Anno accademico 1971-1972 Dissertazione: Statica e dinamica dei fluidi. 1) Si consideri il moto di un elettrone in un campo magnetico costante ed β. omogeneo π΅ (π) In quali condizioni la velocità π£ dell’elettrone rimane costante nel tempo? (π) Il lavoro fatto dalla forza agente sull’elettrone è positivo, negativo o nullo? (π) Come dipende dal tempo il modulo di π£? Una carica π che si muove con velocità π£ perpendicolarmente alle linee di forza di β è sottoposta alla forza di Lorentz un campo magnetico uniforme π΅ β . πΉ = ππ£ × π΅ Ora, il vettore velocità ha in generale due componenti: una parallela al campo π£β₯ = β, π£ cos πΌ, un’altra ortogonale ad esso π£⊥ = π£ sin πΌ, essendo ο‘ è l’angolo tra π£ e π΅ come illustra la figura che segue. In termini quantitativi, dato che β = β0 , ππ£β₯ × π΅ 2 si può scrivere che β = π(π£β₯ + π£⊥ ) × π΅ β = ππ£⊥ × π΅ β πΉ = ππ£ × π΅ Ed affermare che il campo di induzione magnetica agisce soltanto sulla componente ortogonale della velocità. (π) Ebbene, escludendo il caso banale di assenza di campo, il vettore velocità π£ rimane costante nel tempo, solo se esso è parallelo al campo di induzione magnetica. Pertanto, se accade che πΌ = ±π/2, allora π£ = ±π£β₯ ed il campo non ha alcun effetto sul moto dell’elettrone. Comunque sia, l’elettrone è animato da un moto rettilineo ed uniforme nella direzione del campo magnetico oppure in quella opposta, che rimane imperturbato dalla presenza del campo. L’effetto della componente ortogonale al campo consiste solo in un cambio continuo di direzione, che non altera l’intensità di questa componente della velocità, che rimane costante nel tempo. Pertanto, questa forza svolge il ruolo di forza centripeta e la carica si muove di moto circolare uniforme, per cui |π|π΅ π£⊥2 ππ£⊥ π = |π|π£π΅ → π = , π= . |π|π΅ π 2ππ La figura che segue mostra il moto di un elettrone, che ha carica π = −π, quando viene inviato ortogonalmente π£ = π£⊥ alle linee di campo. 3 Dalle relazioni trovate si nota che il raggio della circonferenza descritta dalla carica è direttamente proporzionale alla quantità di moto della carica ed inversamente proporzionale al campo magnetico. β che a π£ ed il suo verso lo si ottiene La direzione della forza è perpendicolare sia a π΅ ponendo le dita tese della mano destra nel verso delle linee di forza del campo, pollice nel verso del moto della particella, la forza è entrante nel palmo della mano se la carica è negativa, uscente se è positiva. La frequenza del moto, chiamata frequenza di ciclotrone, il corrispondente periodo e la velocità angolare sono indipendenti dalla velocità. Le cariche veloci si muovono su grandi circonferenze, quelle lente su circonferenze piccole, ma tutte le cariche impiegano lo stesso tempo per compiere un giro. In realtà, ciò è vero soltanto quando si può trascurare la variazione della massa con la velocità della carica, cioè per cariche con velocità piccola rispetto a quella della luce. La caratteristica della forza di Lorentz di essere perpendicolare al vettore velocità e quindi allo spostamento la rende molto diversa dalle altre forze. Infatti, ad esempio, la forza gravitazionale ed elettrica agiscono sempre nella direzione del 4 movimento, invece la forza di Lorentz non è in grado di spingere o tirare, ma solo di deflettere. Una conseguenza di questa peculiarità è che la forza di Lorentz è β , mentre nel perpendicolare alle linee di forza del campo magnetico e quindi a π΅ caso del campo elettrico il vettore πΈβ e la forza elettrica sono entrambi tangenti alle linee di forza. (π) Essendo la forza di Lorentz perpendicolare alla velocità, quindi allo spostamento, essa non compie lavoro e non produce alcun cambiamento nell’energia cinetica e nella