vittorio emanuele ii – “il re galantuomo”

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VITTORIO EMANUELE II – “IL RE GALANTUOMO”
(Gen. Cirneco - Firenze, 23/2/2011)
Da qualche tempo è in atto un’azione di revisione, in senso negativo, del Risorgimento
acuitasi proprio in coincidenza del 150° anniversario dell’Unità Italiana a cui sono soggetti
anche i personaggi che ne furono artefici.
Questa revisione, fingendo un approfondimento pseudo-storico, probabilmente fa da
contraltare alla forse eccessiva esaltazione del passato, in particolare all’epoca del suo
centenario.
Nel passato è stato dato forse grande risalto agli aspetti positivi del processo di
unificazione sottacendo od evitando quelli negativi, mentre oggi si tende a fare
esattamente l’opposto; specie da coloro che si dichiarano “storici” o cultori della storia e
che in genere sono pronti a “fiutare l’aria che tira” od a seguire la moda del momento.
Più in generale, la massa tende ad osservare la storia con l’occhio del contemporaneo:
dimenticando di rapportare gli eventi al momento del loro accadere (cioè a “storicizzare” i
fatti) tende, al contrario, a proiettare il presente sul passato.
Da questa moda non è rimasto immune neanche Garibaldi “Eroe” per antonomasia,
figuriamoci tutti gli altri!.
Ovviamente anche la figura di Vittorio Emanuele II è incorsa in quest’opera di revisione e
si è passati dall’esaltazione del “Re Galantuomo” all’evidenziare esclusivamente, in modo
negativo, l’uomo nella sua vita privata e nelle sue attitudini culturali tralasciando tutto il
resto.
Oggi proveremo a esaminarne la sua figura in modo obiettivo, specie nell’ azione militare.
Vittorio Emanuele II nasce il 14/3/1820 da Carlo Alberto di Savoia, 7° Principe di
Carignano (1) poi re nel 1831 per mancanza di eredi diretti maschi del ramo principale dei
Savoia, e da Maria Teresa d’Asburgo-Lorena di Toscana, nata principessa di Toscana,
Arciduchessa d’Austria e Principessa di Ungheria e Boemia, figlia di Ferdinando III
Granduca di Toscana. Questa ascendenza da parte di madre è meno nota e sorprende un
po’ se osserviamo che il Risorgimento vede proprio il conflitto tra Savoia e Asburgo
(ovvero Regno di Sardegna ed Impero d’Austria). Possiamo anche osservare che: da un
canto Vittorio Emanuele II “sottrarrà” il Granducato di Toscana allo zio Leopoldo II e
dall’altro che, dopotutto, qualche titolo per governare la Toscana l’aveva acquisito per
parte di madre. Ma il suo rapporto con la Toscana non si esaurisce qui perché egli visse i
primi anni della sua infanzia (dal 1821 al 1824) a Firenze nella villa di Poggio Imperiale.
Infatti il padre Carlo Alberto, coinvolto nei moti insurrezionali di Torino del 1820/21, era
stato allontanato dalla corte piemontese e su disposizione dello zio Re Carlo Felice aveva
dovuto ritirarsi presso la famiglia della moglie.
Ed è in questo periodo fiorentino che accade un evento che nel tempo darà corpo ad
illazioni mai sopite anche se mai provate: infatti la sua culla prese accidentalmente fuoco,
la sua governante riuscì a salvarlo ma lei morì per le scottature subite.
Da questo episodio sorgerà la voce popolare circa la sostituzione del primogenito perchè
morto nell’incendio; tale voce, in seguito, venne rafforzata dal mostrarsi delle enormi
differenze fisiche e caratteriali tra Carlo Alberto e il figlio Vittorio Emanuele.
Tesi questa ripresa e sostenuta principalmente dallo storico inglese Denis Mack Smith,
considerato il più grande esperto della storia italiana; ma a dire il vero egli tende a mettere
in luce negativamente la figura di VE (come del resto anche della maggior parte degli altri
personaggi che fecero l’Unità italiana) dando particolare risalto soprattutto ai lati negativi
della sua personalità. Nel caso specifico egli non considera che nello stesso periodo la
regina era incinta del secondogenito e che per la giovane età della coppia non esistevano
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() Il ramo dei Savoia-Carignano risale a Tommaso Principe di Carignano (1598-1656), ultimogenito di Carlo Emanuele I
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timori di ulteriori concepimenti (come infatti avvenne) e di una possibile mancanza di
discendenza.
