhan. Aforismi e profezie ;
Intr. di Marco Pigliacampo ; Posfaz. Di Derrick de Kerckhove
Roma : Armando, © 2011
192 p. ; 20 cm. (Scenari della comunicazione)
ISBN: 978-88-6081-927-7
1. Aforismi di McLuhan
2. Linguaggi / Comunicazione
3. Mezzi e messaggi
CDD 300
© 2011 Armando Armando s.r.l.
Viale Trastevere, 236 - 00153 Roma
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Sommario
Introduzione: Il mosaico McLuhan
di MARCO PIGLIACAMPO
I. Il folclore industriale
Il denaro
Il consumo
La moda
La pubblicità
Il folclore odierno
Il romanzo collettivo
Il pubblico
I sondaggi
La libertà
Il successo
La normalità
Il lavoro
I ricchi
La donna
I giovani
L’igiene
Il sesso
L’automobile
Il far west
Il gangster
Lo sport
La guerra
La scuola
I libri
Gli intellettuali
La scienza
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L’arte
Il pensiero
La mente
Il potere
La politica
L’inazione
L’informazione
Il coinvolgimento
La paura
Il distacco
La comprensione
La resistenza
II. Il cerchio del linguaggio
La parola
La ridondanza
L’alfabeto
La scrittura a stampa
Il punto di vista
L’uomo alfabetico
Il cerchio magico
Alfabeto e pensiero
Forma e pensiero
La poesia
Forma e contenuto
L’originalità
La memoria
La conoscenza
La comunità
Comunità orale
Comunità alfabetica
L’uomo diviso
La meccanizzazione
Stampa e individuo
La nazione
I lettori
I giornali
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III. Mezzi e messaggi
Il messaggio
Il contenuto
L’effetto
I sensi
L’ipnosi
Media e cultura
Il cerchio culturale
Media e società
Il mutamento sociale
La consapevolezza
L’inconscio
Media e psiche
Le immagini
Il cinema
La televisione
La radio
Il rapporto tra media
Da medium a medium
Da cultura a cultura
Arte e media
Il processo creativo
I miti
Formazione e media
Morale e media
L’inversione
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140
IV. Il villaggio globale
L’elettricità
Tempo e spazio
La simultaneità
La città mondiale
I media globali
L’analisi dei media
La nuova cultura
La nuova tribalità
Il nuovo oralismo
145
147
148
149
151
153
154
156
158
160
L’era dell’informazione
La società simultanea
Le relazioni sociali
La psiche
Gli effetti psico-sociali
La coscienza
La sacralità
Il nuovo lavoro
Nuovi mercati
161
163
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167
168
170
171
172
173
Marshall McLuhan: scheda bio-bibliografica
177
Le pubblicazioni
180
Postfazione. Gli aforismi come metodo d’indagine
di DERRICK DE KERCKHOVE
183
I curatori
189
Introduzione
Il mosaico McLuhan
Il lettore passivo preferisce i testi compiuti, ma
coloro che sono interessati a perseguire la conoscenza
ricorrono agli aforismi, proprio perché sono incompleti
e richiedono una profonda partecipazione della mente.
Per alcuni esimi studiosi fu “l’imbecille più convinto del suo
secolo”1, per altri ugualmente illustri “il suo impatto sulla nostra
cultura fu pari a quello di Albert Einstein”2. Trent’anni dopo la sua
morte, avvenuta il 31 dicembre 1980, sessant’anni dopo la pubblicazione del suo primo capolavoro (La sposa meccanica, 1951),
il nome di Marshall McLuhan trova ancora irrimediabilmente distanti gli studiosi, sociologi o storici che siano. Nelle loro opinioni
riecheggiano ancora le appassionate discussioni che gli scritti di
McLuhan hanno suscitato per decenni, in particolare negli anni ’60
e ’70, quando la sua stessa figura – assolutamente originale e orgogliosamente anti-accademica – non facilitava un dibattito neutrale
e approfondito sulle sue idee. Le incursioni televisive, la nota interpretazione di se stesso nel film Io e Annie di Woody Allen, la generosità e il sense of humour con cui accettava inviti nei più disparati
incontri pubblici contribuirono a creare il “fenomeno McLuhan”
e a ostacolare la già faticosa analisi delle sue tesi. Mentre Andy
Warhol sosteneva che “il modo per fare contro-cultura e avere successo commerciale è fare come McLuhan”3, gli studiosi di mezzo
mondo si impegnavano lungamente nella difficile lettura delle sue
opere, così distanti dalle consuete ricerche universitarie da apparire
a un tempo irritanti e affascinanti.