velocità della carica. β trasla (π) Nel caso generale, la particella mentre ruota perpendicolarmente a π΅ nella direzione del campo magnetico per effetto di π£⊥ . La composizione di questi due movimenti è un moto elicoidale la cui traiettoria è un’elica cilindrica. Il raggio dell’elica vale π = ππ£⊥ ππ£ sin πΌ = , |π|π΅ |π|π΅ mentre il passo dell’elica, cioè la distanza tra spire adiacenti, è definito dal prodotto del periodo di rotazione π della carica ed è pari a 5 β = π£β₯ π = π£ 2ππ cos πΌ . |π|π΅ Si verifica facilmente che, poiché nessuna delle due componenti dipende dal tempo, nemmeno π£, il modulo de vettore velocità, dipende dal tempo. Inoltre, la relazione generale è identicamente verificata π£ 2 = π£β₯2 + π£⊥2 e da essa discende che √π 2 + β 2 = 6 ππ£ . |π|π΅ 2) Un corpo di massa π è attratto verso un centro fisso da una forza πΉ(π) dipendente solo dalla distanza π. (a) Dimostrare che sono possibili dei moti circolari uniformi per questo corpo. (b) Per uno qualunque di questi moti circolari, come dipende il periodo dal raggio? (c) La risposta alla domanda precedente è connessa con la terza legge di Keplero? Una forza esterna agente su un punto materiale è detta centrale se la forza è sempre diretta lungo la retta congiungente la posizione del corpo ed un punto fisso talvolta chiamato centro delle forze. Se si immagina di scegliere l’origine del sistema di coordinate con tale centro fisso, allora la forza πΉ è sempre parallela al vettore posizione π. Esempi di forze centrali sono la forza gravitazionale, proporzionale all’inverso del quadrato della distanza dal centro delle forze, di verso opposto al vettore posizione (forza attrattiva), la forza elettrostatica, proporzionale all’inverso del quadrato della distanza dal centro delle forze, con il segno delle cariche elettriche interagenti si decide se è attrattiva o repulsiva, la forza elastica, nel caso di una molla ancorata nell'origine del sistema di riferimento, proporzionale all’allungamento della molla, di verso opposto al vettore posizione (forza attrattiva). 7 Le forze centrali sono dette a simmetria sferica, se il modulo della forza dipende unicamente dalla distanza tra il punto di applicazione ed il centro. Le forze centrali a simmetria sferica sono forze conservative, dato che il lavoro non dipenda dalla curva su cui è stato calcolato. Si consideri una forza centrale πΉ = πΉ(π) πΜ , in cui πΜ è il versore relativo al vettore posizione, ed un qualsiasi percorso Γ di estremi π΄ e π΅. Il lavoro compiuto per spostare lungo Γ la massa π vale π΅ π΅ ππ΅ πΏπ΄π΅ = ∫ πΉ β πΜ ππ = ∫ πΉ(π) πΜ β πΜ ππ = ∫ πΉ(π) ππ , π΄ π΄ ππ΄ in cui si è osservato che il prodotto scalare πΜ β πΜ ππ proprio la proiezione dello spostamento infinitesimo πΜ ππ lungo il versore posizione πΜ . L’ultimo integrale scritto non dipende più dalla linea che congiunge i due punti π΄ e π΅. Orbene, in forza della conservatività, si può introdurre l’energia potenziale 8 ∞ π(π) = ∫ πΉ(π’) ππ’ . π Per rendere più concrete le cose dette, si esamini il caso della forza gravitazionale πΉ(π) = −πΊ ππ , π2 in cui il segno meno tiene conto del fatto che la forza è attrattiva. In questo caso particolare risulta ∞ π(π) = ∫ πΉ(π’) ππ’ = −πΊ π ππ ππ ππ , πΏπ΄π΅ = ππ΄ − ππ΅ = πΊ −πΊ . π ππ΅ ππ΄ Fatte queste premesse, si vuole studiare il moto di una particella di massa π in un generico campo di forze centrali, che è descritto dalla funzione energia potenziale π = π(π), note che siano la posizione iniziale π0 e la velocità iniziale π£0 della particella. In altri termini, si desidera determinare le equazioni orarie e la traiettoria del moto. 9 Dato che un campo di forze centrali ha simmetria sferica, è più conveniente esprimere il moto in