Non solo, non tiene conto delle differenze fisiche, caratteriali ed attitudinali che si
ripeteranno fra VE II ed Umberto I, fra Umberto I e VE III, fra VE III e Umberto II. Forse per
motivi di matrimoni fra consanguinei ma certamente appare un continuo contrasto fra
padre e figlio nella Dinastia dei Savoia-Carignano.
A dire il vero, VE si mostra sin dall’inizio riottoso per tutto ciò che è lo studio, le lettere e la
cultura in genere, mentre predilige ed è molto abile nelle attività fisiche (caccia, scherma,
equitazione, escursioni in montagna, ecc.).
La sua educazione militare comincia a 10 anni quando viene nominato Tenente nel
Reggimento Piemonte Cavalleria; per tappe successive viene man mano promosso sino a
raggiungere il grado di colonnello nel 1839 quando, cessata la sua educazione giovanile,
assume il comando del 1° Reggimento della Brigata Savoia.
Nell’aprile del 1842, nell’ambito di una politica dinastica e del consolidamento dell’alleanza
antifrancese con l’Austria che il Re suo padre stava perseguendo, si sposa con la cugina
Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena, figlia del primo Vicerè del Lombardo-Veneto Ranieri
d’Asburgo-Lorena (fratello di sua madre) e di Elisabetta di Savoia-Carignano (sorella di
suo padre). Negli anni successivi, dal 1843 al 1847, la coppia è allietata da ben 5 figli (uno
all’anno!), mentre VE è nominato Tenente Generale.
Con lo scoppio della 1^ Guerra d’Indipendenza egli assume il comando della Divisione di
riserva comprendente la Brigata Granatieri Guardie e la Brigata Cuneo.
Saranno il servizio svolto nell’Esercito Sardo e la partecipazione a questa guerra che
costituiranno la scuola pratica di Vittorio Emanuele. Infatti:
partecipa alla battaglia di Pastrengo (30 aprile), ma resta in riserva;
nella battaglia di Verona (6 maggio 1848), conquista l’abitato di Santa Lucia con la
Brigata Guardie; copre poi il successivo ripiegamento di tutto l’esercito contenendo il
contrattacco austriaco con la Brigata Cuneo;
- nella battaglia di Goito (30 maggio), postosi alla testa della Brigata Granatieri Guardie,
al grido di “A me le guardie per l’onore di Casa Savoia” si lanciò all’attacco bloccando
gli austriaci con una mischia furibonda in cui viene lui stesso ferito;
- nella battaglia di Custoza (la 1^), il 24 luglio conquista la posizione di monte Torre,
catturando oltre 1.000 prigionieri ed una bandiera. Il giorno successivo, nell’evoluzione
sfavorevole della battaglia, protegge la ritirata del grosso dell’Armata Sarda
contrastando lungamente, a capo del solo 2° Rgt. Guardie, ben due Brigate austriache
sostenute da numerose artiglierie.
Alla ripresa delle ostilità nel 1849, sempre a capo della Divisione di riserva, il 23 marzo
partecipa alla battaglia di Novara e con una strenua resistenza riesce a contrastare
l’armata austriaca e ad impedire la rotta completa dell’Esercito Sardo.
La sera stessa della battaglia viene nominato Re dopo l’abdicazione di Carlo Alberto per la
sconfitta subita.
Egli deve affrontare subito la situazione di sconfitta ed ottenuta una tregua, tratta con
Radetzky le condizioni della resa riuscendo a strappargli delle condizioni favorevoli
rispetto a quanto inizialmente concordato da suo padre: una riduzione dell’ammontare dei
danni di guerra ed il mantenimento della Costituzione concessa dal Re Carlo Alberto al
proprio popolo; fu a seguito di ciò che egli si meritò l’appellativo di “Re Galantuomo”.
A questo proposito, il Denis Mack Smith afferma, basandosi anche su una lettera
autografa di Radetzky, che le condizioni favorevoli ed il mantenimento della Costituzione
furono una deliberata concessione del Generale e non una richiesta decisa ed abilmente
condotta da VE II che addirittura avrebbe fatto in quella circostanza (sempre secondo lo
storico inglese) dichiarazioni di tipo conservatore ed assolutistico.
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Ritengo invece, pur accettando la realtà dello scritto, che si sia trattato di un “gioco delle
parti”: Il Comandante austriaco doveva giustificare le sue decisioni alla Corte in cui non
aveva molti sostenitori e VE II doveva dire ciò che il nemico voleva sentirsi dire,
interessato com’era ad allontanare lo spettro della rivolta serpeggiante in tutta l’Europa e
che minacciava l’integrità dell’Impero Asburgico.