La scrittura di McLuhan, fin dalla sua prima opera importante,
non seguiva gli schemi classici della saggistica, ma dava libero sfogo al suo pensiero, seguendo le idee e utilizzando continuamente
9
iperboli e paradossi per disegnare immagini assolutamente efficaci.
La sua personalità autentica si riverberava nell’approccio di studio,
in cui seguiva metodi non convenzionali e decisamente creativi. Lo
ha ricordato Stefano Bartezzaghi in uno dei tanti articoli apparsi
negli anni, sui giornali, negli anniversari della scomparsa: «I libri
di McLuhan evitano il più possibile le logiche della dimostrazione,
pretendendo mostrare. Si possono leggere ordinatamente dalla prima all’ultima pagina, ma pare chiaro che McLuhan li ha scritti pensando a un lettore che faccia zapping fra i capitoli, le immagini, le
didascalie»4. Si può dire che il pensiero mcluhaniano prediliga una
forma di comunicazione di tipo orale, tendenzialmente sintetica,
immediata e comunque a effetto. All’interno delle pagine di un libro, la forma di comunicazione adottata da McLuhan appare intensamente mobile, spesso incompiuta, a volte contraddittoria, mentre
è intenta a comporre, pagina dopo pagina, un esteso e variopinto
mosaico del suo pensiero. La forma del suo scrivere ha contribuito
a diffondere una perdurante incomprensione delle sue tesi, nonché
ad ampliare la distanza tra gli studiosi affascinati dal suo lavoro
(pochi fino agli anni ’80, moltissimi dopo) e quelli quantomeno
scettici, tra cui, in Italia, il giovane (all’epoca) ricercatore Umberto
Eco, che nel ’67 scriveva: «C’è del buono in McLuhan come c’è
nei fumatori di banana e negli hippies. Stiamo a vedere cosa combineranno ancora»5.
Il professore canadese era consapevole dei limiti del suo metodo in termini di chiarezza e comprensibilità, tuttavia era animato
da una propensione del tutto autentica a rendere coerente il modus
operandi della sua ricerca con le tesi che perseguiva. «Nelle intenzioni di McLuhan – scrive la studiosa Elena Lamberti – la scrittura
a mosaico, giustappositiva e discontinua, è tesa proprio a ricomporre la frattura tra “verbo” e “logica” posta in essere nell’Occidente
dalla scienza moderna. […] Lo scopo è quello di recuperare l’armonia derivante da una percezione integrale»6. Che in McLuhan vi
sia questo intento è confermato dalla gran parte delle frasi raccolte
in questo libro, animate dall’idea per cui solo le tesi incomplete
aiutano le menti a perseguire la conoscenza, così come spiega il
meta-aforisma che abbiamo scelto come sottotitolo a questa introduzione. Egli stesso è incline a spiegarne la logica: «Lo sviluppo
10
della pressa a vapore è correlato al sorgere del nazionalismo. Non
vi è nulla di casuale o arbitrario in tale tesi, è una configurazione
da cui far scaturire la comprensione. Ma se essa fosse tradotta in
una prosa prospettica, non solo ci sarebbe bisogno di un enorme
spazio, ma andrebbe perduta l’intuizione delle reciproche influenze
tra le diverse strutture»7. McLuhan ci dice non solo che non è di
per sé sbagliato semplificare fenomeni complessi, ma anche che, a
volte, è l’unica strategia possibile per venire a capo di meccanismi
altrimenti indecifrabili.