coordinate polari, come quelle mostrate nella figura precedente, per cui π ≥ 0 , 0 ≤ π < 2π , 0 ≤ π ≤ π . Le equazioni che descrivono il moto e che vanno ricercate sono π = π(π‘) , le equazioni orarie → { π = π(π‘) , π = π(π‘) , la traiettoria → π = π(π, π) . Un campo di forze centrali è conservativo, per cui l’energia meccanica πΈ della particella, data dalla somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale 1 πΈ = ππ£ 2 + π(π) , 2 rimane costante nel tempo e nello spazio. Il suo valore è determinato dalle condizioni iniziali 1 1 πΈ = ππ£ 2 + π(π) = ππ£02 + π(π0 ) . 2 2 In un campo centrale il momento meccanico rispetto al polo π è nullo ββ = π × πΉ = β0 , π dato che forza πΉ e raggio vettore π sono paralleli. Da ciò discende che il momento angolare πΏβ = π × ππ£ si conserva, essendo 10 ββ = π ππΏβ β → πΏβ = πΏβ0 = π0 × ππ£0 . =0 ππ‘ Dalla conservazione della direzione del momento angolare si deduce che il moto si svolge sempre sul piano definito dai vettori π0 e π£0 , cioè la terza coordinata π è costante. Ne consegue che la traiettoria della particella giace sul piano normale alla direzione del vettore πΏβ0 e l’equazione della traiettoria sarà semplicemente π = π(π) , con π costante . Inoltre, facendo riferimento alla figura che segue, i segmento ππ΄ ed ππ΅ rappresentano i raggi vettore agli istante π‘ e π‘ + βπ‘, mentre il segmento π΄π΅ rappresenta la traiettoria del corpo nel tempo π₯π‘. Se π₯π‘ è sufficientemente piccolo, allora π΄π΅ può essere approssimato da un segmento di retta. Sia inoltre π l’angolo tra il raggio vettore ed π΄π΅. Nel tempo π₯π‘ viene quindi descritta un’area 1 βπ = ππ΄ β π΄π΅ sin π . 2 La velocità areolare π£π΄ è definita come 11 βπ 1 = π£π sin π , βπ‘→0 βπ‘ 2 π£π΄ = lim essendo la velocità orbitale istantanea pari a π΄π΅ . βπ‘→0 βπ‘ π£ = lim Poiché π£π sin π = πΏ è proprio il modulo del momento angolare, risulta π£π΄ = πΏ . 2π Dunque, se πΏ è costante, anche la velocità areolare lo è. (π) Tra tutte le possibili traiettorie esiste anche quella che descrive una circonferenza di generico raggio π0 , lungo la quale il corpo si muove con velocità in modulo costante. Se il corpo si muove di moto circolare uniforme, allora si può scrivere che π(π‘) = π0 , π£(π‘) = π£0 ∀π‘ , cioè la velocità istantanea cambia in direzione, ma non cambia il modulo durante il moto. Per determinare la forza che sostiene un tal moto, si introduca, come suggerito nella figura che segue, per prima cosa il versore πΜ = π₯Μ cos π + π¦Μ sin π , poi il vettore posizione 12 π(π‘) = π0 πΜ = π0 (π₯Μ cos π + π¦Μ sin π) . Dato che la velocità angolare è costante e definita come π= ππ , ππ‘ si ricava facilmente l’espressione della velocità π£= ππ ππ (−π₯Μ sin π + π¦Μ cos π) = ππ0 πΜ . = π0 ππ‘ ππ‘ Il versore tangente è definito dalla relazione πΜ = −π₯Μ sin π + π¦Μ cos π , come si verifica agevolmente dalla figura precedentemente riportata. E, poiché ππΜ = −π(π₯Μ cos π + π¦Μ sin π) = −ππΜ , ππ‘ 13 si ottiene che l’accelerazione (centripeta) vale π= ππ£ = −π2 π0 πΜ ππ‘ e mostra tutte le caratteristiche di un moto in un campo centrale con πΉ = ππ = −ππ2 π0 πΜ . (π) Se si vuole calcolare la velocità di un pianeta in orbita π£ di un pianeta di massa π intorno al Sole di massa π, si deve uguagliare la forza di attrazione gravitazionale con la forza centripeta πΊ ππ ππ£ 2 4π 2 π 4π 2 3 2 = = → π = π , π2 π π2 πΊπ vale a dire che il quadrato del periodo di rivoluzione è proporzionale al cubo del raggio dell’orbita. (π) Se si introduce la costante π = 4π 2 /(πΊπ), l’ultima relazione scritta diventa proprio la terza Legge di Keplero, detta dei periodi, pubblicata nel 1619, che afferma che i quadrati dei tempi che i pianeti impiegano a percorrere le loro orbite sono proporzionali ai cubi delle loro distanze medie dal Sole, vale a scrivere π 2 = ππ 3 . 