Infatti VE II, pur essendo salito al trono a soli 29 anni con una sufficiente esperienza
militare ma con una minima esperienza politica, forse era privo di cultura ma aveva una
buona istruzione, un profondo buon senso ed una grande intelligenza, dote, quest’ultima,
che ben pochi sono disposti a riconoscergli nonostante i fatti lo dimostrino.
L’immagine corrente di VE II è quella di un autoritario e baffuto egoista. Di un rozzo
cacciatore di donne e di stambecchi, privo di interessi intellettuali e, di conseguenza,
incapace di idee e azioni sofisticate.
In realtà, dal punto di vista militare, egli forse non era uno stratega (anche se non avendo
mai esercitato il potere supremo delle operazioni di guerra è difficile giudicarlo sotto
questo aspetto) ma aveva intuizione e vedeva chiaramente con rapidità e lucidità le
soluzioni.
Per quanto attiene la vita sociale era un uomo d’azione lontano per mentalità dai lussi
superflui e vuoti di certa mondanità, fu sempre persona schietta.
Dal punto di vista politico, raggiunse quell’obiettivo perseguito lungamente da tutti i sovrani
di Casa Savoia. Questo merito viene normalmente attribuito esclusivamente all’abile
azione diplomatica soprattutto di Cavour; azione certamente svolta e bene, ma chi aveva
chiamato più volte e mantenuto a quell’incarico il Cavour (nonostante i due a volte fossero
in contrasto)? Non bisogna trascurare il fatto che VE II aveva il senso dell’opportunità ed
intuizione nel riconoscere la capacità delle persone, era tenace e volitivo ma di norma era
rispettoso dei limiti che la Costituzione gli imponeva.
Del resto, i Savoia avevano sempre usato l’azione militare in funzione di quella politica e
se consideriamo lo svolgimento di ben 5 guerre (1848/49, Crimea, 1859; 1860/61, 1866)
più la campagna per la conquista di Roma in soli 22 anni, non vi possono essere dubbi sul
perseguimento dello stesso modo di fare politica. Unica differenza fra VE II ed i suoi
predecessori fu quella di aver intuito l’opportunità di interventi meno diretti per evitare
contrasti diplomatici troppo forti e quindi: la ricerca di alleanze e del favore di altri stati, la
provocazione dell’intervento nemico per farsi considerare “aggredito”, l’uso di azioni
indirette (leggasi Garibaldi).
In ambito interno, sotto gli occhi puntati delle maggiori potenze europee pronte ad
intervenire secondo i propri fini, non poteva assolutamente permettere che si creassero
situazioni di instabilità o di incapacità di governo (non bisogna dimenticare che l’armistizio
aveva obbligato a mantenere una forza austriaca di 20.000 uomini nella città di
Alessandria e nel novarese sino alla firma della pace); ed ecco l’azione tesa da un canto
ad assestare la nazione per risollevarla anche moralmente dalla sconfitta della 1^ G.I. e
dall’altra a “sgonfiare” le contestazioni politiche ed impedire che esse sfociassero in
pericolose ed incontrollate manifestazioni di piazza. In questo quadro vanno interpretate le
azioni di scioglimento del Parlamento (che si rifiutava di ratificare la pace già firmata) con
l’immediata indizione di nuove elezioni e la dura repressione dei moti di Genova.
In quanto al mantenimento dello Statuto Albertino ed alla realizzazione dell’Unità italiana,
egli non faceva altro che mantenere fede alla promessa fatta da suo padre a Massimo
d’Azeglio nel 1845: “faccia sapere a quei signori (2) che stiano in quiete e non si muovano,
non essendovi per ora nulla da fare; ma che siano certi che, presentandosi l’occasione, la
mia vita, la vita de’ miei figli, le mie armi, i miei tesori, il mio esercito, tutto sarà speso per
la causa italiana”.
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() I Patrioti che d’Azeglio aveva incontrato in un lungo viaggio attraverso l’Italia
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Del resto, egli stesso al momento della sua nomina a re dichiarò: “Io voglio governare
costituzionalmente, ma voglio far rispettare la legge: perirò piuttosto che subire il
giogo di un partito”.
Nel periodo 1852-59, appoggiando la politica internazionale di Cavour ed autorizzando la
Spedizione in Crimea, riesce ad ottenere l’alleanza militare “difensiva”con la Francia e
l’appoggio inglese; mentre sul fronte interno prepara il Regno all’inevitabile conflitto con
l’Austria.