Paradosso vuole che per lo stesso motivo (l’utilizzo della semplificazione nelle frasi a effetto) McLuhan sia stato contestato e
isolato dagli studiosi del suo tempo e, dagli anni ’80 in poi, reso
celebre e persino popolare dai ricercatori e dai commentatori, più o
meno autorevoli, avvicinati al tema delle nuove tecnologie della comunicazione. Negli ultimi trent’anni il mondo delle comunicazioni
di massa è esploso in mille nuove forme e per tutti coloro che sono
stati chiamati a studiare o commentare i nuovi media apparsi sulla
scena globale è stato quasi un automatismo quello di “ancorarsi”,
nel mare magnum dell’accelerazione tecnologica, alle efficaci sintesi di McLuhan. Espressioni da lui create, come “villaggio globale”, “galassia Gutenberg”, “il medium è il messaggio”, “il medium
è il massaggio”, e altre ancora, sono state introdotte nel tam tam
mediatico e hanno preso a rimbalzare tra una citazione e l’altra,
più o meno corretta, fino a minimizzarne o peggio fraintenderne i
significati. Scrive giustamente Bartezzaghi: «È lecito domandarsi
se le teorie massmediologiche di McLuhan siano ancora visibili
sotto una manciata di titoli e aforismi divenuti rituali come formule
liturgiche più facili da ricordare che da comprendere»8.
Altro motivo fondamentale nel contribuire alla popolarità e al
fascino del pensiero di McLuhan è l’enorme e per certi versi inspiegabile capacità predittiva. Nelle sue affermazioni è presente
una capacità di prefigurazione e di anticipazione storica talmente
forte che sembra siano state scritte oggi. Se poi ci si sofferma un
attimo, mentre si legge McLuhan, a pensare agli anni ’50 e ’60,
si può restare sbalorditi a riflettere su quali potevano essere stati,
all’epoca, i “segnali deboli” da cui egli poteva aver intuito così
tanto. Basti pensare che quando coniava frasi come «La televisio11
ne preferisce trasmettere procedimenti di lavorazione piuttosto che
prodotti finiti» poteva vedere solo i compostissimi programmi tv
di quegli anni, oppure quando scriveva che «l’esteriorizzazione
dei sensi da parte dei nuovi media crea un cervello tecnologico
mondiale» non esistevano i computer, la telematica, né tantomeno
Internet. Anche dal punto di vista scientifico, McLuhan è stato un
anticipatore, introducendo alcuni principi fondamentali relativi ai
mass media sui quali folte schiere di studiosi hanno lavorato negli
anni successivi. Fu il primo, ad esempio, a scrivere che nei media
elettronici il destinatario dei messaggi non è più solo spettatore, ma
anche co-produttore dell’informazione che gli è indirizzata. Mediante le tecniche di zapping, lo spettatore sostituisce al tempo obbligato del racconto il tempo del suo singolo sguardo, partecipando
direttamente alla genesi delle rappresentazioni di conoscenza. Ma
il principio più innovativo formulato da McLuhan è stato quello secondo cui i media raggiungono i loro rispettivi effetti sulle persone,
sulle sensibilità umane, sulla struttura sociale delle comunità, indipendentemente dal contenuto che trasmettono, ma esclusivamente
in funzione della loro struttura formale. Un principio che già di per
sé è uno sconvolgimento. Lo chiarisce Derrick de Kerckhove, il
suo più illustre allievo, quando scrive che «McLuhan ha spiegato i
modi in cui i media strutturano la percezione sensoriale e questa, a
sua volta, l’organizzazione sociale. Insomma, quello che facciamo
e quello che pensiamo è legato al modo in cui percepiamo»9.
Oggi le tesi scientifiche di McLuhan sono celebrate ma, molto
spesso, fraintese. I malintesi più diffusi dipendono in larga parte dall’espansione di Internet e dalla diffusione delle cosiddette
“comunità virtuali”, che già da dieci anni e ancora oggi catturano
l’attenzione sia dei cronisti sia dei ricercatori. Ciò che avviene solitamente, nel citare McLuhan, è un utilizzo parziale e quindi fuorviante delle sue tesi. Ne è esemplare l’equivoco più diffuso: spesso illustri commentatori dibattono sulla “profezia” del “villaggio
globale”, concordando sul fatto che oggi è possibile comunicare in
tempo reale con tutto il globo ma dividendosi sulla capacità delle
persone di costruire rapporti sociali, mediante le nuove tecnologie,
che abbiano la solidità e il valore di quelli tradizionali. Per coloro che hanno dubbi in proposito, la profezia di McLuhan non si
12
sarebbe avverata. La realtà è che tali dibattiti non considerano il
senso più profondo delle parole di McLuhan. La sua “profezia”, se
così vogliamo chiamarla, è che i nuovi mezzi di comunicazione si
caratterizzano per essi stessi (per le proprie strutture mediali) come
promotori di nuove socialità che hanno caratteristiche peculiari e
indipendenti dalle abitudini sociali pregresse delle persone. Alcune di tali caratteristiche facilitano la riscoperta di abitudini tipiche
delle comunità arcaiche (il gusto dell’immediatezza, il coinvolgimento emotivo, ecc.), mentre altre sollecitano l’insorgere di nuovi
costumi, inediti e spesso opposti alle abitudini già diffuse. Il “villaggio globale” non è una comunità tradizionale divenuta grande
quanto il globo, ma una condizione ampiamente inedita.