14 3) Si considerino due corpi π1 e π2 di massa rispettivamente π1 ed π2 , vincolati a muoversi senza attrito lungo una retta π. All’inizio π2 è fermo, mentre π1 si muove con velocità π£ verso π2 . Come è noto, durante il processo d’urto la quantità di moto, data da π1 π£1 + π2 π£2 , rimane costante (π£1 e π£2 sono le velocità algebriche, quindi con segno, dei corpi π1 e π2 lungo la retta π). Si determini quanto vale la massima quantità di calore che si può sviluppare durante l’urto. Ammettiamo che π1 sia minore di π2 : scambiando il ruolo dei due corpi nello stato iniziale, lasciando invariata π£, questa quantità di calore risulterà maggiore, minore o uguale? Si giustifichi la risposta. In Fisica, il fenomeno che si produce quando si incontrano due corpi in moto uno rispetto all’altro, sia che entrino in contatto diretto, sia che interagiscano tra loro mediante campi di forze, viene detto urto. L’applicazione del principio di conservazione al caso dell’urto in esame fornisce la relazione π1 π£ = π1 π£1πΉ + π2 π£2πΉ , dove π£1πΉ e π£2πΉ sono le velocità dei corpi dopo l’urto. Per un urto normale la velocità relativa dei corpi dopo l’urto è proporzionale a quella precedente l’urto attraverso un coefficiente di ritorno legato alle elasticità dei due corpi π£1πΉ − π£2πΉ = −ππ£ , con 0 ≤ π ≤ 1 . Se π = 0, l’urto è detto completamente anelastico; se π = 1, l’urto è detto elastico. 15 Risolvendo il sistema costituito dalle due equazioni scritte, si ottengono le due velocità dei due punti dopo l’urto π£1πΉ = π1 − ππ2 π1 (1 + π) π£ , π£2πΉ = π£. π1 + π2 π1 + π2 In un urto elastico l’energia cinetica si conserva e resta la stessa prima e dopo l’urto. Se l’energia cinetica dei corpi è stata parzialmente dissipata nell’urto, allora si parla di urto anelastico. In quest’ultimo caso, si può dimostrare che l’energia cinetica dissipata è la massima possibile, dovendo comunque rispettare la conservazione della quantità di moto totale, nel caso di urto totalmente anelastico, poiché i due corpi procedono alla stessa velocità dopo l’urto. Secondo il primo principio della termodinamica, la parte di energia cinetica dissipata viene convertita in energia interna dei corpi coinvolti nell’urto, cioè in generale in parte in calore e in parte in lavoro termodinamico dei corpi stessi. Si determina anzitutto l’energia cinetica finale posseduta dal sistema della due particelle 1 1 1 π + π 2 π2 1 π2 − 1 2 2 2 1 2 πΎπΉ = π1 π£1πΉ + π2 π£2πΉ = π1 π£ = π1 π£ (1 + π ), 2 2 2 π1 + π2 2 π1 + π2 2 poi quella inizialmente posseduta 1 πΎ0 = π1 π£ 2 . 2 Infine, si determina la variazione di energia cinetica 1 1 − π2 βπΎ = πΎ0 − πΎπΉ = π1 π£ 2 π . 2 π1 + π2 2 16 Si osserva che questa variazione di energia, come già anticipato, dipende dal tipo di urto, cioè dipende da π. Studiando la parabola 1 1 − π2 2 βπΎ(π) = π1 π£ π , con 0 ≤ π ≤ 1 , 2 π1 + π2 2 si conclude che la massima escursione di energia cinetica si ottiene quando l’urto è completamente anelastico e vale 1 π2 βπΎ(π = 0) = π1 π£ 2 . 2 π1 + π2 Si nota pure che, scambiando il ruolo dei due corpi nello stato iniziale, lasciando invariata π£, questa quantità di calore risulterà sempre la stessa. 