copertina febbraio

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In generale, alcuni individui si trovano sulla pelle di molti pesci, ma restano in uno stadio che non produce alcun sintomo evidente. Solo un’analisi molto estesa della pelle e delle branchie dimostra l’effettiva presenza di piccole pustole
contenenti forme quiescenti del parassita. Questi individui possono sopravvivere molto a lungo, incistati nella pelle, in
attesa di una buona occasione.
SINTOMI RIVELATORI. Quando il pesce viene sottoposto a un qualsiasi stress, da un lungo trasporto a uno sbalzo di temperatura, da una ferita a un problema di avitaminosi, i parassiti ne approfittano e invadono il suo corpo indebolito: lo
utilizzano per riprodursi massivamente e sciamare poi all’esterno, in cerca di altri ospiti. Il successo di qualsiasi infezione dipende fondamentalmente da due fattori: virulenza del parassita e “carica”, cioè il numero totale di parassiti vitali. È ovvio che, finché i parassiti sono pochi e quiescenti nel corpo di un singolo pesce, non si osservano sintomi di
malattia. Quando invece i parassiti sono vitali e tanto numerosi (perché si sono riprodotti nel corpo di un pesce), allora
divengono molto pericolosi.
Ecco, dunque, che si osservano le prime cisti evidenti, sottoforma di puntini bianchi, macchioline, velluto diffuso sul
corpo dei teleostei. La respirazione diviene accelerata a causa dei parassiti che, insediatisi sulla superficie delle branchie, ne riducono la funzionalità. Si possono osservare pinne chiuse, reazione dei pesci al fastidio epidermico e sfregamento contro oggetti dell’arredamento, nel tentativo estremo di ridurre il forte prurito. I pesci colpiti dall’infezione
sono sempre più numerosi, e dunque si moltiplicano i parassiti natanti nella vasca.
PERICOLO EPIDEMIA. In queste condizioni tutti i pesci sono colpiti dalla stessa malattia e si parla di epidemia. I parassiti
sono così tanti e si riproducono così velocemente da danneggiare in modo severo tutti i pesci presenti in vasca e si
osservano così i primi decessi. Questo fenomeno può essere fermato all’origine, se si evitano condizioni stressanti in
grado di produrre la prima esplosione della malattia. Ma, nel caso in cui l’epidemia abbia già dato inizio al suo corso,
è fondamentale intervenire tempestivamente, ricordando che la moltiplicazione del numero di parassiti segue un
andamento geometrico dovuto alla rapida riproduzione dei protozoi (due, quattro, otto, sedici e così via).
Intervenire mezz’ora prima, quindi, può significare dover fronteggiare “solo” 1.000 individui per ml d’acqua e non
1.000.000. Tuttavia, è proprio qui che nascono i primi problemi. Come intervenire, visto che la maggior parte dei
medicamenti specifici per le malattie dei pesci sono stati dichiarati fuorilegge? Sappiamo bene che sarebbe opportuno creare movimenti d’opinione per convincere il legislatore a dimostrare una maggiore attenzione nei confronti del
nostro settore, ma è pur vero che il negoziante specializzato, nel frattempo, si trova a dover combattere questi parassiti con armi… spuntate.
PICCOLI PROTOZOI CRESCONO. Per risolvere il problema cerchiamo innanzitutto di riconoscere il responsabile dei
danni. Il protozoo parassita più frequente negli acquari marini è probabilmente Cryptocaryon irritans, responsabile
della cosiddetta “ichtyo marina”. I sintomi sono infatti molto prossimi a quelli prodotti in acqua dolce da Ichtyophtyrius
multifilis, un altro protozoo ciliato.
Il parassita si introduce sotto la pelle dei pesci producendo in seguito una piccola pustola: il suo ciclo dura in media
28 giorni, accelerandosi alle temperature più elevate. Nella prima fase i parassiti incistati sotto la pelle si nutrono dei
liquidi vitali dell’ospite, nella seconda si moltiplicano a dismisura e qui le cisti divengono evidenti a occhio nudo. Al
termine del processo i parassiti sono numerosissimi, rompono le cisti e nuotano alla ricerca di un altro ospite.
Solo nel corso del terzo stadio le terapie messe in campo possono ottenere dei risultati, perché nelle prime due fasi i
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