Un terzo motivo di fascino del pensiero mcluhaniano, oltre alla
forma espressiva e alla capacità predittiva, è il suo contenuto “politico”, nel senso più ampio del termine. Accusato da vari studiosi
del suo tempo di “indifferenza morale” nei confronti della rivoluzione tecnologica, McLuhan rispondeva che «vi saranno sempre
problemi morali a sufficienza senza che vi sia bisogno di assumere
una posizione etica su basi tecnologiche»10. Eppure è quantomeno
superficiale considerare McLuhan un apologeta dell’innovazione tecnologica. Egli credeva che l’avvento dei nuovi media fosse
innanzitutto un’occasione e una sfida da cogliere per gli studiosi
e le agenzie educative: analizzare i loro meccanismi di funzionamento può contribuire a comprendere le strategie di fascinazione
e influenza già presenti in media quali i giornali, i libri, il cinema,
la moda, la pubblicità. La mancanza di consapevolezza circa gli
effetti dei media sui comportamenti individuali e collettivi delle
persone non riguarda specificamente i nuovi media ma tutti i mezzi
di comunicazione, a partire dalla “tecnologia della parola”. Su questo aspetto gli insegnamenti di McLuhan sono molteplici: i media
agiscono inavvertitamente e irriducibilmente; la diffidenza verso i
nuovi media non ne agevola l’analisi e la comprensione; i contenuti dei media, spesso familiari e apparentemente innocui, sono un
ostacolo alla percezione del pericolo; l’effetto dei media è “politico” anche se i loro contenuti non hanno evidenti intenti politici. Il
fatto centrale è che il carattere ammaliante delle forme mediali (già
delle forme pubblicitarie precedenti l’avvento della televisione)
13
sviluppa una progressiva attitudine delle persone alla deresponsabilizzazione verso se stessi e tanto più verso la propria comunità. De Kerckhove ha efficacemente sintetizzato tali aspetti: «Per
McLuhan la tecnologia non ha di per sé un significato morale, ma
gli uomini devono essere coscienti degli effetti che i cambiamenti
tecnologici hanno sulle loro percezioni. La non-vigilanza sull’impatto dei media può trasformare il villaggio globale in un luogo di
controllo autoritario, poiché il controllo dei media favorisce l’imposizione di strategie unitarie di pensiero, di sensibilità, di sentimenti»11. Scorrendo le pagine di questa raccolta, si possono trovare
numerose testimonianze di quanto McLuhan fosse preoccupato del
diffondersi di una nuova forma di totalitarismo, subdolo, inconsapevole, fondato sull’utilizzo commerciale e acritico dei media di
massa. «Il Balletto Luce abbraccia tutte le arti della comunicazione e del controllo, portandole a stuzzicare, blandire e adulare un
pubblico di massa. […] Anche quando il signor Luce si accontenta
dell’irresponsabile manipolazione delle tecniche mediatiche senza
mirare a conseguire un diretto potere politico, tuttavia l’effetto del
Balletto Luce è politico: dalla scena di questo potente intrattenimento emerge un pubblico rapito, inerme, sconsiderato»12.
Agli studiosi e cultori della materia è opportuno accennare le
scelte metodologiche che hanno guidato la realizzazione di questo
volume, per quanto sia stato ideato e realizzato con un evidente
intento divulgativo. Il lavoro di raccolta, selezione e revisione delle
frasi di McLuhan ha comportato tre anni di impegno e si è rivelato nel tempo assai più faticoso di quanto ipotizzato inizialmente.