17 4) Un esperimento di interferenza può essere effettuato con il dispositivo mostrato nella figura. π è una sorgente puntiforme di luce monocromatica non polarizzata. π1 e π2 sono due piccoli fori praticati in uno schermo opaco e Σ è il piano su cui si osservano le frange di interferenza. L’interferenza fra le onde provenienti da π1 ed π2 esiste effettivamente nei seguenti casi? (π) Un filtro polarizzatore πΉ1 è messo di fronte ad π. (π) Due filtri polarizzatori πΉ2 ed πΉ3 sono messi davanti a π1 e π2 . I loro assi di trasmissione sono a 90° fra di loro e a 45° con πΉ1 . (π) Un quarto filtro πΉ4 è messo di fronte al piano Σ con asse parallelo a quello di πΉ1 . Per discutere compiutamente l’esercizio proposto, è necessario fare alcune premesse, al fine di mettere in chiaro i concetti che si discuteremo. Prima premessa: che cosa è l’interferenza? Il fenomeno dell’interferenza è dovuto alla sovrapposizione, in un punto dello spazio, di due o più onde. Quello che si osserva è che l’intensità dell’onda risultante in quel punto può essere diversa rispetto alla somma delle intensità associate ad ogni singola onda di partenza; in particolare, essa può variare tra un minimo, in corrispondenza del quale non si osserva alcun fenomeno ondulatorio, ed un massimo superiore alla somma delle intensità. In generale, si dice che 18 l’interferenza è costruttiva quando l’intensità risultante è maggiore rispetto alla somma di ogni singola intensità originaria, è distruttiva in caso contrario. Il termine viene usualmente utilizzato per parlare di interferenza tra due onde coerenti, di norma provenienti dalla stessa sorgente. I fenomeni d’interferenza che si osservano quotidianamente possono essere, ad esempio, quelli che riguardano le increspature che si formano su uno specchio d’acqua, oppure i battimenti tra onde sonore. Ma allora per quale motivo non si osservano gli effetti prodotti dall’interferenza, utilizzando luce visibile? Con luce generata da sorgenti luminose come il Sole, le lampade ad incandescenza oppure a fluorescenza non si osserva il fenomeno dell’interferenza costruttiva e distruttiva; piuttosto l’intensità luminosa in ogni punto è data dalla somma delle intensità dovute alle singole onde. La luce emessa da queste sorgenti è prodotta, a livello atomico, da un numero elevato di sorgenti tra loro indipendenti. Le onde prodotte sono tra loro incoerenti, cioè non mantengono una relazione di fase costante. Quindi, nota la fase dell’onda in un punto, non si può prevedere in alcun modo la fase dell’onda in un altro punto e non si può dire, per esempio, se l’onda è in un massimo oppure in un minimo. Onde incoerenti presentano rapide fluttuazioni di fase ed il risultato è una media degli effetti di interferenza, cosicché l’intensità totale, ovvero l’energia per unità di area è data dalla somma delle intensità delle singole onde. Solo la sovrapposizione di onde coerenti produce il fenomeno dell’interferenza. Le onde coerenti infatti si trovano in una relazione di fase costante tra loro. Le onde coerenti ed incoerenti rappresentano delle estreme idealizzazioni: in generale, tutte le onde reali si trovano in situazioni intermedie tra questi due limiti. La luce emessa da un laser può essere altamente coerente e due punti nel fascio possono essere coerenti anche se separati da diversi chilometri. La luce emessa da una sorgente puntiforme molto distante, come per esempio la luce generata da una stella o dal Sole, presenta soltanto qualche grado di coerenza. 19 Thomas Young (1773-1829) effettuò i primi esperimenti di interferenza della luce visibile, ideando un sistema geniale per ottenere due o più sorgenti di luce coerente partendo da una unica sorgente luminosa, come mostrato nella figura che segue. Quando una sottile fenditura viene illuminata, l’onda luminosa che attraversa la fenditura subisce diffrazione. La fenditura diviene quindi una sorgente coerente che viene utilizzata per illuminare due altre fenditure che si comportano come due nuove sorgenti di luce coerente producendo interferenza. Nel caso dell’esercizio in esame, si supporrà che la sorgente S emetta una radiazione coerente. Seconda premessa: che cos’è la