Scoppiato il conflitto (che prende il nome di 2^ Guerra d’Indipendenza), Napoleone
assume il comando supremo dell’Armata alleata ed ordina l’invasione della Lombardia.
Nella battaglia di Palestro, VE II, resosi conto che il 3° Reggimento Zuavi nell’attaccare a
fondo gli Austriaci per arrestarne l’azione offensiva non era in condizione di mantenere le
posizioni prese, si lanciò con la consueta irruenza a capo di reparti di bersaglieri e fanti a
rinsaldare le posizioni acquisite ed a bloccare il contrattacco nemico; per tale azione gli
Zuavi lo acclamarono loro caporale.
Fu sua la decisione, sostenuta e ribadita in contrasto con quella del La Marmora, di far
muovere Garibaldi con i suoi Cacciatori delle Alpi sul lago Maggiore per operare sulla
destra dell’Esercito Austriaco un’azione diversiva (infatti 3.500 Cacciatori richiamarono e
sbaragliarono una forza di 40.000 Austriaci in Valtellina).
Il 24 giugno avviene la duplice battaglia di Solferino (francesi) e San Martino (italiani). Non
è facile ricostruire nel dettaglio il ruolo del Re in questa circostanza (come sappiamo
questa fu un’inattesa battaglia d’incontro) anche perché in merito è stata fatta molta
retorica; è certo che egli seguì la battaglia da una cascina e che resosi conto
dell’insufficienza delle forze sarde impegnate, fece accorrere da altro settore la Brigata
Aosta che con un attacco avvolgente inchiodò a San Martino l’VIII Corpo del Gen.
Benedek, impedendogli di andare in soccorso del resto dell’esercito attaccato dai Francesi
a Solferino. Concentrate poi le forze disponibili, poco prima del tramonto ordinò l’assalto
generale spronando gli uomini con la frase: “Figlioli venite a prendere San Martino se no i
tedeschi lo fanno fare a noi” [Pronunciata in piemontese]. Alle 21.00 la posizione era
conquistata e gli austriaci erano in rotta. Questa fu l’ultima volta che VE II ebbe occasione
di comandare sul campo l’Esercito.
Segue la pace di Villafranca, non accettata dal Cavour che dà le dimissioni (ma viene
richiamato al governo nel gennaio del 1860) mentre VE II dimostrò maggior realismo nel
riconoscere l'impossibilità di proseguire la guerra contro l'Austria senza l'aiuto francese.
Più abile dei suoi ministri Vittorio Emanuele fu anche nel trattare con Garibaldi durante la
spedizione dei Mille e la campagna di liberazione del mezzogiorno (1860), benché non
pochi fossero i momenti di crisi e di gravi difficoltà.
Con la morte di Cavour, VE II tende ad intervenire più frequentemente nell’azione del
governo ma sempre perseguendo il raggiungimento dell’unità italiana e della
riappacificazione con il Papa, pur nel concetto di libera Chiesa in libero Stato e del
ridimensionamento dei privilegi ecclesiastici.
Nel 1866, allo scoppio della 3^ G.I. il Re era solo formalmente a Capo supremo
dell’Esercito, in realtà furono costituiti due corpi d’Armata con a capo La Marmora che
assunse anche il ruolo di Capo di SM (ma che i realtà aveva solo compiti di
coordinamento e non aveva autorità sugli altri comandanti) e Cialdini per cui essi
operarono slegati fra di loro con la conseguenza che una semplice battaglia d’incontro
tutt’altro che decisiva: la 2^ battaglia di Custoza, assurse a grande sconfitta perchè nel
momento in cui riordinate le forze, ripresa l’avanzata ed agganciate e sconfitte in un primo
scontro le forze austriache in ritirata, sopravvenne l’armistizio tra Austria e Prussia per cui
le operazioni furono interrotte e si andò agli accordi di pace.
Dopo la pace, VE condusse la navicella dello Stato tra le infide acque delle crisi
ministeriali, della prosecuzione dell’Unità e delle difficoltà internazionali.
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Vi furono ancora la rivolta di Palermo del 1866, Mentana nel 1867 e la presa di Roma nel
1870 a segnare altre tappe importanti del suo regno; poi cominciò l’assestamento e con
esso il Re assunse sempre di più il carattere di simbolo dello Stato e di punto di
riferimento.
La morte colse VE II il 9 gennaio 1878 dopo una breve malattia.
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