Occorre chiarire, innanzitutto, che la maggior parte delle frasi riportate sono estratte da considerazioni più ampie o comunque dai
contesti di riflessione in cui McLuhan le ha scritte. Ciò ha comportato per quasi ogni frase un’opera di “aggiustamento” che ne facilitasse la lettura, realizzata con l’attenzione necessaria a non ridurne
o travisarne il significato originale. Le citazioni raccolte provengono soprattutto dalle tre opere principali di McLuhan: La sposa
meccanica (titolo originale: The mechanical bride – pubblicata nel
1951); La galassia Gutenberg (The Gutenberg galaxy – 1962); Gli
strumenti del comunicare (Understanding media – 1964). Si è cercato di mantenere nel volume la successione cronologica del suo
14
lavoro, creando quattro parti, i cui titoli sono indicativi dei temi che
affrontano: Il folclore industriale; Il cerchio del linguaggio; Mezzi
e messaggi; Il villaggio globale. In particolare: la prima parte ospita considerazioni sulla società consumistica che sono tratte soprattutto dalla prima opera; la seconda sezione si concentra sui temi del
rapporto tra il linguaggio e il pensiero, citando soprattutto il saggio
sull’invenzione di Gutenberg; le due parti successive presentano
molte citazioni dell’opera più controversa, Understanding Media.
Riferendosi agli anni di pubblicazione delle opere originali, il criterio adottato ristabilisce una successione del percorso di riflessione mcluhaniano che gli studiosi italiani hanno avuto difficoltà a
seguire, poiché le edizioni italiane delle opere furono pubblicate
in ritardo e senza rispettarne la sequenza originale di produzione.
Ogni sezione si apre con un aforisma e propone i successivi pensieri raggruppati per temi (ad esempio, il denaro, il consumo, la moda,
ecc.), secondo un ordine per quanto possibile significativo. Una
breve scheda di note bibliografiche completa ogni sezione indicando le pubblicazioni da cui sono tratte le citazioni. Per agevolare una
piacevole lettura, i rimandi alle note sono inseriti solo per gli aforismi che non appartengono all’opera di riferimento della sezione.
Buona parte delle scelte di selezione e posizionamento delle frasi potrebbe apparire arbitraria, scontando un’irriducibile difficoltà a
distinguere chiaramente tutti i significati degli aforismi prodotti da
McLuhan. Il lettore, in ogni caso, scoprirà la ricchezza dei pensieri
raccolti nel volume, ognuno dei quali rivela un mondo complesso
su cui fermarsi e indica un percorso di riflessione che è stimolante
cercare di compiere in autonomia.
Roma, novembre 2010
MARCO PIGLIACAMPO
15
Note bibliografiche
1. Guy Debord, Commentari sulla società dello spettacolo, Sugarco,
Milano, 1996 (edizione originale francese, 1988) – «Lo stesso McLuhan,
il primo apologeta dello spettacolo, che sembrava l’imbecille più convinto del suo secolo, ha cambiato parere scoprendo finalmente, nel 1976, che
la pressione dei mass media porta all’irrazionale e che sarebbe diventato
urgente moderare il loro uso».
2. Derrick de Kerckhove, Così io ricordo il mio strano maestro, in “la
Repubblica” del 27 dicembre 2005.
3. Andy Warhol, La cosa più bella di Firenze è McDonald’s: aforismi
mai scritti, a cura di Matteo B. Bianchi, Nuovi Equilibri, Viterbo, 2006 –
«Il modo per fare contro-cultura e avere successo commerciale di massa è
fare come McLuhan: dire e fare cose radicali in una forma conservatrice,
scrivere un libro per dire che i libri sono obsolet».
4. Stefano Bartezzaghi, McLuhan. Cosa resta del suo villaggio globale, in “la Repubblica” del 27 dicembre 2005.
5. Umberto Eco, recensione de Gli strumenti del comunicare, in
«Quindici», 1967.
6. Elena Lamberti, Marshall McLuhan: tra letteratura, arte e media,
Bruno Mondadori, Milano, 2000.
7. Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore,
Milano, 1967.
8. Stefano Bartezzaghi, op. cit.
9. Derrick de Kerckhove, op. cit.
10. Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, cit.
11. Derrick de Kerckhove, op. cit.
12. Marshall McLuhan, La sposa meccanica, Sugarco, Milano, 1984.
16
A Carla,
per il supporto, la pazienza, la comprensione.
I
IL FOLCLORE INDUSTRIALE
Nulla retrocede come il successo
IL DENARO
I soldi sono la carta di credito di un uomo povero.
