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Hume e lo scetticismo ben temperato
Lo scetticismo nell’età moderna
Nel corso dell’Età Moderna si assiste a un recupero dello scetticismo antico
determinato da un complesso di fattori:
- in primo luogo, la cultura rinascimentale aveva condotto allo studio delle
fonti greche e romane della filosofia e grazie e ciò aveva incluso la traduzione in
latino delle opere di Sesto Empirico (1569, edizione curata da Gentian Hervet);
- in secondo luogo, dal Rinascimento era stato avviato un processo di revisione
critica del sapere e di insoddisfazione nei confronti delle autorità politiche, religiose
e filosofiche tradizionali;
- in terzo luogo, infine, la Riforma protestante aveva contribuito a determinare il
vacillare delle certezze e la scissione della cristianità favoriva il propagarsi del
dubbio.
Il dilagare della cosiddetta
‘crisi pirroniana’, ossia di un
diffuso atteggiamento scettico
che si allargava tra gli
intellettuali europei del tardo
Cinquecento
e
di
inizio
Seicento
è
testimoniato
dall’opera
di
Montaigne
(1533-1592),
nella
quale
l’accettazione dell’impossibilità
di
conoscere
in
modo
compiuto e assoluto la realtà
è
strettamente
correlata
all’adozione di uno stile di vita
tollerante e compassionevole.
Scetticismo e saggezza vengono da Montaigne a integrarsi in una visione della
filosofia intesa quale “scienza che ci insegna a vivere” (Saggi, I, 26). Il non sapere
(in modo definitivo e assoluto) ci libera dal dover imporre agli altri ciò che (non)
sappiamo e permette al filosofo, da un lato, di porsi criticamente di fronte al proprio
tempo e alla propria tradizione e, dall’altro, di riconoscere la legittimità delle
opinioni differenti: “io ritengo di avere delle buone e sane opinioni (ma chi non
pensa altrettanto delle proprie?)” (Saggi, II, 17).
Il “libertinage” filosofico
Il propagarsi dello scetticismo dà forma più avanti a una corrente del pensiero
moderna nota come libertinismo. Il movimento prende il nome da un’espressione
(‘libertini’) inizialmente adottata in senso spregiativo dagli avversari, difensori della
fede e benpensanti, contro intellettuali ritenuti depravati, atei e scettici. In realtà, i
pensatori che si possono ricondurre alla corrente del libertinismo erano, piuttosto che
alla depravazione e alla blasfemia, interessati a prendere le distanze dai fanatismi
della religione e dai soprusi del potere, in particolare dopo aver assistito agli
orrori prodotti dalle guerre di religione che avevano seminato morte e devastazione in
Francia e, con la Guerra dei Trent’Anni, in Europa.
Uno dei principali esponenti di questa corrente fu Giulio Cesare Vanini (1585-1619),
arso vivo dall’Inquisizione di Tolosa il 9 febbraio del 1619 con l’accusa di ateismo,
blasfemia, empietà, stregoneria, corruzione dei costumi. In realtà, Vanini si era
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limitato a sostenere le tesi del Pomponazzi sull’interpretazione della mortalità
dell’anima in Aristotele e un’interpretazione naturalistica di fenomeni ritenuti
soprannaturali, ma il suo peccato capitale era stato quello di fare ampio uso
dell’ironia nel trattare gli avversari.
Con maggiore prudenza rispetto a Vanini,
anche
dopo
averne
osservato
l’esemplarmente tragica fine, si mossero altri
pensatori quali Pierre Gassendi (che nel
1647 recupera il pensiero di Epicuro e
contrappone una visione atomistica al
continuismo fisico di Cartesio) e François de
la Mothe Le Vayer, il quale affianca a una
vita ben inserita a corte (era stato designato
da Mazarino quale istitutore del giovane Luigi
XIV, anche se poi non svolse effettivamente
l’incarico)
una
produzione
filosofica
improntata ad uno ‘scetticismo cristiano’, che
voleva far piazza pulita dei dogmi insensati
generatori di intolleranza e fanatismo. Nella
sua opera più nota, i Cinq Dialogues faits à
l’imitation des anciens (cautamente non
destinata alla pubblicazione e edita solo nel
1698 a Francoforte), la piena sintesi del suo pensiero è data da una massima in
spagnolo: “De las cosas más seguras / la más segura es dudar”, delle cose più sicure,
la più sicura è dubitare.