polarizzazione? Nel 1937, l’inventore ed imprenditore statunitense Edwin Herbert Land scoprì un materiale, detto polaroid, che polarizza la luce mediante assorbimento selettivo da parte di molecole orientate. Fabbricato in fogli sottili di idrocarburi sottoposti a tensione in modo da allineare le catene molecolari. Successivamente i fogli sono immersi in una soluzione contenente iodio con le molecole che diventano conduttrici, con conduzione lungo le catene. Perciò le molecole assorbono con efficienza la luce con il campo elettrico parallelo alla lunghezza e trasmettono la 20 luce con campo elettrico ortogonale. La direzione alle catene è detta asse di trasmissione. Per comprendere come funziona una lamina polarizzatrice, si osservi la figura precedente, in cui un fascio di luce non polarizzata incide sulla prima lamina polarizzatrice, detta polarizzatore. L’asse è verticale e quindi la luce trasmessa è polarizzata verticalmente. Una seconda lamina polarizzatrice, detta analizzatore, con asse che forma π con quello del polarizzatore è posta sul fascio. πΈβ0 è il vettore campo elettrico trasmesso: la componente di πΈβ0 parallela all’asse dell’analizzatore, che vale πΈ0 cos π, viene trasmessa. L’intensità del fascio trasmesso attraverso il polarizzatore è, secondo la Legge di Malus πΌ = ππΌ0 cos 2 πΌπ dove π è il coefficiente di trasmissione e πΌ0 è l’intensità della luce incidente. In un polarizzatore reale π dipende dalla lunghezza d’onda della radiazione e per la luce bianca assume valori dell’ordine di 0.4. Il piano di polarizzazione di un’onda elettromagnetica è, dunque, il piano formato dalla direzione di propagazione dell’onda con la direzione del vettore campo elettrico πΈβ . In definitiva, una lamina polarizzatrice è costituita da materiale otticamente anisotropo che lascia passare la componente del campo elettrico parallela al suo 21 asse di trasmissione ed assorbe fortemente la componente del campo elettrico perpendicolare all’asse di trasmissione. La direzione di polarizzazione è fissata nel processo di fabbricazione della lamina. (π) Un filtro polarizzatore πΉ1 è messo di fronte ad π. Quando la luce della sorgente π viene polarizzata, ad esempio con asse di trasmissione perpendicolare al piano della figura che segue, su ciascuna delle fenditure si ha diffrazione di questa luce coerente e, di conseguenza, si crea una complessa figura di interferenza sullo schermo terminale, che richiede una lunga trattazione matematica, per essere esplicitata. È importante notare che il fenomeno dell’interferenza legato al passaggio delle luce attraverso due o più fenditure non può essere separato dal contributo della diffrazione. Avviene infatti che, passando attraverso ciascuna fenditura la luce subisce la diffrazione e la luce diffratta da una delle due (o più) fenditure si sovrappone a quella diffratta dall’altra. Nella regione di sovrapposizione le onde luminose interferiscono costruttivamente (luce intensa) nei punti in cui esse giungono in fase mentre interferiranno distruttivamente (buio) laddove giungono sfasate di mezza lunghezza d’onda. Tuttavia, volendo separare i due effetti, si può 22 supporre che l’ampiezza delle fenditure πΏ sia molto più piccola della lunghezza d’onda della luce incidente π: sotto questa ipotesi, cioè πΏ βͺ π, gli effetti diffrattivi saranno marginali e sullo schermo, che si suppone sempre a grande distanza dalle fenditure, si osserverà una figura interferenziale. Le due fenditure uguali, poste a distanza π, sono le sorgenti di due onde elettromagnetiche di stessa frequenza π, che si comportano, a grandi distanza, come onde piane πΈ1 = πΈ0 sin(ππ1 − ππ‘) , πΈ2 = πΈ0 sin(ππ2 − ππ‘) , essendo π = 2π/π il cosiddetto numero d’onda e π = 2ππ la pulsazione. La natura vettoriale del problema è superflua, dato che si è supposto che le onde siano polarizzate in direzione perpendicolare al piano di figura. Il campo risultante nel generico punto π dello schermo vale πΈ(π, π‘) = πΈ1 (π, π‘) + πΈ2 (π, π‘) = πΈ0 sin(ππ1 − ππ‘) + πΈ0 sin(ππ2 − ππ‘) . 