Il portafoglio è la ghiandola del nuovo corpo politico che consente al diluvio delle merci di irrompere nella nostra vita.
Il denaro ha reso obsoleto il baratto, ma ha recuperato dalla società tribale lo scambio di doni, oggi forma di diffuso consumismo.
Il denaro conserva sempre qualche traccia del suo carattere di
merce. *
Ogni mezzo, spinto ai limiti del suo potenziale, muta forma e
diviene a esso complementare: così il denaro spinto ai limiti si tramuta nel credito, cioè nella mancanza di denaro. *
Il portafoglio ci catapulta nel tunnel onirico dell’uguaglianza e
della conformità.
21
IL CONSUMO
Le pressioni di natura consumistica possono colpire l’intero carattere di una società.
L’economia di mercato stimola nelle persone una costante disponibilità a scartare le vecchie abitudini e i vecchi beni.
Il cambiamento accelerato e l’obsolescenza pianificata sono il
principio primario di un’economia di potere industriale costruita
sulle scienze applicate. °
La camicia di forza è imposta al consumatore mediante una tecnica totalitaristica di stratificazione: suddividi gli uomini in dentisti
del Midwest e coltivatori del Sud e avrai la certezza di prenderli
tutti per il naso.
Oggi le distinzioni sociali e intellettuali sono proclamate in conformità ai generi di consumo, ignorando con una pernacchia qualsiasi base reale per tali distinzioni.
Un salame è più maneggevole di un taglio scelto: la logica di
un’economia di potere è rozza ma rigorosa.
22
LA MODA
Una rotazione del mercato richiede una rotazione umana.
L’incessante pressione sulla moda e sull’esclusività dei nuovi
prodotti rende il consumatore estremamente informato sull’obsolescenza dei propri beni.
Continuare a utilizzare il vecchio modello di un vestito, in opposizione ai nuovi modelli, diventa non solo un’eccentricità ma
anche una complessa sfida alle altre persone.
Nella società consumistica vi è una tendenza a vivere in termini
di comodità non solo presenti, ma anche future.
Oggi il futuro non è più pensato come migliore, ma come diverso: non è il futuro umano, ma l’anteprima dei modelli del prossimo
anno.
Le parate della moda sono l’anteprima della società mondiale
che nascerà dalla distruzione di tutte le culture esistenti.
Per l’osservatore dei media una moda è uno strumento di orientamento critico per comprendere gli effetti psichici di una tecnologia.
Sarebbe meglio studiare l’effetto dei nostri appetiti piuttosto che
criminalizzare quanti sono abbastanza perspicaci per sfruttarli. ˆ
Ogni moda indica sempre una qualche misura di sonnambulismo. °
23
LA PUBBLICITÀ
La pubblicità è un tipo di magia rituale che ci fa apparire più
belli ai nostri occhi.
Le agenzie di pubblicità esprimono per la collettività ciò che i
sogni esprimono per l’individuo.
Oggi i modelli di eloquenza non sono i classici, ma le agenzie
pubblicitarie.
lo.
La pubblicità è la più grande forma d’arte del ventesimo seco-
Gli annunci pubblicitari sono in se stessi la forma primaria della
cultura industriale.
La moda e la pubblicità producono uniformità, mentre pretendono di soddisfare la passione del pubblico per la diversità.
L’effetto della pubblicità e di molta parte degli spettacoli ricreativi è di mantenere le persone nello stato d’impotenza prodotto da
un prolungato bombardamento della mente.
Se esaminati consapevolmente, i messaggi pubblicitari appaiono assurdi come un inno sacro applicato a un numero di spogliarello; ma essi sono appositamente destinati a un livello di semiconsapevolezza. *
L’esistenza della pubblicità è una testimonianza dello stato di
sonnambulismo in cui versa una stanca metropoli. *
24
La pubblicità si è dimostrata una forma autodistruttiva di pubblico divertimento. *
Gli autori degli annunci pubblicitari hanno inevitabilmente una
visione pessimistica delle capacità mentali dei loro lettori.
Un annuncio pubblicitario cerca sia di informarci sia di produrre in noi, per anticipazione, una metamorfosi privata e sociale. #
La moderna Cappuccetto Rosso, allevata a suon di pubblicità,
non ha nulla in contrario a lasciarsi mangiare dal lupo.
25
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