Lo “scetticismo moderato” di David Hume
Con David Hume lo scetticismo diventa parte di un progetto filosofico
ambizioso, così come viene dichiarato nella Introduzione del Trattato della Natura
Umana: anziché occuparsi delle scienze (logica, etica, critica e politica) che riguardano
i prodotti della mente dell’uomo come un generale che voglia vincere una guerra
conquistando uno dopo l’altro villaggi e castelli, Hume intende marciare direttamente
sulla capitale e studiare l’essenza della natura umana, conoscendone poteri e
limiti. Ciò che Newton è stato per lo studio della natura fisica Hume intende esserlo
per la natura umana. Ma le dichiarazioni iniziali del filosofo scozzese non svelano gli
esiti sorprendenti della sua
indagine:
sviluppando rigorosamente, nella sua prosa
elegante, le premesse empiriste dalle quali
procede, Hume giunge a evidenziare che,
quando si tratta non di relazioni di idee
ma di materia di fatto, la natura umana
segue un percorso imprevisto. Essa,
infatti, procede per via di associazioni basate
sull’esperienza che non garantiscono la
possibilità di quelle previsioni su ciò che deve
ancora accadere, sugli eventi futuri. Una
“forza gentile” guida la mente ad associare
idee che rielaborano impressioni e sono, di
queste, più languida traccia. L’associazione
si sviluppa elaborando idee che appaiono
identiche, simili o in una relazione di
costante congiungimento. In questi ultimi casi ricadono anche le idee associate in virtù
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della relazione causale, ma solo se un’abitudine, generata dall’esperienza, induce la
mente a formare, tramite la credenza che si ripeta quanto osservato in passato, il
nesso causale anche nel futuro. La credenza non è ragione e, pertanto, nel ‘700
iperrazionalista dell’Illuminismo, la critica humeana al concetto di causalità è
dirompente. Così come lo è, forse anche di più, la sua critica alla nozione di “Io”,
all’unità della mente, che per Hume è un “fascio di percezioni” che vengono associate
dalla mente per la somiglianza di ciascun istante percettivo che ne compone il flusso.
Tuttavia, il filosofo scozzese, dopo aver evidenziato l’inconsistenza dell’Io e della
predizione del nesso causale – sulla quale si fonda la giustificazione della scienza
come sapere – non ha intenzione di demolire il discorso filosofico e di farlo
precipitare in un vuoto nichilistico. Il suo è un “mild scepticism”, uno scetticismo
moderato che si accorda con la possibilità della scienza. Solo che questa scienza
humeana è consapevole dei propri limiti e avvertita circa la possibilità che le
esperienze del passato possano non essere normative rispetto al futuro e, pertanto,
debba mantenersi aperta e disponibile rispetto alla necessità di doversi costantemente
riformare e adattare a
nuove
esperienze
che
modifichino
abitudini
e
credenze.
Lo scetticismo di Hume
trova un’ulteriore occasione
di esercitarsi affrontando la
questione dei miracoli,
tema che era stato discusso
dai libertini, da Spinoza e
dai deisti. Si tratta di un
tema obbligato per chi
intende
promuovere
la
cultura
della
razionalità
scientifica e della tolleranza
e Hume critica la nozione
stessa di miracolo:
si
tratta
di
un
evento
malamente testimoniato,
che entra in contrasto con leggi di natura le quali invece sono fondate su
testimonianze non contraddittorie d’innumerevoli persone di ogni luogo e tempo. Il
culto del miracoloso fa leva sull’ingenuità e disponibilità a credere ogni cosa che si
sviluppa normalmente in popolazioni ignoranti. Non può essere considerato un
argomento sufficiente per avvalorare questa o quella fede: essendo accertata la
presenza di un culto dei miracoli in ogni religione, con quale criterio si decide di
adottare quelli cristiani piuttosto che quelli delle divinità induiste? Dovrebbero allora
essere accettate tutte le religioni, ma essendo queste in contrasto le une con le altre,
ciò non ha senso.
Nella conclusione della Storia naturale della religione, Hume sintetizza così la
questione:
“Tutto è ignoto: un enigma, un inesplicabile mistero. Dubbio, incertezza, sospensione
del giudizio appaiono l'unico risultato della nostra più accurata indagine in proposito.
Ma tale è la fragilità della ragione umana, e tale il contagio irresistibile delle opinioni,
che non è facile tener fede neppure a questa posizione scettica, se non guardando più
lontano e opponendo superstizione a superstizione, in singolar tenzone; intanto,
mentre infuria il duello, ripariamoci felicemente nelle regioni della filosofia, oscure ma
tranquille”
(trad. it. U. Forti e P. Casini)
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