23 Applicando la prima formula di prostaferesi sin πΌ + sin π½ = 2 sin πΌ+π½ πΌ−π½ cos , 2 2 si ottiene la nuova rappresentazione del campo totale π πΈ(π, π‘) = πΈ1 (π, π‘) + πΈ2 (π, π‘) = 2πΈ0 sin[π(π1 + π2 ) − ππ‘] cos [ (π1 − π2 )] . 2 Dato che la quantità che si misura o si vede è l’intensità media πΌ della radiazione, si può scrivere π π΄ π 2 4π΄πΈ02 π 2 πΌ = ∫ πΈ (π, π‘) ππ‘ = cos [ (π1 − π2 )] ∫ sin2 [π(π1 + π2 ) − ππ‘] ππ‘ , π 0 π 2 0 con π΄ opportuna costante di proporzionalità. Per sviluppare questo integrale, basta ricordare che 1 π 2 1 ∫ sin [π(π1 + π2 ) − ππ‘] ππ‘ = , π 0 2 in modo tale da poter scrivere πΌ = 2π΄πΈ02 cos 2 [π(π1 − π2 )] . Se lo schermo è lontano, π1 e π2 sono praticamente paralleli e, quindi, π ππ ππ (π1 − π2 ) ≅ sin π = sin π . 2 2 π 24 In definitiva, l’intensità luminosa media raccolta sullo schermo ha la seguente forma funzionale ππ πΌ = πΌπ cos 2 ( sin π) , π in cui, per brevità, si è introdotto il valore massimo πΌπ = 2π΄πΈ02 . Si ha interferenza costruttiva, se πΌ = πΌπ e la differenza di cammino ottico percorso dalle onde è un multiplo intero della comune lunghezza d’onda ππ sin π = ππ → π1 − π2 ≅ π sin π = ππ , π ∈ β€ , π mentre si ha interferenza distruttiva, se πΌ = 0 e la differenza di cammino ottico percorso dalle onde è un multiplo semi-intero della lunghezza d’onda ππ 1 1 sin π = (π + ) π → π1 − π2 ≅ π sin π = (π + ) π , π ∈ β€ . π 2 2 Si conclude che due fasci di luce coerente e monocromatica con stati di polarizzazione tra loro paralleli interferiranno sempre e la figura che segue rappresenta l’andamento dell’intensità media sui punti dello schermo; precisamente, per adimensionalizzare il grafico, si è scelto di rappresentare, rispettivamente, in ascisse ed in ordinate π₯= π πΌ sin π , π¦ = . π πΌπ 25 In maniera analoga si studia l’interferenza prodotta da π sorgenti coerenti sincrone. (π) Due filtri polarizzatori πΉ2 ed πΉ3 sono messi davanti a π1 e π2 . I loro assi di trasmissione sono a 90° fra di loro e a 45° con πΉ1 . Si vuole ora dimostrare che due fasci di luce coerente, con stati di polarizzazione tra loro ortogonali, non interferiscono e le frange non si formano. La presenza dei filtri davanti alle due fenditure produce l’effetto di trasmettere due campi elettrici ortogonali πΈβ1 = πΜπΈ0 sin(ππ1 − ππ‘) , πΈβ2 = πΜπΈ0 sin(ππ2 − ππ‘) , in cui πΜ e πΜ sono versori perpendicolari. Il campo risultante vale πΈβ = πΈβ1 + πΈβ2 = πΜπΈ0 sin(ππ1 − ππ‘) + πΜπΈ0 sin(ππ2 − ππ‘) . Il corrispondente modulo al quadrato è pari a πΈ 2 = πΈβ β πΈβ = πΈ12 + πΈ22 = πΈ02 sin2 (ππ1 − ππ‘) + πΈ02 sin2 (ππ2 − ππ‘) 26 e, dunque, l’intensità media nei punti dello schermo risulta costante π΄ π 2 πΈ02 πΈ02 πΌ = ∫ πΈ (π, π‘) ππ‘ = + = πΈ02 . π 0 2 2 In definitiva, nessuna frangia di interferenza sarà visibile e sullo schermo apparirà una luminosità uniforme, come prescrivono le Leggi di Fresnel-Arago. (π) Un quarto filtro πΉ4 è messo di fronte al piano Σ con asse parallelo a quello di πΉ1 . Questo quarto filtro ha semplicemente la funzione di polarizzare di nuovo e nella medesima direzione la luce proveniente dalle due fenditure e, quindi, di riprodurre la figura di interferenza sullo schermo Σ. Per la verità, la Legge di Malus prevede oltre alla polarizzazione in una certa direzione, anche la riduzione dell’intensità della radiazione in ingresso: ciò comporterà una luminosità ridotta delle frange di interferenza. 27